Le industrie culturali e creative in italia e in europa

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LE INDUSTRIE CULTURALI E CREATIVE IN ITALIA ED EUROPA

“Non voglio che la mia casa sia murata su tutti i lati e le mie finestre sbarrate. Voglio che le culture di tutti i Paesi soffino attorno alla mia casa con la massima libertà possibile”. Mahatma Gandhi

“L'ignoranza è la notte della mente, ma una notte senza luna né stelle” Confucio

“La cultura costa, ma l’incultura costa molto di più”. Garcia Lorca

_______________________________________________________ Siae, giugno 2013 Dott. Antonio Di Lascio


Sommario Prefazione ……………………………………………………………………………..……………...…. pag.

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Definizioni ……………………………………………………………………………..……………...….

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1. Introduzione ………………………………………………………………………………….….

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2. L’industria culturale: in cerca di una definizione ……….…………………..

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3. La spesa pubblica in Europa ……………………….……..……………………………

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4. Il dettaglio delle “statistiche culturali” Eurostat ……..……………………..

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5. La percezione della cultura ..……….……………………………………………..…. 5.1 Partecipazione culturale ………………………………………………………………… 5.2 La spesa delle famiglie …..……………………………………………………………..

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6. La rete ed il ruolo della banda larga …………………………………………..….. “ 6.1 L’impatto di Internet nella musica …………………………………………..….. “ 6.2 L’impatto di Internet nell’editoria libraria ……………………………..……... “ 6.3 L’impatto di Internet sui giornali quotidiani ……………………………..….. “ 6.4 L’impatto di Internet sui contenuti video e tv …………………………..…. “ 6.5 Le piattaforme di condivisione dei contenuti e di crowdfunding .…. “ 6.6 Il fenomeno del Crowdfunding ..…………………………………………………….. “

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7. La nuova geografia globale della produzione culturale e creativa ...

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8. Come è cambiata nel tempo l’identità culturale italiana nel contesto globale …..……………………………………………………………………………

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9. Il contributo del sistema produttivo culturale al valore aggiunto e all’occupazione ……………………………………………………………….

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10. Le industrie culturali e creative e l’indotto:un potenziale da sfruttare “

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11. Incubatori d’impresa creativa, sostegni finanziari, creatori di reti e cluster in Europa …..………………………………………………………………………. 11.1 Incubatori di impresa ………………………………………………………………………. 11.2 Accesso al finanziamento ………..………………………………………………………. 11.3 Creazione di reti e cluster ………..……………………………………………………….

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12. Alcune conclusioni …..………………………………………………………………………..

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13. Il ruolo dell’Unione Europea ……………………………………………………………..

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Bibliografia …..………………………..………………………………………………………………..

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Indice delle tabelle

Tabella 1. Legenda: sigla delle nazioni ……………………………………………………. Tabella 2. Percentuale delle singole voci di spesa sulla spesa totale dei governi centrali (2011) ……….…………………………………………………. Tabella 3. Spesa delle famiglie (variazione percentuale nel biennio 2007/2009) ……………………………………….……………………. Tabella 4. Spettatori cinematografici in Europa 1989-2012 (X 1.000) …… Tabella 5. Country brand index ………………………………………………………………… Tabella 6. Valore aggiunto e occupazione del sistema produttivo culturale In Italia per settore, anno 2011(valori assoluti, composizioni e incidenze percentuali sul totale economia) ……………………………… Tabella 7. Variazioni percentuali delle medie annue 2007 – 2011 del valore aggiunto e dell’occupazione del sistema produttivo culturale in Italia per settore (variazioni percentuali) ………………………………… Tabella 8. Imprese registrate del sistema produttivo culturale in Italia per settore, anno 2011 (valori assoluti e composizioni percentuali)..

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Indice dei grafici

Grafico 1. Percentuale riduzione di spesa per attività del tempo libero (2009) …………………………………….…………………………………………………… Grafico 2. Quota percentuale di spesa in cultura delle famiglie (2005) .….. Grafico 3. Percentuale della popolazione con accesso alla banda larga ……. Grafico 4. Evoluzione del fatturato globale dell’industria discografica …….. Grafico 5. Ricavi complessivi delle industrie di contenuti suddivise per aree geografiche e per tipo di ricavo …………………………………………………… Grafico 6. Influenza culturale italiana nel contesto internazionale ……………… Grafico 7. Valore percepito della produzione culturale e creativa italiana nel contesto internazionale ….…………………………………………………….

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Prefazione “ [...] forse «emergenza dimenticata» non è l’espressione più adatta. Perché non è una questione di emergenza: quando parliamo di cultura parliamo di una scelta di fondo trascurata in un lungo arco di tempo; la scelta che auspichiamo per la cultura resta da fare perché non è stata fatta in modo conseguente per anni, per non dire per decenni, nel nostro Paese. Quello che ci deve assillare è come rilanciare lo sviluppo nel nostro Paese: sviluppo produttivo, sviluppo dell’occupazione e prospettiva di valorizzazione delle personalità e dei talenti delle giovani generazioni. Questo deve essere il nostro assillo. E dobbiamo sapere che la cultura può rappresentare un volano fondamentale per avviare una nuova prospettiva di sviluppo non solo in Italia ma anche in Europa. [...] Persiste in Italia una sottovalutazione clamorosa di queste tematiche, da parte delle istituzioni [...] e a monte di tutte le cecità di cui soffre la condizione riservata alla cultura oggi in Italia, c’è la scarsa consapevolezza dell’importanza decisiva per il nostro Paese di uno straordinario patrimonio. [...] Difendo l’articolo 9 come uno dei principî fondamentali della Repubblica e della Costituzione, come scelta meditata, lungimirante e di sorprendente attualità; «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica» – e questo è un accoppiamento che non dovremmo mai trascurare nei nostri discorsi: cultura e ricerca scientifica e tecnica. L’articolo continua: «[La Repubblica] tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione». Ebbene, quanto oggi le istituzioni della Repubblica «promuovono» e «tutelano»? In modo radicalmente insufficiente. Quale peso si sta riconoscendo a quel dettato costituzionale, e dunque ad una corretta visione del rapporto tra cultura e scienza, da una parte, e sviluppo dell’economia e dell’occupazione dall’altra? Non vorrei ragionare solo in termini economici: quale peso si sta riconoscendo al rapporto tra cultura e scienza, ulteriore incivilimento del Paese, benessere dei cittadini misurato secondo nuovi indici qualitativi, valorizzazione dell’identità e del prestigio dell’Italia nel mondo? Perché non c’è soltanto da valutare quale aiuto diano alla crescita del Pil la cultura e la scienza, ma come esse siano parte integrante del nostro stare nel mondo, con il profilo e il prestigio che le generazioni che ci hanno preceduto hanno assicurato all’Italia. Ed io ancora oggi intendo porre, questo problema in via prioritaria e di principio, cioè per quel che di per sé esso significa, prima di venire a considerazioni relative a temi di intervento legislativo e di finanza pubblica. E non esito a esprimermi con spirito critico anche nei confronti dei comportamenti dell’attuale governo, pur conoscendo la sensibilità e l’impegno dei singoli ministri, e non perdendo di vista quel che l’Italia deve al governo per un recupero incontestabile di credibilità e di ruolo in Europa e nel mondo. Sappiamo – anche se non si tratta di fare i ragionieri, ma di ragionare politicamente– che resta necessario fare i conti con un livello di indebitamento pubblico raggiunto nel corso di decenni e con un grado di esposizione ai rischi del mercato dei titoli del debito sovrano, e quindi resta indispensabile perseguire obiettivi rigorosi di riduzione della spesa pubblica e di contenimento della sua dinamica. [...] Però, io pongo una domanda critica: ma è fatale che per riuscire in questo sforzo di risanamento della finanza pubblica si debba ancora procedere con tagli rilevanti a impegni di finanziamento in ogni settore di spesa, tagli più o meno lineari, senza tentare di far emergere una nuova scala di priorità nell’intervento pubblico? Non credo che ciò sia fatale e che ci si debba arrendere a fuorvianti automatismi. La logica della spending review dovrebbe essere di ottenere risparmi di spesa, in qualsiasi settore, attraverso modifiche strutturali, modifiche di meccanismi generatori di spreco e distorsioni, e attraverso

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l’avvio di processi innovativi nella produzione di servizi pubblici e nella costruzione di programmi di intervento pubblico. Questa logica dovrebbe però far salva un’attribuzione di maggiori risorse e finanziamenti da considerare finora sacrificati, a impegni che sono invece essenziali per una ripresa e una nuova qualificazione dello sviluppo del Paese. Si deve salvaguardare una quota accresciuta e consistente di risorse, pur nella generale riduzione della spesa pubblica, per cultura e ricerca, tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Perché il contenimento della dinamica della spesa pubblica, non impedisce che possa esserci selezione. È molto arduo scegliere, ma questa è la responsabilità della politica e io credo che debbano essere detti più “sì” a tutto quello che riguarda cultura, scienza, ricerca, tutela e valorizzazione del nostro patrimonio. [...] Qualche spunto specifico. Ritorno innanzitutto sulla ricerca scientifica . L’Italia ha in campi fondamentali della ricerca tradizioni ed energie vive, dei talenti e un prestigio di cui molti, ad ogni livello, nella sfera istituzionale e nell’opinione diffusa, non si rendono conto. Abbiamo dei tesori, delle capacità, un dinamismo di competenze e di passione per la scienza che vengono largamente ignorati. [...] Un secondo spunto: tutela, cura e valorizzazione del territorio e del patrimonio, perché questo è qualcosa che spesso sfugge: si pensa solo al costruito e non si pensa al dove si costruisce, alla messa in sicurezza del territorio. [...] Ora qualche osservazione di carattere “trasversale” che riguarda tutti i settori di attività culturale. [...] Viviamo in un periodo difficile, perché si restringono le entrate disponibili per moltissime famiglie, c’è mancanza di lavoro, c’è cassa-integrazione, ci sono giovani che vedono un’ombra pesante sul loro futuro. Nello stesso tempo, proprio in questo periodo di restrizioni, vediamo anche i segni di una evoluzione nuova nel costume, nelle scelte dei consumi. E il fatto che diminuiscono sì tanti consumi di beni durevoli o abituali beni di consumo, ma invece non diminuisca la spesa per la fruizione del patrimonio culturale, per i musei, né per quello che riguarda la partecipazione ad attività culturali, e di arricchimento morale e civile, questo è un segno molto incoraggiante che noi dovremmo riuscire a generalizzare nella realtà del nostro Paese. Poi c’è qualche cosa che non posso sottacere. In tutti i settori, anche in quelli con attività culturali, occorrono scelte non conservative per quel che riguarda le strutture e le realtà che si sono venute accumulando e incrostando nel corso del tempo. Guai se dovessero prevalere atteggiamenti di difesa e conservazione di tutto l’esistente, atteggiamenti puramente difensivi di posizioni acquisite in termini corporativi e di categoria. Abbiamo bisogno di innovare nel senso del miglior uso delle scarse o limitate risorse disponibili. Non tutto quel che c’è in ognuna delle nostre istituzioni che si occupano di cultura e di scienza è difendibile, non tutto è valido, non tutto è produttivo. E dobbiamo avere il coraggio di innovare, se vogliamo salvaguardare l’essenziale, la funzione e il futuro di queste nostre attività. [...] Abbiamo bisogno di investimenti privati e pubblici, di mobilitazione nuova di soggetti sociali e cooperativi, anche adeguando la legislazione italiana all’esigenza di valorizzare questi apporti. [...] Fate valere le vostre legittime preoccupazioni, esigenze, insofferenze, proteste, fatele valere con il massimo sforzo di razionalità e di responsabilità perché solo così potremo portare la cultura più avanti e il Paese fuori dalla crisi”. Tratto dall’intervento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano agli Stati Generali della Cultura, Roma, Teatro Eliseo, 15 novembre 2012

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Definizioni “Le industrie culturali sono quelle attività che producono e distribuiscono beni o servizi che, nel momento in cui sono concepiti, possiedono un carattere, un uso o uno scopo specifici che incorporano o trasmettono espressioni culturali, al di là del loro valore commerciale. Oltre ai settori tradizionali delle arti (arti dello spettacolo, arti visive, patrimonio culturale - compreso il settore pubblico), questi beni e servizi comprendono anche i film, i Dvd e i video, la televisione e la radio, i giochi video, i nuovi media, la musica, i libri e la stampa”

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Le industrie creative sono le industrie che utilizzano la cultura come input e hanno una dimensione culturale, anche se i loro output hanno un carattere principalmente funzionale. Comprendono l'architettura e il design, che integrano elementi creativi in processi più ampi, e sottosettori come il design grafico, il design di moda o la pubblicità. (Convenzione UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali - 2005).

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1. Introduzione In uno scenario economico dominato dalla crisi dei mercati finanziari che di rimando ha generato una dilagante crisi economica generale, diventa ancora più importante pensare a quali possono essere le nuove strategie per il rilancio delle attività produttive e per il ripristino di una condizione di benessere economico per la popolazione. I primi tentativi di intraprendere un percorso di sviluppo che partisse da premesse altre rispetto alla produzione industriale tout court, la quale aveva esaurito ormai il suo potenziale, hanno avuto luogo una ventina di anni fa: tali tentativi hanno preso le mosse dalle produzioni culturali e creative, generalmente riconosciute come non autosufficienti a livello economico e da sempre legate, pertanto, ai sussidi statali. Un ragionamento di questo tipo ha dato nel tempo i suoi frutti facendo sì che ancora oggi, essendosi ormai consolidati i primi pionieristici esperimenti, si stia lavorando per dare alla cultura e alla creatività un ruolo chiave nelle politiche di sviluppo economico. L’economista indiano e premio Nobel Amartya Sen, riflettendo sulla situazione dei paesi in via di sviluppo, ha preso consapevolezza del fatto che la crescita economica ha come punto di partenza l’individuo (Sen, 1999). Il reddito non ha un nesso causale con le aspettative dell’individuo o con lo stile di vita che esso conduce e le caratteristiche principali che determinano il benessere procedono da un approccio che considera l’individuo, dotato di libertà e diritti, come centro di tutte le attività di sviluppo. Lo studio di Sen, come molti altri promossi in particolare dalle organizzazioni internazionali, hanno contribuito a creare questo cambiamento nel modo di concepire lo sviluppo economico, dando impulso all’attuazione di nuovi modelli. Si passa da un paradigma che procede dalla nozione di sviluppo economico come aumento della produzione, della quale il PIL è sempre stato un esauriente valore di crescita, ad un altro che si focalizza sull’uomo e sulla sua realizzazione e che necessita, pertanto, di indicatori più articolati. Al centro, dunque, vi è l’essere umano e i suoi obiettivi esistenziali che sono alla base delle attività economiche e che devono, per questo, essere tenuti in considerazione. Quello che ha preso vita è stato un vero e proprio cambio di mentalità, con il quale ci si è resi progressivamente conto della necessità di non puntare più sull’aspetto materiale della produzione, ma, piuttosto, su quello immateriale. Questo perché la produzione acquisisce valore aggiunto non più attraverso input materiali, ma grazie allo scambio di informazioni e al significato simbolico incorporato dai prodotti (beni e servizi) che spesso viene recepito dal consumatore prima del suo valore d’uso. Il design e il marketing, ad esempio, diventano fondamentali per proporre ai consumatori dei veri e propri stili di vita che vengono legittimati dal consumo di determinati prodotti (soprattutto culturali e creativi). In questo quadro d’analisi, temi quali la cultura e la creatività si sono fatti spazio nel discorso economico, essendo vettori di valore simbolico per i beni e i servizi. La cultura circola attraverso prodotti creativi, ma sta anche alla base della loro ideazione. Per questo motivo i due concetti di 7


cultura e creatività si alimentano reciprocamente e vivono dei benefici che possono trarre l’uno dall’esistenza dell’altro, pur rimanendo due elementi distinti (sebbene in alcuni casi siano utilizzati come sinonimi). Con l’annullamento delle distanze spazio-temporali innescato dalla diffusione sempre più ampia delle information and communication technologies (ICT) si sono aperte possibilità di comunicazione e di trasmissione di informazioni in breve tempo e in tutto il mondo a costi contenuti. Una maggiore circolazione di informazioni comporta uno scambio rapido di modelli di consumo che tendono, per questa facilità di acquisizione, ad uniformarsi anche in zone del mondo che da sempre hanno avuto culture agli antipodi. Questo processo di eccessiva standardizzazione, ha generato a livello nazionale in primis, ma poi soprattutto a livello locale, l’esigenza di riaffermare la propria peculiare cultura. Alla cultura è stato affidato un ruolo rilevante nel contrastare il tendenziale “appiattimento dei gusti” sviluppatosi nell’era dell’economia globalizzata in favore della ricostruzione di un’identità più strettamente locale, dove è possibile riconoscere un carattere distintivo, una vocazione. Si punta sulle tipicità in termini di beni idiosincratici (materie prime tipiche del luogo), ma soprattutto per quanto riguarda il patrimonio immateriale caratterizzante. L’aumento delle reti e delle connessioni tra le varie parti del mondo ha avuto delle implicazioni non solo sulla circolazione di informazioni (immateriali), ma anche di merci. Molte aziende hanno esportato le proprie produzioni a livello internazionale configurandosi, appunto, come multinazionali. L’estrema conseguenza di questa apertura all’internazionalizzazione da parte delle imprese è stata la delocalizzazione delle produzioni. Molto spesso, infatti, le aziende hanno delle sedi produttive in luoghi in cui la manodopera ha un costo basso, mentre mantengono le sedi principali (dove rimangono i centri decisionali e ideativi) nel luogo d’origine dell’azienda. È evidente che in questo modo il livello di occupazione nello Stato in cui l’azienda ha la propria sede originaria tenderà a decrescere. Un investimento che può ridare vigore alle aziende sul territorio diventa, quindi, quello creativo, in un’accezione che si avvicina ai concetti di innovazione e design. Questa accentuata separazione tra luogo dell’ideazione e luogo della produzione ha reso, peraltro, ancora più evidente la dialettica tra la parte materiale e la parte immateriale della catena del valore, con una netta predominanza della seconda sulla prima. Si è parlato a lungo di economia della conoscenza (knowledge economy) e di come essa andasse a configurare l’immateriale, nelle sue diverse implicazioni, come asset imprescindibile nella produzione. Lo scambio di informazioni, reso semplice e rapido grazie ad una diffusione sempre più capillare delle nuove tecnologie, diventa determinante in quanto genera conoscenza (un elemento che viene incorporato dagli individui), la vera leva competitiva della new economy. La situazione economica attuale è stata definita “post-fordista”, poiché essa si occupa primariamente dei bisogni immateriali dei consumatori, piuttosto che di quelli materiali (fordismo e produzione industriale). Un altro attributo che le è stato dato è quello di “economia dei servizi” 8


(service economy). Il passaggio a livello teorico avviene nel momento in cui si riconosce l’imprescindibilità del capitale umano nelle nuove modalità di produzione e commercializzazione dei prodotti. Il capitale umano è alla base del settore terziario, dei servizi, dominato dall’immaterialità e dall’intangibilità. Riprendendo il pensiero di Bell, la progressiva terziarizzazione dell’economia (service economy), ovvero l’assorbimento da parte del settore terziario di una sempre più consistente quantità di lavoratori, viene visto come uno sviluppo del mercato del lavoro a partire da quella tendenziale crescita di importanza del capitale umano (Bell, 1973). Molti sono propensi a pensare che la progressiva deindustrializzazione nei paesi occidentali, dovuta allo spostamento delle sedi produttive in paesi in cui la manodopera ha un costo molto basso, e il conseguente riversarsi dei lavoratori nel settore terziario sia un fatto negativo. Tale settore viene visto come una sorta di ripiego verso il quale si sono rivolti i lavoratori in esubero negli altri settori e non come un’evoluzione nei termini di un miglioramento degli assetti occupazionali. Tuttavia il fatto rivelerebbe un potenziale positivo nei limiti in cui il settore dei servizi è in grado di creare posti di lavoro senza arrivare al collasso. Questa argomentazione è una delle basi su cui poggiano le tesi a sostegno dello sviluppo delle industrie culturali e creative, come fortemente imperniate sui servizi e, di conseguenza, capaci di generare posti di lavoro preziosi soprattutto in uno scenario di disoccupazione dilagante a livello europeo, ma non solo.

