Tesi di Laurea di Francesca Ruffini

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Conservatorio di Musica “S. Cecilia� - Roma Corso Sperimentale di Diploma accademico di Secondo Livello in

Management musicale

Tesi in Fondamenti di comunicazione pubblicitaria

I finanziamenti privati nelle Fondazioni Lirico-Sinfoniche Il Relatore Prof. Cristiano Chiarot

Il laureando Francesca Ruffini

Il Correlatore Prof.ssa Gisella Belgeri

Anno accademico 2011/2012


“Chi vede gli insegnamenti letterari da una parte e quelli economici e di marketing dall’altra, è il tipico letterato un po’ avvizzito […] bisognerebbe ricordare che molti artisti sono stati anche dei grandi economisti: Tiziano e Michelangelo, ad esempio, amministravano egregiamente il proprio patrimonio. L’aspetto economico è un aspetto dello spirito umano e non della parte arida dell’uomo.” A. Torno, caporedattore di Domenica (supplemento culturale de Il Sole 24 Ore).


SINTESI L’obiettivo di questo lavoro è l’analisi del quadro normativo ed economico relativo ai finanziamenti privati a favore delle Fondazioni Lirico Sinfoniche. Nel contesto dell’attuale crisi economica, è molto importante capire le vicende legislative legate a questo settore e gli aspetti economici che lo regolano per poter individuare nuove strategie e nuovi modelli di governante. Le vicende degli ultimi anni (nei quali gli enti hanno definito, con travaglio, i processi di trasformazione in Fondazione e di assunzione di moduli operativi di matrice privatistica) evidenziano la tendenza alla contrazione degli investimenti pubblici finalizzata ad un incentivo di quelli privati. Tuttavia, si è nella maggior parte dei casi assistito alla diffusione di una crisi economica (collegata all’aumento dei costi aziendali) che è stata parzialmente scongiurata solo grazie ai reiterati interventi di ripianamento delle perdite da parte dello Stato. La scommessa della privatizzazione, nata dalla ricerca della “terza via”, ha ad oggi conseguito risultati assai deludenti sul piano del coinvolgimento dei finanziatori privati. Ciò è però dovuto principalmente alla mancanza di un’appropriata disciplina delle incentivazioni fiscali che permetta ai privati (così come avviene in altri paesi) di trarre realmente vantaggio dalla partecipazione al finanziamento e alla gestione degli enti culturali. Tuttavia, anche la mancanza di strutturate strategie di fund raising e marketing hanno reso maggiori le difficoltà per i teatri di attrarre nuovi capitali. Il futuro delle Fondazioni si basa proprio sulla loro capacità di trovare nuovi metodi di comunicazione non più finalizzati esclusivamente alla promozione dei singoli spettacoli, ma soprattutto protesi a sostenere il brand. Da qui si sviluppano piani di fund raising per l’individuazione di nuove risorse e nuovi soggetti che contribuiscano alla sussistenza delle Fondazioni.


Indice INTRODUZIONE

CAPITOLO 1 IL QUADRO STORICO-NORMATIVO RELATIVO AI FINANZIAMENTI PRIVATI 1.1

L’impresa-teatro

1

1.2

Lo status giuridico dei teatri

4

1.3

La struttura delle Fondazioni Liriche

5

1.4

Il D.lgs 367/1996 e la partecipazione dei privati

7

1.5

Il D.lgs n.134 del 1998: un ulteriore tentativo di privatizzazione

10

1.6

Ulteriori interventi legislativi

14

1.7

Forme organizzative speciali

17

1.8

Forme di agevolazione per i privati

19

1.9

Una privatizzazione “anomala”

20

CAPITOLO 2 LE

MOTIVAZIONI

ECONOMICHE

E

CULTURALI

DEL

FINANZIAMENTO PRIVATO ALLA CULTURA 2.1

Il “morbo di Baumol”

23

2.2

Gli elevati costi fissi

25

2.3

La qualità artistica

26

2.3

I benefici per l’economia locale

27


CAPITOLO 3 LA STRUTTURA DEI FINANZIAMENTI AI TEATRI D’OPERA 3.1

Il caso degli Stati Uniti

29

3.2

I principali indicatori economici delle 14 Fondazioni italiane

32

3.3

I finanziamenti privati in Italia

34

3.4

Alcune considerazioni

41

CAPITOLO 4 NUOVE PROSPETTIVE ED OPPORTUNITÀ PER I TEATRI D’OPERA ITALIANI 4.1

Nuove strutture per l’acquisizione di pubblico e fondi privati

4.2

Best practices e comunicazione nelle azioni di marketing dei teatri 48

4.3

Pricing come marketing

51

4.4

Il marketing e la comunicazione nelle scelte artistiche

51

4.5

Servizi a teatro: nuovi approcci

53

4.6

Alcune criticità legate al marketing culturale

53

4.7

Conclusioni

55

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

43

56


INTRODUZIONE

La lirica e l’opera lirica sono una delle ricchezze più prestigiose ed importanti del nostro patrimonio storico-culturale: la nostra stessa storia nazionale passa attraverso la sua vitale azione culturale che nell’Ottocento italiano ha segnato momenti e tappe fondamentali dell’Unità d’Italia. Oggi, poi, nelle più diverse e distanti parti del mondo la lirica costituisce anche un vettore della nostra lingua e cultura. Tuttavia, la storia della lirica italiana non è solo la storia di quanti ne hanno fatto una musa ma anche di coloro che l’hanno resa impresa. Essa è infatti un’impresa culturale ante litteram fatta dall’impegno e dall’ingegno italiano che volevano fare dell’arte una ricchezza non solo morale ma anche economica. Tale impresa (occupando 5700 addetti) è rappresentata nella sua forma più complessa dalle 14 Fondazioni Lirico Sinfoniche le cui attività creano un’economia diretta o indotta che è diventata in alcuni casi la principale ricchezza della città in cui si trovano.


CAPITOLO 1 IL

QUADRO

STORICO-NORMATIVO

RELATIVO

AI

FINANZIAMENTI PRIVATI 1.1

L’impresa-teatro

Il settore culturale è considerato come ambito “altro” rispetto ai settori dell’economia, escluso dalla disciplina europea sull’impresa e la tutela della concorrenza, in virtù della “specificità culturale”. È proprio con la specificità culturale che si legittima principalmente l’intervento pubblico per la lirica, una forma d’arte nata in Italia ed ancora in grado di caratterizzarne l’identità e di dare prestigio mondiale al nostro Paese. Era a Venezia, durante il Carnevale del 1637, che una compagnia di musicisti e cantanti prese in affitto il teatro San Cassiano per rappresentare l’“Andromeda”, opera su libretto di Benedetto Ferrai e musica di Francesco Manelli. Tutti i veneziani che avessero avuto voglia di assistere allo spettacolo e possibilità di pagarne l’ingresso avrebbero potuto farlo: era nato il moderno teatro d’opera, concepito non più come un evento elitario, ma come un affare y Il passaggio dello spettacolo operistico ad una dimensione commerciale con una gestione di tipo impresariale ne ha favorito la rapida diffusione trasformandolo da evento occasionale privato ed irripetibile a produzione continuativa pubblica e replicabile soprattutto grazie alla nascita delle compagnie itineranti di musicisti. Il modello economico-architettonico del teatro alla veneziana divenne quindi ben presto “teatro all’italiana”: una platea con affitto serale dei posti a sedere, da due a quattro file di palchetti affittati a stagione ed un biglietto di ingresso al teatro per tutti. Tra Settecento ed Ottocento ogni stagione teatrale era in genere data in appalto ad un impresario. Questo appalto comportava spesso una dote che poteva consistere in una somma di denaro, in un privilegio (come quello di tenere i

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giochi d’azzardo) o nel diritto di rivendere i palchi. La somma in denaro poteva essere una sovvenzione data dal governo o dal municipio, un canone dato dai palchettisti o derivare dall’affitto delle sale interne al teatro. Nonostante queste doti, era sempre più difficile per l’impresario arrivare ad un pareggio di bilancio poiché i costi per allestimenti e solisti erano sempre più elevati. Il pubblico richiedeva, infatti, spettacoli sempre più perfezionati con ricche scene e costumi e con i cantanti migliori (il costo di questi ultimi poteva raggiungere il 55% del totale delle spese). Di fronte a questa situazione l’opera, in quanto prodotto industriale, rischiava di perdere gran parte del suo mercato. Non è un caso che Carlo Ritorni nel 1825 scrivesse nel manuale Consigli sull’arte di dirigere gli spettacoli come questi ultimi “non si sostengano senza dote in contanti”. Necessario era dunque l’intervento sempre maggiore dei governi che portò ad un aumento generale delle sovvenzioni negli anni dal 1820 al 1840 provenienti per la gran parte da dazi sui generi alimentari. Dopo l’Unità d’Italia il neonato Regno d’Italia eliminò tutte le sovvenzioni dei vecchi governi passando la gestione dei teatri ai municipi, che avevano la facoltà (e non l’obbligo) di concedere la dote. Molti teatri non ricevettero per questo alcuna sovvenzione e dovettero addirittura rimanere chiusi per alcune stagioni. Motivo principale di questo blocco dei finanziamenti era il fatto che tutti i governi dell’Italia unita pre-fascista guardavano al teatro e alla musica come a fenomeni prettamente commerciali. Solo con l’avvento del fascismo cominciarono ad essere considerati come elementi educativi e propagandistici e dunque meritevoli di sostegno. Viene così emanato il Regio Decreto legislativo del 30 Maggio 1946 che decreta ufficialmente il ruolo dello Stato come diretto finanziatore della lirica. Questo devolveva il 12% dei diritti erariali introitati da spettacoli e scommesse agli enti ed istituzioni teatrali non aventi scopo di lucro. Il primo provvedimento legislativo organico sui teatri e la musica venne promulgato nell’agosto del 1967 dal ministro Corona. La legge del 14 Agosto

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1967 n.800 riconosceva l’attività lirica e concertistica “di rilevante interesse generale in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività”. Questa prima (ed unica) legge ordinaria sancisce anche, nel medesimo articolo, che “per la tutela e lo sviluppo di tali attività lo Stato interviene con idonee provvidenze”. Si inizia con questa legge ad abbandonare il principio rapportato ai diritti erariali parlando per gli enti lirici dell’erogazione di appositi fondi. L’approvazione di questa legge ebbe inizialmente un effetto positivo sulle organizzazioni musicali, ma i contributi statali si rivelarono ben presto insufficienti facendo aumentare i disavanzi. Durante gli anni Settanta si susseguirono così leggi generiche di finanziamento ad enti, associazioni e ed istituzioni per attività culturali. Il primo segnale di cambiamento di questa tendenza avvenne nel 1979 quando il sovrintendente della Scala, Carlo Maria Badini, dichiarò di voler aprire le porte alla sponsorizzazione. Le reazioni furono molto critiche riguardando in particolare il rischio che la sponsorizzazione fosse guidata da intenti commerciali finendo per condizionare le scelte della programmazione artistica puntando così solo sul grande repertorio e sugli artisti famosi. Molte furono per questo le posizioni contrarie all’idea che la Scala potesse “muoversi” sul mercato come un’impresa senza per questo modificare la dimensione artigianale del prodotto-opera. La sponsorizzazione ebbe in realtà conseguenze limitate, in quanto solo le istituzioni e le attività più prestigiose riuscirono ad assicurarsi entrate di un certo valore, ma soprattutto perché il mondo culturale e politico italiano non era ancora pronto per l’ingresso di privati nei teatri d’opera. Nello stesso tempo tuttavia i finanziamenti pubblici risultavano ancora insufficienti. La situazione parve migliorare quando fu approvata, grazie all’allora Ministro del Turismo e dello Spettacolo Lagorio, la legge madre n. 163 del 30 aprile 1985 che istituì il FUS, Fondo Unico dello Spettacolo, le agevolazioni fiscali per i reinvestimenti degli utili e la deducibilità ai fini fiscali delle erogazioni liberali a favore di enti o di istituzioni pubbliche, Fondazioni, associazioni che, senza scopo di lucro svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. Per

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quanto riguarda queste ultime venne stabilito nell’articolo 12 della medesima legge che potessero essere dedotte nel limite massimo del 2% del reddito complessivo dichiarato sia da persone fisiche che da persone giuridiche. Queste erogazioni dovevano essere destinate alla realizzazione di nuove strutture, al restauro o al potenziamento delle strutture esistenti, nonché alla produzione di spettacoli nei vari settori. Anche questa volta ben presto il FUS si rivela inadeguato agli scopi inizialmente prefissi e, dopo un iniziale incremento dei fondi, il FUS ha iniziato progressivamente ad essere ridotto, riproponendo quindi la situazione di perenne crisi finanziaria nei teatri.

