ARTE MODERNA Prato, 9 giugno 2018
In copertina: Giorgio de Chirico, lotto n. 550
ASTA DI OPERE D’ARTE MODERNA PROVENIENTI DA RACCOLTE PRIVATE
ASTA N. 184 II
INFORMAZIONI PER I PARTECIPANTI Tutti i clienti non registrati, per partecipare all’asta dovranno fornire: - PERSONE FISICHE: un documento di identità valido con foto identificativa e codice fiscale. - PERSONE GIURIDICHE: visura camerale, documento valido e codice fiscale del legale rappresentante. Tali documenti dovranno essere accompagnati dai seguenti dati bancari: - Nome e indirizzo della banca - Iban - Nome e telefono della persona da contattare Per assistenza si prega di contattare: Amministrazione: Cecilia Farsetti e Maria Grazia Fucini - tel. 0574 572400
OPERAZIONI DI REGISTRAZIONE E PARTECIPAZIONE ALL’ASTA Compilando e sottoscrivendo il modulo di registrazione e di attribuzione di una paletta numerata, l’acquirente accetta le “condizioni di vendita” stampate in questo catalogo. Tutti i potenziali acquirenti devono munirsi di una paletta per le offerte prima che inizi la procedura di vendita. È possibile pre-registrarsi durante l’esposizione; nel caso l’acquirente agisca come rappresentante di una terza persona, si richiede un’autorizzazione scritta. Tutti i potenziali acquirenti devono portare con sè un valido documento di identità ai fini di consentire la registrazione. Le palette numerate possono essere utilizzate per indicare le offerte al Direttore di vendita o banditore durante l’asta. Tutti i lotti venduti saranno fatturati al nome e all’indirizzo comunicato al momento dell’assegnazione delle palette d’offerta numerate. Al termine dell’asta l’acquirente è tenuto a restituire la paletta al banco registrazioni. Ogni cliente è responsabile dell’uso del numero di paletta a lui attribuito. La paletta non è cedibile e va restituita alla fine dell’asta. In caso di smarrimento è necessario informare immediatamente l’assistente del Direttore di vendita o banditore. Questo sistema non vale per chi partecipa all’asta tramite proposta scritta.
ACQUISIZIONE DI OGGETTI E DIPINTI PER LE ASTE Per l’inserimento nelle vendite all’asta organizzate dalla Farsettiarte per conto terzi: chiunque fosse interessato alla vendita di opere d’arte moderna e contemporanea, dipinti antichi, mobili, oggetti d’arte, gioielli, argenti, tappeti, è pregato di contattare la nostra sede di Prato o le succursali di Milano e Cortina (l’ultima solo nel periodo stagionale). Per le aste della stagione autunnale è consigliabile sottoporre le eventuali proposte sin dal mese di giugno, mentre per la stagione primaverile dal mese di dicembre.
ANTICIPI SU MANDATI Si informano gli interessati che la nostra organizzazione effettua con semplici formalità, anticipi su mandati a vendere per opere d’arte moderna e contemporanea, dipinti antichi, mobili, oggetti d’arte, gioielli, argenti, tappeti, in affidamento sia per l’asta che per la tentata vendita a trattativa privata.
ACQUISTI E STIME La FARSETTIARTE effettua stime su dipinti, sculture e disegni sia antichi che moderni, mobili antichi, tappeti, gioielli, argenti o altri oggetti d’antiquariato, mettendo a disposizione il suo staff di esperti. Acquista per contanti, in proprio o per conto terzi.
ASTA PRATO Sabato 9 Giugno 2018 ore 16,00
ESPOSIZIONE MILANO dal 24 al 30 Maggio 2018 Sintesi delle opere in vendita Esposte in contemporanea: Casa del Manzoni - via Morone, 1 Farsettiarte - Portichetto di via Manzoni Orario dalle ore 10,00 alle ore 19,30 (festivi compresi) Ultimo giorno di esposizione MercoledĂŹ 30 Maggio 2018, fino alle ore 17,00 PRATO dal 2 al 9 Giugno 2018 Orario dalle ore 10,00 alle ore 19,30 (festivi compresi) Ultimo giorno di esposizione Sabato 9 Giugno 2018, ore 13,00
PRATO - Viale della Repubblica (Area Museo Pecci) - Tel. 0574 572400 - Fax 0574 574132 MILANO - Portichetto di Via Manzoni (ang. Via Spiga) - Tel. 02 76013228 - Fax 02 76012706 info@farsettiarte.it www.farsettiarte.it
CONDIZIONI DI VENDITA 1) La partecipazione all’asta è consentita solo alle persone munite di regolare paletta per l’offerta che viene consegnata al momento della registrazione. Compilando e sottoscrivendo il modulo di registrazione e di attribuzione della paletta, l’acquirente accetta e conferma le “condizioni di vendita” riportate nel catalogo. Ciascuna offerta s’intenderà maggiorativa del 10% rispetto a quella precedente, tuttavia il Direttore delle vendite o Banditore potrà accettare anche offerte con un aumento minore. 2) Gli oggetti saranno aggiudicati dal Direttore della vendita o banditore al migliore offerente, salvi i limiti di riserva di cui al successivo punto 12. Qualora dovessero sorgere contestazioni su chi abbia diritto all’aggiudicazione, il banditore è facoltizzato a riaprire l’incanto sulla base dell’ultima offerta che ha determinato l’insorgere della contestazione, salvo le diverse, ed insindacabili, determinazioni del Direttore delle vendite. È facoltà del Direttore della vendita di accettare offerte trasmesse per telefono o con altro mezzo. Queste offerte, se ritenute accettabili, verranno di volta in volta rese note in sala. In caso di parità prevarrà l’offerta effettuata dalla persona presente in sala; nel caso che giungessero, per telefono o con altro mezzo, più offerte di pari importo per uno stesso lotto, verrà preferita quella pervenuta per prima, secondo quanto verrà insindacabilmente accertato dal Direttore della vendita. Le offerte telefoniche saranno accettate solo per i lotti con un prezzo di stima iniziale superiore a 500 €. La Farsettiarte non potrà essere ritenuta in alcun modo responsabile per il mancato riscontro di offerte scritte e telefoniche, o per errori e omissioni relativamente alle stesse non imputabili a sua negligenza. La Farsettiarte declina ogni responsabilità in caso di mancato contatto telefonico con il potenziale acquirente. 3) Il Direttore della vendita potrà variare l’ordine previsto nel catalogo ed avrà facoltà di riunire in lotti più oggetti o di dividerli anche se nel catalogo sono stati presentati in lotti unici. La Farsettiarte si riserva il diritto di non consentire l’ingresso nei locali di svolgimento dell’asta e la partecipazione all’asta stessa a persone rivelatesi non idonee alla partecipazione all’asta. 4) Prima che inizi ogni tornata d’asta, tutti coloro che vorranno partecipare saranno tenuti, ai fini della validità di un’eventuale aggiudicazione, a compilare una scheda di partecipazione inserendo i propri dati personali, le referenze bancarie, e la sottoscizione, per approvazione, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 C.c., di speciali clausole delle condizioni di vendita, in modo che gli stessi mediante l’assegnazione di un numero di riferimento, possano effettuare le offerte validamente. 5) La Casa d’Aste si riserva il diritto di non accettare le offerte effettuate da acquirenti non conosciuti, a meno che questi non abbiano rilasciato un deposito od una garanzia, preventivamente giudicata valida dalla Mandataria, ad intera copertura del valore dei lotti desiderati. L’Aggiudicatario, al momento di provvedere a redigere la scheda per l’ottenimento del numero di partecipazione, dovrà fornire alla Casa d’Aste referenze bancarie esaustive e comunque controllabili; nel caso in cui vi sia incompletezza o non rispondenza dei dati indicati o inadeguatezza delle coordinate bancarie, salvo tempestiva correzione dell’aggiudicatario, la Mandataria si riserva il diritto di annullare il contratto di vendita del lotto aggiudicato e di richiedere a ristoro dei danni subiti. 6) Il pagamento del prezzo di aggiudicazione dovrà essere effettuato entro 48 ore dall’aggiudicazione stessa, contestualmente al ritiro dell’opera, per intero. Non saranno accettati pagamenti dilazionati a meno che questi non siano stati concordati espressamente e per iscritto almeno 5 giorni prima dell’asta, restando comunque espressamente inteso e stabilito che il mancato pagamento anche di una sola rata comporterà l’automatica risoluzione dell’accordo di dilazionamento, senza necessità di diffida o messa in mora, e la casa d’aste sarà facoltizzata a pretendere per intero l’importo dovuto o a ritenere risolta l’aggiudicazione per fatto e colpa dell’aggiudicatario. In caso di pagamento dilazionato l’opera o le opere aggiudicate saranno consegnate solo contestualmente al pagamento dell’ultima rata e, dunque, al completamento dei pagamenti. 7) In caso di inadempienza l’aggiudicatario sarà comunque tenuto a corrispondere alla casa d’asta una penale pari al 20% del prezzo di aggiudicazione, salvo il maggior danno. Nella ipotesi di inadempienza la casa d’asta è facoltizzata: - a recedere dalla vendita trattenendo la somma ricevuta a titolo di caparra; - a ritenere risolto il contratto, trattenendo a titolo di penale quanto versato per caparra, salvo il maggior danno. La casa d’asta è comunque facoltizzata a chiedere l’adempimento. 8) L’acquirente corrisponderà oltre al prezzo di aggiudicazione i seguenti diritti d’asta: I scaglione da € 0.00 a € 80.000,00 25,50 % II scaglione da € 80.001,00 a € 200.000,00 23,00 % III scaglione da € 200.001,00 a € 350.000,00 21,00 % IV scaglione da € 350.001,00 a € 500.000,00 20,50 % V scaglione da € 500.001,00 e oltre 20,00 % 9) Qualora per una ragione qualsiasi l’acquirente non provveda a ritirare gli oggetti acquistati e pagati entro il termine indicato dall’Art. 6, sarà tenuto a corrispondere alla casa d’asta un diritto per la custodia e l’assicurazione, proporzionato al valore dell’oggetto. Tuttavia in caso di deperimento, danneggiamento o sottrazione del bene aggiudicato, che non sia stato ritirato nel termine di cui all’Art. 6, la Farsettiarte è esonerata da ogni responsabilità,
anche ove non sia intervenuta la costituzione in mora per il ritiro dell’aggiudicatario ed anche nel caso in cui non si sia provveduto alla assicurazione.
10) La consegna all’aggiudicatario avverrà presso la sede della Farsettiarte, o nel diverso luogo dove è avvenuta l’aggiudicazione a scelta della Farsettiarte, sempre a cura ed a spese dell’aggiudicatario. 11) Al fine di consentire la visione e l’esame delle opere oggetto di vendita, queste verranno esposte prima dell’asta. Chiunque sia interessato potrà così prendere piena, completa ed attenta visione delle loro caratteristiche, del loro stato di conservazione, delle effettive dimensioni, della loro qualità. Conseguentemente l’aggiudicatario non potrà contestare eventuali errori od inesattezze nelle indicazioni contenute nel catalogo d’asta o nelle note illustrative, o eventuali difformità fra l’immagine fotografica e quanto oggetto di esposizione e di vendita, e, quindi, la non corrispondenza (anche se relativa all’anno di esecuzione, ai riferimenti ad eventuali pubblicazioni dell’opera, alla tecnica di esecuzione ed al materiale su cui, o con cui, è realizzata) fra le caratteristiche indicate nel catalogo e quelle effettive dell’oggetto aggiudicato. I lotti posti in asta dalla Farsettiarte per la vendita vengono venduti nelle condizioni e nello stato di conservazione in cui si trovano; i riferimenti contenuti nelle descrizioni in catalogo non sono peraltro impegnativi o esaustivi; rapporti scritti (condition reports) sullo stato dei lotti sono disponibili su richiesta del cliente e in tal caso integreranno le descrizioni contenute nel catalogo. Qualsiasi descrizione fatta dalla Farsettiarte è effettuata in buona fede e costituisce mera opinione; pertanto tali descrizioni non possono considerarsi impegnative per la casa d’aste ed esaustive. La Farsettiarte invita i partecipanti all’asta a visionare personalmente ciascun lotto e a richiedere un’apposita perizia al proprio restauratore di fiducia o ad altro esperto professionale prima di presentare un’offerta di acquisto. Verranno forniti condition reports entro e non oltre due giorni precedenti la data dell’asta in oggetto ed assolutamente non dopo di essa. 12) La Farsettiarte agisce in qualità di mandataria di coloro che le hanno commissionato la vendita degli oggetti offerti in asta; pertanto è tenuta a rispettare i limiti di riserva imposti dai mandanti anche se non noti ai partecipanti all’asta e non potranno farle carico obblighi ulteriori e diversi da quelli connessi al mandato; ogni responsabilità ex artt. 1476 ss cod. civ. rimane in capo al proprietario-committente. 13) Le opere descritte nel presente catalogo sono esattamente attribuite entro i limiti indicati nelle singole schede. Le attribuzioni relative a oggetti e opere di antiquariato e del XIX secolo riflettono solo l’opinione della Farsettiarte e non possono assumere valore peritale. Ogni contestazione al riguardo dovrà pervenire entro il termine essenziale e perentorio di 8 giorni dall’aggiudicazione, corredata dal parere di un esperto, accettato dalla Farsettiarte.Trascorso tale termine cessa ogni responsabilità della Farsettiarte. Se il reclamo è fondato, la Farsettiarte rimborserà solo la somma effettivamente pagata, esclusa ogni ulteriore richiesta, a qualsiasi titolo. 14) Né la Farsettiarte, né, per essa, i suoi dipendenti o addetti o collaboratori, sono responsabili per errori nella descrizione delle opere, né della genuinità o autenticità delle stesse, tenendo presente che essa esprime meri pareri in buona fede e in conformità agli standard di diligenza ragionevolmente attesi da una casa d’aste. Non viene fornita, pertanto al compratore-aggiudicatario, relativamente ai vizi sopramenzionati, alcuna garanzia implicita o esplicita relativamente ai lotti acquistati. Le opere sono vendute con le autentiche dei soggetti accreditati al momento dell’acquisto. La Casa d’aste, pertanto, non risponderà in alcun modo e ad alcun titolo nel caso in cui si verifichino cambiamenti nei soggetti accreditati e deputati a rilasciare le autentiche relative alle varie opere. Qualunque contestazione, richiesta danni o azione per inadempienza del contratto di vendita per difetto o non autenticità dell’opera dovrà essere esercitata, a pena di decadenza, entro cinque anni dalla data di vendita, con la restituzione dell’opera accompagnata da una dichiarazione di un esperto attestante il difetto riscontrato. 15) La Farsettiarte indicherà sia durante l’esposizione che durante l’asta gli eventuali oggetti notificati dallo Stato a norma della L. 1039, l’acquirente sarà tenuto ad osservare tutte le disposizioni legislative vigenti in materia. 16) Le etichettature, i contrassegni e i bolli presenti sulle opere attestanti la proprietà e gli eventuali passaggi di proprietà delle opere vengono garantiti dalla Farsettiarte come esistenti solamente fino al momento del ritiro dell’opera da parte dell’aggiudicatario. 17) Le opere in temporanea importazione provenienti da paesi extracomunitari segnalate in catalogo, sono soggette al pagamento dell’IVA sull’intero valore (prezzo di aggiudicazione + diritti della Casa) qualora vengano poi definitivamente importate. 18) Tutti coloro che concorrono alla vendita accettano senz’altro il presente regolamento; se si renderanno aggiudicatari di un qualsiasi oggetto, assumeranno giuridicamente le responsabilità derivanti dall’avvenuto acquisto. Per qualunque contestazione è espressamente stabilita la competenza del Foro di Prato. 19) Diritto di seguito. Gli obblighi previsti dal D.lgs. 118 del 13/02/06 in attuazione della Direttiva 2001/84/CE saranno assolti da Farsettiarte.
DIRETTORE ESECUTIVO: Franco FARSETTI DIRETTORE VENDITE: Frediano Farsetti
GESTIONI SETTORIALI
GESTIONI ORGANIZZATIVE
ARTE MODERNA Frediano FARSETTI Franco FARSETTI
PROGRAMMAZIONE E SVILUPPO Sonia FARSETTI
ARTE CONTEMPORANEA Franco FARSETTI Leonardo FARSETTI DIPINTI ANTICHI Stefano FARSETTI Marco FAGIOLI
COMMISSIONI SCRITTE E TELEFONICHE Sonia FARSETTI Stefano FARSETTI CATALOGHI E ABBONAMENTI Simona SARDI ARCHIVIO Francesco BIACCHESSI COORDINATORE SCHEDE E RICERCHE Silvia PETRIOLI
DIPINTI DELL’800 Sonia FARSETTI Leonardo GHIGLIA DIPINTI DI AUTORI TOSCANI Sonia FARSETTI SCULTURE E ARREDI ANTICHI Marco FAGIOLI Stefano FARSETTI GIOIELLI E ARGENTI Rolando BERNINI
UFFICIO SCHEDE E RICERCHE Elisa MORELLO Silvia PETRIOLI Chiara STEFANI CONTABILITÀ CLIENTI E COMMITTENTI Cecilia FARSETTI Maria Grazia FUCINI RESPONSABILE SUCCURSALE MILANO Gabriele CREPALDI RESPONSABILE SUCCURSALE CORTINA Rolando BERNINI SPEDIZIONI Francesco BIACCHESSI
FOTOGRAFIA Sonia FARSETTI Leonardo FARSETTI
SALA D’ASTE E MAGAZZINO Giancarlo CHIARINI GESTIONE MAGAZZINO Simona SARDI UFFICIO STAMPA Gabriele CREPALDI
PRATO: (sede princ.) Viale della Repubblica (area museo Pecci) C.A.P. 59100 - Tel. 0574 572400 / Fax 0574 574132 www.farsettiarte.it - info@farsettiarte.it
Per la lettura del Catalogo Le misure delle opere vanno intese altezza per base. Per gli oggetti ed i mobili, salvo diverse indicazioni, vanno intese altezza per larghezza per profondità. La data dell’opera viene rilevata dal recto o dal verso dell’opera stessa o da documenti; quella fra parentesi è solo indicativa dell’epoca di esecuzione. Il prezzo di stima riportato sotto ogni scheda va inteso in EURO. La base d’asta è solitamente il 30% in meno rispetto al primo prezzo di stima indicato: è facoltà del banditore variarla.
Offerte scritte I clienti che non possono partecipare direttamente alla vendita in sala possono fare un’offerta scritta utilizzando il modulo inserito nel presente catalogo oppure compilando l’apposito form presente sul sito www.farsettiarte.it Offerte telefoniche I clienti che non possono partecipare direttamente alla vendita in sala possono chiedere di essere collegati telefonicamente. Per assicurarsi il collegamento telefonico inviare richiesta scritta via fax almeno un giorno prima dell’asta al seguente numero: 0574 574132; oppure compilare il form presente sul sito www.farsettiarte.it
Si ricorda che le offerte scritte e telefoniche saranno accettate solo se accompagnate da documento di identità valido e codice fiscale.
Ritiro con delega Qualora l’acquirente incaricasse una terza persona di ritirare i lotti già pagati, occorre che quest’ultima sia munita di delega scritta rilasciata dal compratore oltre che da ricevuta di pagamento. Pagamento Il pagamento potrà essere effettuato nelle sedi della Farsettiarte di Prato e Milano. Diritti d’asta e modalità di pagamento sono specificati in dettaglio nelle condizioni di vendita. Ritiro Dopo aver effettuato il pagamento, il ritiro dei lotti acquistati dovrà tenersi entro 15 giorni dalla vendita. I ritiri potranno effettuarsi dalle ore 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 19.30, sabato pomeriggio e domenica esclusi. Spedizioni locali e nazionali Il trasporto di ogni lotto acquistato sarà a totale rischio e spese dell’acquirente.
III SESSIONE DI VENDITA Sabato 9 Giugno 2018 ore 16,00 dal lotto 501 al lotto 601
501
Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Paesaggio (Pianura di Bologna), 1929 Acquaforte su zinco, es. 1/21, cm. 24,7x30,2 (lastra), cm. 42x55,6 (carta) Firma in lastra in basso al centro: Morandi, firma e data a matita sul margine in basso a destra: Morandi 1929, tiratura in basso a sinistra: 1/21, timbro a secco Finarte, Eredità Morandi 1996. Storia Collezione Giancarlo Pasi, Ravenna; Collezione privata Secondo stato su tre, tiratura di 21 esemplari numerati e qualche prova di stampa in parte su carta India incollata. Bibliografia Lamberto Vitali, L’opera grafica di Giorgio Morandi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964, n. 54; Michele Cordaro, Morandi incisioni. Catalogo Generale, Edizioni Electa, Milano, 1991, p. 62, n. 1929 2.
501
Stima E 3.000 / 4.000
502
Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Paesaggio con tre alberi, 1931 o 1933 Acquaforte, es. 15/50, cm. 24,8x17,3 (lastra), cm. 49x34,3 (carta) Firma a matita sul margine in basso a destra: Morandi, tiratura in basso a sinistra: 15/50. Tiratura di 50 esemplari numerati e una prova di stampa. Bibliografia Lamberto Vitali, L’opera grafica di Giorgio Morandi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964, n. 98; Michele Cordaro, Morandi incisioni. Catalogo Generale, Edizioni Electa, Milano, 1991, p. 104, n. 1931 12. Restauri. Stima E 5.000 / 8.000
502
503
Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Paesaggio con la ciminiera, 1926 Acquaforte su zinco, cm. 22,7x24,1 (lastra), cm. 38x50,6 (carta) Firma a matita sul margine in basso a destra: Morandi, data in basso a sinistra: 1926. Storia Collezione Giancarlo Pasi, Ravenna; Collezione privata Primo stato su due, tiratura di alcuni esemplari non numerati. Bibliografia Lamberto Vitali, L’opera grafica di Giorgio Morandi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964, n. 27; Michele Cordaro, Morandi incisioni. Catalogo Generale, Edizioni Electa, Milano, 1991, p. 31, n. 1926 1. 503
Stima E 3.500 / 4.500
504
Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Fiori in un cornetto su fondo ovoidale, 1929 Acquaforte su rame, es. 9/40, cm. 29,8x19,7 (lastra), cm. 47,9x32,7 (carta) Firma in lastra in basso al centro: Morandi, firma e data a matita sul margine in basso a destra: Morandi 1929, tiratura in basso a sinistra: 9/40. Primo stato su due; tiratura di 40 esemplari numerati e una prova di stampa. Bibliografia Lamberto Vitali, L’opera grafica di Giorgio Morandi, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1964, n. 63; Michele Cordaro, Morandi incisioni. Catalogo Generale, Edizioni Electa, Milano, 1991, p. 71, n. 1929 11.
504
Stima E 4.000 / 7.000
505
Lorenzo Viani Viareggio (Lu) 1882 - Ostia (Roma) 1936
Viandanti, (1923) Pastello su carta, cm. 62,5x47,5 Firma in basso a sinistra: Lorenzo Viani, scritta in basso: Beato quel / corpo che il [...]. Stima E 3.500 / 6.000
505
506
Lorenzo Viani Viareggio (Lu) 1882 - Ostia (Roma) 1936
Attesa senza ritorno, (1925) Carboncino su cartone, cm. 98x68 Firma in basso a destra: Lorenzo Viani. Al verso scritta: 86 Attesa / 32: dichiarazione di autenticitĂ di Renato Santini, Viareggio, 1961. Esposizioni 100 opere di Lorenzo Viani, Prato, Galleria Farsetti, 1967, cat. tav. LXXVII, illustrato. Stima E 8.000 / 12.000 506
507
Roberto Marcello Baldessari Innsbruck 1894 - Roma 1965
Raccolta delle olive, 1918-19 China su carta, cm. 27x20,5 Sigla in basso a destra: R.M.B. Esposizioni Baldessari, Opere 1915 - 1934, a cura di Maurizio Scudiero, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 27 dicembre 2008 - 7 gennaio 2009, poi Milano, Farsettiarte, 15 gennaio - 14 febbraio 2009, cat. n. 37, illustrata a colori. Stima E 10.000 / 15.000 508
Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Motivi per ricamo, 1918 ca. Matita su cartoncino con stampa al verso, cm. 12,3x27
507
Firma in basso a sinistra: Balla. Al verso, su un cartone di supporto: timbro Galleria Philippe Daverio, Milano: etichetta rettangolare dattiloscritta di Casa Balla con dati dell’opera. Certificato su foto di Luce Balla con timbro e firma Galleria Philippe Daverio, Milano. Parere orale favorevole di Elena Gigli. Stima E 6.000 / 9.000
508
509
509
Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Paesaggio di Poggio a Caiano, il Concone, (1921) Acquerello su carta, cm. 46,6x64,4 Esposizioni Ardengo Soffici. Un percorso d’arte, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 24 settembre - 6 novembre 1994, cat. pp. 109, 110, n. 65, illustrato. Stima E 10.000 / 18.000
510
510
Carlo Carrà Quargnento (Al) 1881 - Milano 1966
Figura, 1916 Matita su carta applicata su tela, cm. 28,2x23 Firma e data in basso a destra: C. Carrà 916. Al verso sul telaio: timbro Galleria d’Arte Sant’Ambrogio, Milano: etichetta Carlo Carrà / Il realismo lirico degli anni Venti / Aosta, Centro Saint-Bénin / 22 giugno - 3 novembre 2002: etichetta Carlo Carrà / Works on Paper / London / Estorick Collection / 10 October 2001 - 20 January 2002. Storia Collezione Elio Pinottini; Collezione privata, Torino; Collezione privata
Esposizioni Carlo Carrà. Works on Paper, Londra, Estorick Collection, 10 ottobre 2001 - 20 gennaio 2002, cat. p. 36, illustrata; Carlo Carrà. Il realismo lirico degli anni Venti, a cura di Massimo Carrà, Elena Pontiggia, Alberto Fiz, Aosta, Centro Saint-Bénin, 22 giugno - 3 novembre 2002, cat. pp. 94, 96, n. 34, illustrata a colori; Carlo Carrà. I miei ricordi, a cura di Elena Pontiggia, Milano, Fondazione Stelline, 25 marzo - 29 maggio 2004, cat. p. 9, n. 3. Bibliografia Carrà, de Chirico, Morandi e Rosai alla Galleria Il Fiore, in Emporium, XLVIII, n. 575, 1942, p. 494. Stima E 10.000 / 18.000
511 511
Carlo Carrà Quargnento (Al) 1881 - Milano 1966
Boxeur VIII, 1916 Inchiostro su carta applicata su cartone, cm. 30,5x19 Firma e data in basso a sinistra: C. Carrà 916; al verso sul cartone: etichetta con n. 8831 e timbro Galleria Annunciata, Milano. Certificato su foto Archivio Carlo Carrà, Milano, 13 marzo 2014, con n. 87/16. Stima E 15.000 / 25.000
512
Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Tristezza della primavera, (1970) Tecnica mista su cartone telato, cm. 60x49,6 Firma in basso a destra: G. de Chirico. Storia Collezione privata, Roma; Collezione privata Certificato su foto Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, 29 aprile 1994, con n. 202/1994. Esposizioni Giorgio de Chirico Pictor Optimus. Pittura, disegno, teatro, Genova, Palazzo Ducale, 13 marzo - 30 maggio 1993, cat. p. 263, illustrata; Giorgio de Chirico. Myth and Mystery, Londra, Estorick Collection of Modern Italian Art, 15 gennaio - 19 aprile 2014, cat. pp. 90, 91, n. 31, illustrata a colori. Bibliografia Giorgio de Chirico. Catalogo generale, vol. 2/2015, opere dal 1910 al 1975, Maretti Editore, Falciano, 2015, p. 404, n. 858. Stima E 45.000 / 75.000
Giorgio de Chirico nel suo studio di Roma
512
513
Carlo Carrà Quargnento (Al) 1881 - Milano 1966
L’idolo (Penelope), 1914 Matita grassa su carta, cm. 111x46,5 Al verso, su una faesite di supporto: etichetta Museo Nacional de Bellas Artes / MNBA: etichetta Carlo Carrà / Works on Paper / London, Estorick Collection / 10 October 2001 - 20 January 2002: etichetta Museo / Provincial De Bellas Artes / Caraffa: etichetta Galleria Anna D’Ascanio, Roma.
Carlo Carrà 1881-1966, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 15 dicembre 1994 - 28 febbraio 1995, cat. p. 472, illustrata; Carlo Carrà. Works on Paper, Londra, Estorick Collection, 10 ottobre 2001 - 20 gennaio 2002, cat. p. 29, illustrata.
Storia Collezione privata, Roma; Collezione privata
Bibliografia Douglas Cooper, The Cubist Epoch, Phaidon Press, Londra 1970, pp. 171, 281, n. 57; Massimo Carrà, Piero Bigongiari, L’opera completa di Carrà, dal Futurismo alla Metafisica e al realismo mitico 1910-1930, apparati critici e filologici di Massimo Carrà, Classici dell’arte, Rizzoli, Milano, 1970, p. 91, n. 74 a; Franco Russoli, Massimo Carrà, Carrà disegni, Grafis edizioni d’arte, Bologna, 1977, p. 155, n. 90; Carlo Carrà, Galleria La Casa dell’Arte, Bologna, 1978, p. n.n; Vittorio Fagone, Carlo Carrà. La matita e il pennello, Skira, Milano, 1996, p. 47.
Esposizioni Disegni futuristi di Carrà, Milano, Centro Annunciata, 9 - 26 novembre 1976, cat. p. n.n., illustrata; Carrà, mostra antologica, a cura di Massimo Carrà e Gian Alberto Dell’Acqua, Milano, Palazzo Reale, 8 aprile - 28 giugno 1987, poi Roma, Palazzo Braschi - Museo di Roma, 15 luglio - 16 settembre 1987, cat. pp. 209, 258, n. 146, illustrata; Carlo Carrà, Retrospektive, a cura di Massimo Carrà e Gian Alberto Dell’Acqua, Baden-Baden, Staatliche Kunsthalle, 4 ottobre - 6 dicembre 1987, cat. pp. 233, 282, n. 146, illustrata;
Carlo Carrà, Penelope, 1917
Disegno preparatorio per il dipinto Penelope, 1917. Stima E 60.000 / 80.000
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Pablo Picasso Malaga 1881 - Mougins 1973
Homme et femme, 1966 Matita su carta, cm. 32,6x42 Data, numerazione e firma in alto a sinistra: 30.11.66 II Picasso. Storia Galerie Louise Leiris, Parigi; Gordon Gallery, Tel Aviv; Collezione privata Bibliografia Charles Feld, René Char, Picasso. Dessins 27.3.66-15.3.68, Cercle d’Art, Parigi, 1969, n. 23; Christian Zervos, Pablo Picasso, vol. 25, oeuvres de 1965 a 1967, Éditions Cahiers d’Art, Paris, 1972, n. 227; The Picasso Project, Picasso’s Paintings, Watercolors, Drawings and Sculpture. A Comprehensive Illustrated Catalogue 18851973. The Sixties II, 1964-1967, A. Wofsy Fine Art, San Francisco, 2002, p. 257, n. 66-096. Stima E 60.000 / 90.000
Pablo Picasso mentre disegna
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Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961
Ragazza Olio su carta applicata su tela, 49,5x34,5 Firma in basso a destra: Sironi. Al verso sul telaio: timbro Galleria del Milione, Milano, con n. 4674: timbro La Loggia Galleria d’Arte, con n. 10037.
Storia Collezione Cardazzo, Venezia; Collezione Medici, Roma; Collezione privata Stima E 10.000 / 15.000
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Giardino sul mare, 1943 Olio su carta applicata su cartone, cm. 69x49,5 Firma in basso a sinistra: Soffici; scritta al verso sul cartone: Soffici / Giardino sul mare 1943: due timbri e etichetta Galleria Michaud / Firenze / Mostra 15.3 - 4.4.1969: etichetta Arte Contemporanea / Firenze, con n. 51.