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2. L’industria culturale: in cerca di una definizione Riprendendo la classificazione proposta da David Throsby (2001), le definizioni di cultura possono essere divise in due gruppi fondamentali: quelle che fanno riferimento al processo e quelle che fanno riferimento al prodotto. Pensare alla cultura come “processo” significa identificarla con i valori, gli usi e i costumi che caratterizzano un determinato gruppo distinguendolo e rendendolo riconoscibile rispetto ad altri. Emerge la natura fortemente immateriale della cultura nel suo operare “a monte”. Parlare di cultura come “prodotto”, invece, sposta l’attenzione verso gli aspetti materiali legati alla cultura, ovvero i beni e i servizi che incorporano contenuti culturali. L’immateriale prende vita nella materialità, “si sedimenta nelle persone, nelle relazioni, negli artefatti, nelle istituzioni e anche nelle organizzazioni di produzione e nei prodotti.” (Tamma, 2010). Throsby definisce anche con chiarezza quali sono le caratteristiche che permettono di identificare i prodotti come culturali, ovvero, il consistente sforzo creativo che confluisce nella produzione del bene, il messaggio simbolico incorporato nei beni che viene recepito da chi li consuma, la proprietà intellettuale (anche solo potenziale) contenuta in esso. Indipendentemente dalle modalità specifiche di produzione i prodotti culturali e creativi hanno un’essenza comune che riguarda la loro filiera. Innanzitutto i prodotti culturali e creativi si compongono di input creativi, fondamentali per rendere i prodotti quello che sono, ma anche input non creativi che spaziano da quelli tecnico-materiali a quelli economico-manageriali (Tamma Curtolo, 2009). Ne consegue che il prodotto finale avrà un valore culturale-simbolico imprescindibile, ma anche un valore economico. Per individuare le fasi che scandiscono la vita del prodotto culturale, l’UNESCO ha elaborato un modello (2009) che introduce il concetto di “culture cycle”, individuando cinque gruppi di attività. Essi non si sviluppano necessariamente l’uno dopo l’altro, ma si presentano come interconnessi e sono:     

Creation Production Dissemination Exhibition/Reception/Transmission Consumption/Partecipation

Generalmente esse si sviluppano secondo un nesso causale dalla prima operazione all’ultima. Vi possono essere anche delle connessioni tra una fase e un’altra non direttamente collegate attraverso dei processi di feedback, se non vi sono addirittura dei casi in cui più attività vengono comprese in un’unica operazione. L’intenzione sottesa, poi, è quella di rappresentare la catena del valore dei prodotti culturali e creativi come un circuito piuttosto che in forma lineare, ammettendo, ad esempio, che un’azione di creazione possa essere influenzata da come il prodotto precedente è stato recepito dal consumatore (Hartley, 2004). 10


Così si giunge al concetto di industria culturale, che viene coniato per la prima volta negli anni ’40 da Horkheimer e Adorno per suscitare una reazione di rifiuto nei confronti dell’industria americana dell’intrattenimento e del tempo libero, colpevole di incentivare modi di vita superficiali e disimpegnati. Si deve poi aspettare la fine degli anni ’60 per far perdere all’espressione l’aura polemica assunta dai suoi primi utilizzatori. Il governo inglese e il DCMS sono stati i primi, sin dagli inizi degli anni ’90, a dedicare attenzione al tema. ”Le industrie creative sono quelle che hanno origine dalla creatività individuale, abilità e talento. Esse hanno un potenziale di creazione di ricchezza e posti di lavoro attraverso lo sviluppo della proprietà intellettuale. Le industrie creative includono pubblicità, film e video, architettura, musica, arte e mercati antiquari, spettacolo dal vivo, computer e videogame, editoria, artigianato, software, design, televisione e radio, moda.” Altre definizioni sono più restrittive o a maglie più larghe; tra quest’ultime vi é quella francese che individua i settori delle industrie culturali sulla base della “esistenza di riproduzione di massa di beni e servizi culturali attraverso processi industriali e tecniche di comunicazione”. Definisce un’area più ristretta anche l’approccio del WIPO (World Intellectual Property Organization) in base al quale i settori sono quelli protetti dai diritti della proprietà intellettuale, letteraria e artistica. L’enorme sviluppo che le industrie culturali hanno avuto nell’ultimo quarto del XX secolo ha messo poi in luce come l’intreccio tra modi di vita, cultura e affari fosse destinato a complicarsi. Una spiegazione più puntuale di “industria culturale” non può però prescindere da un’accezione allargata, che pone l’accento sulla smaterializzazione della produzione nelle economie avanzate, ossia sul fatto di non produrre ormai più oggetti materiali, ma essenzialmente “segni” caratterizzati da un contenuto cognitivo (beni informazionali), o individuati nel loro contenuto estetico (beni postmoderni). Ciò si verifica non solo nella diffusione di oggetti non materiali che sono dotati di una componente estetica sostanziale (come la musica, il cinema, i video, l’editoria), ma anche nel crescente contenuto estetico incorporato nei prodotti materiali, che si manifesta sia nella fase di produzione sia nella circolazione e nel consumo di tali beni. Ma cosa si intende oggi per cultura? Uno dei motivi che genera più spesso malintesi sull’impatto economico della cultura è che all’interno di tale sfera esistono ambiti diversi, alcuni dei quali organizzati in modo industriale ed in grado di generare strutturalmente profitti, mentre altri non lo sono. Poiché le aree non organizzate industrialmente, prevalentemente le più antiche, come le arti visive, lo spettacolo dal vivo e il patrimonio storico-artistico, sono spesso considerate le forme di espressione culturale per antonomasia e che producono nulli o pochi profitti, diventa naturale ritenere che, essendo bisognose di trasferimenti per operare, ciò debba necessariamente traslarsi verso ogni forma di produzione culturale.

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Un’altra distinzione importante, anch’essa all’origine di molti malintesi, è quella tra cultura e creatività. La sfera culturale ha una particolarità: quella di produrre contenuti che non hanno altra finalità che di essere esperiti ed apprezzati in quanto tali e senza finalità ulteriori: vedere un film, ascoltare un pezzo musicale, leggere un romanzo, assistere ad uno spettacolo teatrale. Al contrario, la sfera creativa applica i contenuti culturali ad ambiti di esperienza in cui esistono altre importanti finalità: un oggetto di design potrà essere originale, ma al contempo, deve essere fruibile per l’utente (ad esempio una sedia o una poltrona comode). Il rapporto tra cultura e creatività assomiglia a quello tra ricerca di base ed applicata: nella prima caso ci si può porre ed affrontare i problemi più fantasiosi prescindendo da qualsiasi considerazione di rilevanza pratica; nella seconda, sono proprio le istanze di rilevanza pratica a dettare tempi e priorità. Allo stesso modo la cultura, in generale, produce un valore aggiunto relativamente limitato rispetto alla creatività, anche se molto del valore aggiunto prodotto dalla creatività costituisce il risultato di contenuti e stimoli provenienti dalla sfera culturale. La creatività è generalmente più redditizia in termini economici, ma gran parte di essa avrebbe meno capacità di generare valore economico se non potesse attingere al serbatoio della cultura. Sarebbe quindi miope distinguere, come spesso si fa nei Paesi più sensibili al richiamo dell’industria culturale e creativa, tra settori redditizi e meno redditizi o in perdita: fanno tutti parte di uno stesso ecosistema creativo (Howkins, 2010) e, come negli ecosistemi, l’estinzione o la messa in pericolo di una specie apparentemente trascurabile può mettere a repentaglio la sopravvivenza di specie più grandi ed apparentemente più forti. È ormai dunque divenuto consueto distinguere il comparto delle industrie culturali e creative in sette aree:  il nucleo non industriale (core), che si compone dei settori ad alta densità di contenuti creativi ma che per la loro natura non possono essere organizzati industrialmente, e sono fondati sulla produzione di oggetti ed esperienze unici o comunque limitatamente riproducibili (arti visive, spettacolo dal vivo, patrimonio storico‐artistico);  le industrie culturali, che hanno un’organizzazione industriale pur mantenendo una alta densità di contenuti creativi; sono basate sulla produzione di un numero potenzialmente illimitato di copie identiche ed interscambiabili (editoria, musica, cinema, radio-televisione, videogiochi);  le industrie creative, che mantengono un’organizzazione industriale, ma presentano una densità di contenuti creativi relativamente minore, rispondendo anche ad imperativi funzionali non culturali (architettura, design, inclusi artigianato, moda, e comunicazione);  le piattaforme digitali di contenuti che, pur mantenendo un’organizzazione parzialmente industriale, contengono anche vaste aree non intermediate dal mercato, e fondate su un’economia di condivisione e di scambio volontario, piena di contenuti creativi con una significativa componente di quelli generati dagli utenti; 12


i settori complementari (educazione, turismo culturale, information technology) che di fatto non appartengono alla sfera culturale creativa in senso stretto, ma presentano forti complementarità strategiche con quest’ultimi; la experience economy, ovvero quei settori non culturali nei quali, tuttavia, in contenuti creativi stanno sviluppando una penetrazione pervasiva, e che comprende tutti i beni di consumo ed una componente crescente di beni strumentali la scienza e la tecnologia, che funzionano secondo regole proprie e parzialmente diverse da quelle della produzione culturale, ma che presentano con essa forti complementarità in vista della crescente pervasività di uso di piattaforme tecnologiche sempre più sofisticate in molte forme di produzione artistica (arti visive, performance, cinema, musica elettronica, ecc.).

Come si vede, il confine tra sfera culturale e non culturale è complesso e sfumato, anche se, convenzionalmente, nelle misurazioni del valore aggiunto culturale e creativo si considerano soltanto le prime quattro aree (pubblicità; editoria; attività dello spettacolo, intrattenimento e divertimento; attività fotografiche; produzioni e distribuzioni cinematografiche e di video; organizzazione di fiere, esposizioni e convegni; telecomunicazioni; design e styling; ricerca e sviluppo; attività radiotelevisive; attività ricreative; istruzione universitaria e post-universitaria; attività di agenzie di stampa; attività di biblioteche, archivi, musei ed altre attività culturali) per le oggettive difficoltà di misurazione del valore aggiunto delle piattaforme digitali. Si può pertanto con affermare che, nel contesto post-industriale, la componente fisica dei beni sfuma la propria importanza, mentre emerge con forza la componente simbolica poiché diventa determinante la capacità di elaborare significati culturali, indurre sensazioni, trasferire emozioni. Ed è in tal senso che, negli ultimi decenni, è fortemente cresciuta l’importanza delle industrie culturali e della produzione di cultura per fini di mercato, a seguito dell’inarrestabile crescita della domanda dei relativi beni e servizi derivante dallo sviluppo dei processi di istruzione, dei nuovi fenomeni di urbanizzazione e della diffusione di hardware e software per il consumo di cultura, accessibili e disponibili a costi relativamente contenuti in tutto il mondo.

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TABELLA 1. LEGENDA: SIGLA DELLE NAZIONI NAZIONE

SIGLA

Albania

AL

Austria

A

Belgio

B

Bielorussia

BLR

Bosnia–Erzegovina

BIH

Bulgaria

BG

Ceca Repubblica

CZ

Cipro

CY

Croazia

HR

Danimarca

DK

Estonia

EST

Finlandia

SF

Francia

F

Georgia

GEO

Germania

D

Gran Bretagna

GB

Grecia

GR

Irlanda

IRL

Islanda

IS

Italia

I

Jugoslavia

YU

Lettonia

LV

Liechtenstein

FL

Lituania

LT

Lussemburgo Macedonia Malta

L MK M

Moldavia

MOL

Monaco

MC

Norvegia

N

Paesi Bassi

NL

Polonia

PL

Portogallo Rep. San Marino

P RSM

Romania

RO

Slovacchia

SK

Slovenia

SLO

Spagna

E

Svezia

S

Svizzera

CH

Ungheria

H

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3. La spesa pubblica in Europa Recentemente l’Eurostat, l'Istituto di statistica europeo ha pubblicato i livelli di spesa pubblica per macroaggregati registrati nel 2011 dai 27 Stati aderenti all’Unione Europea. Nonostante il nostro Paese detenga secondo l'Unesco il maggior numero di beni che rientrano nel patrimonio dell'umanità, alle spese in cultura è dedicato solo l'1,1% del Pil, collocando l’Italia all’ultimo posto in Europa, contro il 2,2% della media UE; la Germania spende l'1,8%, il Regno Unito il 2,1%, la Francia il 2,5% e la Spagna il 3,3%, e tutti gli altri Paesi non scendono mai sotto la soglia dell’1,8%; i primi della classifica sono l’ Estonia e la Lettonia. Ma forse la crisi economica non è l’unica ragione di tale risultato, considerato che la Grecia, che per prima e più di noi soffre la speculazione del mercato, spende nella cultura l'1,2% del Pil (0,1% in più rispetto l’Italia). Il penultimo posto sul gradino europeo è ancora italiano se si analizza la spesa per l’istruzione, ovvero l'8,5% del Pil contro una media Ue del 10,9%, mentre al contrario le altre voci della nostra spesa pubblica risultano in linea con la media dei partner europei: il 3% del Pil, come in Europa, è destinato alle spese militari; il 4% all'ordine pubblico (lo 0,1% in più rispetto alla media UE); per la sanità pubblica spendiamo leggermente meno degli altri Paesi attestandoci sul 14,7% contro il 14,9%. TABELLA 2.

PERCENTUALE DELLE SINGOLE VOCI SULLA SPESA TOTALE DEI GOVERNI CENTRALI (2011)

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Dalla tabella, si evince che per la voce “attività ricreative, cultura e religione” su 27 Paesi, 3 (Estonia, Lettonia e Lussemburgo) investono fra il 4 ed il 5%, 5 (Slovenia, Ungheria, Olanda, Spagna, Slovacchia) fra il 3 ed il 4%, 13 (Repubblica Ceca, Polonia, Danimarca, Cipro, Romania, Lituania, Francia, Belgio, Bulgaria, Portogallo, Finlandia, Svezia, Malta) fra il 2 ed il 3%, 5 (Austria, Germania, Irlanda, Grecia, Italia) fra l’1 ed il 2%. Analizzando la percentuale rispetto al Pil, l’Istat, nelle sue tabelle sulla spesa delle amministrazioni pubbliche, evidenzia che la voce per istruzione è percentualmente diminuita, passando dal 4,4% del 2010 al 4,2% nel 2011, mentre quella per la cultura si è quasi dimezzata passando dallo 0,8% del 2010 allo 0,5% del 2011. E’ dunque evidente come la crisi culturale, e più in generale quella del comparto istruzione-cultura, costituiscano un dato ormai acclarato. Se gli sforzi di austerità hanno dunque da un lato raggiunto l'obiettivo di ridurre sensibilmente la spesa, dall’altro hanno accresciuto il peso di tutte quelle voci che inevitabilmente aumentano in tempo di crisi: in Unione Europea, la spesa pubblica nel 2011è stata pari al 49,1% del Pil, di cui il 55% destinato a protezione sociale e sanità, diminuendo per tutte le voci fuorché i servizi generali, ovvero quella categoria che include gli interessi sul debito; ed è proprio in questa voce che l’Italia segna un 17,3% sulla spesa complessiva (13,5% dell’Ue a 27), dietro solo la Grecia (24,6%), Cipro (24,1%) e Ungheria (17,5%). Di fatto, l'Italia paga più degli altri Paesi i servizi pubblici generali e lo stesso dicasi per le uscite relative alle politiche di protezione sociale (41% della spesa pubblica complessiva contro il 39,9% dell'Ue), in crescita negli ultimi anni più per l'aumento numerico dei pensionati che per gli ammortizzatori sociali, e per le spese sanitarie (14,7%, alla pari della Francia). Incrociando i dati economici con l’analisi dei consumi culturali (Dati Mibac 2009), la situazione italiana, confrontata con quella europea, non è delle più rosee: solo il 46% degli italiani si reca al cinema almeno una volta l’anno, contro il 70% degli islandesi o dei danesi, il 57% degli inglesi e il 54% di francesi e spagnoli, mentre per gli spettacoli dal vivo la frequenza si attesta al 30%. Si è poco collegati con il mondo: si viaggia almeno 3 volte l’anno, non si naviga molto su internet ed il gap tecnologico è del 30% rispetto ai paesi del Nord Europa che vantano una fruizione di internet pari all’80% della popolazione. Gli italiani sono inoltre diffidenti all’acquisto online di beni o prodotti culturali: nonostante una sostanziale crescita di utenti che effettuano transazioni (si è passati dal 5% del 2006 al 12% del 2009), si è ancora lontani dal 57% degli inglesi o dal 49% dei norvegesi che hanno automatizzato gran parte della ticketeria nazionale riferibile ad eventi culturali. Inoltre, le case editrici nazionali devono fronteggiare la ritrosia di un Paese in cui solo il 45% della popolazione legge almeno un libro l’anno, al penultimo posto della classifica europea, seguiti solo dal Portogallo. Al fondo estremo della classifica l’Italia si attesta invece per la lettura dei quotidiani: il 46% della popolazione femminile e il 22% di quella maschile italiana non legge mai un quotidiano. 16


4. Il dettaglio delle “statistiche culturali” Eurostat Eppure, è lo stesso Eurostat a prendere atto che tutti i Paesi membri dell’Unione Europea riconoscono l’importanza strategica della cultura, un settore che vive una condizione di disagio e di scarsità di risorse, ma il cui sviluppo è da inserirsi nelle azioni intese a favorire l’integrazione tra popoli. Dalla seconda edizione di “Statistiche culturali” (2011) emergono alcuni dati salienti di carattere per l’Italia:  primo paese al mondo per numero di siti iscritti nel patrimonio mondiale Unesco (47 su 936);    

il Pil medio per singolo abitante è di 25.200 euro (14° posto), pari a 24.000 euro di potere d’acquisto (15° posto), con 19% della popolazione a rischio povertà (7° posto); il tasso della popolazione attiva è del 68,5% (30° posto); il tasso di occupazione è del 64% (28° posto); i 5 musei più visitati (Circuito Archeologico Colosseo e Palatino, Scavi Vecchi e Nuovi di Pompei, Galleria degli Uffizi e Corridoio Vasariano di Firenze, Galleria dell’Accademia di Firenze, Museo Nazionale di Castel San’Angelo, Roma) hanno registrato 10.190.715 spettatori (3° posto, preceduti da Gran Bretagna e Francia)

Il ruolo della cultura nella società europea può essere analizzato anche dal punto di vista occupazionale. Nel 2009, gli impiegati in attività culturali e di spettacolo (attività di pubblicazione; cinema, produzione video-televisiva, registrazione, produzione e pubblicazione musicale; programmazione ed esercizio di attività televisive; arti creative e attività di intrattenimento; biblioteche, archivi, musei e altre attività culturali) nei 27 Paesi europei erano 3.638.500 milioni (1,7% dell'occupazione totale), con le percentuali più alte nei paesi nordici ed il tasso più basso in Portogallo, Romania e Turchia. Tra il 2008 e il 2011 l'occupazione nei settori creativi e culturali ha mostrato una capacità di recupero migliore rispetto all'economia dell'UE nel suo complesso, anche se i tassi di crescita sono stati diversi tra i sotto-settori. Questa tendenza è ancor più interessante perché in alcuni settori si riscontra un tasso di occupazione giovanile più elevato e qualificato che nel resto dell'economia. In particolare, lo studio ha evidenziato che:  nella maggior parte dei Paesi, la percentuale di presenza femminile nel settore è leggermente più elevata rispetto all’incidenza sull’occupazione totale; 

in tutti i Paesi, la percentuale di persone occupate con istruzione universitaria è più elevata nel settore culturale rispetto all'occupazione totale, con un’oscillazione compresa fra il 34% della Slovacchia ed il 4% di Svizzera e Malta. In Spagna, il 68% degli addetti al comparto culturale ha un diploma di laurea, mentre a Malta sono il 23%; in quasi tutti i Paesi europei, l’occupazione a tempo parziale è più frequente (25%) rispetto al 19% che si registra nell’economia totale.

Disaggregando la voce occupazione culturale per tipologie professionali, emerge quanto segue: 17


  

nel 2009 l'Unione Europea ha contato 1.480.000 scrittori e artisti creativi o performanti (autori, giornalisti, scultori, pittori, compositori, musicisti, cantanti, coreografi, ballerini, attori, registi), pari allo 0,7% dell'occupazione totale, in leggera crescita rispetto al 2004; le donne sono poco meno del 50%; per il 67%, l’impegno artistico/culturale costituisce l’attività principale; la percentuale più elevata si riscontra nel settore “Arti Creative e attività di intrattenimento” (36%); la maggior parte degli addetti nei cinque settori è altamente istruita, con un’alta percentuale di lavoratori autonomi; in termini di percentuale di occupazione culturale rispetto all’occupazione totale, l’Italia, con l’1,1% si colloca al 29° posto su 33 Paesi, con 246.700 addetti.

Ma è anche importante sottolineare che durante l'anno accademico 2007/2008, 725.000 studenti, pari al 3,8% di tutti gli studenti universitari dell’Unione Europea, hanno studiato materie artistiche: Regno Unito (6,8%), Irlanda (6,6%), Finlandia (5,6%) e Cipro(5,5%) hanno registrato le percentuali più elevate. Fra le altre tendenze emerse si segnala che:  la Francia è il Paese con il maggior numero di imprese editoriali (pubblicazione di libri, giornali, riviste e periodici); in termini relativi, il Lussemburgo ha registrato la percentuale più elevata di imprese editrici fra le imprese manifatturiere (8%), seguita dalla Norvegia (6%), Olanda e Svezia (5%);  tra il 2002 e il 2007, la Norvegia ha segnato il più elevato aumento medio annuo del numero di imprese editoriali (18%), seguita dall'Irlanda (16%) e Slovacchia (13%); il fenomeno contrario si riscontra in Finlandia, Lituania, Lussemburgo e Germania;  i libri (53%) costituiscono la principale attività editoriale delle imprese del settore, ad eccezione di Cipro, Slovacchia, Lussemburgo, Lettonia, Francia, Irlanda e Portogallo, dove la principale attività è riconducibile a riviste e periodici;  nel 2007, la pubblicazione di giornali ha generato un fatturato complessivo di 48 miliardi di euro, seguita da riviste e periodici (43 miliardi) e libri (35 miliardi di euro). In Repubblica Ceca, Polonia e Portogallo è l’editoria libraria a generare il più elevato fatturato;  nel 2007 operavano nei 27 Paesi dell’Unione Europea più di 11.000 imprese nel settore della registrazione del suono, con l’Irlanda che segna il fatturato medio più elevato ad impresa;  l’indice di fatturato per immagini in movimento, produzione video-televisiva, registrazione del suono e musica, varia notevolmente tra i Paesi; l’apice è raggiunto in Lettonia, Bulgaria e Lituania nel 2006 e nel 2007, mentre la Slovacchia registra una forte crescita nel 2009. Sostanziali aumenti si osservano tra il 2005 e il 2009 anche in Svezia, Danimarca, Grecia e Cipro.

