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FASHION MAGAZINE N 3 2024
PIÙ GLOBALE MA SELETTIVA DOVE PUÒ ARRIVARE LA NUOVA STONE ISLAND?
Stone Island è un caso finanziario e industriale. Ha moltiplicato per otto i ricavi in 13 anni e ha chiuso il 2023 superando i 410 milioni di euro. In più, nonostante tre cambi di proprietà (Massimo Osti-Carlo Rivetti-Remo Ruffini), il marchio è sempre rimasto italiano, anche quando erano in tanti gli imprenditori di casa nostra a vendere a realtà straniere. Ma soprattutto è un caso distributivo: da 15 anni, nonostante la crisi cronica del canale wholesale, si è confermato, stagione dopo stagione, un’isola felice per i titolari dei negozi multimarca (specie in Italia, ma anche in Europa), corroborati dagli ottimi sell out e da un’attenzione costante al rapporto qualità-prezzo. Praticamente un mezzo miracolo. Se si chiede a Robert Triefus quale sia il segreto del successo del brand, di cui è ceo da poco più di un anno, non ha dubbi: essere un simbolo al di là dei capi che produce. «Il bello di Stone Island - dice - è che non ha bisogno di inserirsi in codici, ma accoglie naturalmente le contaminazioni». In effetti la rosa dei venti, simbolo del brand, è un aggregatore tribale, un passe-partout generazionale: parla la lingua delle sottoculture, dei tifosi di calcio, dei rapper e, da adesso, anche quella degli appassionati di design e di arte. «Uno dei punti di forza di Stone Island - conferma Triefus - è la dimensione cross-generazionale dei clienti, che nei mercati più maturi vede una rappresentazione equa tra le diverse allargando progressivamente la sua comunità di riferimento, fatta di storici appassionati«i nostri enthusiast», li definisce Triefus - ma anche di nuovi conoscitori del brand provenienti da tutto il mondo, a cominciare da aree geografiche finora poco esplorate come gli Usa e, soprattutto, la Cina. Una strategia di crescita alimentata dal ceo con l’attitudine alla modernità che ha già esercitato in passato da top manager di Gucci e che ha spinto lui e il patron Remo Ruffini a prendere una serie di decisioni cruciali e non sempre indolori: prima fra tutte, adottare un approccio selettivo al canale wholesale, che prima del cambio di proprietà era quello privilegiato. Come già accaduto con il Moncler di 10 anni fa, ora la priorità per Stone Island è costruire relazioni più dirette con il consumatore, come dimostrano gli investimenti stanziati per l’apertura di monomarca di proprietà e il progetto di internalizzazione dell’e-commerce, che fin dal suo lancio, nel 2008, era stato gestito da Yoox (poi diventato Ynap). «Nell’ultimo anno - spiega Triefus - abbiamo rafforzato sia l’headquarter che i team regionali, in linea con le nostre priorità strategiche, che includono l’internalizzazione e il rafforzamento dei nostri uffici overseas. Abbiamo dunque ripreso in mano la gestione della distribuzione in mercati chiave come la Cina e lanciato il nuovo sito web, che è stato fin qui il nostro maggiore investimento nelle attività di marketing». Riunendo quindi sotto un’unica leadership i negozi propri e le vendite del sito, Stone Island punta stare il più vicino possibile al cliente finale, in modo da capirne in fretta i cambiamenti. Il canale multimarca sarà razionalizzato (la sua incidenza è già passata dal 78% del 2020 al 58% del 2023), privilegiando i partner più “attrattivi”. «È nostra intenzione - conferma il ceo - incrementare progressivamente il contributo proveniente dall’attività dtc, un obiettivo che sarà raggiunto nel tempo». «Il wholesale - prosegue Triefus - continuerà a svolgere un ruolo importante nel nostro modello di business, nell’ottica di un raggiungimento del giusto equilibrio. A tal fine, in concomitanza con il lancio della collezione autunno-inverno 2024, abbiamo introdotto una struttura di distribuzione selettiva, per garantire che i wholesaler con cui collaboriamo ci rappresentino al meglio. C’è un’attenzione sempre maggiore agli spazi espositivi nei multimarca e alle attività di marketing con i partner».