Esposizioni Ardengo Soffici, Firenze, Galleria Michaud, 15 marzo - 4 aprile 1969. Stima E 9.000 / 14.000
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Le sue rose, 1941 Olio su tavola, cm. 60,5x78 Firma in basso a sinistra: Balla; titolo, firma e data al verso: “Le sue rose” / Balla 1941: etichetta Balla / Futurista / Uno sperimentalista del XX secolo / Acqui Terme / 3 luglio / 3 settembre 2006. Storia Casa Balla, Roma; Collezione privata Esposizioni Mostra personale di Giacomo Balla, Roma, Galleria d’Arte San Marco, 1 - 15 febbraio 1942, cat. n. 7;
Giacomo Balla - I fiori dipinti da un artista, Roma, Galleria d’Arte San Marco, 19 maggio - 7 giugno 1980, cat. n. 8; Balla Futurista. Uno sperimentalista del XX secolo, a cura di Elena Gigli, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 1 luglio - 3 settembre 2006, cat. pp. 99, 117, n. 64, illustrato a colori. Bibliografia S. Bortoletti, Autoritratti, portfolio, Arti Grafiche Frisardi, Roma, 1980, tav. X; Elica Balla, Con Balla, II - III volume, Multhipla Edizioni, Milano, 1986, p. 123. Stima E 25.000 / 35.000
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Pineta, 1940 ca. Olio su tela applicata su cartone, cm. 38x27,5 Firma in basso a destra: G. de Chirico; titolo e firma al verso: “Pineta” / Giorgio de Chirico: dichiarazione di autenticità del Notaio Diego Gandolfo, Roma, 21 ottobre 1964, rep. n. 158529: timbro Collezione Mario Rimoldi, Cortina. Storia Collezione Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo; Galleria Farsetti, Prato; Collezione privata Certificato su foto di Claudio Bruni Sakraischik, Roma 1 dicembre 1981, con n. 329/81 (in fotocopia).
Esposizioni Giorgio de Chirico, Galleria Farsetti, Cortina d’Ampezzo, 26 dicembre 1981 - 8 gennaio 1982, poi Prato, 16 - 30 gennaio 1982, cat. tav. XIX, illustrato a colori. Bibliografia Giovanni Comisso, Raccolta d’Arte Moderna di Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo, 1941, p. 30; Claudio Bruni Sakraischik, Catalogo Generale Giorgio de Chirico, volume ottavo, opere dal 1931 al 1950, Electa Editrice, Milano, 1987, n. 726. Stima E 8.000 / 14.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Paesaggio ad Auronzo, 1946 Olio su tela, cm. 50x35,4 Firma e data in basso a destra: Pisis / 46. Al verso sulla tela: timbro Galleria d’Arte / [Aminta] / Siena: etichetta e due timbri “L’Incontro” Galleria d’Arte / Arezzo; numero d’archivio sul telaio: 03203. Storia Collezione Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo;
Collezione Vittorio Babuin, Pordenone; Galleria “L’Incontro”, Arezzo; Galleria Aminta, Siena; Collezione Recordati, Siena; Collezione privata Certificato su foto Associazione per il Patrocinio dell’Opera di Filippo de Pisis, Milano, 3 giugno 2008, con n. 03203. Stima E 10.000 / 15.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Paesaggio toscano, 1941 Olio su tela, cm. 40x50 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / [XIX 41]. Al verso sul telaio: etichetta e timbro Galleria Iolas - Galatea, Roma: timbro La Vetrina di Chiurazzi, Roma: etichetta e timbro Galleria d’Arte “La Chiocciola”, Padova: etichetta Centenario della nascita 1895-1995 / Ottone Rosai / Antologica - 200 opere dal 1913 al 1957 / Farsettiarte / Prato - 23 settembre/22 ottobre 1995 / Cat. n. 140.
Esposizioni Ottone Rosai, 200 opere dal 1913 al 1957, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Farsettiarte, 23 settembre - 22 ottobre 1995, poi Milano, Palazzo Reale, 26 ottobre 1995 - 6 gennaio 1996, cat. pp. 204, 320, n. 140, illustrato a colori.
Certificato su foto di Luigi Cavallo, Milano, 10 maggio 1995.
Stima E 9.000 / 16.000
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Carlo Carrà Quargnento (Al) 1881 - Milano 1966
Marina, 1956 Olio su tela, cm. 50x70 Firma e data in basso a sinistra: C. Carrà 956; dichiarazione di autenticità al verso sulla tela: Questa è opera mia / Carlo Carrà: timbro Galleria Annunciata, Milano: dichiarazione di autenticità a firma Bruno Grossetti. Storia Galleria Annunciata, Milano; Galleria La Barcaccia, Roma; Collezione privata, Roma; Collezione privata Certificato su foto di Massimo Carrà, Milano, 19 settembre 1998. Stima E 45.000 / 65.000
Carlo Carrà mentre dipinge
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Sogno di Arianna, 1972 Olio su tela, cm. 60x50 Firma e data in basso a destra: G. de Chirico / 1972. Esposizioni Giorgio de Chirico. Le Voyant, Firenze, Galleria d’Arte Frediano Farsetti e Palazzo Corsini, 29a Biennale Internazionale dell’Antiquariato, 25 settembre - 4 ottobre 2015, cat. n. 10, illustrato a colori. Bibliografia Claudio Bruni Sakraischik, Catalogo Generale Giorgio de Chirico, volume quinto, opere dal 1951 al 1974, Electa Editrice, Milano, 1974, n. 801. Stima E 170.000 / 230.000
Arianna dormiente, III secolo a.C., Firenze, Galleria degli Uffizi
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Brocca con fiori, 1926 Olio su cartone, cm. 61,3x41,6 Firma e data in basso a destra: De Pisis / 26. Numero d’archivio al verso: 04894. Opera registrata presso l’Associazione per Filippo de Pisis, Milano, al n. 04894. Stima E 15.000 / 20.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Natura morta con brocca e secchio, 1946 Olio su tela, cm. 79x50 Firma, sigla e data in basso a destra: Pisis / S. B. / 46. Storia Collezione Gualtieri di San Lazzaro, Parigi; Collezione Demetrio Bonuglia, Roma; Collezione privata
Bibliografia Demetrio Bonuglia, Lettere di De Pisis 1924-1952, Lerici Editori, Milano, 1966, p. n.n.; Guido Ballo, De Pisis, Edizioni Ilte, Torino, 1968, p. 337, n. 443; Giuliano Briganti, De Pisis. Catalogo generale, tomo secondo, opere 1939-1953, con la collaborazione di D. De Angelis, Electa, Milano, 1991, p. 684, n. 1946 34. Stima E 15.000 / 20.000
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Natura morta con ciliegie, inizio anni Cinquanta Olio su cartone telato, cm. 21x33 Firma in basso a destra: G. de Chirico. Al verso, sulla cornice e su un cartone di supporto: due timbri La Vetrina di Chiurazzi, Roma. Storia La Vetrina di Chiurazzi, Roma; Collezione Medici, Roma; Collezione privata Certificato su foto Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, 17 novembre 2017, con n. 103/11/17/OT. Stima E 18.000 / 25.000
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Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952
Ritratto di Emilia Santangelo, (1939) Tempera su tela, cm. 61x52 Firma in basso a sinistra: Savinio. Al verso sul telaio: etichetta Comune di Ferrara - Palazzo dei Diamanti / Direzione Gallerie Civiche d’Arte Moderna / Mostra Savinio. Esposizioni Alberto Savinio, Milano, Palazzo Reale, giugno - luglio 1976,
poi Bruxelles, Societé des Expositions du Palais des Beaux-Arts, 5 agosto - 5 settembre 1976, cat. n. 102, illustrata; Alberto Savinio, Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 5 luglio - 5 ottobre 1980, cat. n. 65, illustrata. Bibliografia Pia Vivarelli, Alberto Savinio. Catalogo generale, Electa, Milano, 1996, p. 163, n. 1939 3. Stima E 10.000 / 15.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Venezia - San Marco, 1947 Olio su tela, cm. 49x61 Scritta, firma e data al verso sulla tela: Omaggio a Guardi / [...] / Pisis 47 / S.B. Storia Collezione Geiger, Venezia; Collezione privata Certificato su foto Associazione per il Patrocinio dell’Opera di Filippo de Pisis, Milano, 24 gennaio 1995, con n. 00286. Bibliografia Giuliano Briganti, De Pisis. Catalogo generale, tomo secondo, opere 1939-1953, con la collaborazione di D. De Angelis, Electa, Milano, 1991, p. 715, n. 1947 49. Stima E 22.000 / 32.000
Filippo de Pisis mentre dipinge a Venezia, 1944
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Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961
Composizione, 1950 ca. Olio su tela, cm. 90x110 Firma sul lato destro: Sironi. Al verso sulla tela: dichiarazione di autenticitĂ di Willy Macchiati. Storia Galleria La Bussola, Torino; Collezione privata Certificato su foto di Francesco Meloni. Esposizioni Mario Sironi, Milano, Palazzo Reale, febbraio - marzo 1973, cat. pp. 134, 167, n. 192, illustrato. Stima E 70.000 / 100.000
Constant Permeke, Boogaard, Fiandre (De Vlaamschen boogaard), 1923
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Massimo Campigli Berlino 1895 - St.Tropez 1971
Ritratto di Suzanne Hangrane, 1938 Olio su tela, cm. 116,5x73,5 Firma e data in basso a destra: M Campigli 1938. Al verso sulla cornice: cartiglio Wilhelm Knöll, Zurich. Storia Collezione Suzanne Hangrane, Svizzera; Collezione C.B., Parigi; Collezione E.L., Borga Montero; Collezione privata Certificato su foto di Nicola Campigli, Saint Tropez 27/01/2007, con n. 541261114. Esposizioni Attraverso il Novecento. Mino Rosi: l’artista e la collezione da
Massimo Campigli mentre dipinge il ritratto della moglie Giuditta, 1944
Fattori a Morandi, Volterra, Palazzo dei Priori, 18 giugno - 9 ottobre 2011, cat. p. 71, illustrato a colori. Bibliografia Marco Fagioli, Passages nell’arte del Novecento. Da Degas a Dubuffet, Aión, Firenze, 2009, p. 186; Nicola Campigli, Eva Weiss, Marcus Weiss, Campigli, catalogue raisonné, vol. II, Silvana Editoriale, Milano, 2013, p. 492, n. 38-005. Stima E 60.000 / 90.000
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Quattro dipinti di René Paresce
“Scuole frequentate? Grazie a Dio nessuna. Non ho mai varcata la soglia di un’accademia. Le nozioni di tecnica le ho apprese da ragazzo rimanendo intere mattinate a lato di un copiatore di quadri in gallerie”. Così scrive di se stesso René Paresce al termine della sua esperienza al fianco degli Italiani di Parigi nel testo che accompagna la sua mostra personale alla Galleria del Milione a Milano. È il 1933 e lui non solo ha lasciato i compagni italiani, ma anche gli amici francesi e apolidi conosciuti a Parigi, dove era approdato da Firenze nel 1912. A Parigi Paresce all’inizio aveva lavorato come fisico e giornalista e dipinto en plein air lungo la Senna o di notte nello studio al chiarore della luce elettrica dopo aver dettato l’ultimo articolo. Miscuglio di tradizioni e stili di vita, René Paresce, Paesaggio / La foresta, 1917 René è figlio di un socialista avvocato ed editore di riviste di grande famiglia siciliana trapiantato a Firenze, e di madre artista e nobildonna russa. Sposerà un’esule militante bolscevica e amica di Trotzky. A Parigi René Paresce era andato per cercare il senso dell’epoca grande e terribile in cui viveva. Incontrerà i grandi d’inizio secolo, gli italiani e i francesi, Apollinaire e de Chirico. Conoscerà Picasso, Diego Rivera e Modigliani, che lo ritrae in un disegno oggi al Virginia Museum of Fine Arts di Richmond nella T. Catesby Jones Collection. Di Modì Paresce ha lasciato una testimonianza rara sull’uomo e sulla tecnica: “Appena si trovava davanti alla tela Modigliani riacquistava una perfetta chiaroveggenza – scrive –. Dipingeva citando versi del Poliziano, canti danteschi o improvvisando versi nella vena di Apollinaire o di Reverdy. Non una pennellata era posta a caso, nulla veniva abbandonato al gioco misterioso dell’azzardo […]. Modigliani riuscì a comunicare alla realtà quella vibrazione e quell’accento di poesia profonda che forse soltanto i pittori senesi avevano espresso prima di lui. E si approssimò alle soglie dell’irreale, mediante l’immaterialità”1. Le sue parole su Modigliani e quelle su se stesso nel testo del Milione sono emblematiche per comprendere il suo percorso: negli anni René Paresce, Autoritratto, 1917
Trenta Paresce è oramai convinto che l’arte sia “pura invenzione”, arte “di laboratorio” e che il resto non sia che “illustrazione”. Da pittore compone paesaggi immaginari, fluidi come molecole, isole che galleggiano, nature morte inesistenti nella realtà. Ha compreso che la sperimentazione scientifica della sua prima formazione ora ha per lui solo valore di “costruzione poetica”, valida come “sistema” che “crea” ma che non porta alla conoscenza. Solo “l’assoluto che è nell’arte” permette di avvicinarsi e di capire a fondo la realtà: la scienza ad anni di distanza è una “favolosa turlupinatura” e “la realtà è una disgrazia inevitabile”, da non rappresentare e, anzi, da abbandonare a “scienziati e Jean-Baptiste-Siméon Chardin, Il bicchiere d’argento, (1768 ca.), Parigi, Louvre fotografi […] e agli storici dell’arte”. Paresce impara subito che la pittura vera è composta da soggetti semplici: per questo nelle sue tele costruisce una sorta di racconto ricco di segni, simboli, intuizioni già a partite dagli anni Dieci e Venti. René Paresce non è solo pittore, è un intellettuale. La sua è un’operazione critica, come scrisse Maurizio Fagiolo dell’Arco. Conosce i colori da fisico, la politica e la cultura internazionali da giornalista. Apolide per definizione nella Parigi degli anni Venti Paresce tiene le fila tra i protagonisti dell’arte italiana e dell’École de Paris, di cui cura la sala alla Biennale di Venezia del 1928 su incarico di Antonio Maraini; è sodale di Picasso, Soutine, Chagall, Marcoussis, Juan Gris, Foujita, Severini, de Chirico, dei “metechi” come vengono chiamati dai francesi, che a Parigi forgiano la pittura moderna. Nel Paesaggio del 1917 Paresce tenta di superare la fase dell’espressionismo di Derain e di Vlaminck, presente nell’Autoritratto e ne La foresta della collezione BPM (entrambi dello stesso 1917; rif. R. Ferrario, René Paresce. Catalogo ragionato delle opere, Skira, Milano, 2012, cat. 3/17; cat. 1/17) o nel paesaggio inserito da Ragghianti nel 1967 nella mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935 (Ferrario, cat. 2/17). Il 1917 è un anno prolifico per lui che non partecipa alla Grande Guerra, ma risente della virata verso posizioni più tradizionali della pittura europea. Paresce in questi anni è alla ricerca del colore, guarda a Gauguin, Chagall, è aggiornato sulle soluzioni di Matisse come dimostrano le opere sopra citate e la natura morta della collezione di Jonas Netter a Parigi (Ferrario, cat. 5/16). Eppure nella linea di fuga del sentiero alberato di questo Paesaggio la sua pittura risente piuttosto dell’influenza di Kirchner. Da autodidatta Paresce si permette la libertà del neofita e coglie gli aspetti più autentici di quanto accade a Parigi e nella cultura internazionale. Non teme di esprimere la sua natura eclettica e di interpretare stili e tecniche. René Paresce, Natura morta, 1924
Nel Paesaggio del 1921 qui proposto ricostruisce il ricordo della campagna toscana interpretato sulla tela alla maniera delle vedute parigine visionarie e sbilenche tipiche dell’iconografia degli artisti dell’École de Paris. Nello stesso periodo Paresce dipinge anche i boulevards lungo la Senna o scorci di Montmartre con uno stile immaginifico, costruendo l’immagine a partire dalla realtà e anticipando le sovrapposizioni di momenti narrativi della metà degli anni Venti. La Natura morta del 1922 è, invece, “classica”, risente del nuovo “spirito di sintesi e di costruzione” che anima gli scritti pubblicati su L’Esprit Nouveau (la rivista fondata nel 1920 da Paul Dermée, Amedée Ozenfant e Charles-Édouard Jeanneret, poi divenuto Le Courbusier). Paresce legge gli interventi di Salmon, Reverdy, ma anche quelli di Waldemar George, il futuro sostenitore del gruppo de Les Italiens de Paris, ma pure quelli di Carrà e di Severini che riflette sul ritorno al classico dal 1917 e che nel 1921 pubblica Du cubisme au classicisme. Eppure René preferisce gli scritti di Savinio su Valori Plastici di Mario Broglio, è interessato al dibattito sul classicismo non come “ritorno a forme antecedenti, prestabilite e consacrate da un’epoca trascorsa” ma come dialogo tra passato e presente. Ed è aggiornato su quanto sta facendo Margherita Sarfatti con il suo gruppo di Novecento. Sono passati dieci anni da quando Paresce è giunto a Parigi. Anni intensi di sperimentazione e riflessione sulla tradizione della pittura moderna. Accanto alle novità del cubismo Paresce ha osservato la lezione del postimpressionismo di Gauguin e di Cézanne. Non teme di citare e di “costruire” la sintesi di ciò che vede nei musei e nei Salons parigini: in quest’opera si sente l’influsso di ciò che ha assimilato e lo spirito del suo tempo che propone mostre per rivalutare i maestri fiamminghi e Chardin, il pittore di silenziose nature morte, capace di restituire l’eternità agli oggetti quotidiani: Paresce azzarda peperoni gialli venati di verde in stile espressionista accanto a limoni seicenteschi invasi di luce mediterranea e in primo piano un drappo bianco alla Cézanne a illuminare l’intera invenzione. Il tema della natura morta reinterpretata in chiave classica ricorre in questi anni ed è di particolare importanza per Paresce che ha lasciato le fotografie di una serie di dipinti con soggetto analogo tra i documenti richiesti dalla Biennale di Venezia e oggi conservati all’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC). Tra queste alcune opere oggi ancora disperse e una Natura morta del 1924 (Ferrario, cat. 1/24) dedicata alla moglie Ella Klatchko, la pianista russa ebrea, che nel 1937 sarà costretta a fuggire a Città del Messico con le opere del marito. Le nature morte “classiche” di questi anni resteranno un leitmotif che ricorre fino al 1926, quando per Paresce si apre contemporaneamente un’altra fase artistica che unisce classicismo e postcubismo, le esperienze maturate tra gli artisti visionari dell’École de Paris e quelle vissute accanto al suo amico italiano Massimo Campigli, che di lui in un articolo scritto su Poligono alla fine degli anni Venti sottolinea l’attenzione per la composizione e per la qualità della pittura. Il Paesaggio del 1926 – un inedito proveniente da una collezione Svizzera – rimanda a una sorta di gioco intellettuale nella resa lenticolare dei piccoli mattoni colorati di rosso, posti in modo strategico a spezzare il fondale della scena chiusa a effetto claustrofobico da un cielo striato di nuvole bianche. Paresce dal 1926 al 1928 ha realizzato una serie importante di gouaches e di oli sul tema della natura morta nel paesaggio con il tavolo, la tenda, la canestra di frutta e l’anfora (tutti elementi della poetica del Novecento oltre che di matrice postcubista): tra queste la tela oggi nella collezione della Banca d’Italia (Ferrario, cat. 3/26) o La Fenêtre di collezione privata (Ferrario, René Paresce, La fenêtre, 1926
cat. 5/26) che l’artista aveva mandato a Mosca per la mostra all’Accademia di scienze e arti nel maggio-giugno del 1928 (una variante dello stesso soggetto è riprodotta sulla rivista Apollo nel giugno del 1929 e nel volume di Giovanni Scheiwiller Art Italien Moderne pubblicato dalle Édition Bonaparte). È una tra le iconografie su cui Paresce si sofferma più a lungo e in più varianti, testimonia il progressivo successo di questo soggetto presso il mercato e il collezionismo a lui contemporaneo. E segna un momento di trasformazione e il ricorrere di un pensiero quasi ossessivo: il variare dei dettagli può mutare la sostanza della realtà? Il paesaggio con la natura morta rappresenta il punto di raccordo nella ricerca dell’immagine di Paresce tra la tradizione postcubista di Marcoussis e Gris – presente soprattutto in alcune tele tra il 1921 e il 1923 (Ferrario, cat. 14/21; cat. 14/22; cat. 7/23) – e il graduale passaggio a uno stile più classico che lo avvicina alla cultura del Novecento Italiano nella cui orbita gravitano anche Les Italiens de Paris. La scacchiera, il finto collage con le lettere, la sovrapposizione delle architetture sullo sfondo e la frutta in primo piano riconducono alla lezione appresa a Parigi e qui coniugata con gli elementi che saranno tipici di una certa iconografia del Novecento italiano, come l’anfora, che prelude all’iconografia dei vasi con cactus e delle sfere all’interno di arcate e scale del periodo in cui Paresce, il fisico pittore, è definitivamente riconosciuto maestro del colore al fianco de Les Italiens de Paris, Campigli, de Chirico, de Pisis, Savinio, Severini e Tozzi, i pittori che resero grande la pittura italiana in Francia.
René Paresce, Natura morta / Composizione, 1921
Rachele Ferrario
Testo di René Paresce scritto nel 1930 e inviato a Giovanni Scheiwiller. E. Maiolino (a cura di), Modigliani vivo, presentazione di Vanni Scheiwiller, Torino, Fogola Editore, 1981, p. 50. 1
Juan Gris, Paysage et maisons à Cèret, (1913)
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RenĂŠ Paresce Carouge 1886 - Parigi 1937
Natura morta, (1922) Olio su tela, cm. 57x80,5 Firma in basso a sinistra: R. Paresce. Storia Collezione privata, Francia; Collezione privata Certificato su foto di Rachele Ferrario, 12 novembre 2007, con n. 7/22. Bibliografia Rachele Ferrario, RenĂŠ Paresce. Catalogo ragionato delle opere, Skira editore, Milano, 2012, p. 170, n. 7/22. Stima E 25.000 / 35.000
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René Paresce Carouge 1886 - Parigi 1937
Paesaggio (Paysage), 1917
Opera registrata presso l’Archivio Paresce, a cura di Rachele Ferrario, al n. 5/17.
Olio su tela, cm. 65x54 Firma e data in basso a destra: R. Paresce / 1917. Al verso sul telaio scritta a matita: “La Mayson Lacroyf a [...]: etichetta parzialmente abrasa Galerie Vildrac, Paris, con n. 991: etichetta parzialmente abrasa con n. 16.
Bibliografia Rachele Ferrario, René Paresce. Catalogo ragionato delle opere, Skira editore, Milano, 2012, pp. 64, 158, n. 5/17. Stima E 20.000 / 30.000
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René Paresce Carouge 1886 - Parigi 1937
Paesaggio, 1921 Olio su tela, cm. 49,7x65 Firma e data in basso a destra: R. Paresce / XXI. Al verso sul telaio: cartiglio 54) René Paresce “Paysage 1921” / Peintre Italien. Certificato su foto di Rachele Ferrario, 5 novembre 2008, opera registrata presso l’Archivio Paresce al n. 6/21. Bibliografia Rachele Ferrario, René Paresce. Catalogo ragionato delle opere, Skira editore, Milano, 2012, p. 165, n. 6/21. Stima E 30.000 / 40.000
René Paresce nel suo studio di Parigi, prima metà anni Venti
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René Paresce Carouge 1886 - Parigi 1937
Natura morta, 1926 Olio su tela, cm. 70,4x55,4 Firma e data in basso a destra: René Paresce / 1926. Al verso sul telaio: due timbri Gruppo Culturale / Italo - Svizzero. Certificato su foto di Rachele Ferrario, Archivio Paresce, con n. 32/26. Stima E 20.000 / 30.000
André Derain, Nature morte au damier, 1913
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Motivo per ricamo giallo, verde e cobalto, 1918 ca. Tempera, acquerello e matita su carta Nettunia, cm. 21,1x31 Firma in basso a sinistra: Balla. Storia Casa Balla, Roma; Collezione privata Certificato su foto di Elena Gigli, Roma, 2 maggio 2018, con n. 802. Stima E 15.000 / 20.000
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Luminosità spaziale, 1925-29 Tempera grassa su carta applicata su tela, cm. 24,5x34,5 Timbro in basso a destra: Balla / Futurista; in alto a sinistra: N. 36. Storia Casa Balla, Roma; Collezione privata, Milano; Collezione privata Esposizioni Giacomo Balla. La nuova maniera 1920-1929, a cura di Elena Gigli, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2014 - 10 gennaio 2015, poi Milano, 22 gennaio - 28 febbraio 2015, cat. n. 14, illustrata a colori. Stima E 20.000 / 30.000
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Motivo prismatico, 1925-29 Tempera grassa su carta applicata su tela, cm. 24,5x34,5 Timbro in basso a destra: Balla / Futurista; in alto a sinistra: N. 37. Storia Casa Balla, Roma; Collezione privata, Milano; Collezione privata Esposizioni Giacomo Balla. La nuova maniera 1920-1929, a cura di Elena Gigli, Farsettiarte, Cortina d’Ampezzo, 27 dicembre 2014 - 10 gennaio 2015, poi Milano, 22 gennaio - 28 febbraio 2015, cat. n. 16, illustrata a colori. Stima E 20.000 / 30.000
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Progetto per paravento, 1916 ca. Tecnica mista su carta applicata su cartone, cm. 21x27 Firma sul lato sinistro: Balla / Futurista. Su un cartone al verso della cornice: scritta di Luce Balla “Giacomo Balla / Bozzetto per paravento - 1916”: etichetta di Casa Balla, con n. 767: etichetta Galleria Edieuropa QUIarte Contemporanea, Roma, con n. 47. Storia Casa Balla, Roma (agenda n. 767); Archivio Cambellotti, Roma; Galleria Edieuropa, Roma; Collezione privata
Esposizioni Giacomo Balla, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna, dal 4 aprile 1963, cat. p. 119, n. 282, tav. 104, illustrata. Bibliografia Maria Drudi Gambillo, Teresa Fiori, Archivi del Futurismo, volume secondo, De Luca Editore, Roma, 1962, n. 189; Maurizio Fagiolo dell’Arco, Balla: ricostruzione futurista dell’universo, Bulzoni editore, Roma, 1968, n. 130. Stima E 20.000 / 30.000
Una camera da letto di Giacomo Balla
Inventiva straordinaria, vivacità intellettuale mirabolante, perizia manuale incredibile, uniti nella figura unica di un artista grandissimo e davvero singolare: Giacomo Balla. Così si manifesta la magnifica esplosione di ingegno e fantasia, di analisi e invenzione che è la sua opera. Così anche il fantastico estro di arredi e mobilio, di abiti e accessori, paralleli alle creazioni pittoriche geniali, unito alla tecnica veritiera del semplice artigiano. Un estro che si dispiega con la forza di una immaginazione fervida e acutissima. I primi cenni di un superamento della dimensione dell’opera nella sua singolarità si colgono già nelle cornici dei dipinti giovanili, complemento di un’idea e allo stesso tempo parte di un tutto di ben più alta complessità. Non mere sagome, ma estensioni di una poetica. Luce, energia, velocità, nelle leggi essenziali, diventano archetipi per riscoprire la forza primigenia dell’universo, per far rivivere il magico momento del trasfigurare della forma. E la cornice idealizza quel pensiero nuovo e impavido. Alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo grande conflitto, ecco quindi sbocciare la “Ricostruzione futurista dell’universo”, di un universo gioioso, ludico, moderno, sfavillante, di un universo assoluto che tutto abbraccia. Con pirotecnica allegria, nell’echeggiare di colpi e sventagliate di mitraglia risuonanti d’oltralpe, Balla comunica quell’entusiasmo giovanile con cui afferma e ostenta l’originalità di “creazioni assolute, integralmente generate dal Futurismo italiano. Nessun artista di Francia, di Russia, d’Inghilterra o di Germania intuì prima di noi qualche cosa di simile o di analogo. Soltanto il genio italiano, cioè il genio più costruttore e più architetto, poteva intuire il complesso plastico astratto. Con questo, il Futurismo ha determinato il suo Stile, che dominerà inevitabilmente su molti secoli di sensibilità” (11 marzo 1915). E questo stile Balla lo spinge all’eccesso, fino a comprimere la natura e mostrarla nella sua dimensione più astratta. Un’astrazione viva nelle prospettive esasperate, nei tagli obliqui, nell’enfasi del dettaglio, nella riduzione a polarità degli elementi cromatici, nell’espansione dal singolo particolare a una diversa profondità del visibile. Fino a ideare nuove categorie del visibile nel frazionamento delle scene, in inediti accostamenti spazio-temporali, in sequenze di successioni dinamiche. Così le Compenetrazioni iridescenti, maturate durante il lungo soggiorno a Düsseldorf nel 1912 per decorare casa Löwenstein, da una parte riflettono l’interesse di Balla e di un’intera generazione per il grafismo lineare mitteleuropeo, dall’altra rivelano un’analisi squisitamente pittorica di accostamenti che simulano timbri cromatici osservati in natura, alla ricerca di una pura vibratilità atmosferica. Sono dunque questi stessi studi trasferiti alle diverse arti, solitamente definite decorative, a rappresentare per Balla un’unica realtà, un possibile mondo unico. Forte era stato in certi ambienti di inizio secolo il richiamo delle arti applicate di area nordica, con le raffinate produzioni del Wiener Werkstätte, gli intarsi e le belle linee funzionali di Kolo Moser, arti praticate con eclettica fantasia anche dagli artisti-artigiani italiani. È vasta la risonanza dell’Esposizione torinese del 1902 e dei suoi bei padiglioni di gusto secessionista disegnati da Raimondo D’Aronco – che Balla di passaggio in quell’anno nella sua città avrebbe potuto visitare –, e la vivace e intensa riflessione sul tema della decorazione e della progettazione dell’oggetto d’uso quotidiano riflessa dai periodici di quel momento. Da tutti questi intrecci culturali il mondo poetico di Balla trae la linfa che alimenta le sue creazioni e imprime loro una cifra unica e fortemente riconoscibile nel trasferimento di cromie ed elementi geometrici di grande impatto visivo e impulso vitale. Come nei mobili di questa camera da letto, ritmati su questi schemi, nel gioco dei diversi legni e delle loro venature, sulle colorazioni bicrome dei tasselli inseriti l’uno nell’altro nella felice rispondenza tra tutti gli elementi. Lo stile, che lascia intuire le forme protorazionaliste degli anni Trenta, riflette la destinazione d’uso, più austero e più solenne nella struttura delle allegre colorazioni delle stanze per bambini. Ed è nella singolarità di tutte le parti accordate in una dimensione corale, in perfetta consonanza tra loro, dal letto all’armadio, dai comodini al cassettone alla toilette, che questo complesso appare come un insieme unico, di altissimo pregio non solo per il nome del grande artista che lo ha progettato ma per la sua rilevanza nella storia delle arti decorative italiane. Ester Coen Giacomo Balla, Compenetrazione iridescente n. 3, (1912)
Una camera da letto: il pittore Giacomo Balla nasce a Torino il 18 luglio 1871. Trasferitosi a Roma nel 1895, espone alla Promotrice di Torino come agli Amatori e Cultori di Roma; una sola presenza a Venezia (1903). Sottoscrive i manifesti della pittura futurista nel 1910; in seguito, insieme a Depero, Balla si firma Astrattista Futurista nel manifesto Ricostruzione Futurista dell’Universo e poi sottoscrive anche quello della Cinematografia Futurista. Nell’aprile del 1917 mette in scena lo scenario plastico per i Balli Russi di Djagilev, Feu d’Artifice su musica di Igor Stravinsky; dal 1920 apre al pubblico la sua casa per esporre (e vendere) il suo arredamento corredato da suppellettili. Tra i primi, Balla si è posto il problema di una pittura astratta, anzi “ottica” (il 1912 è l’anno delle Compenetrazioni iridescenti); ha costruito una scultura cinetica (i Complessi plastici del 1915) e rinnovato la moda: con le parole in libertà anticipa l’odierna ‘poesia concreta’. In pieno momento bellico, arriva alla sintesi di geometria-luce-movimento sulla ribalta del Teatro Costanzi (Roma 12 aprile 1917). L’intento di Balla, è insomma, la ‘ricostruzione futurista dell’universo’, come lo dichiara lui stesso nel 1915: rinnovare l’arte per rinnovare la vita, e viceversa, in un pirandelliano “gioco delle parti”. BALLA FUTURISTA / IDEALISMO / OTTIMISMO / FORME PENSIERO / TRICOLORIRIDISMO / ZERO PASSATO - TUTTO AVVENIRE si legge nella cartolina inviata nel 1925 al suo amico Fillia. È lo stesso Balla a dirci cosa bisogna fare per sentirsi futurista: “bisogna essere permeato di sensibilità intuitive e passare furtivamente tra gli attimi impercettibili dell’evoluzione per scoprire le nuove vie che portano all’arte futurista, nella quale nessun concetto, nessuna linea, nessuna forma, nessun colore, nessuna sagoma, nessuna frase, nessuna nota musicale ricorderà il minimo, dico minimassimo segno dell’arte passata” (Torino, 1927). Disgustato per l’improvvisazione e la scarsa originalità dei giovani futuristi, decide dall’oggi al domani che deve cambiare la sua pittura: “E nell’assoluta convinzione che l’arte pura è nell’assoluto realismo, senza del quale si cade in forme decorative ornamentali, perciò ho ripreso la mia arte di prima: interpretazione della realtà nuda e sana che attraverso la spontanea sensibilità dell’artista è sempre infinitamente nuova e convincente”. Negli ultimi trent’anni della sua vita sono ancora molte le invenzioni pittoriche e le opere dipinte con una esuberante qualità luminosa: “…Anche i minimi tentativi futuristi possono essere il principio della nuova arte futura. E con questo, con una superstrafede indistruttibile, arrivederci tra qualche secolo”, scrive nel 1927.