1.2

Lo status giuridico dei teatri

La genesi del processo di trasformazione dello status giuridico dei teatri d’opera italiani è determinato proprio da questioni di carattere economico: il nodo centrale è costituito dal rapporto tra le uscite ed i ricavi derivanti dall’attività produttiva, insufficienti rispetto all’ammontare dei costi. Il primo modello, quello della “società anonima senza fini di lucro” risale al 1898, per poi essere trasformato in “ente autonomo”, prosecuzione ed evoluzione del primo. In entrambi i casi però lo Stato è assente, limitandosi a svolgere le tradizionali funzioni di prelievo fiscale, di controllo dell’ordine pubblico, della sicurezza e della morale. Segue poi il terzo modello, quello dell’“ente autonomo” del 1936, in cui lo Stato è presente con la costruzione di un rigido sistema di disciplina e di controllo, ed infine il quarto modello dell’“ente autonomo” (disciplinato dalla legge Corona del 1967) che diviene soggetto con personalità di diritto pubblico e senza fini di lucro, per la diffusione dell´arte musicale, la formazione professionale dei quadri artistici e l’educazione musicale della collettività. Gli anni ’90 segnano una quinta ed ultima tappa che prevede la trasformazione obbligatoria in “Fondazioni di diritto privato” degli enti lirici. La trasformazione è prevista per gli enti operanti nel settore musicale considerati

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di prioritario interesse nazionale e quindi sia per gli enti lirici che per le istituzioni concertistiche assimilate. L’origine della riforma va ricercata nell’iniziativa della Scala di Milano di trovare una terza via per il finanziamento dei teatri lirici rispetto a quanto avviene in paesi come la Francia o la Germania, in cui il finanziamento è interamente pubblico, o in paesi come l’Inghilterra dove il finanziamento è interamente privato. Nasce così l’idea di trasformare gli enti lirici in Fondazioni di diritto privato che metta insieme l’indispensabile intervento pubblico di Stato, Comune e Regione con la presenza di privati che a loro volta possano dar vita a un nuovo modello di finanziamento per i teatri lirici. La scelta di privatizzare i teatri rientra in un più ampio progetto di privatizzazione delle aziende pubbliche, in cui il coinvolgimento dei privati diventa indispensabile non solo per ottenere nuovi capitali, ma anche per proporre gestioni innovative e dinamiche, orientate a un maggior soddisfacimento degli utenti. Tale trasformazione assume, con il decreto legislativo del 29 giugno 1996 n. 367, carattere di obbligatorietà per tutti gli enti autonomi lirici e le istituzioni concertistiche assimilate. Due anni dopo viene emanato il decreto legislativo n.134 del 23 aprile 1998 con il quale sia la trasformazione che l’intervento dei privati diviene obbligatorio entro il 30 luglio 1999 pena il mancato incremento della quota del FUS assegnato a ciascun ente.

1.3

La struttura delle Fondazioni Liriche

Secondo il Decreto Legislativo 367 del 1996 l’organizzazione interna delle Fondazioni ricalca quella degli enti lirici e si articola in quattro organi: • Presidente (art. 11), che coincide con sindaco del comune in cui essa ha sede (è previsto anche un Vicepresidente, eletto dal Cda), ed al quale spetta: - rappresentare legalmente la Fondazione; - convocare e presiedere il Cda, dando esecuzione degli atti deliberati; - esercitare i poteri eventualmente delegati dal Cda;

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- adottare, in caso di assoluta ed improrogabile necessità, provvedimenti di competenza del Cda, salvo ratifica. • Consiglio di amministrazione (art. 12), con funzioni inderogabili dall’autonomia privata: - approvare il bilancio di esercizio; - nominare e revocare il sovrintendente; - approvare le modifiche statutarie; - approvare, su proposta del sovrintendente, i programmi di attività artistica con particolare attenzione ai vincoli di bilancio; - stabilire gli indirizzi di gestione economica e finanziaria della Fondazione; - ogni potere concernente l’amministrazione ordinaria e straordinaria non attribuito dalla legge o dallo statuto ad altro organo. La nomina è vincolata legislativamente per tre componenti: - la presidenza del Cda, attribuita ex lege al Presidente della Fondazione; - l´Autorità di governo competente per lo spettacolo; - la Regione in cui ha sede la Fondazione. Dei restanti quattro membri, nel primo quadriennio non più di tre possono essere nominati dai finanziatori privati, sicché la designazione di almeno un amministratore è rimessa all’autonomia statutaria. La legge non ha previsto con quali regole debba avvenire la designazione dei rappresentanti dei finanziatori privati in Cda. • Sovrintendente “scelto tra persone dotate di specifica e comprovata esperienza nel settore dell’organizzazione musicale e della gestione di enti consimili” (art. 13), cui spetta: - dirigere e coordinare in autonomia, nel rispetto dei programmi approvati e del vincolo di bilancio, l’attività di produzione artistica e le attività connesse e strumentali;

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- predisporre, di concerto con il direttore artistico, i programmi di attività artistica da sottoporre all´approvazione del Cda; - tenere i libri e le scritture contabili; - predisporre il bilancio d’esercizio; - nominare e revocare, sentito il Cda, il direttore artistico o musicale; - nominare collaboratori della cui attività risponde direttamente; - partecipare “con i medesimi poteri e prerogative degli altri consiglieri” (art. 12, comma 7) al Cda, ad eccezione dei casi di evidente motivo di conflitto d´interesse. • Collegio dei revisori (art. 14), nominato con decreto del Ministro del tesoro di concerto con l´Autorità di governo competente in materia di spettacolo, è composto da tre membri effettivi ed uno supplente, di cui un membro effettivo ed uno supplente designati in rappresentanza del Ministero del tesoro e gli altri tra gli iscritti nel registro dei revisori contabili. È, in questo caso, esplicita la volontà di conservare per l’autorità governativa, tramite il collegio dei revisori, compiti di controllo, dovendo altresì: - vigilare sull’osservanza della legge e dell’atto costitutivo; - accertare la regolare tenuta della contabilità sociale, - accertare ogni trimestre la consistenza della cassa e l’esistenza dei valori e dei titoli della Fondazione o ricevuti in pegno, cauzione e custodia.

1.4

Il D.lgs 367/1996 e la partecipazione dei privati

Le finalità che il D.lgs. 367/1996 intende perseguire sono molteplici: - la privatizzazione della veste giuridica degli enti; - la semplificazione del regime organizzativo; - la risoluzione dei problemi inerenti il personale dipendente, con una regolazione del rapporto di lavoro tramite contrattazione collettiva nazionale;

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- l’imprenditorializzazione dei sistemi gestionali; - la partecipazione finanziaria ed istituzionale di soggetti privati alla formazione del patrimonio e/o al finanziamento del fondo di gestione; -

la maggiore autonomia.

Ai soggetti pubblici, “tenuti” a concorrere alla formazione del patrimonio si affiancano soggetti pubblici o privati che hanno dichiarato di voler concorrere: la ratio è di creare una compartecipazione finanziaria tra Stato e privati, predisponendo un modello che permetta al primo di divenire fondatore senza l’esborso di ulteriori somme rispetto alla contribuzione ordinaria del FUS, e che consenta di attrarre risorse private con l’incentivo della posizione paritaria all’interno dell’ente. La disposizione che limita la misura dell’apporto privato al patrimonio della Fondazione al 40%, per il primo quadriennio di vita dell’ente, termine oltre il quale è prevedibile una presenza privata maggiore, è al contempo testimonianza di aspettative ottimistiche e del timore che, il totale mutamento dei punti di riferimento economici ed istituzionali, possa disorientare le nuove Fondazioni. Il finanziamento del fondo di gestione comporta la possibile presenza dei privati all’interno dell’ente: lo statuto prevede che possono nominare un rappresentante nel Cda esclusivamente i fondatori che, come singoli o cumulativamente, assicurano, per i primi tre anni di vita della Fondazione, un apporto annuo non inferiore al 12% del totale dei finanziamenti per la gestione dell’attività della Fondazione. Per raggiungere tale entità dell’apporto, i fondatori privati interessati dichiarano per atto scritto di voler concorrere collettivamente alla designazione di un amministratore. Obiettivo principale è l’innesto di nuove forze competitive che contribuiscano all’ammodernamento dei criteri di gestione ed alla deburocratizzazione delle modalità operative. La presenza privata influisce, però, anche sui meccanismi di ripartizione della quota del FUS destinata al settore, per cui uno dei criteri di ripartizione è proprio l’entità della partecipazione dei privati al patrimonio ed al finanziamento della gestione della Fondazione. Lo Stato avrebbe così

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alleggerito la propria posizione di principale sostenitore con la formula secondo la quale ogni finanziamento privato aggiuntivo implica una corrispondente riduzione del finanziamento pubblico, orientando lo Stato verso un ruolo integrativo, volto a ripianare le situazioni seguite dai privati in modo insufficiente. Quindi, nonostante le intenzioni, si torna a incoraggiare nelle amministrazioni dei teatri indeterminatezza ed immobilismo: queste non erano infatti incentivate a cercare di reperire gli incerti fondi privati dato che sapevano che sarebbero stati destinati a sostituire i finanziamenti statali (certi e finalizzati a ripianare i disavanzi).

Il D.lgs. n. 367/1996 vede per questo disattese ed inattuate le previsioni in merito alla partecipazione dei privati. Il 12% del totale dei finanziamenti privati per la gestione è conseguito solo dalla Scala di Milano attraverso il coinvolgimento di diversi partner (Camera di commercio di Milano, Eni, Sea, Pirelli, Assolombarda, Fondazione Cariplo, cui si aggiungeranno la Provincia di Milano, l’Azienda elettrica milanese, la Banca popolare di Milano, le aziende Armani e Prada). Il divario con le altre Fondazioni risiede non soltanto nel fatto che la realtà economica lombarda sia più fiorente rispetto ad altre regioni italiane, o che la Scala sia legata in maniera più forte che altrove al suo potenziale bacino d’utenza: la partecipazione dell’imprenditoria lombarda è una mera operazione economica, redditizia in termini di ritorno d’immagine. Avere il proprio nome associato ad un’istituzione come La Scala, infatti, ha un valore commerciale diverso da quello traibile dal finanziamento ad altri enti lirici, di livello qualitativo elevato ma percepiti dalla gente comune in maniera meno eccelsa e dunque meno meritevoli di investimenti da parte dell’imprenditoria. La mancanza

di

vantaggi

per

le

aziende

che

intendono

contribuire

finanziariamente alle Fondazioni, e soprattutto la scarsità delle agevolazioni fiscali sono forse la ragione più autentica dell´assenza dei privati. L’articolo 25 del D.lgs. n. 367/1996 conferma per le erogazioni liberali il regime fiscale

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agevolato previsto dal T.U. delle imposte sui redditi a favore di istituzioni che producono cultura. Esso infatti prevede, per le persone fisiche, le imprese e le società, una detrazione d’imposta o la deducibilità del 19% della somma erogata, ma solo entro il limite del 2% del reddito complessivo dichiarato. Lo stesso articolo predispone poi una disciplina transitoria più favorevole (limitatamente alla fase di avvio) per le erogazioni destinate al patrimonio al momento della sua costituzione o come “contributo alla gestione della medesima nell’anno in cui è pubblicato il decreto che approva la trasformazione” o ancora “come contributo alla gestione della Fondazione per i tre anni successivi alla data di pubblicazione del predetto decreto”. Resta immutata l’aliquota del 19% della somma erogata, ma viene innalzato il limite massimo entro cui è consentita la detrazione d’imposta o la deduzione dalla base imponibile: non più il 2% del reddito dichiarato, bensì il 30%. In ogni caso, dopo i primi tre anni di vita della Fondazione, si torna al regime ordinario dettato per le liberalità. Occorre osservare che per una società privata questo impegno oneroso pluriennale per una finalità extra-aziendale (quale è appunto la contribuzione ad un organismo no-profit) possa risultare eccessivamente rigido. Inoltre, di fatto, anche se la presenza privata influisce sulla partecipazione pubblica, specificatamente sui menzionati meccanismi di ripartizione della quota del FUS destinata agli enti, tuttavia la privatizzazione risulta più formale che giuridica, restando pubbliche le finalità istituzionali, la scelta degli organi di governo così come la maggior parte dei finanziamenti loro assegnati.

