ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE ROMA
Corso di diploma accademico di secondo livello in Management Musicale
TESI
LA NORMATIVA DELLO SPETTACOLO: DIRITTI FONDAMENTALI E CARENZE LEGISLATIVE
Relatore: Prof. Giovanni Oliva
Correlatore: Prof.ssa Gisella Belgeri
Gianluca Della Rosa Matricola: 1489 BN
Anno accademico 2011/2012!
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE
CONSERVATORIO DI MUSICA “S. CECILIA” ROMA
Corso di diploma accademico di secondo livello in Management Musicale
TESI
LA NORMATIVA DELLO SPETTACOLO: DIRITTI FONDAMENTALI E CARENZE LEGISLATIVE
Relatore: Prof. Giovanni Oliva
Correlatore: Prof.ssa Gisella Belgeri
Gianluca Della Rosa Matricola: 1489 BN
Anno accademico 2011/2012
Indice Introduzione .......................................................................................................... 3 Capitolo 1 Principi e definizioni provenienti dal diritto internazionale, “prima fase di ispirazione normativa”............................................................................... 4 Capitolo 2 La Costituzione della Repubblica Italiana, “seconda fase di ispirazione normativa” ........................................................................................ 33 2.1 Costituzione formale, principi giuridici e loro applicazione sostanziale nell’ambito dello spettacolo............................................................................ 33 2.2 Costituzione materiale prima della riforma del titolo V, riflessioni sul sistema dello spettacolo ...................................................................................44 2.3 La riforma del titolo V, le competenze in ambito di spettacolo ............... 60 2.4 Il Disegno di Legge Costituzionale Riforma del Titolo V presentato il 15 ottobre 2012 .................................................................................................... 71 Capitolo 3 Alcune Osservazioni sulla Cultura dal Mondo dei mass media ........ 83 Capitolo 4 I Disegni di Legge sullo Spettacolo dal Vivo dopo la Legge Costituzionale n.3/2001....................................................................................... 94 4.1 XV legislatura, il DDL di Andrea Colasio ............................................... 94 4.2 XVI legislatura, il DDL bipartisan con testo unificato dalle Onorevoli Carlucci e De Biasi ....................................................................................... 109 4.3 Osservazioni Conclusive......................................................................... 116 Bibliografia e legislazione di riferimento ......................................................... 118 APPENDICE..................................................................................................... 120
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Introduzione L’idea di affrontare il tema dello spettacolo partendo dai diritti fondamentali elaborati nel tempo da ordinamenti giuridici come quelli dell’Organizzazione delle Nazioni Unite o della Repubblica Italiana attraverso la Costituzione, sia nel testo del 1947 sia nelle successive modifiche o proposte di riforma costituzionale, ha animato la stesura di questo lavoro. È pur vero che nei documenti esaminati non se ne parla mai esplicitamente e solo nel 2003 compare un riferimento alle “arti dello spettacolo” nella Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO; l’ipotesi di fondo, però, è quella che indagando tra le fonti del diritto possa manifestarsi la giusta legittimazione dello spettacolo quale componente strutturale della cultura e diritto fondamentale per i cittadini. Il quadro qui rappresentato, lungi dal voler essere esaustivo, mostra come l’acquisizione dei diritti fondamentali è stata lenta e tortuosa, spesso bisogna saper “leggere tra le righe”, ma i principi che affiorano risplendono e illuminano anche l’oscurità in cui è stato immerso finora lo spettacolo ed in particolare le arti della rappresentazione dal vivo. L’auspicio è che coloro che hanno la responsabilità legiferante possano finalmente dotare la Repubblica di strumenti normativi all’avanguardia che valorizzino e regolamentino il settore dello spettacolo dal vivo in Italia.
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Capitolo 1 Principi e definizioni provenienti dal diritto internazionale, “prima fase di ispirazione normativa”
La produzione di testi legislativi nazionali e regionali riguardanti le attività culturali, pur nella sottospecificità di settore dello spettacolo dal vivo, non può esimersi dal trovare la propria base in principi e definizioni contenuti in carte fondamentali del diritto internazionale. Questo breve excursus vuole dimostrare che attingendo ad alcuni documenti condivisi a livello sovranazionale, il legislatore italiano può inquadrare problematiche con maggiore facilità, mutuare definizioni e radicare in modo saldo i propri progetti di riforma, rendendoli sin dall’inizio compatibili e condivisibili al di là dei confini nazionali. I contenuti potrebbero già in partenza assumere carattere di “modernità” in quanto composti dello stesso “materiale atomico” che costituisce un quadro di principi costantemente aggiornati e contrattati a livello mondiale. Chiamerò questo approccio “prima fase di ispirazione normativa”, cioè un primo passo di ricerca in una panoramica di concetti generali che possono avere attinenza con la tematica “spettacolo dal vivo” e che ispirano un rinnovamento della prospettiva di osservazione dell’oggetto. Il punto di vista è quello del cultore della materia di diritto dello spettacolo, ma lo sforzo è in comune con coloro che intendono proporre modifiche al quadro normativo del settore in Italia, da sempre frammentario, episodico e provvisorio. Segue una “seconda fase di ispirazione normativa”, tappa obbligata attraverso la Carta Costituzionale della Repubblica Italiana e nella successiva formulazione del titolo V della seconda parte. Come punto di partenza del percorso elaboro una semplice catena di parole chiave legate al tema SPETTACOLO DAL VIVO SPETTACOLO-ARTE-MUSICA-TEATRO-DANZA-COMUNICAZIONESOCIALIZZAZIONE- CULTURA- BENI CULTURALI- ISTRUZIONEPERSONA- DIRITTI DELLA PERSONA- UOMO 4/121
Questa lista è senz’altro frutto di una mia selezione personale e condizionata dai valori in cui credo, ma qualunque azione di ricerca ha come punto di partenza le previsioni e l’ipotesi di lavoro del suo autore, sottoposte successivamente alle verifiche dell’analisi quantitativa. Nel caso specifico non si compirà alcuna sperimentazione ma si stabiliranno delle semplici correlazioni. Ipotizzo esistano forti correlazioni tra lo spettacolo dal vivo e la comunicazione tra esseri umani, e la comunicazione è parte integrante della socializzazione: processo di trasmissione della cultura, azione irrinunciabile per la sopravvivenza del genere umano, la cultura è composta oltre che da usi e costumi da beni cioè prodotti dell’ingegno e creatività umana, essi sono parte di un patrimonio di crescita morale e spirituale irrinunciabile a cui i membri della società possono accedere attraverso l’istruzione, lo spettacolo stesso è sapere, conoscenza, formazione e ogni persona ha il diritto di accedere e fruirne come per la scuola; esiste un quadro normativo internazionale che stabilisce i diritti di ogni persona e dell’uomo in generale e a questo corpus devo attingere per individuare la prospettiva migliore di ricerca.
ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE: DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO (ANNO 1948)
Articolo 27 1. Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, a godere delle arti e a partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici. 2. Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni 5/121
produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore. Il principio esposto al comma 1 è incontrovertibile, ciascuna persona viene messa nelle condizioni di partecipare alla vita sociale della propria comunità e ad accedere ai prodotti della cultura (arti, progresso scientifico e tecnologico). Il comma 2 tutela la proprietà intellettuale della produzione scientifica, artistica e letteraria. Nel precedente articolo 26 la convenzione si occupa di istruzione1 ribadendo che deve essere aperta a tutti, obbligatoria e gratuita almeno per il percorso di base, fondata sul merito e finalizzata a promuovere lo sviluppo della persona umana, al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. I principi da trasmettere mediante l’educazione sono: la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi.
ONU - Organizzazione delle Nazioni Unite: patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966) ratificato dal parlamento italiano con LEGGE 25 ottobre 1977 n. 881 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 333 del 7 dicembre 1977 - S.O.) Parte III Articolo 15. 1. Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo: a) a partecipare alla vita culturale; 1
Articolo 26 Dichiarazione dei diritti dell’uomo, ONU 1948 1. Ogni individuo ha diritto all'istruzione. L'istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L'istruzione elementare deve essere obbligatoria. L'istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l'istruzione superiore deve essere egualmente accessibile a tutti sulla base del merito. 2. L'istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l'amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi, e deve favorire l'opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
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b) a godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni; c) a godere della tutela degli interessi morali e materiali scaturenti da qualunque produzione scientifica, letteraria o artistica di cui egli sia l'autore. 2. Le misure che gli Stati Parti del presente Patto dovranno prendere per conseguire la piena attuazione di questo diritto comprenderanno quelle necessarie per il mantenimento, lo sviluppo e la diffusione della scienza e della cultura. 3. Gli Stati Parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà indispensabile per la ricerca scientifica e l'attività creativa. 4. Gli Stati Parti del presente Patto riconoscono i benefici che risulteranno dall'incoraggiamento e dallo sviluppo dei contatti e dalla collaborazione internazionale nei campi scientifico e culturale. L’articolo citato conferma quanto indicato in precedenza riguardo al riconoscimento ad ogni individuo del diritto a partecipare alla vita culturale, ma in aggiunta, il comma 2 stabilisce che i singoli governi devono prendere delle misure per agevolare la partecipazione di tutti i cittadini alla vita culturale e ai progressi della scienza: esso specifica che tra le misure poste in essere per realizzare il diritto sostanziale in questione devono
comprendersi quelle
necessarie al mantenimento, sviluppo e diffusione di scienza e cultura. Non possiamo evitare di considerare che la ricerca scientifica e le attività culturali per continuare nel loro cammino hanno bisogno di risorse economiche, pertanto gli stati non possono disinteressarsi di questo dettaglio e devono intervenire in modo adeguato. La tematica è quanto mai attuale e controversa. In questa fase preme sottolineare il principio di fondo: un organo internazionale, più di quarant’anni fa, ha sancito che la cultura è meritevole di interventi di sostegno economico del governo per il semplice motivo che è un settore che deve essere mantenuto, sviluppato e diffuso nell’interesse di tutti i cittadini. Il comma 3 7/121
afferma un principio altrettanto importante: l’arte e la scienza sono liberi e vanno rimossi tutti i condizionamenti politici- economici che ne ostacolino l’esercizio in piena autonomia. L’articolo si conclude con il comma 4 in cui si afferma il principio della collaborazione tra gli stati nel promuovere cultura e ricerca scientifica, gli strumenti di attuazione della collaborazione vengono descritti nel successivo articolo 232, i contatti avvengono attraverso modalità specifiche previste dal patto: convenzioni, raccomandazioni, prestazione di assistenza tecnica e organizzazione di riunioni di consultazione e studio anche a livello regionale. Il patto non precisa altro e costituisce un primo passo, un contenitore formale che potrà essere riempito da enunciati provenienti da atti successivi. In sintesi i punti nodali fin qui individuati nei due documenti esaminati sono: Diritto soggettivo di qualunque essere umano a partecipare alle attività culturali e di godere liberamente delle arti senza alcuna limitazione politica ed ideologica Sostegno materiale dei governi alla cultura e all’attività artistica Collaborazione internazionale nel promuovere e salvaguardare qualunque attività culturale e nel garantire il diritto soggettivo a fruirne liberamente Il percorso di analisi dei documenti internazionali passa necessariamente attraverso convenzioni, dichiarazioni e raccomandazioni emanate dalla Conferenza generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO). Quest’organismo, con sede a Parigi, nell’arco di poco più di un trentennio mette a punto gradualmente dei dispositivi innovativi e ampliamente condivisi a difesa del patrimonio culturale mondiale. Questa operazione tocca in qualche modo anche lo spettacolo dal vivo, anche se 2
Articolo 23. patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966)
Gli Stati Parti del presente Patto convengono che le misure di ordine internazionale miranti all'attuazione dei diritti riconosciuti nel Patto stesso comprendono, in particolare, la conclusione di convenzioni, l'adozione di raccomandazioni, la prestazione di assistenza tecnica e l'organizzazione, di concerto con i governi interessati, di riunioni regionali e di riunioni tecniche a fini di consultazione e di studio. 8/121
in modo marginale, e per individuarne i riferimenti occorre leggere tra le righe di trasformazioni lente e difficoltose.
