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AERCO
from FARCORO 3-2022
by FARCORO
SPIRITUS
Il reciproco ascolto della musica sacra
DI ALESSIO ROMEO
A distanza esatta di un anno dalla prima edizione, Bologna è stata ancora una volta teatro di Spiritus, il festival corale interreligioso organizzato dall’Associazione EmilianoRomagnola Cori sotto la direzione artistica di Silvia Biasini: un’edizione, questa, che, forte della lusinghiera affluenza di pubblico, ha confermato l’esito positivo dell’anno precedente candidandosi al contempo a divenire una delle manifestazioni corali regionali più attese degli anni a venire. Al pari del 2021, lo spirito che ha animato l’organizzazione è stato improntato a ergere il dialogo interreligioso al centro di una riflessione che, a partire dalla natura eminentemente spirituale della manifestazione, divenisse vera e propria pratica sociale di confronto reciproco e coesione, un’esigenza resa necessaria dal sempre più complesso contesto multiculturale in cui l’Europa, e in essa l’Italia, è chiamata a vivere, e in cui le tensioni culturali e religiose trovano malauguratamente fertile terreno di crescita. Infatti il processo di globalizzazione degli ultimi decenni, lungi dall’armonizzare le istanze provenienti dalle diverse culture e confessioni, ha talvolta paradossalmente acuito le divergenze e i motivi di attrito. Per tale motivo AERCO ha ritenuto che, al fine di favorire l’armonizzazione di così tante istanze, non esistesse contesto di dialogo migliore di una manifestazione corale, poiché la musica, linguaggio asemantico per eccellenza, si pone all’ascoltatore quale esperienza diretta priva di mediazioni. Come ha scritto Silvia Biasini all’interno della brochure di presentazione del festival, l’intento è stato quello di «conoscere attraverso i canti, gli inni, le antifone, ma anche l’armonia, i timbri e le sonorità, questi mondi così lontani». In tale prospettiva va anche visto l’inserimento, inedito rispetto alla precedente edizione, di gruppi strumentali e di un’interprete di danza sacra, al fine di dimostrare come il canto, per quanto centrale, sia solo uno degli strumenti possibili per esprimere fede e spiritualità. L’obiettivo del progetto, senz’altro ambizioso, non poteva limitarsi alla dimensione concertistica e, come avvenuto lo scorso anno, i concerti sono stati affiancati da differenti iniziative, due convegni e, altra novità della presente edizione, una masterclass.
Proprio alla masterclass, una lezione aperta sulla Direzione di Coro, è stata affidata l’apertura del festival nel mattino del 5 novembre. Tenuta nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio da don Michele Loda, esperto conoscitore del canto gregoriano e Maestro di Cappella del Pantheon di Roma, anch’esso presente all’iniziativa, ha avuto come oggetto di studio due pezzi di grande grande notorietà, ben conosciuti dai frequentatori del canto corale poiché presenti nel repertorio di molte compagini: Sicut cervus di Palestrina e il più recente Ave Maria di Franz Biebl. L’intenzione che ha animato gli organizzatori è stata quella di far affrontare ai partecipanti pezzi già noti al fine indirizzare l’attenzione immediatamente verso un approccio interpretativo approfondito e consapevole. Il Maestro ha fatto lavorare i partecipanti sul testo, di cui sono stati indagati corretta prosodia, pronuncia e collocazione liturgica, per poi raccomandare l’uso, di fronte al repertorio rinascimentale, di edizioni in cui le stanghette siano poste al di fuori del rigo, in modo che la veste grafica sia di ausilio nell’evitare indebite accentazioni sulle sillabe atone. Infine sono stati affrontate questioni inerenti alla concertazione