Una camera da letto: il tema “La casa di Balla tutta iridescente e scintillante di colori, di vetri fracassati dal sole e da tutte le parti, in tutte le ore, la casa di Balla traforata dall’aria e dal cielo azzurro cinguettante… il suo studio ingombro di quadri geniali, di costruzioni dinamiche, di svariate architetture diaboliche, fantastico di ogni magia… La camera da pranzo coi piatti gialli, verdi, rossi, le tazze viola, lilla, le mensole smaglianti di lacche multicolori… Tutto un campionario fiammante di colori in quella casa!… magia caleidoscopica di colori aggressivi. Carte variopinte sgargianti che si riflettevano in lamine di stagnole, occhi di celluloide che lucevano tremolanti in un quadro, lampade fantastiche di carta velina gialla e verde, accese dal sole, studi futuristi di velocità astratte, e lacche vermiglie, vernici cristalline di Ratti e Paramatti, velluto, raso, damaschi, e Balla che vivificava vertiginosamente il suo ambiente pirotecnico, cantando ballando e suonando…”. Questa è l’atmosfera che Francesco Cangiullo respira entrando nella casa di Balla quando abitava ai Parioli durante gli anni Dieci. Nel giugno del 1904 Giacomo sposa Elisa Marcucci e nel dicembre nasce la primogenita Lucia; nel periodo futurista il suo nome diventerà Luce. Sempre, imperterrita, vigila la famiglia Balla l’anziana mamma del pittore, Lucia Giannotti ritratta nel grande pastello all’inizio del secolo. Il 30 ottobre nasce la secondogenita Elica: nel suo nome il pittore del movimento fissa l’idea dinamica della velocità e quella guerresca del volo. Giacomo Balla con alle spalle la Credenza verde e gialla e a destra la scultura Pugno di Boccioni
La casa di Balla – ai Parioli fino al 1926, poi al quartiere Delle Vittorie – si presenta sempre come una fucina dove inventare, progettare e realizzare oggetti utili al lavoro ma anche belli e magici. Occorrono dei cavalletti trasportabili per andare a dipingere in aperta campagna, e allora vengono costruiti affinché si possano facilmente trasportare insieme alle scatole di colori e alle tele… Occorrono dei mobili per la camera dei bambini con gli angoli smussati affinché non ci si faccia male e si usano bambini schematizzati a formare le gambe… Occorrono dei fiori per rallegrare la casa e allora si tagliano dei legni e si incastrano tra loro senza viti né chiodi fino a darci l’immagine di un tulipano rosa o di un cactus giallo… Occorrono oggetti per la cucina, un portauovo con dei galletti viene costruito insieme a un mobiletto per il fumo, uno sgabello insieme a un portariviste dai colori più diversi… Una proposta di semplicità e di montaggio, scomposizione e ricomposizione, movimento e compenetrazione come in ogni ciclo del continuo mutare che è la vita. Anche gli arnesi da lavoro nascono in questa fucina di inventore del XX secolo. Quando nel giugno del 1929 la famiglia Balla si trasferisce definitivamente nell’abitazione di via Oslavia, il pittore porta con sé quadri, oggetti, utensili, mobili… La sala da pranzo verde e gialla dei Parioli diventa la camera da letto di Elica Balla, un piccolo locale con la finestra sulle scale viene decorato in rosso e diventa lo studiolo rosso, pieno fino all’inverosimile di oggetti e di quadri, di panchetti e libri…, il grande salotto ospita i grandi quadri figurativi pre-futuristi attendendo i grandi ritratti degli anni Trenta. Sopra il divano, il trittico Affetti con Elisa che insegna a leggere a Luce; seguono i tre Viventi con La pazza che ci suggerisce il silenzio. Di fronte, sulla grande parete campeggeranno Le quattro stagioni in rosso, mentre davanti la grande Velocità astratta e Le frecce della vita; tutt’intorno si alternano quadri futuristi a ritratti delle figlie e alle nature vive cariche di luce e di colore. All’ingresso del salotto, appena superato il lungo corridoio decorato con le linee andamentali e con le tele quadrate dalle tematiche futuriste a coprire i tubi dell’acqua calda (una trovata da Ricostruzione futurista dell’universo), ci dà il buon giorno la tela Autobalmogliefiglie, un magico ritratto allo specchio realizzato nell’ottobre del 1945. E ancora, il dolce abbraccio della figlia Elica con la mamma nella tavola dipinta a pochi mesi di distanza della moglie Elisa (1947) e infinite vedute di Monte Mario o dei giardini di Viale Mazzini, fino all’ultimo autoritratto dai colori chiari realizzato nel 1953. Giacomo Balla – nato a Torino il 18 luglio 1871 – muore a Roma nella sua abitazione di via Oslavia 39b accudito dalle figlie Luce e Elica il 1 marzo 1958. In questo contesto di abbellire l’utile, di una Ricostruzione futurista dell’universo partendo dalla propria intimità di casa, utilizzando le tematiche già sperimentate in pittura bene si inserisce il complesso della camera da letto realizzata da Giacomo Balla con il motivo decorativo a triangoli definito Compenetrazioni iridescenti. A tale proposito, ne scrive Maurizio Calvesi: “Il motivo delle compenetrazioni iridescenti di Balla, cioè dei triangoli colorati che si saldano l’uno all’altro in una rigorosa trama, è una delle primissime manifestazioni di arte astratta in Europa; ha inizio nel 1912, con la decorazione della casa Löwenstein a Düsseldorf, ma viene ripetuto anche in singoli dipinti” (da pieghevole della mostra alla Galleria La Tartaruga, Roma, 1965). Lo studiolo rosso nell’abitazione di Balla a via Oslavia, in una fotografia pubblicata in “L’Illustrazione Italiana”, gennaio 1958, p. 59. Archivio E. Gigli, Roma
Giacomo Balla, Camera per bambini, anni Dieci, fotografia ritoccata. Già Casa Balla, Roma
Una camera da letto: un altro esempio “La Camera per bambini (1914) è forse la proposta più attuale. Fu realizzata per la figlia Elica e poi in casa di Marinetti e dei Cosmelli: ne rimane un progetto totale, un disegno e un armadio ancora in Casa Balla. Gli elementi si animano con una serie di bambini schematizzati negli atteggiamenti più diversi: in piedi per fiancheggiare l’armadio, curvi per sostenere il letto, inchinati a terra per formare i panchetti. Cioè i mobili diventano personaggi e addirittura giocattoli: è la proposta del design utilissimo” (M. Fagiolo, Ricostruzione futurista dell’universo, Roma, 1968, p. 94). Catalogazione dei mobili per bambini : Roma 30 aprile 1914: nasce da Giacomo Balla e Elisa Marcucci Balla la piccola Elica. In Casa Balla (vincolati dallo Stato Italiano, Roma, 2004) ho ritrovato i disegni completi per la realizzazione dei mobili con sagome maschili. La base del tavolino presenta le gambe una blue e una verde alternate. Una sagoma blue con la testa a cerchietto è piegata verso terra a formare il panchetto. Nell’altra parte del grande progetto, Balla ha realizzato in rosso la struttura frontale del letto senza ancora però le sagome dei bambini. Dell’armadio – a tutt’oggi esiste, in deposito al MART di Rovereto – esiste un progetto completo e realizzato su un grande foglio con le due aggiunte laterali per i bambini appoggiati a sostenere la struttura rettangolare dell’armadio stesso. Realizzato a inchiostro, non presenta tracce di colore a differenza del mobile, che ha le due decorazioni e i bambini laterali di colore blue e verde alternati. Il progetto seguente raffigura il comodino coi due bambini dal corpo triangolare azzurro e verde frontali. Il comodino realizzato esiste: viene esposto alla GNAM di Roma nel 1971 come proveniente dalla collezione Monachesi (n. 035). Di questa tipologia esiste un disegno progettuale della camera dei bambini con alle pareti due composizioni coi gatti futuristi e sul pavimento sette mobili dalle misure adatte ai bambini: una seggiola, un comodino, il letto, un cassettone con gli sportelli e un tavolino con due sgabelli. Con questa tipologia – diciamo maschile – vengono realizzate alla fine degli anni Venti due camere per bambini: una per una figlia Marinetti (Vittoria nasce nel 1927 mentre Ala nel 1928) e l’altra per il primogenito dell’ambasciatore Giuseppe Cosmelli, Francesco, nato il 4 marzo 1928. Di proprietà dell’Archivio Monachesi esiste un letto realizzato per la bambina Luce Monachesi dove invece di sagome maschili ai quattro angoli, troviamo delle figure più femminili nelle linee morbide del corpo più rettangolare e nelle teste coi capelli biondi. Il letto viene da ultimo esposto alla GNAM nell’inverno 2014 (n. VII.36\b).
Una camera da letto: la provenienza Il complesso di mobili – definito Una camera da letto – viene realizzato da Giacomo Balla con il motivo delle cosiddette Compenetrazioni iridescenti. Proviene da Casa Balla (Roma) dove viene acquistato da Giuliana Donà delle Rose – Romani Adami. Nel giugno del 1968 il presidente della Biennale, l’ingegnere G. Faveretto Fisca, scrive alla signora Giuliana al fine di avere in “cortese prestito alla Biennale l’Armadio dipinto da Giacomo Balla appartenente alla Sua collezione”. La Camera gialla e verde di Elica Balla negli anni Ottanta
Precedentemente a questa richiesta, l’intera camera da letto viene esposta da Maurizio Calvesi alla Galleria La Tartaruga (Roma 1965) e subito dopo riprodotta sul manifesto della mostra Opere di Balla dal 1912 al 1924 che la Galleria Blu di Milano dedica a Balla dal dicembre 1966. È Pierre Restany a pubblicare per primo la Camera da letto di Balla sulla rivista di architettura e arredamento, Domus, nell’aprile del 1965. Chiude il suo intervento definendo l’opera come La préhistoire du op-art: “Finalement, à l’instar de Marcel Duchamp pour le pop, Giacomo Balla nous apparait aujourd’hui comme le Monsieur Jourdain du op” (p. 33). Nel 1983 viene pubblicata da Irene de Grutty e Maria Paola Maino nel volume che dedicano al Mobile liberty italiano (Laterza, Roma, 1983, p. 68, fig.134): “Armadio di camera da letto, 1912-13, che secondo le dichiarazioni del proprietario fu disegnata da Balla, quale eventuale prototipo di una serie. Il progetto non ebbe seguito e la stanza fu esposta nel 1965 alla galleria La Tartaruga di Roma con la presentazione di Maurizio Calvesi”. Elena Gigli Il corridoio di via Oslavia in una fotografia dell’Archivio Balla, Roma
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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958
Una camera da letto, (1912-14) Legno dipinto con motivo Compenetrazioni iridescenti Composta da letto (cm. 140x200x164), armadio (cm. 197x198x54), cassettone (cm. 198x114x55), toilette (cm. 125x85x48), due comodini (cm. 65x54x36 ognuno). Storia Casa Balla, Roma; Collezione Giuliana Donà delle Rose, Roma; Collezione Frediano Farsetti, Milano; Collezione privata Dossier storico artistico di Elena Gigli, Roma, 10 dicembre 2017, Archivio Gigli serie 2017, n. 768. Esposizioni Una camera da letto di Balla, a cura di Maurizio Calvesi, Roma, Galleria La Tartaruga, febbraio 1965, illustrata;
Manifesto della mostra Opere di Balla dal 1912 al 1924, più un ambiente dell’epoca creato dall’artista, Milano, Galleria Blu, dicembre 1966
Opere di Balla, dal 1912 al 1914, Milano, Galleria Blu, dicembre 1966, illustrata sul manifesto; Armadio dipinto di Balla, Venezia, Galleria del Cavallino, 1986. Bibliografia Pierre Restany, Una camera da letto di Balla 1912: la prehistoire du op-art, in Domus n. 425, aprile 1965, p. 33; Maurizio Calvesi, Il Futurismo, Fratelli Fabbri Editori ,Milano 1970, p. 70, tav. XLIV; Maurizio Calvesi, Velia Gabanizza, L’arte nella società. Il Futurismo, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1976, p. 86, tav. I.I; Irene De Guttry, Maria Paola Maino, Il mobile Liberty italiano, Editori Laterza, Roma, 1983, p. 68, fig. 134; Balla. La modernità futurista, a cura di Giovanni Lista, Paolo Baldacci, Livia Velani, Skira Editore, Milano, 2008, p. 304. Stima E 80.000 / 130.000
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Roberto Marcello Baldessari Innsbruck 1894 - Roma 1965
Il decorato, 1934 Smalto su cartone telato, cm. 50x40 Sigla e data in basso a destra: R.M.B. / XII; al verso: etichetta R.M. Iras Baldessari / 1929 - 1934 / Il Decorato: quattro timbri Raccolta F. Schettini: due timbri Galleria Schettini, Milano: etichetta Galleria Schettini / Rassegna Storica / del Futurismo / e del Secondo Futurismo / Milano 1971, con n. I. 327.
Storia Raccolta F. Schettini, Milano; Collezione privata, Trento; Collezione privata Esposizioni Baldessari, Opere 1915 - 1934, a cura di Maurizio Scudiero, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 27 dicembre 2008 - 7 gennaio 2009, poi Milano, Farsettiarte, 15 gennaio - 14 febbraio 2009, cat. n. 40, illustrato a colori. Stima E 35.000 / 45.000
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Roberto Marcello Baldessari Innsbruck 1894 - Roma 1965
Cafe Flambet, 1919 Pastelli colorati su cartoncino, cm. 25x33,5 Sigla in basso a destra: R.M.B.; al verso scritta: MR /19 / n°5. Opera registrata presso l’Archivio unico per il catalogo delle opere futuriste di Roberto Marcello Baldessari, Rovereto, al n. B19 - 29. Esposizioni Baldessari, Opere 1915 - 1934, a cura di Maurizio Scudiero, Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 27 dicembre 2008 - 7 gennaio 2009, poi Milano, Farsettiarte, 15 gennaio - 14 febbraio 2009, cat. n. 30, illustrato a colori. Stima E 45.000 / 55.000
Fillia, Valori plastici di oggetti, 1928
La natura morta futurista di bottiglie, bicchieri e chitarra su un piano inclinato è senza dubbio un’opera autentica e di grande qualità del pittore futurista Luigi Colombo detto Fillia (Revello 1904 - Torino 1936). Il dipinto è databile con sicurezza al 1928: lo dimostrano il tipo di firma, in nero, piccola e molto sottile, tipica di quel periodo, e il cromatismo, tutto sui toni grigi, azzurri e marroni, rotto qui da due eleganti piani in giallo ocra, che caratterizza le migliori opere di simile soggetto eseguite in quell’anno, il primo in cui Fillia, appena ventiquattrenne, incomincia a frequentare Parigi. A Parigi, dove in giugno aveva esposto alla Foire Industrielle nei padiglioni della S.I.R.E., esegue infatti a tempera, datandola “Paris 1928”, la prima di queste nature morte (fig. 1), che presero per lo più il titolo di Valori plastici di oggetti o Plasticità di oggetti (p. 343, Rep. 68). Nel Repertorio (Rep.) dei dipinti di Fillia da me curato nel 1986 insieme a Silvia Evangelisti (Fillia e l’avanguardia futurista negli anni del fascismo, ed. A. Mondadori - Daverio, Milano, 1986), alle pagine 243, 244 e 245 sono elencati e illustrati (Rep. 68 tempera, 69 olio, 70 olio, 71 olio, 72 olio, 73 olio, 74 tempera) i sette quadri allora conosciuti, tra i quali spiccava per qualità la composizione Rep. 70, Valori plastici di oggetti, già dell’Architetto Alberto Sartoris, olio di cm 49,3 x 54,3, venduta da Christie’s nel 2005 (fig. 2). A questi sette dipinti si aggiunge oggi la conoscenza di questo olio di cm 60x80, l’ottavo della serie e il secondo in ordine di grandezza. Il più grande era Plasticità di oggetti n. 1 (fig. 3) di cui riproduciamo un’immagine tagliata in alto, ma che da una foto di sala della mostra Trentatré Futuristi alla Galleria Pesaro, risulta essere stato circa cm 80x100. Caratteristica principale della nostra composizione rispetto agli altri dipinti della serie è l’apertura sul fondo a destra verso lo spazio metafisico di una stanza con una profonda prospettiva e una porta nera che conservano l’eco di Carrà e de Chirico. Sul retro vi sono due etichette, una della nota raccolta Nino Carozzi di Lerici, l’altra che fa riferimento a una proprietà Avvocato Toracca, probabilmente precedente e riferibile a una famiglia della Spezia. Non mi è invece nota la Maria Luisa Guggiari a cui il quadro sarebbe stato donato. Fig. 1, Fillia, Natura morta, 1928
Paolo Baldacci
Fig. 2, Fillia, Valori plastici di oggetti, 1928, già collezione Architetto Sartoris
Fig. 3, Fillia, Plasticità di oggetti n. 1
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Fillia Revello (Cn) 1904 - Torino 1936
Valori plastici di oggetti, 1928 Olio su tela, cm. 60x80 Firma in basso a destra: Fillia. Al verso sul telaio: etichetta Raccolta Nino Carozzi - Lerici (opera datata 1928): cartiglio con dati dell’opera. Storia Collezione Toracca, La Spezia; Collezione Nino Carozzi, Lerici; Collezione privata Certificato su foto di Paolo Baldacci, Milano, 10 novembre 2016. Stima E 25.000 / 35.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Fiori nella brocca e quadro, 1940 Olio su tela, cm. 70x49,7 Data, luogo e firma in basso a destra: 40 / Milano / Pisis. Storia Collezione Mario Rimoldi, Cortina d’Ampezzo; Collezione privata
Bibliografia Giuliano Briganti, De Pisis. Catalogo generale, tomo secondo, opere 1939-1953, con la collaborazione di D. De Angelis, Electa, Milano, 1991, p. 493, n. 1940 49. Stima E 25.000 / 35.000
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Raoul Dufy Le Havre 1877 - Forcalquier 1953
La rue Lepic, 1904 Olio su tela, cm. 65x55 Firma in basso a destra: Raoul Dufy. Esposizioni Firenze-New York. Rinascimento e Modernità. Da Luca Signorelli a Andy Warhol, Firenze, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 30 settembre - 10 dicembre 2011, cat. n. 8, illustrato a colori; Ardengo Soffici. L’Europa in Toscana, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie
Medicee, 13 ottobre 2012 - 27 gennaio 2013, cat. p. 82, illustrato a colori. Bibliografia Pierre Courthion, Raoul Dufy, Pierre Cailler éditeur, Genève, 1951, p. XVII, n. 11, tav. 11; Maurice Laffaille, Raoul Dufy, catalogue raisonné de l’oeuvre peint, tome I, Editions Motte, Genève, 1972, p. 74, n. 78; Marco Fagioli, Passages nell’arte del Novecento. Da Degas a Dubuffet, Aión, Firenze, 2009, p. 51. Stima E 50.000 / 70.000
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Sebastian Echaurren Matta Santiago del Cile 1911 - Tarquinia (Vt) 2002
Composition (Topo Lame), 1970 Olio su tela, cm. 151x202 Monogramma dell’artista in basso a destra; titolo e firma al verso sulla tela: Topo Lame / (topographicamique / psycotopo / optopoly) / Matta; sul telaio: etichetta Edward Totah Gallery, London: etichetta Toninelli Arte Moderna, Milano. Storia Galleria San Luca, Bologna; Collezione privata Foto autenticata dall’artista. Esposizioni Sebastian Matta, Forte dei Marmi, Galleria Poleschi, giugno luglio 1991, cat. p. n.n., illustrato a colori. Bibliografia Matta. Opere dal 1938 al 1976, Galleria San Luca, Bologna, 1976, tav. 59. Stima E 120.000 / 180.000
Sebastian Matta davanti all’opera Grimau ou les puissances du désordre, Boissy, 1965
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Jean Paul Riopelle Montreal 1923 - 2002
Des nefs d’or, 1968 Olio su tela, cm. 97x130 Firma in basso a destra: Riopelle. Al verso sul telaio: etichetta Marlborough - Godard, Montreal, con n. TOT5414: etichetta Gallery Moos, Toronto. Storia Pierre Matisse Gallery, New York; Collezione privata Certificato su foto Comité Jean Paul Riopelle, Montreal, 15 novembre 2007, con n. 252-CA-JGA e n. 1968.033H. Bibliografia Jean Paul Riopelle, Catalogue Raisonné, Tome 4, 1966-1971, Hibou Editeurs, Montreal, 2014, p. 169, n. 1968.033H.1968. Stima E 140.000 / 200.000
Jean Paul Riopelle nel suo studio a Vanves
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Georges Mathieu Boulogne-sur-mer 1921 - Boulogne-Billancourt 2012
Vaumadeuc, 1964 Olio su tela, cm. 73x130 Firma e data in basso a destra: Mathieu 64; scritta, titolo, firma e data al verso sul telaio: cat. n. 6, “Vaumadeuc” G. Mathieu / 1964: etichetta Gimpel Fils Gallery, London / Exhibited Gimpel Fils, November 1964, Cat. n. 6: timbro Galleria d’Arte R. Rotta, Genova: etichetta Stone Gallery, Newcastle Upon Tine. Certificato su foto Galleria d’Arte R. Rotta, Genova, con due timbri Arte Borgogna, Milano. Stima E 60.000 / 90.000
Georges Mathieu con la scultura realizzata per l’esposizione L’Objet, Parigi, Museo delle Arti Decorative, 1962
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Hans Hartung Lipsia 1904 - Antibes 1989
T 1986-H15, 1986 Acrilico su tela, cm. 130x81 Firma e data in basso a sinistra e al verso sulla tela: Hartung 86; titolo sul rivolto della tela: T 1986-H15; firma e titolo sul telaio: Hartung T 1986-H15: etichetta Comune di Ferrara - Palazzo dei Diamanti / Direzione Gallerie Civiche d’Arte Moderna / Mostra Antibes; sulla cornice e sul risvolto della tela: due timbri Galerie Daniel Gervis, Paris. Certificato su foto Fondation Hans Hartung et Anna-Eva Bergman, Antibes, 11 aprile 2006, con n. Ct 234-0. Stima E 65.000 / 85.000
Gli strumenti di lavoro di Hans Hartung
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Dieci capolavori italiani del Novecento
Note sull’arte italiana nei primi decenni del XX secolo Tratteggiare il profilo di un periodo storico, sia esso breve o esteso, appare sempre un obiettivo impervio, pur tuttavia la pluralità degli stimoli derivati dalle rivoluzioni sociali, dal progresso tecnologico, dagli orrori della Prima Guerra Mondiale e gli esiti che questa produsse sullo scacchiere europeo, rendono l’ipotesi di inquadrare coerentemente gli esiti artistici di quel gruppo di interpreti italiani, alcuni dei quali furono attivi sia in Italia che in Francia, ancora più perigliosa. Ed è appunto nel proficuo e continuo scambio tra un contesto allora ‘periferico’ come quello italiano e la città che agiva da centro orbitante per l’intellighenzia di tutta Europa, ovvero Parigi, che dal primo decennio del Novecento prendono vita movimenti quali il Futurismo prima, e la Metafisica poi, che avranno un impatto essenziale sulle sorti culturali e artistiche future. Gli iniziatori di tali movimenti furono una generazione che per ragioni storiche si differenzia da quelle vissute fino ad allora. Infatti, nel tracciare una analisi dello scambio tra l’elaborazione dell’arte moderna in Italia e l’ideologia dei primi decenni del Novecento, Alessandro Del Puppo scrive che “Nessuna generazione artistica del Novecento ha posseduto, […] i concetti e gli strumenti per avviare la sovversione delle tradizionali categorie artistiche di forma, tempo e spazio. E nessun’altra generazione ha dovuto subire circostanze storiche e politiche che hanno governato, rovesciato e talora stravolto quegli stessi usi e fini” (Del Puppo, 2012). Ma andiamo con ordine: tra coloro che agirono come catalizzatori delle istanze culturali elaborate in quel crogiuolo di novità che era la Parigi di inizio secolo e l’Italia è senz’altro annoverabile Ardengo Soffici (1879-1964). Critico, scrittore ed egli stesso artista, fin dai primi soggiorni parigini compiuti tra il 1900 e il 1907 (Richter, 2000) Soffici agisce da canale di trasmissione tra la Ville Lumiére e l’Italia, sia attraverso scritti dedicati a quanto stavano elaborando artisti come Picasso e Braque con il Cubismo, sia facilitando i soggiorni di quei connazionali che ritenevano indispensabile un soggiorno in Francia al fine di aprirsi a nuove istanze culturali e artistiche. Membro attivo della comunità intellettuale e artistica degli espatriati residenti a Parigi, Ardengo Soffici ne trasmette le istanze sulle pagine di riviste quali “Leonardo” e “La Voce” divenendo una firma preziosa nell’ambito di quella stagione letteraria che fu essenziale al panorama artistico italiano. Saranno infatti le riviste letterarie e i giornali del tempo a restituire una immagine flagrante della pluralità di vedute su un mondo che, grazie alla repentina accelerazione tecnologica di inizio secolo, sembrava aver virato bruscamente direzione verso una prospettiva del tutto nuova. Ed è appunto in vista di quella prospettiva che un gruppo di italiani capitanati da Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) avrebbe elaborato un vero e proprio programma, inteso a rivoluzionare tutti gli ambiti culturali, esprimendosi attraverso manifesti programmatici dedicati alle arti, alla letteratura, e perfino alla cucina. Strutturato in soli undici punti, e reso noto su alcuni quotidiani locali italiani, il primo Manifesto del Futurismo assume una dimensione internazionale quando è pubblicato sul quotidiano francese “Le Figaro” il 20 febbraio del 1909. Scritto e firmato da Marinetti, al punto numero otto il documento declama chiuso il rapporto con il passato, e chiede e asserisce: “Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente”. Se dunque tale programma costituiva la prospettiva principale per un nuovo corso della cultura italiana, i successivi manifesti dedicati specificatamente alla pittura ne avrebbero affinato gli obbiettivi, individuando nelle figure di artisti quali Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo e Gino Severini gli interpreti principali dell’avanguardia nazionale. Umberto Boccioni e Filippo Tommaso Marinetti durante l’inaugurazione della mostra dei pittori futuristi alla Galerie Bernheim-Jeune di Parigi, il 5 febbraio 1912
Nel febbraio del 1910 essi proclamavano: “Come i nostri antenati trassero materia d’arte dall’atmosfera religiosa che incombeva sulle anime loro, così noi dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita contemporanea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la Terra, ai transatlantici, alle Dreadnought, ai voli meravigliosi che solcano i cieli, alle audacie tenebrose dei navigatori subacquei, alla lotta spasmodica per la conquista dell’ignoto […]”. In linea con tali propositi, dipinti come Lampada ad arco (Museum of Modern Art, New York) di Giacomo Balla, realizzato tra il 1909 e il 1911, e sculture come Forme uniche nella continuità dello spazio (Museum of Modern Art, New York) di Umberto Boccioni, sanciscono l’importanza dell’avanguardia futurista, promuovendo la carica rivoluzionaria del movimento fuori dai confini nazionali. Mentre la deflagrante energia dell’esperienza futurista coinvolgeva anche Ardengo Soffici, un artista nato in Grecia da genitori italiani, ispirato da Piazza Santa Croce a Firenze, aveva da poco dipinto un quadro intitolato Enigma di un pomeriggio d’autunno. Si trattava del primo esempio di pittura metafisica realizzato da Giorgio de Chirico (18881978): l’artista che, raggiunto a Parigi il fratello Alberto Savinio nel 1911, avrebbe cominciato con quest’ultimo a dare corpo a un movimento artistico di ampia portata, stimolato da figure come quella di Guillaume Apollinaire (1880-1918). È infatti l’intellettuale francese a rilevare nel 1913 l’originalità e la distanza delle opere dell’artista dalle coeve direzioni promosse in pittura da Picasso o Matisse. Svelare una realtà che andasse esplorando quanto esiste oltre l’esperienza fisica, analogica, del mondo che vediamo, dando forma a quelli che de Chirico definisce come ‘enigmi’ Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1909-11 ca. o ‘misteri’, di manichini che dialogano fisicamente con lo spazio estraniato delle città, delle celebri piazze, rappresentava per la cultura artistica di quel momento una via assolutamente inedita. “L’avanguardia di quegli anni si preoccupava soprattutto di rivoluzionare la forma artistica, sul modello dei cubisti. De Chirico rispose con la rivoluzione dello sguardo. Condivise con l’avantgarde la fascinazione per il primitivismo ma se ne distinse scegliendo di cercare i primitivi non in Africa ma nell’Antichità” (Belting, 2003) della mitologia pagana: un’età dell’oro che non poteva che contrapporsi come un’ancora salvifica agli orrori della guerra incipiente. La Prima Guerra Mondiale lo vedrà infatti arruolato al pari di molti componenti del Futurismo, ma lo troverà anche coinvolto insieme al fratello Alberto Savinio, a Carlo Carrà, Giorgio Morandi, e Filippo de Pisis in un felice connubio di scambi e intenti che vede nel nosocomio di Villa del Seminario a Ferrara un episodio fondamentale dello sviluppo della Metafisica intorno al 1917. La fine della guerra avrebbe purtroppo decimato il gruppo futurista trasformando il continente europeo. E se Giorgio de Chirico negli anni Venti partecipa all’iniziativa del movimento surrealista che lo riconosceva come maestro e iniziatore, le divergenze con il gruppo parigino di Andrè Breton lo avrebbero portato successivamente a rompere bruscamente con quest’ultimo, e a esporre con gli artisti del Novecento Italiano. Motivati da un proclama che nel ‘ritorno all’ordine’ trovava radici critiche nelle istanze di recupero della solidità formale della pittura del primo Rinascimento italiano e che aveva già interessato artisti come Carlo Carrà, il gruppo di “Novecento Italiano” si riunisce alla fine del 1922 per esporre poi a Milano nella galleria d’arte di Lino Pesaro, sotto l’egida curatoriale e intellettuale di Margherita Sarfatti (1880-1961). Si trattava di un gruppo eterogeneo quanto lo fu la cultura del ventennio fascista, formato da artisti italiani di provenienze culturali diverse come Achille Funi, Leonardo Dudreville, Gianfranco Russolo o Mario Sironi, le cui opere, secondo la Sarfatti, erano accomunate dalla “limpidità nella forma e compostezza nella concezione,” e che presentavano “nulla di alambiccato e di eccentrico,” grazie all’ “esclusione sempre Le riviste del Novecento italiano, Museo della Poesia, Piacenza
maggiore dell’arbitrario e dell’oscuro”. Questa formula, che nel corso degli anni diviene assimilabile più a un’etichetta nazionalistica che a un vero e proprio programma artistico, sopravvive nel corso del ventennio a latere delle discussioni sull’arte e la cultura condotte sulle pagine di riviste come “La Ronda”, un programma di indipendenza e autonomia dell’arte, in nome di una letteratura separata dalla vita e dalla pratica, e l’accesa polemica sorta sulle pagine delle riviste “Il Selvaggio” e “900”. Una polemica che si esprimeva nelle antitetiche posizioni che presero il nome di ‘strapaesismo’ e ‘stracittà’, rispettivamente divise nel sostegno dei valori naturali e primitivi, agresti e selvaggi della tradizione regionalistica italiana, opposti alla promozione di una sprovincializzazione della nazione a favore della modernità extra nazionale. Allineati su l’una o l’altra posizione, artisti come Giorgio Morandi, la cui parabola era cominciata con il Futurismo per poi condividere con de Chirico la prima stagione della Metafisica, oppure Ottone Rosai che, da un inizio analogo, si orienta verso un acceso strapaesismo, descrivono la comune virata intimista. Una direttrice che lungo il corso dei decenni successivi vedrà Morandi dedicato all’esplorazione degli effetti di luce sulla forma attraverso la ripetizione inusitata del genere della natura morta e del paesaggio e Rosai concentrato nel cogliere in pittura l’eterno ripetersi della vita del popolo minuto nelle strade degli antichi quartieri di Firenze. Soluzioni Giorgio de Chirico, Autoritratto con Savinio, 1929 diversamente vocate a un ripiegamento su atmosfere personali e conosciute che, seppure con tutt’altro intento e risultati, caratterizzano anche Felice Casorati. Alla sua interpretazione del Realismo Magico teorizzato da Massimo Bontempelli su “900” descritto attraverso la “Precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo; e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta...”, fa da contraltare la felice produzione dei fratelli de Chirico a Parigi alla metà degli anni Venti. Accordandosi allo spirito dei Càstori, i gemelli mitologici nati da Zeus e Leda, a cui Giorgio de Chirico e Alberto Savinio si assimilavano, l’uno avrebbe sperimentato la pratica dell’altro in uno scambio mutuo e continuo, sia artistico che intellettuale. La rilevanza di Alberto Savinio nella formulazione della poetica della Metafisica da parte di Giorgio de Chirico era già stata ampiamente riconosciuta da quest’ultimo e da tempo, l’ormai affermato pittore, spronava il fratello “indiscernibile nello spirito” a sperimentare più seriamente la pittura. Ed è infatti in una Parigi che vedeva in quegli anni simultaneamente al lavoro artisti come Picasso, Matisse, Léger o Picabia, e il trionfo dei Surrealisti che Alberto Savinio rivela il proprio potenziale di pittore. È sostenuto da un mercante come Paul Guillaume e da un intellettuale come Jean Cocteau. La sua pittura è immediatamente sostenuta da uno dei critici di punta quale è Waldemar George che, nel 1929 sulla rivista “Formes”, lo definisce il nuovo Esopo. Tale successo folgorante vale a Savinio un ruolo da protagonista nel panorama artistico europeo coevo al pari di quello già guadagnato dal fratello Giorgio de Chirico. I due artisti, al pari di Giorgio Morandi, avranno l’impatto più duraturo sugli eventi che caratterizzano la pittura successiva, gli uni per la carica fantastica e cromatica anticipatrice del postmoderno, l’altro nella sapienza espressiva nel costrutto pittorico e tonale, foriera di un astrattismo che troverà sempre più spazio nella poetica artistica a venire. Francesca Marini
Dieci capolavori italiani del Novecento 548
Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Natura morta, (1941) Olio su tela, cm. 40,3x45,5 Firma in basso al centro: Morandi. Al verso sul telaio: timbro Galleria del Milione, Milano, con n. 5890. Storia Galleria del Milione, Milano; Finarte, Milano, 12 novembre 1985, n. 115; Collezione privata Certificato su foto di Graziano Ghiringhelli, Milano, 13 marzo 1985, in cui dichiara: “Io sottoscritto Graziano Ghiringhelli unitamente alle sorelle Morandi di Bologna e al Prof. Lamberto Vitali, di Milano, dichiariamo dopo aver esaminato l’opera [...] di ritenere che si tratti di un’opera autentica di Giorgio Morandi databile circa 1949. Una fotografia della presente opera si trova presso l’archivio delle sorelle Morandi catalogata al N. 3/85. La seconda presso il Prof. Vitali e la terza presso la Galleria “Il Milione”, Milano, pure al N. 3/85”. Bibliografia Marilena Pasquali, Morandi, opere catalogate tra il 1985 e il 2000, Museo Morandi / Musica Insieme, Bologna, 2000, p. 21, n. 1941/2; Marilena Pasquali, Giorgio Morandi. Catalogo generale. Opere catalogate tra il 1985 e il 2016, Gli Ori, Pistoia, 2016, p. 85, n. 1941/2. Stima E 700.000 / 900.000
Giorgio Morandi, Natura morta, 1941
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Giorgio Morandi
Due nature morte di Giorgio Morandi Intorno, a distesa d’occhio, l’iniquità degli oggetti persiste intangibile. Eugenio Montale, Dov’era il tennis
“[…] Soltanto scavando dentro e attraverso la forma, e stratificando le ‘ricordanze’ tonali, si possa riescire alla luce del sentimento più integro e puro, ecco infatti la lezione intima di Morandi e il chiarimento immediato della sua riduzione del soggetto che gira al minimo; l’abolizione, in ogni caso, del soggetto invadente che parte in quarta e si divora l’opera e l’osservatore. Oggetti inutili, paesaggi inameni, fiori di stagione, sono pretesti più che sufficienti per esprimersi ‘in forma’; e non si esprime, si sa bene, che il sentimento”. Queste celebri parole che Roberto Longhi dedica a Giorgio Morandi nel 1945, introducendo il catalogo della sua personale alla Galleria Il Fiore, restituiscono tutta la grandezza del percorso pittorico di una delle figure più imporanti dell’arte italiana e europea del Novecento. La sua biografia si muove all’interno di un orizzonte ridottissimo, quasi anacronistico rispetto al suo tempo: egli vivrà sempre nella città natale, Bologna, con le tre sorelle, affiancando alla pittura, fin dalla prima giovinezza sua principale occupazione, l’attività di insegnamento di incisione all’Accademia di Belle Arti, e soggiornerà ogni estate, a partire dal 1927, a Grizzana, località dell’Appennino bolognese. La sua vita e il suo lavoro si svolgono in una camera: a Bologna, in via Fondazza, la finestra si affaccia su un piccolo cortile ricoperto di verde; a Grizzana il suo studio si apre sul paesaggio e sulle modeste case di campagna che, solitarie, si stagliano tra le colline, i campi e i boschi dell’Appennino.