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5. La percezione della cultura La cultura detiene un posto di rilievo nella vita degli europei. Secondo un sondaggio condotto da Eurostat (2010), oltre il 77% degli intervistati ritiene che la cultura sia importante, a fronte del 23% che la ritiene irrilevante, ed il 91% ritiene gli scambi culturali possano contribuire ad una maggiore comprensione e tolleranza fra i popoli. Alla domanda su cosa viene in mente quando si pensa alla parola “cultura”, le risposte più frequenti sono state “arti visive e performanti” (39%), “letteratura, poesia e drammaturgia”, e “tradizioni, lingue e costumi” (entrambe con il 24%), “valori e credenze” (10%). Il concetto di cultura muta con l'età: la maggior parte dei cittadini europei fra i 15 ed i 39 anni fa coincidere la cultura con le “arti”, ma fra i 40 ed i 54 anni la cultura è più spesso associata alla “letteratura, poesia e drammaturgia”; il concetto di cultura come “tradizioni, lingue e costumi” è più diffuso tra i giovani (28%) che tra gli anziani (20% degli intervistati). La maggioranza degli intervistati ha espresso interesse sia per le arti e la cultura nazionale (69%) che per quelle straniere (57% per i Paesi europei, 56% per il resto del mondo). La mancanza di tempo è considerata il principale ostacolo all'accesso cultura (42% degli intervistati), mentre il 29% ritiene che la cultura sia troppo costosa. Per l’82% degli intervistati, l’accesso gratuito alle attività culturali è considerato una valida soluzione per avvicinare più persone, mentre il 9% ritiene che il contenuto libero equivalga ridurre la qualità dell’offerta culturale.

5.1 Partecipazione culturale La più recente panoramica della partecipazione culturale nell'Unione Europea risale ai dati di Eurobarometro del 2006 e si riferisce alla fruizione cinematografica in sala, alla partecipazione a spettacoli dal vivo, alle visite di siti culturali, al diretto coinvolgimento in attività artistico-culturali, alla lettura di libri e giornali, all’utilizzo di internet per ottenere e condividere contenuti culturali e per l'acquisto di beni culturali on-line. Il livello di istruzione rimane il fattore più determinante nell’influenzare la partecipazione culturale: in genere, persone con un livello di alta formazione partecipano con maggiore frequenza ad attività artistico-culturali; così come l’età costituisce un fattore distintivo degli spettatori del cinema e dello spettacolo dal vivo, con una prevalenza dei giovani rispetto agli anziani; al contrario, l’età sembra avere poco impatto nelle visite ai siti culturali. Distinguendo fra fruitori maschili e femminili, la partecipazione culturale non presenta forti disparità, ad eccezione della lettura di libri (maggioranza donne) e giornali (maggioranza uomini).

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Circa il 45% di europei con 25 anni età ha dichiarato di essere andato al cinema, frequentato le esibizioni dal vivo e visitato siti culturali almeno una volta negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, l'intensità di tali attività varia considerevolmente tra Paesi, con i più alti tassi osservati in Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Regno Unito e Germania. In Spagna, Lussemburgo, Islanda e Irlanda, il 10% degli intervistati è andato al cinema più di 12 volte l'anno. Al contrario, più del 70% delle persone intervistate in Bulgaria, Lettonia, Lituania, Estonia e Ungheria ha dichiarato di non essere mai andato al cinema nel 2005; ciò potrebbe essere motivato dalla scarsità del numero di sale, come testimoniato dall’elevato numero di abitanti per schermo cinematografico, molto più alto di quello registrato nei tre paesi con la più alta densità di partecipazione culturale (Islanda, Svezia e Irlanda). In Italia, la percentuale di coloro che hanno frequentato una sala cinematografica almeno una volta, tende a ridursi con l’aumento dell’età: 63% per la fascia 25-34 anni (14° posto in Europa,); 51% fra 35 e 44 anni (15° posto); 39% fra 45 e 54 anni (13° posto); 25% fra 55 e 64 anni (14° posto), con Islanda e Danimarca che segnano le percentuali più elevate in tutte le fasce di età. Ragionando in termini di media, gli abitanti dei 27 Paesi dell’Unione Europea si sono recati 2 volte l’anno al cinema, con gli estremi compresi fra i 5,2 dell’Islanda e lo 0,2 della Romania. L’Italia, con 1,8 volte si colloca al 15° posto, con 13 Paesi che si attestano su una soglia uguale o superiore alla media europea. Relativamente allo spettacolo dal vivo, circa il 70% degli italiani non ha mai assistito nel corso dell’anno precedente a rappresentazioni (quart’ultimo posto in Europa, preceduti da Polonia, Malta e Bulgaria), situazione che sostanzialmente si conferma anche per la frequenza fra 1 e 6 volte. Sulla media europea del 44% di fruizione di almeno uno spettacolo dal vivo nell’arco dell’anno, si registra il prevalere del genere femminile (46%); per fasce di età, l’Italia si colloca al 24° posto per quella di 25-34 anni, al 25° posto per quella di 35-44 anni, al 24°posto per quella di 45-54 anni, al 22° posto per quella di 55-64 anni: di fatto la conferma di un pubblico non più giovanile come pubblico prevalente. Per quanto riguarda invece il livello di educazione scolastica, l’Italia rispecchia l’andamento europeo, con la prevalenza di spettatori con un’alta formazione (57%), rispetto a quella media (37%) e bassa (17%), pur con un significativo divario di valori con la media dell’Unione Europea per le tre categorie (circa 8 punti %). Relativamente ai musei ed alle aree archeologiche, la percentuale degli italiani che non ha mai effettuato una visita durante l’anno precedente si attesta al 73% (quart’ultimo posto in Europa, preceduti da Cipro, Malta, Grecia e Bulgaria), situazione che sostanzialmente si conferma anche per la frequenza fra 1 e 6 volte.

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Mediamente, il 45% di cittadini dei 27 Paesi europei hanno visitato un museo/area archeologica almeno una volta nell’arco dell’anno, con una sostanziale equivalenza fra uomini e donne; per fasce di età, l’Italia si colloca al 24° posto per quella di 25-34 anni, al 23° posto per quella di 35-44 anni, al 22° posto per quella di 45-54 anni, al 23° posto per quella di 55-64 anni, con una collocazione pressoché omogenea nella graduatoria a prescindere dall’età dei visitatori. Per livello di educazione scolastica, l’Italia rispecchia l’andamento europeo, con la prevalenza di visitatori con un’alta formazione (61%), rispetto a quella media (34%) e bassa (13%), pur con un significativo divario di valori (differenziale di circa 10 punti) con la media europea per le tre categorie. In quasi tutti i Paesi esaminati, più della metà degli intervistati ha dichiarato di aver letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi. Questa percentuale raggiunge l'80% in Svezia e in Finlandia; l’Italia si colloca al penultimo posto, preceduta solo dal Portogallo. Per numero di libri letti, Finlandia, Svezia, Estonia e Lettonia hanno registrato le quote più elevate di lettori (più di 12 libri l'anno), mentre l’Italia si colloca tra i Paesi di coda, insieme a Grecia, Spagna, Cipro, Ungheria, Portogallo, Repubblica Slovacca. In molti paesi dell'Europa settentrionale e a Cipro un cospicuo numero di intervistati ha dichiarato di possedere più di 100 libri. Per quanto riguarda invece il livello di educazione scolastica, l’Italia rispecchia l’andamento europeo, con la prevalenza di un’alta formazione dei lettori (oltre il 25%, mentre sono 11 i Paesi ad attestarsi oltre il 30%), rispetto a quella media (al di sotto del 20%) e bassa (di poco superiore al 10%, mentre 6 Paesi non superano tale soglia). Il genere femminile prevale in tutti i Paesi con accentuazione del fenomeno in Finlandia, Svezia e Slovenia. In Europa, più dell'80% degli intervistati ha dichiarato di leggere regolarmente i giornali; in particolare, in Belgio, Finlandia e Repubblica Ceca la lettura dei giornali dipende molto poco dal livello educativo della persona. Da notare come l’Italia sia all’ultimo posto dei lettori, con oltre il 20% di uomini e poco meno del 40% di donne che dichiarano di non aver mai letto un quotidiano in un anno, mentre la medesima percentuale è prossima allo zero in Slovacchia e Finlandia. Un'altra dimensione della partecipazione culturale è il coinvolgimento in iniziative amatoriali (canto, ballo, recitazione, pittura). Rispetto alla fruizione culturale (andare al cinema, vedere spettacoli dal vivo, visitare musei o aree archeologiche), solo una quota minima degli intervistati ha preso parte attiva ad esibizioni pubbliche (meno del 15%), con l'eccezione di Estonia (40%) e Italia (24%) che presentano anche le più elevate percentuali nei livelli di educazione dei cittadini coinvolti. Attività artistiche come la pittura, il disegno, la scultura o la grafica computerizzata hanno coinvolto ancor meno appassionati e solo in Austria e Finlandia queste percentuali superano il 20%. 21


Anche l’utilizzo delle nuove tecnologie di comunicazione ha avuto un notevole impatto sul modo di socializzare e di trascorrere il loro tempo libero. Internet, in particolare, ha favorito nuove pratiche e forme di partecipazione culturale, come si evince dalle ultime rilevazioni europee risalenti al 2009, anno in cui il 65% delle famiglie aveva una connessione a Internet, contro il 49% del 2006. Ancora esistono differenze significative tra il Nord ed i resto dell’Europa, anche se il divario va riducendosi, con l’Italia (poco meno del 60%) collocata agli ultimi posti precedendo solo da Cipro, Portogallo, Macedonia, Grecia, Romania e Bulgaria. Il 57% degli europei che hanno utilizzato Internet negli ultimi tre mesi del 2008, ha svolto una delle seguenti attività: instant messaging, invio messaggi, social web, creazione di blog, lettura, videochiamate. In Lussemburgo, Polonia, Francia, Portogallo, Repubblica di Macedonia e Islanda questa percentuale risulta superiore al 70%. Ma Internet serve soprattutto come piattaforma per ottenere e condividere contenuti audiovisivi: nel 2008, nei 27 Paesi dell’Unione Europea, il 38% degli utenti ha scaricato o ascoltato musica, il 29% scaricato o visto film ed il 33% ascoltato web radio, un fenomeno di impiego del tempo libero che ha principalmente interessato giovani, studenti, con una prevalenza degli uomini sulle donne. In particolare, il dato del download/ascolto/visione che attiene al nostro Paese, colloca gli italiani al 25° posto per la musica, al 23° posto per i film ed i giochi, al 28° posto per la web radio/tv. Nello stesso periodo, il 32% degli utenti europei di Internet ha acquistato film, musica, libri, giornali, riviste, e-learning, materiale o software on-line: questa forma di e-commerce è particolarmente frequente nel Regno Unito, Lussemburgo, Germania, Danimarca e Norvegia; l’Italia si colloca al 20° posto. 5.2 La spesa delle famiglie Con l’inizio del ciclo economico caratterizzato da stagnazione e recessione, le prime difficoltà congiunturali, Eurobarometro ha effettuato una indagine a livello europeo sulle principali riduzioni della spesa delle famiglie dedicata alle attività del tempo libero. GRAFICO 1.

PERCENTUALE DI RIDUZIONE DI SPESA PER ATTIVITÀ DEL TEMPO LIBERO (2009)

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Ad eccezione del 38% che dichiara di non aver ridotto alcuna voce, l’incidenza più elevata si registra per la ristorazione (23%), seguita dallo shopping (17%) e dalle attività culturali e dell’intrattenimento (9%). Negli anni antecedenti, la spesa destinata ad un’ampia gamma di servizi, tra cui libri, giornali, cinema, teatri, concerti, musei, supporti di registrazione, TV, radio, canoni e abbonamenti, beni usati in attività artistiche amatoriali, risentiva ovviamente delle differenze nelle pratiche culturali e dei livelli di ricchezza dei Paesi, come anche della effettiva disponibilità di strutture culturali; ed appare quindi scontato che la spesa culturale delle famiglie sia direttamente correlata al livello di reddito. In effetti, dagli ultimi dati disponibili a livello europeo risalenti al 2005, la spesa annuale più elevata delle famiglie per i beni e servizi culturali si riscontra in Danimarca, Finlandia e Repubblica Ceca (oltre il 5% del budget familiare), Regno Unito, Olanda, Austria, Germania, Irlanda, Ungheria, Svezia, Belgio, Polonia e Malta (oltre il 4%), mentre l’Italia non raggiunge il 3%; in Turchia, Bulgaria, Grecia, Lussemburgo, Cipro, Lituania, Romania, si registrano i minimi di spesa dedicata al settore. GRAFICO 2.

QUOTA PERCENTUALE DI SPESA IN CULTURA DELLE FAMIGLIE (2005)

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Nel 2005, la spesa per TV e radio (incluse tasse) ed il noleggio di attrezzatura rappresenta la quota più grande della spesa culturale (18%, e con prevalenza in quasi tutti i Paesi europei), seguita da giornali (16%, ma prevalente in Germania, Spagna, Italia, Cipro, Paesi Bassi, Finlandia e Norvegia), hardware e software (12%, con prevalenza in Estonia, Lettonia, Lituania e Lussemburgo), libri (11%, con prevalenza in Grecia), set di televisori, lettori video e registratori (8%), cinema, teatri e concerti (7%); il restante 20% della spesa è suddiviso tra beni durevoli (strumenti musicali, fotografici e attrezzature cinematografiche) ed altri servizi. Come ultimo dato disponibile, è opportuno infine segnalare l’indagine condotta dall’Ufficio Studi Fipe - Federazione Italiana Pubblici esercizi (gennaio 2011), riassunta nella tabella a seguire e relativa alle variazioni intercorse nel biennio 2007-2009 per le diverse voci di spesa delle famiglie TABELLA 3.

SPESA DELLE FAMIGLIE (VARIAZIONE PERCENTUALE NEL BIENNIO 2007/2009)

Fonte Ufficio Studi Fipe su dati Eurostat

L’Italia presenta un andamento negativo pari al 2,9%, che la colloca tra i 14 Paesi le cui famiglie hanno contratto la spesa, con valori compresi fra - 26,6% della Lettonia ed il -1,1% della Finlandia (sono 4 i Paesi con decremento a doppia cifra). In controtendenza i restanti Paesi, con percentuali di crescita comprese fra l’8% della Polonia e lo 0,3% della Grecia (sono 5 i Paesi con crescita inferiore 24


all’1%). In questo contesto, il dato italiano appare superiore alla contrazione media di spesa registrata sia dall’area Euro (-1%), che dell’Unione Europea a 27 Stati (-2,3%). Se la crisi è il denominatore comune dei consumi in Europa, non è tuttavia scontato che i comportamenti siano stati simili nelle diverse aree geografiche. Infatti, ad una lettura più approfondita emerge che il nostro Paese presenta alcune specificità che meritano di essere interpretate. Si perde terreno, rispetto alla media europea, principalmente su quattro aree di consumo:  alimentari  arredamento  comunicazioni  attività ricreative e culturali Per il settore di pertinenza del presente studio, nel periodo considerato la spesa ha avuto una contrazione del 3,1%, in controtendenza rispetto al dato complessivo sia dell’area Euro (+1,3%), e superiore alla media registrata dall’Unione Europea a 27 Paesi membri (-0,3%). In particolare, sono 12 i Paesi che presentano una flessione della spesa culturale compresa fra il 41% (Estonia) e lo 0,2% (Grecia), mentre nei restanti (fra cui Polonia, Regno Unito, Germania e Francia, Svezia) l’incremento oscilla fra lo 0,7 ed il 15%. Da segnalare che il nostro Paese registra valori negativi di spesa familiare in tutti i settori, ad eccezione di abitazione ed elettricità (+2,9%), salute (+4,9%), istruzione (+0,6%), con la contrazione più elevata per l’arredamento (-9,3%). Con uno sguardo agli indici dei prezzi al consumo, tra il 2005 e il 2009 nei 27 Paesi dell’Unione Europea, libri, giornali e periodici e servizi culturali hanno avuto una crescita paragonabile a quella di altri beni e servizi, mentre si è assistito ad una significativa diminuzione per i mezzi di registrazione e per le attrezzature di ricezione, registrazione e produzione di suoni ed immagini. Un aumento significativo si è invece avuto per i libri nella maggior parte dei Paesi, raggiungendo valori consistenti in Bulgaria, Lituania, Lettonia, Ungheria e Turchia; fanno eccezione Cipro, Malta, Paesi Bassi, Austria, Norvegia e Svizzera. Ad eccezione della Polonia, gli indici dei prezzi al consumo per i giornali è cresciuto ad un ritmo regolare in tutti i Paesi, come è avvenuto anche per i servizi culturali (tranne Malta), mentre in quasi tutti i Paesi, si registra un brusco contenimento per le attrezzature di ricezione, registrazione e produzione audio e foto, nonché per i supporti di registrazione. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2010, rilevano che le famiglie del Regno Unito hanno destinato l’11% del proprio bilancio famigliare a spese per ricreazione e cultura, mentre in Olanda ha superato il 10%; una quota superiore all’8% della spesa totale è stata invece registrata in Francia Germania e Spagna. Rispetto alla media europea di 1.300 euro di consumi culturali procapite, l’Italia registra una spesa di 1.100 euro per abitante, ovvero un valore di circa ¼ inferiore a quelli di Francia e Germania, mentre la spesa pro-capite è risultata di circa 2.000 euro nel Regno Unito e di 1.600 euro in Olanda. 25


In termini di crescita media annua, nel 2000-2010, la performance dell’Italia (+2,3% in termini nominali) è tuttavia risultata migliore rispetto a quella di Germania, Olanda e Regno Unito, ma ancora distante da Francia (+3,0%) e Spagna (+3,3%). Quanto fin qui emerso, testimonia peraltro la frammentarietà dei dati disponibili e la difficoltà a reperirne di più aggiornati, sia a livello di Unione Europea che di singoli Paesi membri, al fine di operare una valutazione tempestiva e contestuale all’effettivo evolversi del quadro d’insieme. Questa lacuna, evidente soprattutto per lo spettacolo dal vivo, è parzialmente colmata da Media Salles che recentemente ha reso noti i dati 2012 per il cinema. Lo scorso anno, gli spettatori nelle sale cinematografiche in Europa sono stati 1.190.500.000, con un calo del 2% rispetto al 1.214.300.000 del 2011. In particolare, dei 35 paesi rilevati, i 19 dell'Europa Occidentale, passando dai 905 milioni del 2011 agli 881,6 del 2012, registrano un decremento leggermente superiore alla media del continente (-2,6%). Restano invece stabili le presenze nei 16 Paesi dell'Europa Centrale e Orientale e del bacino del Mediterraneo, che nel 2012 totalizzano 308,9 milioni di spettatori, contro i 309,3 dell'anno precedente (-0,1%). Se la flessione media dell'insieme dell'Europa è pari al -2%, i singoli territori mostrano andamenti diversi, come emerge dall'analisi dei sei maggiori mercati che rappresentano il 73,4% degli spettatori europei. Chiude il 2012 con il segno negativo la Francia (-5,9%), che si mantiene tuttavia al di sopra dei 200 milioni di spettatori e conferma la sua posizione di primo mercato europeo per numero di biglietti venduti. Cali più accentuati si rilevano in Italia - dove le prime stime riguardanti gli schermi attivi almeno 60 giorni l'anno mostrano poco meno di 99 milioni di spettatori (-10,2%) - e in Spagna(-7%),, dove si perdono quasi 7 milioni di spettatori rispetto al 2011 confermando una spirale negativa ormai pluriennale. Una flessione molto lieve si rileva in Russia (CSI, Ucraina esclusa), che passa da 173,2 milioni di presenze del 2011 a 171,6 milioni del 2012 (-0,9%). Tra i grandi mercati dell'Europa Occidentale, in controtendenza si trovano la Germania, che con 135,1 milioni di spettatori rispetto ai 129,6 del 2011, registra un incremento del +4,2%, e in misura più contenuta il Regno Unito - secondo mercato del continentale - che raggiunge 172,5 milioni di biglietti nel 2012 contro i 171,6 dell'anno precedente (+0,5%).

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TABELLA 4.

SPETTATORI CINEMATOGRAFICI IN EUROPA 1989-2012 (X 1.000)

Fonte: MEDIA Salles

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6. La rete ed il ruolo della banda larga Un fattore di sviluppo per l’offerta di prodotti culturali è dato dalla digitalizzazione e dalla possibilità di accedere a connessioni in banda larga. Questo tipo di connessioni, in particolare, rappresentano un pre-requisito per lo sviluppo di servizi di video-streaming di qualità. Tutte le statistiche e le previsioni mostrano un graduale aumento della percentuale di famiglie con accesso alla banda larga, seppur con percentuali molto differenziate a seconda delle aree geografiche. Dopo una buona partenza all’inizio degli anni 2000, purtroppo l’Italia ha perso posizioni su questo fronte ed attualmente appare arretrata rispetto alle altre nazioni economicamente sviluppate. GRAFICO N. 3

PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE CON ACCESSO ALLA BANDA LARGA

Fonte: Dati Pardee Center for International Futures (Maggio 2011)

La crescente crossmedialità dei contenuti apre alle industrie culturali spazi competitivi non riconducibili ad una specifica filiera, così come l’apertura di mercati digitali determina la nascita e la crescita di segmenti il cui valore non è stato ancora quantificato (es. l’autopubblicazione). Le industrie culturali nei mercati maturi, ovvero quei mercati che hanno costruito il loro vantaggio competitivo su un’economia dei supporti che configurano ambiti competitivi distinti, sono sotto pressione e vedono ridursi i ricavi pubblicitari e la spesa per i consumi, in parte attribuendo la causa della riduzione della domanda al fenomeno della circolazione non autorizzata dei contenuti, il cui impatto è tuttavia di difficile quantificazione.