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UNESCO CONVENZIONE RIGUARDANTE LA PROTEZIONE SUL PIANO MONDIALE DEL PATRIMONIO CULTURALE E NATURALE PARIGI 16.11.1972 (ratificata dal Parlamento Italiano con L. N. 184 DEL 06.04.1977 GU N. 129 DEL 13.05.1977) I. Definizioni del patrimonio culturale e naturale Art. 1 Ai fini della presente Convenzione sono considerati «patrimonio culturale: • i monumenti: opere architettoniche, plastiche o pittoriche monumentali, e le strutture di carattere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elementi di iscrizioni, grotte e gruppi di elementi di valore universale eccezionale dall’aspetto storico, artistico o scientifico, • gli agglomerati: gruppi di costruzioni isolate o riunite che, per la loro architettura, unità o integrazione nel paesaggio hanno valore universale eccezionale dall’aspetto storico,artistico o scientifico, •
i siti: opere dell’uomo o opere coniugate dell’uomo e della natura, come anche le zone, compresi i siti archeologici, di valore universale eccezionale dall’aspetto storico ed estetico, etnologico o antropologico.
La Conferenza fornisce una prima definizione di “Patrimonio Culturale”, che possiamo definire “materiale”. Il concetto di patrimonio è strettamente connesso a fattori oggettuali, si parla sì di opere riconosciute universalmente di valore eccezionale dal punto di vista storico- artistico- scientifico, ma queste sono classificate in tre categorie: monumenti, agglomerati architettonici, siti creati dall’uomo o dal rapporto di questi con la natura. L’opera umana è dunque riconosciuta come testimonianza tangibile presente o passata, rappresentata da edifici, costruzioni, oggetti materiali, nessun riferimento a patrimonio “altro” costituito dalla tradizione orale e dai prodotti simbolici della cultura che non possono essere toccati con mano. Paradossalmente gli aspetti storici ed estetici, 10/121
quelli etnologici e antropologici vengono riconosciuti solo se lasciano traccia in prodotti materiali altrimenti non sono compresi nelle tutele internazionali. Sono dunque escluse, almeno per il momento, arti come teatro, musica e danza caratterizzate nella loro rappresentazione dal vivo e le manifestazioni del folclore popolare. Proseguendo nel percorso analitico, incontriamo un secondo documento UNESCO, datato 15 novembre 1989. Sono passati quasi vent’anni dalla pubblicazione della Convenzione, la conferenza finalmente sente il bisogno di integrare il quadro delineato in precedenza, provvedendo alla tutela di altre forme culturali. Decide di farlo, ai sensi dell’articolo 4 paragrafo 4 dell’atto costitutivo, sotto forma di raccomandazione e invitando gli stati ad intervenire con urgenza adeguando le normative nazionali. Per il nostro lavoro, interessa la definizione contenuta alla lettera A.
Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura e del folklore, Parigi 15 novembre 1989 A. DEFINIZIONE DELLA CULTURA TRADIZIONALE E POPOLARE Ai sensi della presente raccomandazione: La cultura tradizionale e popolare è l'insieme delle creazioni di una comunità culturale, fondate sulla tradizione, espresse da un gruppo o da individui e riconosciute come rispondenti alle aspettative della comunità in quanto espressione della sua identità culturale e sociale, delle norme e dei valori che si trasmettono oralmente, per imitazione o in altri modi. Le sue forme comprendono, fra l'altro, la lingua, la letteratura, la musica, la
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danza, i giochi, la mitologia, i riti, i costumi, l'artigianato, l'architettura ed altre arti. (sottolineato a fini esplicativi) Si nota come finalmente viene accolta quale meritevole di tutela la cultura che viene trasmessa attraverso mezzi diversi dalla scrittura, dai reperti archeologici e dagli insediamenti umani. La definizione non è molto dettagliata, si parla in generale di trasmissione orale, per imitazione o in altri modi, e si sottolinea che tra le varie forme bisogna comprendere: lingua, letteratura, musica, danza et cetera (arti non menzionate nella convenzione del 1972). Si intravede un riferimento anche se non specifico allo spettacolo dal vivo: la trasmissione dell’identità culturale avviene in “altri modi” e letteratura (quando rappresentata)- musica- danza- giochi sono forme che utilizzano il canale “altro” di comunicazione dello spettacolo dal vivo. Non viene posto, però, alcun accenno ad una ipotetica “immaterialità”, tanto è vero che nell’elenco sono comprese discipline o saperi procedurali che in genere producono “oggetti” concreti tangibili come l’architettura e l’artigianato. La categorizzazione di fondo operata nel documento è la seguente: tutti i prodotti della creatività umana accomunati da caratteristiche di irripetibilità ed estemporaneità (da con confondere con casualità), e tra questi anche le opere d’arte che si creano attraverso lo “spettacolo dal vivo”, sono riconducibili alla cultura popolare e tradizionale perché realizzati sulla base di un sistema di conoscenza, trasmissione e riproduzione di tipo orale e/o pratico (Know- how): ed ecco spiegato perché architettura ed artigianato ne fanno parte a pieno titolo. Constatato che un primo passo positivo è quello di aver stabilito riconoscimento anche per queste forme di creatività, occorre proseguire l’analisi delle elaborazioni concettuali UNESCO successive per approdare, sempre leggendo tra le righe, a conclusioni meglio definite in relazione al tema “spettacolo dal vivo”. Oltretutto non esiste ancora piena tutela per le forme di espressione in elenco, perché il riconoscimento avviene con semplice raccomandazione e non con specifica convenzione tra gli stati.
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A distanza di 12 anni viene predisposto il seguente documento, qui è riportato in tabella l’enucleazione commentata di alcune affermazioni chiave contenute nel testo di alcuni articoli:
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DICHIARAZIONE UNIVERSALE DELL'UNESCO SULLA DIVERSITA' CULTURALE Adottata all'unanimità a Parigi durante la 31esima sessione della Conferenza Generale dell'UNESCO, Parigi, 2 novembre 2001 –
Articolo
Sintesi del testo
Premessa
Richiamo alla piena realizzazione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali proclamati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e in altri strumenti giuridici universalmente riconosciuti come il patto internazionale sui diritti economici e sociali (1966)
Articolo 1 “La diversità culturale, patrimonio culturale dell’umanità”
Questo articolo viene riportato integralmente
Articolo 5
I diritti culturali vengono considerati come parte integrante dei diritti dell’uomo, il testo richiama i documenti ONU sui diritti fondamentali
Dichiarazione Universale UNESCO sulla Diversità culturale
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Riportata integralmente, eccetto articolo 6
Affermazioni chiave Riaffermando che la cultura deve essere considerata come l'insieme dei tratti distintivi spirituali e materiali, intellettuali e affettivi che caratterizzano una società o un gruppo sociale e che essa include, oltre alle arti e alle lettere, modi di vita di convivenza, sistemi di valori, tradizioni e credenze.
La cultura assume forme diverse nel tempo e nello spazio. La diversità si rivela attraverso gli aspetti originali e le diverse identità presenti nei gruppi e nelle società che compongono l'Umanità. Fonte di scambi, d'innovazione e di creatività, la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita. In tal senso, essa costituisce il patrimonio comune dell'Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future.
Il libero svolgersi di una diversità creativa esige la piena realizzazione dei diritti culturali
Ognuno deve quindi avere la possibilità di esprimersi, di creare e diffondere le proprie opere nella lingua di sua scelta e, in particolare, nella lingua madre; ognuno ha diritto a una educazione e formazione di qualità che rispettino pienamente la sua identità culturale, ognuno deve poter partecipare alla vita culturale di sua scelta, ed esercitarne le forme, nei limiti imposti dal rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà
Commento Definizione globale di cultura: essa comprende tutte le forme di espressione dell’essere umano nelle sue caratteristiche materiali-spirituali- intellettuali e affettive. Ricomposizione della frattura tra materiale e spirituale, intellettuale ed affettivo, integrazione tra tutte le forme d’arte con modi di vita, valori e credenze. Riconoscimento della società e dei gruppi sociali che la compongono La cultura è composta da forme diverse nel tempo e nello spazio, quindi deve essere riconosciuta e difesa nella sua molteplicità e differenziazione. L’originalità creativa è un punto di forza. Il testo utilizza un paradigma tratto dalle scienze naturali: la diversità culturale del genere umano è necessaria quanto la biodiversità presente in natura.
I diritti culturali si attuano consentendo a ciascuna attività creativa nella sua diversità di realizzarsi liberamente.
Questa affermazione rappresenta una sintesi delle affermazioni contenute in precedenti documenti ONU e UNESCO ma in relazione al riconoscimento della diversità culturale: viene sancito per ciascun individuo il diritto di espressione, formazione ed educazione, partecipazione alla vita culturale nel rispetto della propria identità culturale.
fondamentali.