1.5

Il D.lgs n.134 del 1998: un ulteriore tentativo di privatizzazione

Il fallimento degli obiettivi organizzativi e imprenditoriali è alla base del secondo intervento di privatizzazione “legale”, disciplinato dal decreto legislativo 23 aprile 1998, n. 134, con il quale si è provveduto alla trasformazione coattiva degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate in Fondazioni di diritto privato. Per l’individuazione degli altri enti

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operanti nel settore musicale, suscettibili di essere privatizzati, non è stata prevista né la previa intesa con le regioni interessate, né il parere del comune territorialmente competente. Con il D.lgs. n. 134/1998, il legislatore interviene nuovamente in materia, imponendo la trasformazione degli enti autonomi lirici in Fondazione entro il 31 luglio 1999. I principali obiettivi di questa normativa sono: o la creazione di un proprio Consiglio di amministrazione con la conseguente riduzione della dipendenza politica o la possibilità di svolgere, “in conformità con gli scopi istituzionali, attività commerciali ed accessorie”, anche non connesse direttamente alle finalità musicali, i cui utili devono necessariamente essere destinati al perseguimento dei fini istituzionali. Tali proventi sono altresì esenti da imposizione fiscale o l’obbligo

di

amministrare

le

Fondazioni

secondo

criteri

di

imprenditorialità ed efficienza e nel rispetto del vincolo di bilancio. In questo modo vengono introdotti i principi basilari dell’economia aziendale (con le relative strumentazioni) all’interno delle Fondazioni liriche. La constatazione della mancata partecipazione dei privati induce il legislatore a consentire il funzionamento del Cda anche quando sia composto soltanto da soggetti pubblici, con una struttura saldamente ancorata all’apparato pubblico, in particolare comunale, in attesa della partecipazione dei soggetti privati. Pertanto, il Cda medio tempore, nominato con decreto dell’Autorità di governo competente in materia di spettacolo, è composto da: • presidente-sindaco; • un rappresentante dell’Autorità di governo competente in materia di spettacolo; • un rappresentante della regione dove ha sede la Fondazione; • due membri nominati dallo stesso sindaco.

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Con l’ingresso dei privati i due componenti nominati dal sindaco decadono ed il Cda riprende le dimensioni previste dal D.lgs n. 1996/367, per cui quattro membri su sette tornano a rappresentare i fondatori-finanziatori privati. La durata in carica del Cda è di quattro anni, ma i due componenti designati dal sindaco possono decadere anzitempo a seguito dell’ingresso dei privati. Alla trasformazione e conseguente ricostituirsi dell’organo consiliare non segue la cessazione dalla carica del sovrintendente, che resta in carica al fine di attuare i programmi approvati dal Cda e da lui stesso predisposti, consentendo così alle Fondazioni di proseguire la gestione con continuità, considerato che il sovrintendente in carica è stato designato dal consiglio comunale, ovvero dall’organo dell’ente territoriale che più di tutti incide nella nomina del nuovo Cda. All’ingresso dei privati, mutando i punti di riferimento economici, corrisponderà la nuova nomina del sovrintendente, da effettuarsi ad opera del Cda costituito, a seguito dell’ingresso dei soggetti privati nella prima seduta. Altro importante effetto della contestuale trasformazione degli enti è il superamento delle difficoltà relative alla configurazione e gestione del rapporto di lavoro con i dipendenti che l’appartenenza degli enti a due categorie giuridiche diverse (dodici enti pubblici ed una Fondazione) poneva. Unificandone la veste giuridica è così possibile addivenire alla comune definizione del rapporto di lavoro per tutti i soggetti, ed alla stipula di un unico contratto collettivo nazionale per tutto il settore.

L’obiettivo fondamentale del D.lgs. n. 134/1998 è porre rimedio alla generalizzata carenza di sovventori

privati, tentando di semplificarne

l’accesso attraverso la riduzione del quantum richiesto ai fondatori privati per poter designare un membro nel consiglio d’amministrazione, stabilendone l´entità nel 12% dei soli finanziamenti statali, a fronte del 12% annuo degli interi finanziamenti per la gestione pretesi dal precedente decreto. Tale diritto di nomina viene esteso ai tre anni successivi all’ingresso dei privati nella

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Fondazione. Ciò permette agli enti di accogliere i fondatori privati ed i consiglieri da loro designati in qualsiasi momento della vita della Fondazione ed in periodi diversi tra loro, facilitando alle Fondazioni l’approdo, nel tempo, ad una reale cogestione pubblico-privato. Inoltre la nuova normativa, contrariamente a quanto previsto dal D.lgs. 367/1996, non richiede più che i soggetti privati designanti membri del consiglio di amministrazione venissero definiti “esclusivamente entro i primi tre anni di vita della Fondazione”. Estende infatti l’inizio dell’efficacia temporale dell’agevolazione fiscale per chi investe nel patrimonio della Fondazione dal momento della sua costituzione, al “momento della partecipazione” dei privati, in qualsiasi momento essa avvenga. Qualora, alla scadenza del termine del 31 luglio 1999 le Fondazioni non presentassero partecipazione di privati, ovvero qualora essa sia inferiore al 12% dei finanziamenti statali per la gestione dell’attività della Fondazione, il contributo erogato dallo Stato non può subire variazioni in aumento fino all’esercizio successivo a quello nel quale le condizioni si realizzano Detta eventualità rappresenta comunque per gli amministratori delle Fondazioni, imponenti strutture con costi costantemente crescenti, un sicuro incentivo al reperimento di finanziatori privati. Ma lo spauracchio del congelamento della contribuzione del FUS è una variabile cui gli enti lirici sono abituati; forse più coerente sarebbe stato utilizzare l’arma della modificazione delle quote di ripartizione del FUS fra le Fondazioni liriche.

II D.lgs. n. 134/1998 viene dichiarato illegittimo con una sentenza del 18 novembre 2000 n. 503 della Corte costituzionale per contrasto con l’art. 76 della Costituzione (eccesso di delega). Dopo l’entrata in vigore del D.lgs.134/1998

e

prima

della

dichiarazione

della

sua

illegittimità

costituzionale, altre sei Fondazioni conseguono la partecipazione di soggetti privati: il Regio di Torino, il Carlo Felice di Genova, il Comunale di Bologna, la Fenice di Venezia, l´Arena di Verona, il Maggio di Firenze; mentre al Verdi

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di Trieste è in corso la procedura della partecipazione dei privati, il Teatro dell´Opera di Roma, l´Accademia di S. Cecilia, il San Carlo di Napoli, il Massimo di Palermo, l’Istituzione Palestrina di Cagliari hanno veste di Fondazioni ma senza partecipazione di privati.

Il Governo, per “salvaguardare gli assetti istituzionali ed i rapporti giuridici in atto”, il 24 novembre del 2000 emana il Decreto Legge n. 345. Con questo, pur illegittimo, il contenuto del D.lgs n. 134/1998 è sostanzialmente reiterato con la proroga al 31 luglio 2003 del termine entro cui conseguire la partecipazione dei privati e con la reintroduzione di molte delle disposizioni contenute nel decreto legislativo precedentemente annullato. Le Fondazioni lirico-sinfoniche non sono più soggette alle regole attinenti gli enti pubblici non economici, ma sono sottoposte alle norme del codice civile, anche se resta confermato il controllo della gestione finanziaria da parte della Corte dei Conti, non essendo venuti meno il presupposto rappresentato dalla contribuzione statale e le finalità pubbliche come: • la diffusione dell’arte musicale; • l’obbligatorietà della trasformazione in Fondazione; • lo snellimento dell’organizzazione degli enti e il rafforzamento dei poteri del sovrintendente e del Cda; • la privatizzazione del rapporto di lavoro; • l’attrazione di contributi privati a fronte della riduzione del contributo statale; • l’incremento dell’attività a reddito per migliorare l’auto-sostenibilità finanziaria; • la promozione di una programmazione artistica pluriennale.

1.6

Ulteriori interventi legislativi

Nel 1999 viene emanato il D.lgs. 10 giugno 1999, n. 239, con il quale si rinnovano i criteri di ripartizione del FUS alle Fondazioni lirico sinfoniche,

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fino ad allora legati alle cosiddette “medie storiche”, un meccanismo che mantiene di fatto inalterati negli anni i contributi statali indipendentemente dalla realtà produttiva e gestionale dei vari teatri. Il nuovo criterio considera invece, oltre i contributi ricevuti nel passato, anche i costi degli organici funzionali e le caratteristiche dei progetti e dei programmi di attività sulla base di indicatori della produzione e del giudizio di qualità della stessa, nell’intento di premiare una gestione di tipo manageriale che si traduca in: • coinvolgimento dei privati nel finanziamento degli enti; • introduzione di una struttura di governance più agile e maggiormente responsabilizzante sotto il profilo economico. La Legge 21 maggio 2004 n. 128, per sollecitare l’ingresso di soci privati nelle Fondazioni e stimolarne il coinvolgimento economico, riduce dal 12 all´8% del totale del finanziamento pubblico l’apporto annuale richiesto ai privati limitandolo a due anni rispetto ai tre previsti dal D.lgs. n. 134/98.

L’insufficienza della disciplina vigente induce il legislatore ad un’ulteriore modifica del D.lgs. n. 367/96, attuata con il Decreto Legge 31 gennaio 2005, n. 7. Si cerca, ancora una volta, d’incentivare la partecipazione dei privati, prevedendo che essi possano nominare un componente del Cda ove diano un apporto del 12% del totale dei finanziamenti “statali” e non più pubblici. Si rafforzano i poteri governativi sia per la nomina dei revisori dei conti, sia per la decadenza del Cda che, ai sensi del modificato art. 21 del D.lgs. n. 367/96, può essere sciolto, a decorrere dal 1 gennaio 2006, oltre che per i casi già previsti (gravi irregolarità nell’amministrazione, gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività della Fondazione), anche quando presenti: • un bilancio preventivo in perdita; • i conti economici di due esercizi consecutivi con una perdita complessivamente superiore al 30% del patrimonio; • la previsione di perdite del patrimonio di analoga gravità.

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Il decreto interviene in un momento in cui la crisi delle Fondazioni ha raggiunto livelli di emergenza tali da comportare il rischio concreto di commissariamento per alcune di esse. Il pericolo è talmente reale che il decreto omnibus di fine 2005, convertito poi in legge, sostituisce tale disposizione ancorando lo scioglimento del Cda ad una perdita superiore al 30%, considerata però non rispetto al singolo anno ma complessivamente, a partire dal 1 gennaio 2006. La crisi è ulteriormente aggravata da alcune costanti: la crescita del costo del lavoro, la mancanza di flessibilità, la bassa produttività, la riduzione dei finanziamenti privati, l’incertezza e la riduzione delle risorse statali dovute alle difficoltà della finanza pubblica.

Altro intervento di rilievo è quello della Legge 29 giugno 2010, n. 100 sullo spettacolo e le attività culturali, volto a disciplinare il riassetto del settore delle Fondazioni lirico-sinfoniche, attenendosi a criteri di razionalizzazione dell’organizzazione e del funzionamento. Per le Fondazioni lirico sinfoniche in particolare si prevede che: • in attesa di rinnovo dal 2003, il contratto collettivo nazionale di lavoro venga sottoscritto con le associazioni sindacali maggiormente rappresentative per poi essere sottoposto al controllo della Corte dei Conti; • all’approvazione del nuovo contratto collettivo nazionale siano subordinati i rinnovi dei contratti integrativi aziendali del personale di ogni singola Fondazione; • si introduca il carattere di esclusività del rapporto di lavoro dei dipendenti delle Fondazioni liriche, che potranno svolgere attività autonome solo nei limiti e con le modalità previsti dal nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro; • venga eliminato il tetto per i compensi (a suo tempo introdotto) di cantanti, ballerini e musicisti.

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Perno della riforma è il richiamo ai principi di tutela e valorizzazione professionale dei lavoratori, di efficienza, economicità, corretta gestione imprenditorialità e sinergia tra le Fondazioni. Sono queste le precondizioni per avere accesso a un nuovo sistema di erogazione dei fondi pubblici con una quota crescente del finanziamento statale attribuita in base alla quantità e qualità della produzione svolta dalle singole istituzioni, della loro regolarità gestionale e del successo di pubblico, dell’ottimizzazione delle risorse attraverso l’individuazione di criteri e modalità di collaborazioni nelle produzioni, del miglioramento dei risultati di gestione riferiti ad attività già svolte e rendicontate.

È interessante notare come la Regione Toscana eccepisce la legittimità costituzionale del provvedimento osservando anche che la natura giuridica di diritto privato non osta alla considerazione che le Fondazioni lirico-sinfoniche siano sostanzialmente soggetti di marcata impronta pubblicistica in ragione di molteplici elementi (assolvimento a compiti di interesse nazionale, rilevanza dei finanziamenti statali, assoggettamento alla Corte dei conti, patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, applicazione della disciplina del Codice degli appalti pubblici, carattere nazionale in ragione delle loro finalità). Il loro obiettivo di perseguire la tutela diretta dei valori culturali, fa ritenere di essere in presenza di una disciplina sistematica degli enti strumentali dello Stato per la concreta attuazione dei principi fondamentali relativi alla tutela della cultura e del patrimonio artistico e storico (art. 9 Cost.), la cui natura è assimilabile a quella delle istituzioni di alta cultura che lo Stato ha titolo a disciplinare con legge.

1.7

Forme organizzative speciali

Ai fini dell’acquisizione dell’autonomia economica e finanziaria, trova invece attuazione il regolamento recante “Criteri e modalità di riconoscimento di forme organizzative speciali” (D.P.R. 19 maggio 2011, n. 117), attraverso cui

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sono disciplinati i presupposti ed i requisiti richiesti alle Fondazioni liricosinfoniche, ovvero una maggiore capacità produttiva ed una più stabile condizione patrimoniale ed economica, ai fini del riconoscimento del diritto di dotarsi di forme organizzative speciali.