Giorgio Morandi e Roberto Longhi alla Biennale di Venezia nel 1948
Questo rigore quasi ascetico delle sue abitudini di vita corre parallelo alla sua estrema apertura agli eventi storici e culturali del mondo; Morandi è, fin dagli esordi, un conoscitore raffinato e uno degli artisti più aggiornati sulle correnti dell’arte moderna, e forse il più profondo interprete in Italia delle conquiste formali raggiunte dal postimpressionismo francese. Ventenne, sullo scorcio del primo decennio del Novecento, è avido lettore degli scritti di Soffici su La Voce, che raccontavano di Medardo Rosso, degli Impressionisti, di Picasso e Braque; nella sua biblioteca è già presente il volume di Vittorio Pica su Gli impressionisti francesi; nel 1910 visita la Biennale di Venezia, che dedicava una sala a Renoir, e si reca a Firenze, dove vede finalmente dal vivo Masaccio, Giotto e Paolo Uccello: “Ancora oggi – ha scritto Vitale Bloch – racconta del suo primo giorno a Firenze: le chiese, a cercar di affreschi di Giotto, di Paolo Uccello, di Masaccio; gli Uffizi” (F. Arcangeli, Giorgio Morandi, Milano, 1964, p. 23). Nel 1911 a Roma vede le opere di Monet per la prima volta, e realizza uno dei suoi primi dipinti: un Paesaggio che già dialoga, sommessamente, con la sua struttura severa e fratta, con Cézanne – la scoperta decisiva per la sua pittura – e con il Cubismo. “Vidi Bacchelli assai a lungo: si andò con lui da quel pittore Morandi del quale ti rammentai la pittura di quel paese nevoso, alla “Secessione” nella sala di Pizzirani. È un tipo malato, logoro, disfatto, che sta in una casa misera […] in una stanza opaca, che è studio, camera da letto, tutto”; così Emilio Cecchi descrive il giovane Morandi alla moglie, in una lettera del 6 giugno 1918. La vita del pittore è già racchiusa lì, nell’appartamento di via Fondazza, tutto il suo immaginario poetico si compirà al suo interno, o al massimo tra le campagne domestiche delle montagne bolognesi. La scelta di far compiere il miracolo della pittura all’interno dello studio non porta però a un isolarsi dal mondo esterno; Morandi, a seguito del compagno d’Accademia Licini, partecipa alle serate futuriste di Modena e Firenze e conosce Boccioni e Marinetti, ma la sua partecipazione al movimento è limitata a un solo episodio. Lo spirito irridente e movimentista dell’avanguardia italiana non era compatibile con la sua personalità: “Anch’io come tanti giovani di buona volontà, sentivo la necessità di un totale rinnovamento dell’atmosfera artistica italiana. Questa mia iniziale adesione non andò più oltre di una partecipazione alla prima mostra dei Giovani Futuristi da Sprovieri a Roma. Mi ero accorto che ancor meno delle vecchie, le nuove idee estetiche rispondevano alle esigenze del mio spirito” (Autobiografia, in L’Assalto, 18 febbraio 1928). La scelta delle avanguardie come prima occasione di esposizione di certo determina una scelta di campo, benché la sua pittura ‘del silenzio’ mal si conciliasse con il rumoroso Futurismo: Morandi è proiettato nella modernità, come il suo maestro ideale Cézanne, e decisamente ostile al Tre nature morte di Giorgio Morandi del 1941, tra cui il lotto n. 548
tradizionalismo accademico. Il 1914 è l’anno della sua partecipazione alla Prima Esposizione Libera Futurista, tenutasi appunto da Sprovieri, e alla Seconda Secessione Romana; è anche l’anno delle prime nature morte di oggetti, dove sono fissati alcuni cardini fondamentali dai quali il suo lavoro non si allontanerà più: il punto di riferimento linguistico fondamentale di Cézanne e, in queste opere, del suo naturale sviluppo, il Cubismo analitico di Picasso e Braque. Quello di Morandi non è un cézannismo di superficie, presente in molta pittura italiana del tempo, ma un’assimilazione profonda della forza costruttiva del maestro francese, che darà l’avvio al dialogo, percorso per tutta la vita, tra l’oggetto e la sua trasposizione su tela: “Se ci fu mai uno tra i giovani della mia generazione che fosse appassionatamente consapevole degli sviluppi dell’arte francese, quello ero io. Nei primi decenni di questo secolo pochissimi s’interessavano al pari di me alla pittura di Cézanne e di Seurat” (in Edouard Roditi, 1960). Alla fine degli anni Dieci l’incontro con Mario Broglio, l’editore di Valori Plastici, con cui stipula un contratto in esclusiva, lo fa entrare in contatto con l’ambiente di artisti e intellettuali che gravitavano intorno alla rivista, primi tra tutti Giorgio de Chirico e Carlo Carrà. Morandi realizza in questi anni le cruciali nature morte della sua stagione metafisica, uno dei vertici della sua produzione. Lo straniamento metafisico dell’oggetto, il suo caricarsi di significati altri, il suo essere un enigma affascina Morandi, che si serve di questa atmosfera altra, carica di mistero, per depurare le forme: gli oggetti si dispongono su un piano, che fa da proscenio; a volte sarà un tavolo sospeso per aria, come nella Natura morta Jucker; il manichino è un busto portaparrucche, affiancato da sfere, cilindri, bacchette, scatole magiche. È una metafisica degli oggetti comuni, come scriverà Giorgio de Chirico presentando Morandi nel catalogo della Fiorentina Primaverile nel 1922: “Egli cerca di ritrovare e creare tutto da solo: si macina pazientemente i colori e si prepara le tele e guarda intorno a sé gli oggetti che lo circondano, dalla sacra pagnotta, scura e screziata di crepacci come una roccia secolare, alla nitida forma dei bicchieri e delle bottiglie. Egli guarda un gruppo di oggetti sopra un tavolo con l’emozione che scuoteva il cuore al viaggiante della Grecia antica allorquando mirava boschi e valli e monti ritenuti soggiorni di divinità bellissime e sorprendenti. Egli guarda con l’occhio dell’uomo che crede e l’intimo scheletro di queste cose morte per noi, perché immobili, gli appare nell’aspetto più consolante: nell’aspetto suo eterno. Paul Cézanne, tre dipinti con la montagna Sainte-Victoire, 1904-06
Egli partecipa in tal modo al grande lirismo creato dall’ultima profonda arte europea: la metafisica degli oggetti più comuni. Di quelli oggetti che l’abitudine ci ha reso tanto famigliari che noi, per quanto scaltriti nei misteri degli aspetti, spesso guardiamo con l’occhio dell’uomo che guarda e non sa”. Il suo viaggio si compie, anziché nei boschi di una Grecia mitica, tra la distanza tra il cavalletto e il tavolo su cui egli dispone gli oggetti, preparati meticolosamente, secondo criteri compositivi inflessibili e rigorosi. Essi sono scrutati con l’emozione dell’antico esploratore e trasposti in pittura, come fossero ‘divinità bellissime e sorprendenti’. È sulla tela che il pittore cerca di scoprire il loro aspetto ‘immutabile’ e ‘eterno’, guardandoli con l’occhio di chi sa cogliere la segreta essenza delle cose, anche di quelle più comuni, degli ‘oggetti inutili’. Morandi, dopo i contatti cruciali del primo ventennio del Novecento, proseguirà la sua sfida incessante all’oggetto in solitudine, al di fuori delle correnti e dei movimenti artistici, avviando un percorso del tutto autonomo e specifico, lontano sia dalla narrazione civile neorealista sia dalla disgregazione informale. Morandi afferma il suo primato sulla pittura italiana lavorando incessantemente nella stanza-studio di Bologna o di Grizzana ai due soggetti a cui si riconduce tutta la sua produzione (a parte pochissime opere di figura): il paesaggio e la natura morta di oggetti. Il primo dipinto presente in catalogo, databile 1941, è una natura morta di cinque oggetti posti su un piano curvo. I tre sul secondo piano, vicini al bordo del tavolo, sono tra gli oggetti più utilizzati dal pittore: la bottiglia bianca a torciglione, un’altra bottiglia bicroma, con il fusto blu e il collo bianco, e il lume a petrolio, anch’esso bicromo, ma bianco nel corpo e scuro nel collo. Sul primo piano un piccolo vasetto blu Lo studio di Giorgio Morandi e una ciotola bianca dal bordo rosso. Questa struttura compositiva, rigorosa e calibratissima nelle zone cromatiche e nei volumi degli oggetti, si trova in circa altre dieci opere di questi anni, dove si mantiene la radice originale delle due bottiglie e del lume operando variazioni, anche minime, nei due oggetti più piccoli, togliendone uno o entrambi o cambiando la loro posizione sul piano. Il registro cromatico dagli anni Quaranta si rischiara, aprendo la strada del tonalismo caldo, come l’ocra del fondo indistinto; la luce accarezza gli oggetti e fa risaltare, come guizzi inaspettati, i toni più accesi del blu e del rosso. Ogni dipinto costituisce un tassello del percorso, potenzialmente infinito, di conoscenza che Morandi compie nei confronti dell’oggetto, in un processo simile a quello che Cézanne compie tra il 1904 e il 1906 nel ciclo, decisivo per l’arte moderna, dedicato alla montagna Sainte-Victoire. Ogni elemento, trasfigurato dall’artista che lo opacizza con la pittura, lo lascia impolverarsi, lo compone sul piano accanto agli altri prescelti, come se fossero attori su un palcoscenico spoglio, arriva a perdere ogni connotazione di materialità, di contingenza, per divenire segno universale. È attraverso questi segni, apparentemente ‘inutili’, privati dal loro senso abituale, che Morandi indaga il mondo intero, in un’indagine conoscitiva mai soddisfatta definitivamente, pur muovendosi entro gli stilemi tradizionali della pittura, come la tela, i colori a olio, il cavalletto, il disegno, l’acquerello, l’incisione. Cesare Brandi, nella celebre monografia sul pittore edita nel 1942, descrive dettagliatamente Morandi al lavoro: “[…] Fin dai rifornimenti alla Montagnola, e poi via via le sue elezioni, i suoi ostracismi, le sue riammissioni, nell’esercito dei lumi spenti e delle bottiglie vuote. E li manovra pazientemente, sul piano del tavolino, che un foglio di carta neutralizza nella sua stesura lignea: né si contenta del suggerimento cromatico insito nel vetro, nella porcellana e perfino nella celluloide, ma, in una specie di prima pittura, tinge le sue bocce, le veste dall’interno di una fondata bianca, densa e granulosa come la magnese, sfrutta persino la polvere che ci si deposita sopra, e giunge a vederle trasfigurate nell’oggetto stesso: una curiosa mascherata di oggetti sporchi, per gli altri. Ma già, in questa circospetta preparazione, c’è qualcosa di ben diverso dal semplice assidersi in cospetto del modello. Così, in quei primi raggruppamenti che non hanno nulla di razionale né il più lontano spunto narrativo, l’oggetto riceve un’investitura simbolica della coscienza: il nesso, dall’oggetto all’artista, diviene continuo: la malinconia o la tristezza, la serenità o la gioia, tutto l’aggrovigliato complesso di sentimenti di un attimo o di infinite ore, hanno trovato un primo incapsulamento nell’assurdo e disparato accozzo. È un geroglifico che solo l’artista può sciogliere, un ideogramma misterioso, ma per lui collegato con quel flusso interno: e di questo, alla sua fantasia, appare già come la proiezione plastica, la parola nuovamente coniata”.
Questo modus operandi che rifugge ostinatamente la narrazione per concentrarsi unicamente su oggetti-segno, su pure sagome formali che tendono alla conoscenza del mistero che sta dietro le cose, a cercare la loro profonda, segreta essenza, non sfocerà mai nella disgregazione della visione. La pittura di Morandi resta ancorata saldamente al reale e alla figurazione, sebbene intesa come antinaturalistica, come continua variazione di elementi minimi, anche nelle opere dell’ultimo periodo, tendendo sempre di più verso la sintesi compositiva, di cui è saggio esemplare la seconda natura morta presente in catalogo, realizzata intorno al 1953, anch’essa composta da cinque oggetti. Il tavolo ha ormai perso ogni rimando a una consistenza reale, trasformandosi in pura superfice cromatica, in luogo della memoria; la separazione tra fondo e piano d’appoggio è solo una linea sottile, che delimita, come un orizzonte, le due aree cromatiche: più chiara quella dello sfondo, più perlacea quella del piano. È uno spazio della mente, su cui si aggregano, al centro, i cinque oggetti, tutti della stessa altezza e tutti ammassati l’uno sull’altro, come se fossero spinti verso la linea mediana della tela da invisibili forze accentratrici. Sul primo piano due piccole brocche dipinte di grigio e di rosso tenue, subito dietro una piccola boccetta a torciglione, e ancora dietro, a chiudere il gruppo, due scatole, una di un bianco lucente, e una verde spento. Il gioco sapiente delle gradazioni tonali, la luce ovattata e corpuscolare che pervade il dipinto e inonda gli oggetti, che ormai hanno quasi perso ogni rimando al mondo sensibile per diventare forme pure, è testimonianza della grande vitalità creativa di un artista maturo, che continua, nel piccolo universo racchiuso in un’umile stanza nel centro di Bologna, circondato dai suoi oggetti pervasi dalla polvere, dai suoi libri e dai suoi strumenti di lavoro, a cercare di eternare sulla tela il mistero delle cose. Lo stesso mistero incantato che in poesia descriverà Eugenio Montale, forse, per la forza evocativa delle sue immagini, il suo contemporaneo parallelo letterario: […] La tua forma passò di qui si riposò sul riano tra le nasse atterrate, poi si sciolse come un sospiro, intorno – e ivi non era l’orror che fiotta, in te la luce ancora trovava luce, oggi non più che al giorno primo già annotta. (Eugenio Montale, Personae Separatae). Chiara Stefani
Giorgio Morandi mentre dipinge
Dieci capolavori italiani del Novecento 549
Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964
Natura morta, (1953) Olio su tela, cm. 35,5x45,5 Firma in basso verso destra: Morandi. Storia Curt Valentin Gallery, New York; Collezione privata Certificato su foto di Maria Teresa Morandi, Bologna 3/6/1984, con scritta Archivio Vitali e data 4/6/84. Esposizioni A Prato per vedere i Corot, corrispondenza Morandi - Soffici per un’antologica di Morandi, Galleria Farsetti, Focette, Cortina d’Ampezzo e Milano, luglio - settembre 1989, cat. tav. XXII, illustrato a colori. Bibliografia Marilena Pasquali, Morandi, opere catalogate tra il 1985 e il 2000, Museo Morandi / Musica Insieme, Bologna, 2000, p. 66, n. 1953/2; Marilena Pasquali, Giorgio Morandi. Catalogo generale. Opere catalogate tra il 1985 e il 2016, Gli Ori, Pistoia, 2016, p. 132, n. 1953/2. Stima E 650.000 / 850.000
Giorgio Morandi, Doppia natura morta, 1953
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Giorgio de Chirico Cavalli e rovine classiche in riva al mare, 1927
Il dipinto qui riprodotto si può sicuramente annoverare tra i maggiori capolavori dedicati da de Chirico al tema dei cavalli bradi tra le rovine in riva al mare. Un tema iniziato nel 1926 e che ebbe subito grande successo. Che l’autore stesso lo ritenesse tra le sue opere più significative è indicato dalla copertina della monografia Giorgio de Chirico di Boris Ternovetz (1928), edita da Hoepli nella collana “Arte Moderna Italiana” diretta da Giovanni Scheiwiller, dove troviamo pubblicato proprio il disegno di questo quadro come immagine riassuntiva della poetica di un intero e felice periodo creativo. Sia de Chirico sia Savinio raccontano che fin dall’età di sette anni Giorgio disegnava cavalli, e che già da allora un suo “cavallo al galoppo, ben incorniciato e sotto vetro, faceva bella mostra di sé nel salotto del console generale d’Austria-Ungheria a Volo”. Certo è che fin dal 1913 il cavallo compare nell’opera di de Chirico come emblema della massima chiaroveggenza di Nietzsche prima del tracollo. È il cavallo col paraocchi delle vetture di piazza, che allude a quello abbracciato da Nietzsche in lacrime a Torino il 3 gennaio del 1889, oppure un cavallo di legno da giostra destinato per sempre a una corsa cieca e insensata. All’inizio degli anni Venti è il romantico compagno dei suoi “cavalieri erranti”, ma negli anni successivi diventa la metafora dell’insensata pulsione vitale che anima il mondo e nello stesso tempo il segno di una libertà dello spirito tesa tra gli estremi limiti delle facoltà intuitive e la nichilistica contemplazione del nulla. È noto che Giorgio a Parigi, nel 1926 e ‘27, mentre la moglie Raissa Gurievich studiava archeologia alla Sorbona, leggeva la Perièghesis tès Ellàdos, una sorta di “Guida della Grecia” antica in diversi volumi del geografo di età imperiale Pausania, nella traduzione francese della superba edizione commentata dal grande antropologo e storico britannico James G. Frazer. Ispirato da questa lettura, che lo appassionava profondamente, egli iniziò nel 1926 una serie di quadri in cui compaiono cavalli allo stato brado sulle rive del mare in mezzo a rovine dell’antica Grecia. Pausania, alla fine del II secolo d.C., aveva descritto un’Ellade ormai spopolata e in rovina, e sulle sue tracce de Chirico percorreva come un viaggio di sogno Copertina del catalogo di Boris Ternovetz dedicato a Giorgio de Chirico, 1928
nel mitico mondo della sua infanzia: “Quando, nell’anno decimosesto del regno di Antonino filosofo, – scrive Savinio – Pausania visitò la Grecia, gli dèi erano morti da lunga fiata. Voce non rimaneva se non di mare e di vento. I templi offrivano al cielo le loro carie illustri. I tamburi delle colonne erano grani per terra di colossali collane rotte. Cavalli bradi erravano sui lidi deserti, si fermavano ad ascoltare, giravano intorno l’occhio pazzo e rosso di sangue, poi fuggivano al galoppo spaventati dall’immenso nulla”1. Pausania, in quel magico periodo, è una presenza costante nella mente e nella fantasia di de Chirico. Trasfigurandosi nel viaggiatore e geografo la cui prosa era intrisa di un mesto spirito di nostalgia e di rievocazione degli antichi riti e miti, egli si lascia trasportare in un vero e proprio “voyage autour de sa chambre”, nel quale la lirica rievocazione della terra della sua infanzia, filtrata dalle memorie classiche, si immerge nelle brume di una moderna nostalgia romantica: “[…] egli sapeva – scrive nel 1928 – che secondo le più recenti scoperte già annunciate nell’ultimo numero della Monatliche Zeitschrift der metaphysischen Weltanschauung bastava la longitudine del pavimento e del soffitto ed ecco che il famoso capo Matapan era là, in quell’angolo inquietante della sua camera cosparso di rovine bagnate dall’onda gialla dell’Alfeo. Il fantasma di Pausania errava nella stanza accanto col suo bastone da viaggiatore in mano […]”2. Giorgio de Chirico, Nudi antichi, 1927 Un gioco di rovesciamento del tempo e dello spazio nel quale l’artista non perde il suo gusto innato per la sorpresa. Da un lato, in alcune composizioni anticipa accordi cromatici di un gusto Pop decisamente ante litteram. Oppure, come in questo e in altri rarissimi quadri, resuscita il processo stilistico rococò e neoclassico del monocromo assoluto3. Un procedimento che pone queste opere tra le più interessanti degli anni Venti, collegando le figure dei suoi destrieri alle ombre spettrali della Metafisica e conferendo alla rappresentazione un senso fantasmico: natura ed esseri viventi diventano statue di marmo facendo un blocco unico con le rovine. Allo stesso espediente ricorrerà negli anni Cinquanta Magritte, il più dechirichiano di tutti i Surrealisti, per rendere l’idea della memoria, i cui contorni naturali si perdono in una sorta di astratta pietrificazione. L’emozione suscitata, al loro primo apparire, da questi quadri di de Chirico, ebbe in Italia, nel decennio seguente, una vasta eco letteraria, che si rintraccia, tra l’altro, in molti versi di Salvatore Quasimodo, là dove canta “le spiagge ove corrono in amore cavalli di luna e di vulcani” (1936), o si abbandona all’appassionata rievocazione della terra natia (Strada di Agrigentum, 1938): “Là dura un vento che ricordo acceso nelle criniere dei cavalli obliqui in corsa lungo le pianure, …” Anche Carlo Emilio Gadda ci ha lasciato un ispirato omaggio all’arte di de Chirico, pittore di cavalli (Autografo per Giorgio de Chirico, 1938): “Da mattutine spiagge il tempo ha residuato l’immobilità della luce, l’angoscia della memoria. L’Egeo, dove si sono arenati i millenni, specchia la solitudine azzurra, cieli disabitati. (…) I bianchi cavalli sono usciti di mano ad Ettore […]. La loro criniera, la loro coda si arriccia e si fa labile come spuma d’eterno, si dissolve nel vano aberrare della luce. Assistono con stupefatti occhi alla marina dove non è che memoria, azzurra memoria”.
Dietro la storia di questo quadro, in eccellente stato di conservazione e con telaio e tela originali, spunta la figura misteriosa ed eccentrica del ricchissimo collezionista e magnate Albert C. Barnes, che nella sua casa museo di Merion in Pennsylvania, a mezz’ora di macchina da Philadelphia, aveva raccolto centinaia di capolavori impressionisti, postimpressionisti e del primo Novecento. Barnes, che aveva condiviso con Paul Guillaume la passione per la scultura negra, era stato da lui introdotto all’arte di Modigliani e di de Chirico, di cui era diventato uno dei massimi estimatori e collezionisti4. Uomo generoso ma pratico, Albert Barnes, che durante i periodici viaggi a Parigi acquistava in massa, da Guillaume e da altri, opere d’arte moderna che poi importava in America, non disdegnava di rivenderne alcune, anche al costo o addirittura a prezzo inferiore, ma sempre e solo a persone di suo gradimento e che a suo giudizio fossero culturalmente e moralmente in grado di apprezzarle e soprattutto di fruire di quella elevazione spirituale che egli considerava fondamentale nello stabilire il valore e il significato di un’opera d’arte5. Proveniente dallo studio di Paul Guillaume, il dipinto era stato ceduto da Barnes, prima del 1928, a un conoscente o amico che abitava in una delle grandi ville signorili che nobilitano la campagna del New England attorno a Philadelphia. Tutti gli Giorgio de Chirico, Ritratto di A.C. Barnes, 1926
Giorgio de Chirico, Manifesto per la Galleria Paul Guillaume, 1914
Giorgio de Chirico, L’énigme du cheval, 1913
arredi della villa, quadri compresi, furono messi in vendita all’asta in un paesino vicino a Merion nei primi anni Novanta. Il dipinto fu acquistato dal signor Alan Neville di Philadelphia che lo cedette alla Paolo Baldacci Gallery di New York nel 1995. Al tempo dell’acquisto da parte della galleria esso si trovava nella cornice originale, piuttosto povera e dipinta in bianco e azzurro, siglata e numerata sul retro in matita da Paul Guillaume: “P: G. - 608”. Paolo Baldacci
A. Savinio, Narrate, uomini, la vostra storia, Milano, 1942, p. 248. Le survivant de Navarin, in W. George, Chirico, avec des fragments littéraires de l’artiste, Edition des Chroniques du Jour, collection «Les Maîtres Nouveaux», Parigi, 1928. 3 Dal Piccolo trattato di tecnica pittorica, Milano, 1928: “Pittura monocroma o quasi – Dipingere un quadro in toni chiarissimi con ombre molto pallide alternando un colore freddo grigio chiaro (bianco con nero di carbonella) con un colore grigio marronastro caldo (bianco con nero di vigna o d’avorio e terra d’ombra bruciata o anche bianco con terra di Cassel)”. 4 Di ritorno dal suo viaggio in America (agosto 1936 - gennaio 1938), svoltosi in gran parte sotto l’egida e il patrocinio di Albert Barnes, de Chirico scrisse un divertente articolo in suo ricordo intitolato “Barnes collezionista mistico” sul quotidiano milanese “L’Ambrosiano” (16 febbraio 1938). 5 Barnes, amico, sostenitore e seguace del filosofo John Dewey, caposcuola del pragmatismo americano, si piccava di essere anche critico e storico dell’arte, e in tale qualità ha pubblicato, a spese della sua Fondazione, numerosi saggi critici nei quali espone le sue idee sull’arte come elemento fondante di una formazione morale e spirituale dell’uomo. 1 2
René Magritte, Souvenir de voyage, 1951
Giorgio de Chirico, Due cavalli, (1927)
Dieci capolavori italiani del Novecento 550
Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Cavalli e rovine in riva al mare, 1927 Olio su tela, cm. 91,7x73,7 Firma in alto a destra: G. de Chirico. Al verso sul telaio: etichetta Kunstsammlungen NRW, Düsseldorf / Die Andere Moderne / De Chirico/Savinio (4082) / 15. September - 2. Dezember 2001, Kat. Nr. 126: etichetta “La bella pittura 1900 - 1945” / Pinacoteca provinciale di Potenza / ottobre 2003 - gennaio 2004 / Cat. pp. 84-85: etichetta Fondazione della Camera dei Deputati / “Montecitorio e la bella pittura 19001945” / Roma, Palazzo Montecitorio, Sala della Regina / Cat. pp. 70-71; sulla cornice: scritta P.G. 680. Storia Collezione Paul Guillaume, Parigi; Collezione Albert C. Barnes, Philadelphia; Collezione Alan Neville; Collezione privata, Stati Uniti; Collezione privata Certificato su foto di Paolo Baldacci, Milano, 3 settembre 1997, perizia n. 3/97; dossier storico-artistico di Maurizio Fagiolo dell’Arco, novembre 1997; certificato su foto Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, 24 marzo 2003, con n. 0017/03/03/OT. Esposizioni Die Andere Moderne, De Chirico / Savinio, Düsseldorf, Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, 15 settembre - 2 dicembre 2001, poi Monaco, Lenbachhaus, 20 dicembre 2001 - 10 maggio 2002, cat. p. 318, n. 126, illustrato a colori; La bella pittura 1900-1945, Potenza, Pinacoteca Provinciale, 10 ottobre 2003 - 19 gennaio 2004, cat. pp. 84, 85, 189, illustrato a colori; Montecitorio e la bella pittura 1900-1945, Roma, Palazzo Montecitorio, Sala della Regina, 2 marzo - 9 aprile 2004, cat. pp. 70, 71, illustrato a colori; La natura secondo de Chirico, a cura di Achille Bonito Oliva, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 9 aprile - 11 luglio 2010, cat. p. 75, n. 14, illustrato a colori; Giorgio de Chirico. Le Voyant, Firenze, Galleria d’Arte Frediano Farsetti e Palazzo Corsini, 29a Biennale Internazionale dell’Antiquariato, 25 settembre - 4 ottobre 2015, cat. pp. 30, 31, n. 4, illustrato a colori; Giorgio de Chirico. The Enigma of the World, Istanbul, Pera Museum, 23 febbraio - 1 maggio 2016, cat. p. 171, illustrato a colori. Attestato di libera circolazione. Stima E 900.000 / 1.300.000
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Mario Sironi, Il camion, 1920
Nonostante i Paesaggi urbani siano una delle più originali invenzioni di Mario Sironi e dell’intera arte italiana del XX secolo, la loro genesi e collocazione rimare ancora poco definita tra gli ultimi esiti del Futurismo e le prime conquiste del ritorno all’ordine. In realtà fino a tutto il 1920 essi rientrano a pieno titolo nel complesso dibattito dell’avanguardia internazionale, e nella fattispecie futurista, cui Sironi continua ad aderire e che si confronta con le molteplici tendenze (anch’esse avanguardiste) della Metafisica e del “consolidamento” delle forme dopo le decostruzioni delle prime avanguardie. L’invenzione sironiana del Paesaggio urbano aveva trovato una prima strutturazione nei casamenti sullo sfondo del Camion di Brera del 1914-1915, e successivamente in un’illustrazione del gennaio del 1916 per “Gli Avvenimenti”, ove il paesaggio si fa più chiaro, spazialmente definito, oltre che nei due Ciclisti (ex collezione Sarfatti; Guggenheim Museum, Venezia) del 1916. Come si vede l’incubazione Mario Sironi, Il camion, 1914-15, Milano, Pinacoteca di Brera, Collezione Jesi del tema è lunga, e infine le prime immagini icastiche, autonome del tema devono collocarsi tra l’aprile e il giugno 1919, durante il soggiorno romano dell’artista: il che ne dimostra in effetti l’astrazione, il valore visionario e simbolico, poiché i casamenti e le periferie sono certamente ispirati a quelli di Milano, ma elaborati a distanza, attraverso il filtro delle immagini di Carrà (L’ovale delle apparizioni) e gli spazi di de Chirico1. Sono “stati d’animo” che non nascono dalle contingenze, da un’osservazione del vero, ma da una pura visione futurista. Non sono molti i Paesaggi urbani di questo periodo. I primi (aprile-giugno 1919) sono il Paesaggio urbano e camion della Fondazione Cerruti (in deposito al Castello di Rivoli) e Il camion giallo, (Museo di Gallarate) identico per tecnica, colori, soluzioni stilistiche: in quest’ultimo la dichiarata, anzi entusiastica appartenenza futurista dell’immagine è sottolineata dai ritagli del Zang Tumb Tumb di Marinetti incorporati nel camion. Il camion rappresentato è il 15 ter Fiat, un camion leggero usato largamente dall’esercito durante la Grande Guerra (e il ritaglio marinettiano sottolinea il tema bellico del soggetto) che corrisponde esattamente al titolo di un’opera esposta alla mostra personale da Bragaglia del luglio 1919, con la quale va certamente identificato. La datazione certa al secondo quarto del 1919 dei primi dipinti di periferie, fa slittare tutto il corpus di Paesaggi urbani in una nuova riflessione cronologica. Le opere iniziali appartengono al momento di temporanea riflessione sulla Metafisica (esperita a Roma tra il marzo e il settembre), cui si interseca la consolidata esperienza futurista di Sironi: il collage riporta intimamente al linguaggio
anche se datato gennaio), il manifesto futurista Contro tutti i ritorni in pittura, che attacca esplicitamente proprio Carrà. Forse fu dall’episodio di quella mostra che scaturì l’urgenza definitiva di differenziarsi dai “romani”. Agli Ipogei Sironi espose tre Paesaggi urbani, uno solo dei quali identificabile con certezza grazie a una recensione corredata di fotografia: il Paesaggio urbano con camion3, di collezione privata. Tuttavia, i paesaggi urbani dei primi anni Venti di Sironi non sono molti, e grazie a varie recensioni si può tentare di identificare gli altri col Paesaggio urbano di Brera e Il tram della Galleria Comunale di Palermo. Quest’ultimo ha una stretta affinità con le illustrazioni di analogo soggetto pubblicate tra il gennaio e l’aprile di quell’anno sui fascicoli delle “Industrie Italiane Illustrate”, esattamente come il dipinto Il camion di cui parliamo in questa scheda. In questo quadro nuovamente Sironi rappresenta il camion Fiat 15 ter, in una periferia quasi astratta, allontanata nello sfondo da un ripido palcoscenico metafisico. Il personaggio impassibile è un aggiornamento delle figure spaesanti di manichini (La venere dei porti, Musei Civici di Milano, Fondazione Boschi; La lampada, Brera) dell’anno precedente.