Articolo 7 - Il patrimonio culturale, alle fonti della creatività
Articolo 11 Creare partenariati tra settore pubblico, settore privato e società civile
Riportato integralmente
Riportato integralmente
Ogni creazione affonda le sue radici nelle tradizioni culturali, ma si sviluppa a contatto con altre culture. Per questa ragione il patrimonio culturale, deve essere preservato in tutte le sue forme, valorizzato, e trasmesso alle generazioni future in quanto testimonianza dell'esperienza e delle aspirazioni dell'umanità, e al fine di alimentare la creatività in tutta la sua diversità e di favorire un vero dialogo interculturale. Le forze del mercato non possono da sole garantire la tutela e la promozione della diversità culturale, garanzia di uno sviluppo umano durevole. In questa prospettiva, è opportuno riaffermare il ruolo fondamentale delle politiche pubbliche, in partenariato con il settore privato e con la società civile.
La creazione è un atto del genio umano e avviene attraverso il confronto della tradizione di appartenenza con schemi e messaggi provenienti da altre culture.3 Il richiamo alla salvaguardia, valorizzazione e trasmissione del patrimonio culturale nella sua diversità è fondamentale per non interrompere il circolo creativo e il dialogo tra i popoli.
Importante riferimento alla necessità di sostenere la cultura nella sua diversità con politiche adeguate. Rispetto alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art.27) al sostegno pubblico viene integrato dal partenariato con il settore privato e la società civile.
Volendo fare una sintesi del documento e leggere tra le righe alla ricerca di elementi interessanti a supporto della tutela dello spettacolo dal vivo, si può osservare che il testo all’art 1 propone un primo tentativo di ricomposizione tra elementi “materiali” e “spirituali-affettivi” nella classificazione del patrimonio culturale: è cultura tutto ciò che l’uomo produce sia di materiale che di intellettuale o spirituale, in una dimensione di globalità che rappresenta l’essere umano stesso nella sue sfaccettature. Nella elaborazione concettuale degli esperti dell’UNESCO,
gradualmente
si
configura
una
prospettiva
rivolta
al
riconoscimento e tutela complessiva di tutte le forme di creatività umana (materiali o immateriali) presenti, passate e diversamente collocate a livello geografico. Il principio del rispetto e salvaguardia della “diversità culturale” è l’anello di congiunzione verso il nuovo corso, ciascun individuo è apprezzato per le sue caratteristiche personali e di appartenenza di gruppo, ad una tradizione collocata all’interno di un sistema di organizzazione sociale legato ad un’area 3
Esempio: l’incontro tra le tradizioni etniche africane e il patrimonio musicale eurocolto negli Stati Uniti d’America è stato il catalizzatore fondamentale per la nascita del Jazz. 15/121
geografico- culturale specifica. In questa dimensione qualunque forma di espressione e creatività ha diritto di esistere, rappresenta una funzione positiva per l’intera compagine internazionale e deve essere tutelata, conservata e sostenuta con politiche economiche appropriate. La relazione di quanto individuato, a livello generale nel quadro normativo internazionale, con il diritto dello spettacolo dal vivo ad esistere, a veder riconosciuta la propria funzione di attività culturale creativa per il bene di tutta la comunità, anche se non esplicitamente menzionato nei testi di riferimento, ha pregio e merita accoglimento. Nella Dichiarazione Universale UNESCO sulla diversità culturale viene ribadito (vedere tabella precedente) che […]ognuno
ha diritto a una
educazione e formazione di qualità che rispettino pienamente la sua identità culturale, ognuno deve poter partecipare alla vita culturale di sua scelta, ed esercitarne le forme, nei limiti imposti dal rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e lo spettacolo è stato sin dalle sue origini nella cultura greco-romana un mezzo di educazione etico- morale-religiosa (quest’ultimo attributo non poteva essere scisso dal suo referente civile) per il cittadino e una forma di vita culturale. Il cittadino del mondo, alla luce della dichiarazione UNESCO esaminata, ha il diritto di poter scegliere la forma di vita culturale che ritiene più confacente alla sua identità, pertanto lo stato deve garantire la libertà di scelta e tutelare con politiche economiche adeguate la libertà di accesso alla diversità culturale (art 11). La focalizzazione dello sguardo sulla “diversità culturale” porta alla luce l’importanza della “diversità creativa” nelle sue forme e nei suoi contenuti (articolo1, articolo 5). Lo spettacolo dal vivo è diverso nella sua forma creativa dall’opera di arte figurativa o dalle rappresentazioni realizzate mediante registrazione audio o video. Nello spettacolo dal vivo, l’opera d’arte si forma contemporaneamente alla fruizione del destinatario, il pubblico partecipa a livello affettivo, intellettuale, spirituale alla creazione dell’opera d’arte diversamente dalla visione di un quadro che è stato prodotto in un momento precedente alla sua fruizione e che può essere “consumato” e “riconsumato” più volte e in tempi diversi (lo stesso avviene per il cinema). Lo spettacolo dal vivo si basa su hic et nunc, è un momento 16/121
irripetibile ed unico, che anche se riproposto non sarà mai uguale. Lo spettatore è consapevole di essere partecipe di un evento che avviene e si costruisce davanti ai suoi occhi e ne è pervaso con tutto il suo essere provando sensazioni uniche e irripetibili e diverse dalle emozioni vissute dal vicino che assiste alla stessa rappresentazione. Quanto affermato nella premessa del documento in questione (vedere tabella) ha una forte attinenza con questa forma di arte estemporanea (ma non casuale), lo spettacolo dal vivo rispetta e promuove le diversità culturali nelle percezioni del pubblico: ogni persona reagisce in modo diverso.
Entrando
nei
contenuti,
invece,
quanto
trasmesso
in
una
rappresentazione dal vivo può essere vario, differente a seconda dell’autore o della forma d’arte (musica sacra, repertorio sinfonico, da camera, per coro, opera lirica, tragedia, commedia, farsa, balletto). Il libero svolgersi della diversità creativa è riconosciuto dalle varietà di forme e dalla personalità degli artisti (contenuto
dell’opera
ma
anche
valore
aggiunto
dalle
caratteristiche
dell’interprete). Ciascun autore, interprete e genere rappresentano oltre alla individualità, anche una collocazione all’interno di un gruppo sociale, corrente culturale, area geografica. Queste osservazioni non vogliono essere apologia pura dello spettacolo dal vivo, ma rilevare un nesso tra le fonti normative di diritto internazionale e il tema prescelto. Si vuole dimostrare che questi principi giuridici di ordine generale universalmente condivisi a livello internazionale sono il fondamento e il punto di riferimento per una riforma della legislazione del settore in Italia. A tal proposito, continuando l’esame della evoluzione dei principi riguardanti la salvaguardia del patrimonio culturale elaborati dall’UNESCO, osserviamo come gradualmente emerge l’esigenza di delineare un quadro della espressività umana più organico ed armonioso, non esclusivamente fondato sulla testimonianza materiale (monumenti, edifici, siti) ma fortemente interrelato agli aspetti immateriali della cultura dell’uomo nelle forme che sottolineano la continua evoluzione del pensiero. Il termine “immateriale” compare per la prima volta nel 2002 al termine di una tavola rotonda organizzata dall’UNESCO a Istanbul il 16 e 17 settembre sul tema 17/121
“patrimonio immateriale, specchio della diversità culturale” a cui partecipano rappresentanti di 110 paesi, compresi 70 ministri della cultura. I partecipanti al convegno sottoscrivono un documento finale, denominato “dichiarazione di Istanbul”, che contiene alcune istanze importanti: l'eredità del patrimonio immateriale costituisce un insieme di pratiche e abitudini vive e costantemente rinnovate, saperi e rappresentazioni che permettono all' individuo e alla comunità - a tutti i livelli - di esprimere il loro modo di vedere il mondo attraverso sistemi di valori e principi etici dovrebbe prevalere un approccio onnicomprensivo all'eredità culturale tale da far emergere i motivi profondi e la loro stretta interdipendenza nella dinamica del legame fra il patrimonio immateriale e materiale stretta collaborazione con professionisti e testimoni dell'eredità del patrimonio immateriale, consultando e coinvolgendo tutti gli interessati, specificatamente governi, locali e regionali, comunità, la comunità scientifica, istituzioni educative, società civile, settore pubblico e privato come pure i media, al fine di promuovere lo sviluppo delle nuove forme di cooperazione internazionale, per esempio, attraverso la messa a punto di meccanismi di ricognizione, monitoraggi delle più adeguate metodologie e la creazione di networks, mobilitando tutte le risorse possibili e incoraggiando i contributi e lo scambio dei paesi portatori del patrimonio immateriale. In questo atto anche se non viene elaborata una vera e propria definizione di “patrimonio immateriale”, si riconosce il valore di questo quale insieme di pratiche, abitudini, rappresentazioni vive in costante rinnovamento, che consentono di esprimere il modo di vedere il mondo attraverso sistemi di valore e principi etici della società a tutti i livelli: individuo, gruppo sociale, comunità intera. Nel secondo punto emerge la necessità di ricomporre la frattura tra cultura materiale ed immateriale in un quadro onnicomprensivo dell’eredità culturale dove emerge una stretta interdipendenza del patrimonio materiale ed 18/121
immateriale in un legame di tipo dinamico. La promozione e lo sviluppo del patrimonio immateriale, infine, passa attraverso la collaborazione internazionale a tutti i livelli, interessando governi locali e regionali, comunità scientifica ed istituzioni educative, le parti sociale e il settore pubblico e privato. La parola chiave è “cooperazione” a 360 gradi con la sinergia di azioni diverse: ricognizione, inventario, comunicazione mediatica, il tutto attraverso operazioni di interscambio tra i paesi portatori del patrimonio immateriale. Vorrei sottolineare ancora una volta come l’elemento catalizzatore del riconoscimento della cultura immateriale e l’anello di congiunzione tra patrimonio materiale e immateriale è stata la precedente elaborazione giuridica del concetto di “diversità culturale”, non a caso la riunione in questione è intitolata “patrimonio immateriale, specchio della diversità culturale”.A seguito della tavola rotonda di Istanbul, esperti del governo di tutti gli stati membri dell'UNESCO si incontrano a Parigi dal 23 al 27 settembre 2002, con l’intenzione di giungere al più presto alla stesura di una convenzione internazionale sul tema dei beni immateriali (in tale occasione è presentato un abbozzo preliminare), l’anno successivo viene finalmente ultimato il testo definitivo e adottato dalla Conferenza Generale. Viene riportata qui di seguito una selezione commentata degli articoli più interessanti per il tema affrontato in questo lavoro e una sintesi degli strumenti posti in essere dal testo normativo.