Il riconoscimento di Fondazione dotata di forma organizzativa speciale è attribuito con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministero dell’economia e finanze, secondo i seguenti presupposti: • peculiarità in campo lirico-sinfonico; • assoluta rilevanza e presenza internazionale dell’attività; • eccezionale capacità produttiva, desunta dall’ampia offerta culturale, articolata, diversificata e caratterizzata dal ricorso sistematico e non occasionale a forme di collaborazione con altri soggetti; • equilibrio economico-patrimoniale di bilancio realizzato per almeno quattro volte consecutive nei cinque esercizi precedenti l’istanza di riconoscimento e desunto da rilevanti ricavi propri; • significativo e continuativo apporto di privati alla gestione o al patrimonio; • capacità di attrarre nell’ultimo triennio sponsor privati; •

ricavi provenienti da vendite e prestazioni rese non inferiori al 40% del contributo statale.

Alla Fondazione dotata di forma organizzativa speciale viene riconosciuta una maggiore autonomia ed uno status particolare quanto a contribuzione pubblica (intesa come erogazione del contributo statale sulla base di programmi triennali di attività corredati dei relativi budget e verificati dal Ministero per i beni e le attività culturali), governance e gestione del personale. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ed il Teatro alla Scala sono le prime, tra le Fondazioni lirico-sinfoniche ad aver ottenuto recentemente il riconoscimento di forma organizzativa speciale ai sensi del D.P.R. n. 117/2011.

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1.8

Forme di agevolazione per i privati

Il sistema tributario italiano prevede varie agevolazioni fiscali per i contribuenti che intervengano in favore di determinate categorie di enti di particolare rilevanza sociale, sia sotto forma di detrazioni d’imposta che come deduzioni dal reddito imponibile Irpef. La differenza tra detrazioni e deduzioni è di natura sostanziale. Infatti, mentre gli oneri detraibili incidono (in percentuale) direttamente sull’imposta lorda, riducendo di fatto l’imposta dovuta dal contribuente, gli oneri deducibili sono spese che possono essere portate in diminuzione dal reddito complessivo rilevante ai fini Irpef, prima del calcolo dell’imposta. Pertanto, quest’ultima tipologia di spese, riducendo a monte il reddito imponibile, determina un beneficio pari all’aliquota massima raggiunta dal contribuente. Fra le misure di agevolazione fiscale che favoriscono l’intervento integrativo dei privati in favore del settore del no-profit, certamente la più diffusa è quella della erogazione liberale, atto di mecenatismo di natura filantropica che trascende obiettivi commerciali d’impresa e che si caratterizza per l’assenza di benefici per il soggetto donante. La norma del 1997, relativa alle Onlus (organizzazioni non lucrative di utilità sociale), prevede una quota ammessa alla defiscalizzazione pari a € 2.065,83 per le imprese (non oltre il 2% del loro reddito) e pari a € 2.065,83 per le persone fisiche (non oltre il 19% del loro reddito), con la detrazione integrale dal reddito d’impresa per il beneficiari. Ma è solo nel 2000, con l’introduzione dell’art. 38 della Legge 21 novembre 2000 n. 342 che viene concesso alle imprese, individuali e non, la piena deducibilità dal loro utile imponibile di tutte le erogazioni liberali in denaro (eliminando il tetto del 2%) a favore dello Stato, delle Regioni, degli enti locali territoriali, degli enti o istituzioni pubbliche, delle Fondazioni e delle associazioni legalmente riconosciute, per lo svolgimento dei loro compiti istituzionali e per la realizzazione di progetti nei settori della cultura e dello spettacolo (nuove strutture, restauro e potenziamento delle strutture esistenti, produzione) da realizzarsi in tempi certi.

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Per evitare eccedenze di interventi rispetto al plafond stabilito per legge, il Ministero per i beni e la attività culturali provvede a fissare una soglia complessiva compatibile con la portata delle agevolazioni, in modo che, se la somma di tutti i contributi erogati è maggiore di tale cifra, si individua il valore dell’importo eccedente per ogni singolo soggetto, sul quale si applica un’aliquota di imposta del 37% che l’istituzione culturale beneficiaria versa all’erario.

Esistono, poi, ulteriori agevolazioni fiscali, per le erogazioni liberali effettuate dalle imprese, che permettono di ridurre il reddito imponibile IRES. Nel 2005, il Decreto Legge n. 35, introduce un ampliamento della defiscalizzazione delle donazioni. In particolare società ed enti commerciali e non commerciali, possono dedurre dal reddito complessivo, in sede di dichiarazione dei redditi, le liberalità in denaro o in natura nel limite del 10% del reddito dichiarato e comunque nella misura massima di Euro 70.000 annui. Possono essere destinatari Onlus, associazioni di promozione sociale, Fondazioni e associazioni riconosciute.

1.9

Una privatizzazione “anomala”

Probabilmente è la memoria storica che fonda le sue radici su modelli impresariali a indurre il Legislatore a percorrere la via delle privatizzazioni degli enti lirici, quasi come un ritorno alle origini. Tuttavia è forse opportuno far notare che tale proposito, pur per molti aspetti condivisibile, manca di basi solide per poter essere realmente realizzato nei teatri d’opera italiani. Al di là dei limiti e delle enormi lacune normative, il processo di privatizzazione (collegato anche alla possibilità di ottenere finanziamenti privati) è avvenuto fino ad oggi come un processo che può essere descritto top-down. Le decisioni e gli input alla privatizzazione sono infatti “caduti” sui teatri senza che sviluppassero al loro interno quello “slancio imprenditoriale” necessario a renderli vere imprese. Nelle Fondazioni lirico sinfoniche c’è sicuramente lo

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solidità materiale data dalle strutture (a volte di grandissimo valore) dei teatri, c’è anche quasi sempre un marchio importante conosciuto e rispettato in tutta Italia, ma manca la flessibilità e la libertà nella produzione alla base delle regole dell’aziendalismo di natura privatistica. Se, infatti, l’opzione per il modello fondazionale è stata dettata da attese di migliore efficienza gestionale e di un maggiore coinvolgimento del capitale privato, i risultati in concreto ottenuti sono tali da far dubitare che lo stesso sia realmente funzionale alla risoluzione dei tanti di problemi che affliggono i teatri. Se la trasformazione diretta ha avuto sicuramente il vantaggio di accelerare i tempi della privatizzazione, è altrettanto vero che tale tecnica di mutamento della personalità giuridica si colloca al di fuori delle manifestazioni dell’autonomia privata, ed anzi sembra rafforzare i profili pubblicistici della Fondazione medesima. Assente, o quasi, è poi l’autonomia statutaria, pur espressamente riconosciuta dal legislatore, poiché sono molto particolareggiate le disposizioni sullo scopo, sulla destinazione degli utili di gestione agli scopi istituzionali, sulla struttura organizzativa, più complessa rispetto a quella del modello codicistico, sulla composizione, le competenze ed i requisiti di nomina degli organi. Orbene, se si considera che la Fondazione codicistica costituisce la massima manifestazione della libertà dei privati, soprattutto nell’individuazione dello scopo e nella scelta della struttura organizzativa e della sua articolazione, è chiaro come il nuovo soggetto, nato dalla trasformazione degli enti pubblici lirici, è ben lontano dal modello disciplinato dal codice. Per non parlare, poi, dei poteri di vigilanza intestati alla competente Autorità di governo, comprensivi del potere di disporre ispezioni, pronunciare dei provvedimenti di decadenza previsti dalla stessa legge, sciogliere il Cda per gravi violazioni di legge, controllare attraverso un collegio di revisori di nomina ministeriale (cosa non prevista dal codice per le Fondazioni), ed infine mettere in atto un controllo da parte della Corte dei conti sulla gestione finanziaria, tipico delle organizzazioni pubbliche.

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A distanza di diciassette anni dal primo intervento normativo che ne ha modificato la natura giuridica, si può quindi concludere che le Fondazioni lirico-sinfoniche sono ancora vincolate a una disciplina di settore pubblicistica, conseguente alle limitazioni gestionali previste dalla legge.

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CAPITOLO 2 LE MOTIVAZIONI ECONOMICHE E CULTURALI DEL FINANZIAMENTO PRIVATO ALLA CULTURA 2.1

Il “morbo di Baumol”

In uno studio sullo spettacolo dal vivo condotto da Baumol e Bowen (1966) nel saggio “Performing Arts: The Economic Dilemma”, si individua la cosiddetta “sindrome di Baumol” (o “legge della crescita sbilanciata e della produttività stagnante”). Essa indica una tendenza incomprimibile all’aumento dei costi relativi nei settori nei quali la tecnologia produttiva non può essere modificata senza snaturarne il prodotto. Per spiegare tale fenomeno i due economisti mettono a confronto due settori: quello delle arti dal vivo e quello manifatturiero. In conseguenza di un’ondata tecnologica, si può osservare come, nelle performing arts, non vi siano aumenti di produttività, mentre nell’altro settore può verificarsi, come conseguenza dell’incremento dell’output per lavoratore, una riduzione dei prezzi, un aumento dei profitti o un incremento dei salari. Un esempio frequentemente utilizzato per spiegare tale fenomeno è ripreso dalla musica classica. “L’ascolto dal vivo di un quartetto di Mozart richiede oggi, come centocinquant’anni fa, quattro musicisti, quattro strumenti uguali ad allora e una sala di dimensioni analoghe, se si vuole garantire una buona acustica. In sostanza, non è possibile aumentare la produzione senza aumentare in misura uguale i fattori produttivi utilizzati” (Brosio e Santagata, 1992, p. 28). Questo è il motivo per cui Trimarchi parla di una “fragilità strutturale del settore”: nel tempo, aumentando i redditi degli occupati nei settori con tecnologia in evoluzione, anche i salari artistici devono crescere, sia per un ‘effetto imitazione’, sia per l’incremento del costo della vita. Si determina quindi una situazione per cui, a fronte di ricavi più o meno statici, i costi aumentano costantemente. Ciò dovrebbe portare, secondo le pessimistiche previsioni di Baumol e Bowen, a

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una scomparsa del settore. Tuttavia, studi più recenti tendono a mitigare tale catastrofica visione. In particolare Towse (1992) sottolinea come tali vincoli tecnologici siano connessi ai gusti del pubblico e al tipo di spettacolo che si intende realizzare. Si osserva come vi siano diversi trend nella tecnologia e nei gusti del pubblico che nel tempo hanno ridotto i costi del lavoro artistico; tuttavia non è ben chiaro se le caratteristiche degli spettacoli siano cambiate in conseguenza delle modifiche dei gusti o se questi ultimi abbiano dovuto adeguarsi alle trasformazioni dell’offerta. La Towse osserva come in Inghilterra (ma ciò avviene anche in Italia) si siano con il tempo ridotte le dimensioni delle compagini orchestrali pur rimanendo in programma un repertorio standard (Beethoven, Schubert, ecc). Questo non solo ha ridotto il numero di musicisti impiegati ma ha portato anche ad una modifica del tipo di artisti utilizzati (ad esempio come solisti vengono sempre più impiegati orchestrali, piuttosto che strapagati professionisti esterni).

Tuttavia la “legge della crescita sbilanciata” non giustifica in alcun modo il ricorso ai sussidi pubblici limitandosi a descrivere l’influenza che l’impossibilità di introdurre innovazioni tecnologiche nella produzione può esercitare sullo stato finanziario delle istituzioni culturali. Le decisioni sono e restano di carattere esclusivamente politico: valutare un bene come meritorio1 o come fondante l’identità nazionale è una scelta discrezionale, che riguarda la necessità o meno di sostenere un settore. Saranno i decisori che dovranno dimostrare che la somma dei benefici sociali generati dall’esistenza e dall’attività delle istituzioni culturali e artistiche eccede in qualche misura la somma dei costi sopportati.

1

I beni meritori sono quei beni meritevoli di sussidio in quanto portatori di una utilità collettiva e di un benessere sociale tramite effetti esterni che recano benefici generalizzati; per tale ragione sono sottratti alle leggi di mercato ed il loro consumo è incentivato dalle istituzioni pubbliche, attraverso regole e sostegni economici in virtù dell’importanza rivestita per la società.

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2.2

Gli elevati costi fissi

Il “morbo di Baumol” affligge lo spettacolo dal vivo sia nei costi fissi che nei costi variabili. I primi sono i costi per la manutenzione, la conservazione e la sicurezza dei teatri, gli stipendi del personale stabile e del personale di amministrazione; i secondi contemplano le spese necessarie per la messa in scena di uno spettacolo (le scene, i costumi, l’allestimento, il compenso del cast artistico e tecnico, le spese di promozione, etc.), e questi ultimi variano, a differenza dei primi, in base all’ammontare della produzione. Da questa divisione dei costi si evince come gli spettacoli operistici siano caratterizzati dalla presenza di elevati costi fissi e da costi marginali (costo aggiuntivo di ogni replica) bassi.