Mario Sironi, Solitudine, illustrazione de “Gli Avvenimenti”, anno II, n. 5, 23-30 gennaio 1916, p. 17
futurista, così come il soggetto urbano con camion. Dall’inizio della guerra Milano era diventata il baricentro degli impegni (almeno illustrativi) di Sironi, che si era vieppiù andato legando all’ambito culturale, oltre che di Marinetti, di Margherita Sarfatti. La decisione definitiva di trasferirvisi nel settembre 1919 nacque in conseguenza dell’ostilità tra “Valori Plastici” (Broglio aveva aspramente criticato la sua mostra da Bragaglia) e l’ambiente milanese pilotato, appunto, da Margherita Sarfatti e da Marinetti. La scelta di Sironi diviene dunque anche una scelta di campo, oltre che di pur contrastata affinità con l’ambiente “moderno”, industriale e dinamico di Milano: un contrasto che evidenzia il sentimento grave e spaesante dei Paesaggi urbani, non pure immagini di una città moderna, ma di una città sovrastante, aliena e straniante, gravida di sensi contraddittori2. Il 20 marzo 1920, si inaugura la Galleria Arte (degli Ipogei) di Milano, con una collettiva organizzata da Margherita Sarfatti e dal critico futurista Buggelli (già compagno di Sironi nel Battaglione ciclisti); gli artisti sono quasi tutti, in quel momento, più o meno decisamente vicini al Futurismo; ma sono presenti anche de Chirico e – curiosamente – il “milanese-romano” Carrà. Curiosamente perché Sironi avrebbe sottoscritto, proprio nel periodo della mostra (aprile, M. Sironi, Il camion giallo, 1919, Gallarate, Galleria d’Arte Moderna
M. Sironi, Il tram, 1920, Palermo, Civica Galleria d’Arte Moderna
L’atmosfera sospesa e inquieta, in cui pare di udire solo il rombo cupo del camion, rende questo dipinto, come la ristretta serie di suoi compagni eseguiti nel corso dell’anno, un capolavoro della prima intensa esplicazione del tema, dopo i prototipi del 1919. Il dipinto mostra una struttura spaziale semplificata, ove gli edifici si svolgono più che altro paralleli allo spettatore, senza particolari audacie nei cardini spaziali: più caratteristici di opere che ritengo siano prevalentemente da riferire agli anni successivi. Margherita Sarfatti nella presentazione in catalogo della mostra, ci dà inizialmente una lettura futurista “riformata”, plastica di Sironi, ove “gli aspetti tumultuari e confusi della vita moderna” sono tuttavia volti “verso l’ordine e l’armonia”. Pochi giorni dopo, in due recensioni alla stessa mostra4, ella sterza invece su uno dei primi termini di inquadramento delle opere sironiane in termini di “compostezza” e “classicità”, anziché di modernità futurista. È il segno che essa sta seguendo la strada europea del “ritorno all’ordine”5, che però ancora non sembra al momento direttamente coinvolgere Sironi, se non genericamente. “Mario Sironi, in almeno due dei tre Paesaggi esposti, rivela l’equilibrio profondo al quale è giunto il suo temperamento artistico [...] Egli ha appreso dagli antichi la lezione della misura, della compostezza e della sobrietà squadrata e semplice: ma questa misura aurea della classicità la desume dai vecchi maestri senza imitarli: e gli aspetti più disordinati e squallidi della vita odierna per essa restano glorificati”6. Le forme tornite e semplificate esaltano i contenuti di tragicità quotidiana: Margherita Sarfatti autorevolmente riferisce a Sironi un idealismo sublimante, “glorificante”, per usare la parola esatta, più volte da lei utilizzata. Una parola che le permetteva di non usare (non ancora, a quell’altezza cronologica) il termine esplicito “classicheggiante”, rendendolo più accettabile al Sironi ancora determinatamente futurista, e anche più gravido di un senso estetico e morale, filosofico, che si addiceva bene alla cultura giovanile sironiana, tra Schopenhauer e Nietzsche. Altri dipinti riferibili al 1920 sono Il Camion della Fondazione Cerasi (Roma) e, collocabile verso la fine dell’anno, Cavallo bianco e molo (collezione privata). Come si vede si tratta di pochissimi dipinti, di altissima forza espressiva, di stridente afflato futurista e metafisico, ma con i semi di un’incipiente “ordine”, non ancora classicista. Questa rarità di opere va messa in relazione con l’inizio di una fervida attività illustrativa che assorbe l’artista oltre ogni previsione. La massima concentrazione è proprio tra il 1920 e il 1924, con una massa tale di lavoro che ovviamente gli rende la pratica della pittura più difficile, o quantomeno più lenta7. Una serie di
lettere alla moglie del 1920, relative alla pressante collaborazione con Notari e le “Industrie Italiane Illustrate”, lascia intendere il rovello che lo impegna continuamente, assorbendone ogni energia: “Io ho una notarite acutissima”, “[...] ho passato una giornata penosa e angosciata [...] i disegni di Notari...! La danza è ricominciata e viene il mal di mare [...] È Notari che mi sconnette!”, “Io lavoro lavoro! Mi trapano il cervello Notari ritorna imminentissimo”8. Fabio Benzi
I riferimenti molteplici a Carrà e a de Chirico sono riferiti in F. Benzi, Mario Sironi: il percorso della pittura (pp. 13-37) e schede delle opere (pp. 87367), in Mario Sironi, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 9 dicembre 1993-27 febbraio 1994), a cura di F. Benzi, Electa, Milano, 1993. Un’analisi minuziosa della cronologia e dell’intero nucleo dei Paesaggi urbani (a cui rimandiamo) sarà tra poco pubblicata nel catalogo della mostra da me curata, Mario Sironi. Dal Futurismo al Classicismo 1913-1924, che aprirà a Pordenone, Galleria Harry Bertoia-Palazzo Spelladi, 15 settembre-16 dicembre 2018. 2 Questa lettura è confermata da una lettera a Luciano Folgore dell’aprile 1920, esattamente il periodo in cui stava realizzando il maggior numero di Paesaggi urbani: “Dunque verrete a Milano? Vedrai una gran brutta ‘mangiatoia’ come dice Costantini brutta e danarosa […]. Eccellente per lavorare col muso nella fatica nella realtà più brutta, ma solida e i ricordi i ricordi passi di un mucchio di illusioni” (in C. Salaris, Luciano Folgore e le avanguardie, Firenze, 1997, p. 307). Anche in una lettera alla moglie del settembre 1919 l’impressione milanese è cupa e contraddittoria: “Che cosa può darmi la città commerciante se non il ribrezzo e il bisogno di difesa contro la sua stessa potenza?”; in M. Sironi, Scritti editi e inediti, a cura di Z. Birolli, Milano, 1971, p. 270. 3 E. Somarè, Galleria delle mostre temporanee, in “Il Mondo”, 11, 4 aprile 1920. 4 M. Sarfatti, Considerazioni sulla pittura a proposito dell’Esposizione Arte, in “Il Convegno”, 3, aprile 1920; Ead., La nuova Galleria Arte, in “Il Popolo d’Italia”, 3 aprile 1920. 5 Su Margherita Sarfatti e i suoi orientamenti filosofici ed estetici, cfr. Da Boccioni a Sironi. Il mondo di Margherita Sarfatti, catalogo della mostra (Brescia, Palazzo Martinengo, 13 luglio-12 ottobre 1997), a cura di E. Pontiggia, Milano, 1997. 6 M. Sarfatti, La nuova Galleria Arte, cit. 7 Sironi, trasferitosi a Milano, inizia a collaborare dal gennaio 1920 alla rivista “Le Industrie Italiane Illustrate”, diretta da Notari (che già aveva commissionato a Sironi le illustrazioni per “Gli Avvenimenti” tra 1915 e 1916), amico di Marinetti e Mussolini, per la quale disegna, fino al settembre 1921, 75 tavole (praticamente una ogni settimana) di notevole impegno formale, quasi tutte a tempera e di grandi dimensioni. Il settimanale riuniva ed esprimeva il sostegno delle industrie italiane al fascismo. 8 Cfr. gli stralci di lettera, resi noti da A. Sironi, in F. Benzi, A. Sironi, Sironi Illustratore. Catalogo ragionato, Roma, 1988, p. 40. 1
Mario Sironi, Antiborghesi, illustrazione de “I.I.I.”, anno IV, serie generale, n. 12, sez. D, n. 3, quarta settimana del marzo 1920
Dieci capolavori italiani del Novecento 551
Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961
Il camion, 1920 Olio su tela, cm. 47,5x66,3 Firma in basso a destra: Sironi. Al verso sul telaio: etichetta Galleria Milano, Milano, con n. 870: etichetta Galleria d’Arte Cairola, Milano: etichetta Galleria dello Scudo, Milano / Opera esposta in «Mario Sironi - cinquant’anni di pittura italiana» Mostra antologica / novembre 1982 - 30 gennaio 1983. Esposizioni Mario Sironi. Cinquant’anni di pittura italiana, mostra antologica col patrocinio della Regione Veneto, Verona, Galleria dello Scudo, 20 novembre 1982 - 16 gennaio 1983, cat. p. n.n., illustrato; Mario Sironi, a cura di Fabio Benzi, New York, Philippe Daverio Gallery, 4 maggio - 10 giugno 1989, cat. pp. 37, 62, n. 4 e copertina, illustrato a colori; Mario Sironi 1885-1961, a cura di Fabio Benzi, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 9 dicembre 1993 - 27 febbraio 1994, cat. p. 155, illustrato a colori; Firenze - New York. Rinascimento e Modernità. Da Luca Signorelli a Andy Warhol, Firenze, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 30 settembre - 10 dicembre 2011, cat. n. 17, illustrato a colori; Tutti in moto. Il mito della velocità in cento anni di arte, Pontedera, Palp - Palazzo Pretorio, Museo Piaggio, 9 dicembre 2016 - 18 aprile 2017, cat. p. 120, illustrato a colori. Bibliografia Giampiero Giani, Mario Sironi, presentato da Luciano Anceschi, Edizioni della Conchiglia, Milano, 1944, tav. 11; Marco Valsecchi, Mario Sironi, Editalia, Roma, 1962, p. 65, n. 9. Stima E 580.000 / 780.000
Il camion Fiat 15 ter in una foto d’epoca
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Una pietra miliare nella pittura di figura del Novecento: Il gobbo alla finestra
«Gli uomini […] furono sempre i miei bersagli preferiti e fino a quando non ho potuto dimostrare la tragedia della loro presenza sulla terra […], mi son divertito a pigliarli a sassate.» O. Rosai, Sulla soglia dell’irraggiungibile
Ottone Rosai, Il gobbo, 1937
Ottone Rosai, Il gobbo alla finestra, 1938
Il Gobbo – giusta la maiuscola – è un’apparizione che ammalia Rosai in gioventù. In Via Toscanella (Vallecchi, 1930), gli dedica un intero capitolo: «A Firenze c’è un gobbo che pochi conoscono perché non è in regola con le persone per bene. Ha una faccia da ippopotamo, dai suoi occhi vengono avanti dei raggi tra il verde e il bianco e dalla bocca escono le più nere sentenze passando attraverso una fila di denti bianchissimi. Il suo corpo è normale, ma al basso anziché averci il sedere si vedono uscir fuori due cilindri staccati l’un dall’altro e che scendendo fino in terra prendono forma e nome di gambe in quanto hanno i piedi. Appoggiato a una fonte, a un piolo, lo trovi qua e là per Firenze e pensi che non abbia nessuna missione dalla natura. Nient’affatto, ha il suo daffare. Fermo, incrollabile, in una strada fra le più frequentate egli mette insieme qualcosa che sa d’infernale: guarda e fa sì che tu veda i riflessi verdi-bianchi degli occhi e il bianco dei denti tanto da creare un continuo lampeggiare e dietro ti scatena una tal quantità di toni che fa uscire dal fil della schiena premendosi il ventre, e ogni persona (così detta per bene) passando è costretta a vedere, sentire e darsela a gambe. Io m’incanto a guardarlo e invidio la sua libertà.» Un primo disegno nel quale Rosai raffigura questo tipo suggestivo è del 1921. Lo troviamo pubblicato nel 1942 in Disegni di Ottone Rosai, testo di Raffaello Franchi (Ulrico Hoepli Editore, collana Arte Moderna Italiana). Altro foglio di rilievo, quello del 1926, riapparso nella mostra Rosai. L’assillo della verità, che ebbi a curare per la Fondazione Limoni e Livi «Ad Sidera» di Castiglion Fiorentino (18 dicembre 2011 - 29 gennaio 2012): nel catalogo è riprodotto a p. 21, n. 6. Mantenendo il dovuto ordine cronologico, nella rappresentazione rosaiana del medesimo soggetto, è poi da citare il piccolo dipinto del 1928, esposto nella personale alla Galleria del Milione di Milano nel 1930 (organizzata da Edoardo Persico). Un ulteriore disegno, datato 1935, è illustrato (p. 198) nella monografia di Pier Carlo Santini (Rosai, Vallecchi, Firenze, 1960; seconda edizione 1972). Il capolavoro ora in presentazione è preceduto dall’esecuzione di almeno due tele analoghe, molto più piccole, invero, nelle dimensioni: entrambe 50x40 cm. La prima è del 1937 (nel catalogo della mostra Ottone Rosai, a cura di L. Cavallo, Farsettiarte, Prato, poi Palazzo Reale, Milano, 1995-1996, p. 175, n. 111). La seconda, dell’anno successivo, tanto più pregiata, già appartenuta a Curzio Malaparte, è documentata per la prima volta in occasione dell’esposizione Da de Chirico a Ferroni. Il Novecento fra epoche, ipotesi e provocazioni, a mia cura, Museo Civico «Piero della Francesca», Sansepolcro, 11 settembre - 14 novembre 2004 (in cat. p. 55, n. 17).
L’affascinante monumentalità del dipinto più celebre della ristretta serie – questo, olio su tavola cm 170x140 – rimanda, dal punto di vista iconografico, oltre che all’Interno con figure del 1935, alle figure dei contadini di Villamagna perpetuate da Rosai, a grandezza naturale, nel 1934 (Pietro il povero, Eliseo, Socrate, Il Capoccia) e, ancora, al Grande nudo nel paesaggio del 1933 (in Santini, 1960, cit., n. 142); finanche ai Giocatori di toppa del 1928, ex collezione Enrico Vallecchi, ora nella raccolta d’arte del Monte dei Paschi di Siena. Di notevole interesse il racconto di Nino Tirinnanzi del suo incontro a Londra – francamente casuale – con Francis Bacon: nella monografia di Santini del 1960, cit., mostratagli dal grande pittore irlandese in occasione della breve visita al suo studio, vi erano dei foglietti – una decina in tutto – per facilitare la visione delle opere da lui ritenute più importanti: Autoritratti e Nudi, specificò sempre Tirinnanzi. Unica eccezione, una copia cartacea ingrandita della piccola riproduzione n. 280: Il gobbo alla finestra, appunto. A sottolineare l’attenzione e il fascino che questa eccellenza rosaiana – diremmo più in generale dell’arte del Novecento, tutto – ha sempre suscitato negli osservatori più illustri, la preferenza per essa manifestata da uno dei maggiori artisti viventi, George Baselitz (all’anagrafe Hans-Georg Kern, 23 gennaio 1938). Una notizia, della quale stiamo attualmente verificando la certezza, vorrebbe addirittura il Maestro tedesco interessato all’acquisto del dipinto in un’asta pubblica all’inizio degli anni Ottanta. Fondamentale, peraltro, la testimonianza a noi riservata da Dino Caponi – che visse con Rosai praticamente ogni giorno dal 1932 a quello della sua morte a Ivrea il 13 maggio 1957 –, avendo egli assistito alle varie fasi della realizzazione di questo esito apicale: «Al solito, [Rosai] disegnò prima la figura a carbone, poi tracciò le linee per definire la prospettiva dell’interno, infine il volume sul quale il gobbo poggia il piede sinistro. Lasciò invece in sospeso quanto oltre la finestra. A decidere questa inquadratura fu, mentre aveva già iniziato a dipingere, il ritrovamento di un Paese del 1935 (Inediti di Rosai, Edizioni Pananti, Firenze, 1983, tav. 6): ritenendo, questo, di particolare qualità, decise che lo avrebbe in parte riadattato per il decisivo fondale». Una versione successiva di questo tema, meno significativa, fu presente, infine, in una mostra di opere di Rosai tenutasi alla Galleria Gussoni di Milano nel gennaio 1960 (in cat. n. 6, ill.). Giovanni Faccenda* *Curatore del Catalogo Generale Ragionato delle Opere di Rosai, di prossima uscita, per Editoriale Giorgio Mondadori (primo volume)
Ottone Rosai, Giocatori di toppa, 1928, Collezione Monte dei Paschi di Siena
Dieci capolavori italiani del Novecento 552
Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Il gobbo alla finestra, 1938 Olio su tavola, cm. 170x140 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / 38. Al verso: etichetta Centenario della Nascita 1895-1995 / Ottone Rosai / Antologica - 200 opere dal 1913 al 1957 / Farsettiarte / Prato - 23 settembre / 22 ottobre 1995 / Cat. n. 117: etichetta Ottone Rosai / Opere dal 1911 al 1957 / Circolo degli Artisti / Torino / Aprile / Maggio 1983, con n. 61: etichetta Collezione Carlo Larese, Cortina d’Ampezzo: etichetta Onoranze a / Ottone Rosai / Mostra dell’Opera di Ottone Rosai / Firenze, Palazzo Strozzi / maggio - giugno 1960, con n. 176: etichetta Ministero per i Beni Culturali e Ambientali / Soprintendenza Speciale alla Galleria / Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea / Mostra Ottone Rosai / 20 luglio 18 settembre 1983: etichetta Museum Ludwig, Köln. Storia Collezione Carlo Larese, Cortina d’Ampezzo; Collezione VAF, Francoforte; Collezione privata Esposizioni Mostra dell’opera di Ottone Rosai, Firenze, Palazzo Strozzi, maggio - giugno 1960, cat. p. 176, tav. 65, illustrato; Ottone Rosai, Focette, Galleria Farsetti, 7 - 28 luglio 1973, cat. n. 18, illustrato; Ottone Rosai, Varese, Galleria della Piazza, 30 novembre 1973 - 6 gennaio 1974, cat. n. 9, illustrato; Ottone Rosai, venti opere vent’anni dopo, Cortina d’Ampezzo, Galleria Farsetti, 6 agosto - 4 settembre 1977, cat. n. VII, illustrato;
Ottone Rosai, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 2 agosto 10 settembre 1980, cat. n. 34, illustrato; Ottone Rosai, Milano, Galleria Farsetti, 18 novembre 1982 8 gennaio 1983, poi Prato, 15 - 29 gennaio 1983, cat. n. XIV, illustrato; Ottone Rosai, opere dal 1911 al 1957, Torino, Circolo degli Artisti, Palazzo Graneri, aprile - maggio 1983, cat. p. 108, n. 61, illustrato, poi Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 22 luglio - 18 settembre 1983, cat. p. 120, n. 67, illustrato, poi Firenze, Palazzo Strozzi, 13 novembre - 18 dicembre 1983, cat. p. 120, n. 67, illustrato; Italie hors d’Italie, Nimes, Musée d’Art Contemporain, luglio settembre 1987, cat. p. 18, tav. 60, illustrato a colori; Ottone Rosai, 200 opere dal 1913 al 1957, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Farsettiarte, 23 settembre - 22 ottobre 1995, poi Milano, Palazzo Reale, 26 ottobre 1995 - 6 gennaio 1996, cat. n. 117, illustrato a colori. Bibliografia Pier Carlo Santini, Rosai, Vallecchi Editore, Firenze, 1960, tav. 280; Umberto Baldini, Pittori toscani del Novecento, Nardini Editore - Banca Toscana, Firenze, 1978, p. 207. L’opera sarà inserita nel primo volume del Catalogo Generale Ragionato delle Opere di Rosai, a cura di Giovanni Faccenda, di prossima uscita, per Editoriale Giorgio Mondadori. Stima E 150.000 / 200.000
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Felice Casorati e le sue “apparizioni” Nel 1934, quando dipinge questo Nudo sdraiato nello studio, Felice Casorati è già un pittore affermato nel panorama artistico italiano. Esordiente alla Biennale di Venezia nel 1907, Casorati subisce il fascino secessionista attraverso due importanti esposizioni di Gustav Klimt in Italia e partecipa all’esperienza rinnovatrice degli artisti di Ca’ Pesaro, dove nel 1913 allestisce una sala personale composta da quarantuno opere tra tele e lavori di grafica. Trasferitosi a Torino nel 1917, pochi anni dopo apre nel proprio studio in via Mazzini una scuola d’arte per giovani, caratterizzata da un clima di grande apertura culturale. Il celebre Ritratto di Silvana Cenni del 1922 manifesta l’avvenuta virata verso il recupero dell’arte rinascimentale, in particolare di Piero della Francesca, che caratterizza ognuno degli elementi del ritratto impostato attraverso l’armonia e la chiarezza dei volumi desunti dall’arte antica. La profonda cultura artistica e musicale di Casorati permette all’artista di dialogare con intellettuali e critici tra i più illustri di quel tempo, come Lionello Venturi, e di collaborare con un collezionista e mecenate come l’industriale torinese Riccardo Gualino. Felice Casorati fu uno degli artisti più vicini a Gualino, con il quale fondò a Torino il primo teatro d’avanguardia della città, una scuola di pittura in via Galliari, presso la casa dell’industriale, Riccardo Gualino che diventò ben presto un polo d’attrazione per la gioventù intellettuale torinese1. Insieme a Gualino, Casorati promosse il lavoro del Gruppo dei Sei, i giovani artisti capitanati dal teorico Edoardo Persico e da Venturi, rappresentanti di una posizione antiaccademica e antinaturalistica che rivendicava una continuità dell’arte moderna europea nel contesto italiano, manifestando una attenzione continua agli stimoli che venivano dai giovani e dall’arte del resto d’Europa. L’importante collezione di arte antica di Gualino, la pubblicazione de Il gusto dei primitivi e la promozione dell’arte coeva francese da parte dell’amico Venturi, contribuiranno nell’opera di Casorati a una riscoperta degli artisti del Trecento e Quattrocento basata su principi sensibili e sulla rivelazione di un accostamento emotivo, psicologico e non erudito alle opere italiane del passato. Un recupero dell’arte antica lontano da una rievocazione meramente esteriore e solo formale dello stile dei grandi artisti del Medioevo e del primo Rinascimento, a favore invece di un approccio flagrante alla pittura antica, che permetterà a Casorati di raggiungere l’atmosfera di vibrante, sospesa immobilità che nel Nudo sdraiato nello studio trova attinenza con l’analisi poetica di Giorgione avviata da Venturi2. Opere come Silvana Cenni, La Quiete e la più tarda Conversazione Platonica del 1925, come spiega Giacomo Debenedetti, anch’egli vicino a Casorati e Gualino, sembrano quindi allestite come silenziose ed immote “apparizioni” di figure umane e oggetti della vita reale, astratte da qualunque affettività e oggettivate fino a farsi segni giustificati dalla sola logica interna all’opera, seguendo un espediente simile a quello usato in letteratura da Luigi Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore3, la prima commedia concepita come “teatro nel teatro”. Nel 1926 e nel 1929 Felice Casorati espone alla Mostra del Novecento italiano riunita da Margherita Sarfatti, e le opere dell’artista seguono il trasferimento dell’esposizione presso la Kunsthalle di Berna e il suo itinerario in America del Sud. Felice Casorati, Ritratto di Silvana Cenni, 1922
Se Casorati resta un pittore essenzialmente autonomo rispetto agli obiettivi condivisi dal gruppo novecentista, il ricorso a una composizione impostata secondo modelli classici che riconosciamo anche in questo nudo, al pari della riduzione dell’ambientazione a pochi elementi essenziali, ovvero la figura e il letto su cui è distesa, e le poche notazioni relative alla stanza, appaiono vicini al clima del Novecento Italiano4, al pari della scelta di rappresentare una figura femminile distesa e abbandonata, con gli occhi chiusi e le braccia conserte. La presenza di un “quadro nel quadro” nel Nudo sdraiato nello studio, anzi di alcuni quadri collocati all’interno della scarna composizione del dipinto, ravvisabili nelle sagome sintetiche di figure umane condotte con larghe e rapide pennellate sulle tele collocate nell’angolo a destra e dietro il lettino della modella, appare attinente al paragone pirandelliano proposto da Debenedetti, favorito dalla diffusione dei Sei personaggi seguita all’aggiunta della prefazione esplicativa alla terza edizione della commedia pubblicata nel 1925. Il nitore dei volumi che caratterizza i dipinti di Felice Casorati negli anni Venti, accordato alla linea del Realismo Magico promossa da Massimo Bontempelli attraverso la tradizione figurativa rinascimentale, viene progressivamente abbandonato alla fine del decennio in favore di elementi che sembrano mostrare l’attenzione verso le novità sostenute dal Gruppo dei Sei. Tra questi è probabilmente grazie all’esperienza parigina di Enrico Paulucci del 1928 che Felice Casorati ha modo di approfondire le novità di André Derain, Raul Dufy e Picasso. Il sostegno e i contributi sulla pittura contemporanea francese di Venturi dalle pagine de “L’Arte”, e l’attività espositiva della Biennale avevano permesso a Casorati di accostarsi alla pittura di Matisse fin dal 1920, quando la sua Carmelina oggi a Boston, venne esposta a Venezia. Henri Matisse, Carmelina, 1903 Tuttavia, la nutrita raccolta di opere dell’artista in una personale allestita alla Biennale del 1928, orientarono Casorati verso la fase più recente del lavoro di Matisse, permettendogli di conoscere in particolare la serie delle odalische. È appunto a una delle odalische che il Nudo sdraiato nello studio sembra accostabile, sia nell’impaginazione in diagonale della figura che nel decorativismo lieve e sintetico, sotteso alla giustapposizione di superfici cromatiche piatte, dai profili sinuosi condotti con pennellate larghe, come quelle che descrivono i disegni della carta da parati. Le stesse pennellate descrivono le linee curve che sembrano ritagliare i nudi profilati sulle tele aprendo uno spiraglio verso l’astrazione pura, un’apertura che ha un rapporto effettivo con la biografia dell’artista. L’anno dopo aver condotto il nostro Nudo sdraiato nello studio, insieme a Paulucci, Casorati fonda lo studio destinato ad accogliere nel 1935 la “Prima mostra collettiva d’arte astratta italiana” alla quale, tra gli altri, partecipano Osvaldo Licini, Fausto Melotti e Lucio Fontana. Francesca Marini
L. Romano, La scuola di Casorati, in “L’Arte”, (nuova serie) 1, 1930, pp. 379383. 2 Cfr. L. Venturi, Giorgione e il giorgionismo, Milano, 1913; L. Venturi, Four Steps Toward Modern Art: Giorgione, Caravaggio, Manet, Cézanne, New York, 1956. 3 M.G. Messina, Debenedetti e le arti figurative, in Letteratura e arte, a cura di R. Tordi Castria, www.giacomodebenetti.it. 4 R. Bossaglia, H.R. MacLean, The Iconography of the Italian Novecento in the European Context / L’iconografia del Novecento italiano nel contesto europeo, in “The Journal of Decorative and Propaganda Arts”, Italian Theme Issue (Winter, 1987), 3, p. 59.