6.1 L’impatto di Internet nella musica Il settore della musica è stato fra i primi a subire lo spostamento della fruizione dai supporti fisici alla versione digitale e, proprio per questo, è stato all’inizio particolarmente lento nel reagire ai cambiamenti: – la diffusione dei device per l’ascolto della musica digitale ha preceduto di diversi anni lo sviluppo di un’offerta legale, favorendo di fatto il fenomeno del download non autorizzato; 28


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le vendite legali in formato digitale sono diventate percepibili solo a partire dal 2004-2005, grazie al successo dell’iTunes Store; l’aumento delle vendite in formato digitale non ha compensato la perdita del fatturato in formato fisico.

Solo dopo anni di difficoltà, il settore ha iniziato a reagire in modo più efficace, sia attraverso le case discografiche, che rilasciano più facilmente i diritti per la distribuzione di musica in formato digitale, anche quando non controllano direttamente il servizio, sia attraverso la nascita di nuovi modelli di business (ad es. Spotify) che fanno leva sui social network come strumento di presentazione di musica e spostano l’accento dal possesso all’accesso in streaming a vaste librerie di brani musicali. Le vendite legali di musica in formato digitale hanno così cominciato a crescere nel 2002, con una forte accelerazione a partire dal 2008, arrivando ad incidere per il 33% sulle vendite totali nel 2011. GRAFICO N. 4

EVOLUZIONE DEL FATTURATO GLOBALE DELL’INDUSTRIA DISCOGRAFICA

Esiste una grande differenza fra le dimensioni dei diversi mercati nazionali, in parte per l’ampiezza della popolazione, in parte per le disparità nella spesa pro capite, con USA, Giappone, Germania e Regno Unito che realizzano il 69% del fatturato complessivo dell’industria discografica. I Paesi emergenti (Cina, Russia, India) presentano un fatturato complessivo limitato ma in forte crescita e prevalentemente digitale. L’incidenza delle vendite digitali è massima nelle nazioni emergenti asiatiche (Cina 76%, Tailandia 59%, Indonesia 58%, Corea del Sud 55%), molto alta negli USA (49%), alta in India e Russia (34%), sotto la media in Europa: Danimarca 30%, Spagna 20%, Francia 17%, Germania 13%.

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L’Italia è caratterizzata da una bassissima spesa pro capite e da un’incidenza del formato digitale sotto la media (15%). L’inadeguatezza dell’offerta legale nella nostra nazione è al tempo stessa causa ed effetto di una forte propensione al download non autorizzato. Oltre che dipendere dalla pirateria, il calo delle vendite è legato anche ad altre cause:  il venir meno del fatturato legato al riacquisto di brani già posseduti, che negli anni ’90 aveva caratterizzato il passaggio dal vinile ai CD;  la percezione di prezzo elevato degli album digitali, poiché l’abbattimento dei costi di produzione/distribuzione fisica rende agli occhi degli utenti non equo mantenere sul digitale gli stessi prezzi dei CD fisici;  l’affermazione dei single track, che consente di comprare solo i brani effettivamente apprezzati.

6.2 L’impatto di Internet nell’editoria libraria Il settore dell’editoria libraria si caratterizza per la presenza di numerosi segmenti con logiche competitive diverse fra loro. Mentre alcuni segmenti specializzati (enciclopedie, editoria scientifica) hanno sperimentato la transizione al digitale da diversi anni, l’editoria generalista e scolastica (che rappresentano i segmenti principali) hanno iniziato a sperimentare gli effetti della digitalizzazione soprattutto a partire dal 2010. A differenza di quanto avvenuto nella musica, la diffusione dei device di lettura è andata di pari passo con l’ampliarsi dell’offerta di titoli in formato digitale. Questo, unito ad un profilo più maturo degli utenti di libri, sta limitando il fenomeno del download di copie non autorizzate. Un’altra differenza rispetto al settore della musica è rappresentata da una maggiore diversità fra le abitudini di fruizione in diverse aree geografiche. Solo negli USA le vendite di ebook sono oggi a livelli tali da rendere il fenomeno visibile, ed anche in questo mercato il fenomeno è esploso di recente. Nel resto del mondo le vendite di libri in formato digitale incidono tuttora in modo marginale, anche se in tutti i mercati vi è un grande fermento e la sensazione è di essere sull’orlo di una discontinuità. Gli elementi di rilievo che caratterizzano i processi di digitalizzazione si possono così brevemente riassumere:  Amazon ha giocato un ruolo fondamentale nell’orientare lo sviluppo del settore, sia ampliando in modo significativo i libri disponibili in formato digitale (sul Kindle store statunitense gli ebook sono passati dai circa 90.000 di fine 2007 a circa 1 milione di fine 2011, di cui oltre 800.000 gratuiti o sotto i $ 9.99), sia promuovendo la diffusione di device dedicati per la lettura. Negli USA il Kindle è l’e-reader più diffuso, anche grazie ad una politica di prezzi molto aggressiva da parte di Amazon, che può permettersi di vendere i device sotto costo (attualmente circa $100), potendo poi contare sui ricavi dalla vendita degli ebook;  la diffusione degli e-book modifica significativamente le strutture di costo e di ricavo dei titoli e pone le basi per la sostenibilità economica di titoli di nicchia e di progetti di auto-

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pubblicazione da parte degli autori, fenomeno fortemente sostenuto da Amazon. Inoltre, i cicli di vita dei singoli titoli, si allungano in modo rilevante;  gli editori hanno sinora giocato di rimessa, cercando di rispondere alle mosse di Amazon in modo difensivo, senza tuttavia trovare una formula in grado di garantire il mantenimento del loro potere contrattuale nella filiera e di non frustrare le aspettative dei lettori che si aspettano un’ampia disponibilità di libri in formato digitale, a prezzi significativamente inferiori rispetto al cartaceo. In Italia, invece, il mercato italiano degli e-book risulta ancora piuttosto arretrato anche rispetto alle altre nazioni europee. Il fatturato del formato digitale è tuttora marginale, sia a causa di un’offerta ancora carente, seppure in fortissima crescita (secondo l’Associazione Italiana Editori i titoli disponibili in formato digitale sono passati da circa 1.600 nel dicembre 2009 a oltre 31.000 nel maggio 2012), sia perché i device competitivi dedicati per la lettura hanno da poco fatto il loro ingresso sul mercato (ad es. il Kindle, è disponibile dal dicembre 2011). L’assortimento in formato digitale è quindi ancora inferiore rispetto a quello di una importante libreria tradizionale (35-40.000 titoli) e irrisorio rispetto ai titoli disponibili per la vendita (il 4,5% dei circa 700.000 titoli in commercio), ed al momento i processi di digitalizzazione hanno riguardato più le attività di produzione (print-on-demand) che la fruizione. Al contrario, negli USA il numero dei nuovi titoli pubblicati è passato da 247.777 nel 2002 a 3.092.740 nel 2010 (http://www.bowker.com/index.php/bookindustry-statistics). Buona parte di questa crescita esponenziale è legata al fenomeno dell’autopubblicazione, a costi molto contenuti. In particolare, Amazon ha reso possibile agli autori di titoli self-published di accedere ad un canale di vendita con una serie di servizi tipicamente disponibili solo per i titoli pubblicati dagli editori; anche i principali editori offrono l’opportunità agli autori di pubblicare i propri titoli esclusivamente in formato digitale facendosi carico delle spese, mentre i social media consentono agli autori di gestire autonomamente la promozione dei titoli. L’insieme di questi due fattori spiega il successo commerciale di titoli autoprodotti soprattutto nell’editoria di genere (rosa, fantasy) caratterizzata dalla presenza di community forti sul web. In conclusione occorre anche rimarcare che, rispetto alla discografia musicale, il settore non registra al momento incrementi particolari del fenomeno delle copie non autorizzate, anche perché in questo caso lo sviluppo dell’offerta legale ha preceduto e non seguito la domanda di fruizione digitale.

6.3 L’impatto di Internet sui giornali quotidiani Il settore dei quotidiani è probabilmente quello che più è stato interessato in tempi recenti dai fenomeni di digitalizzazione. Internet non cambia solo i sistemi di distribuzione delle notizie, ma ha un profondo impatto anche sulla loro produzione.

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L’offerta di notizie è più diversificata che in passato, con l’affermarsi di canali aggiuntivi a TV, radio e carta stampata quali i blogger, gli aggregatori, i gruppi di giornalisti free lance, i social media. Anche sul fronte della raccolta pubblicitaria, diversi competitor (televisione, gruppi che raccolgono pubblicità digitale, portali) intaccano specifici segmenti del mercato, mentre l’incapacità da parte dei soggetti tradizionali di offrire spazi pubblicitari altamente targettizzati sta mettendo in crisi il tradizionale modello economico, basato in larga parte sugli introiti pubblicitari. Sul fronte della fruizione, dopo la rivoluzione di quella via pc, ora il settore sta vivendo il passaggio alla fruizione mobile. Questo ulteriore cambiamento sembra offrire la possibilità di recuperare il rapporto diretto con i lettori, ma vi è ancora molta incertezza sui modelli di offerta e di prezzo da adottare. Il fatturato globale è in forte calo dal 2007 soprattutto per la diminuzione della raccolta pubblicitaria (-50% dal 2000 al 2011 negli USA e -23% dal 2001 al 2010 in Italia – rispettivamente Fonti NAA Newspaper Association of America e Nielsen). A fronte di una crescita di circolazione e pubblicità nei mercati emergenti, l’Europa e gli USA perdono sia in spesa dell’utente finale che in raccolta pubblicitaria. L’analisi del mercato statunitense offre dati interessanti anche sulle prospettive a breve termine per le altre economie occidentali:  i ricavi da edicola sono cresciuti fino al 2003, grazie alle pratiche di allegare CD, libri, etc. ai quotidiani e all’aumento dei prezzi di copertina, che rivela una certa anelasticità della domanda; successivamente è iniziato un lento declino determinato dal costante calo della circolazione, parzialmente compensata dall’ aumento dei prezzi;  la crescita dei fatturati nell’ultimo trentennio è stata sostenuta soprattutto dalla pubblicità, dal 2007 però in caduta libera, anche a causa della recessione;  l’accesso alle notizie attraverso internet ha superato i quotidiani come fonte principale di notizie nazionali e internazionali, e costituisce la prima fonte nella fascia di età fra i 18 ed i 29 anni;  oltre che fra i più giovani, Internet è relativamente più utilizzata come fonte di informazioni anche fra i più abbienti (Fonte NAA). La riduzione significativa dei ricavi e della redditività della carta si accompagna alla crescita progressiva delle vendite in formato digitale. Anche in Italia è da tempo in atto un calo del numero di copie vendute. Questo fenomeno ha interessato tutti i tipi di testata, con punte massime nei quotidiani economici e minime nei quotidiani locali, ed una raccolta pubblicitaria che ha cominciato a diminuire in modo considerevole dal 2007. Rispetto agli USA, tuttavia, i quotidiani in Italia hanno sempre avuto un peso minore sulla raccolta pubblicitaria, rendendo così meno drammatico il calo del fatturato totale.

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Ma nonostante i problemi del loro tradizionale modello economico, i quotidiani giocano un ruolo fondamentale nell’ecosistema digitale, sia come produttori di molti dei contenuti fatti circolare in rete, sia come cassa di risonanza di contenuti di rilievo generati dall’utente (UGC). Un esempio per tutti è l’utilizzo di Twitter da parte di comuni cittadini durante la recente primavera araba, che ha messo in evidenza due aspetti fondamentali: internet abilita i cittadini a produrre e partecipare attivamente al processo di informazione e democratizzazione; i media tradizionali raccolgono, vagliano e analizzano le notizie provenienti dai nuovi media in maniera simbiotica, come nel caso di Al Jazeera e Guardian che hanno molto migliorato la propria capacità di copertura degli eventi del Nord Africa presidiando Twitter. Ed ancora, le tecnologie web hanno indotto fenomeni di giornalismo partecipativo e cittadino di enorme rilevanza sociale e particolarmente adatti nella copertura di eventi. Molte startup stanno nascendo in questa direzione, ma c’è da segnalare anche la capacità di molti quotidiani tradizionali di utilizzare la molteplicità di voci abilitate dal web per rafforzare la loro reputazione e il valore del loro marchio.

6.4 L’impatto di Internet sui contenuti video e tv L’indagine sull’impatto dell’evoluzione digitale del sistema dei contenuti video è complessa ed articolata all’interno di un contesto in profonda trasformazione e caratterizzato da alcuni fenomeni:  progressiva decontestualizzazione del consumo dei contenuti video dalla dimensione di spazio e tempo, attraverso la transizione dalla fruizione lineare a quella non lineare e l’utilizzo di schermi multipli e mobili (PC, tablet, smartphone);  evoluzione ed arricchimento dei processi di consumo dei contenuti attraverso modelli interattivi, sociali, relazionali e nuovi protagonisti informativi (ad es. Social TV);  emersione di nuovi attori che fungono da aggregatori, organizzatori e distributori di contenuti a pagamento (ad es. Amazon, Netflix) o legati alla pubblicità online, e la distribuzione di contenuti prodotti dagli utenti (ad es. YouTube, DailyMotion, Vimeo). A questi si aggiungono diversi soggetti complementari (ad es. produttori di device e di elettronica di consumo) che in un contesto di cambiamento stanno assumendo il ruolo di nuove piattaforme distributive di contenuti (ad es. connected TV, smart TV, tablet);  nuovi standard tecnologici (es. 16:9, HD, 3D ecc.) per la distribuzione dei contenuti video con impatto sui modelli di offerta, sui settori complementari (ad es. elettronica di consumo) e sull’esperienza stessa di consumo degli utenti;  diversificazione dei modelli di business adottati dai diversi soggetti, con l’emergere di modelli innovativi (es. i modelli pay-per-view, la diversificazione dei modelli pubblicitari, la combinazione di hardware e servizi, etc.);  intensificazione delle dinamiche competitive che, all’aumento sostenuto dei contenuti offerti e all’abbassamento delle barriere all’entrata, mette in competizione sistemi di offerta in passato separati ed assicura agli utenti un numero crescente di alternative in termini di consumo di contenuti video.

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Lo scenario italiano è ancora in una fase iniziale della sua evoluzione digitale, anche considerando gli altri fenomeni di trasformazione in atto (digitale terrestre) che riguardano prima di tutto il segmento televisivo specifico e solo marginalmente l’allargamento del contesto competitivo allo scenario digitale. Intanto, a livello mondiale si sono affermate due grandi categorie di nuovi protagonisti all’interno del sistema dei contenuti video: gli aggregatori di contenuti video branded e gli aggregatori di contenuti UGC. Gli aggregatori di contenuti video branded (cinema, serie, documentari, etc.) rappresentano potenziali competitor per gli operatori della Pay TV e per il segmento Home Video (noleggio e acquisto) con una politica dei prezzi aggressiva e l’accesso in pay-per-view o in abbonamento ad un ampio catalogo di contenuti in streaming (negli Stati Uniti, Amazon Video, Blockbuster Home o Netflix). Oggi Netflix conta in tutto 23 milioni di utenti (con un abbonamento a partire da $7,99 al mese). Netflix ha inoltre siglato accordi per offrire i propri servizi su oltre 700 device connessi: console per videogame (Xbox, PS3, Nintendo), lettori Blu-ray, connected TV, set-top-box connessi (Roku, Boxee, Apple TV), tablet e smartphone. Ogni utente Netflix consuma circa 35 ore di contenuti al mese, con un fatturato societario di $2,4 miliardi nel 2011, con una crescita media annua del 40% sul triennio precedente. E sempre nel 2011 Netflix ha affrontato alcune difficoltà legate al rinnovo degli accordi dei diritti con i produttori dei contenuti: a fronte della crescita e del consolidamento della base di utenti, i detentori dei diritti hanno aumentato le loro richieste, al punto che il prezzo dei diritti oggi rappresenta il 60% dei costi di Netflix. Gli aggregatori di contenuti UGC (ad es. YouTube, Dailymotion, Vimeo) hanno invece costruito il proprio successo sfruttando effetti di rete, e la fruizione gratuita dei contenuti da parte degli utenti, generando ricavi primariamente attraverso il mercato pubblicitario.

6.5 Le piattaforme di condivisione dei contenuti e di crowdfunding Esistono ad oggi differenti tipologie di piattaforme digitali:  di pubblicazione/condivisione (YouTube, flickr);  di raccolta fondi (Kickstarter, Indiegogo);  di comunicazione/community (Facebook, Twitter);  di vendita (Amazon, iTunes). Sebbene le diverse piattaforme presentino proprie specificità, sono tutte caratterizzate da una forte contaminazione reciproca: elementi di community management, ad esempio, possono essere ritrovati anche in YouTube e Amazon, così come Facebook può rappresentare una canale di vendita (ad es. videogiochi od oggetti regalo). Tutte le piattaforme digitali presentano opportunità interessanti per lo sviluppo di progetti creativi. Le piattaforme digitali di condivisione svolgono quattro ruoli strategici rispetto ai contenuti caricati:  piattaforma di pubblicazione;  canale a disposizione di autori e aventi diritto per promuovere contenuti e autori;  punto di accesso ad una grande quantità di contenuti; 34


 mercato e vetrina per contenuti UGC. Infatti, attraverso una serie di algoritmi le piattaforme consentono di:  centralizzare e indicizzare i contenuti catalogati dagli uploader;  segmentare gli utenti sulla base dei contenuti visualizzati e consigliare ulteriori contenuti;  costruire classifiche sulla base del numero di contatti, permettendo l’identificazione dei contenuti più apprezzati;  offrire sezioni tematiche sulla base dei tag di indicizzazione, segmentando in questo modo i contenuti;  rendere possibile la creazione di community attorno ai contenuti;  offrire opportunità di remunerazione. In alcuni casi, la stessa piattaforma gioca contemporaneamente più ruoli. In funzione delle loro caratteristiche tecnologiche, le piattaforme permettono l’attivazione e il funzionamento di un mercato di contenuti generati dagli utenti, tutelando al contempo gli aventi diritto che utilizzano la piattaforma per promuovere contenuti branded. Per meglio individuare il contributo delle piattaforme digitali di condivisione all’emersione di contributi originali caratterizzati da potenziale creativo, si suole classificare i contenuti secondo due categorie: – branded, ovvero contenuti realizzati da attori professionalmente impiegati nelle industrie dei contenuti; – user generated, ovvero contenuti non professionali classificati in funzione del grado di creatività del contenuto:  originale (contenuto prodotto ex novo con un connotato di originalità e creatività)  derivativo (il contenuto riprende alcuni personaggi, storie, temi, format branded o UGC che hanno avuto successo, ma li re-interpreta)  reality (il contenuto rappresenta scene di vita quotidiana o news).

6.6 Il fenomeno del Crowdfunding Il crowdfunding costituisce l’atto informale di raccogliere e distribuire fondi, solitamente online, da parte di gruppi di persone per specifiche finalità sociali, personali o di intrattenimento, ed è utilizzato in modo crescente come strumento di fundraising da parte di produttori, artisti e performers per saltare il passaggio degli editori. Il finanziamento è in genere ottenuto attraverso la sollecitazione di persone comuni, invece che di investitori professionali, per ricevere donazioni o contributi in cambio di beni o servizi. Uno dei principi di fondo è l’apprezzamento da parte delle persone del progetto creativo e la ripartizione del rischio del progetto fra un numero elevato di micro finanziatori, il cui contributo è limitato e spesso libero. Alla base dell’attività di crowdfunding di progetti artistici o creativi vi è solitamente uno scambio: l’autore cede un “bonus” (citazione fra i credits per il progetto, copie autografate del prodotto realizzato, accesso al backstage del progetto); i fan assumono il ruolo di “accompagnatori” nel 35


finanziamento del progetto. E nella maggior parte dei casi il finanziamento si configura come una donazione, mentre in numero più limitato si assiste a fan che entrano in società con gli autori e condividono il rischio imprenditoriale dell’iniziativa. Peraltro, il settore appare ancora molto concentrato; oltre a Kickstarter, l’unico altro sito con un buon livello di traffico è Indiegogo (specializzato nel sostegno al cinema indipendente e attivo dal luglio 2008), mentre altri siti presenti sulla scena anche da più tempo (come sellaband.com) non sembrano aver ottenuto un traffico web apprezzabile. Si assiste tuttavia alla continua apertura di nuove iniziative (come l’italiana eppela.com) ed al costante aumento di iniziative di micro filantropia in rete, rivolte in particolare al finanziamento delle arti, della cultura, oltre che di iniziative a valenza sociale. Per comprendere meglio il funzionamento del crowdfunding, fra tutti si esamina sinteticamente l’attività di Kickstarter: - il proponente del progetto stabilisce tempi e ammontare necessario per raggiungere l’obiettivo: se il minimo richiesto viene raggiunto entro la scadenza, il progetto si chiude con successo, in caso contrario le donazioni raccolte non vengono riscosse. I donatori possono continuare a finanziare un progetto fino alla scadenza, anche quando quest’ultimo ha già raggiunto l’ammontare richiesto; - Kickstarter trattiene una percentuale del 5% sulle cifre raccolte dai progetti finanziati come remunerazione per il servizio reso; nel 2010 sono stati raccolti 28 milioni di $, 99 milioni di $ nel 2011 e poco meno di 150 milioni di $ nel 2012; - oltre che raccogliere fondi, Kickstarter organizza anche alcune iniziative promozionali (ad esempio l’Annual Kickstarter Film Festival); - i progetti, la cui presentazione è possibile sia da parte di professionisti di settore che utenti appassionati a livello dilettantistico, devono proporre obiettivi chiari, che non riguardino né scopi di beneficenza, né di carattere personale (come ad esempio finanziare un corso di formazione, un acquisto, etc.); - le donazioni sono raccolte tramite Amazon Payments, e per creare un progetto è necessario avere un conto bancario statunitense; - ogni progetto presenta dei benefici per i possibili donatori (ad esempio una copia dell’album, dell’oggetto di design o del libro finanziato) e un video promozionale. Le categorie Film & Video e Music sono di gran lunga le più rilevanti, sia per donazioni raccolte sia per numero di progetti finanziati. Le dimensioni medie dei progetti cambiano in modo significativo a seconda delle categorie, toccando le punte massime nel Technology e Design. Il numero dei donatori è cresciuto in un modo ancora più regolare ed esponenziale rispetto a quanto avvenuto per le donazioni ed i progetti finanziati. A ottobre 2011 Kickstarter dichiarava 1.013.025 donatori e un ritmo di acquisizione di nuovi donatori ancora elevato; di questi, il 75% dona fino a 50 dollari, ma fino all’ottobre 2011 si sono registrate più di 6.500 donazioni superiori ai 1.000 dollari, fra le quali 615 superiori ai 5.000 dollari.