Un ulteriore argomento a sostegno della necessità dei finanziamenti pubblici consiste nel fatto che, senza sussidi, a causa del forte impatto dei costi fissi, i prezzi dei biglietti sarebbero sempre più alti, cosa che non permetterebbe di aumentare il numero di spettatori. Addirittura, secondo alcuni studi, ipotizzando oggi la scomparsa immediata delle sovvenzioni, si stima che un biglietto medio possa avere un prezzo intorno ai 245 Euro, contro i 47 Euro attuali; ciò equivale ad affermare che per ogni spettatore pagante della lirica, lo Stato interviene con circa 200 Euro (MiBAC 2011). Tuttavia, secondo alcuni argomentazioni, proprio il finanziamento pubblico potrebbe stimolare l’aumento dei costi fissi. Ciò accade poiché esso, riducendo il rischio di fallimento, incoraggia l’azzardo morale e le inefficienze nella gestione: il management avrà così meno incentivi a sviluppare sia le strategie di prezzo dei biglietti che le attività di marketing e fund raising al fine di aumentare introiti e pubblico. I sussidi pubblici possono poi ulteriormente aumentare i costi di produzione riducendo la resistenza del management nel fronteggiare le richieste salariali di musicisti ed altri impiegati.

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Un’altra argomentazione a favore dei finanziamenti privati è legata al fatto che il finanziamento pubblico alla cultura determina necessariamente l’insorgere di costi legati agli apparati burocratici necessari per l’erogazione e la canalizzazione dei finanziamenti stessi. I sistemi (come quello americano) basati su un intervento pubblico indiretto non devono mantenere tale apparato burocratico, lasciando che siano i contribuenti a decidere quali istituzioni culturali finanziare.

2.3

La qualità artistica

Un ulteriore dilemma in merito alle fonti di finanziamento è fornito dal rapporto tra qualità e numero di spettatori: lasciar fare al mercato, secondo molti esperti, vorrebbe dire decretare la fine degli spettacoli qualitativamente più elevati, con l’ulteriore contraddizione del “paradosso del successo”: un successo di pubblico accresce gli incassi dello spettacolo ma contribuisce anche a creare la fama dell’artista, il quale potrà chiedere compensi maggiori. Quindi, col successo, ricavi e costi si rincorrono, rendendo incerto l’effetto sui profitti.

Tra le argomentazioni a favore dell’intervento pubblico diretto ve ne è una legata al fatto che le dinamiche di mercato non garantiscono la qualità artistica delle proposte musicali. A dimostrazione che tale argomentazione non è suffragata dai fatti vi è uno studio di un gruppo internazionale di critici musicali che nel 2008 ha valutato per la rivista Gramophone le performance live e le registrazioni delle orchestre sinfoniche di tutto il mondo. Significativo è il fatto che tra le venti migliori per qualità se ne trovano sette statunitensi e nessuna italiana.

Tuttavia, occorre avere presente che la materia dello spettacolo dal vivo è delicata, giacché ad essa si riconnettono obiettivi di natura culturale e sociale. Il mercato e le sue logiche devono essere intese anche, e forse soprattutto,

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come recupero delle regole di corretta ed efficiente gestione dell’ente, ma non può condurre alla imprenditorializzazione di quella che ne costituisce la sua funzione primaria, vale a dire la funzione culturale ed educativa della collettività. L’ottimizzazione della gestione economica non può avere come obiettivo solo la massimizzazione dei profitti, tipica delle logiche aziendali, perché ciò comporterebbe necessariamente flessibilità, e in molti casi, scadimento della qualità del prodotto, a scapito della funzione culturale.

2.4

I benefici per l’economia locale

Studi recenti condotti in Germania evidenziano che la lirica, laddove adeguatamente valorizzata, produce un incremento del PIL. A provarlo è la ricerca di tre economisti tedeschi (Falck, Fritsch e Heblich – 2010) pubblicata dall’Ifo (Institute for Economic Research) di Monaco, con il titolo “The Phantom of the Opera: Cultural Amenities, Human Capital, and Regional Economic Growth” (Il Fantasma dell’Opera: intrattenimento culturale, capitale umano, e crescita economica regionale). Esaminando le zone limitrofe a 29 teatri lirici tedeschi, alcuni dei quali costruiti in grandi città come Dresda e Monaco, ed altri in centri più piccoli, si è notata una maggiore concentrazione di artisti, accertata attraverso i dati delle statistiche sociali nell’arco di sei anni, tra il 1998 e il 2004. Tale presenza di artisti si traduce in una maggiore quantità di attività culturali e, in generale, in una migliore vivibilità della zona. Di conseguenza, si riscontra (dato verificato sempre attraverso le statistiche sulle assicurazioni sociali) una maggiore presenza di persone laureate o con titoli di studio superiori alla laurea: ciò significa che, a parità di condizioni lavorative, le persone altamente qualificate preferiscono vivere in una zona con una maggiore e migliore offerta culturale. Le persone che lo studio tedesco definisce “high-human capital individuals” sono lo 0,3% in più nelle 29 aree campionate, rispetto alle aree con caratteristiche analoghe, prive però di teatri, e la maggiore presenza di persone colte e con titoli di studio universitari o post universitari ha un impatto

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positivo sull’economia della zona, traducibile in una maggiore crescita del PIL pro capite che va dall’1 al 2,1% annuo.

Per valutare fino in fondo però lo studio, è bene valutare alcuni dati statistici tratti da www.operabase.com, da cui emerge, per esempio, che la Germania è il primo Paese per rappresentazioni liriche: nella stagione 2012/2013 ne sono andate in scena 7.230, contro le 1.730 degli Stati Uniti, le 1.288 della Francia e le 1.162 dell’Italia, al sesto posto. Nella classifica delle città più “liriche” del mondo (graduatoria definita in base al numero delle rappresentazioni effettuate), le prime cinque sono Vienna (578), Berlino (523), Parigi (437), Mosca (424) e San Pietroburgo (377). La prima delle città italiane in graduatoria è Venezia al 42° posto, seguita da Milano al 53°e Torino al 79°.

Forse questo spiega perché in un Paese come la Germania, è normale che la lirica crei benessere, un concetto che dovrebbe essere fatto proprio dalle istituzioni culturali. Un ruolo più consapevole dell’imprenditoria, può inoltre favorire l’attuazione dell’auspicata sussidiarietà orizzontale tra pubblico e privato.

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CAPITOLO 3 LA STRUTTURA DEI FINANZIAMENTI AI TEATRI D’OPERA 3.1

Il caso degli Stati Uniti

Nell’ambito dei finanziamenti alla musica “colta” gli Stati Uniti e l’Europa sono due mondi molto lontani tra loro. Se in Europa, così come in Italia, la cultura è principalmente finanziata dal pubblico, negli USA è in larga parte aliena dal finanziamento pubblico diretto. Ciò accade indipendentemente dal fatto che le problematiche che si trovano ad affrontate le orchestre o i teatri in entrambi i continenti siano le stesse, legate quasi esclusivamente all’impossibilità di coprire con i proventi derivanti dalla propria attività i relativi costi. Il modello privatistico degli Stati Uniti è caratterizzato da enti agili, legati da rapporti contrattuali con orchestre costituite in corpi autogestiti che scelgono i propri direttori musicali e reclutano autonomamente i propri membri sulla base di contratti professionali pluriennali. L’organizzazione è il più delle volte di tipo privato no-profit: ciò permette di mettere insieme da un lato i vantaggi dell’autonomia rispetto allo Stato e dall’altro la libertà di cui godono le istituzioni senza scopi di lucro, autorizzate a ricevere donazioni e svilupparsi al riparo dalle pressioni del mercato. Tutto questo nella misura in cui i mecenati sono disposti a mettersi in gioco, in un sistema basato maggiormente sull’iniziativa privata e meno dipendente dagli interventi statali, e che permette di sostenere il settore attraverso adeguati incentivi di natura fiscale. Tuttavia negli Stati Uniti i problemi finanziari per teatri ed orchestre sono all’ordine del giorno. Le organizzazioni coprono solo il 50% delle entrate con gli introiti di botteghino, il resto con le donazioni. Inoltre, poiché non si può fare affidamento su aiuti straordinari pubblici o privati, si è costretti a ridurre

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le spese attuando politiche ben precise come l’aumento delle co-produzioni dividendo così il più possibile i costi. Nonostante ciò, il teatro negli Stati Uniti sta vivendo da alcuni anni un momento di forte crescita e trasformazione all’insegna della modernità e della democratizzazione. L’opera lirica americana è un fenomeno estremamente giovane e la maggior parte degli spettatori ha un’età compresa tra i 25 e i 49 anni (Briglia 2006). Uno degli aspetti più affascinanti del mondo operistico americano è la sua grande varietà, testimoniata dalla presenza di numerose compagnie e organizzazioni musicali in tutti i principali centri urbani del continente. Vengono infatti allestite opere tanto in centri metropolitani come Los Angeles e Chicago, quanto in comunità molto piccole, poiché vi è un elevato livello di volontariato ed ogni compagnia ha sviluppato forme di gestione, marketing e promozione estremamente sofisticate che producono flussi di capitale, livelli di efficienza ed economie sconosciute nei paesi in cui ci sono finanziamenti pubblici (Flanagan 2012).

Le principali fonti di finanziamento ad orchestre e teatri sono dunque rappresentante dal mecenatismo privato (stimolato dagli sgravi fiscali) e dagli investimenti della propria dotazione patrimoniale (endowment). Anche se in questo paese non esiste un ministero della cultura o una forma centralizzata di gestione dei fondi, oltre al finanziamento indiretto esistono comunque forme di finanziamento pubblico diretto e quello più importante è quello che proviene dal National Endowments for the Arts istituito nel 1965. I dati relativi al 2005 (Grafico 1) ci dicono che il 37% delle entrate deriva dall’attività principale, il 45% dal supporto privato, il 5 % dal supporto pubblico e il 13% dagli endowment (Flanagan 2012).

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Povenienza dei finaziamenti culturali negli Stati Uniti

Finanziamenti privati 40% Botteghino 50%

Finanziamenti pubblici 10%

Grafico 1 – Fonte: Flanagan 2012

Interessante osservare questa ultima fonte di finanziamento (praticamente inesistente in Italia): essa consiste nella creazione e gestione di una dotazione patrimoniale. Molti endowment sono donazioni di denaro o di proprietà che garantiscono un supporto finanziario all’istituzione culturale nel lungo periodo. Per rinforzare questo obiettivo di supporto a lungo termine, alcuni endowment includono clausole legali per cui solo i ritorni economici dell’endowment (e quindi non l’endowment stesso) possono essere usati per il sostentamento

economico

dell’organizzazione

culturale.

Avere

degli

endowment di una certa importanza e gestirli in modo adeguato è probabilmente una delle assicurazioni migliori per la stabilità finanziaria. Essi infatti possono consentire all’organizzazione di sviluppare piani di lungo termine. Per ciò che riguarda la ricerca di uno sponsor, essa è negli USA prevalentemente legata al singolo progetto e non all’attività in generale, in quanto è utile che il progetto che si chiede di sponsorizzare sia pertinente al tipo di società e ai sui clienti. Anche i soldi privati più facili da raccogliere sono quelli legati a progetti specifici, dove la soddisfazione e la visibilità di chi finanzia è più palpabile.

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3.2

I principali indicatori economici delle 14 Fondazioni italiane

Da un’analisi dei principali risultati patrimoniali ed economici delle 14 Fondazioni Lirico-Sinfonche emerge chiaramente la situazione di crisi economica in cui si trova il teatro d’opera italiano. Il Grafico 2 mostra l’evoluzione dei principali aggregati patrimoniali dal 2006 al 31 Dicembre 2010.

Grafico 2 – Fonte: Corte dei Conti 2012

Come si può vedere l’attivo patrimoniale (composto in gran parte dalle immobilizzazioni immateriali, tra cui il diritto d’uso gratuito degli immobili destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale) mostra un trend crescente anche se non guidato da un corrispondente aumento della situazione creditizia che rimane sostanzialmente stabile (comprende principalmente crediti verso i clienti, lo Stato, gli Enti territoriali, l’Erario e gli Istituti di previdenza). Anche il passivo mostra un trend crescente ma a differenza dell’attivo è in gran misura costituito dai debiti. Questi ultimi, in continua crescita durante i 5 anni, prevalgono regolarmente sui crediti, e nel 2010, per la prima volta arrivano a superarli di più di 2,5 volte. La situazione debitoria è in gran parte costituita dalle esposizioni verso gli Istituti di credito, in merito alle

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anticipazioni richieste per fronteggiare sia la diminuzione della quota del FUS, sia i ritardi nell’erogazione delle partecipazioni contributive. A volte influiscono anche le quote di ammortamento di mutui ipotecari esistenti, mentre si rivelano sostanzialmente in linea con il passato i debiti verso fornitori, Istituti di previdenza e dipendenti. Per ciò che riguarda gli indicatori economici rilevati dai bilanci delle 14 Fondazioni possiamo osservare nei Grafici 3 e 4 l’andamento del valore della produzione e dei relativi costi sostenuti. Dall’osservazione dei dati sul valore della produzione si osserva come questo, dopo una seppur lieve crescita fino al 2009 abbia subito una notevole contrazione nel 2010. Principale causa è stata la riduzione dei contributi in conto esercizio che, come vedremo nel prossimo paragrafo, sono per la maggior parte pubblici. Per ciò che riguarda gli incassi i più ragguardevoli rimangono quelli del Teatro alla Scala di Milano (39 mio € nel 2010) e dell’Arena di Verona (22 mio € nel 2010). Gli incassi di questi due teatri nel 2010 rappresentano da soli il 51% del totale di tutte le Fondazioni.