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Henri Matisse, Odalisca con magnolia, 1923-24
Dieci capolavori italiani del Novecento 553
Felice Casorati Novara 1883 - Torino 1963
Nudo sdraiato (nello studio) o Ragazza, (1934) Olio su tavola, cm. 45,3x65,2 Firma in basso a destra: F. Casorati. Al verso sulla tavola: etichetta Galleria d’Arte Rizziero, Teramo, con n. 429: etichetta Galleria Civica d’Arte Moderna - Torino / Mostra Felice Casorati, con n. 130: etichetta Galleria la Bussola, Torino. Storia Collezione Colongo, Biella; Collezione privata, Torino; Collezione privata Esposizioni Casorati, Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna, aprile maggio 1964, cat. n. 130, illustrato (opera datata 1933); Firenze - New York. Rinascimento e Modernità. Da Luca Signorelli a Andy Warhol, Firenze, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 30 settembre - 10 dicembre 2011, cat. n. 21, illustrato a colori. Bibliografia Luigi Carluccio, Casorati, Editrice TECA, Torino, 1964, pp. 328, 376, n. 439 (opera datata 1933); Giorgina Bertolino, Francesco Poli, Felice Casorati Catalogo Generale. I dipinti (1904-1963), 2 volumi, Umberto Allemandi e C., Torino, 1995, p. 352, n. 551, fig. 551. Stima E 80.000 / 120.000
Giorgione, Venere dormiente, Dresda, Gemäldegalerie
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Ardengo Soffici, Casolari, 1912-13 Dal 1900 al 1907 Ardengo Soffici compie un lungo soggiorno a Parigi durante il quale collabora con importanti riviste, tra cui La Plume, Revue Blanche e l’Europe Artiste, stringe rapporti di amicizia con artisti e intellettuali, come Apollinaire, Ferat, Braque, Jacob, Picasso e Archipenko, e compie una profonda ricerca sull’arte simbolista, impressionista e post-impressionista. Pittore, ma anche critico e letterato, al suo rientro in Toscana, preoccupato per la mancanza in Italia di artisti moderni e di una critica aperta a nuovi linguaggi, e deciso a divulgare le innovative poetiche europee, compie una meditazione intellettuale su poesia e pittura pubblicando numerosi articoli, contribuendo così in modo significativo al mutamento del clima culturale del paese. La ricerca artistica di Soffici risente in modo prorompente dell’esperienza francese. Inizialmente affine alla pittura simbolista, si avvicina alle nuove suggestioni atmosferiche e cromatiche degli Impressionisti, per raggiungere poi una profonda unità compositiva, di derivazione cézanniana, avvolta in un lirismo derivato dal primitivo Rousseau, che privilegia gli elementi del quotidiano resi con concreta pesantezza. Soffici elabora un linguaggio moderno profondamente legato alle proprie origini, alla cultura, alla tradizione formale e al realismo toscani, alla natura e alla vita quotidiana e popolare, resi con semplici mezzi costruttivi e con una materia asciutta, dall’intenso cromatismo. Convinto che per raggiungere un rinnovamento figurativo sia necessario mantenere una linea di continuità con la pittura dei maestri del passato, Soffici esorta l’arte italiana a prendere spunto da Cézanne, come scrive nell’articolo sull’artista, pubblicato nel 1908, in Vita d’Arte: “Senza legge, senza scrupoli il suo stile accusa le asperità dei contorni degli esseri e di ciò che li circonda […]. Iniziatore [...] di una nuova epoca pittorica […] ha fatto vedere come dai capolavori dei suoi antichi maestri […] si possa dedurre una pittura libera, feconda, sincera e meravigliosamente moderna”. Nel 1911, dopo un nuovo viaggio a Parigi, Soffici pubblica su La Voce un articolo dedicato alla rivoluzione cubista di Picasso e Braque. Consapevole dell’originalità della pittura di Picasso e della difficoltà nell’essere compresa dai contemporanei, ma convinto dell’importanza che essa avrà in futuro, spiega in una lettera del 12 giugno 1911 al direttore della rivista Prezzolini, preoccupato per la divulgazione di una tale sconvolgente proposta figurativa, che “se l’Italia dovrà un giorno capire che cosa voglia dire arte, avremo l’onore di essere stati i primi a indicarle i buoni creatori moderni”. Prezzolini, tuttavia, temendo che La Voce possa perdere credibilità, si rifiuta di pubblicare le immagini delle opere. Soffici trova le più importanti ispirazioni nelle opere di Picasso, innovative
Giovanni Papini e Ardengo Soffici
scomposizioni prospettiche degli elementi del reale, cariche del potere suggestivo della composizione, esaltato dall’armonia tra linee, colori e luce, e nelle raffinate, severe e musicali composizioni di Braque, ricercando i valori plastici nei semplici elementi del reale e compiendo una scomposizione dei piani che riporta sempre a una salda visione dell’oggetto. In questi anni Soffici, alla ricerca di un’arte libera dai limiti della tradizione accademica, trova nel movimento futurista l’unica “forza d’avanguardia” italiana. Così, dopo gli scontri avvenuti a Firenze nel 1911 tra Vociani e Futuristi, per le aspre critiche del pittore toscano alla pittura del gruppo e alla loro superficiale smania di modernità, nel 1913 vi aderisce, convinto di poter indirizzare il movimento verso un approccio più efficace, che trovi le fondamenta in una profonda e aperta cultura, che permetta di sviluppare, attraverso una ricerca attenta e rigorosa, il linguaggio più assoluto e rivoluzionario. Nel 1913 Soffici, per avere una totale libertà di parola, fonda con Papini la rivista Lacerba, a cui collaboreranno anche molti intellettuali e artisti conosciuti a Parigi. In questo stesso anno pubblica l’articolo Cubismo e oltre (Abbecedario), in cui esprime la volontà di superare la lezione di Picasso e Braque allargando la dottrina cubista alla poetica futurista per approdare a forme che possano identificare lo spirito italiano di modernità. Per ottenere questa evoluzione figurativa è necessario per Soffici trovare nuove suggestioni, analizzando più a fondo la sostanza delle cose, interpretare il reale con maggiore libertà e compiere un’audace rottura degli schemi figurativi moltiplicando i piani, gli elementi e le variazioni cromatiche, evitando “ogni anche più vaga tendenza all’arcaismo”. La sua ricerca approda adesso a uno stile cubofuturista, in cui i solidi volumi cubisti si fondono con una maggiore accumulazione formale degli elementi figurativi. L’opera Casolari, realizzata tra la fine del 1912 e l’inizio del 1913, ispirata ai paesaggi eseguiti da Picasso nel 1909 a Horta de Ebro, è eseguita negli anni in cui Soffici, profondamente influenzato dalla lezione di Cézanne e memore del cromatismo di Derain, Dufy e Léger, sviluppa una personale interpretazione del Cubismo. Incoraggiato da Picasso, in una lettera del 1911, a superare definitivamente le sovrastrutture decorative di derivazione simbolista, egli riesce ad avvicinarsi alla profondità del reale attraverso una visione essenziale degli elementi. In Casolari pennellate decise e vitali definiscono con linee sintetiche le forme degli edifici che s’intersecano e si sovrappongono tra loro secondo un equilibrato ritmo compositivo, sviluppando una forte potenza plastica dei volumi fondata su una solida struttura architettonica. La materia asciutta e opaca e il cromatismo intenso e vibrante, reso grazie al contrasto tra colori decisi e ampie zone chiare, esaltano il linguaggio puro e limpido, mentre la vegetazione, definita con pochi vitali tocchi, arricchisce la composizione di una componente dinamica che ne esalta l’armonia. In questa tela emerge la ricerca compiuta da Soffici per sviluppare un proprio mondo poetico, che approda a una “sincera e appassionata applicazione di lettura formale e lirica, un accordo di serenità e di schietta aggressività emotiva, quella armonia e ruvida grazia che nutre, sempre, l’intelligente equilibrio della” sua “scrittura figurativa” (F. Russoli, in catalogo V Biennale internazionale della grafica d’arte, Firenze, 1976, p. 36). Elisa Morello
Pablo Picasso, La cisterna di Horta, 1909
Georges Braque, Il castello di La Roche-Guyon, 1909
Dieci capolavori italiani del Novecento 554
Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Casolari, 1912-13 Tempera su cartone, cm. 58,2x48,7 Esposizioni Ardengo Soffici. L’artista e lo scrittore nella cultura del ‘900, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 1 - 30 giugno 1975, cat. p. 80, n. 28, illustrata; Ardengo Soffici (1879-1964). Mostra per il Centenario della nascita, a cura di Luigi Cavallo, Prato, Azienda Autonoma di Turismo e Galleria Farsetti, maggio - giugno 1979, cat. p. 85, n. 70, illustrata a colori; Soffici 1911-1915. Cubismo e Futurismo, a cura di Luigi Cavallo, Galleria Farsetti, Cortina d’Ampezzo e Milano, dicembre 1986 - gennaio 1987, cat. tav. IX, illustrata a colori; Ardengo Soffici, a cura di Luigi Cavallo, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 4 luglio - 13 settembre 1992, cat. p. 80, n. 21, illustrata a colori; Ardengo Soffici. Un percorso d’arte, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 24 settembre - 6 novembre 1994, cat. pp. 70, 104, n. 54, illustrata a colori; Ardengo Soffici, un’arte toscana per l’Europa, a cura di Luigi Cavallo, Firenze, Galleria Pananti, 4 ottobre - 20 novembre 2001, cat. pp. 120, 225, 226, n. 37, illustrata a colori; Ardengo Soffici. L’Europa in Toscana, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie Medicee, 13 ottobre 2012 - 27 gennaio 2013, cat. p. 96, illustrata a colori;
Ardengo Soffici, Studio per Casolari, (1912)
Ardengo Soffici. Giornate di paesaggio. 50 opere a cinquant’anni dalla scomparsa e 15 paesaggi di pittori italiani, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie Medicee, 26 aprile - 27 luglio 2014, cat. p. 54, illustrata a colori; Soffici e Rosai, realismo sintetico e colpi di realtà, a cura di Luigi Cavallo e Giovanni Faccenda, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie Medicee, 7 ottobre 2017 7 gennaio 2018, cat. p. 83, n. 14, illustrata a colori. Bibliografia Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze, 1967, p. 89, n. 182, tav. CXCI (opera datata 1914); Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Franco Russoli, Ardengo Soffici e il cubofuturismo, Edizioni Galleria Michaud, Firenze, 1967, p. 44 (opera datata 1914); Luigi Cavallo, Soffici. Immagini e documenti, Vallecchi, Firenze, 1986, tav. XLIX; Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, collaborazione di Luigi Corsetti, redazione di Oretta Nicolini, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Poggio a Caiano, 2011, p. 6 e copertina. Stima E 70.000 / 110.000
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Due dipinti di Alberto Savinio
C’è la verità? No. Ci sono “le” verità. Grande conforto per noi. Quanto più alto il numero delle verità, tanto più bassa la possibilità di una verità sola. Nostro compito è di aumentare il numero delle verità, fino a rendere impossibile la ricostituzione della verità. Compito sacrosanto. Perché la fisima della verità è la cagione di ogni follia quaggiù; e l’uomo che crede in una sola verità (Dio unico, verità unica, principio unico) reca in sé il germe della pazzia. Alberto Savinio, 1947
Alberto Savinio nasce ad Atene nel 1891, con il fratello maggiore Giorgio de Chirico compie i primi studi in Grecia e si diploma a soli dodici anni in pianoforte; in seguito alla morte del padre i due fratelli si trasferiscono nel 1906 a Monaco di Baviera e nel 1910 a Parigi. Quando Savinio inizia la sua produzione figurativa, a metà degli anni Venti, è già conosciuto negli ambienti culturali italiani e francesi per la sua attività di pianista e di scrittore; nella capitale francese tra il 1912 e il 1915 incontra Picabia, Derain, Brancusi, Ernst, Picasso, e fa parte della cerchia di Guillaume Apollinaire, teorico di una modernità fondata sulla ricerca e sul rifiuto dei luoghi comuni della cultura ufficiale, e proprio dalla sua rivista Les Soirées de Paris appare nel 1914 – anno in cui Savinio scriverà Les chants de la mi-mort, opera in versi liberi destinata ad essere accompagnata da musiche composte da lui stesso, che contribuirà ad allargare la sua fama – lo scritto saviniano Le drame et la musique nel quale, muovendo dalla tematica musicale, si delinea il profilo di un’arte nuova. È in questi anni a Parigi che si fa risalire la scelta di lavorare non con il nome originario di Andrea de Chirico, ma con lo pseudonimo di Alberto Savinio, mutuato dal nome del traduttore e letterato Albert Savine, scelta legata alla necessità di distinguersi dal fratello, la cui fama di pittore si stava diffondendo, ma anche dalla volontà di mascheramento che si concretizza nell’ironica metamorfosi dei nomi con i quali il pittore parla di sé: Nivasio, Animo, Aniceto e Dido. Nel secondo periodo parigino, a partire dal 1926, frequenta Cocteau, Vitrac, e Breton, che nel 1940 dalle pagine di Anthologie de l’humor noir citerà il suo nome tra gli iniziatori del Surrealismo, anche se lo stesso Savinio respingerà sempre la definizione di surrealista per la sua arte. Sicuramente Savinio dipingeva già da prima del ’26: Filippo de Pisis, frequentato durante il soggiorno ferrarese nel 1916, ricorda che in quel periodo l’artista realizzava disegni a penna, in stile preraffaellita e con figure alla Böcklin; certo è che le prove pittoriche a partire dal 1926 sono caratterizzate da un linguaggio sicuro, il suo universo immaginativo è già ben definito e la tecnica, personalissima, già matura. Per comprendere l’attività pittorica di Savinio si deve dunque partire dalla sua ricca esperienza d’avanguardia che trova riscontro specialmente negli scritti sull’arte pubblicati sulla rivista Valori Plastici tra il 1918 e il 1922; in questi saggi emerge l’idea – derivata dalla filosofia irrazionalista tedesca dell’Ottocento – di una profonda crisi del periodo storico contemporaneo che è causa di incertezza e precarietà e che dunque non può fornire soggetti per una pittura che voglia ricercare valori stabili e convinzioni, per cui l’artista deve Alberto Savinio, testo di Les chants de la mi-mort pubblicato in Les Soirées de Paris
esplorare la dimensione della memoria, ed è per tale motivo che la sua produzione iniziale trae ispirazione dalla memoria individuale della propria infanzia e da quella storica della civiltà mediterranea. Le immagini recuperate dalla cerchia familiare sono realmente riprese da album con foto di famiglia; in opere come Autoritratto da bambino, 1927, Savinio interroga il proprio passato restituendone immagini pietrificate e statue evanescenti che non acquistano realmente corpo; la stessa rigidità si ritrova nelle figure, rese solo dai contorni netti, che indagano l’infanzia della cultura occidentale, che per Savinio, nato e cresciuto in Grecia, coincidono con quelle della mitologia classica. Anche il mito dunque sembra incapace di restituire messaggi validi per il mondo contemporaneo. Le figure familiari e quelle mitologiche vengono presto inserite in rappresentazioni che sembrano “in atto” su un palcoscenico, con fondali, quinte e tende svolazzanti come sipari, e paradossalmente è proprio la finzione dichiarata del mondo teatrale a restituire un senso alle figure del mondo antico o del mondo familiare. L’uso costante di un’impostazione teatrale dei dipinti è strettamente connessa alla pittura metafisica di de Chirico, come anche di origine dechirichiana sembra il tema dell’inversione spazio-esterno / spaziointerno ed il soggetto dei manichini, utilizzato in più varianti in opere del 1928-29, anche se i temi della disumanizzazione del corpo e dell’annullamento delle categorie spazio-temporali erano già stati affrontati da Savinio in letteratura, a partire da Les chants de la mi-mort. Il periodo tra il 1928 ed il 1930 a Parigi segna l’apice della ricerca di Savinio, ormai quasi unicamente pittore. Savinio conosce in questi anni lo stesso successo del fratello, mercanti come Léonce Rosenberg e Paul Guillaume si contendono i suoi quadri, il pittore ha un contratto con Jeanne Castel, espone nei Salons e presso la galleria L’Effort Moderne: molti collezionisti richiedono i suoi dipinti, il suo nome si legge sulle riviste surrealiste e al contempo espone frequentemente con il gruppo degli Italiens de Paris, la cui idea centrale è quella di opporre al trionfante Surrealismo una sorta di cultura mediterranea, di “realismo magico”; il suo stile “assume le movenze ansiose e capziose dell’inconscio. La pittura vuole essere più memoria che fantasia […]. Sembra che Savinio abbia una grande urgenza di comunicare significati letterari piuttosto che pensare a un vero e proprio stile: e proprio in questa operazione dialettica consiste il suo stile” (M. Fagiolo dell’Arco, Savinio, Milano, 1989, p. 12).
Alberto Savinio bambino in Grecia
Alberto Savinio, Autoritratto da bambino, 1927
Dieci capolavori italiani del Novecento 555
Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952
Les Anges Batailleurs, 1930 Olio su tela, cm. 80,5x100 Firma e data in basso a destra: Savinio / 1930; titolo al verso sulla tela: “Les Anges Batailleurs”: timbro Galleria d’Arte Antica e Moderna Dino Tega, Riccione; firma, titolo e data sul telaio: A. Savinio “Les Anges Batailleurs” Paris 1930: etichetta e timbro Galleria Levi arte contemporanea, Milano: etichetta Savinio / Gli anni di Parigi / Dipinti 1927 - 1932 / Verona / Galleria Civica d’Arte Moderna Palazzo Forti / Galleria dello Scudo / 9 dicembre 1990 - 10 febbraio 1991 / Opera Esposta: due etichette di trasportatore, una con indicazione Mostra Alberto Savinio Budapest / febbraio 2000, e una con indicazione Mostra Alberto Savinio Cracovia / maggio 2000. Storia Collezione Dino Tega, Milano; Studio Marconi, Milano; Galleria Medea, Milano; Galleria Spazio Immagine, Milano; Collezione privata, Milano; Collezione privata Esposizioni Savinio, 25 dipinti dal 1927 al 1931, Milano, Galleria Levi, 23 febbraio 1963, cat. n. 23, illustrato; Savinio, 32 dipinti dal 1927 al 1930 - Parigi, Torino, Galleria Narciso, 20 aprile - 15 maggio 1963, cat. n. 31, illustrato; Alberto Savinio - Giorgio de Chirico, Torino, Galleria La Bussola, 19 dicembre 1964, cat. p. n.n., illustrato; 44 opere di Alberto Savinio, Milano, Galleria Medea, marzo aprile 1970, cat. n. 41, illustrato;
Alberto Savinio, Studio per Les Anges Batailleurs, 1930
Maestri contemporanei, Cortina d’Ampezzo, Grand Hotel Savoia, 30 luglio - 3 settembre 1972, cat. p. 83, illustrato; Savinio, gli anni di Parigi, dipinti 1927-1931, a cura di Pia Vivarelli, Verona, Palazzo Forti e Galleria dello Scudo, 9 dicembre 1990 - 10 febbraio 1991, cat. pp. 252, 253, n. 63, illustrato a colori; Alberto Savinio (1891-1952), a cura di Pia Vivarelli, Budapest, Museo di Belle Arti, 28 gennaio - 5 marzo 2000, cat. pp. 88, 107, n. 17, illustrato a colori. Bibliografia Guido Ballo, La linea dell’arte italiana dal simbolismo alle opere moltiplicate, vol. I, Edizioni Mediterranee, Roma, 1964, pp. 169, 308, fig. 198; Ewald Rathke, Patrick Waldberg, Massimo Carrà, Metafisica, Mazzotta, Milano, 1968, fig. 202 (opera datata 1939); Renzo Margonari, Arte d’immaginazione in Italia dal 1900 ad oggi, in Notizie d’Arte, Milano, a. IV, n. 4, 1972, p. 36; Pia Vivarelli, Luigi Cavallo, Savinio, disegni immaginati (19251932), Galleria Tega, Milano, 1984, pp. 98, 100, 143, fig. 35; Pia Vivarelli, Alberto Savinio. Catalogo generale, Electa, Milano, 1996, p. 105, n. 1930 34. Stima E 200.000 / 300.000
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I quadri prodotti in questo periodo sono oltre cento, l’artista lavora sull’idea del gioco e di un monumentomausoleo ai giocattoli in quadri splendenti e brillanti (Objets dans la forêt, 1928 ca., L’Annonciation, 1929), approfondisce l’idea del viaggio, dell’enigma e di un eroe a metà tra la Grecia e Michelangelo (Il ritorno di Ulisse, 1928 ca.), spesso ambientato in un interno dalle prospettive sfasate, trasferisce questi personaggi in paesaggi che richiamano l’Eden (Dieu montre à Adam le Paradis Terrestre, 1929) e ritrova alle origini del mondo delle strane figure, una sorta di dinosaurigiocattoli, che idealmente incarnano la sua idea di “azione” (Couple devant la mer, 1930 ca.). Verso la fine degli anni Venti gli uomini iniziano a trasformarsi in animali e le figure vengono ritratte in volo, messe a confronto con il mare della Grecia e lo spazio dell’universo (L’annociateur, 1930). È in questo momento che si collocano anche Les Anges Batailleurs, 1930 e Pégase, 1930. Nella sua continua ricerca di valori autentici da contrapporre al presente contraddittorio, l’artista risale alla fase primitiva dell’universo, al momento in cui la natura veniva considerata animata e gli eventi naturali erano ritenuti prodigi degli dei; secondo il principio eracliteo per cui il mondo è in continuo divenire, i paesaggi di Savinio si animano di quella vitalità per cui la natura è libera di presentarsi in continue apparizioni, ed è in una natura così felicemente panteista che appaiono gli Angeli in volo. Les Anges Batailleurs fa parte di un gruppo di tele e di disegni del 1930 in cui il tema della lotta tra gli Angeli ritorna costante con una grande dinamicità compositiva e con l’insolita iconografia per cui le teste delle figure angeliche sono rese da degli anelli colorati: altre opere dello stesso periodo traggono ispirazione da soggetti biblici (La Visitation, L’omaggio dei Re Magi), ma ciò che interessa a Savinio non è il significato religioso della scena, ma la sua capacità di assumere il valore emblematico dell’eterna battaglia tra bene e male, che è tensione non tra categorie morali, ma tra fattori naturali dell’eterno dinamismo del reale. Un discorso di questo genere torna anche nelle pagine di Le rappel à l’ordre di Cocteau, con un intreccio di allusioni alle tematiche dell’ermafrodito e dei mitici Titani, tanto care anche a Savinio (risale al 1918 la pubblicazione del suo volume Hermafrodito): “L’angelo si piazza proprio tra l’umano e il disumano. È un giovane animale scintillante, affascinante, vigoroso, che passa dal visibile all’invisibile con i potenti accorciamenti di un tuffatore, il tuono di ali di mille piccioni selvatici […] Eccoci lontani dagli ermafroditi di zucchero, a mani giunte, con ali d’oro e gigli acconciati di stelle.
Alberto Savinio, Il ritorno di Ulisse, 1928 ca.
Michelangelo, Giudizio Universale, Roma, Cappella Sistina (part.)
Guardate l’angelo furioso che ‘precipita dal cielo come un’aquila’ […] Tutti serbiamo una nostalgia delle pagine che mancano alle Scritture, relative alla caduta degli angeli, alla nascita dei giganti loro progenie, ai crimini di Lucifero, tutta una mitologia cristiana” (Jean Cocteau, Le rappel à l’ordre, 1926). In Les Anges Batailleurs la storia evangelica è quindi letta in chiave mitica, e mito e cultura cristiana non sono importanti di per sé, ma in quanto alludono ad un avvenimento che determinerà un cambiamento totale del mondo, e gli Angeli divengono così segnali dell’incessante dinamismo della natura. È in dipinti come questo, ma soprattutto come Pégase, che compare il tema del viaggio, quale dimensione emblematica di una costante ricerca di valori e nuove verità, tema che è richiamato dai titoli di alcune opere e che si concretizza in oggetti e figure in volo. A proposito del volo scrive Savinio: “Volare è un desiderio metafisico dell’uomo, un sogno, il ricordo di una vita remotissima […] L’uomo non è fatto naturalmente per volare, lui che nemmeno per nuotare è fatto. Serba tuttavia un oscuro ricordo di quando nuotava e volava […] Il ricordo del volo si riaccende talvolta nel sogno e in esso ritrova la sua qualità di mezzo per liberarci dal male. Sogniamo che un pericolo ci incalza, ma quando l’angoscia è più stringente, ritroviamo di colpo la nostra facoltà da così lungo tempo perduta, e con un immenso senso di liberazione rincominciamo a volare” (Alberto Savinio, Narrate, uomini, la vostra storia, Alberto Savinio nel 1939 Milano, 1942, p. 44). Pégase, pubblicato nel 1930 sulla rivista La Renaissance, ritrae il cavallo alato nato secondo il mito dal sangue versato dal collo di Medusa, uccisa da Perseo; animale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all’Olimpo: grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene poi addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve per uccidere Chimera. Dopo aver disarcionato l’eroe causandone la morte, il cavallo alato ritorna tra gli dei e nella parte più alta del cielo si trasforma in una nube di stelle scintillanti che formano la costellazione con il suo nome. Nel dipinto di Savinio, appena al di fuori di una finestra aperta, Pegaso è raffigurato in volo, con il muso e le maestose ali scure che contrastano con il candore del telo che ondeggia e funge da quinta sullo sfondo, e al contempo è reso incorporeo per la trasparenza del corpo che si mimetizza con il cielo; è una sorta di apparizione, di entità “doppia”, che l’artista riporta a quell’epoca in cui il legame tra vita ordinata dell’uomo e vita disordinata della natura non si era ancora rotto. “[Pegaso] è caratterizzato non solo da una configurazione, ma anche da una duplicità di significati: cavallo alato come immortalità, cavallo alato come impulso poetico. Questa ricchezza di valori interpretativi – da cui deriva anche l’impossibilità, però, di afferrare questo mito in senso univoco – emerge dal linguaggio pittorico saviniano” (Pia Vivarelli, in Savinio, gli anni di Parigi, dipinti 19271932, Milano, 1990, p. 254). Quella di Savinio è una pittura che sboccia dalla letteratura e che giunge dalla musica, intesa anche come balletto in movimento, di una scenografia che diventa letteratura e successivamente quadro: l’artista si è spesso definito Argonauta, ed in effetti la sua esistenza è sempre stata incentrata sul viaggio tra i continenti visibili e quelli dell’inconscio, la sua unica proposta è stata quella per cui il relativo sia l’unica certezza e che non ci sia una sola verità ma più verità che coesistono, ed il suo compito è quello di aumentarne il numero, per rendere impossibile la costituzione della verità assoluta. Silvia Petrioli
Dieci capolavori italiani del Novecento 556
Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952
Pégase, 1930 Olio su tela, cm. 74x92 Firma e data in alto a sinistra: Savinio / 1930; titolo sul telaio: Pégase: etichetta Savinio / Gli anni di Parigi / Dipinti 1927 1932 / Verona / Galleria Civica d’Arte Moderna Palazzo Forti / Galleria dello Scudo / 9 dicembre 1990 - 10 febbraio 1991 / Opera Esposta: etichetta Musée Rath - Genève / 6 octobre 1977 - 15 janvier 1978 / Du futurisme au spatialisme. Storia Collezione Ch. Pomaret, Parigi; Galerie de La Reinassance, Parigi; Galerie A. F. Petit, Parigi; Collezione Gianna Sistu, Galerie Île de France, Parigi; Collezione Dino Tega, Milano; Collezione Monti, Milano; Galleria Spazio Immagine, Milano; Collezione privata, Milano; Collezione privata Esposizioni 44 opere di Alberto Savinio, Milano, Galleria Medea, marzo aprile 1970, cat. n. 33, illustrato; Alberto Savinio, Milano, Palazzo Reale, giugno - luglio 1976, poi Bruxelles, Societé des Expositions du Palais des Beaux-Arts, 5 agosto - 5 settembre 1976, cat. n. 48, illustrato; Du futurisme au spatialisme - Peinture italienne de la première
Pégase pubblicato sulla rivista La Renaissance, agosto 1930
moitié du XX siècle, Ginevra, Musée Rath, 7 ottobre 1977 - 15 gennaio 1978, cat. n. 83, illustrato; Savinio, gli anni di Parigi, dipinti 1927-1931, a cura di Pia Vivarelli, Verona, Palazzo Forti e Galleria dello Scudo, 9 dicembre 1990 - 10 febbraio 1991, cat. pp. 254, 255, n. 64, illustrato a colori; Alberto Savinio, a cura di Pia Vivarelli e Paolo Baldacci, Milano, Fondazione Antonio Mazzotta, 29 novembre 2002 - 2 marzo 2003, cat. p. 116, illustrato a colori. Bibliografia La Reinassance, Parigi, agosto 1930, p. 232; Anna Cavallaro, Pittura visionaria e metafisica, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1976, p. 61; Giuliano Briganti, Leonardo Sciascia, Alberto Savinio, pittura e letteratura, Franco Maria Ricci Editore, Parma, 1979, p. 97; Maurizio Fagiolo dell’Arco, Alberto Savinio, Fabbri Editore, Milano, 1989, pp. 134, 242, n. 49; Pia Vivarelli, Alberto Savinio. Catalogo generale, Electa, Milano, 1996, pp. 98, 99, n. 1930 20. Stima E 200.000 / 300.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Natura morta con il quadro di El Greco, 1926 Olio su cartone applicato su tela, cm. 67x52,5 Firma e data a destra: de Pisis / 26. Al verso sulla tela: scritta V.E. Barbaroux; sul telaio: etichetta Mariuccia Mazzotta, con n. 52: etichetta Comune di Verona / Mostra di / Filippo de Pisis / 6 luglio - 21 settembre 1969 / Palazzo della Gran Guardia - Verona, con n. 54: etichetta Arte Moderna in Italia / 1915 - 1935 / Mostra in Palazzo Strozzi / Firenze / novembre 1966 febbraio 1967, con n. 858: etichetta de Pisis / Gli anni di Parigi / 1925 - 1939 / Galleria dello Scudo / Verona - 13 dicembre 1987 - 31 gennaio 1988 / Galleria dell’Oca / Roma / 5 febbraio 1988 - 19 marzo 1988 / opera esposta: etichetta de Pisis / Gli anni di Parigi / 1925 - 1939 / Castello Svevo / Bari, 24 marzo 29 aprile 1988 / opera esposta. Storia Collezione V.E. Barbaroux, Milano; Collezione Mazzotta, Milano; Collezione privata, Milano; Collezione privata Esposizioni De Pisis, a cura di L. Magagnato, M. Malabotta, S. Zanotto, Verona, Palazzo della Gran Guardia, 12 luglio - 21 settembre 1969, cat. n. 54, illustrato; De Pisis, Focette, Galleria Farsetti, 3 - 29 luglio 1976, cat. n. 3, illustrato; Aria d’Europa. De Chirico - De Pisis, a cura di Luigi Cavallo, Milano, Galleria Farsetti, poi Focette, Cortina d’Ampezzo e Prato, giugno - settembre 1987, cat. p. 64, tav. III, illustrato a colori; De Pisis, gli anni di Parigi 1925 - 1939, a cura di Giuliano
El Greco, El entierro del conde de Orgaz, 1586, Toledo, Chiesa di Santo Tomé (part.)
Briganti, Verona, Galleria dello Scudo, 13 dicembre 1987 - 31 gennaio 1988, poi Roma, Galleria dell’Oca, 5 febbraio - 19 marzo 1988, cat. pp. 88, 89, n. 9, illustrato a colori; De Pisis, gli anni di Parigi 1925 -1939, a cura di Giuliano Briganti, Bari, Castello Svevo, 24 marzo - 29 aprile 1988, cat. pp. 88, 89, n. 9, illustrato a colori; De Pisis, dalle avanguardie al “diario”, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 6 febbraio - 12 aprile 1993, cat. pp. 74, 178, n. 26, illustrato a colori; Cinquant’anni di Farsettiarte a Cortina, Cortina d’Ampezzo, Farsettiarte, 9 - 31 agosto 2014, cat. n.11, illustrato a colori; Filippo de Pisis. Eclettico connoisseur fra pittura, musica e poesia, a cura di Elisa Camesasca, Paolo Campiglio, Maddalena Tibertelli de Pisis, Torino, Museo Ettore Fico, 22 gennaio - 22 aprile 2018, cat. p. 75, illustrato a colori. Bibliografia Leonida Repaci, Galleria di Repaci. Taccuino artistico degli anni di guerra 1941 - 1942 - 1943, Casa Editrice Ceschina, Milano, 1948, pp. 48, 49; Giuseppe Raimondi, Filippo De Pisis, Vallecchi Editore, Firenze, 1952, tav. 17; Guido Ballo, Filippo De Pisis, Edizioni La Simonetta, 1956, tav. 19 e sovraccoperta; Guido Ballo, De Pisis, Edizioni Ilte, Torino, 1968, n. 209; Giuliano Briganti, De Pisis. Catalogo generale, tomo primo, opere 1908-1938, con la collaborazione di D. De Angelis, Electa, Milano, 1991, p. 127, n. 1926 114. Stima E 90.000 / 140.000
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Alik Cavaliere Roma 1926 - Milano 1998
Senza titolo, 1963 Scultura in bronzo, cm. 38x39,5x39,8 Firma e data sulla base: Alik Cavaliere / 6.63. Stima E 10.000 / 16.000
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Arnaldo Pomodoro Morciano di Romagna (Fc) 1926
I pillari per Amliehaven, III, 1981-83 Scultura in bronzo, cm. 75 h. Titolo, firma e data sulla base: “Pillari per Amliehaven” / Copenhagen (studio III) / Arnaldo Pomodoro 1981/83. Bibliografia Flaminio Gualdoni, Arnaldo Pomodoro. Catalogo ragionato della scultura, tomo II, Skira Editore, Ginevra - Milano, 2007, p. 621, n. 685. Opera realizzata in tre esemplari e due prove d’artista. Stima E 15.000 / 25.000
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Marino Marini Pistoia 1901 - Viareggio (Lu) 1980
Piccolo giocoliere, 1953 Scultura in bronzo, cm. 44,5 h. Sigla sulla base: M.M. Certificato su foto Galleria dello Scudo, Verona. Bibliografia Maria Teresa Tosi, Marino Marini. Catalogo ragionato della scultura, Skira Editore, Milano, 1998, p. 267, n. 382. Opera realizzata in 6 esemplari. Stima E 60.000 / 90.000
Marino Marini, Piccolo teatro (Piccola scena), 1953
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Virgilio Guidi Roma 1891 - Venezia 1984
Architetture cosmiche, 1958-60 Olio su tela, cm. 120x30 Firma in basso a destra e al verso sulla tela: Guidi; sul telaio titolo e data: Architetture cosmiche 1958: etichetta Città di Acqui Terme / Virgilio Guidi / Mostra Antologica nel Centenario della Nascita / Palazzo Liceo Saracco - 6 Luglio - 15 Settembre 1991, con n. 57 (opera datata 1960).