con l’ausilio della Cappella musicale del Pantheon, cui erano stati preventivamente assegnati errori volontari finalizzati a far emergere le principali insidie poste al direttore di coro. Michele Loda e la Cappella musicale del Pantheon sono stati inoltre protagonisti del primo concerto del festival, tenutosi alle ore 18:00 nella medesima Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio. Il raffinato programma, frutto di sapienti connessioni tra repertori appartenente a secoli e temperie culturali differenti e interamente padroneggiato dagli interpreti con sapienza tecnica e profonda espressività di lettura, vedeva la compresenza di preghiere di pace e di invocazioni inneggianti alla grandezza di Dio. Non a caso il programma è stato aperto e chiuso simmetricamente dall’antifona gregoriana Da pacem. All’interno di tale cornice, altri brani gregoriani come il canto di comunione Vovete sono stati incastonati, talvolta in alternatim, con esempi di repertorio antico e moderno. Basta una rapida scorsa agli autori in programma per avere contezza della ricchezza di relazioni e dialoghi interni al programma: si è andati dai maestri della polifonia del Cinquecento e del Seicento come Marenzio, Ammon, Asola – il cui bel Veni creator è stato eseguito, con scelta assai felice, alternatim con il gregoriano – e Monteverdi fino ad autori più recenti ma ormai classici della moderna musica liturgica come monsignor Domenico Bartolucci (O sacrum convivium), Alberto Donini o Valentino Miserachs Grau, il cui Da pacem ha concluso il concerto prima dell’antifona di congedo. A seguire, nella medesima cornice, il Trio per Sonare ha condotto l’uditorio in territori geografici e culturali assai differenti ma di altrettanto intensa spiritualità. I membri del trio, l’arpista Farah Le Signor, il clarinettista ‘Abd al-Rahman Gastou e il violinista Abu Bakr Moretta, pur provenendo da solida preparazione nell’ambito della tradizione musicale europea, il cui repertorio continuano a praticare in orchestre e conservatori, si sono con pari continuità dedicati ad un’intensa attività di esecutori e divulgatori di musiche tradizionali dell’intero bacino del Mediterraneo. Ne ha fatto fede il ricchissimo programma, che ha alternato con successo canti tradizionali islamici, ortodossi, romeni ebraici e persino il noto Lamento di Tristano dando testimonianza di voci lontane nel tempo e nello spazio. Ancora a Palazzo d’Accursio, alle ore 21:00, si è svolto il secondo concerto della rassegna, con cui si è concluso il primo giorno del festival. Tre le realtà protagoniste: la danzatrice Svamini Atmananda Ghiri, che ha presentato al pubblico alcuni affascinanti esempi di Kuchipudi, ossia la danza sacra classica indiana; il coro ecclesiastico della comunità greco-orientale di Trieste diretto da Ioanna Papaioannou e accompagnato al pianoforte da Reana De Luca in una serie di canti ortodossi e infine il Progetto DAVKA, gruppo dedito alla diffusione della musica ebraica attraverso un repertorio vivace e contaminato con altre espressioni musicali, che travolto il pubblico con la sua energia e ha coronato una prima giornata del festival indubitabilmente riuscita.
La seconda giornata, domenica 6 novembre, si è aperta con due convegni. Il primo, in verità di tono assai particolare, era afferente al progetto Voci dal mondo, frutto della sinergia tra AERCO e l’Istituto Comprensivo Granarolo dell’Emilia (BO) e fondata sull’esperienza diretta dei bambini con strumenti appartenenti a differenti tradizioni.
Coerentemente con il progetto, ciascuno dei relatori – gli stessi del secondo convegno su cui ci si soffermerà a breve – hanno proposto differenti attività musicali ai bambini delle classi quinte, invitandoli a cimentarsi con i repertori delle più diverse confessioni.