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CONVENZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE CONCLUSA A PARIGI IL 17 OTTOBRE 2003 ratificata dal Parlamento Italiano con Legge 27 settembre 2007, n. 167.
La Conferenza generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura denominata qui di seguito UNESCO, riunitasi a Parigi dal 29 settembre al 17 ottobre 2003, nella sua trentaduesima sessione,con riferimento agli strumenti internazionali esistenti in materia di diritti umani, in particolare alla Dichiarazione universale sui diritti umani del 1948, al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966 e al Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, considerando l’importanza del patrimonio culturale immateriale in quanto fattore principale della diversità culturale e garanzia di uno sviluppo duraturo, come sottolineato nella Raccomandazione UNESCO sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folclore del 1989, nella Dichiarazione universale dell’UNESCO sulla diversità culturale del 2001 e nella Dichiarazione di Istanbul del 2002 adottata dalla Terza tavola rotonda dei Ministri della cultura, considerando la profonda interdipendenza fra il patrimonio culturale immateriale 20/121
e il patrimonio culturale materiale e i beni naturali, riconoscendo che i processi di globalizzazione e di trasformazione sociale, assieme alle condizioni che questi ultimi creano per rinnovare il dialogo fra le comunità, creano altresì, alla stregua del fenomeno dell’intolleranza, gravi pericoli di deterioramento, scomparsa e distruzione del patrimonio culturale immateriale, in particolare a causa della mancanza di risorse per salvaguardare tali beni culturali, consapevoli della volontà universale e delle preoccupazioni comuni relative alla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, riconoscendo che le comunità, in modo particolare le comunità indigene, i gruppi e in alcuni casi gli individui, svolgono un ruolo importante per la salvaguardia, la manutenzione e il ripristino del patrimonio culturale immateriale contribuendo in tal modo ad arricchire la diversità culturale e la creatività umana, notando il considerevole impatto delle attività dell’UNESCO nello stabilire strumenti legislativi per la tutela del patrimonio culturale, in particolare la Convenzione per la tutela del patrimonio culturale e dei beni naturali del 1972, notando inoltre che tuttora non esiste alcuno strumento per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, considerando che gli accordi, le raccomandazioni e le risoluzioni esistenti 21/121
relative ai beni culturali e naturali necessitano di essere effettivamente arricchiti e completati per mezzo di nuove disposizioni relative al patrimonio culturale immateriale, considerando il bisogno di creare una maggiore consapevolezza, soprattutto fra le generazioni più giovani, riguardo alla rilevanza del patrimonio culturale immateriale e alla sua salvaguardia, ritenendo che la comunità internazionale dovrebbe contribuire, assieme agli Stati contraenti, alla presente Convenzione per salvaguardare tale patrimonio culturale in uno spirito di cooperazione e di assistenza reciproca, ricordando i programmi dell’UNESCO relativi al patrimonio culturale immateriale, in particolare la proclamazione dei capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità,considerando il rilevante ruolo del patrimonio culturale immateriale in quanto fattore per riavvicinare gli esseri umani e assicurare gli scambi e l’intesa fra di loro,adotta la presente Convenzione il 17 ottobre 2003.
La premessa qui riportata propone una sintesi storica degli strumenti giuridici ONU in vigore riguardanti i diritti umani, civili, culturali ed economici, e dei documenti elaborati dall’UNESCO per la salvaguardia del patrimonio naturale e culturale, indicando fondamentale la stretta interdipendenza tra patrimonio culturale materiale ed immateriale (la frattura è ricomposta definitivamente), individua la minaccia di deterioramento del patrimonio immateriale a causa di mancanza di risorse, sottolinea che questo arricchisce la diversità culturale e la 22/121
creatività umana, prende atto che nonostante il grande impegno profuso dall’Organizzazione a difesa della cultura non esistono ancora strumenti giuridici specifici per la salvaguardia del patrimonio immateriale: pertanto il quadro delle raccomandazioni, accordi e risoluzioni esistenti va arricchito con nuove disposizioni ad hoc.
Art. 2 Definizioni Ai fini della presente Convenzione, 1. per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Ai fini della presente Convenzione, si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto 23/121
reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché di sviluppo sostenibile. 2. Il “patrimonio culturale immateriale” come definito nel paragrafo 1 di cui sopra, si manifesta tra l’altro nei seguenti settori: a) tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio, in quanto veicolo del patrimonio culturale immateriale; b) le arti dello spettacolo; c) le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi; d) le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo; e) l’artigianato tradizionale. 3. Per “salvaguardia” s’intendono le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un’educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale. 4. Per “Stati contraenti” s’intendono gli Stati vincolati dalla presente Convenzione e per i quali la presente Convenzione è in vigore. 5. La presente Convenzione si applica mutatis mutandis ai territori di cui all’articolo 33 che divengono Stati contraenti della presente Convenzione conformemente alle condizioni stabilite in detto articolo. In questo contesto l’espressione “Stati contraenti” si riferisce anche a questi territori.
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Al comma 1 viene finalmente elaborata una definizione precisa di “cultura immateriale”: essa comprende prassi, espressioni, rappresentazioni, conoscenze dichiarative e conoscenze procedurali (Know-how cioè sapere come fare), ma anche strumenti, manufatti e spazi riconosciuti dalla comunità come parte del proprio patrimonio culturale. È veramente un grande passo avanti, non vengono salvaguardate solo le attività culturali ma anche strumenti, edifici, luoghi e spazi connessi al loro esercizio. Riguardo a luoghi e manufatti,con la convenzione del 1972 sul patrimonio naturale e culturale si potevano tutelare esclusivamente gli edifici storici di eccezionale valore (es. nel campo dello spettacolo vi rientrano solo alcuni teatri monumentali) ma con la presente convenzione ricadono nella tutela tutti gli ambienti spaziali (al chiuso o all’aperto) riconosciuti quali punti di aggregazione culturale. Il comma 24 introduce nell’elenco delle attività culturali oggetto di salvaguardia “le arti dello spettacolo”, un chiaro riferimento di appartenenza dello spettacolo ivi compreso quello dal vivo al patrimonio culturale dell’umanità di tipo immateriale. È mia convinzione che in questo punto del trattato internazionale, tra le forme di spettacolo sia intenzione del legislatore tutelare in primo luogo quelle realizzate dal vivo, in quanto le arti dello spettacolo sono nate in origine per la rappresentazione davanti al pubblico ben prima dei sistemi di registrazione audiovisivi, in secondo luogo perché ponendo fine al circuito di manifestazioni ed esibizioni estemporanee sono a rischio di scomparsa prassi, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, knowhow – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi e lo scopo precipuo della convenzione è impedire che ciò avvenga, ed infine l’originaria citazione contenuta nella Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura e del folklore (Parigi 15 novembre 1989) di arti come la musica e danza, per le quali la prevalente modalità di consumo avviene attraverso l’esibizione dal vivo, è stata compresa nella categoria generale di “arti dello spettacolo”. In ogni caso preme sottolineare come gli stati contraenti, tra 4
Rispetto alla Raccomandazione sulla salvaguardia della cultura e del folklore, Parigi 15 novembre 1989, nella convenzione del 2002 scompaiono letteratura ed architettura dall’elenco delle arti. 25/121
cui anche l’Italia (che recepisce la convenzione nel 2007 a distanza di 4 anni dalla sua approvazione), si obbligano a porre “misure di salvaguardia” del patrimonio immateriale, come disposto dal comma 3 del presente articolo, attraverso
interventi di documentazione, ricerca, preservazione, protezione,
promozione,
valorizzazione,
trasmissione,
in
particolare
attraverso
un’educazione formale e informale. Altro punto fondamentale, dunque, è quello dell’intervento educativo realizzato attraverso la scuola o con mezzi diversi. La convenzione, oltremodo, stabilisce anche degli strumenti di sostegno internazionale (anche economico) a questa operazione di salvaguardia dei beni immateriali. In sintesi, nella sezione 5 “cooperazione ed assistenza internazionale” (artt. 19- 20- 21- 22- 23- 24) gli stati contraenti riconoscono che la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale è d’interesse generale per l’umanità e a tal fine essi s’impegnano a cooperare a livello subregionale,
regionale
bilaterale,
e internazionale (articolo 19 comma 2 secondo
capoverso) pertanto ai fini della presente Convenzione, la cooperazione internazionale comprende, tra l’altro, lo scambio di informazioni e di esperienze, di iniziative congiunte, nonché l’istituzione di un meccanismo di assistenza agli Stati contraenti nei loro sforzi volti a salvaguardare il patrimonio culturale immateriale (articolo 19 comma 1). Gli articoli 20 e 21 stabiliscono obiettivi e forme dell’assistenza internazionale , individuando tra gli scopi quello di supportare programmi, progetti e attività intraprese a livello nazionale, subregionale e regionale al fine di salvaguardare il patrimonio culturale immateriale e ogni altro scopo che il Comitato5 potrebbe ritenere 5
Il comitato intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio culturale e immateriale è istituito dall’art.5 della convenzione ed è composto originariamente dai rappresentanti di 18 stati contraenti, aumentando a 24 non appena altri 50 stati aderiranno alla convenzione, come stabilito dall’art.6 commi 2- 3-4 esso rimane in carica per 4 anni ma dopo 2 anni di mandato la metà dei rappresentanti eletti sarà rinnovata mediante estrazione a sorte, il suo compito è descritto nel successivo articolo 7 a) promuovere gli obiettivi della presente Convenzione nonché sostenere e sorvegliare la sua attuazione; b) consigliare sulle migliori prassi da seguire e formulare raccomandazioni sulle misure volte a salvaguardare il patrimonio culturale immateriale; c) elaborare e sottoporre all’Assembla generale per l’approvazione un progetto per l’uso delle risorse del Fondo, conformemente all’articolo 25; d) cercare il modo di accrescere le risorse e adottare tutte le misure necessarie a tal fine, in conformità con l’articolo 25; 26/121
necessario (articolo 20 lettere C- D) e le seguenti forme di intervento (articolo 21): a) studi concernenti i vari aspetti della salvaguardia; b) messa a disposizione di esperti e di specialisti; c) formazione di tutto il personale necessario; d) elaborazione di misure normative o altre; e) creazione e gestione di infrastrutture; f) fornitura di attrezzatura e know-how; g) altre forme di assistenza tecnica e finanziaria, ivi compresa, ove appropriata, la concessione di prestiti a tassi d’interesse contenuti e di donazioni. Le forme di intervento sono veramente interessanti, partono dall’assistenza agli stati nell’elaborare norme nazionali, alla costruzione di infrastrutture, alla fornitura diretta di attrezzature, personale specializzato , esperienze e conoscenze procedurali, fino a giungere all’assistenza tecnica diretta e al finanziamento anche attraverso prestiti agevolati e donazioni. Il sostegno avviene a seguito di richiesta motivata e progettuale anche in regime di urgenza se ricorrono condizioni di emergenza (articolo 22). L’assistenza internazionale è