La normalizzazione dei conti e l’eterno confronto con Moncler
Questa fase di transizione da un modello di vendita B2B a uno B2C si colloca in un momento delicato della vita commerciale di Stone Island, che fa fatica a trovare i tassi di crescita a doppia cifra del passato. Nel 2023 i ricavi hanno toccato quota 411 milioni di euro con un incremento del 2%, ben al di sotto della media degli ultimi 10 anni. Il 2024 è partito addirittura con il segno negativo: il primo semestre ha visto il fatturato diminuire del 5%. Un calo che l’azienda imputa alla selezione in corso nel canale wholesale (i volumi sono scesi del 24% rispetto all’anno precedente), ma che è stato quasi interamente compensato dalla crescita a doppia cifra del dtc. Resta in sospeso la risposta alla fatidica domanda «Sarà in grado Remo Ruffini con il suo management di fare di Stone Island il nuovo Moncler?». Tra gli scettici spiccano alcuni titolari di multimarca italiani che, forse amareggiati per essersi visti rifiutare gli ordini, ritengono la collezione di Stone Island poco adatta a un’attività retail monomarca (vedi box). Ci sono poi Luca Solca e gli analisti di Bernstein che, pur prevedendo un futuro di crescita per il brand (fatturato 2026 stimato a 460 milioni), ammettono che non sarà facile bissare il successo di Moncler. Sono quattro gli aspetti, secondo Bernstein, a rendere l’impresa non impossibile, ma in salita: il fatto che lo streetwear non è più il fenomeno commerciale del momento, l’identità di marca di Stone Island ritenuta meno forte rispetto a quella di Moncler, il legame forte con community che però non danno garanzia a lungo termine (ad esempio i tifosi di calcio inglese) e, infine, la produttività dello spazio retail, inferiore di quasi un terzo rispetto quella di Moncler, che in questa fase di potenziamento del business dtc rischia di diluire i margini di Stone Island.
Le prossime mosse e il ruolo del prodotto
Nonostante i malumori dei dettaglianti e la cautela degli analisti, il marchio continuerà a incrementare la sua presenza diretta. In linea con questo approccio il canale retail - che conta quasi 90 negozi gestiti direttamente, più 13 operati da partner - sarà potenziato. Un assaggio di questa accelerazione si è avuto durante l’estate con tre new opening in Cina, più quelli a Vienna e a Londra, presso Harrods. Altre aperture sono già pianificate, tra cui la relocation del flagship di Parigi, attesa a inizio 2025. «Riapriremo in Rue SaintHonoré - anticipa Triefus - ma in uno spazio più grande e introducendo il nuovo concept retail». Un altro argomento clou per il ceo è l’offerta di prodotto, rappresentata secondo le stime per il 97% dall’abbigliamento (con capispalla e maglieria come categorie core), mentre gli accessori sono la merceologia con più potenziale di crescita. Triefus, insieme all’ufficio design, ha perfezionato l’architettura della collezione, costruendo un’offerta ancora più mirata attraverso la creazione di tre subcollezioni. «Stiamo definendo in maniera più precisa i “ruoli” delle subcollection, che sono satelliti alla main line: Ghost è la parte più sofisticata, Stellina ha un’anima urbantech e Marina, di aspetto vintage, si rifà alle radici del marchio», spiega Triefus. Roberto Eggs, chief operating officer del gruppo Moncler, ha evidenziato nel corso della presentazione della relazione finanziaria semestrale che il salto di qualità del prodotto è stato accompagnato «da un aumento del ticket medio». Per Stone Island, quindi, il cliente spende di più, ma non a causa dell’impennata generale dei listini delle collezioni, almeno secondo Triefus anche se molti dettaglianti non concordano (vedi box): «Siamo molto attenti a garantire un chiaro rapporto prezzovalore e non abbiamo intenzione di aumentare i prezzi, perché così facendo rischieremmo di interrompere questa equazione».