Il secondo convegno del festival è stato in un certo qual modo il fulcro simbolico di Spiritus, dal momento che, in continuità con la prima edizione, si è fondato sul confronto tra esponenti di confessioni differenti su medesimi argomenti. La moderazione del convegno, il cui tema era ben delineato dal titolo, Canti di guerra canti di pace, è stata affidata a don Claudio Campesato, presbitero della diocesi di Padova, oltre che esperto di canto gregoriano e di liturgia, già lo scorso anno ospite tra i relatori. In apertura
don Campesato, dopo aver sottolineato l’importanza della musica quale luogo privilegiato di dialogo, ha tuttavia manifestato l’auspicio che il convegno mirasse a un saldo messaggio di pace, quella stessa pace variamente cantata in tutte le tradizioni. La prima parte è avvenuta all’insegna della musica: don Campesato ha sottolineato l’importanza della preghiera di pace nella Messa del rito cattolico romano, facendo ascoltare e commentando l’antifona Da pacem e, a seguire, ha chiesto a ciascuno dei relatori di commentare un canto di pace appartenente alla propria confessione. Il primo a prendere parola è stato il teologo russo Kivelev Maksim Nikolaevic, esperto di liturgia bizantina, che ha fatto ascoltare un breve estratto dalla preghiera culto della celebrazione eucaristica della tradizione ortodossa. Nel commento ha sottolineato come la pace sia un concetto complesso, ricordando al tempo stesso quanto l’intera liturgia bizantina sia impregnata di musica, presenza di Dio stesso nel mondo. La samnyasini – monaca indù – di Roma Svamini Shuddananda Ghiri, da anni dedita, tra le altre attività, ad iniziative di dialogo interreligioso, ricorda come il significato stesso di Veda, il testo sacro dell’Induismo, sia “ciò che è stato ascoltato”, a dimostrazione del profondo legame tra induismo, oralità e musica. In rappresentanza dell’Islam ha preso parola il violinista Abu Bakr Moretta, che ha introdotto e fatto ascoltare un canto di lode ad Allah. Esponente della confessione protestante, Ilenya Goss ha esordito ponendo attenzione al fatto che il protestantesimo storico manchi una ritualità che contempli rigorosamente una preghiera di pace; non mancano tuttavia inni e preghiere sul tema, tra le quali ha presentato un inno scritto da Lutero. Infine Maurizio Di Veroli, esperto di musica tradizionale ebraica tanto antica quanto contemporanea, ha esordito ricordando che il termine ebraico corrispondente a pace, shalom, sia molto presente nella Torah, ammonendo tuttavia a ricordare come conviva pluralità di significati: dopo aver edotto l’uditorio su tale polisemia, ha cantato personalmente un’invocazione appartenente allo shabbat del venerdì sera. La seconda parte è stata incentrata sul rapporto tra musica ed etica. Campesato, dopo aver notato come la società abbia spesso soffocato la forza etica della musica, ha tuttavia ribadito il profondo legame tra musica e spirito, come poi dimostrato in vario modo dai relatori: Di Veroli ricorda come nel mondo ebraico il canto sia lo strumento privilegiato di espressione della gioia divina, mentre Goss racconta l’importanza del legame nel protestantesimo fin da Lutero, che riteneva la musica strumento per promuovere senza mediazioni concetti teologicamente complessi. Dopo gli ultimi interventi, in
conclusione, con apparente paradosso, don Campesato ha chiuso il convegno rifiutandosi di pronunciare delle conclusioni, dal momento che il confronto verbale deve essere soltanto lo spunto iniziale a praticare concretamente la pace attraverso la musica e le azioni quotidiane.