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Sono evidenti le opportunità che un simile scenario offre in aggiunta al mercato tradizionale di elaborazione e realizzazione di un prodotto:  la possibilità di sviluppo nuove opere creative, offrendo un’alternativa rispetto agli editori tradizionali per il finanziamento dei progetti;  la maggiore libertà sul fronte creativo e sulle scelte di distribuzione;  l’aumento della quota di ricavi di cui l’artista o il creativo possono beneficiare rispetto alla filiera tradizionale;  l’ampliamento del mercato potenziale dei donatori ben oltre le tradizionali organizzazioni a sostegno dei progetti culturali;  l’innovazione anche sul fronte del marketing del prodotto, che inizia molto prima rispetto al lancio del contenuto e crea negli acquirenti/finanziatori un senso di aspettativa e di coinvolgimento diretto estremamente utile per incentivare il passa parola.

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7. La nuova geografia globale della produzione culturale e creativa La rivoluzione prodotta dalla diffusione delle tecnologie digitali di produzione dei contenuti culturali e creativi permette, dunque, sia di avere accesso a tecnologie potenti, sofisticate e accessibili in termini di prezzi, sia di favorire una diffusione sempre più profonda e capillare della produzione e circolazione di tali contenuti in ogni angolo del globo. Come mai in passato, si assiste oggi ad una proliferazione di poli geografici di produzione culturale, che acquistano una fisionomia sempre più distinta e conquistano forme di visibilità e riconoscibilità progressivamente più marcate. Per quanto si assista ancora ad una forte prevalenza del Nord America come nodo centrale del sistema globale dell’industria culturale, tale centralità assume un carattere sfumato e soprattutto non rappresenta il punto di riferimento obbligato di tutti i poli emergenti che vogliano dare vita ad un proprio modello autoctono di produzione e circolazione di contenuti. A livello globale fra il 2007 ed il 2011 si assiste ai seguenti fenomeni:  crescono il mercato asiatico (+12%) ed il piccolo mercato latino americano (+37%)  si riducono il mercato europeo (-2%) e, soprattutto, nord-americano (-8%)  cresce la spesa degli utenti per i servizi televisivi (+18%)  si riduce la spesa degli utenti per altri contenuti (-5%)  si contrae la raccolta pubblicitaria (-9%)

GRAFICO 5.

RICAVI COMPLESSIVI DELLE INDUSTRIE DI CONTENUTI SUDDIVISE PER AREE GEOGRAFICHE E PER TIPO DI RICAVO

I dati 2012 sono stimati Fonte: Elaborazione Bocconi su dati PriceWaterhouseCoopers, Global Entertainment and Media Outlook (giugno 2012)

I partner internazionali dell'Europa investono già molto nei settori culturali e creativi. Gli USA lo fanno da decenni, sia per il loro valore strategico dal punto di vista economico sia per affermare la propria presenza sulla scena mondiale. Altri, come Cina, Corea del Sud e India, stanno investendo 38


massicciamente per aumentare il loro potenziale economico e il loro soft power, e partecipano di conseguenza alla competizione globale per i talenti creativi. L'investimento pubblico nella cultura in Cina, ad esempio, è aumentato del 23% annuo dal 2007, e si prevede che la quota del PIL del settore aumenterà dal 2,5% al 5-6% entro il 2015 (Dodicesimo piano quinquennale 2011-2015 della Cina). Tra i poli emergenti, alcuni stanno assumendo un’evidente importanza e dimensione economica: l’Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea del Sud); il sub-continente indiano; i paesi arabi; il Sud America ispanofono; il Brasile; la Nigeria e l’Africa equatoriale e sub-equatoriale, il Sudafrica. L’Estremo oriente rappresenta, dal punto di vista economico, il grande polo emergente su scala globale, comprendendo due delle tre più grandi potenze economiche mondiali (la Cina e il Giappone), con la Corea del Sud in grande crescita e che rappresenta un global player in molti settori ad alta tecnologia. Storicamente, il paese-guida dal punto di vista culturale è il Giappone, che ha sviluppato e mantenuto nel tempo forme secolari e altamente specifiche di produzione culturale, cui si sono aggiunte forme nuove ed originali di industria culturale (manga, cartoni animati, videogiochi) che hanno acquisito un ampio mercato, diventando un fenomeno globale che ha conquistato, anche prima dell’ultima rivoluzione digitale, fasce consistenti di pubblico anche nei Paesi occidentali. Nel caso della Cina e della Corea del Sud, l’interesse verso la produzione culturale è più recente ed è essenzialmente legato alle sue potenzialità di natura economica: una prospettiva rovesciata rispetto a quella europea nella quale la scoperta del potenziale economico della produzione culturale è avvenuta dopo secoli di esperienze di natura mecenatistica pubblica e privata. La Corea del Sud, un paese a lungo privato della propria identità culturale a causa di una lunga serie di occupazioni straniere, è oggetto di un boom dell’industria culturale e creativa. Grazie allo sviluppo di un sistema di produzione basato su una rigida formazione degli artisti e dei talenti creativi, la Corea sta conquistando quote di mercato importanti nella musica pop, serie televisive, cinema, moda. L’elevato grado di digitalizzazione permette inoltre un forte sviluppo delle nuove piattaforme e la sperimentazione di modelli di business e di circolazione al di fuori del tradizionale mercato. Per queste ragioni, la Corea si presenta all’avanguardia anche nello sviluppo di nuovi modelli ibridi fisico-virtuali di presentazione e fruizione del patrimonio storico-artistico, un campo che presenta enormi potenzialità e nel quale l’Europa appare in ritardo di investimento strategico. La Cina ha invece conosciuto fasi di forte discontinuità nella trasmissione di una eredità culturale tra le più importanti e complesse del mondo. Il recupero della propria tradizione culturale e la conquista di un ruolo di primo piano nell’arena globale rappresentano delle enormi sfide, alle quali è stata riconosciuta una elevata priorità che trova giustificazione non soltanto nel potenziale di sviluppo economico connesso alla crescita dei mercati culturali e creativi, ma anche nel perseguimento di una strategia che mitighi l’aggressiva crescita dell’economia cinese con una legittimazione e capacità di influenza internazionale sul piano culturale. La Cina sta compiendo in 39


questi anni un enorme sforzo di investimento infrastrutturale, dotando tutte le sue città di ogni sorta di contenitori di attività culturali, e incentivando lo sviluppo imprenditoriale del settore. Nel fare questo, la Cina attua una strategia di contenimento della penetrazione dei contenuti culturali americani, e anche nella scelta dei modelli organizzativi fa riferimento più al modello europeo ed al ruolo dell’azione pubblica; questa scelta nasce da una necessità di controllo delle forme di produzione e di circolazione dei contenuti culturali in un paese in cui la libertà di espressione è ancora limitata, e dall’intenzione di riattualizzare le tradizioni culturali storiche per correggere la deriva iper-capitalistica dell’economia e della società cinese. Esiste una scena culturale autoctona che in alcuni casi ha prodotto dei trend globali, come nel caso della pittura e delle arti visive, ma è evidente che l’attuale fase di investimento costituisce un momento di incubazione di un fenomeno che produrrà effetti globali nei decenni a venire. Per quanto riguarda l’India, l’industria culturale che ha conosciuto lo sviluppo più impetuoso è il cinema, la cui straordinaria crescita in termini di fatturato globale nasconde modelli economici e sociali molto diversi da quelli dello show business occidentale. Da un lato, infatti, si tratta in gran parte di produzioni fortemente ancorate alla cultura indiana tradizionale e, quindi, scarsamente appetibili per un pubblico estraneo a tale cultura, mentre, dall’altro, lo sviluppo del settore si fonda su una domanda di enormi dimensioni, ma anche con una dotazione media in termini di potere d’acquisto e di livello di istruzione, per cui esistono margini limitati di investimento in una crescita del livello qualitativo dei contenuti o delle modalità di produzione. Nonostante ciò, per la prima volta nel 2011 i film prodotti a Bombay hanno superato per incassi quelli realizzati a Hollywood, a causa della recessione occidentale e dell’espansione proprio dei mercati asiatici dove le produzioni Usa non sempre hanno successo (Euler Hermes, Andamento dei mercati, luglio 2012) Sugli altri versanti della produzione culturale, l’India sta conoscendo una affermazione importante nel campo delle arti visive, un settore non particolarmente importante in termini di fatturato, ma molto influente dal punto di vista della legittimazione soprattutto all’interno della sfera culturale occidentale, e mantiene da sempre una solida tradizione nel campo della musica e della danza che hanno visibilità e influenza a livello globale. E’ invece difficile racchiudere all’interno di un’unica lettura la realtà composita dei Paesi di lingua araba. Vi sono quelli del Golfo ricchi di petrolio che hanno abbracciato il modello europeo, diventando acquirenti di primo piano di opere d’arte internazionali (come nel caso del Qatar) o committenti di ambiziosi poli museali (il caso di Abu Dhabi) sulla base di una committenza pubblica che è difficile da inquadrare nei modelli tradizionali del mecenatismo, ma che si propone un disegno illuminato di politica culturale in contesti sociali nei quali l’accesso ai contenuti culturali non fa parte delle tradizioni consolidate e viene spesso ricondotto alla sfera di esperienze e di interessi femminili. Vi sono invece Paesi in cui grandi gruppi industriali trans-nazionali riprendono il modello americano di produzione di contenuti di massa fortemente orientati al mercato, ma che allo stesso 40


tempo utilizzano questo sistema alla diffusione di una cultura popolare pan-araba che ne preservi i valori socio-religiosi fondanti. I diversi livelli di secolarizzazione dei diversi paesi si riflettono così in una gamma molto vasta di declinazione dei contenuti culturali, che vanno a seconda dei casi dal rispetto più scrupoloso dell’ortodossia fino a forme di contaminazione con i linguaggi e i valori occidentali. A differenza di quanto può accadere per altri poli culturali emergenti, quello di matrice araba non mira tanto alla conquista di nuovi pubblici estranei alla sfera culturale originaria, quanto piuttosto al consolidamento di tale sfera. Si tratta in ogni caso di bacini di pubblico vastissimi e diversificati, e i rapidi fenomeni di mutamento politico e sociale che stanno attraversando alcuni di questi paesi (come l’Egitto) potrebbero influire sull’evoluzione futura del sistema della produzione culturale. Il Sud America ispanofono è al centro di un imponente processo di crescita delle proprie industrie culturali, anche grazie alla crescente ispanizzazione degli Stati Uniti ed alla rapida crescita economica e demografica del Messico, che creano mercati di sbocco rilevanti per i contenuti culturali. I settori di specializzazione tradizionali sono qui quelli delle serie televisive, della letteratura, della musica e della danza, in gran parte quindi inquadrabili in un ambito di industria culturale tradizionale e relativamente poco esposti a pressioni di natura innovativa. La cultura sudamericana ispanofona ha trovato un suo spazio di visibilità globale soprattutto attraverso la musica, che è entrata a tutti gli effetti nella tradizione del pop internazionale, e la letteratura, che ha prodotto un gran numero di autori riconosciuti sia dalla critica che dal pubblico. Negli ultimi anni si assiste inoltre ad una marcata ripresa anche di forme meno commerciali di produzione culturale, come nelle arti visive, nel teatro e nel cinema. Particolare è il caso dell’Argentina, che ha mantenuto nel tempo un riferimento molto più marcato ai modelli culturali europei rispetto agli altri Paesi, e che rappresenta tuttora, malgrado fasi cicliche di assestamento economico, un paese estremamente interessante dal punto di vista della ricerca artistica, teatrale, musicale e letteraria. Anche il Brasile sta conoscendo una costante fioritura culturale, che dal campo consolidato della musica, della danza e della letteratura e delle serie televisive si sta estendendo alle arti visive, al design, al cinema. Nello sforzo di riduzione delle sperequazioni economiche e sociali che hanno bloccato per decenni il paese, la cultura assume un valore programmatico per lo sviluppo umano, la promozione della coesione sociale, la costruzione di una nuova immagine internazionale. L’incognita sulla futura centralità del Brasile nell’arena culturale globale è soltanto quella della capacità di rendere sostenibile un processo di sviluppo basato su contenuti che, per la specificità linguistica, possono accedere ad un bacino molto inferiore a quello del Sudamerica ispanofono. L’Africa rappresenta, sorprendentemente, un terreno fertile per nuovi poli di produzione culturale e creativa. La capillare diffusione dei telefoni cellulari e l’accesso sempre più facile e diretto alla produzione culturale internazionale sta generando un profondo mutamento sociale e culturale che si accompagna ad una grande vitalità espressiva. La Nigeria, con la sua industria cinematografica, sta

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replicando il modello indiano, puntando su produzioni a basso costo unicamente rivolte ad un pubblico autoctono ma notevolmente ampio. Il Sudafrica sta investendo fortemente in un processo di ridefinizione dell’identità del paese, all’interno del quale la produzione culturale gioca un ruolo importante. Ma anche nei Paesi più poveri dell’Africa equatoriale e sub-equatoriale si assiste ad un grande fermento creativo che, seppur fatica a tradursi in una produzione rilevante dal punto di vista del fatturato economico, sta portando allo sviluppo di promettenti forme di micro-impresa nelle quali si ibridano la dimensione culturale e quella sociale, e che costituiscono un laboratorio di innovazione di grande interesse che tra qualche anno potrebbe offrire sviluppi imprevedibili. Di seguito si riassumono esemplificativamente alcune delle trasformazioni in atto nei Paesi africani:  Marocco - la Ali Zaoua Foundation a Casablanca rappresenta uno dei casi più significativi di come un’iniziativa possa offrire concrete opportunità di formazione e lavoro nel cinema e nell’audiovisivo. La produzione cinematografica è rivolta alla partecipazione attiva di fasce di giovani che vivono in aree emarginate e degradate della città;  Ghana - La Foundation for Creative Industries raccoglie in un unico contenitore artisti e stakeholder con l’obiettivo di sviluppare il talento locale e di creare nuove opportunità di mercato per le produzioni culturali, sviluppando un’intensa attività di funding per il settore;  Senegal - Il Ministero della gioventù e l’Unctad stanno creando il Creative Economic Centre per incentivare il talento locale creativo, supportarlo con infrastrutture adeguate e facilitarlo con attività di networking e partenariati. Di rilievo sono i progetti per recuperare il patrimonio musicale e visivo senegalese, con progetti di proiezione verso il mercato internazionale. Nel complesso, quindi, si è in presenza di un panorama creativo in rapidissima evoluzione, e che in poco tempo potrebbe dare vita a configurazioni ed equilibri diversi dagli attuali. A differenza di altri Paesi europei che, anche grazie alle loro reti di promozione e rappresentanza culturale(British Council, Goethe Institut, IFA), giocano un ruolo attivo in queste trasformazioni e si concentrano strategicamente sulle realtà emergenti di maggiore interesse, l’Italia sembra al momento ancora poco presente su questo scacchiere e soprattutto priva di un indirizzo strategico riconoscibile, un limite questo che potrebbe ripercuotersi sulle capacità di crescita dei nostri stessi settori culturali e creativi e di internazionalizzazione. La necessità di un ripensamento della cultura come settore industriale di primo piano e dall’alta valenza strategica passa anche per il nostro Paese attraverso la capacità di entrare a far parte in modo più attivo di questo flusso globale di ridefinizione della geografia culturale, tornando a promuovere una visione della cultura e della creatività italiana strategicamente più integrata, dinamica, complessa ed articolata rispetto a quanto sin qui avvenuto.

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8. Come è cambiata nel tempo l’identità culturale italiana nel contesto globale Come già analizzato, negli ultimi decenni il ritmo di cambiamento del mondo è andato accelerandosi. Il rapido emergere di nuove tecnologie e la crescente globalizzazione hanno significato per l’Europa e altre parti del mondo una svolta profonda, caratterizzata dall’abbandono di forme tradizionali di produzione industriale e dalla preminenza assunta dal settore dei servizi e dall’innovazione. Le fabbriche sono progressivamente sostituite da comunità̀ creative, la cui materia prima è la capacità di immaginare, creare e innovare. L’Italia fatica a tenere il passo di Paesi un tempo outsider ma oggi molto più efficaci nel fsr crescere e maturare nuovi talenti. Le evidenze che supportano l’idea che i settori culturali e creativi siano una delle forze trainanti dei nuovi modelli di economia basati sulla conoscenza sono chiare e concordanti; in ambito regionale europeo, ad esempio, esiste una netta relazione tra livello locale di concentrazione delle industrie creative (in termini di occupazione settoriale) e prosperità in termini di PIL pro capite. I Paesi nei quali la mancata partecipazione culturale assume proporzioni più ridotte sono quelli nordici, che al contempo presentano buone performance innovative a livello di sistema. Interessante è il caso dell’Estonia, che pur essendo una piccola nazione ex comunista, ha mostrato in questi anni una notevole propensione a sviluppare forme avanzate di digitalizzazione della propria economica e della pubblica amministrazione, un fenomeno che sembra riflettersi perfettamente nei livelli particolarmente alti di partecipazione culturale. All’interno di questa classifica, l’Italia presenta livelli di partecipazione minimi (fa peggio solo la Spagna): un dato che evidenzia come attualmente, nel nostro Paese, il ruolo marginale della cultura all’interno del dibattito sullo sviluppo riflette una più intrinseca debolezza dal punto di vista dell’inserimento della sfera culturale negli spazi di vita quotidiana dei cittadini. L’inefficacia dell’azione di politica culturale è quindi la conseguenza di un più profondo limite sociale, uno stato di cose particolarmente preoccupante per un Paese che viene universalmente identificato con i temi e i valori della produzione culturale. Sorprendentemente, d’altra parte, gli italiani tendono a dichiarare che la cultura gioca un ruolo molto importante nelle proprie vite, addirittura in misura superiore a quanto accade in Paesi con livelli di partecipazione ben più alti. Ma, se si prova a verificare cosa sia in concreto la cultura per gli italiani, si scopre che essa tende ad identificarsi e in parte a confondersi, da un lato, con la scienza e più in generale con la conoscenza e, dall’altro, con la famiglia e con l’educazione. Allo stato attuale, in Europa si registra una situazione duale dei modelli di sviluppo a base culturale: da un lato, nei paesi nordici, nel Regno Unito, in Francia, in Belgio e in Olanda e nei paesi di lingua tedesca, nonché in alcuni paesi ex socialisti dell’est come l’Estonia e la Lituania, prevale un approccio basato sulla produzione culturale e creativa; dall’altro, nella maggior parte dei Paesi mediterranei, come l’Italia e la Grecia, e in molti Paesi ex socialisti, ad esempio Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca e Ungheria, prevale invece un approccio centrato sul turismo culturale nel quale la cultura gioca un ruolo subordinato.