e) elaborare e sottoporre all’Assemblea generale per l’approvazione direttive operative ai fini dell’attuazione della presente Convenzione; f) esaminare, conformemente all’articolo 29, i rapporti sottoposti dagli Stati contraenti e riepilogarli per l’Assemblea generale; g) esaminare le richieste presentate dagli Stati contraenti e decidere, in merito conformemente ai criteri di selezione oggettivi che il Comitato dovrà stabilire e che saranno approvati dall’Assemblea generale per: i) l’iscrizione nelle liste e le proposte menzionate ai sensi degli articoli 16, 17 e 18; ii) la concessione dell’assistenza internazionale conformemente all’articolo 22. 27/121
però subordinata all’istituzione di un fondo (sezione 6 “fondo per il patrimonio culturale immateriale” articoli 25- 26-27-28), l’articolo 25 recita: Art. 25 Natura e risorse del Fondo 1. È istituito un “Fondo per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale” denominato qui di seguito “Il Fondo”. 2. Il Fondo sarà costituito da fondi d’investimento, in conformità con il Regolamento finanziario dell’UNESCO. 3. Le risorse del Fondo sono costituite da: a) contributi degli Stati contraenti; b) fondi stanziati a tal fine dalla Conferenza generale dell’UNESCO; c) contributi, donazioni o lasciti eventualmente forniti da: i) altri Stati; ii) organizzazioni e programmi del sistema delle Nazioni Unite, in particolare il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, nonché altre organizzazioni internazionali; iii) organismi pubblici o privati, persone fisiche; d) qualsiasi interesse dovuto sulle risorse del Fondo; e) fondi ottenuti per mezzo di raccolte di fondi e derivanti da eventi organizzati a vantaggio del Fondo; f) qualsiasi altra risorsa autorizzata dal regolamento del Fondo elaborato dal Comitato. 4. L’uso delle risorse da parte del Comitato sarà deciso in base a direttive 28/121
stabilite dall’Assemblea generale. 5. Il Comitato può accettare contributi e altre forme di assistenza per scopi generali e specifici che si riferiscono a determinati progetti, purché tali progetti siano stati approvati dal Comitato. 6. Nessuna condizione politica, economica o di altro tipo, che sia incompatibile con gli obiettivi perseguiti dalla presente Convenzione, può essere imposta per i contributi erogati al Fondo. Ho sottolineato tra tutte le voci finanziare quella del contributo degli Stati Contraenti, infatti il successivo articolo 26 ai commi 1 e 2 recita: Art. 26 Contributi degli Stati contraenti al Fondo 1. Fatto salvo qualsiasi contributo volontario supplementare, gli Stati contraenti della presente Convenzione s’impegnano a versare al Fondo, almeno ogni due anni, un contributo il cui ammontare – stabilito sotto forma di una percentuale uniforme applicabile a tutti gli Stati – sarà fissato dall’Assemblea generale. Questa decisione dell’Assemblea generale sarà adottata dalla maggioranza degli Stati presenti e votanti che non hanno reso la dichiarazione di cui al paragrafo 2 del presente articolo. In nessun caso il contributo dello Stato contraente potrà superare l’1 per cento del contributo al bilancio preventivo regolamentare dell’UNESCO. 2. Tuttavia, ciascuno Stato di cui all’articolo 32 o all’articolo 33 della
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presente Convenzione può dichiarare, al momento del deposito dei suoi strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, che non intende essere vincolato dalle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo. Ciascuno stato deve versare un contributo quantificato dall’Assemblea Generale, ma in sede di ratifica della convenzione alcuni stati possono disdire questo impegno. Non sembra che lo stato Italiano con la Legge 27 settembre 2007, n. 167 di ratifica della convenzione abbia rilasciato dichiarazioni di scioglimento dal vincolo di contribuire al fondo, anzi all’art.3 della medesima provvede alla copertura finanziaria: Art. 3. Legge 27 settembre 2007 n.167 Copertura finanziaria
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in euro 148.600 per l'anno 2007, in euro 142.455 per l'anno 2008 ed in euro 148.600 annui a decorrere dall'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2007-2009, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2007, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. 2. Il Ministro dell'economia e delle finanze provvede al 30/121
monitoraggio dell'attuazione del presente articolo, anche al fine dell'applicazione dell'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, e trasmette alle Camere, corredati da apposite relazioni, gli eventuali decreti emanati ai sensi dell'articolo 7, secondo comma, n. 2), della citata legge n. 468 del 1978. 3. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
In conclusione occorre osservare che la ricognizione degli strumenti del diritto internazionale rivela come il diritto alla cultura sia compreso tra i diritti umani, gradualmente la produzione delle fonti normative è giunta a promuovere la salvaguardia di tutte le forme di cultura, in relazione alla diversità creativa, tra cui sono comprese le arti e lo spettacolo. In questo capitolo è stato compiuto un percorso diacronico nelle fonti ONU e UNESCO per mostrare come anche a livello internazionale è stata lenta e difficoltosa la graduale acquisizione del concetto che tutte le forme di espressive della cultura siano meritevoli di riconoscimento e tutela, si è partiti dalla salvaguardia dei beni culturali materiali e passando attraverso la riscoperta della cultura tradizionale e popolare e della diversità culturale in senso diacronico e sincronico si è giunti a definire il concetto di “cultura immateriale”, in questa categoria sono comprese le “arti dello spettacolo”. L’excursus ha dimostrato che lo spettacolo non è semplice intrattenimento e futile evasione, ma è dovere della collettività promuoverlo e salvaguardarlo perché sin dalla dichiarazione dei diritti umani del 1948 il diritto alla cultura è internazionalmente stabilito e le norme più aggiornate lo collocano tra i beni culturali immateriali. Pertanto, ai fini del presente lavoro la ricerca 31/121
nelle fonti ONU ed UNESCO ha individuato definizioni di cultura universalmente condivise ed ha radicato nel diritto internazionale qualunque azione di riforma, e nella fattispecie di caso qualunque analisi sulle fonti di diritto nazionale e regionale. La prospettiva di una riforma della normativa nel settore spettacolo dal vivo, non è riconducibile ad interventi per un comparto marginale, ma ad esigenze primarie dettate dal diritto internazionale e dai documenti fondamentali sui diritti dell’uomo. La normativa internazionale stabilisce la necessità di interventi di sostegno economico allo spettacolo dal vivo ed essa stessa fornisce strumenti per l’assistenza materiale in cooperazione, a patto che gli stati contribuiscano al fondo comune e presentino progetti motivati e coerenti. Il riordino della normativa del settore in Italia, che non ha mai avuto una legge comune per tutte le arti dello spettacolo, deve partire dagli assunti del diritto internazionale ed ispirarsi ad essi. Una particolare menzione alla necessità di coniugare la riforma della normativa sullo spettacolo con quella della scuola: i due settori sono intimamente legati, sono molteplici i riferimenti dei documenti esaminati alla educazione estetica e artistica.
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Capitolo 2 La Costituzione della Repubblica Italiana, “seconda fase di ispirazione normativa”
2.1 Costituzione formale, principi giuridici e loro applicazione sostanziale nell’ambito dello spettacolo La Costituzione della Repubblica Italiana, per la storia del nostro paese, assume il valore di atto di fondazione di un nuovo ordine che sancisca la nascita di un’epoca di pace e prosperità per la nazione lontana dalle precedenti6. La frase di esordio contenuta nell’articolo 1, “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, mette in luce tre parole fondamentali su cui è incardinato tutto il testo: Repubblica ovvero cosa comune, non è qualcosa di privato, riservato a pochi ma appartiene a tutti noi, è un bene prezioso di proprietà della collettività e da salvaguardare. Va difeso, dunque, sia il bene comune sia la sua proprietà collettiva. Democratica, ossia il potere (cràtos) appartiene al popolo (demos), all’intera comunità e non solo a pochi privilegiati, pertanto tutti i cittadini sono chiamati a partecipare alle decisioni per la gestione e la salvaguardia del bene comune. Lavoro, è il mezzo che permette all’intera comunità di garantire il benessere materiale e spirituale. Benessere non solo materiale ma anche 6
Dall’Unità fino al 1946, data di insediamento dell’Assemblea Costituente, l’Italia era un ordinamento giuridico monarchico per effetto di una Carta Costituzionale ottriata denominata “Statuto Albertino”. Il Re cedeva di sua sponte parte della propria autorità ad istituzioni da Lui individuate e normate, quali il Parlamento e il Governo. Il documento contenente le concessioni del sovrano, avente forza di Legge ordinaria dello Stato, poteva essere modificato con voto parlamentare senza procedure particolari o maggioranze qualificate. La Storia dell’Italia unita sotto la monarchia sabauda è stata accompagnata da eventi sconvolgenti, la grande guerra, l’avvento del fascismo, la seconda guerra mondiale, e non si può non considerare quanto abbia contribuito a tutto ciò l’assenza di una Costituzione “forte” che esplicitasse saldi principi radicati nei valori del ripudio della guerra, del totalitarismo e della discriminazione razziale. L’elaborazione della nuova Costituzione Repubblicana assume per la storia del nostro paese un vero e proprio atto rigenerativo, la fondazione di un nuovo ordine sociale e morale a tutela delle generazioni presenti e future. 33/121
spirituale,
in
quanto
l’attività
lavorativa
attribuisce
dignità
e
gratificazione psicologica- sociale a chi la esercita, facendo percepire a ciascuno di essere parte di un organismo coeso e pulsante. Il testo della Legge fondamentale della Repubblica assume una forma propria e ben delineata, è composto da sezioni ed articoli, viene quasi “plasmato” nei minimi particolari dai suoi 75 redattori della Commissione con l’apporto prezioso dei 556 componenti dell’Assemblea Costituente. Costituzione formale, in quanto essa prende forma ben definita nel testo e nei contenuti e non può subire modifiche nelle sue strutture fondanti; è formale perché dà forma ad una nuova creatura, la Res publica, dotata di forza e vitalità; è formale in quanto esprime principi giuridici fondamentali e necessari. Tutto questo per dare la giusta valenza al termine “Costituzione formale”, usato dagli studiosi di giurisprudenza, esso esprime la vitalità e fecondità del testo normativo e la sua forza generatrice, sarebbe errato attribuirgli connotazioni negative quali “letterale”- “ingessato”- “superato”. La questione si pone nei termini seguenti: invece di speculare sull’adeguatezza del testo e dei contenuti alla situazione contingente, mutabile, effimera dei tempi conviene verificare se ed in quale modo principi giuridici (formali) espressi dalla Costituzione siano stati tradotti in diritti sostanziali per il cittadino. Questa considerazione interessa anche l’ambito dello spettacolo in generale ed in particolare per lo spettacolo dal vivo. Quali diritti conferisce al cittadino italiano la Costituzione nel campo della fruizione della cultura e delle arti? Come sono stati tradotti e come possono essere applicati questi principi alla legislazione ordinaria dello Stato affinché si possa garantire un diritto effettivo e sostanziale per tutti i cittadini della Repubblica, senza distinzione di ceto e di censo, a fruire della cultura sotto forma di spettacolo e in particolare dello “spettacolo dal vivo”? È ferma convinzione di chi scrive che, analogamente ai testi del diritto internazionale, la Carta Costituzionale della Repubblica possa assumere, nella sua vitalità, un ruolo di ispirazione normativa per progetti di riforma dello spettacolo. Riguardo alla domanda “Quali diritti conferisce al cittadino italiano la Costituzione nel campo della fruizione della cultura e delle arti?” si tenterà di dare una risposta 34/121
(seppur provvisoria) in questo paragrafo, ma per quanto concerne gli altri interrogativi sarà indispensabile un discorso più ampio ed articolato che impegnerà l’intero capitolo.
Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La Repubblica è cosa comune nel vero senso della parola, cioè la sede in cui ciascun essere umano ha il diritto di vivere, crescere e realizzarsi nel pieno delle proprie potenzialità. Al centro della Costituzione viene posto l’UOMO ancor prima del Cittadino, l’Umanità è un valore superiore alla cittadinanza e alle appartenenze culturali e geografiche. Parole Chiave da sottolineare nel testo: Riconosce: individua e dichiara come necessario Garantisce: assicura, difende e prende le giuste precauzioni affinché possa essere realmente efficace nel tempo l’esercizio dei diritti inviolabili Diritti inviolabili: benefici e prerogative che non possono essere toccati, infranti, sono sacri Singolo: la persona nella sua individualità Formazioni sociali7: il gruppo/i gruppi sociali in cui l’individuo agisce in prima persona per appartenenza culturale o per libera scelta; nell’arco della propria vita 7
Successivi articoli contenuti nei Principi Fondamentali e nella prima parte della Costituzione elencano le seguenti formazioni sociali: Comunità religiosa cattolica (art.7), altre confessioni religiose (art.8), la famiglia (articoli 29 e 30), le scuole e le istituzioni di alta cultura, università ed accademie (articoli 33 e 34), le associazioni volontarie di assistenza a cui afferiscono tutte le strutture no profit 35/121
ogni individuo può far parte di molteplici gruppi anche simultaneamente o può essere soggetto a cambiamenti di collocazione per scelta personale o per condizionamento di situazioni ambientali. La Costituzione stessa menziona tra le formazioni sociali le Istituzioni di alta cultura, le Associazioni volontarie di assistenza a cui possono essere assimilate quelle culturali senza fine di lucro, imprese e cooperative. Personalità: ciascun individuo costruisce una propria identità nell’interazione sociale, ciò gli permette di intervenire in prima persona nella vita di relazione manifestando originalità e creatività a livello di pensiero e di azione. Sul piano dello spettacolo questi principi assumono un peso consistente, in quanto il riconoscimento della persona nei suoi diritti fondamentali implica che la sua personalità possa realizzarsi come creatore o fruitore in formazioni sociali legate allo spettacolo, ad esempio istituzioni di alta cultura lirico sinfoniche, associazioni concertistiche ma anche come lavoratore nelle imprese legate alla musica di consumo o cooperative di musicisti, attori o artisti in genere. Allo stesso modo, non solo chi lavora nel settore,ma anche il fruitore di spettacolo ha il diritto inviolabile di essere non solo rispettato nelle proprie scelte ma messo nelle condizione di poter esercitare liberamente le proprie preferenze. Un Principio fondamentale da sottolineare nel testo del suddetto articolo è contenuto nella seguente frase: “[La Repubblica] ….richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. I Padri Costituenti non si limitano a sancire benefici e prerogative inviolabili della persona, dichiarandoli necessari, ma si preoccupano non solo di riconoscerli ma di assicurarne la durata nel tempo e l’effettiva realizzazione verso tutte le categorie di cittadini. La cura degli estensori è quella che i principi giuridici formali posti si traducano in diritti sostanziali, cioè effettivamente disponibili per tutte le persone indipendentemente dalle condizioni sociali ed economiche in cui si trovano. A tal proposito il mezzo per realizzare questo è la (art.38), i sindacati (art.39), le imprese (articoli 41 e 46), le unioni cooperative (art.46), i partiti politici (art.49). 36/121
solidarietà, da considerarsi come adempimento di doveri inderogabili, cioè obbligo di realizzare a tutti i costi la piena fruizione di questo diritto in favore di tutte le categorie di persone senza tentennare o rimandare al domani. Solidarietà politica: cioè capacità delle istituzioni e di coloro che governano la Repubblica di intervenire in modo efficace per ridurre le disparità tra gli individui Solidarietà economica: interventi di supporto per le classi o gli individui più deboli Solidarietà sociale: atteggiamento di cooperazione solidale tra i cittadini stessi, che adempiono “de iure” (per legge) al compito di mutuo soccorso affinché i diritti inviolabili della persona siano applicati nei confronti di ogni individuo. Importante sottolineare che è la Repubblica stessa a richiedere a chi governa le istituzioni, al tessuto economico e sociale di intervenire in modo che i principi formali esposti in questo articolo (e nei successivi) possano tradursi in diritti sostanziali per tutti senza alcuna distinzione di classe. Se la Repubblica è Cosa Comune, e tutti noi ne siamo partecipi e “comproprietari”, è interesse di ciascuno impegnarsi affinché quanto stabilito dalla Costituzione possa adempiersi. Questo imperativo civile investe a pieno anche il settore dello spettacolo. La Costituzione riconosce e garantisce il diritto di ogni cittadino di esibirsi o di fruire delle arti dello spettacolo e l’unico modo per evitare disparità nell’esercizio di questo diritto è la solidarietà, dovere inderogabile di tutti: in primo luogo delle istituzioni, poi di coloro che compongono il tessuto economico
produttivo
(i
cosiddetti
privati,
industrie,
banche,
servizi
commerciali) e infine degli stessi cittadini.
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Gli articoli contenuti nei Principi Fondamentali e nella Prima Parte proseguono nel tracciare un quadro di riferimento in cui lo spettacolo è parte integrante, anche se nel testo esso non viene mai menzionato esplicitamente.
Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Qui vi è la naturale conseguenza di quanto affermato in precedenza; l’articolo 2 ha riconosciuto e garantito all’Uomo in quanto “persona” il diritto alla propria realizzazione individuale e sociale, ha stabilito la solidarietà a tutti i livelli quale mezzo attuativo del principio in oggetto, ora il tutto confluisce nell’art. 3 dove il principio generale diviene particolare ed applicato alle prerogative del Cittadino8. Anche qui i Padri Costituenti non si limitano a riconoscere un Diritto ma si preoccupano di garantire nel tempo l’effettivo beneficio verso tutte le 8
A differenza dell’articolo 2 qui non si parla più di Uomo ma di Cittadino. Si passa dal generale al particolare, tutto quanto stabilito a livello di principio viene calato nella realtà quotidiana della Repubblica. Davanti alla legge le Persone diventano cittadini con pari diritti ed eguali doveri. A mio giudizio, in questa sede il termine cittadino non coincide con quello di “cittadinanza italiana”, nel senso che trattandosi di diritti fondamentali essi non sono limitati a coloro che beneficiano della cittadinanza italiana, ma a tutte le persone che dimorano nel territorio della Repubblica e ne rispettano le leggi. Il testo parla chiaro, nulla osta, tutti sono uguali a prescindere da nazionalità, sesso, lingua , religione, ecc. Mi piace attribuire al termine Cittadino la valenza di “cittadino del mondo dimorante nel territorio della Repubblica” e co-beneficiario/corresponsabile delle prerogative attribuite dalla Costituzione. 38/121
categorie di persone senza alcuna distinzione. Per questo viene dedicato un intero articolo nel precisare i destinatari e la necessità di effettiva attuazione (diritto sostanziale). Anche in questa sede elenchiamo alcune parole e frasi chiave: pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti … La dignità umana, e in questo caso del cittadino, non può avere distinzioni di sorta: lingua, opinioni, appartenenze o scelte religiose, condizioni personalisociali non influiscono sulla libertà ed eguaglianza dei cittadini. Importante l’impegno costituzionale a rimuovere ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona (e qui si ritorna a ribadire il concetto di persona e non solo di cittadino) e l’effettiva partecipazione di tutti. Completa affermazione che “l’uguaglianza giuridica dei cittadini non debba essere solo formale ma anche sostanziale. Il principio di uguaglianza sostanziale presuppone che la Repubblica si impegni ad intervenire a favore dei cittadini che si trovino ostacolati nello sviluppo della loro personalità a causa delle loro precarie condizioni economiche o a causa della loro situazione sociale”.9 Lo spettacolo non viene menzionato in modo esplicito, ma se crediamo che questi principi investono tutta la sfera della persona e della socialità, non può che essere compreso a pieno titolo. Ho sottolineato le parole “partecipazione di tutti” ed è proprio questo il punto nodale: la Repubblica è intervenuta in tutti questi anni per garantire questo diritto costituzionale nella sfera della fruizione dello spettacolo ed in particolare di quello dal vivo? La Costituzione, infatti, stabilisce 9
Lorenzo e Osvaldo Cantone, L’avvocato di me stesso, Milano, Giunti, 2009, pag. 16 39/121
i principi generali sui quali la legislazione ordinaria dello Stato deve incardinarsi, ma è compito di quest’ultima delineare tutte quelle misure particolari che producano l’effettiva realizzazione. Lo spettacolo pertanto è un diritto di tutti e la legislazione della Repubblica deve individuare modalità e strumenti affinché ogni persona possa fruirne e rimuovere ogni ostacolo in favore delle categorie sociali più svantaggiate a livello economico e culturale, queste dal punto di vista economico non sempre possono permettersi di sostenere a proprio carico i costi di accesso ma hanno bisogno di condizioni favorevoli per poter partecipare alla pari degli altri cittadini. Sul piano culturale, invece, la legislazione dovrebbe partorire progetti di riforma integrati, istruzione- beni- attività culturali, che investano tutte le fasce di cittadini, perché la cultura è un bene fondamentale della persona umana. La Costituzione, infatti, si occupa anche di questo aspetto negli articoli 9 e 33. Art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione La Repubblica non si limita a tutelare la cultura, non si tratta di un semplice riconoscimento, ma come negli articoli precedenti, in un impulso vitale, essa promuove cioè trovando dei sinonimi, dà impulso, incoraggia, sostiene, caldeggia, appoggia, eleva, tutte parole che richiamano una dimensione dinamica in fieri. La Costituzione non si limita a proporre ma vuole accompagnare in ogni suo momento vitale la realizzazione del principio che afferma. Parafrasando l’apostolo Giacomo, non c’è fede senza opere e senza opere la fede è morta. E poi, la Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione. Questa affermazione non è scontata, gli estensori non delineano solo un principio ma individuano il suo campo di azione. Ciò che va salvaguardato, conservato, trasmesso ai posteri, promosso, è il patrimonio storico culturale della Nazione. Importante sottolineare il concetto di Nazione, siamo un popolo e possediamo un 40/121
complesso di beni materiali e immateriali da proteggere e valorizzare (abbiamo approfondito questi concetti nel capitolo precedente). Altrettanto fondamentale ribadire che l’oggetto della salvaguardia è ben individuato e delimitato dai Padri Costituenti: il patrimonio storico ed artistico della nazione. È come dire che l’italianità espressa in beni materiali ed immateriali ha la priorità rispetto a tutto il resto e deve essere il centro dell’intervento di salvaguardia, promozione e trasmissione di cui si deve occupare la legislazione ordinaria della Repubblica. Tutto questo si è realizzato nel tempo e a quale punto è lo stato dell’arte?