A conclusione e sugello di un così ricco percorso, alle 18:00 la Chiesa di Santa Maria dei Servi è stata teatro del terzo e ultimo dei concerti in programma, Canto gregoriano e organo: incroci di arte e fede nei secoli, evento che fin dal titolo suggerisce la necessità di attuare non solo un dialogo sincronico tra fedi differenti, ma anche una riflessione diacronica tra differenti espressioni di fede sviluppatesi nel corso dei secoli all’interno della medesima confessione. Protagonisti del concerto l’organista Wladimir Matesic, concertista dall’esperienza decennale e titolare della cattedra di Organo “G. Fescobaldi” di Ferrara, e la Schola Gregoriana “Ecce” diretta da Luca Buzzavi. La Schola, di recente formazione, è stata fondata dal Mo Buzzavi con il patrocinio di AERCO al fine di diffondere la cultura del Canto gregoriano facendo riferimento ai più rigorosi principi scientifici di lettura ed esecuzione, seguendo strettamente gli indirizzi interpretativi che, da dom Eugène Cardine in avanti, hanno informato in modo decisivo la prassi esecutiva del repertorio gregoriano. L’inserimento del festival di tale compagine è dunque parsa particolarmente pertinente, tanto più se si considera che proprio al Festival Spiritus del 2021 la Schola aveva esordito ufficialmente. Il programma si è snodato attraverso una selezione di composizioni che permettesse di ripercorrere il cammino cristologico proprio all’anno liturgico che, a partire dall’Avvento, giunge sino alla Pentecoste. I differenti momenti sono stati scanditi, come recita il titolo, intrecciando interventi canori, composizioni organistiche elaborate a partire dal materiale melodico liturgico e in alternatim, sugellate dal Salve regina more monastico conclusivo. In conclusione, Spiritus ha ricordato al suo pubblico come sia intrinseco alla musica il rispetto dell’alterità: solo dall’ascolto reciproco può nascere un mondo di comprensione e pace. L’auspicio è che questo messaggio continui a rinnovarsi in futuro, e che Spiritus continui a condurre il suo pubblico in sempre più vaste regioni di tolleranza e dialogo.
Cantare la pace
DI GIANLUIGI GIACOMONI
“Voci nei Chiostri” è giunta alla dodicesima edizione e, ragionando in linea con i tempi, quest’anno è stata dedicato alla divulgazione del sentimento della Pace, per molto aspetti messa a dura prova in questo particolare momento storico. E abbiamo avuto anche un vantaggio nel porre al centro questo tema: il coro per eccellenza è sinonimo di armonia, di condivisione ma anche di svago, di divertimento e spensieratezza; le voci che contrappuntano, che si rincorrono, che si uniscono insieme a creare accordi in continuo mutamento, possono ben rappresentare un ideale di società unita, in cui tutti sono necessari, proprio in virtù del ruolo che svolgono, qualsiasi esso sia. Ed ecco che ci è venuto facile trovare il motto “We move the world” che è tratto dal bellissimo canto del compositore croato Branko Stark autore di parole e musica, e che continua dicendo “noi cantiamo assieme, cantiamo ogni giorno ed ogni notte.” E ancora “noi cantiamo per la pace, noi cantiamo per l’amore”. Il canto è dedicato dall’autore a tutti i cori del mondo, a sottolineare la necessità di una comunità, in questo caso quella corale, che ha rappresentanti e ‘ambasciatori’ in tutte le parti del pianeta. All’edizione 2022 appena conclusa hanno partecipato oltre cinquanta cori (ecco, una vera comunità anche numericamente), con circa millequattrocento coristi provenienti da tutte le province dell’Emilia-Romagna qualcuno da altre regioni e due dall’estero (Malta, con cui si stanno sviluppando importanti progetti di gemellaggio e Slovenia, terra di cori giovanili strepitosi). I concerti sono stati effettuati in piccole e medie località turistiche sia nelle zone collinari, sia nelle zone di pianura e marittime, sia infine in città importanti (Bologna fra tutte). Ciò ha consentito di farci ascoltare da quasi quattromila persone, in presenza. E non è banale evidenziare l’aspetto live di tutti i concerti poiché questi riusciti happening sottolineano il Il Coro Kormalta a Voci nei Chiostri