Grafico 3 – Fonte: Corte dei Conti 2012

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Grafico 4 – Fonte: Corte dei Conti 2012

Con riferimento al valore complessivo della produzione del periodo 20072010, i ricavi da vendite e prestazioni rappresentano, rispettivamente, il 21,5%, il 20,6%, il 22,9% ed il 24,5% nei quattro anni. Considerato invece l’insieme dei costi della produzione dello stesso periodo, tali ricavi ne coprono, rispettivamente, il 20,8%, 19,6%, 22,6%, e 22,7%.

Dall’esame dei risultati economici d’esercizio si desume un quadro complessivo decisamente negativo, anche confrontandoli con gli anni precedenti. In totale nel 2010 le 14 Fondazioni hanno generato una perdita di 39,5 mio €. Le Fondazioni con un risultato positivo nel 2010 sono cinque (San Carlo di Napoli, Teatro Massimo di Palermo, Teatro dell’Opera di Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Arena di Verona).

3.3

I finanziamenti privati in Italia

Come visto nel capitolo precedente, nonostante gli intenti del legislatore, la partecipazione finanziaria dei privati alle Fondazioni Lirico-Sinfoniche si è rivelata marginale, sicché nei fatti non si è realizzata quella riduzione dell’intervento finanziario dello Stato che era il fine della trasformazione.

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La ricerca di un sostegno finanziario, se non alternativo almeno integrativo di quello statale, nasce proprio dalla necessità, a seguito della riduzione dei contributi statali agli enti, di coinvolgere i privati, non più in veste di sponsor o di mecenati, ma come soggetti attivi chiamati a partecipare alla costituzione del capitale delle nuove Fondazioni ed alla loro gestione. La collaborazione pubblico–privato era vista come la migliore soluzione possibile fra l’insostenibilità di un sistema di copertura finanziaria ormai a totale carico dello Stato, in tempi di grave crisi economica, ed un ridimensionamento dell’impegno statale attraverso la partecipazione dei privati, che doveva inoltre servire a superare la logica assistenzialistica del FUS e spingere gli enti musicali a recuperare fondi in altri modi. Tuttavia l’impegno richiesto ai privati è pluriennale, extra-aziendale e gravoso. Ciò è sufficiente a scoraggiare spesso qualsiasi volontà di partecipazione finanziaria agli organismi no-profit anche perché questi sono caratterizzati dal divieto di distribuzione degli utili e poiché non è previsto un sistema di agevolazione fiscale particolarmente favorevole. Inoltre, sebbene il legislatore si sia impegnato a ridurre il peso della politica all’interno delle Fondazioni, si è verificato che, nella maggior parte dei casi in cui il privato è assente, l’organo direttivo sia rimasto espressione della vita politica locale, con un controllo gestionale ed un sistema di finanziamento che vede i soggetti pubblici quasi egemoni. L’inadeguata partecipazione dei privati trova ulteriore motivazione nella scelta di un sistema non premiante, ma sostitutivo: alle Fondazioni che raccolgono denaro dal settore privato vengono ridotte le risorse pubbliche. In questo modo scompare l’incentivo a fare a meno del denaro pubblico.

Si riporta nella Tabella 1 un’analisi dei contributi in conto esercizio dal 2006 al 2010 per ciascuna delle 14 Fondazioni. La dinamica del periodo espone una tendenziale crescita dei contributi nel primo biennio cui si contrappone una flessione nel 2009-2010. Detto

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andamento è in gran parte prodotto dall’evoluzione delle complessive risorse pubbliche, che rappresentano più dell’88% del totale e per le quali si registra una riduzione del 3,5% e del 14,5% rispettivamente nel 2009 e nel 2010. Tali variazioni sono sensibilmente influenzate da quelle dell’apporto dello Stato, accresciuto nel primo biennio considerato nella misura, rispettivamente, del 9,9% e 7,6%, e poi diminuito del 2,2% e 18,9%, in conseguenza sia dei tagli operati al FUS che della mancata erogazione di fondi straordinari al comparto. Anche le Amministrazioni territoriali sono intervenute, sia pure in misura diversa tra loro, con un sostegno ridotto rispetto al passato, evidenziando l’inadeguatezza della loro contribuzione rispetto al fabbisogno.

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Tabella 1 – Fonte: Corte dei Conti 2012

Il volume delle risorse provenienti da fonti private conferma la modestia di tale sostegno, che rappresenta quasi il 12% del totale dei contributi, sicché può dirsi in generale fallito l’obiettivo (tranne che per poche Fondazioni) di una maggiore partecipazione dei privati alla gestione dei teatri lirici. Come si può osservare il contributo privato medio alle Fondazioni lirico sinfoniche nel triennio 2008-2010 si presenta in leggera flessione, passando dai 48,6 milioni del 2008 ai 45,8 milioni del 2010. Va tenuto poi conto che in molti casi a contribuire sono le Fondazioni di origine bancaria, che possono considerarsi dei privati sui generis.

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I principali elementi di riflessione che si possono trarre da tali dati sono: • nel triennio 2008-2010, il primo dato oggettivo è quella della riduzione costante dell’intervento dei privati per complessivi 3,3 milioni di Euro, pari al – 6,9%; • l’unica realtà che si distacca dalla altre, in merito alla raccolta di finanziamenti privati, è quella della Scala di Milano che supera per ogni anno del triennio i 15 milioni di Euro; • sempre nello stesso triennio, le sole Fondazioni a presentare un trend costante di crescita sono il San Carlo e l’Arena; • se il contributo più elevato è stato raggiunto dalla Scala nel 2009, le uniche ad attestarsi stabilmente al di sopra dei 5 milioni di Euro sono solo il San Carlo e Santa Cecilia; • nel 2010, Bologna, Trieste Cagliari e Bari non raggiungono la soglia dei 900 mila Euro, incidendo complessivamente per il 5,9% del sostegno privato al settore; • sempre nel 2010, gli interventi in favore della Scala costituiscono più di 1/3 dei contributi privati destinati alle Fondazioni, e la conferma della forte concentrazione selettiva dell’apporto privato si ha prendendo in considerazione i tre interventi più elevati (oltre la Scala, San Carlo e Santa Cecilia), che costituiscono il 60% del totale; • nel 2008 l’intervento medio si attesta a 3.513.271 Euro, per poi flettere a 3.371.324 nel 2009 e a 3.271.777 Euro nel 2010 con unicamente Scala, San Carlo e Santa Cecilia a collocarsi stabilmente al di sopra di tali cifre.

A conferma di quanto già affermato è interessante osservare come si collochino i finanziamenti privati all’interno del totale delle fonti di finanziamento di cinque teatri italiani. Come si vede dal Grafico 5, con le eccezioni della Scala e dell’Accademia di Santa Cecilia i finanziamenti privati

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non rappresentano più del 7% delle fonti di finanziamento, mentre quelli pubblici concorrono per più del 65%. I ricavi di biglietteria, pur se notevolmente differenti in termini assoluti, considerati come percentuale sul totale delle fonti di finanziamento risultano sostanzialmente omogenei tra i vari teatri e comunque non legati ai contributi.

Struttura delle Fonti di Finanziamento dei pricipali teatri italiani

Percentuale sul totale delle entrate

100% 90% 80% 70% 60% 50%

5%

8%

4%

6%

13% 24%

33%

15%

21%

Altri Ricavi Biglietteria

38%

40% 30% 20%

9%

47%

65%

76% 66%

Fondi Pubblici Fondi Privati

31%

10%

15%

10%

7%

7%

Teatro Regio di Torino

Teatro La Fenice di Venezia

Teatro dell'Opera di Roma

0% Teatro alla Scala di Milano

Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Grafico 5 – Fonte: Bilanci delle Fondazioni 2011

Struttura delle Fonti di Finanziamento: Stati Uniti e Totale FLS 100% 90%

5% 13%

Percentuale sul totale delle entrate

20%

80% 70%

37%

60% 50%

Altri Ricavi Biglietteria 5%

Fondi Pubblici 66%

40%

Fondi Privati

30% 20%

45%

10% 9%

0% Stati Uniti (2005)

Italia (FLS 2010)

Grafico 6 – Fonte: Flanagan 2012; Corte dei Conti 2012

Nel Grafico 6 troviamo anche un confronto fra la struttura delle fonti di finanziamento italiane e quella statunitense (ampliamente descritta nel paragrafo 1). Facile è a questo punto osservare le profonde differenze tra i due

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modelli di gestione e il forte peso che hanno i contributi pubblici nelle entrate dei teatri d’opera italiani. Per ciò che riguarda la tipologia di finanziatori privati all’interno delle singole Fondazioni, la maggior parte dei contributi proviene da Fondazioni bancarie, banche o dalle Camere di Commercio. Ciò emerge abbastanza chiaramente analizzando i dati relativi ai finanziamenti privati al Teatro alla Scala nel 2011. Come si vede dalla Tabella 2 gli importi dei contributi erogati dai fondatori privati, ben il 40% proviene da enti di origine “bancaria”.

Contributi deliberati dai Fondatori privati al Teatro alla Scala nel 2011 (mio €) A2A S.p.A. Assicurazioni Generali S.p.A. Assolombarda Banca Popolare di Milano S.c.a.r.l. Camera di Commercio di Milano Class Editori S.p.A. Enel S.p.A. Eni S.p.A. Fondazione Banca del Monte di Lombardia Fondazione CARIPLO Fondazione Milano per la Scala Gruppo Editoriale l’Espresso S.p.A. Gruppo Fininvest (Fininvest - Mediaset - Mondadori) Giorgio Armani S.p.A. Intesa Sanpaolo S.p.A. Mapei S.p.A. Pirelli S.p.A. Poste Italiane S.p.A. Prada Lux S.A. Provincia di Milano Mediagroup S.p.A. SEA S.p.A. Riva Fire/ILVA Telefonica S.A. TOD’S S.p.A. Wind S.p.A. TOTALE

13,7 8,3 0,5 11 36,8 1,6 9,2 37 12,8 98,6 0,6 1,6 6,3 1,6 16,9 5,4 27,2 3,1 3,6 19,4 4,6 12,3 1 5,2 5,2 1,6 345,1

3,97% 2,41% 0,14% 3,19% 10,66% 0,46% 2,67% 10,72% 3,71% 28,57% 0,17% 0,46% 1,83% 0,46% 4,90% 1,56% 7,88% 0,90% 1,04% 5,62% 1,33% 3,56% 0,29% 1,51% 1,51% 0,46% 100%

Tabella 2 – Fonte: Bilancio Teatro alla Scala 2011

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3.4

Alcune considerazioni

L’analisi condotta nei capitoli 2 e 3 mette in luce una condizione complessiva di accentuata criticità del sistema. Il limitato apporto di risorse provenienti da fonti private ha confermato il venir meno, tranne che per poche Fondazioni, dell’aspettativa di una maggiore partecipazione dei privati alla gestione dei teatri lirici. Il teatro americano è sicuramente un esempio interessante ma lontano dal nostro modello. In Italia, è molto più difficile arrivare ad un tipo di organizzazione che sommi una cultura del volontariato ad un sistema industriale e commerciale, con un sistema di finanziamenti provenienti da elargizioni di piccole somme da parte dei cittadini o da donazioni o eredità di magnati industriali. Il passaggio degli enti lirici a Fondazioni di diritto privato è un tentativo tutto italiano di riuscire a conciliare aspetti molto diversi come l’appartenenza delle istituzioni liriche al terzo settore, la necessità di non sottrarle ad un sostanzioso contributo statale, il bisogno di coinvolgere e responsabilizzare le amministrazioni di livello inferiore nonché l’opportunità di introdurre forti elementi di efficienza gestionale e sostenere il fabbisogno finanziario attraverso l’intervento dei privati.

La questione della privatizzazione dei beni pubblici appare come un tentativo di rendere produttivi dei beni che in genere si reggono soltanto sulla sovvenzione statale. In seguito ai recenti ulteriori tagli del FUS sembra che lo Stato voglia “tirarsi indietro” e delegare agli enti locali o ai privati il compito di sostenere i teatri. L’appoggio di questi soggetti dovrebbe in realtà aggiungersi e non sostituirsi all’intervento statale. Il meccanismo dei finanziamenti a pioggia da parte dello Stato va sicuramente rivisto, ma in un paese come l’Italia con un’antichissima tradizione culturale, non si può eliminare da un giorno all’altro il sostegno dello Stato. Obiettivo principale diventa allora quello di trovare ed imparare a gestire nuove fonti di finanziamento, stimolando la cooperazione con i potenziali finanziatori privati

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senza per questo ridurre il supporto pubblico. Obiettivo dello Stato deve essere quello di garantire che i teatri trovino le risorse di cui hanno bisogno creando le condizioni economiche e sociali ideali.