Prima di passare alla parte prima e nella fattispecie all’articolo 33 del titolo secondo, occorre menzionare velocemente altri due articoli, tratti dai Principi Fondamentali; che saranno meglio esplicitati nei paragrafi successivi, in modo da impostare correttamente il discorso. Art. 5 La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. La Costituzione riconosce e promuove (da notare l’uso costante di questi due termini in tutto il testo che andiamo via via esaminando) le autonomie e il decentramento. Importante sottolineare che l’intervento nei diversi settori della vita sociale è affidato non solo ad una organizzazione amministrativa centrale, lo Stato, seppur capace di raggiungere i cittadini nel territorio grazie a decentramento di uffici e servizi, ma all’autonomia dei cittadini stessi a livello 41/121
locale, a cui è affidata l’amministrazione diretta e la capacità decisionale (vedremo in seguito in quali termini). Anche sul piano dello spettacolo, per estensione, la responsabilità di intervenire e promuovere cambiamenti non è solo compito dello Stato e dei suoi uffici decentrati, ma anche delle autonomie locali. Lo stato stesso, quando emana atti normativi di sua spettanza, deve adeguare principi e metodi alle esigenze delle autonomie locali e del decentramento territoriale dei servizi centrali. Vedremo successivamente l’evoluzione di questo ambito.
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Art. 10 L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.[omissis] Questo articolo rappresenta in un certo senso un anello di congiunzione con il primo capitolo di questo elaborato. La Repubblica si conforma a tutte quelle norme
provenienti
dal
Diritto
Internazionale
che
sono
generalmente
riconosciute, cioè accolte, osservate, utilizzate concretamente come paradigma fondamentale sul piano etico e giuridico dalla comunità internazionale. Non si tratta di semplice adeguamento ma di riconoscimento di valore delle elaborazioni normative o di usi e consuetudini adottate nella relazione tra paesi del mondo. La Repubblica (soprattutto attraverso la forma dei trattati internazionali10) è disposta a rinunziare a parte della propria sovranità per un mondo migliore. Anche queste affermazioni hanno ricadute positive sullo spettacolo, tutte le norme esaminate nel primo capitolo hanno efficacia (dopo la ratifica del Parlamento nazionale) ed entrano a far parte del patrimonio giuridico della nazione. Utilizzare a pieno questi dispositivi internazionali, potrebbe fornire al mondo dello spettacolo in primo luogo una boccata di ossigeno, e poi un contributo fondamentale ad un percorso di rinnovamento radicale del settore. Ora in conclusione del paragrafo passiamo al titolo 2 della prima parte della costituzione e specificatamente all’articolo 33 Art. 33 L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento. 10 L’articolo 80 della Costituzione italiana recita “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi” pertanto ogni trattato internazionale necessita di previa Legge di autorizzazione del Parlamento, affinché il Presidente della Repubblica possa firmare la formale ratifica. 43/121
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. [omissis] Richiamo fondamentale all’importanza dell’arte nel percorso di educazioneistruzione del cittadino e del fatto che essa non sia oggetto di condizionamenti ideologici. Libertà e autonomia dell’arte, dunque, ma anche necessità che essa venga insegnata. Non a caso questa affermazione è inserita in un articolo che parla di istruzione e del compito della Repubblica di stabilire norme generali sull’istruzione e di istituire scuole statali di ogni ordine e grado. Sono profondamente convinto, e ho già ribadito ciò nel capitolo precedente e in quello presente, che qualunque azione di riforma della legislazione sullo spettacolo debba passare in un processo globale di riforma istruzione- beni- attività culturali. Bisogna essere chiari, nella Costituzione non vi è alcun riferimento esplicito allo spettacolo, ma abbiamo dimostrato in sede di analisi delle fonti di Diritto internazionale (capitolo 1) che questi è parte integrante della cultura e delle arti, pertanto entra a pieno titolo nei diritti sotto tutela sia internazionale che costituzionale. È compito della Legislazione ordinaria tradurre questi principi in norme specifiche e il prossimo paragrafo si occuperà di esaminare brevemente il concetto di Costituzione Materiale e lo stato dell’arte nell’ambito dello spettacolo.
2.2 Costituzione materiale prima della riforma del titolo V, riflessioni sul sistema dello spettacolo La nozione di “Costituzione materiale” è stata elaborata per la prima volta da uno studioso del XX secolo, Costantino Mortati (1891-1985)11, rivela una cruda realtà: quanto stabilito nel testo formale dal potere costituente è soggetto ad una evoluzione materiale imprevista e frutto di rapporti di potere nuovi o addirittura preesistenti alla Costituzione stessa (e lo vedremo presto nel settore dello 11
Costantino Mortati, La Costituzione in senso materiale, Milano 1942 44/121
spettacolo dal vivo). Il potere è quello delle classi o gruppi di interesse o lobby, che influiscono sull’applicazione pratica dei dettami scritti nella Carta. Abbiamo considerato come la costituzione formale sia la sorgente del diritto da cui discendono tutte le altre leggi, e proprio queste ultime o addirittura atti posti ad un livello inferiore di esse nella scala gerarchica delle fonti di diritto determinano una evoluzione perniciosa. Si rischia in questo modo di creare una frattura o quanto meno uno scollamento tra la Costituzione scritta e quella realmente applicata concretamente, tanto da soffocare e rendere infecondi tutti gli sforzi profusi dagli estensori nella scrittura della Costituzione Formale. In questa direzione l’attributo “formale” rischia di perdere la sua originaria accezione positiva di plasmante, fondante e vitale fino a giungere a connotazioni negative di “lettera morta”. Nel settore dello spettacolo tutto questo è molto evidente ed ha assunto dimensioni devastanti, soprattutto per quanto concerne la situazione dello spettacolo dal vivo. Qui non sono state leggi emanate in applicazione dei dettami costituzionali a procurare scollamenti materiali con quanto previsto dal testo formale del 1947, ma un contesto normativo carente e un alternarsi di provvedimenti tampone che hanno immobilizzato l’intero sistema. Cerchiamo di individuare cause ed effetti. Il primo gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione, il settore dello spettacolo dal vivo in Italia era funzionante secondo le regole del regime fascista: I principali teatri storici italiani e istituzioni di concerti erano costituiti in enti autonomi con personalità giuridica di diritto pubblico: Milano dal 1921, Roma dal 1932, Firenze dal 1932 oltre al sostegno pubblico al “Maggio Musicale Fiorentino” costituito nel 1933; nel 1936 con il Regio Decreto Legge n°438 acquistano sempre personalità giuridica di diritto pubblico i teatri lirici di Napoli, Palermo, Venezia, Trieste, Bologna, Genova, l’Accademia di Santa Cecilia a Roma e l’Istituzione dei concerti 45/121
Pierluigi da Palestrina di Cagliari. Il Regio Decreto prevedeva un contributo statale solo per La Scala, tramite un’addizionale del 2% sul prezzo dei biglietti di altri spettacoli realizzati nella provincia di Milano, gli altri Enti potevano essere sovvenzionati solo da comuni e province. Lo Stato interveniva solo ripianando eventuali debiti, per questo gli Enti in questione effettuavano spese “a piè di lista” senza troppi timori. Nel dopoguerra, il Regio Decreto Legislativo del 30 maggio 1946 n°538 (Decreto Soccimarro), cerca di tamponare la crisi economica dilagante dei teatri e nell’art.7 comma 1 fa entrare in gioco in modo ufficiale anche lo Stato il quale devolve a favore degli enti autonomi lirici, dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma e di altri enti teatrali e musicali, per concessione di contributi, il 12% dei diritti erariali riscossi su spettacoli di qualsiasi genere comprese le scommesse, al netto dell’aggio spettante alla Società Italiana Autori Editori. Con il Decreto Legislativo n.62 del 1948 il contributo aumenta del 6% per 2 anni (1/3 per la prosa e 2/3 per la musica), ma con la Legge 31 dicembre 1949 n°959 la provvidenza è prorogata fino al 31 dicembre 1954. Tutela del Lavoro dello Spettacolo, nel 1934 era stata fondata la Cassa nazionale di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo. Divieto di mediatorato imposto nel 1932 e obbligo di assunzione tramite ufficio collocamento (rimasto in vigore fino alla riforma dei centri per l’impiego degli anni 2000) Nel Ventennio era stata istituita la Corporazione dello Spettacolo alla quale afferivano le due federazioni nazionali fasciste: quella degli industriali e quella dei lavoratori dello spettacolo. Nel dopoguerra lo scioglimento delle corporazioni lasciano spazio ai Sindacati dei Lavoratori che acquistano ampio peso in una situazione in cui negli enti lirici autonomi sono già presenti masse artistiche stabili conseguenza della politica di tutela portata avanti dal regime fascista. Il quadro delineato è quello di un sistema organizzato sulla base della nazionalizzazione delle istituzioni liriche e concertistiche più importanti, con al 46/121