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Bibliografia Dino Marangon, Toni Toniato, Franca Bizzotto, Virgilio Guidi. Catalogo generale dei dipinti. Volume secondo, Electa, Milano, 1998, p. 713, n. 1960 66 (opera datata 1960 e riprodotta speculare). Stima E 5.000 / 8.000
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Virgilio Guidi Roma 1891 - Venezia 1984
Figura nello spazio (Condizione umana), 1956-57 Olio su tela, cm. 100,5x130,5 Firma in alto a destra: Guidi; firma e data al verso sulla tela: Guidi / 1956; scritta e data sul telaio: “La condizione attuale” 1956: etichetta Città di
Acqui Terme / Virgilio Guidi / Mostra Antologica nel Centenario della Nascita / Palazzo Liceo Saracco - 6 Luglio - 15 Settembre 1991, con n. 53. Storia Collezione privata, Milano; Collezione privata Foto autenticata dall’artista in data 1957.
Esposizioni Festa dell’arte, Radda in Chianti, Castello di Volpaia, 1985, cat. n. 40; Virgilio Guidi, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 6 luglio - 15 settembre 1991, cat. p. 78, n. 53, illustrato. Bibliografia Dino Marangon, Toni Toniato, Franca Bizzotto, Virgilio Guidi. Catalogo generale dei dipinti. Volume secondo, Electa, Milano, 1998, p. 605, n. 1957 76 (opera datata 1957). Stima E 5.000 / 8.000
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Giuseppe Capogrossi Roma 1900 - 1972
Senza titolo, 1963 Penna-feltro e collage su carta, cm. 28x21 Firma e data in alto a destra: Capogrossi 63. Certificato su foto di Guglielmo Capogrossi, Fondazione Capogrossi, Roma, 5 ottobre 2011, con n. AC/278/TM. Stima E 8.000 / 12.000
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Arnaldo Pomodoro Morciano di Romagna (Fc) 1926
Piramide, 2002 Scultura in bronzo, es. 3/8, cm. 66x79,5x79,5 (con base) Firma, data e tiratura sulla base: Arnaldo Pomodoro. 2002 3/8. Foto autenticata dall’artista, Milano, 24 settembre 2004, archivio Arnaldo Pomodoro n. 788. Esposizioni Arnaldo Pomodoro, Cortina d’Ampezzo, Farsettiarte, agosto 2004, illustrata a colori nel pieghevole della mostra; Cinquant’anni di Farsettiarte a Cortina, Cortina d’Ampezzo, Farsettiarte, 9 - 31 agosto 2014, cat. n. 23, illustrata a colori. Bibliografia Flaminio Gualdoni, Arnaldo Pomodoro. Catalogo ragionato della scultura, tomo II, Skira Editore, Ginevra - Milano, 2007, p. 767, n. 1041. Opera realizzata in 8 esemplari più 2 prove d’artista. Stima E 70.000 / 110.000
Arnaldo Pomodoro, Colpo d’ala (Omaggio a Boccioni), Los Angeles
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Alberto Burri Città di Castello (Pg) 1915 - Nizza 1995
Combustione T. n. 7, (1957) Carta, acrilico, vinavil, combustione su carta, cm. 35,5x26,6 Titolo e firma al verso: N. 7 Combustione T Burri. Su un pannello di supporto: etichetta Galerie Natalie Seroussi, Paris: timbro Galleria Anna D’Ascanio, Roma. Storia Galleria Anna D’Ascanio, Roma; Galerie Natalie Seroussi, Parigi; Collezione privata Bibliografia Burri, contributi al catalogo sistematico, Fondazione Palazzo Albizzini, Petruzzi Editore, Città di Castello, 1990, pp. 444, 445, n. 1915 (riprodotto capovolto); Alberto Burri. Catalogo generale, tomo I, Pittura 1945-1957, a cura di Bruno Corà, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello, 2015, p. 284, n. 703; Alberto Burri. Catalogo generale, tomo VI, Repertorio cronologico 1945-1994, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello, 2015, p. 119, n. i.5784. Stima E 140.000 / 200.000
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Emilio Vedova Venezia 1919 - 2006
Ciclo 78/I, 1978 Olio, tecnica mista e collage su carta applicata su tela, cm. 100x70,3 Firma e data in basso a destra: Vedova 78. Foto autenticata dall’artista. Stima E 55.000 / 85.000
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Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1959 Non ci può essere una pittura o una scultura spaziale, ma solo un concetto spaziale dell’arte Lucio Fontana “Oggi dopo vent’anni posso dire che i «concetti spaziali», dichiarati nel «Manifesto blanco» del 1946, non erano delle utopie, ma l’annuncio dell’evoluzione dell’uomo alla civiltà spaziale” e della sua “nuova dimensione nel cosmo”. Con queste parole Lucio Fontana nel 1966, in occasione della ristampa, ricorda il manifesto scritto insieme agli allievi dell’Accademia di Altamíra a Buenos Aires, in cui si definiscono per la prima volta le idee spazialiste. La ricerca artistica e concettuale di Fontana si sviluppa sull’idea che sia conclusa una fase creativa e, in accordo con le moderne tecnologie e grazie alle scoperte scientifiche, si debbano trovare nuovi spazi figurativi e rinnovare il linguaggio attraverso un’arte “valida per se stessa”, fondata su nuovi valori. Nel 1951, durante il convegno alla Triennale di Milano, egli sottolinea la volontà del movimento spazialista di abbandonare le forme conosciute per sviluppare “un’arte basata sull’unità del tempo e dello spazio. Gli spaziali creeranno negli spazi e attraverso gli spazi le nuove fantasie dell’arte. Concepiamo l’arte come una somma di elementi fisici, colore, suono, movimento, tempo, spazio, concependo un’unità fisico-psichica, colore l’elemento dello spazio, suono l’elemento del tempo, e il movimento che si sviluppa nel tempo e nello spazio. Sono le forme fondamentali dell’arte spaziale”. Le premesse di questa nuova poetica si possono trovare già nelle sculture degli Trenta, in cui Fontana cerca un legame tra plasticismo e cromatismo, aprendo la forma chiusa della scultura all’aria e alla luce che la circondano: “Dall’Uomo nero 1929 [ma in realtà 1930] il problema di fare arte istintivamente si chiarisce in me, né pittura né scultura, non linee delimitate nello spazio, ma continuità dello spazio nella materia” (in E. Crispolti, Carriera barocca di Fontana, Skira, Milano, 2004, p. 111). Attraverso il I Manifesto Spaziale, 1947, il II Manifesto Spaziale, 1948 e il Manifesto tecnico, 1951, si definiscono i principi teorici del movimento, che identifica lo spazio come l’elemento dove si compie il puro gesto creativo, che, eseguito anche in un solo attimo, si imprime nell’animo umano divenendo eterno e superando la corruttibilità della materia. Si sviluppa così una componente dinamica, da cui scaturisce il concetto di dinamismo spaziale. Grazie alla conquista dello spazio, come lo sbarco sulla Luna, l’uomo si è staccato dalla linea d’orizzonte della Terra, che per secoli ha condizionato la sua estetica e la sua prospettiva, e ha potuto sviluppare un nuovo punto di vista, così anche l’arte adesso supera i limiti del supporto tradizionale per raggiungere la quarta dimensione, quella dell’architettura, e divenire “una espressione d’arte aerea”. La massima estensione della poetica spaziale è raggiunta da Fontana con l’Ambiente spaziale a luce nera, realizzato alla Galleria del Naviglio a Milano nel 1949, compiendo il primo tentativo di liberarsi da una forma plastica statica, in cui lo spettatore non è influenzato dalla visione di oggetti imposti ma, isolato nello spazio scuro, reagisce in base allo stato d’animo del momento, una sperimentazione dinamica che modella lo spazio abitabile e che va oltre l’architettura. La trasposizione del concetto spaziale sulla tela avviene compiendo un processo di sintesi gestuale che trova soluzione nel buco, non un segno grafico ma un elemento fisico che rompe la superficie, creando un vuoto che lascia penetrare quello che vi è al di là per raggiungere una dimensione corrispondente a quella infinita del cosmo: “E, allora, ecco che: primo, secondo e terzo piano…per andar più in là cosa devo fare […] io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere […] tutti han creduto che io volessi distruggere, ma non è vero, io ho costruito, non distrutto, è lì la cosa” (in C. Lonzi, Autoritratto, De Donato, Bari, 1969, pp. 169-171). Nel 1958 Guido Ballo si reca nello studio di Fontana dove sono presenti varie opere con i buchi destinate a una mostra presso la Galleria del Naviglio, ma il giorno dell’inaugurazione sulle tele al posto dei buchi ci sono dei tagli. È questa la prima occasione in cui appaiono i nuovi Concetti spaziali, presentati poi ufficialmente con la personale alla Galleria Stadler di Parigi, nel 1959. I tagli sono inseriti inizialmente negli inchiostri paesaggistici, per passare alle opere in anilina e in particolare alle carte-tela, distribuiti in composizioni corali e definiti con segni corsivi derivati dal disegno, divenendo poi protagonisti di piccoli dipinti poligonali monocromi, creati in sequenze o gruppi e che possono essere liberamente accostati tra loro, chiamati quanta, e di versioni più mature e monumentali, come quelle esposte nel 1960, nella mostra Monochrome Malerei a Leverkusen. L’opera di Fontana, con il buco e poi con il taglio non “è più propriamente pittura; è semmai una manifestazione di arte plastica […]. Un gesto di rottura Lucio Fontana, Uomo nero, 1930
oltre i limiti imposti dall’abitudine, dal costume, dalla tradizione […] maturata nella onesta conoscenza della tradizione, nell’uso accademico dello scalpello, della matita, del pennello, del colore” (L. Fontana, Difendo i miei tagli, in La Nazione, 24 giugno 1966, p. 21). Il taglio nasce dall’idea del buco ma ne perde la fisicità per acquisire una profonda componente mentale, una sorta di gesto purificato con cui Fontana riesce a esprimere in modo tangibile una contemplazione quasi metafisica, elevando a valore assoluto le idee spazialiste. Come egli spiega in un’intervista su Vanità del 1962, i tagli sono un’espressione principalmente filosofica, “un atto di fede nell’infinito, un’affermazione di spiritualità”, e la loro contemplazione distende lo spirito, libera l’uomo “dalla schiavitù della materia” e lo rende parte integrante della vastità del presente e del futuro. La ricerca sviluppata attraverso il taglio raggiunge il suo vertice con Ambiente ovale bianco, una sala realizzata nel 1966 alla XXXIII Biennale di Venezia, dove in una stanza ovale bianca grandi tele monocrome bianche, incise con tagli unici, si aprono allo spazio non solo attraverso gli squarci sulle superfici ma diventano esse stesse parti integranti dell’ambiente, pure presenze immerse in un rigore cosmico, identificandosi con l’idea di arte totale. In Concetto spaziale, Attese, 1959, attraverso un gesto deciso Fontana fende la tela con tre tagli obliqui che permettono di Lucio Fontana, Ambiente spaziale a luce nera, 1949 unire lo spazio d’azione dell’uomo e l’infinito oltre la superficie pittorica, così l’atto irreversibile del tagliare rende il movimento la componente fondamentale dell’opera, elemento di continuità tra materia e spazio attraverso il tempo. I tagli, i cui lembi esaltano gli effetti di ombra e luce, non corrompono l’unità assoluta della superficie monocroma ma la caricano di tensione, accentuando l’equilibrio tra la vitalità delle linee e l’immobilità delle zone non intaccate dal gesto, mentre il colore scuro diventa il tramite dialettico tra la pittura e la luce. In questa tela si ritrova tutta la vitale dinamicità con cui Fontana interviene sull’opera quando esegue i tagli, netti, assoluti, definiti con un gesto rapido e preciso, un attimo in cui non sono ammessi errori, compiuto con profonda concentrazione e solo dopo una lunga contemplazione della tela. Il momento che precede l’azione, quando “il taglio non è ancora cominciato” e “l’elaborazione concettuale è invece già tutta chiarita”, è l’attimo più importante e potrebbe essere per “questa concentrazione e aspettativa” che l’artista ha chiamato i quadri con i tagli «attese»” (U. Mulas, La fotografia, Torino, 1973). Elisa Morello
Lucio Fontana con un Quanta, 1959
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Lucio Fontana Rosario Santa Fè 1899 - Varese 1968
Concetto spaziale, Attese, 1959 Idropittura su tela, grigio scuro, cm. 65,5x50,5 Firma, titolo e data al verso sulla tela: l Fontana / “Attese” / 1957 / 2010: numero 0003/73; su un pannello di supporto: etichetta Galleria Civica / di Arte Contemporanea / Trento. Storia Collezione Teresita Rasini Fontana; Galleria Levi, Milano; Collezione G. Colavito, Milano; Collazione Luigi Corradini, Trento; Collezione privata Bibliografia Enrico Crispolti, Lucio Fontana. Catalogue raisonné des peintures, sculptures et environnement spatiaux, vol. II, La Connaissance, Bruxelles, 1974, pp. 82-83, n. 59 T 41; Enrico Crispolti, Fontana. Catalogo generale volume primo, Electa, Milano, 1986, p. 285, n. 59 T 41; Enrico Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo ragionato di sculture, dipinti, ambientazioni, tomo I, con la collaborazione di Nini Ardemagni Laurini, Valeria Ernesti, Skira editore, Milano 2006, p. 451, n. 59 T 41. Stima E 380.000 / 480.000
Maurizio Cattelan, Untitled (Zorro), 1995
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Agostino Bonalumi Vimercate (Mi) 1935 - Milano 2013
Bianco, 1999 Tela estroflessa e tempera, cm. 80x80 Firma e data al verso sul telaio: Bonalumi 99: due timbri Lagorio Arte Contemporanea, Brescia: timbro Arte Campaiola, Roma. Certificato su foto Archivio Bonalumi, Milano, con n. 99-009. Bibliografia Agostino Bonalumi. Catalogo ragionato, a cura di Fabrizio Bonalumi e Marco Meneguzzo, Skira Editore, Milano, 2015, p. 673, n. 1557. Stima E 55.000 / 75.000
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Agostino Bonalumi Vimercate (Mi) 1935 - Milano 2013
Blu, 1987 Tela estroflessa, pastelli e vinavil, cm. 73x92 Firma e data al verso sulla tela: Bonalumi 87; sulla tela e sul telaio: n. 1063; sul telaio: timbro e etichetta con n. 3242 Lattuada Studio, Milano. Foto autenticata dall’artista in data 87, su certificato Archivio Bonalumi, Milano, con n. 87-067. Bibliografia Agostino Bonalumi. Catalogo ragionato, a cura di Fabrizio Bonalumi e Marco Meneguzzo, Skira Editore, Milano, 2015, p. 590, n. 1162. Stima E 45.000 / 75.000
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Carlo Mattioli Modena 1911 - Parma 1994
Notturno verde, 1974 Olio su tela, cm. 90x80 Firma in basso a sinistra: Mattioli; firma, data e titolo al verso sulla tela: Mattioli / 1974 / “Notturno�. Esposizioni Carlo Mattioli. Opere 1944 - 1984, a cura di Pier Carlo Santini, Milano, Palazzo Reale, 1984, cat. p. 71, n. 56, illustrato a colori; Omaggio a Carlo Mattioli dalla Collezione Rossi, a cura di Alberto Agazzani, Reggio Emilia, Galleria 2000 & Novecento, 1999, cat. pp. 60, 61. Bibliografia Carlo Mattioli. Catalogo generale dei dipinti e indice delle opere, Franco Maria Ricci Editore, Fontanellato, 2016, p. 507, n. 1974D0054. Stima E 20.000 / 30.000
Carlo Mattioli
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Ennio Morlotti Lecco 1910 - Milano 1992
Ulivi, 1964 Olio su tela, cm. 58,5x81,4 Firma e data in basso a destra: Morlotti 64; al verso sulla tela scritta: Ulivi R5. Bibliografia Gianfranco Bruno, Pier Giovanni Castagnoli, Donatella Biasin, Ennio Morlotti. Catalogo ragionato dei dipinti, tomo primo, Skira editore, Milano, 2000, p. 313, n. 798. Stima E 18.000 / 26.000
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Ennio Morlotti Lecco 1910 - Milano 1992
Paesaggio (Vegetazione), 1961 Olio su tela, cm. 130x100 Firma e data in basso a destra e al verso sulla tela: Morlotti 61; titolo sul telaio: Vegetazione: timbro Galleria Blu, Milano. Foto autenticata dall’artista in data 7/5/85 e in data 23/6/89. Esposizioni Da Boldini a Pollock. Pittura e scultura del XX secolo, Torino,
nell’ambito delle manifestazioni Italia ‘61, cat. p. 145; Bruno Cassinari, Renato Guttuso, Ennio Morlotti, Milano, Galleria Medea, 10 maggio - 3 giugno 1973, cat. p. 23. Bibliografia Giuseppe Marchiori, XX Siècle, XXIV, n. 19, 1962, p. 118; Gianfranco Bruno, Pier Giovanni Castagnoli, Donatella Biasin, Ennio Morlotti. Catalogo ragionato dei dipinti, tomo primo, Skira editore, Milano, 2000, p. 271, n. 626. Stima E 24.000 / 34.000
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Fausto Pirandello Roma 1899 - 1975
Tetti di Parigi, 1929 Olio su cartone, cm. 70,5x51,5 Firma e data in basso a destra: Pirandello 29; firma, titolo e data al verso: Pirandello / Tetti di Parigi / 1929: due etichette Comune di Ferrara - Palazzo dei Diamanti / Direzione Gallerie Civiche d’Arte Moderna. Storia Collezione privata, Roma; Collezione privata Esposizioni Fausto Pirandello, Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 3 luglio - 10 ottobre 1982, cat. n. 13; Fausto Pirandello, Palermo, Civica Galleria d’Arte Moderna Empedocle Restivo, 22 dicembre 1982 - 22 gennaio 1983, cat. n. 13; Fausto Pirandello, Macerata, Palazzo Ricci, 2 giugno - 16 settembre 1990, cat. n. 8. Bibliografia Guido Giuffrè, Fausto Pirandello, con un’appendice di scritti inediti, Edizioni della Cometa, Roma, 1984, p. 38, tav. 17; Claudia Gian Ferrari, Fausto Pirandello, Leonardo - De Luca Editori, Roma, 1991, pp. 102, 103, n. 27; Claudia Gian Ferrari, Fausto Pirandello. Catalogo Generale, Mondadori Electa, Milano, 2009, p. 989, n. 51 (opera datata 1930). Stima E 20.000 / 30.000
René Clair, Sous les toits de Paris, 1930
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Teschi con omaggio a Picasso e alla sua Crocifissione, 1973 Olio su tela, cm. 65x81 Firma in basso al centro: Guttuso; data e titolo al verso sulla tela: I Maggio 73 / Teschio con omaggio a Picasso e alla “sua” Crocifissione. Storia Sant’Erasmo Club d’Arte, Milano; Toninelli Arte Moderna, Milano-Roma; Collezione privata Foto autenticata dall’artista. Esposizioni Guttuso, Sacile, Aula Magna, 10 agosto - 10 settembre 1973, cat. n. 20, illustrato;
Renato Guttuso, Premio Suzzara, Suzzara, 22 dicembre 1973 6 gennaio 1974; Guttuso, Galleria d’Arte Tonolli, Rovereto, marzo 1974, cat. tav. 11, illustrato; Renato Guttuso, Molin di Falcade, Studio Murer, estate 1974, cat. p. n.n., illustrato; Renato Guttuso, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 7 - 28 settembre 1974, cat. p. n.n., illustrato; Guttuso, Torino, Galleria La Colomba, maggio 1977, cat. p. n.n., illustrato; Guttuso, Galleria Menhir, La Spezia, aprile - maggio 1980. Bibliografia Enrico Crispolti, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso, vol. 3, Giorgio Mondadori, Milano, 1985, p. 185, n. 73/38. Stima E 14.000 / 20.000
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Natura morta con lampadina, 1959 ca. Olio su cartone, cm. 42x55,8 Firma in basso al centro: Guttuso; firma e dichiarazione di autenticità al verso: Guttuso / Questo dipinto è di mia mano / (intorno al 1955) / Renato Guttuso: etichetta Collezione Gugliano: timbro e firma Remo Giovanni Bianco. Storia Collezione A. Franchi, Prato; Collezione privata Bibliografia Enrico Crispolti, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso, vol. 2, Giorgio Mondadori, Milano, 1984, p. 167, n. 59/100 (con supporto errato). Stima E 15.000 / 25.000
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Tavolo e finestra (Finestra di notte), 1961 Tempera, olio e collage su carta applicata su tela, cm. 152x120 Firma e data in basso a destra: Guttuso 61; firma, titolo e data al verso sulla tela: Guttuso ‘60 V. / Tavolo e finestra / ‘61; sul telaio: etichetta Renato Guttuso / Il Realismo e l’attualità dell’immagine / Aosta - Museo Archeologico Regionale / 27 marzo - 22 settembre 2013. Storia Raccolta B. Pagliai, Città del Messico / Firenze; Collezione privata Esposizioni Guttuso, Amsterdam, Stedelijk Museum, 9 novembre - 10 dicembre 1962, cat. n. 10, illustrata; Guttuso, Charleroi, Palais des Beaux-Arts, 12 gennaio - 3 febbraio 1963, cat. n. 9, illustrata; Renato Guttuso, mostra antologica dal 1931 a oggi, Parma, Palazzo della Pilotta, 15 dicembre 1963 - 31 gennaio 1964, cat. n. 190, illustrata; Renato Guttuso, Darmstadt, Kunstverein, 26 agosto - 4 ottobre 1967, cat. n. 38, illustrata; Renato Guttuso, Reckling-Hausen, Städtische Kunsthalle, 22 ottobre - 26 novembre 1967, cat. n. 38, illustrata; Renato Guttuso, le visite, Torino, Galleria La Parisina, 16 dicembre 1970 - gennaio 1971, cat. p. 7, n. 2, illustrata; 5 Maestri Italiani: Afro, Burri, Capogrossi, Colla, Guttuso, Roma, Galleria La Medusa, 1972, cat. p. 5, illustrata; Renato Guttuso nella pittura, a cura di Luigi Cavallo, Galleria
Farsetti, Cortina d’Ampezzo, poi Milano e Prato, dicembre 1987 - marzo 1988, cat. n. VIII, illustrata a colori; Renato Guttuso, Rovereto, Galleria Improvvisazione Prima, 19 aprile - 31 maggio 1997, cat. n. 9, illustrata a colori; Renato Guttuso, il rapporto con le cose, a cura di D. Guzzi, Francavilla al Mare, Museo Michetti, 25 giugno - 30 settembre 2005, cat. pp. 76-77, n. 27, illustrata a colori; Guttuso e gli amici di Corrente, a cura di Enrico Dei, Seravezza, Palazzo Mediceo, 1 luglio - 11 settembre 2011, cat. p. 99, illustrata a colori; Renato Guttuso. Il Realismo e l’attualità dell’immagine, Aosta, Museo Archeologico Regionale, 27 marzo - 22 settembre 2013, cat. pp. 62, 63, illustrata a colori. Bibliografia Franco Grasso, Alberto Moravia, Renato Guttuso, Edizioni Il Punto, Palermo, 1962, p. 165; Oggi, Milano, 20 gennaio 1970, p. 53; Ezio Gribaudo, Renato Guttuso, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1976, tav. 103 (con misure errate); Cesare Brandi, Guttuso. Antologia critica a cura di Vittorio Rubiu, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano, 1983, tav. 102; Enrico Crispolti, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso, vol. 2, Giorgio Mondadori, Milano, 1984, p. 217 n. 61/47. Stima E 50.000 / 80.000
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Le damigiane, 1959 Olio su tela, cm. 116x89 Firma in basso a destra: Guttuso (poco leggibile); firma e data al verso sulla tela: Guttuso ‘59; sul telaio: timbro Galleria Gissi, Torino, con n. 5773. Storia Galleria Gissi, Torino; Collezione privata, Viareggio; Collezione privata Foto autenticata dall’artista, Roma, 2-4-1981 (in fotocopia). Stima E 45.000 / 75.000
Renato Guttuso nello studio di Palazzo del Grillo a Roma
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Arturo Martini Treviso 1889 - Milano 1947
Donna al sole, (1930) Scultura in bronzo, es. 5/6, cm. 43x156x70 Sulla base firma e tiratura: A. Martini 5/6: punzone fonderia Tesconi, Pietrasanta. Bibliografia Arturo Martini, Edizioni Philippe Daverio, New York - Milano 1991, tav. III; Nico Stringa, Claudia Gian Ferrari, Gianni Vianello, Arturo Martini. Catalogo ragionato delle sculture, Neri Pozza editore, Vicenza, 1998, pp. 186, 187, n. 277. Fusione in sei esemplari numerati più tre prove E.A. numerate, unica autorizzata dagli eredi Martini dai gessi originali, realizzata dalla Galleria Philippe Daverio presso la Fonderia Tesconi di Pietrasanta nel 1989, per il Centenario della nascita dell’artista. Stima E 40.000 / 60.000
Si tratta della fusione in sei esemplari numerati più tre prove E.A. numerate, unica autorizzata dagli eredi Martini, tratta dai gessi originali conservati nell’atelier di Vado Ligure ed eseguita dalla Galleria Philippe Daverio presso la Fonderia Tesconi di Pietrasanta nel 1989 per il Centenario della nascita dell’artista. I quattordici gessi originali dai quali è stata tratta la tiratura del Centenario (18891989) fanno ora parte delle collezioni della Banca Popolare di Vicenza (12), di Banca Intesa (1) e di Gerolamo Etro (1). La Donna al sole è uno dei tre celebri grandi nudi femminili eseguiti da Arturo Martini nel periodo centrale e più felice della sua attività (gli altri sono La Pisana 1928 e La dormiente 1931). Del soggetto esistono tre versioni. La prima fu modellata nel 1930 in grès, un particolare tipo di terracotta, per Alessandro Contini Bonacossi (poi collezione Papi, Firenze, oggi collezione privata, Milano). Prima di spedire la terracotta a Contini Bonacossi Martini ne trasse una controforma e un gesso (unico gesso originale) che doveva essere destinato al conte Arturo Ottolenghi ma che dopo una complessa trattativa rimase a Martini che lo conservò nello studio di Vado Ligure fino alla morte. Da questo gesso originale (oggi collezione Etro, Milano) è stata tratta la fusione del Centenario. La seconda versione fu eseguita in due copie in terracotta da Martini nel 1934-35 traendole dalla matrice (controforma) ricavata dalla terracotta di Alessandro Contini Bonacossi. Questa seconda versione differisce dalla prima perché parte del nudo è coperta da un drappo. Le due terrecotte si trovano ora: 1) al Museo di Anversa in Belgio; 2) al Museo di Spina (Ferrara). La terza versione, con una base differente e di dimensioni leggermente diverse, fu realizzata in pietra nel 1933 sotto la guida di Martini (che non scolpiva direttamente né la pietra né il marmo) e venduta alla “Galleria Milano – Arte Moderna” di Vittorio Emanuele Barbaroux (poi collezione Alberto Mondadori, Milano; oggi collezione privata, Tarvisio). Da questa pietra furono tratti da Barbaroux, con l’autorizzazione di Martini, tre bronzi non numerati che si trovano oggi: 1) collezione privata, Roma; 2) Museo delle Albere, Trento (MART); 3) collezione privata, Viareggio.
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Bruno Cassinari Piacenza 1912 - Milano 1992
Cavallo e cavaliere Scultura in bronzo, cm. 104x117x69 Firma sulla base: Cassinari. Stima E 25.000 / 35.000
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Augusto Murer Falcade (Bl) 1922 - Padova 1985
Torso Scultura in legno, cm. 71,5 h. Firma sul retro: A. Murer. Stima E 5.000 / 8.000 580
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Il pittore, 1968-87 Scultura in bronzo dorato, es. III/VII, cm. 46,6 h. Firma, titolo e tiratura sulla base: G. de Chirico / “Il pittore” / III/VII: punzone Fonderia Bonvicini, Verona: marchio del Centenario della nascita del Maestro Giorgio de Chirico. Certificato di Claudio Bruni Sakraischik. Esposizioni La Neometafisica. Giorgio de Chirico & Andy Warhol, Cortina d’Ampezzo, Farsettiarte, 26 dicembre 2011 - 8 gennaio 2012, poi Firenze, Galleria d’Arte Frediano Farsetti, 14 gennaio - 18 febbraio 2012, cat. n. 20, illustrata a colori; Giorgio de Chirico. Myth and Mystery, Londra, Estorick Collection of Modern Italian Art, 15 gennaio - 19 aprile 2014, cat. pp. 32, 33, n. 4, illustrata a colori.
Bibliografia Achille Bonito Oliva, Giorgio De Chirico. Pinturas e esculturas, San Paolo, 1998, pp. 28, 60, n. 14 (illustrato altro esemplare). Da un gesso originale del 1968, tiratura in 7 esemplari numerati da I/VII a VII/VII, due prove d’artista segnate EA I/ II, EA II/II e una prova fuori commercio non numerata per la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico. L’edizione è stata eseguita presso la Fonderia Bonvicini di Verona (1988 e 1991), in occasione del Centenario della nascita del Maestro, ed è stata autorizzata dalla signora Isabella de Chirico alla signora Lisa Sotilis, in data 7 marzo 1987. Stima E 30.000 / 50.000
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Lorenzo Viani Viareggio (Lu) 1882 - Ostia (Roma) 1936
Testa di uomo, 1919 Scultura in gesso, cm. 40 h. Data a sinistra: 1919. Certificato con foto di Enrico Dei, Viareggio, 19 dicembre 2017. Stima E 5.000 / 7.000
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Capanna rossa, 1962 ca. Olio su tela, cm. 50x70 Firma in basso a sinistra: Soffici. Certificato su foto di Luigi Cavallo, Milano, 21 aprile 2016.
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Stima E 8.000 / 14.000
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Paesaggio d’autunno, 1946 Olio su cartone applicato su tela, cm. 49,5x69 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / 46. Al verso sulla tela: timbro Galleria Zanini, Roma. Certificato su foto di Luigi Cavallo, Milano, 10 marzo 2017. Bibliografia Alessandro Parronchi, Rosai, Arnaud Editore, Firenze, 1947, tav. XXXVIII; Silvano Giannelli, Ottone Rosai, in Scena Illustrata, Firenze, giugno, 1950, p. 2. Stima E 15.000 / 25.000
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Fiorenzo Tomea Zoppè di Cadore (Bl) 1910 - Milano 1960
Lumi e candele Olio su tela, cm. 43x54 Firma in basso a destra: Tomea. Al verso sulla tela: etichetta Piccola Galleria, Venezia. Stima E 3.000 / 5.000 586
Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Paesaggio, (1916?) Olio su cartone, cm. 33x41 Firma in basso al centro: De Pisis.
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Bibliografia Giuliano Briganti, De Pisis. Catalogo generale, tomo primo, opere 1908-1938, con la collaborazione di D. De Angelis, Electa, Milano, 1991, p. 20, n. 1916 11 (con supporto e misure errati). Stima E 8.000 / 12.000
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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Fi) 1879 - Vittoria Apuana (Lu) 1964
Fiasco e bicchiere, (1920) Tempera su cartone, cm. 53,5x40 (riquadro), cm. 62,7x46,5 (cartone) Esposizioni Ardengo Soffici. Un percorso d’arte, a cura di Luigi Cavallo, Poggio a Caiano, Villa Medicea, 24 settembre - 6 novembre 1994, cat. pp. 73, 109, n. 63, illustrata a colori (con supporto errato); Ardengo Soffici, un’arte toscana per l’Europa, a cura di Luigi
Cavallo, Firenze, Galleria Pananti, 4 ottobre - 20 novembre 2001, cat. pp. 143, 237, n. 58, illustrata a colori; Soffici e Rosai, realismo sintetico e colpi di realtà, a cura di Luigi Cavallo e Giovanni Faccenda, Poggio a Caiano, Museo Soffici e del ‘900 italiano, Scuderie Medicee, 7 ottobre 2017 7 gennaio 2018, cat. p. 85, n. 16, illustrata a colori. Bibliografia Luigi Cavallo, Soffici. Immagini e documenti, Vallecchi, Firenze, 1986, p. 305. Stima E 10.000 / 18.000
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Cavalieri al guado, 1943 Olio su tela, cm. 28,5x46,5 Firma in basso a sinistra: G. de Chirico. Al verso sulla tela: etichetta Galleria del Milione, Milano, con indicazione Perizia Bruni n. 51/78. Storia Collezione Mariani, Roma; Collezione privata Bibliografia Claudio Bruni Sakraischik, Catalogo Generale Giorgio de Chirico, volume settimo, opere dal 1931 al 1950, Electa Editrice, Milano, 1983, n. 634. Stima E 20.000 / 30.000
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Pentesilea partente per la caccia, 1957
Opera registrata presso la Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Roma, al n. 288-215.