ritorno ad una dimensione empatica propria anche canto corale, difficilmente sostituibile con le esecuzioni via web. I trentaquattro concerti hanno fatto vibrare voci in luoghi bellissimi, contesti di manifestazioni corali ma anche in luoghi inconsueti. Infatti la musica è risuonata nei chiostri, nei cortili, nelle chiese, nelle piazze andando ad accarezzare strutture e opere d’arte pluricentenarie, unendo la prima espressione artistica musicale dell’essere umano, il canto, con meraviglie architettoniche piccole e grandi della nostra Regione. “We move the world” possibile anche grazie ai repertori
proposti che hanno spaziato per moltissimi generi musicali, dalla musica antica a quella contemporanea, dalla musica popolare alla monodia gregoriana, dalla musica etnica alla polifonia antica e moderna. Ciò ha consentito di rappresentare al meglio l’arcobaleno di sensazioni, emozioni e sentimenti che compositori compresi in oltre otto secoli di storia hanno riportato sugli spartiti. È stato dunque un lungo viaggio attraverso la Storia della Musica corale che, in virtù dei testi che l’accompagnano, è l’espressione musicale più adatta per comprendere uno spaccato reale e ‘dal basso’ della vita delle persone. Di rilievo anche l’aspetto legato alla terra di origine dei compositori proposti (da contesti regionali e nazionali sino a quelli internazionali) che ha ulteriormente arricchito il viaggio culturale il quale è così diventato anche un percorso geografico, con ascolto di racconti, ritmi, armonizzazioni provenienti da più tradizioni. La partecipazione entusiastica e coinvolta del pubblico ad ogni manifestazione, gli applausi scroscianti e le richieste insistenti di bis hanno dimostrato quanto diretto, semplice e immediato possa essere il concerto corale e in quale misura possa essere effettivo veicolo di una acculturazione musicale semplice ed efficace. Per quanto riguarda il dato più propriamente esecutivo (che si riflette anche in un inevitabile dato estetico) risalta la grande diversificazione di tipologie corali che è stato possibile avere a disposizione in questa edizione di Voci nei Chiostri. E proprio grazie a questa scelta che ha seguito la linea della specificità in cui ciascun coro esegue
Kormalta a Voci nei Chiostri
DI SILVIA VACCHI
Domenica 24 luglio alle ore 21 presso la chiesa di San Procolo a Bologna si è tenuto il concerto di “Kormalta”, il coro nazionale di Malta diretto dal maestro varesotto Riccardo Bianchi. Si tratta di una formazione coro misto professionale nato nel 2018 su iniziativa di Arts Council Malta all’interno del Ministero per il Patrimonio Nazionale, le Arti e il governo locale. L’evento era inserito nella rassegna AERCO “Voci nei Chiostri 2022” e, inoltre, faceva parte della programmazione di Bologna Estate 2022. L’invito di Aerco, come illustrato dalla presidente maltese di Arts Council, prende le mosse da un progetto di collaborazione tra il suddetto gruppo e il Coro Giovanile dell’Emilia-Romagna (attualmente diretto dal maestro Daniele Sconosciuto). Dopo una breve apertura del Presidente Aerco Adrea Angelini il maestro Bianchi ha schierato gli undici cantori (cinque uomini e sei donne) dietro l’altare e ha iniziato il concerto con l’esecuzione a cappella della “Missa quatuor vocibus” di Ludovico Fogliano (1490 – 1548) i cui manoscritti originali sono custoditi nella Basilica bolognese di San Petronio. Dopo questo omaggio alla città ospitante abbiamo avuto il piacere di ascoltare le “Sacrae Cantiunculae” di Claudio Monteverdi, da lui composte in giovanissima età sia per voci miste che per voci pari. La parte centrale del concerto è stata dedicata ad alcuni dei brani più presenti in assoluto nei programmi corali come l’”Ave Maria” di Biebl e “O Magnum Mysterium” di Lauridsen la cui esecuzione, nonostante l’organico esiguo, è stata assai gradevole. Prima di presentare gli ultimi due brani in programma il maestro Bianchi ha voluto illustrare le caratteristiche del suo coro evidenziandone l’estrema versatilità tecnica e stilistica. Questa caratteristica gli ha permesso di costruire un repertorio che accosta