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CAPITOLO 4 NUOVE PROSPETTIVE ED OPPORTUNITÀ PER I TEATRI D’OPERA ITALIANI 4.1

Nuove strutture per l’acquisizione di pubblico e fondi privati

Il processo di trasformazione in Fondazione di diritto privato degli enti lirici autonomi ha imposto a queste strutture un assetto gestionale all’insegna di un criterio di imprenditorialità con lo scopo di raggiungere obiettivi e la ricerca di nuove metodologie gestionali d’impronta manageriale proprie di una cultura d’impresa privatistica e fino a qualche anno fa estranee a queste istituzioni. Si è così dato inizio ad un processo che è destinato a dinamizzare e flessibilizzare un settore sinora bloccato in logiche gestionali tipiche delle strutture pubbliche. In quest’ottica di revisione dell’assetto gestionale dei teatri è stata tra l’altro fatta emergere la necessità di reperire risorse umane con nuove competenze. Proprio per dare risposta a tali necessità sono nati negli ultimi anni dei corsi presso le Università e altre istituzioni scolastiche grazie a facoltà dedicate alla formazione di queste nuove figure, anche con presidi formativi fortemente collegati alle Fondazioni stesse. Tra gli elementi più importanti presi in considerazione come unità vi è sicuramente quello legato alle aree del marketing e del fund raising ormai considerati strategici per una moderna gestione di un teatro lirico. Tuttavia occorre preventivamente chiarire il quadro di riferimento concettuale che è presente dietro alle politiche di marketing dei teatri lirici in Italia. Un modello compiuto per il marketing dei teatri lirici, serve a dissolvere le titubanze e le incertezze che, in casi limite, spesso spingono alcuni operatori del settore a mettere in dubbio addirittura l’esistenza e l’utilità di un marketing per i teatri lirici e per le imprese culturali in genere. In questi casi il termine “marketing” viene anacronisticamente considerato nella sua accezione più

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tradizionale2 e quindi associato ad un processo di schietta derivazione economicista. In realtà, esso non deve essere inteso come mero soddisfacimento dei gusti del pubblico (da cui si pensa derivi fatalmente la banalizzazione e la volgarizzazione della proposta artistica e la degradazione dell’opera d’arte da oggetto dotato di valore estetico a prodotto di consumo). Il filone di autori che si sono occupati di marketing culturale hanno da tempo risolto la questione, apportando correttivi alle definizioni tradizionali di marketing, con lo scopo di preservare il primato di un atto creativo, obbediente a motivazioni di tipo estetico e slegato dall’obbligo di soddisfacimento commerciale dei gusti del pubblico. In tal senso appare particolarmente convincente una definizione data di recente da François Colbert secondo cui il marketing culturale è: “…l’arte di raggiungere quei segmenti di mercato che possono potenzialmente essere interessati al prodotto, adattando le variabili commerciali (prezzo, distribuzione e promozione) al prodotto, per mettere il prodotto in contatto con un sufficiente numero di consumatori e per raggiungere gli obiettivi coerenti con la missione dell’impresa culturale.” (Colbert 2000) In tale definizione le tecniche gestionali di marketing management appaiono al servizio della diffusione dell’opera nel pubblico potenzialmente interessato, dove invece un approccio economicistico puro spingerebbe la finalità commerciale alla creazione di un prodotto per uso e consumo del pubblico. Tale definizione sembra essere del tutto compatibile e funzionale a strutture che, come i teatri lirici italiani, si pongono come mission l’educazione musicale della collettività; la metodologia di marketing culturale che questo e altri modelli additano sembrano quindi essere di grande utilità per una moderna gestione dei teatri lirici. 2

“Un complesso di attività programmate-organizzate-controllate che partono dallo studio del clienteconsumatore sono volte al conseguimento degli obiettivi (aziendali) di medio e lungo termine attraverso la soddisfazione del cliente consumatore.” (Cherubini, Eminente 2005)

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Tuttavia, il modello di marketing qui delineato, al pari di altri approcci al marketing culturale, appare necessario ma non del tutto sufficiente per una sua convincente applicazione alle attività musicali in un modello coerente; il limite in questi casi, è non tener conto adeguatamente, e nella loro specificità, delle dinamiche connesse ai gusti musicali e alla loro diffusione nella società. In altre parole, ad esempio, se si parla di “comportamenti del consumatore”, è possibile ipotizzare processi decisionali peculiari del consumo musicale, distinti e diversi rispetto al consumo di altre espressioni artistiche. In questa direzione appare opportuna un’indagine sulle dinamiche sociali e psicologiche che caratterizzano la domanda del pubblico della musica. (Colbert 2000). Occorre in tal senso identificare l’identità di un pubblico avente motivazioni e bisogni che sono molto diversi rispetto a quelli dell’epoca in cui gran parte delle opere liriche furono composte. Così, nell’ottocento, in una società protoindustriale, la funzione sociale del teatro d’opera era quella di contenitore di eventi spettacolar-mondani, sia pure di ottimo spessore culturale, destinati ad un pubblico perlopiù omogeneo, rappresentante una società poco mobile, con una domanda rigida e con un’attitudine ad un ascolto passivo di opere composte in epoca coeva al pubblico stesso. Nella società odierna invece il teatro lirico va sempre più configurandosi come una sorta di agenzia elargitrice di servizi culturali per un pubblico variegato e stratificato, molto più mobile socialmente, con una domanda flessibile, nel quale l’ascolto di opere musicali del passato sollecita un atteggiamento “inter/attivo” di conoscenza/contestualizazione storico-artistica. Un pubblico insomma, che nella complessa società dell’informazione, è interessato ad incrementare il proprio “capitale culturale” (Pinto 2002).

In un processo quindi di relativa privatizzazione delle strutture, di maggiore esposizione ad un mercato sempre più competitivo, i fabbisogni più rilevanti sono quelli relativi alla formazione di una struttura di governance e di piani di azione legati al reperimento di pubblico e di risorse economiche nuovi.

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In base a quanto detto le azioni principali dei teatri dovrebbero per questo essere tese al raggiungimento di alcuni obiettivi essenziali: 1. Adeguato posizionamento strategico dell’offerta del teatro: attiene a quella pianificazione di marketing finalizzata a caratterizzare l’offerta del teatro in modo da renderla vincente e di successo nei terreni di confronto con competitors esterni (ad esempio altri teatri lirici) ed interni (ad esempio artisti). L’importanza di tale funzione fa leva sulla flessibilità e mobilità di un pubblico che per preferire l’offerta lirica alla miriade di alternative possibili, deve trovarsi di fronte ad una proposta artistica ben posizionata nel mercato e distinguibile dalle altre. La banalizzazione della proposta artistica, l’apertura a-critica alla musica leggera, non sembrano assicurare il favore di un pubblico, i cui “processi decisionali” appaiono non estemporanei e spesso mediati da riferimenti e suggestioni culturali (seguiti per convinzione o conformismo poco importa). Più profittevoli appaiono proposte chiare che afferiscano ad un’identità del teatro storicamente attestata che permettano di generare nel pubblico dei potenziali fruitori la conoscenza e la valorizzazione del “marchio” e degli elementi valoriali ad esso associati.

2. Azioni di fund raising: afferisce ad un ambito spesso nuovo per i teatri lirici italiani ma richiesto con solerzia dal nuovo assetto legislativo delle Fondazioni. Le esperienze citate di paesi come gli Stati Uniti indicano che un serio piano di fund raising non va disgiunto dalla politica di marketing adottata dal teatro lirico. Il consenso degli stakeholders privati può avvenire solo se essi sono messi in grado di ravvisare una coerenza nella proposta del teatro sulla base di obiettivi di politica culturale chiaramente declinati, e nei quali si possano ravvisare elementi di ritorno di immagine e/o economico. Nello

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specifico dei teatri lirici tale consenso non va costruito sul mero prestigio di una cornice presenzialistico-mondana, peraltro in declino, ma sulla capacità del teatro di porsi in aperta comunicazione con il pubblico di spettatori, dando al sovventore o allo sponsor la possibilità di beneficiare di questo pervio canale comunicativo, in termine di immagine (per le donazioni liberali) o promo-pubblicitari (nel caso delle sponsorizzazioni). Utile potrebbe essere in tal senso l’utilizzo di processi di co-marketing o di operazioni di coproduzione (Pinto 2002).

3. Promozione del prodotto come formazione del pubblico: due ambiti tradizionalmente separati (quello delle iniziative promo-pubblicitarie dell’attività del teatro e quello delle attività formative del pubblico in senso stretto) possono essere unificabili all’interno di una medesima strategia di marketing appropriata al singolo teatro. In tal luce il pubblico non può essere considerato un passivo ricettore delle proposte artistiche. È da rifiutarsi in generale una dimensione “cattedratica” e mono-direzionale dei processi promozionali, pur nel rispetto di una configurazione socio-culturale del pubblico che può variare da un teatro all’altro e che può richiedere modalità d’approccio altrettanto differenziate.

Appare centrale e trasversale a tutti gli obiettivi la capacità delle funzioni marketing dei teatri di indagare sulle implicazioni sociali ed economiche dell’opera musicale, cercando di cogliere i meccanismi della diffusione della musica nella società odierna e di tradurle in una concreta operatività gestionale. Sulla base di quest’ultima osservazione si spiega il nascere di corsi specifici finalizzati alla formazioni di figure da inserire nei tetri lirici.

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4.2

Best practices e comunicazione nelle azioni di marketing dei

teatri Come visto nel paragrafo precedente il fund raising è oggi una via obbligata per le casse delle Fondazioni liriche italiane. Alcuni teatri hanno già capito l’importanza di questo punto e hanno sviluppato specifiche attività in tal senso. Guardando agli esempi fuori dall’Italia troviamo diversi casi interessanti da tenere in considerazione nell’attuazione di un piano di marketing e comunicazione. Azioni di carattere tattico‐strategico finalizzate ad un corretto posizionamento competitivo che hanno generato brand awareness ma soprattutto business (aumento di ricavi). Per la parte media, è interessante notare come in questi ultimi anni molte istituzioni operistiche (in particolare il MET di New York, l’Opera de Paris per il balletto e in Italia il Teatro alla Scala di Milano) abbiano stretto accordi di co‐marketing con cinema, televisione e radio, allo scopo di diffondere presso un pubblico più ampio e meno consapevole la propria offerta culturale. Approfondendo la questione, per il cinema si denota una frequente azione di co‐marketing con alcune case di distribuzione (Microcinema, Nexo Digital per l’Italia, Emerging Pictures per l’estero), specializzate nello streaming nei cinema di opere, concerti e balletti dal vivo, tramite una rete di distribuzione consolidata (ad esempio in Italia esiste un vero e proprio circuito di cinema che propongono l’opera del vivo, tra cui i Multisala The Space presenti su più o meno tutto il territorio nazionale) riuscendo così a portare nel mondo lo spettacolo. Un analogo discorso potrebbe valere per la televisione, anche se si denota la difficoltà di trovare partner televisivi interessati al prodotto opera/musica classica/balletto; tra questi, in Italia si può citare Rai5, in chiaro, e Sky Classica, sul satellite, mentre in Europa sono da citare il canale franco‐tedesco Arte‐ZDF e quello russo TV Kultura. Bisogna però

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aggiungere che, per la televisione, non vale il discorso fatto per il cinema di un’esperienza da vivere in diretta, poiché molto spesso sul piccolo schermo questi vengono proposti in differita, inseriti nel palinsesto nei giorni e negli orari considerati più fruttuosi dalla rete. Per quanto riguarda la radio, invece, in Italia è da segnalare la presenza forte di Radio 3 Rai, quasi completamente dedicata alla musica classica, sia sinfonica che operistica; ciò ha permesso nel corso degli anni di effettuare numerose dirette e differite audio dai principali teatri internazionali, sia di concerti sinfonici che di opere liriche.