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La tipica reazione italiana di fronte a situazioni che prefigurano un ristagno del sistema socioproduttivo, è quella di richiamare i grandi asset dell’identità culturale, come il patrimonio che, però, può contribuire al superamento della crisi solo se viene ripensato e rimesso in gioco con modalità diverse da quelle attuali, attraverso la forte visibilità e seduttività globale della relazione tra prodotti italiani ed identità culturale (il made in Italy). Ma è ancora vero che l’Italia è riconosciuta come uno dei poli fondamentali della creatività nel nuovo contesto competitivo? Per capirlo, si possono utilizzare nuove e sofisticate metodologie di analisi, come quella individuata da un gruppo di ricercatori di Harvard in partnership con GoogleLabs, e pubblicata in un recente numero di Science (J.B. Michel, E.L. Aiden et al., Quantitative analysis of culture using millions of digitized books, 16 dicembre 2010) che presenta uno strumento di ricerca capace di interrogare uno vasto database ottenuto dalla digitalizzazione di milioni di volumi in varie lingue effettuata da Google. Il motore di ricerca (www.culturomics.org) permette in particolare di valutare l’incidenza percentuale nel tempo di una determinata parola, o gruppo di parole in un ordine dato all’interno di tutti i testi, valutando così il livello di diffusione di quel particolare vocabolo nella libreria indicizzata. La pervasività di una determinata parola all’interno del corpo dei testi, sarebbe il riflesso del suo contributo ad un determinato processo di formazione del significato. La genomica (questo è il nome scientifico di tale tecnica), permette di determinare come cambi nel tempo la capacità di influenza culturale a seconda di quanto frequente sia l’associazione tra un determinato tratto di attività culturale (ad esempio arte, cinema, o design) ed il Paese che si è interessati a studiare. Allo stesso modo, si può analizzare la dinamica di influenza culturale del Paese attraverso la sua associazione nel tempo con alcuni tratti che ne descrivono qualità culturali di particolare rilevanza (stile, genio, fascino, estetica, etc.). Nell’attuale versione del database, i dati più ricchi e meglio utilizzabili sono quelli relativi ai testi in lingua inglese. Si possono così analizzare l’incidenza nella letteratura di lingua inglese di alcuni marcatori culturali, relativi sia ai tratti di attività che a quelli di qualità culturale per un certo numero di paesi di riferimento lungo l’arco temporale del XX secolo (Italia, USA, Germania, Francia, Gran Bretagna, Cina, Giappone). Nell’interpretare questi dati, bisogna tenere conto di un possibile effetto distorsivo, dato dall’esaminare una letteratura esclusivamente in lingua inglese; peraltro, dovendo comunque scegliere una lingua di riferimento, trattasi della scelta meno distorsiva in quanto l’inglese è la lingua con la quale si produce sia la maggior parte dei testi scientifici che la traduzione di quelli artistici e letterari. L’esperimento è consistito nell’associare a vari Paesi alcuni cd. marcatori: arte, architettura, cinema, design, teatro, moda, cibo (l’alta cucina è ormai considerata una particolare forma di design). I risultati sono quelli che riportati nei successivi diagrammi, premesso che:  sono dati che descrivono dei mutamenti di lungo termine; il modo migliore di leggerli è quello di pensare non soltanto al livello delle curve, ma anche all’area che si trova al di sotto di esse: è l’accumulazione nel tempo del numero di ricorrenze che conta nel definire la percezione culturale di un Paese; 44


i dati descrivono la diffusione sociale di un determinato marcatore nel suo senso più generale; pertanto, quando si parla di arte italiana o di design italiano si intendono tutti i possibili modi con cui i due termini vengono associati, compresi quelli metaforici, offrendo l’idea di quanto effettivamente una determinata associazione di termini sia sedimentata nell’immaginario collettivo; le ricorrenze delle coppie di termini non si riferiscono necessariamente all’arte, al design, alla moda italiana, francese o americana dell’anno in cui compaiono nei testi. Ad esempio, un elevato numero di ricorrenze per la coppia “arte italiana”’ nel 1900 non vuol dire che si parli molto dell’arte italiana prodotta nell’anno 1900: si tratta, verosimilmente, anche di un elevato numero di citazioni comparse in libri pubblicati nell’anno 1900 che fanno riferimento all’arte italiana medievale o rinascimentale; a maggior ragione, quindi, i dati fanno riferimento alla “temperatura” di attenzione verso il fenomeno nel suo complesso, piuttosto che verso la sua manifestazione più immediata.

Concentrandosi sulla posizione dell’Italia all’interno di questo quadro, si avrà una visione dell’evoluzione del potere di influenza culturale del nostro Paese. GRAFICO 6.

INFLUENZA CULTURALE ITALIANA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

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Segue GRAFICO 6.

INFLUENZA CULTURALE ITALIANA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

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Segue GRAFICO 6.

INFLUENZA CULTURALE ITALIANA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

Fonte UnionCamere - Camere di Commercio italiane e Fondazione Symbola

All’inizio del ‘900, l’Italia domina incontrastata nell’arte, vince di stretta misura nell’architettura, è seconda solo ai francesi nel design e nella moda, non è in posizioni di primo piano nel teatro e nel cibo, mentre il cinema deve ancora fare la sua comparsa. Alla metà del ‘900, l’Italia è al terzo posto nell’arte e scivola al quarto nel corso del decennio; parte dal quarto e retrocede al quinto nell’architettura; conquista una breve supremazia nel cinema che però perde già prima della fine del decennio; si mantiene al quinto posto nella moda; oscilla tra il quinto e il sesto posto nel design e nel teatro, e mostra una progressione dal settimo al quinto posto nel cibo. Nel 2000, l’Italia è settima (su sette) nell’arte, nel teatro e nel cinema, è sesta nell’architettura, quarta nel design, terza nel cibo e nella moda. Da tale analisi emerge che nel corso del ‘900 l’Italia perde posizione nei settori culturali, mentre mantiene una buona percezione globale nei settori creativi legati al design in tutte le sue forme, pur non potendo vantare in nessun campo una posizione di preminenza globale; l’unica area nella quale si registra un miglioramento di posizione di lungo termine nel corso del secolo è quella del cibo. Contrariamente alle radicate convinzioni, i dati suggeriscono che l’identità culturale italiana è in lenta e costante erosione rispetto ai competitor globali, i quali, differentemente da noi, lavorano sul tema dell’identità culturale sia in termini di estrazione di rendita, facendo cioè leva sui successi e sulle glorie del passato o, nel caso di settori creativi come la moda o il design, del passato prossimo, sia investendo sul rinnovamento che sul rafforzamento del potenziale creativo attuale. Non è un caso che l’unico settore che guadagni posizioni su scala globale sia quello del cibo: è infatti l’unico comparto nel quale l’Italia, negli ultimi anni, ha promosso una reale politica di crescita del pubblico in termini di informazione, competenza, sensibilità alla cultura del territorio. La sottovalutazione del potenziale strategico della cultura, ed il disinvestimento che ne è la conseguenza, stanno così progressivamente togliendo spazio ed energia al nostro posizionamento 47


globale in termini di valore aggiunto culturale legato all’identità della nostra produzione, a scapito di Paesi con una tradizione culturale spesso minore, ma di fatto oggi molto più dinamici e propositivi. Il fenomeno si legge altrettanto chiaramente quando dai campi di produzione culturale e creativa si passa agli attributi caratteristici del valore percepito della produzione culturale e creativa. GRAFICO 7. VALORE PERCEPITO DELLA PRODUZIONE CULTURALE E CREATIVA ITALIANA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

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Segue GRAFICO 7.

VALORE PERCEPITO DELLA PRODUZIONE CULTURALE E CREATIVA ITALIANA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE

Fonte UnionCamere- Camere di Commercio italiane e Fondazione Symbola

Ragionando sui marcatori di significato, si può notare che l’Italia all’inizio del ‘900 predomina in lusso e stile; è seconda per bellezza, terza per genio e immaginazione, mentre è debole per estetica”. A metà del ‘900 , è seconda per bellezza e stile, terza per lusso, quinta per genio, oscilla tra il terzo e il quinto posto per immaginazione, e scende lungo il decennio dal secondo al settimo posto per estetica. Nel 2000, è seconda per bellezza, quinta per genio e stile, settima per estetica, immaginazione e lusso (in cui era prima all’inizio del secolo). Il quadro che emerge conferma, dunque, che l’Italia di fine secolo è un Paese molto meno capace di produrre una forte influenza culturale di quanto fosse all’inizio del ‘900, e si è notevolmente indebolita su caratteristiche che pure si continuano a ritenere associate ad una leadership globale. Da notare, in particolare, le differenze con la Francia, con riferimento a marcatori oggi centrali per la competitività futura nella produzione culturale e creativa di alta gamma, come lusso, stile e 49


genio: non soltanto i transalpini sopravanzano l’Italia nelle tre fattispecie, ma in tutte conquistano un secondo posto globale che determina un posizionamento estremamente forte in tali settori. L’Italia invece non supera in nessuno dei settori una posizione di metà classifica, con un ultimo posto rispetto al marcatore lusso; è superfluo osservare che esistono singoli marchi italiani che ottengono ottime performance individuali, ma ciò che più conta è la tendenza generale del sistema anziché singole situazioni di eccellenza. Ma in che misura questo indebolimento della capacità di ragionamento strategico nella produzione culturale e creativa influisce sulla percezione complessiva del brand Italia e nella comparazione con analoghi brand nazionali? A questa domanda provano a rispondere le analisi di country branding, che rappresentano un’ulteriore fonte indipendente di verifica delle tendenze in atto. Il Country brand index, pubblicato annualmente da FutureBrand (2012) rappresenta uno degli indicatori più diffusi e conosciuti, e permette di avere un quadro dinamico dello scenario globale. Per il 2011-2012, la classifica dei primi 10 brands come sistema Paese è la seguente: TABELLA 5.

COUNTRY BRAND INDEX

CLASSIFICA

PAESE

1° Canada 2° Svizzera 3° Nuova Zelanda 4° Giappone 5° Australia 6° Usa 7° Svezia 8° Finlandia 9° Francia 10° Italia

VARIAZIONE SU ANNO PRECEDENTE 0 +3 0 +2 -3 ‐2 +2 0 ‐2 +2

Fonte: FutureBrand (2012)

Nello scenario attuale, l’Italia rientra tra i primi dieci Paesi, con un recupero di due posizioni rispetto l’anno precedente. Ma è interessante notare come le posizioni di vertice sono associate ai Paesi che mostrano una capacità di maggiore dinamismo, di aperture alle sfide della contemporaneità e della globalità, piuttosto che a valori storicamente sedimentati: un segno inequivocabile di una geografia culturale, economica e sociale in profonda mutazione. In Italia si è sempre guardato con sufficienza alle performance culturali dei Paesi meno ricchi di tradizione, evocando paragoni tra i rispettivi patrimoni culturali ed il prestigio e la ricchezza della storia italiana; ma da quanto emerge, ciò non è più sufficiente. Sempre secondo FutureBrand, le performance italiane risultano peraltro relativamente soddisfacenti in ambito turistico, dell’arte e della cultura; il Paese è 1° per quanto riguarda la percezione legata all’arte e alla cultura e 3° per la storia, ma perde posizioni relativamente all’autenticità culturale 50


(5°) e alla bellezza naturale (12°): il segno evidente di una proiezione identitaria rivolta al passato piuttosto che al futuro. Dal punto di vista del turismo, il Paese è il 1° per cultura culinaria e 2° per le attrazioni, ma ottiene pessime performance circa la dotazione infrastrutturale e per la competitività in termini di rapporto qualità/prezzo (28°). La collocazione italiana precipita anche nel sistema valoriale Paese (22°), nella qualità della vita (21°) e nelle opportunità di business (23° posto) e quasi sempre oltre il 20° posto per qualunque altra voce considerata, tolleranza, sostenibilità ambientale, qualità del sistema educativo, sicurezza, opportunità lavorative: tutti fattori che apparentemente appartengono a sfere extra-culturali e che invece dipendono in modo sensibile proprio da quella particolare dimensione della sfera culturale costituita dalla qualità e dal livello della partecipazione culturale. Nei Paesi in cui la cultura è parte dell’esperienza quotidiana dei residenti come elemento essenziale per la produzione di valore sociale e non soltanto economico, la qualità della vita e del livello della partecipazione culturale è sempre molto elevata, ed il sistema economico è fortemente dinamico con orientamenti valoriali che tendono al sociale.

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9. Il contributo del sistema produttivo culturale al valore aggiunto e all’occupazione Nel 2011, in Italia, il valore aggiunto conseguito dal sistema produttivo culturale ammonta a quasi 76 miliardi di euro, pari al 5,4% del totale dell’economia. E’ questo un valore in leggera crescita se confrontato con il 5,3% relativo alle analoghe stime effettuate per il 2007; Anche l’occupazione impegnata nelle imprese culturali e creative offre segnali confortanti, con circa 1 milione e 390 mila persone, pari al 5,6% del totale degli occupati del Paese rispetto al 5,3% del 2007. Il settore dimostra, dunque, una particolare tenuta occupazionale, visto che il numero di occupati del settore dal 2007 al 2011 è cresciuto a un ritmo medio annuo dello 0,8% a fronte di una flessione dello 0,4% riscontrata per l’intera economia nazionale. Del resto, anche in termini di valore aggiunto, la crescita nominale media annua del settore culturale (+0,9%) si è dimostrata superiore a quella media complessiva del Paese (+0,4%) TABELLA 6.

VALORE AGGIUNTO E OCCUPAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO CULTURALE IN ITALIA PER SETTORE Anno 2011 (valori assoluti, composizioni e incidenze percentuali sul totale economia)

Fonte UNIONCAMERE - Camere di Commercio italiane

La dinamica migliore riguarda le performing arts e le arti visive, cresciute dell’1,3% in termini di occupati e del 3,6% per quanto riguarda il valore aggiunto. Sempre con riferimento a quest’ultimo, appare significativa anche la dinamica delle industrie creative (+1,7%). 52


TABELLA 7.

VARIAZIONI PERCENTUALI MEDIE ANNUE 2007-2011 DEL VALORE AGGIUNTO E DELL’OCCUPAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO CULTURALE IN ITALIA PER SETTORE (variazioni percentuali)

Fonte UNIONCAMERE - Camere di Commercio italiane

Al prodotto e all’occupazione contribuiscono soprattutto le industrie creative (47,1% di valore aggiunto; 53,5% di occupazione) e le industrie culturali (rispettivamente 46,5% e 39,1%, con una inversione nella gerarchia delle cifre dei due aggregati indicativa di una maggiore produttività, caratteristica in particolare del settore dei film, video e radio-tv), mentre la quota risulta molto più contenuta per le performing arts e arti visive (5,0% e 5,9%) e, soprattutto, per le attività private collegate al patrimonio storico-artistico (1,4% e 1,5%). TABELLA 8.

IMPRESE REGISTRATE DEL SISTEMA PRODUTTIVO CULTURALE IN ITALIA, PER SETTORE ANNO 2011 (valori assoluti e composizioni percentuali)

Fonte UNIONCAMERE - Camere di Commercio italiane

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10. Le industrie culturali e creative e l’indotto: un potenziale da sfruttare Sempre UnionCamere, insieme alla Fondazione Symbola, nel 2012 ha provato a definire il sistema produttivo culturale attraverso la selezione di specifiche attività economiche riguardanti imprese, istituzioni pubbliche e no profit innestate sia all’interno di un preciso perimetro operativo, sia nell’ambito di una filiera più vasta che coinvolge altri perimetri in termini di valore aggiunto prodotto:  attività formative (corsi universitari e post-universitari, accademie, conservatori, istruzione e formazione tecnica superiore, corsi di formazione e di aggiornamento professionale, scuole e corsi di lingua, corsi ricreativi, etc.);  produzioni agricole tipiche;  attività del commercio al dettaglio alimentare e non alimentare collegate alle produzioni dell’industria culturale;  attività turistiche (alloggio e ristorazione - con specifico riferimento alle aree con città d’arte – agenzie di viaggio, guide e accompagnatori turistici);  attività dei trasporti (traffico merci e passeggeri, per quest’ultimi con riferimento ai soli territori con città d’arte);  attività connesse all’edilizia (costruzione di opere civili e di pubblica utilità, recupero del patrimonio storico-architettonico, ecc.);  altre attività (ricerca e sviluppo sperimentale nel campo delle scienze sociali e umanistiche, regolamentazione dell’attività degli organismi preposti ai servizi ricreativi, culturali e sociali vari, attività di organizzazioni no profit. Il passaggio all’ottica di filiera, amplia significativamente le cifre del 2011:  il numero di imprese coinvolte nelle attività della filiera, valutate in base ai registri camerali, dalle circa 443.000 individuate nell’accezione più circoscritta, cresce a 1.535.000, incidendo per un quarto sul totale della base imprenditoriale complessiva del Paese (25,1%);  il valore aggiunto prodotto passa da 80,8 miliardi di euro (inclusi Pubbliche Amministrazioni e organismi no profit) a 211,5 miliardi di euro di filiera, con un’incidenza che dal 5,7% del sistema produttivo culturale sale al 15% del totale dell’economia italiana. Appare, dunque, del tutto evidente che produrre valore economico senza generare allo stesso tempo contenuti significativi è una contraddizione (Verganti, 2009). Questa è la ragione profonda in base alla quale dove esiste capacità di produrre e di assorbire contenuti che “fanno presa” sono presenti sviluppo, dinamismo innovativo, percezione di qualità della vita. Sulla base delle elaborazioni effettuate è stato poi stimato l’impatto economico della filiera della cultura, partendo dai risultati ottenuti in termini di valore aggiunto: per un euro prodotto dal sistema produttivo culturale in senso stretto, ne vengono generati 1,6 all’interno della filiera complessiva. Questo studio costituisce, dunque, un viaggio tra cultura, creatività, tradizione, innovazione, genio, ingegno e saper fare che passa dal biocarburante di seconda generazione del Piemonte alle sartorie tradizionali di Ginosa di Puglia, dalla Brianza del mobile all’occhialeria di Belluno, dall’Emilia dei motori alle ceramiche di Deruta, dall’arredo casa del Friuli Venezia Giulia al cashmere 54


dell’Umbria; dall’Abruzzo dell’alta sartoria e della pasta alle calzature marchigiane fino a Napoli, dove si concentrano le migliori sartorie di capospalla del mondo; dalla Toscana del vino e del marmo di Carrara, del tessile di Prato e della nautica di Lucca, alla nascente filiera dell’animazione fortemente votata all’export. Geografia della cultura tricolore. In una classifica per macroaree geografiche, con il Centro che raggiunge il 6,1% de valore aggiunto, seguito da Nord-Ovest, che dall’industria culturale crea il 5,9% della propria ricchezza, mentre il Nord-Est dal settore delle produzioni culturali vede arrivare il 5,5% del valore aggiunto; il Mezzogiorno raggiunge il 3,8%. Quanto alle Regioni, in testa alla classifica per incidenza del valore aggiunto della cultura sul totale dell’economia c’è il Lazio (6,8%) seguito da Marche, Veneto e Lombardia (sulla soglia del 6,3%), e quindi dal Piemonte (5,8%). Mentre per il Lazio sono le industrie culturali a fare la parte del leone, nel caso di Marche, Veneto e Lombardia sono le attività più tipiche del made in Italy (industrie creative e manifatturiere) a fornire un contributo fondamentale. Considerando, invece, l’incidenza dell’occupazione delle industrie culturali sul totale dell’economia, la classifica regionale subisce quale variazione: il Veneto è in testa a quota 7%, seguito dalle Marche (6,9%), dal Friuli Venezia Giulia (6,4%), e dal Lazio e dalla Toscana (6,3%). Arezzo è la prima provincia italiana per ricchezza prodotta dalla cultura e per numero di occupati: l’8,4% della ricchezza complessiva del sistema economico locale (in valore assoluto oltre 700 milioni di euro); quasi 15 mila persone impiegate, pari al 9,8% del totale degli occupati dell’intera provincia. Il contributo maggiore arriva della industrie creative (architettura, comunicazione e branding, design e produzione di stile, artigianato) con circa il 77% del valore aggiunto del settore; le industrie culturali propriamente dette, invece, contribuiscono con circa il 20%, mentre da performing arts e intrattenimento arriva un altro 1,5% e dal patrimonio storico-artistico lo 0,8%. Sono mass-media, architettura, made in Italy, design e performing arts il motore propulsore della stagione culturale cultura italiana nel 2011. Se la dinamica migliore riguarda performing arts e arti visive, cresciute dell’1,3% in termini di valore aggiunto e del 3,6% in termini di occupazione, le industrie creative (architettura, design, Made in Italy e comunicazione e branding) contribuiscono per il 47,1% del valore aggiunto prodotto dal macrosettore “cultura”. Risultati analoghi per le industrie culturali (mass-media, musica, videogiochi) che rappresentano il 46,5% della ricchezza della cultura. Decisamente più contenuto il fatturato delle le imprese legate al patrimonio storicoartistico, che incide per l’1,4% del valore aggiunto del settore. Anche il Sole 24 Ore ha dedicato una campagna stampa al medesimo argomento negli ultimi mesi del 2012, valutando in quale misura la povertà della crescita italiana dipende dalla scarsa attenzione all’industria culturale, troppo spesso considerata il parente povero dei settori economici. Per rispondere a questa domanda, è stato costruito un indice di “interesse per la cultura” che è stato correlato all’andamento dell’economia. Si è scoperto che la correlazione esiste e con un’implicazione sorprendente: un euro in più speso per la cultura cancella la connotazione di sussidio e si rivela un investimento. Tanto più che le spese 55


per la cultura, essendo rivolte a persone ad attrezzature stabilmente insediate nella penisola, presentano una minor “fuga” di importazioni ed esercitano quindi anche un maggior effetto moltiplicativo. E oltre all’effetto diretto sulla domanda vi è anche il cruciale impatto – indiretto ma reale – sulla immagine dell’Italia nel mondo. Scientificamente, se ne è dedotto che il moltiplicatore culturale è all’incirca pari a uno, ovvero per ogni euro di fatturato prodotto dall’industria culturale si generano contenuti che contribuiscono a produrre un ulteriore euro di fatturato nell’industria creativa. Considerando poi il rapporto tra settore culturale e creativo nel suo complesso e la filiera estesa della creatività, è stato introdotto un ulteriore, analogo indicatore “moltiplicatore creativo”, vale a dire quanto ogni euro di valore aggiunto prodotto nella sfera culturale e creativa vera e propria contribuisce a generare a sua volta sotto forma di valore aggiunto indotto nelle sfere produttive ad alta intensità di input culturale. Nel 2011, questo moltiplicatore creativo è stato pari a 2,77, ovvero, per ogni euro fatturato dalle industrie creative, i contenuti da esse prodotti contribuiscono a generare un ulteriore fatturato indotto di 2,77 euro in media.