Olio su tavola, cm. 40x50 Firma in basso a destra: G. de Chirico; dichiarazione di autenticità al verso: Questa pittura: / “Pentesilea partente per la / caccia” è opera autentica da me eseguita e firmata. / Giorgio de Chirico: dichiarazione di autenticità del Notaio Diego Gandolfo, Roma, 10 febbraio 1960.
Bibliografia Claudio Bruni Sakraischik, Catalogo Generale Giorgio de Chirico, volume secondo, opere dal 1951 al 1971, Electa Editrice, Milano, 1972, n. 215 (con supporto errato). Stima E 25.000 / 35.000
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Giorgio de Chirico Volos 1888 - Roma 1978
Gladiatori che combattono, 1958-60 Olio su tela, cm. 39,5x30 Firma in alto a sinistra: G. de Chirico; dichiarazione di autenticitĂ e firma al verso sulla tela: Questi / “Gladiatori che / combattono / sono opera autentica / da me eseguita e firmata / Giorgio de Chirico: etichetta Rizziero Arte, Teramo: etichetta Executive Gallery. Bibliografia Giorgio de Chirico. Catalogo generale, vol. 2/2015, opere dal 1910 al 1975, Maretti Editore, Falciano, 2015, pp. 324, 509, n. 772. Stima E 60.000 / 90.000
Appartamento di LĂŠonce Rosenberg, Parigi, 1928-29, alle pareti le opere di Giorgio de Chirico La scuola dei gladiatori: il combattimento, 1928, e Gladiateurs au repos, 1928-29
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Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952
Ritratto di Giuditta Scalini, (1934) Tempera su tela, cm. 41x33 Firma in basso a sinistra: Savinio: dedica al verso sulla tela: A Giuditta Scalini: / cara amica / Savinio / 1934. Stima E 20.000 / 30.000
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Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952
Orgoglio, (1945) Tempera su carta applicata su tavola, cm. 40x24,5 Firma in basso a destra: Savinio; firma e titolo al verso: Alberto Savinio / “Orgoglio”: etichetta e timbro Galleria Borromini, Milano: etichetta Comune di Ferrara - Palazzo dei Diamanti / Direzione Gallerie Civiche d’Arte Moderna / Mostra A. Savinio: due etichette Spazio Immagine Galleria d’Arte Contemporanea, Milano, di cui una con indicazione Alberto Savinio / dipinti e disegni 1927-1951 / 21 aprile 15 giugno 1988. Storia Galleria Borromini, Milano; Galleria Spazio Immagine, Milano; Collezione privata Esposizioni Alberto Savinio. Opere recenti, Roma, Libreria La Margherita, dal 19 aprile 1945; Pitture di Savinio, Milano, Galleria Borromini, 19 aprile - 4 maggio 1947, cat. p. n.n.; Alberto Savinio, Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 5 luglio - 5 ottobre 1980, cat. n. 90, illustrata; Alberto Savinio dipinti e disegni 19211951, Milano, Galleria Spazio Immagine, 22 aprile - 15 giugno 1988, cat. pp. 50, 51, illustrata. Bibliografia Albanie Costes Monotti, Invitation au voyage, in Presence, Parigi, 3 giugno 1945;
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Vincenzo Costantini, Maschere di Savinio, in Sabato del Lombardo, Milano, 26 aprile 1947; Sarebbe un super-barman, in Corriere Lombardo, 26 - 27 aprile 1947; Alberto Savinio, Editoriale Periodici Italiani, Milano, 1949, p. n.n. (con titolo Ambizione e data 1947);
Maurizio Fagiolo dell’Arco, Alberto Savinio, Fabbri Editore, Milano, 1989, pp. 216, 246, n. 123; Pia Vivarelli, Alberto Savinio. Catalogo generale, Electa, Milano, 1996, p. 177, n. 1945 8 (con supporto errato). Stima E 20.000 / 30.000
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Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952
Sacerdozio, 1946 Tempera su tavola, cm. 39,6x25 Firma in basso a sinistra: Savinio; firma e titolo al verso: Alberto Savinio / “Sacerdozio”: etichetta Galleria Borromini, Milano: etichetta Comune di Ferrara - Palazzo dei Diamanti / Direzione Gallerie Civiche d’Arte Moderna / Mostra A. Savinio: due etichette Spazio Immagine Galleria d’Arte Contemporanea, Milano, di cui una con indicazione Alberto Savinio / dipinti e disegni 1927-1951 / 21 aprile - 15 giugno 1988. Storia Galleria Borromini, Milano; Collezione Romeo Toninelli, Milano; Collezione privata Esposizioni Pitture di Savinio, Milano, Galleria Borromini, 19 aprile - 4 maggio 1947; Alberto Savinio, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 18 maggio - 18 luglio 1978, cat. n. 134, illustrata; Alberto Savinio, Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 5 luglio - 5 ottobre 1980, cat. n. 95, illustrata; Alberto Savinio dipinti e disegni 1921-1951, Milano, Galleria Spazio Immagine, 22 aprile - 15 giugno 1988, cat. pp. 52, 53, illustrata. Bibliografia Raffaele Carrieri, Pellegrin che vien da Roma, in Milano Sera, Milano, 24 - 25 aprile 1947, p. n.n.; Antonio Cederna, L’irreale Savinio, in Ovest, Milano, 11 maggio 1947; Gillo Dorfles, Alberto Savinio alla Galleria Borromini: Monumento a Dio, in Domus, Milano, maggio 1947, p. 34; Alberto Savinio, Editoriale Periodici Italiani, Milano, 1949, p. n.n.; Maurizio Fagiolo dell’Arco, Alberto Savinio, Fabbri Editore, Milano, 1989, pp. 214, 246, n. 121; Pia Vivarelli, Savinio, gli anni di Parigi, dipinti 1927-1932, Electa, Milano, 1990, p. 50; Pia Vivarelli, Alberto Savinio. Catalogo generale, Electa, Milano, 1996, p. 182, n. 1946 5. Stima E 40.000 / 60.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Natura morta marina (con aglio e cipolle), 1941 Olio su tela, cm. 60x80 Firma e data in basso a destra: Pisis / 41. Al verso sul telaio: etichetta e timbro Galleria Gian Ferrari, Milano, con n. 3037. Certificato su foto di Claudia Gian Ferrari, Milano, 27 marzo 1998, con n. 3037; opera registrata presso l’Associazione per il Patrocinio dell’Opera di Filippo de Pisis, Milano, al n. 00473. Bibliografia Novecento. Catalogo dell’arte italiana dal Futurismo a Corrente, n. 6, Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 1996, p. 95. Stima E 40.000 / 55.000
[…] Io guardo estasiato tal mare. Ma quale fu l’acqua ad empirlo? Dai monti ruinò? Sgorgò dalla terra? Dal cielo vi cadde? O cadde piuttosto dagli occhi del mondo? Mar grigio, siccome una lastra d’argento brunastro, immobile e solo, uguale, ti guardo estasiato. - Ma c’è questo mare? Ma c’è? - Sicuro che c’è! Io solo lo vedo, Io solo mi posso indugiare a guardarlo, tessuta ho la vela io stesso, la prima a solcarlo. Aldo Palazzeschi, Mar grigio, 1909
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Paesaggio con i covoni, 1938 Olio su tavola, cm. 54x42 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / XVI. Storia Collezione privata, Firenze; Collezione privata Certificato su foto di Luigi Cavallo, Milano, 24 aprile 2018. Stima E 15.000 / 25.000
La datazione «XVI», come sappiamo, indica un arco di tempo che va dal 28 ottobre 1937 al 27 ottobre 1938. Si conosce un’altra versione su tela (cm 60x50,2) dello stesso soggetto che è datata in numeri arabi, «38»; senz’altro anche la presente opera si può dare al 1938. Il supporto, una tavola di buona qualità color mogano, compatta, tagliata di filo, lascia in rilievo l’intero andamento della pittura con i passaggi cromatici ben definiti – mentre sulla tela il pigmento è alleggerito dal tessuto, velato, soffuso. Si possono così apprezzare le bombature plastiche, gli incastri delle forme, la scansione vivace dei colori che distribuiscono le luci sulla superficie. È nel valore intrinseco della materia, nel gioco armonico della composizione che si esprime l’eccellenza del quadro insieme rustico e lirico, denso e arioso. L’immagine è complessa quanto naturale: l’impressione del momento è rielaborata con attenta valutazione delle forme e distribuzione dei volumi: i covoni gonfi di fieno sulla sinistra, gli alberi a chioma tonda che occupano il campo a destra in una leggera diagonale in contropendenza rispetto alla linea dei terreni disposti su tre fasce come pieghe sensibili e pronunciate. Magistrale questa sorta di base su cui poggia il casolare, una base mossa a pennellate incrociate, a tocchi veloci che fanno crescere il paesaggio e danno slancio verso il cielo mischiato di biancazzurro, oltre la cortina dentata di cipressi che fa da quinta. I muri come acquattati e protetti dalla vegetazione fanno occhieggiare il loro bianco e il rosso dei tetti come pietre pregiate che alimentano la qualità della pittura, il senso di una ricerca austera, se vogliamo, rigorosa e pure suscitatrice di emozioni reali. Qui abbiamo il Rosai “costruttore” – vedi il libro con i suoi disegni, L’architettura delle case coloniche in Toscana di Mario Tinti, 1934 – e il Rosai “trasfiguratore” con la capacità di elevare un paesaggio a visione, di allargare il vero su livelli ineffabili. Il campione che abbiamo sotto gli occhi è frutto di questa contaminazione feconda fra l’artista e il poeta, colui che sa porsi ad ascoltare la terra, la natura, nelle pulsazioni più interiori, nel clima evocativo che non ha tempo, con facoltà e risorse del tutto personali, in cui fa partecipe il riguardante di un bel viaggio di conoscenza. Luigi Cavallo
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Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961
Montagne con cielo giallo, 1946 ca. Olio su tela, cm. 32,8x44,2 Storia Galleria d’Arte Il Vicolo, Genova; Collezione privata Esposizioni Sironi, Torino, Galleria d’Arte Narciso, 6 - 30 novembre 1982, cat. n. 31, illustrato; Mario Sironi, Acqui Terme, Palazzo Liceo Saracco, 24 luglio - 12 settembre 1982, cat. p. n.n., illustrato. Stima E 10.000 / 15.000
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Filippo de Pisis Ferrara 1896 - Milano 1956
Paesaggio di Cortina, 1927 Olio su tela, cm. 54,5x36,5 Data e firma in basso a destra: 27 De Pisis. Al verso sulla tela: etichetta Galleria Milano, Milano. Certificato su foto Associazione per il Patrocinio dell’Opera di Filippo de Pisis, Milano, 13 febbraio 2004, con n. 02241. Esposizioni Filippo de Pisis, Pittura primo Amore, a cura di Luigi Cavallo,
Milano, Farsettiarte e Galleria Tega, 23 marzo - 8 maggio 2010, cat. pp. 92, 93, n. 22, illustrato a colori; Filippo de Pisis 1896-1956. Diario senza date, a cura di Claudio Spadoni e Daniela Grossi, Riccione, Villa Franceschi Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, 28 giugno - 2 settembre 2012, cat. p. 91, n. 66, illustrato a colori. Bibliografia Francesco Cetta, Filippo de Pisis. Una vita per l’arte piena di vita, Aión Edizioni, Firenze, 2015, p. 438. Stima E 20.000 / 30.000
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Renato Guttuso Bagheria (Pa) 1912 - Roma 1987
Nel giardino, 1948 Olio su tela, cm. 60x79 Firma e data in basso a destra: Guttuso ‘48; firma e luogo al verso sulla tela: Renato Guttuso / Largo di Villa Massimo / Roma: timbro F.lli Orler; numero sulla tela e sul telaio: 4789; sul telaio: timbro Galleria Gissi, Torino, con n. 5153. Storia Galleria Medea, Milano; Galleria Gissi, Torino; Collezione privata Certificato su foto di Fabio Carapezza Guttuso, Archivi Guttuso, Roma, 1 giugno 2000, con n. 1815411002. Bibliografia Enrico Crispolti, Catalogo ragionato generale dei dipinti di Renato Guttuso, vol. 1, Giorgio Mondadori, Milano, 1983, p. 184, n. 48/25. Stima E 25.000 / 40.000
Henri Rousseau, Giungla con scimmie e arance
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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea (To) 1957
Case sulla Greve, 1938 Olio su tela, cm. 70,4x50,4 Firma e data in basso a destra: O. Rosai / XVI. Al verso sul telaio: timbro Galleria La Casa dell’Arte, Sasso Marconi. Esposizioni Omaggio a Ottone Rosai (1895-1957), oli e disegni, Sasso Marconi, La Casa dell’Arte, 10 maggio - 29 giugno 1980, cat. p. 14, illustrato. Stima E 20.000 / 30.000
Ottone Rosai
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Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961
Composizione, 1954 ca. Olio su tela, cm. 80,5x100,5 Firma in basso a destra: Sironi. Al verso sul telaio: timbro Galleria del Milione, Milano, con n. 6983: timbro Galleria d’Arte Sacerdoti, Milano. Certificato su foto di Francesco Meloni. Stima E 65.000 / 95.000
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Carlo Carrà Quargnento (Al) 1881 - Milano 1966
Forte dei Marmi, 1946 Olio su tela, cm. 49x66 Firma e data in basso a sinistra: C. Carrà 946; firma, titolo e data al verso sul telaio: C. Carrà / Forte dei Marmi 946: timbro Galleria d’Arte Colongo, Biella. Storia Collezione S. Colongo, Biella; Collezione privata; Lucca; Collezione privata Esposizioni Mostra Mercato Nazionale d’Arte Contemporanea, Firenze, Palazzo Strozzi, 23 marzo - 28 aprile 1963, cat. p. 37, illustrato. Bibliografia Massimo Carrà, Carrà, tutta l’opera pittorica volume II, 1931-1950, L’Annunciata / La Conchiglia, Milano, 1968, pp. 579, 702, n. 9/46. Stima E 25.000 / 35.000
Forte dei Marmi in una foto d’epoca
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INDICE
B Baldessari R. 507, 539, 540 Balla G. 508, 517, 534, 535, 536, 537, 538 Bonalumi A. 568, 569 Burri A. 565 C Campigli M. 529 Capogrossi G. 563 CarrĂ C. 510, 511, 513, 521, 601 Casorati F. 553 Cassinari B. 579 Cavaliere A. 558 D De Chirico G. 512, 518, 522, 525, 550, 581, 588, 589, 590 De Pisis F. 519, 523, 524, 527, 542, 557, 586, 594, 597 Dufy R. 543 F Fillia 541 Fontana L. 567 G Guidi V. 561, 562 Guttuso R. 574, 575, 576, 577, 598 H Hartung H. 547
M Marini M. 560 Martini A. 578 Mathieu G. 546 Matta S. 544 Mattioli C. 570 Morandi G. 501, 502, 503, 504, 548, 549 Morlotti E. 571, 572 Murer A. 580 P Paresce R. 530, 531, 532, 533 Picasso P. 514 Pirandello F. 573 Pomodoro A. 559, 564 R Riopelle J. 545 Rosai O. 520, 552, 584, 595, 599 S Savinio A. 526, 555, 556, 591, 592, 593 Sironi M. 515, 528, 551, 596, 600 Soffici A. 509, 516, 554, 583, 587 T Tomea F. 585 V Vedova E. 566 Viani L. 505, 506, 582
Spett. li ...................................................................................
Viale della Repubblica (area Museo Pecci) Tel. (0574) 572400 - Fax (0574) 574132 59100 PRATO
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N.ro lotto
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CONDIZIONI DI VENDITA 1) La partecipazione all’asta è consentita solo alle persone munite di regolare paletta per l’offerta che viene consegnata al momento della registrazione. Compilando e sottoscrivendo il modulo di registrazione e di attribuzione della paletta, l’acquirente accetta e conferma le “condizioni di vendita” riportate nel catalogo. Ciascuna offerta s’intenderà maggiorativa del 10% rispetto a quella precedente, tuttavia il Direttore delle vendite o Banditore potrà accettare anche offerte con un aumento minore. 2) Gli oggetti saranno aggiudicati dal Direttore della vendita o banditore al migliore offerente, salvi i limiti di riserva di cui al successivo punto 12. Qualora dovessero sorgere contestazioni su chi abbia diritto all’aggiudicazione, il banditore è facoltizzato a riaprire l’incanto sulla base dell’ultima offerta che ha determinato l’insorgere della contestazione, salvo le diverse, ed insindacabili, determinazioni del Direttore delle vendite. È facoltà del Direttore della vendita di accettare offerte trasmesse per telefono o con altro mezzo. Queste offerte, se ritenute accettabili, verranno di volta in volta rese note in sala. In caso di parità prevarrà l’offerta effettuata dalla persona presente in sala; nel caso che giungessero, per telefono o con altro mezzo, più offerte di pari importo per uno stesso lotto, verrà preferita quella pervenuta per prima, secondo quanto verrà insindacabilmente accertato dal Direttore della vendita. Le offerte telefoniche saranno accettate solo per i lotti con un prezzo di stima iniziale superiore a 500 €. La Farsettiarte non potrà essere ritenuta in alcun modo responsabile per il mancato riscontro di offerte scritte e telefoniche, o per errori e omissioni relativamente alle stesse non imputabili a sua negligenza. 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La Farsettiarte si riserva il diritto di non consentire l’ingresso nei locali di svolgimento dell’asta e la partecipazione all’asta stessa a persone rivelatesi non idonee alla partecipazione all’asta. 4) Prima che inizi ogni tornata d’asta, tutti coloro che vorranno partecipare saranno tenuti, ai fini della validità di un’eventuale aggiudicazione, a compilare una scheda di partecipazione inserendo i propri dati personali, le referenze bancarie, e la sottoscizione, per approvazione, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 C.c., di speciali clausole delle condizioni di vendita, in modo che gli stessi mediante l’assegnazione di un numero di riferimento, possano effettuare le offerte validamente. 5) La Casa d’Aste si riserva il diritto di non accettare le offerte effettuate da acquirenti non conosciuti, a meno che questi non abbiano rilasciato un deposito od una garanzia, preventivamente giudicata valida dalla Mandataria, ad intera copertura del valore dei lotti desiderati. L’Aggiudicatario, al momento di provvedere a redigere la scheda per l’ottenimento del numero di partecipazione, dovrà fornire alla Casa d’Aste referenze bancarie esaustive e comunque controllabili; nel caso in cui vi sia incompletezza o non rispondenza dei dati indicati o inadeguatezza delle coordinate bancarie, salvo tempestiva correzione dell’aggiudicatario, la Mandataria si riserva il diritto di annullare il contratto di vendita del lotto aggiudicato e di richiedere a ristoro dei danni subiti. 6) Il pagamento del prezzo di aggiudicazione dovrà essere effettuato entro 48 ore dall’aggiudicazione stessa, contestualmente al ritiro dell’opera, per intero. Non saranno accettati pagamenti dilazionati a meno che questi non siano stati concordati espressamente e per iscritto almeno 5 giorni prima dell’asta, restando comunque espressamente inteso e stabilito che il mancato pagamento anche di una sola rata comporterà l’automatica risoluzione dell’accordo di dilazionamento, senza necessità di diffida o messa in mora, e la casa d’aste sarà facoltizzata a pretendere per intero l’importo dovuto o a ritenere risolta l’aggiudicazione per fatto e colpa dell’aggiudicatario. In caso di pagamento dilazionato l’opera o le opere aggiudicate saranno consegnate solo contestualmente al pagamento dell’ultima rata e, dunque, al completamento dei pagamenti. 7) In caso di inadempienza l’aggiudicatario sarà comunque tenuto a corrispondere alla casa d’asta una penale pari al 20% del prezzo di aggiudicazione, salvo il maggior danno. Nella ipotesi di inadempienza la casa d’asta è facoltizzata: - a recedere dalla vendita trattenendo la somma ricevuta a titolo di caparra; - a ritenere risolto il contratto, trattenendo a titolo di penale quanto versato per caparra, salvo il maggior danno. La casa d’asta è comunque facoltizzata a chiedere l’adempimento. 8) L’acquirente corrisponderà oltre al prezzo di aggiudicazione i seguenti diritti d’asta: I scaglione da € 0.00 a € 80.000,00 25,50 % II scaglione da € 80.001,00 a € 200.000,00 23,00 % III scaglione da € 200.001,00 a € 350.000,00 21,00 % IV scaglione da € 350.001,00 a € 500.000,00 20,50 % V scaglione da € 500.001,00 e oltre 20,00 % 9) Qualora per una ragione qualsiasi l’acquirente non provveda a ritirare gli oggetti acquistati e pagati entro il termine indicato dall’Art. 6, sarà tenuto a corrispondere alla casa d’asta un diritto per la custodia e l’assicurazione, proporzionato al valore dell’oggetto. Tuttavia in caso di deperimento, danneggiamento o sottrazione del bene aggiudicato, che
non sia stato ritirato nel termine di cui all’Art. 6, la Farsettiarte è esonerata da ogni responsabilità, anche ove non sia intervenuta la costituzione in mora per il ritiro dell’aggiudicatario ed anche nel caso in cui non si sia provveduto alla assicurazione.
10) La consegna all’aggiudicatario avverrà presso la sede della Farsettiarte, o nel diverso luogo dove è avvenuta l’aggiudicazione a scelta della Farsettiarte, sempre a cura ed a spese dell’aggiudicatario. 11) Al fine di consentire la visione e l’esame delle opere oggetto di vendita, queste verranno esposte prima dell’asta. Chiunque sia interessato potrà così prendere piena, completa ed attenta visione delle loro caratteristiche, del loro stato di conservazione, delle effettive dimensioni, della loro qualità. Conseguentemente l’aggiudicatario non potrà contestare eventuali errori od inesattezze nelle indicazioni contenute nel catalogo d’asta o nelle note illustrative, o eventuali difformità fra l’immagine fotografica e quanto oggetto di esposizione e di vendita, e, quindi, la non corrispondenza (anche se relativa all’anno di esecuzione, ai riferimenti ad eventuali pubblicazioni dell’opera, alla tecnica di esecuzione ed al materiale su cui, o con cui, è realizzata) fra le caratteristiche indicate nel catalogo e quelle effettive dell’oggetto aggiudicato. I lotti posti in asta dalla Farsettiarte per la vendita vengono venduti nelle condizioni e nello stato di conservazione in cui si trovano; i riferimenti contenuti nelle descrizioni in catalogo non sono peraltro impegnativi o esaustivi; rapporti scritti (condition reports) sullo stato dei lotti sono disponibili su richiesta del cliente e in tal caso integreranno le descrizioni contenute nel catalogo. Qualsiasi descrizione fatta dalla Farsettiarte è effettuata in buona fede e costituisce mera opinione; pertanto tali descrizioni non possono considerarsi impegnative per la casa d’aste ed esaustive. La Farsettiarte invita i partecipanti all’asta a visionare personalmente ciascun lotto e a richiedere un’apposita perizia al proprio restauratore di fiducia o ad altro esperto professionale prima di presentare un’offerta di acquisto. Verranno forniti condition reports entro e non oltre due giorni precedenti la data dell’asta in oggetto ed assolutamente non dopo di essa. 12) La Farsettiarte agisce in qualità di mandataria di coloro che le hanno commissionato la vendita degli oggetti offerti in asta; pertanto è tenuta a rispettare i limiti di riserva imposti dai mandanti anche se non noti ai partecipanti all’asta e non potranno farle carico obblighi ulteriori e diversi da quelli connessi al mandato; ogni responsabilità ex artt. 1476 ss cod. civ. rimane in capo al proprietario-committente. 13) Le opere descritte nel presente catalogo sono esattamente attribuite entro i limiti indicati nelle singole schede. Le attribuzioni relative a oggetti e opere di antiquariato e del XIX secolo riflettono solo l’opinione della Farsettiarte e non possono assumere valore peritale. Ogni contestazione al riguardo dovrà pervenire entro il termine essenziale e perentorio di 8 giorni dall’aggiudicazione, corredata dal parere di un esperto, accettato dalla Farsettiarte.Trascorso tale termine cessa ogni responsabilità della Farsettiarte. Se il reclamo è fondato, la Farsettiarte rimborserà solo la somma effettivamente pagata, esclusa ogni ulteriore richiesta, a qualsiasi titolo. 14) Né la Farsettiarte, né, per essa, i suoi dipendenti o addetti o collaboratori, sono responsabili per errori nella descrizione delle opere, né della genuinità o autenticità delle stesse, tenendo presente che essa esprime meri pareri in buona fede e in conformità agli standard di diligenza ragionevolmente attesi da una casa d’aste. Non viene fornita, pertanto al compratore-aggiudicatario, relativamente ai vizi sopramenzionati, alcuna garanzia implicita o esplicita relativamente ai lotti acquistati. Le opere sono vendute con le autentiche dei soggetti accreditati al momento dell’acquisto. La Casa d’aste, pertanto, non risponderà in alcun modo e ad alcun titolo nel caso in cui si verifichino cambiamenti nei soggetti accreditati e deputati a rilasciare le autentiche relative alle varie opere. Qualunque contestazione, richiesta danni o azione per inadempienza del contratto di vendita per difetto o non autenticità dell’opera dovrà essere esercitata, a pena di decadenza, entro cinque anni dalla data di vendita, con la restituzione dell’opera accompagnata da una dichiarazione di un esperto attestante il difetto riscontrato. 15) La Farsettiarte indicherà sia durante l’esposizione che durante l’asta gli eventuali oggetti notificati dallo Stato a norma della L. 1039, l’acquirente sarà tenuto ad osservare tutte le disposizioni legislative vigenti in materia. 16) Le etichettature, i contrassegni e i bolli presenti sulle opere attestanti la proprietà e gli eventuali passaggi di proprietà delle opere vengono garantiti dalla Farsettiarte come esistenti solamente fino al momento del ritiro dell’opera da parte dell’aggiudicatario. 17) Le opere in temporanea importazione provenienti da paesi extracomunitari segnalate in catalogo, sono soggette al pagamento dell’IVA sull’intero valore (prezzo di aggiudicazione + diritti della Casa) qualora vengano poi definitivamente importate. 18) Tutti coloro che concorrono alla vendita accettano senz’altro il presente regolamento; se si renderanno aggiudicatari di un qualsiasi oggetto, assumeranno giuridicamente le responsabilità derivanti dall’avvenuto acquisto. Per qualunque contestazione è espressamente stabilita la competenza del Foro di Prato. 19) Diritto di seguito. Gli obblighi previsti dal D.lgs. 118 del 13/02/06 in attuazione della Direttiva 2001/84/CE saranno assolti da Farsettiarte.
ASSOCIAZIONE NAZIONALE CASE D’ASTE AMBROSIANA – POLESCHI CASA D’ASTE Via Sant’Agnese 18 – 20123 Milano – tel. 02 89459708 – fax 02 86913367 www.ambrosianacasadaste.com info@ambrosianacasadaste.com BLINDARTE CASA D’ASTE Via Caio Duilio 10 – 80125 Napoli – tel. 081 2395261 – fax 081 5935042 www.blindarte.com info@blindarte.com ASTE BOLAFFI Via Cavour 17/F – 10123 Torino – tel. 011 0199101 – fax 011 5620456 www.astebolaffi.it – info@astebolaffi.it CAMBI CASA D’ASTE Castello Mackenzie – Mura di S. Bartolomeo 16 – 16122 Genova – tel. 010 8395029 – fax 010 879482 www.cambiaste.com – info@cambiaste.com CAPITOLIUM ART Via Carlo Cattaneo 55 – 25121 Brescia – tel. 030 2072256 – fax 030 2054269 www.capitoliumart.it – info@capitoliumart.it EURANTICO S.P. Sant’Eutizio 18 – 01039 Vignanello VT – tel. 0761 755675 – fax 0761 755676 www.eurantico.com – info@eurantico.com FARSETTIARTE Viale della Repubblica (area Museo Pecci) – 59100 Prato – tel. 0574 572400 – fax 0574 574132 www.farsettiarte.it – info@farsettiarte.it FIDESARTE ITALIA S.r.l. Via Padre Giuliani 7 (angolo via Einaudi) – 30174 Mestre VE – tel. 041 950354 – fax 041 950539 www.fidesarte.com – info@fidesarte.com INTERNATIONAL ART SALE S.r.l. Via G. Puccini 3 – 20121 Milano – tel. 02 40042385 – fax 02 36748551 www.internationalartsale.it – info@internationalartsale.it MAISON BIBELOT CASA D’ASTE Corso Italia 6 – 50123 Firenze – tel. 055 295089 – fax 055 295139 www.maisonbibelot.com – segreteria@maisonbibelot.com STUDIO D’ARTE MARTINI Borgo Pietro Wuhrer 125 – 25123 Brescia – tel. 030 2425709 – fax 030 2475196 www.martiniarte.it – info@martiniarte.it MEETING ART CASA D’ASTE Corso Adda 7 – 13100 Vercelli – tel. 0161 2291 – fax 0161 229327-8 www.meetingart.it – info@meetingart.it PANDOLFINI CASA D’ASTE Borgo degli Albizi 26 – 50122 Firenze – tel. 055 2340888-9 – fax 055 244343 www.pandolfini.it – info@pandolfini.it PORRO & C. ART CONSULTING Via Olona 2 – 20123 Milano – tel. 02 72094708 – fax 02 862440 www.porroartconsulting.it – info@porroartconsulting.it SANT’AGOSTINO Corso Tassoni 56 – 10144 Torino – tel. 011 4377770 – fax 011 4377577 www.santagostinoaste.it – info@santagostinoaste.it
REGOLAMENTO
Articolo 1 I soci si impegnano a garantire serietà, competenza e trasparenza sia a chi affida loro le opere d’arte, sia a chi le acquista. Articolo 2 Al momento dell’accettazione di opere d’arte da inserire in asta i soci si impegnano a compiere tutte le ricerche e gli studi necessari, per una corretta comprensione e valutazione di queste opere. Articolo 3 I soci si impegnano a comunicare ai mandanti con la massima chiarezza le condizioni di vendita, in particolare l’importo complessivo delle commissioni e tutte le spese a cui potrebbero andare incontro. Articolo 4 I soci si impegnano a curare con la massima precisione i cataloghi di vendita, corredando i lotti proposti con schede complete e, per i lotti più importanti, con riproduzioni fedeli. I soci si impegnano a pubblicare le proprie condizioni di vendita su tutti i cataloghi. Articolo 5 I soci si impegnano a comunicare ai possibili acquirenti tutte le informazioni necessarie per meglio giudicare e valutare il loro eventuale acquisto e si impegnano a fornire loro tutta l’assistenza possibile dopo l’acquisto. I soci rilasciano, a richiesta dell’acquirente, un certicato su fotografia dei lotti acquistati. I soci si impegnano affinché i dati contenuti nella fattura corrispondano esattamente a quanto indicato nel catalogo di vendita, salvo correggere gli eventuali refusi o errori del catalogo stesso. I soci si impegnano a rendere pubblici i listini delle aggiudicazioni. Articolo 6 I soci si impegnano alla collaborazione con le istituzioni pubbliche per la conservazione del patrimonio culturale italiano e per la tutela da furti e falsificazioni. Articolo 7 I soci si impegnano ad una concorrenza leale, nel pieno rispetto delle leggi e dell’etica professionale. Ciascun socio, pur operando nel proprio interesse personale e secondo i propri metodi di lavoro si impegna a salvaguardare gli interessi generali della categoria e a difenderne l’onore e la rispettabilità. Articolo 8 La violazione di quanto stabilito dal presente regolamento comporterà per i soci l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 20 dello Statuto ANCA.
Aste Primavera 2018 1 giugno Arte moderna, Fotografia 2 giugno Arte contemporanea
Emil Nolde. Il cacciatore (The Hunter). 1918. Olio su tela, 68 x 49 cm. Cat. Urban 821
Neumarkt 3 50667 Colonia Germania tel +49 221 92 57 29 27 modern@lempertz.com
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