Un altro fattore di sviluppo nelle politiche di marketing è stato il web, che ha permesso, a differenza di altri mezzi di promozione, lo sviluppo del concetto di interattività del fruitore. Ciò è stato fatto, in particolare da teatri come La Monnaie de Munt di Bruxelles, attraverso la creazione di una piattaforma web parallela al sito istituzionale, dove vengono caricati una serie di contenuti dinamici (foto, testi, video, ecc) in riferimento alle opere presenti nel cartellone del teatro. Una delle cose interessanti da notare è come su internet si generi la consapevolezza della costruzione step by step dell’opera, il cui debutto è solo il punto d’arrivo di un lungo processo che grazie alla rete può essere documentato e messo a disposizione di tutti: infatti, su MyMM (My Monnaie de Munt, la piattaforma del teatro di Bruxelles) per ogni opera in cartellone è possibile trovare l’intervista al direttore d’orchestra ed al regista, le foto e i video delle prove, gli approfondimenti video e testuali su alcuni aspetti interessanti dell’opera in oggetto, il programma di sala ed infine lo spettacolo vero e proprio, proposto in streaming in diretta in occasione della prima e successivamente messo on‐demand per un mese a partire dalla prima. È da notare come, in questo processo, lo spettacolo vero e proprio è solo una parte di un processo di awareness da parte del fruitore nei confronti dell’opera: è emblematico il caso del Teatro Carlo Felice di Genova che, unico teatro in Italia a proporre lo streaming delle proprie opere, ha ottenuto risultati

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sensibilmente minori proprio per la mancanza di tutto il processo precedente la messa in scena dello spettacolo. Un’altra modalità interessante di piattaforma web è quella proposta dal MET di New York che invece propone la visione on‐demand di una serie di spettacoli integrali che hanno fatto la storia del teatro per allestimento, direzione artistica o qualità degli attori. La piattaforma viene man mano aggiornata secondo i fini del teatro (ad esempio, nel caso di una messinscena de “Il Trovatore”, possono essere caricati precedenti allestimenti dello stesso spettacolo, così da incuriosire l’utente e al tempo stesso permettergli di fare dei confronti tra il presente e il passato).

Un altro settore cruciale su cui si sono orientate con successo le politiche di marketing delle istituzioni operistiche internazionali è quello della formazione ed acquisizione del target giovanile, che viene invogliato attraverso una serie di iniziative già a partire dalla scuola primaria a sviluppare una passione nei confronti del teatro operistico. Nell’ambito delle scuole, sia primarie che secondarie, vengono organizzate delle visite in teatro alla scoperta dell’opera, ovviamente con gradi di comprensione e difficoltà diversi; è importante notare che queste giornate non sono, come succede spesso nei teatri italiani, dei semplici momenti di visita guidata del teatro‐museo visto come bene storico da preservare, ma bensì la giornata è caratterizzata secondo criteri di interattività e di modularità. Ad esempio per le scuole primarie oltre alla visita generale del teatro sono stati approntati, dal Sydney Opera House come da La Monnaie di Bruxelles anche degli approfondimenti specifici su dei particolari personaggi dell’opera (Rusalka, Mimì, Oedipe) che, semplificati ovviamente nell’impianto e nei testi, mantenevano però le caratteristiche generali e stimolavano la curiosità dei piccoli utenti. Nelle scuole secondarie invece hanno funzionato molto le visite guidate ai mestieri del teatro (costumistica, scenografia, illuminotecnica, ecc) così come degli atelier specifici su particolari aspetti del teatro operistico,

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spesso anche messo a confronto con le altre arti (Cinema&Opera, Cinema&Letteratura). Infine, ampio lavoro viene anche svolto nella formazione degli insegnanti, motore di collegamento tra il teatro e i giovani, attraverso il tesseramento ad un’associazione che, accanto alle giornate di formazione, propone una serie di benefit per gli insegnanti sessi (la rivista del teatro a casa, la riduzione sui biglietti, ecc).

4.3

Pricing come marketing

Per compulsare ed attirare una serie di target nuovi e fin qui poco ricettivi nei confronti dell’opera, per motivi economici, di scarsa consapevolezza o di poco interesse, negli anni le istituzioni internazionali hanno sviluppato una serie di politiche sui prezzi molto interessanti, proponendo riduzioni significative per alcune categorie di target. Sicuramente lo sforzo maggiore è stato compiuto nei confronti degli under 30, potenziale target duraturo da fidelizzare al teatro. Per far ciò diverse sono state le iniziative, dalla creazione di una card, strumento in grado di fornire agli utenti una serie di benefit (riduzioni sugli spettacoli e sugli abbonamenti, iscrizione alla newsletter del teatro dedicata agli under 30, possibilità di comprare i biglietti Last Minute a prezzo scontato) all’istituzione di un corposo indirizzario da poter compulsare per iniziative future, alla semplice riduzione di prezzi su biglietti ed abbonamenti (in una percentuale compresa tra il 30 e il 50%). Attenzione è stata data anche agli studenti universitari, in particolare quelli vicini ai settori specifici del teatro operistico (DAMS, Musicologia, Conservatori, ecc), così come agli stessi docenti universitari. Altre categorie che usufruiscono di una particolare scontistica incentivante sono i disabili e gli amici degli abbonati.

4.4

Il marketing e la comunicazione nelle scelte artistiche

A differenza di quanto avviene in Italia, dove resiste ancora la concezione di bene artistico come un qualcosa da preservare, nel resto del mondo si è cercato

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di venire incontro ai gusti del pubblico attuale, ben diverso da quello che frequentava in massa l’opera lirica di un tempo. Per cercare di far parlare l’opera con linguaggi più moderni e vicini al pubblico, negli ultimi anni è nata l’esigenza, soprattutto a livello scenico, di ibridare la scenografia e la regia teatrale con altri mezzi artistici espressivi e con le nuove tecnologie. E così, molte regie (si veda ad esempio il Teatro Real di Madrid) vengono affidate non più a registi specifici del teatro operistico, ma a celebri registi cinematografici internazionali (ben più conosciuti al grande pubblico), esponenti delle performing arts contemporanee (in grado di parlare il linguaggio contemporaneo). Inoltre vengono prese in considerazione tecnologie moderne come schermi video in luogo della scenografia tradizionale o un uso dinamico delle luci, dell’azione, nel tentativo di rendere il linguaggio operistico tradizionale più simile al linguaggio cinematografico o delle performing arts. Il primo teatro ad inaugurare con successo questa nuova pratica è stato il Reina Sofia di Valencia che, in co‐produzione con il Festival del Maggio Fiorentino, ha affidato la regia del ring wagneriano ad Alex Ollè del collettivo La Fura dels Baus, storica compagnia di teatro contemporaneo che mescolava nelle sue opere un uso avanzato di tecnologia, nuovi media ed interattività. Inoltre, negli ultimi anni è sorta la tendenza, sempre a livello internazionale, di produrre nuove opere, da parte di nuove generazioni di compositori (Azio Corghi, Ivan Fedele, Paolo Francesconi, ecc) ed anche creare nuove ibridazioni tra teatro di prosa, musical ed opera lirica (come nel caso degli ultimi spettacoli di Bob Wilson, prodotti da istituzioni operistiche come il Theatre National di Praga o il Teatro Real di Madrid), allo scopo di svecchiare l’immagine dell’opera lirica tradizionale e renderla più appetibile nei confronti del nuovo pubblico.

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4.5

Servizi a teatro: nuovi approcci

Ultimo, ma non meno importante, è la concezione dello spettacolo operistico solo come una parte dell’esperienza compiuta dal fruitore. E così, sono sorte ad esempio negli ultimi anni una serie di attività ristorative, costruite in modo da interfacciarsi con gli orari degli spettacoli, permettendo a chi volesse di potersi ristorare dopo lo spettacolo, cosa che spesso la tarda ora rendeva impossibile. In alcuni casi, come il MET di New York o la Sydney Opera House, è possibile anche scegliere tra una serie di attività di tipo ristorativo la più confacente alle esigenze e le possibilità del pubblico: dal locale di tono elegante al wine bar‐bistrot. In altri casi, in particolare in Italia, ci si è convenzionati con attività pre‐esistenti, molto spesso gestite da cuochi di rilevanza nazionale, che garantiscono un turno post‐spettacolo a coloro i quali vogliano fermarsi a ristorarsi (ad esempio Gualtiero Marchesi alla Scala di Milano o Giovanni Rana all’Arena di Verona). Molti teatri inoltre, in particolare il MET di New York o la Sydney Opera House, garantiscono anche una serie di informazioni di carattere turistico per gli spettatori in visita: dalle cose imperdibili da visitare in città ad una serie di itinerari consigliati, l’istituzione teatrale permette così al fruitore di potersi organizzare su misura il suo viaggio, di cui lo spettacolo operistico è solo una parte, seppur centrale.

4.6

Alcune criticità legate al marketing culturale

Alla luce degli esempi appena citati è bene porre l’attenzione su alcuni aspetti critici che potrebbero insorgere nell’applicazione di azioni di marketing ai teatri d’opera e più in generale ai beni culturali. Tali aspetti sono in grossa parte già stati affrontati e risolti nell’applicazione delle leve di marketing in ambiti industriali, ma, data la specificità dell’“oggetto culturale” presentano nodi ancora da risolvere se applicati in ambito culturale.

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Un primo problema di fondo concerne il campo d’azione del marketing nel processo di produzione culturale. La prospettiva tradizionale interpreta il marketing come un intermediario nel sistema della produzione culturale, perché si limita ad assumere il prodotto culturale, addizionargli significati simbolici, e comunicarlo ad un fruitore che, a sua volta, assume i significati trasferiti e li elabora durante la fase di consumo In questo processo, i ruoli di produttore, responsabile marketing e fruitore sono considerati diversi e separati, così come le fasi di produzione, distribuzione e consumo del prodotto artistico. Si escludono però in questo modo dal campo d’azione del marketing sia l’interazione co-creativa con il fruitore, sia il contributo dovuto all’interazione tra fruitori (nonostante il “prodotto opera” sia a fruizione collettiva).

Un altro problema riguarda il fatto che le prospettive adottabili nelle prassi di marketing culturale sembrano in netta prevalenza focalizzate sui fruitori, tendono cioè a lasciare in secondo piano gli altri portatori di interesse come i finanziatori, il personale dell’organizzazione, la comunità locale. Ciò significa, ad esempio che attualmente non disponiamo di modelli sufficientemente completi per capire le motivazioni di una sponsorizzazione culturale oppure gli effetti delle politiche di marketing esterno sull’organizzazione interna del personale (cose ormai consolidate in ambito industriale). Se un prodotto culturale viene realizzato non solo per qualcuno, ma anche con qualcuno (un insieme di portatori di interesse), ovvero se il valore nasce dall’interazione di diversi soggetti, si dovrebbe applicare anche al prodotto stesso l’idea di un approccio più bilanciato tra gli stakeholder del sistema.

Un ultimo problema si riferisce al frequente utilizzo scollegato degli strumenti di marketing afferenti ai diversi approcci. Questo comportamento diffuso comporta:

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• la perdita delle sinergie che le leve di marketing, se vengono opportunamente coordinate e collegate tra loro, sono in grado di generare; • una difficoltà di coordinamento temporale delle azioni di marketing, in quanto ogni strumento ha tempi differenti di attivazione e di effetto. Ciò è ancora più critico in prodotti come le opere che possono avere caratteri di stagionalità. Si crea infatti un periodico naturale allentamento nelle relazioni con i clienti o un effetto disapprendimento (ad esempio quando il cliente appartiene alla fascia senior e deve usare nuove tecnologie una volta all’anno (booking telematico, card, ecc) (Casarin 2009).

4.7

Conclusioni

Alla luce di quanto analizzato nei capitoli precedenti si prospetta per le Fondazioni lirico-sinfoniche la necessità di trovare nuove strategie di azione e nuove frontiere nella ricerca di finanziamenti. L’attenzione ai costi è sicuramente uno dei punti fondamentali ed è in alcuni casi già stata realizzata da diverse Fondazioni. Ma questo non basta.

Le ricerca di nuovi progetti deve essere messa in primo piano rispetto a quanto avvenuto in passato e ciò va realizzato: • creando nuovi modelli di governance; • sviluppando ed inserendo nei teatri professionalità specificamente formate; • modificando gli obiettivi strategici di marketing con finalità non più meramente comunicative, ma con l’obiettivo di sviluppare il brand della Fondazione. Questo consentirà nel lungo periodo di portare avanti azioni di fund raising che permettano di trovare nuovi soggetti (non più solo pubblici) interessati a contribuire al finanziamento e allo sviluppo della Fondazione.

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La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Art. 9, Costituzione Italiana

Lo Stato considera l’attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale. Per la tutela e lo sviluppo di tale attività lo Stato interviene con apposite provvidenze. Art. 1, Legge n.800/67

Ringraziamenti A conclusione di questo lavoro non può mancare un pensiero a tutte le persone che l’hanno reso possibile nonostante le difficoltà logistiche ed i tempi strettissimi. Il primo ringraziamento va sicuramente alla mia famiglia ed in particolare a mia madre che ha pazientemente corretto tutto il mio elaborato. Un grazie speciale va poi a Fabrizio che, sebbene lontano, ha sempre saputo farsi sentire vicino. Ringrazio poi il dott. Chiarot che mi ha dapprima accolto all’interno del teatro per uno stage e mi ha poi consentito di preparare questa tesi con lui, seguendomi nonostante i suoi numerosi impegni. Un pensiero va poi alla Prof.ssa Belgeri correlatrice di questa tesi, a Laura Coppola (mia tutor durante il periodo di stage), a Lorenza ed a tutti i miei colleghi e professori del corso di Management.



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