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11. Incubatori d’impresa creativa, Europa

sostegni finanziari, creatori di reti e cluster in

11.1 Incubatori di impresa Alcuni Paesi, regioni e città in tutta Europa hanno sostenuto investimenti in spazi fisici con funzione di poli per le industrie culturali e creative, sfruttando al meglio i fondi FESR e FSE per istituire, sviluppare e mettere in rete incubatori creativi. Alcuni di questi incubatori si concentrano maggiormente sugli operatori culturali (fungendo da residenze), altri sugli imprenditori creativi. Un numero crescente di incubatori aziendali valuta l’inserimento delle attività creative nei propri programmi, ma sussiste ancora una chiara esigenza di sviluppare incubatori specializzati per tre ragioni principali:  le industrie culturali e creative generalmente mirano a operare in un ambiente vivace e fonte di ispirazione;  le industrie culturali e creative necessitano di servizi di consulenza specializzati che tengano conto dei loro modelli operativi specifici;  le industrie culturali e creative spesso operano in base a prototipi o progetti e traggono vantaggio dall’operare presso imprese co-locatarie con la stessa visione, espressione di altre iniziative che creano sinergie e nuove opportunità d’impresa. A titolo meramente esemplificativo, si richiamano i casi dell’Estonia e dei Paesi Bassi.  Estonia

La strategia nazionale per l’impiego dei Fondi Strutturali 2007-2013 ha identificato l’incubazione creativa come uno degli elementi chiave nella promozione dell’imprenditorialità nel settore culturale e nella creazione di condizioni favorevoli per le imprese in fase di startup. In sede di programmazione, è stata respinta l’idea di inserire gli incubatori di impresa creativa all’interno del programma di incubazione nazionale, poiché non vi era sufficiente evidenza e competenza relativamente a questo nuovo tipo di incubatori. Si è deciso pertanto di investire in incubatori d’impresa creativa nell’ambito del programma rivolto alle industrie creative. Gli incubatori sono creati e gestiti dalle amministrazioni municipali locali o da istituzioni operanti nell’istruzione. Gli aiuti comunitari coprono l’investimento per l’infrastruttura, le apparecchiature e parte dei costi di esercizio. Il Tallinn Creative Incubator è stato inaugurato nel 2009 ed è uno dei tre incubatori gestiti dalla Business Support and Credit Management Foundation di Tallinn. Lo scopo è di fornire servizi di incubazione alle startup delle industrie creative per aumentare la competitività di tali PMI tramite la creazione dell’infrastruttura immateriale: meccanismi di cooperazione e partecipazione, sostegno allo sviluppo e alle esportazioni. Si trova nello storico edificio dell’industria della moda ed attualmente accoglie oltre 30 startup che rappresentano tutte le aree creative: creazione di gioielli, arti del vetro, grafica, fotografia, artigianato e arti dello spettacolo.

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Il Tartu Centre for Creative Industries, fondato nel 2009 dall’amministrazione municipale di Tartu, funge da coordinatore delle industrie creative di Tartu e dell’Estonia meridionale fornendo informazioni di settore e formazione, consulenza legale ed economica per gli imprenditori creativi, nonché servizi di incubazione (e pre-incubazione) aziendale. Una volta completati tutti gli interventi di recupero, il centro offrirà spazio fino a 40 imprese e impiego per 100 persone. Dopo il successo del lancio ea fronte dei risultati del periodo 2009-2011, a partire dal 2012 si è deciso di incorporare gli incubatori creativi nel programma generale di incubazione.  Paesi Bassi

Con un investimento di 6 milioni di euro, la Città di Rotterdam ha trasformato un vecchio silos per la raccolta del grano ubicato in un’area svantaggiata, in un incubatore d’impresa creativa. La Creative Factory, inaugurata nel 2008, è stata uno dei primi spazi di «co-working» in Europa. Riunisce in un unico edificio oltre 70 imprese creative e commerciali e le aiuta a crescere tramite partenariati con imprese, istituzioni nel campo dell’istruzione ed enti governativi. I partner includono Rabobank (banca commerciale), KPMG (contabilità e consulenza), ARA (agenzia di pubblicità), HOPE Erasmus University e Technical University di Delft, Hogeschool Rotterdam e Albeda College (istruzione professionale superiore e secondaria), Vestia (housing corporation), Pact op Zuid (sviluppo del territorio) e Rotterdam Philharmonic Orchestra (accesso a nuove reti). A ottobre 2011 la Creative Factory ospitava 74 imprese, alcune in uffici privati, ma la maggior parte in uffici open space, affittando scrivanie anziché metri quadrati, a un costo molto competitivo: a partire da 111 euro a testa al mese vengono coperti tutti i costi, inclusi riscaldamento, elettricità, connessione veloce a Internet, sistema di sicurezza, reception, sale riunioni, coaching e mediazione. Questo prezzo contenuto è reso possibile dai contributi finanziari dei partner della Creative Factory, mentre la gestione è assicurata da una società privata che affitta l’edificio dalla Città di Rotterdam, senza così implicare altre forme di sussidio.

11.2 Accesso al finanziamento Le industrie culturali e creative, in particolare le PMI, incontrano alcune difficoltà nell’accedere ai fondi di cui hanno bisogno per finanziare le loro attività, sia in termini di credito che di capitale. Benché si tratti di una sfida comune per le PMI in generale, la situazione è notevolmente peggiore per quelle che operano nei settori culturale e creativo, per i seguenti motivi:  le imprese nell’ambito delle industrie culturali e creative fanno grande affidamento sulle dotazioni immateriali (in particolare i diritti di proprietà intellettuale), che solitamente non trovano riscontro nei conti;  a differenza di altri prodotti industriali, quelli delle industrie culturali e creative generalmente non vengono realizzati in massa. Ogni film, libro, opera e videogioco può essere considerato come prototipo unico;

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 nella maggior parte dei casi, le esigenze finanziarie delle imprese delle industrie culturali e creative non sono abbastanza significativi da renderle commercialmente interessanti agli occhi delle banche al punto da intraprendere analisi della progettualità, sviluppare le loro competenze in un campo percepito ancora come rischioso e istituire reparti specializzati nelle industrie culturali e creative in grado di comprendere i particolari modelli d’impresa di questo settore;  le industrie culturali e creative affrontano anche sfide specifiche in termini di predisposizione all’investimento, in particolare in un momento in cui devono trovare modelli innovativi d’impresa per il nuovo ambiente digitale. In tale contesto, le autorità pubbliche devo giocare un ruolo essenziale, per stimolare l’investimento privato e promuovere partenariati tra pubblico e privato a vantaggio delle PMI, soprattutto tramite meccanismi di garanzia o fondi di capitale di rischio. Le iniziative JEREMIE e JASMINE consentono già a Stati membri e regioni dell’Unione Europea di utilizzare i Fondi Strutturali per istituire schemi di ingegneria finanziaria. Advantage Creative Fund a Birmingham e VC Fonds Kreativwirtschaft a Berlino sono due esempi di tali schemi rivolti nello specifico alle industrie culturali e creative.  Austria

Departure è l’agenzia per le industrie creative della Città di Vienna che supporta le imprese e gli imprenditori viennesi nei campi seguenti:  mercato dell’arte  architettura  settore audiovisivo  design  moda,  musica  multimedia  editoria. I quattro programmi di finanziamento sono personalizzati in base ai diversi requisiti dei candidati, sia per quanto riguarda i contenuti, sia da un punto di vista economico. Il finanziamento è soggetto a sovvenzioni non rimborsabili e può variare da 20.000 a 200 000 euro a progetto per una durata da 1 a 3 anni. Grazie al proprio programma di finanziamento, Departure si concentra sulle attività imprenditoriali orientate all’economia nel campo delle industrie creative, focalizzandosi su sviluppo e promozione di nuovi prodotti creativi e innovativi, processi e servizi propedeutici alla produzione seriale, servizi di consulenza sui progetti, per incrementare la crescita e l’acquisizione di conoscenze, la pianificazione aziendale, la distribuzione e sfruttamento dei loro prodotti o servizi, la cooperazione tra imprese creative e industrie tradizionali per rafforzare i vantaggi competitivi di entrambe.

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 Belgio

CultuurInvest, è un fondo di investimento indipendente gestito da PMV nv (holding di investimento del Governo fiammingo). Il fondo è stato istituito alla fine del 2006 e mette a disposizione capitale di rischio per gli imprenditori nelle industrie culturali e creative nelle Fiandre. Tramite prestiti subordinati o partecipazioni di minoranza in imprese, il fondo aiuta gli imprenditori creativi a realizzare i loro piani di crescita, ponendo l’attenzione su quegli imprenditori che si concentrano sulla crescita e sullo sviluppo commerciale in termini di ampliamento e diversificazione dei profitti e di incremento dei flussi di cassa extra; in tal modo, è riuscito ad attirare ulteriore cofinanziamento di altri investitori privati e banche. CultuurInvest può investire in nuovi media e videogiochi, nel settore audiovisivo e del design digitale, nel settore della musica e dei concerti, nel design e nella moda, nella stampa e grafica, nell’editoria e libri, nei musical e nelle arti dello spettacolo, nella distribuzione nel campo delle arti visive, nella comunicazione e pubblicità, nell’architettura e nel patrimonio culturale.  Paesi Bassi

La fondazione Cultuur-Ondernemen supporta e guida artisti, creativi e organizzazioni culturali nel fare un uso commerciale ottimale del loro capitale creativo. Raccoglie e condivide conoscenze nel settore culturale e riunisce artisti, creativi, istituzioni culturali, imprese e organizzazioni sociali. La fondazione concede anche prestiti ad artisti e creativi con tassi di interesse molto ridotti. Offre servizi di coaching e mentoring, formazione e istruzione, formazione sul lavoro, sviluppo di mercato e creazione di reti, supporto finanziario, consulenza, ricerca di consulenti e dirigenti, servizi di ricerca e informativi.  Francia

L’ Institut pour le Financement du Cinéma et des Industries Culturelles (IFCIC), istituto di prestito specializzato, è stato incaricato dal Ministero della Cultura e della Comunicazione e dal Ministero delle Finanze di contribuire allo sviluppo dell’industria culturale in Francia semplificando l’ottenimento dei finanziamenti bancari per le imprese del settore. IFCIC, un istituto neutrale e indipendente, è una società privata a responsabilità limitata che si occupa di un servizio di interesse generale: il suo capitale appartiene a banche francesi, grandi istituti finanziari pubblici (Caisse des Dépôts e OSEO) e allo Stato. La conoscenza del settore e i suoi rapporti con i competenti comitati e con le reti professionali, consentono a IFCIC di condurre analisi approfondite del rischio sostenuto dalle imprese che richiedono un finanziamento. I prestiti garantiti da IFCIC coprono la maggior parte delle esigenze delle imprese, lungo tutte le fasi del loro sviluppo. Le banche che lavorano con IFCIC non ricevono solo garanzie finanziarie nel caso in cui le imprese dichiarino fallimento, ma anche analisi dei rischi specifiche per le industrie culturali, in 60


particolare quando sono coinvolti prestiti a breve termine per progetti cinematografici e audiovisivi. IFCIC aiuta le società imprenditoriali a ottenere copertura di finanziamento per i progetti dalle loro banche; offre anche le proprie competenze finanziarie e solitamente garantisce il 50 % dei prestiti ottenuti. Questo significa che quando un’impresa fallisce, le perdite della banca sono ridotte della metà.  Spagna

In modo analogo a IFCIC, nel 2000 il Parlamento della Catalogna ha istituito l’Institut Català de les Industries Culturals per supportare lo sviluppo delle industrie audiovisive nel territorio. Da allora è un fattore chiave per articolare tutte le misure necessarie per rafforzare il settore tramite dialogo, nuove formule di finanziamento, supporto dell’esportazione dei prodotti culturali e per garantire la propria presenza sul mercato.

 Belgio St’art, fondo di investimento per le industrie culturali e creative, è il risultato degli sforzi congiunti della Regione Vallonia e della Federazione Vallonia-Bruxelles per sostenere lo sviluppo dell’economia creativa. Con uno stanziamento di 16 milioni di euro, si rivolge alle piccole e medie imprese, incluse le organizzazioni non a scopo di lucro, contribuendo alla creazione di imprese e allo sviluppo delle strutture esistenti al fine di sostenere nuovi progetti, di creare nuovi prodotti e di aggiudicarsi nuovi mercati. Il fondo offre finanziamenti sotto forma di prestiti e investimenti. L’obiettivo è anche influenzare le banche e gli investitori del settore privato, e a tal fine St’art opera a stretto contatto con enti pubblici e fondi di investimento regionali, integrandosi e non sostituendosi agli altri meccanismi di finanziamento esistenti e alle possibili sovvenzioni pubbliche. Sono disponibili diversi tipi di intervento, secondo i requisiti dell’impresa e la natura degli investimenti, ma sempre nell’ambito del “de minimis”. St’art è coinvolta nel sostegno delle imprese creative secondo due modalità che possono anche essere combinate e mai comunque finalizzate coinvolta nel finanziamento una tantum di progetti culturali o creativi:  tramite prestiti; la durata determinata caso per caso e l’importo minimo è fissato a 50.000 euro;  tramite partecipazioni di capitale., e le due forme di intervento possono essere combinate.

11.3 Creazione di reti e cluster Le attività per la creazione di reti e cluster mettono in contatto le diverse parti in causa del processo culturale e creativo: industrie culturali e creative, industrie correlate, mondo accademico, enti pubblici, imprese e investitori. 61


I cluster possono essere definiti come ubicazione congiunta di produttori, fornitori di servizi, istituti per l’istruzione e la ricerca, istituti finanziari e altri enti privati e governativi correlati tra loro tramite collegamenti di diverso tipo. Nell’ambito delle industrie culturali e creative, i cluster sono necessari perché i protagonisti del settore solitamente sono micro imprese che cooperano nel quadro di alleanze di progetto. Ognuna vi apporta le proprie competenze specifiche e l’alleanza può riguardare un singolo progetto o evolversi in un partenariato a lungo termine o in una fusione. Cluster più solidi tra le imprese aumentano le opportunità d’impresa; spazi fisici, come gli incubatori, creano un cluster con una singola location, ma è possibile istituire un cluster o una rete anche a livello di una regione o di un Paese. Il fattore chiave del successo consiste nel disporre di sufficiente diversificazione nella rete, in modo che l’interazione porti a uno scambio di conoscenze e attività economiche. Le reti che maggiormente funzionano sono quelle dinamiche e flessibili che operano a lungo termine, rafforzando le connessioni locali e rappresentando una piattaforma per le esportazioni. Le reti solitamente includono partner locali e regionali e dovrebbero essere collegate alla politica di innovazione. In questo modo esse sostengono anche gli obiettivi delle politiche per la crescita regionale e l’occupazione.  Portogallo

ADDICT Creative Industries è l’Ente per lo sviluppo delle industrie creative e rappresenta il cluster di settore nella regione Nord del Portogallo. ADDICT è un’associazione/piattaforma che attualmente rappresenta oltre 100 imprese, istituzioni e liberi professionisti nel campo delle industrie creative e che, tramite la divulgazione di conoscenze e informazioni e la promozione e il coordinamento delle industrie creative, contribuisce a sviluppare imprenditorialità ed economia creativa. A seguito di uno studio di microeconomia sullo sviluppo dei cluster di industrie culturali, ha presentato una strategia e un programma di azione, entrambi approvati dall’autorità per la gestione del programma operativo sui fattori di competitività (Autoridade de Gestão do Programa Operacional Factores de Competitividade, POFC), e delle Strategie di Efficienza Collettiva (Estratégias de Eficiência Colectiva, EEC) sul riconoscimento dei poli di competitività e tecnologici e di altri cluster. La nuova strategia di ADDICT per il periodo 2012-2013 ADDICT definisce gli assi strategici e i programmi chiave che ne strutturano l’azione, individuandoli in persone, economia e luoghi, che corrispondono a ciascuno dei tre pilastri che si fondano su un cluster sostenibile, creativo e a valore aggiunto. I tre scopi principali sono:  contribuire alla valorizzazione delle fonti creative (creatività individuale);  contribuire a un’economia basata su talento e creatività (creatività imprenditoriale);  contribuire a una migliore e più ampia massa urbana critica e all’attrattività del territorio 62


(creatività urbana).  European Creative Businesses Network

L’European Creative Business Network (ECB Network) è una fondazione istituita da 11 organizzazioni europee che opera a favore e nell’ambito delle industrie culturali in Europa, offrendo servizi a piccole e medie imprese Gli obiettivi principali della ECB Network sono:  mettere in relazione gli imprenditori culturali e creativi con altri settori per implementare gli affari  creare accesso a investitori (transfrontalieri)  offrire specifiche informazioni di settore aggiornate sul mercato locale e sui potenziali partner (commerciali)  promuovere il valore degli imprenditori culturali e creativi tra gli Stati membri e le istituzioni dell’UE. ECB Network si occupa di quattro attività principali:  contatto: punti di contatto locali che offrono informazioni aggiornate sul mercato locale e una rete per gli imprenditori;  scambio: quartieri, residenze e incubatori creativi offrono lavoro e/o spazio vitale alle rispettive imprese e organizzazioni;  comunità online: per incrementare contatti internazionali, scambio e affari internazionali e per informare la comunità in anticipo circa eventi, premi e gare;  missioni commerciali creative: imprese e organizzazioni uniscono le forze per visitare un nuovo mercato o invitare imprese nei loro mercati.

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12. Alcune conclusioni Ma da dove nascono questi contenuti? La risposta è ovvia ma ancora poco evidente: dalle industrie culturali e creative, la cui produzione può considerarsi come il punto di origine delle catene contemporanee del valore, anche se la scarsa comprensione e considerazione di questo ruolo fa sì che per molti non debbano essere collocate al primo posto, in quanto attività irrilevanti e improduttive che vivono dei sussidi ottenuti dalla redistribuzione del valore prodotto negli altri settori. Il recente neuro-marketing ha dimostrato che quando si decide di acquistare o di investire, si è soggetti a stati emozionali e legati a sensazioni ataviche: paura, rabbia, speranza, desiderio, rimorso (Lindstrom, 2009). Per Gottschall (2012), la selezione biologica e culturale che ha prodotto gli esseri umani, si basa in gran parte sulla nostra capacità di produrre e di consumare storie, e di fatto le nostre scelte e i nostri comportamenti sono al servizio della costruzione del personale tessuto esperienziale; così, più si è in grado di affrancarsi dai bisogni primari, più tempo si potrà dedicare ai mondi narrativi da costruire. Ecco perché il XXI secolo sarà ricordato come l’epoca della culturalizzazione dell’economia, in quanto più ci si immerge in questo mondo fatto di storie, più si ha bisogno di nuovi contenuti e di nuova materia prima per alimentarle. E’ questa la ragione per cui, anche nei momenti di crisi, il bisogno di contenuti non soltanto non diminuisce, ma aumenta per compensare le criticità della quotidianità (Tajtakova, 2012). Come si è avuto modo di analizzare, negli ultimi decenni il ritmo di cambiamento del mondo è andato accelerandosi. Il rapido emergere di nuove tecnologie e la crescente globalizzazione hanno comportato una svolta profonda, caratterizzata dall'abbandono di forme tradizionali di produzione industriale e dalla preminenza assunta dal settore dei servizi e dall'innovazione. Le fabbriche sono progressivamente sostituite da comunità creative, la cui materia prima è la capacità di immaginare, creare e innovare. La cultura è la nostra storia, il nostro tempo presente, il dono che lasciamo alle generazioni future. La cultura è una ricchezza inesauribile, un bene che più si consuma, più cresce e fa crescere l’identità e la capacità di affermazione. La creatività non è un fine in sé, ma un processo, un mezzo straordinario per produrre nuove idee, ed in questo senso creatività e cultura costituisco un binomio indissolubile ed un pilastro della qualità sociale, intesa come un contesto di comunità libero, giusto, economicamente sviluppato, culturalmente vivo, e di alta qualità della vita. La cultura, fulcro del tessuto sociale, plasma le identità, le aspirazioni e le relazioni con gli altri e con il mondo, modella i luoghi e i paesaggi in cui si vive e gli stili di vita. Il patrimonio culturale, le arti visive e dello spettacolo, il cinema, la musica, l'editoria, la moda e il design hanno un ruolo di primo piano nella nostra vita quotidiana, ed in questa nuova economia digitale, il valore immateriale determina sempre più il valore materiale, perché i consumatori cercano “esperienze” nuove e arricchenti: così, la capacità di creare esperienze e reti sociali è divenuto fattore di competitività.

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Al di là del loro contributo diretto al PIL, le industrie culturali e creative sono riconosciute dalla Commissione Europea anche quali importanti forze motrici dell'innovazione economica e sociale in numerosi altri settori (rinnovamento o creazione dell'immagine di Paesi, regioni o città, sviluppo delle competenze informatiche, innovazione in materia di prodotti e di servizi, dialogo intergenerazionale e interculturale, creazione di comunità). E con il concorso dell’istruzione, le industrie culturali e creative possono anche svolgere un ruolo decisivo nel dotare i cittadini delle necessarie competenze creative, imprenditoriali e interculturali, alimentando i centri d'eccellenza , aiutando a diventare una società fondata sulla conoscenza, stimolando la domanda di contenuti e di prodotti più differenziati e raffinati. Per poter sfruttare pienamente il loro duplice potenziale culturale ed economico, le industrie culturali devono quindi poter accrescere la loro capacità di sperimentare e innovare. Sotto la spinta delle tecnologie digitali, sono emersi nuovi pubblici, canali di distribuzione e modelli di consumo, mentre l'affermarsi delle tecnologie partecipative, come i blog, i wiki, youtube ecc, rendono meno netta la frontiera tra creatori e fruitori. Rapporti pubblicati in vari Paesi europei indicano che le industrie culturali e creative svolgono nei sistemi di innovazione nazionali e regionali un ruolo più importante di quanto finora riconosciuto dagli attori politici (Bakhshi, H., McVittie, E. e Simmie, J., Creating Innovation. Do the creative industries support innovation in the wider economy?, 2008; Pott, J. e Morrison, K., Nudging Innovation, 2008, Consideration of the NESTA Innovation Vouchers Pilot, 2008; Müller, K., Rammer, C. e Trüby J., The role of creative industries in industrial innovation, 2008.). In primo luogo, queste industrie forniscono contenuti per alimentare i dispositivi e le reti digitali, e contribuiscono così all'accettazione e allo sviluppo ulteriore dello tecnologie dell'informazione e della comunicazione, come alla diffusione della banda larga. Stimolando l'innovazione, la domanda di questi forti utilizzatori di tecnologia è spesso anche all'origine di adattamenti e di nuovi sviluppi della tecnologia. In secondo luogo, svolgendo un ruolo specifico e fondamentale nel passaggio al digitale e nell'evoluzione verso un’ economia dell'esperienza e per la loro capacità di orientare o amplificare le tendenze sociali e culturali e, perciò, la domanda dei consumatori, le industrie culturali e creative danno un contributo importante alla creazione di un clima favorevole all'innovazione, ad intensificare al massimo i legami tra la cultura e l'istruzione per promuovere la creatività in una prospettiva che copra l'intera vita.