abitualmente l’opera e la musica antica, il barocco e gli autori contemporanei con grande disinvoltura grazie alla buona preparazione tecnica dei coristi. Centrale, in questo senso, il ruolo dei due vocal coach che, fin dall’inizio, hanno contribuito alla costruzione di questa realtà. Il concerto si è chiuso con due brani caratteristici della cultura maltese: “Il Kebbies tal fanali” (Veronique Vella) mette in musica una delle poesie maltesi più amate. E’ stato accompagnato al pianoforte dallo stesso maestro Bianchi. In chiusura ricordiamo poi il brillante “Magnus Dominus” di Benigno Zerafa (1726 - 1804) musicista maltese attivo nel periodo di passaggio tra barocco e classicismo. Kormalta a Voci nei Chiostri
il repertorio appropriato richiesto da genere e stile, è stato possibile comunicare fedelmente le intenzioni artistiche di ciascun compositore. Sui palcoscenici si sono succedute formazioni le più diversificate: dai cori polifonici ai cori popolare sia misti, sia a voci pari, dai cori di voci bianche ai cori giovanili, da cori a carattere interculturali a cori gospel sino a gruppi vocali accompagnati da strumenti tradizionali o appartenenti alla tradizione internazionale. Da sottolineare l’importanza del coinvolgimento attivo di tanti musicisti professionisti, spesso in qualità di direttori (da tempo la qualità direttoriale si è elevata moltissimo anche in coloro che la esercitano a livello amatoriale) e a volte in veste di accompagnatori, con particolare riferimento a pianisti. Questo è stato un vero arricchimento per tutti poiché l’affiancamento di musicisti a un’attività didattica e performativa pur svolta non a livello professionistico (ma alcuni cori ne sfiorano le vette) è di grande utilità per conseguire una sempre più brillante fase esecutiva da parte di tutti i nostri associati.
Vorrei porgere con sincera gratitudine un ringraziamento da parte di tutta la commissione artistica e mia personale a tutti i coristi, i direttori e i musicisti in genere che hanno aderito all’iniziativa perché senza di loro niente di tutto questo sarebbe stato possibile.
DI SILVIA VACCHI
Mercoledì 27 luglio alle ore 21 presso la Chiesa di San Benedetto a Bologna si è tenuto uno degli appuntamenti della rassegna organizzata da Aerco. È stato un piacere ascoltare questo ensemble maschile composto da quattordici ragazzi di età compresa tra i quindici e i venticinque anni che ha proposto un repertorio tecnicamente assai impegnativo mantenendo sempre un’eccellente intonazione e una sonorità raffinata. Questo gruppo sloveno si è formato all’interno di uno studentato di Lubiana dedicato all’intellettuale e poeta sloveno Ivan Cankar. Lo scopo iniziale era quello di offrire agli ospiti un momento di socializzazione e di musica d’assieme ma il gruppo, diretto fin dall’inizio dal maestro e compositore Tom Varl, si è evoluto velocemente consolidandosi e intraprendendo una intensa attività concertistica. Il grosso del repertorio eseguito a Bologna comprendeva musica slovena sia popolare che d’autore. Tanti i compositori contemporanei inseriti nel programma compreso un brano firmato da uno dei solisti del coro, il tenore Ziga Copi. Particolarmente efficaci l’esecuzione di Zabe di Vinko Vodopivec (1878 – 1852) e Sam di Vid Ozbolt (2002). Ma il concerto sarebbe stato ancora più godibile se il pubblico avesse potuto comprendere i testi sloveni. Verso la fine della scaletta il coro ha proposto una splendida versione di Beati mortui di Mendelsshon per poi ritornare agli autori sloveni con un paio di prime esecuzioni di notevole impegno di cui l’ultima Ti meni svetlo sonce di Matej Kastelic (1994) con il coro schierato in ordine sparso nella grande chiesa di San Benedetto. Il bis concesso a fine concerto è stato un gradito omaggio all’Italia: La Montanara di Toni Ortelli nella classica armonizzazione di Luigi Pigarelli. Per concludere: si è trattato di un concerto assai piacevole reso ancor più interessante dal repertorio inusuale ma, spiace dirlo, al cospetto di un numero di spettatori che non arrivava alle venti unità. Veramente troppo poche.
Il Gruppo vocale “Ivan Cankar” a Voci nei Chiostri