Lo sviluppo economico delle industrie culturali è fortemente debitore al fenomeno della creatività. La creatività rappresenta uno degli asset dello sviluppo economico per diverse ragioni:  è un input dei processi estetici, decorativi e di design e quindi ha un impatto sulla componente intangibile e di proprietà intellettuale dei prodotti;  è un input dei processi tecnologici innovativi e quindi ha un impatto sull’innovazione, sulla produttività e sulla qualità tecnica dei prodotti;  aggiunge ai prodotti una componente simbolica e quindi ha un impatto sulla domanda e sulla competitività. 65


In sostanza le grandi trasformazioni della società e della cultura hanno reso possibile il passaggio da sistemi statici a sistemi più mobili e aperti, dove diventa pressante il problema del cambiamento, della flessibilità, della capacità di far fronte ai problemi, di offrire risposte nuove nelle decisioni. Le istituzioni e i servizi culturali e artistici devono migliorare la propria capacità di ampliare e diversificare il pubblico di riferimento, di cogliere nuove opportunità (in particolare quelle di respiro internazionale) e di far fronte ai cambiamenti del comportamento e delle aspettative del pubblico. Per progredire nella creazione, nella produzione e nella distribuzione dei contenuti su tutte le piattaforme, i settori culturali e creativi devono creare partnership strategiche ed eque con altri settori, dando vita a modelli di business innovativi. Così come politiche di internazionalizzazione e promozione delle esportazioni sono necessarie per consentire al maggior numero possibile di piccole organizzazioni e aziende di operare in un contesto globale e raggiungere nuovi pubblici e nuovi mercati nel resto del mondo. Ma anche le Istituzioni devono modificare il proprio approccio. Se si classificano le politiche culturali in termini funzionali, ad oggi se ne possono distinguere almeno quattro classi, le prime due di valore negativo e le altre due di valore positivo: da un lato le politiche di distruzione di cultura, di negligenza nei confronti dei beni culturali; dall'altro le politiche di conservazione e di produzione di cultura (Santagata, 2007). Purtroppo l’Italia eccelle egualmente bene in tutte le quattro classi, ma oggi soprattutto deve riappropriarsi della la capacità di produrre nuova cultura, il cui concetto si è nel frattempo allargato sino a ricomprendere, come recita il nuovo Codice dei Beni Culturali, ogni testimonianza di civiltà e ogni espressione del patrimonio storico e artistico. La nostra identità culturale riesce ancora a resistere nella misura in cui si può richiamare significativamente al passato, ma fatica quando diventano rilevanti i temi della capacità di far funzionare il nostro sistema sociale ed economico secondo gli standard di eccellenza attuali. In altri termini, la nostra immagine è quella di un Paese mediocre che vive sulle spalle di una grande passato. Ed è proprio il fatto che non si riesca a comprendere quanto essenziale sia il ruolo della cultura per rovesciare questa caratterizzazione negativa, che nuoce dal punto di vista della competitività, dimostrando quanto sia ancora lungo il cammino da compiere.

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13. Il ruolo dell’Unione Europea Oggi più che mai, la rinascita dell’Europa passa dalla cultura. È senz’altro necessario ridare nuovo slancio all’economia, ma lo sviluppo senza coesione sociale e privo di un senso di appartenenza fondato su valori comuni rischia di essere fallimentare nel lungo periodo, aumentando il senso di sfiducia nell’UE e a ricostruire. Si è in precedenza constatato che il settore culturale europeo rappresenta circa il 4,5% del PIL dell’UE e dà lavoro a 8,5 milioni di persone (il 3,8% della forza-lavoro europea), numeri e percentuali non trascurabili, tanto più se considera che tra il 2000 e il 2007 l’occupazione generata dalle industrie culturali è cresciuta in media del 3,5% annuo, e si sono analizzate le grandi opportunità fornite dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie. La Commissione europea, consapevole di tutto ciò, ed al fine di assicurare al continente la posizione di leader mondiale nell’esportazione dei prodotti delle organizzazioni creative culturali ha ritenuto fondamentale sostenere le attività cinematografiche, televisive, editoriali, musicali, delle arti teatrali, e la produzione e diffusione di tutto il patrimonio culturale. A tale scopo è stato varato il programma Creative Europe che conta di raggiungere almeno 8.000 organizzazioni culturali e 300.000 professionisti della cultura, promuovendo la diffusione internazionale delle proprie opere attraverso la traduzione di 5.500 libri e scritti letterari. Per quanto riguarda la cinematografia, sulla scia del successo del programma MEDIA che in venti anni ha portato dal 36% al 54% la percentuale di film europei distribuiti per la prima volta nei cinema dell’UE, il nuovo programma contribuirà alla diffusione mondiale di 1.000 pellicole targate UE su piattaforme tradizionali e digitali. Creative Europe, che sarà operativo per il periodo 2014-2020, riunisce in un unico programma i finanziamenti destinati alle industrie creative europee fino ad oggi frammentati tra i diversi progetti Culture, MEDIA e MEDIA Mundus. Il budget previsto di €1,8 miliardi (una cifra maggiorata del 37% rispetto ai finanziamenti del periodo 2007-2013), e aperto a tutte le industrie culturali è suddiviso in alcune linee di intervento:  € 900 milioni per attività di supporto al settore cinematografico e audiovisivo;  € 500 milioni per iniziative finalizzate a promuovere la diffusione della cultura;  € 210 milioni per la creazione di un fondo di garanzia che permetterà ai titolari di piccole imprese di richiedere prestiti fino ad un milione di euro;  € 60 milioni dedicati alla cooperazione politica transnazionale e alla ricerca e costruzione di nuovi pubblici;  la cifra restante verrà utilizzate per altre finalità. Resta comunque valida la distinzione in tre ambiti:  la sezione MEDIA riguarda specificatamente il settore dell'audiovisivo per contribuire alla distribuzione di opere audiovisive in tutto il mondo con particolare riguardo ai film che presentano caratteri transfrontalieri; Priorità - Rafforzamento delle capacità del settore: 67


o facilitare l'acquisizione di competenze e lo sviluppo di reti e incoraggiare l'utilizzo delle tecnologie digitali, al fine di garantirne l'adattamento all'evoluzione del mercato o accrescere la capacità degli operatori del settore di sviluppare opere audiovisive dotate di un potenziale di diffusione sia in Europa sia al di fuori dell'Europa, e favorire la coproduzione europea e internazionale, anche con emittenti televisive o incoraggiare gli scambi tra imprese, facilitando, per gli operatori del settore, l'accesso ai mercati e agli strumenti commerciali, per accrescere la visibilità dei loro progetti sul mercato europeo e internazionale - Promozione della circolazione transnazionale: o sostenere la distribuzione cinematografica tramite attività transnazionali di commercializzazione, di promozione, di distribuzione e di proiezione di progetti audiovisivi o favorire la commercializzazione e la distribuzione transnazionale su piattaforme online o sostenere la costruzione del pubblico come mezzo per stimolare l'interesse sulle opere audiovisive, soprattutto tramite la promozione, l'organizzazione di eventi, l'alfabetizzazione cinematografica, i festival audiovisivi o promuovere la flessibilità nei nuovi modi di distribuzione per favorire l'emergere di nuovi modelli di business Saranno sostenute le seguenti misure:  sviluppo di una offerta globale di iniziative per l'acquisizione di nuove competenze, la condivisione di conoscenze, il networking  sostegno agli operatori del settore per lo sviluppo di opere audiovisive europee dotate di una maggiore potenziale di circolazione transfrontaliero  attività volte a favorire le coproduzioni europee e internazionali, compresa la televisione  misure volte a facilitare l'accesso alle manifestazioni commerciali professionali e ai mercati audiovisivi, nonché l'utilizzo di strumenti di business online, sia all'interno che all'esterno dell'Europa  realizzazione di sistemi di supporto alla distribuzuione di film europei non nazionali su tutte le piattaforme e alle attività di vendita internazionali  misure volte a facilitare la circolazione dei film europei nel mondo e di film internazionali in Europa, su tutte le piattaforme  sostegno a una rete europea di sale cinematografiche la cui programmazione prevede una parte significativa di film europei non nazionali, nonché l'integrazione delle tecnologie digitali  iniziative per presentare e promuovere la diversità delle opere audiovisive europee  attività per accrescere le conoscenze e l'interesse del pubblico  azioni innovative che sperimentano nuovi modelli e strumenti di business in settori che potrebbero essere influenzati dall'introduzione e dall'utilizzo delle tecnologie digitali;  la sezione CULTURE si occuperà soprattutto della diffusione della cultura e della letteratura includendo anche un supporto finanziario per le case editrici, Priorità - Rafforzamento delle capacità del settore:

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o fornire agli operatori del settore le competenze e il know-how necessari per favorire l'adeguamento alle tecnologie digitali, inclusa la sperimentazione di nuovi approcci in materia di costruzione del pubblico e di modelli di business o aiutare gli operatori del settore ad internazionalizzare le loro carriere in Europa e nel mondo o rafforzare gli operatori culturali europei e le reti culturali internazionali per facilitare l'accesso alle opportunità professionali - Promozione della circolazione transnazionale: o sostenere tournée, eventi, manifestazioni internazionali o favorire la diffusione della letteratura europea o sostenere la costruzione del pubblico come mezzo per stimolare l'interesse sulle opere culturali europee Saranno sostenute le seguenti misure:  azioni di cooperazione che coinvolgono operatori di differenti Paesi per realizzare attività settoriali o transettoriali  attività realizzate da organismi europei, comprese reti di operatori di differenti Paesi  attività volte a creare una piattaforma europea di promozione per favorire lo sviluppo dei talenti emergenti e stimolare la circolazione degli artisti e delle opere, con un effetto di sistema e su vasta scala  sostegno alla traduzione letterari  azioni specifiche volte a dare la più ampia visibilità e favorire la conoscenza della ricchezza e della diversità delle culture europee, nonché a stimolare il dialogo interculturale e la comprensione reciproca, inclusi i Premi culturali europei, il Marchio del patrimonio europeo e le Capitali europee della cultura;  la sezione TRANSETTORIALE, costituita da due parti: - Facility per i settori culturali e creativi, strumento di garanzia finanziaria destinato alle PMI e alle organizzazioni dei settori culturali e creativi. Gestito dal Fondo europeo per gli investimenti, è finalizzato a: o facilitare l'accesso ai finanziamenti per le PMI e le organizzazioni fornendo garanzie agli intermediari finanziari o migliorare le capacità e le competenze degli intermediari finanziari necessarie per valutare adeguatamente il profilo di rischio associato al finanziamento di progetti nei settori culturali e creativi - Cooperazione politica transnazionale, sostegno a misure volte a promuovere lo sviluppo delle politiche, l'innovazione, la costruzione del pubblico e nuovi modelli di business nei settori culturali e creativi: o scambio transnazionale di esperienze e know-how su nuovi modelli di business, attività di peer-learning, creazione di reti tra operatori culturali e responsabili delle politiche inerenti lo sviluppo dei settori culturali e creativi o dati di mercato, studi, strumenti di previsione in materia di competenze e opportunità di lavoro, valutazioni, analisi politica, indagini statistiche o partecipazione all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo per favorire la raccolta di dati e l'analisi dei settori culturali e creativi o sperimentazione di nuove strategie di business transettoriali per il finanziamento, la distribuzione e la capitalizzazione delle opere creative o conferenze, seminari e promozione del dialogo politico, soprattutto nel campo dell'alfabetizzazione culturale e mediatica o sostegno ai membri nazionali della rete dei Desk Europa Creativa (ex punti di contatto nazionali Cultura e Media Desk). 69


Europa Creativa riguarda, dunque, tutti i settori culturali e creativi, ossia tutti i settori le cui attività sono basate su valori culturali e/o su espressioni artistiche e creative: architettura, archivi e biblioteche, artigianato artistico, audioviso (tra cui film, televisione, videogiochi, multimediale), patrimonio culturale, design, festival, musica, arti visive, arti dello spettacolo, editoria, radio. Le aree geografiche coinvolte dal piano sono:  i 27 Paesi dell’UE (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria);  i Paesi EFTA/SEE (Norvegia, Islanda, Liechtenstein);  Svizzera  i Paesi in via di adesione: Croazia (dal dicembre 2011).  I Paesi candidati all'adesione in UE ( Islanda, Ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Montenegro, Turchia, Serbia);  Paesi potenziali candidati all'EU (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo);  Paesi terzi, in particolare i Paesi della politica europea di vicinato. Ma al di là dei programmi interamente dedicati alla cultura, esistono altre fonti di supporto, in particolare i fondi della Politica di Coesione. Nonostante risulti sconosciuta ai più, in realtà il concetto diventa familiare se ci si riferisce ai fondi FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) ed FSE (Fondo Sociale Europeo), i principali strumenti di finanziamento della politica di coesione economica e sociale dell’UE, nata per promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile della Comunità, riducendo le disuguaglianze tra le diverse regioni europee e rendendole luoghi più attraenti, innovativi e competitivi dove vivere e lavorare. Nel periodo 2007-2013, 347 miliardi di euro sono stati allocati agli Stati Membri al fine di raggiungere gli obiettivi della Politica di Coesione. Il budget include i 70 miliardi di euro del Fondo di Coesione e i 277 miliardi di euro dei Fondi Strutturali (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – FESR e Fondo Sociale Europeo – FSE). Un recente studio commissione nato dalla Commissione Europea (CSES 2010) fornisce un’analisi dell’impatto dei FS sulla cultura dal 2000 al 2013 e stima che, in totale, circa sei miliardi di euro (dei 347 totali) sono stati allocati a interventi di natura culturale, ossia circa l’1,7% del budget totale. Nonostante si tratti di una somma non indifferente, la quota di FS destinata a progetti culturali resta comunque inferiore al contributo della cultura all’economia europea. Dei sei miliardi di euro, tre sono stati allocati alla protezione e conservazione del patrimonio culturale, poco più di due allo sviluppo di infrastrutture culturali, e 775 milioni al supporto di servizi culturali. Tuttavia, i progetti sulle ICC, per esempio, sono stati finanziati sotto altri “capitoli di spesa” come innovazione, società dell’informazione o sviluppo di competenze. La percentuale dell’1,7% come quota dei FS investita in cultura rimane dunque certamente una sottostima. Alcuni paesi hanno cercato di stimare l’uso dei FS per investimenti che andassero al di là dei “beni culturali”, “infrastrutture culturali” e “servizi culturali”. I risultati sono notevoli. In Finlandia, circa un terzo dei progetti finanziati dal FS (114) riguardano l’economia creativa e l’imprenditorialità 70


culturale; seguono i progetti di turismo culturale (83) e altri progetti culturali (53), mentre i iprogetti sul “benessere culturale” ammontano a 32. L’economia creativa e l’imprenditorialità culturale costituiscono anche il più grande gruppo tematico in termini di bilancio allocato (quasi 62 milioni di euro) (OMC 2012). In Austria, i progetti su arte, cultura e industrie creative ricevono un budget pari al 5,71% del totale di 1,38 miliardi di euro di fondi allocati ai programmi regionali europei in Austria per il periodo 2007-2010: soltanto il 3,15% di questi fondi (pari a circa 43,5 milioni di euro) é allocato a progetti sulle ICC (Lungstraß A. et al 2011.). Risulta dunque chiaro che il patrimonio culturale gode di un attenzione particolare nella Politica di Coesione 2007-2013 il cui obiettivo principale é stato quello di:  proteggere, promuovere, preservare e valorizzare il patrimonio culturale, anche a supporto del turismo sostenibile;  sviluppare le infrastrutture culturali;  migliorare l’offerta di servizi culturali attraverso nuovi servizi a forte valore aggiunto;  incoraggiare lo spirito di impresa in ambito culturale;  favorire la protezione e gestione congiunta delle risorse/infrastrutture culturali3. Manca, tuttavia, un riferimento più ampio alla cultura, che prenda per esempio in considerazione la sua capacità di stimolare nuove forme di innovazione (non tecnologica) nonché la coesione sociale, la rigenerazione urbana, l’attrattività dei territori o, ancora, un’economia verde, nel rispetto dell’ambiente. Questa mancanza non ha peraltro frenato città, regioni e Stati membri nell’avviare progetti altamente innovativi, a favore di un concetto di cultura pienamente integrato nelle politiche di sviluppo economico e innovazione. È il caso della città di Nantes Métropole, che ha investito circa 54 milioni di fondi FESR per il rinnovamento di un’intera area industriale della città, completamente abbandonata e ricca di edifici inutilizzati. Grazia all’azione di artisti e architetti, l’area è stata interamente ripresa creando il “Quartier de la Création”, che accoglie scuole d’arte, imprese creative e relativi servizi di accompagnamento, e spazi dedicati alla creazione artistica, mostre e spettacoli. Nantes, da città di passaggio si è trasformata in destinazione turistica, con un numero di visitatori che è passato da 140.000 nel 2006 a 220.000 nel 2011. Berlino ha utilizzato in maniera consistente i fondi strutturali (circa 50 milioni di euro per investimenti legati al patrimonio culturale e 1,2 miliardi di euro in totale, per esempio per interventi destinati alle industrie culturali e creative) per finanziare diverse azioni a sostengo della cultura e della creatività. Ciò che contraddistingue Berlino è la volontà di fare della cultura elemento di differenziazione della propria strategia di sviluppo economico, i cui assi strategici sono le ICC e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). La Banca di Investimento di Berlino ha inoltre creato un Fondo di Investimento per le ICC, finanziato al 50% da fondi FESR.

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Esempi interessanti sono presenti anche in piccole città dell’Olanda come Arnhem che conta circa 150.000 abitanti. Arnhem ha rinnovato un piccolo quartiere periferico, oggi diventato vero e proprio “fashion quarter”. Il quartiere accoglie un incubatore di imprese creative che lavora a stretto contatto con l’università locale di fashion design al fine di attirare ma soprattutto trattenere i giovani talenti che arrivano grazie a un’offerta di formazione di alta qualità. Il quartiere oggi ospita boutiques ma anche bar e ristoranti che ne hanno rivitalizzato la vita economia e sociale. A livello nazionale, la Danimarca ha lanciato un innovativo programma di sostegno agli “artisti in impresa” (Kunstgreb). Gli artisti sviluppano insieme alle imprese un progetto avente per obiettivo la realizzazione di nuovi prodotti o servizi o la creazione di nuovi ambienti/metodi di lavoro. Kunstgreb, offre nuove opportunità di impiego per gli artisti ed alle imprese la possibilità di esplorare nuove forme di creatività e innovazione. Infine, diversi sono i progetti di cooperazione territoriale che hanno promosso un nuovo approccio alla cultura: tra questi, il progetto URBACT Creative SpIN (programma di scambio che mira a sostenere e promuovere lo sviluppo urbano sostenibile) avente l’obiettivo di identificare nuovi metodi e strumenti in grado di stimolare il trasferimento di idee e competenze dal settore delle ICC a settori “tradizionali” come il manifatturiero, il turismo, l’industria del cibo, TIC e scuola/formazione. Tra l’altro, nel 2010 la Commissione ha lanciato un nuovo concetto, quello di Strategia di Specializzazione Intelligente, invitando le regioni europee a investire nel settore delle ICC qualora un chiaro potenziale di sviluppo venga identificato (Smart Specialization Platform). Parte dei Fondi Strutturali sono così allocati alle regioni solo a patto che queste strategie siano state adottate inserendo le ICC all’interno di tali piani strategici. Entro la fine dell’anno, l’Europa approverà Politica di Coesione 2014-2020, con un budget di 376 miliardi di euro. A differenza del periodo 2007-2013, la nuova programmazione individua undici priorità tematiche di investimento allineate alla nuova strategia di sviluppo economico che mira a una crescita europea intelligente (basata sull’innovazione), sostenibile (rispettosa dell’ambiente) e solidale (che favorisca la coesione sociale), in relazione alle seguenti priorità tematiche:  miglioramento dell’accessibilità e qualità delle TIC tramite progetti di digitalizzazione, distribuzione e accesso a contenuti culturali;  miglioramento della competitività della PMI tramite la creazione di incubatori di impresa, fondi di investimento o innovation voucher per il settore culturale e creativo (per oltre il 90% costituito da PMI);  promozione dell’ambiente tramite progetti di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale e urbano o anche tramite progetti di turismo sostenibile nel rispetto del patrimonio e dell’ambiente;  promozione dell’impiego e della mobilità tramite sia progetti di mobilità artistica che progetti innovativi che vedono gli artisti collaborare con le aziende per introdurre nuove forme di innovazione ma anche per offrire agli artisti delle nuove e innovative forme di impiego;

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

investimento nella formazione e competenze tramite la collaborazione di artisti sia con scuole che con aziende per incoraggiare la creativitĂ in maniera trasversale in diversi ambiti della vita.

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Bibliografia

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