centro La Scala, la presenza di tutele del lavoro ed in particolare per le masse artistiche del teatro lirico stabilizzate dal regime fascista e una graduale crescita di peso per le organizzazioni sindacali che tutelano le masse artistiche degli enti lirici. Lo Stato Repubblicano eredita un apparato che in origine era gestito da una struttura complessa, afferente al MINCULPOP MINistero della CULtura POPolare del ventennio, e continua a mantenere viva questa macchina utilizzando le persone che prima l’amministravano come Nicola De Pirro, responsabile dell’ispettorato teatro fascista nel 1935 che prosegue la sua attività fino al 1965. Possiamo considerare che esiste un POTERE COSTITUITO forte affermatosi storicamente e che mantiene viva la sua forza nelle istituzioni repubblicane, in particolare nel settore dello spettacolo. La Costituzione, invece, non è opera del POTERE COSTITUITO ma del POTERE COSTITUENTE, come affermava nel 1789 E. J. Sieyès12. Abbiamo osservato come la Carta Costituzionale dà forma, plasma un nuovo sistema, essa è legittimata dal POTERE COSTITUENTE cioè dall’incarico di dare forma e plasmare la Res publica conferito dai cittadini (comproprietari della cosa comune) all’ Assemblea Costituente. Il potere costituito, invece, è rappresentato da interessi particolari di gruppi/formazioni sociali e dalla loro influenza non sempre positiva, oppure da apparati costituitisi prima della istituzione democratica o facenti parte della Repubblica ma che agiscono in modo preminente talvolta su delega della Repubblica stessa. Cerco di delineare meglio questo concetto. Nel settore dello spettacolo la Repubblica eredita enti di diritto pubblico, masse stabilizzate a cui si aggiungono l’influenza delle organizzazioni sindacali ricostituite, che rappresentano di per sé interessi di parte molto forti che procurano resistenze al cambiamento, ma soprattutto eredita una strutturaapparato farraginosa di natura statale o parastatale. Lo Stato è una organizzazione centrale, impersonale, che presiede all’amministrazione del territorio nazionale e impone il rispetto di determinate norme. Nell’ambito di un 12
E. J. Sieyès, Che cosa è il terzo stato? Saggio sui privilegi (1798), tr.it. , a cura di U. Cerroni, Ed. Riuniti, Roma 1978, pp.96-97 47/121
ordinamento repubblicano lo Stato è contenuto nella Repubblica, insieme alle province, ai comuni e alle regioni (novità introdotta dalla Costituzione, le regioni diventano operative realmente solo nel 1970). Così non era nel ventennio, lo Stato era l’espressione del potere sovrano (inteso anche come potere del Sovrano, ovvero del Re), l’autorità era esercitata dal regime in vece del sovrano in modo centrale “superanus”cioè superiore al di sopra di tutti. Nello Stato totalitario è l’apparato ad essere al di sopra di tutti e a determinare le sorti dei cittadini. Nell’ Ordinamento repubblicano, invece, è la Repubblica ad essere al di sopra di ogni cosa e questa contiene istituzioni del potere democratico che ne permettono l’amministrazione e il funzionamento quali Stato, Regioni, Province e Comuni. Avremo occasione nel paragrafo sulla riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione di ribadire questo concetto sotto un’ottica differente, con il novellato articolo 114, il rapporto tra Repubblica e Stato è caratterizzato da una proporzione, l’una sta all’altro come contenente sta a contenuto. Dove risiede il problema? Nell’identificazione tra REPUBBLICA e STATO. Ciò è avvenuto quasi in maniera impercettibile attraverso la delega di compiti che sono prerogative della Repubblica allo Stato, inteso come apparato organizzativo centralizzato. Nel settore dello spettacolo, come già detto, l’apparato preesistente di natura statale era già in funzione, ma è stato gravato ulteriormente dal 1946 ad oggi, ad iniziare dal decreto Soccimarro, gli interventi normativi hanno permesso la conservazione dello status quo . Vediamo brevemente come si è realizzato: Anno 1959 creazione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo con la Legge 31 luglio 1959 n°617, col chiaro intento di accentrare le competenze dello spettacolo a livello statale e ministeriale Con la Legge 62/1963 viene abolito il contributo basato sul gettito erariale dello Stato e sostituito da un contributo da iscriversi in apposito capitolo di spesa; l’accentramento diventa mero mantenimento delle istituzioni liriche e dei teatri, ripiano delle spese
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Legge 14 agosto 1967 n°800 detta anche Legge Corona dal relatore della stessa, si tenta di dare una sistemazione al settore almeno dal punto di vista normativo, ma l’intervento agisce solo su un comparto quello della musica e in particolare sulla produzione di spettacoli del teatro musicale e sinfonici, da sottolineare l’affermazione contenuta nell’articolo 1 "Lo Stato considera l'attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale.”
Fermiamoci un attimo a considerare la differenza tra questi provvedimenti e i dettami costituzionali. Tutti questi atti sono finalizzati prevalentemente a risolvere problemi di natura economica di enti preesistenti alla Repubblica. Non viene mai affermato qualcosa tratto dai Principi Costituzionali a cominciare dal Soggetto che promuove questi interventi, la Costituzione prevede che sia la Repubblica, negli atti in questione si menziona solo lo Stato. L’unico provvedimento che menziona qualcosa riguardo all’interesse culturale e sociale è la Legge 800 ma in questa si dice essere lo STATO e non la REPUBBLICA a considerare l’attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale. Ma considerare di rilevante interesse generale non ha nessuna relazione con quanto affermato dalla Costituzione Formale riguardo i diritti della Persona e dei Cittadini a fruire dell’arte senza ostacoli di ordine economico e sociale, dunque nessun riferimento allo spettacolo come servizio pubblico. La legge 800 si preoccupa degli enti autonomi conferendo loro in modo ufficiale la personalità giuridica di diritto pubblico, disegna gli organi sociali di queste istituzioni aggravando ulteriormente il loro funzionamento, in particolare riguardo al consiglio di amministrazione formato da un numero spropositato di elementi (ampia rappresentatività e poca funzionalità). Determina un sistema di erogazione di contributi, ma solo per gli enti lirici sinfonici e senza previsioni di spesa pluriennale o ancoraggio al tasso di inflazione, per tutte le altre attività si rimanda al titolo III e a contribuzioni a recita o a concerto non sempre certe perché subordinate ai bilanci annuali del ministero. Anche la Commissione deputata all’erogazione degli stanziamenti è spropositata nel numero dei membri (perché si vuole garantire il massimo di rappresentatività) ma diventa ingestibile 49/121
dal punto di vista pratico. Questa Legge è l’unico tentativo di intervenire per le vie ordinarie, su un settore, se pur limitato (lirica e concertistica), fatto anche in modo affrettato basti pensare che è stata varata il 14 agosto prima delle ferie estive ma che rappresentava abbastanza fedelmente la fotografia dell’Italia musicale attiva al momento e già costellata capillarmente in tutto il paese grazie ad un forte movimento associazionistico. Successivamente elenchiamo brevemente: Legge 30 aprile 1985 n°163, detta “legge madre” perché prevedeva una serie di leggi conseguenti, che regolamenta in diversa metodologia un fondo ad hoc per lo spettacolo ancorato al tasso di inflazione (ma non sarà così nel tempo), destinato a tutte le arti dello spettacolo quali teatro, cinema, balletto, circo, senza distinzioni categoriali (nella legge 800 si distinguevano gli enti lirici sinfonici dalle altre attività di cui al titolo III), ma le previste leggi figlie non sono state partorite. L’interesse è quello di un riordino normativo dello spettacolo (attraverso le leggi conseguenti alla 163/85) e della definizione, finalmente per tutti, di un sostegno economico certo. Negli auspici del proponente, l’on. Lelio Lagorio allora Ministro del Turismo e dello Spettacolo, vi era un intento di “rovesciamento” delle condizioni di precarietà in cui riversava il sistema spettacolo ancorandolo finalmente in modo saldo a normative di settore e a sistemi efficaci di finanziamento. Contestualmente alla legge “madre”, infatti, venivano presentati dei disegni di riforma di teatro, musica, cinema, circhi e spettacoli viaggianti senza esito positivo nello sviluppo del loro iter parlamentare. Nelle intenzioni di Lagorio la Legge 163 “tendeva a ricomporre la frammentazione dello spettacolo in settori assolutamente distinti l’uno dall’altro e non intercomunicanti favorendo una soluzione nuova, basata concettualmente sulla unificazione dei vari comparti dello spettacolo in nome di una cultura unica che potesse consentire interventi finanziari razionalmente programmati […] avrebbe dovuto mutare decisamente le condizioni economiche dello spettacolo dal 50/121
vivo attribuendogli finanziamenti non solo più consistenti, ma soprattutto inseriti in un contesto programmatico triennale […] al finanziamento del fondo (novità che appare rilevante) si doveva infatti provvedere in sede di Legge finanziaria dello Stato. La differenza sostanziale con il passato-si disse allora- sarebbe stata la certezza non solo che il finanziamento esistesse ma che ogni comparto dello spettacolo avrebbe conosciuto subito qual era la propria quota nei due anni successivi.13” La legge “madre” contiene alcune misure all’avanguardia come l’introduzione della tax shelter (agevolazioni per reinvestimenti), sistema che consente di detrarre dall’imponibile ai fini fiscali la quota del bilancio delle aziende destinate ad attività culturali e di spettacolo, o la deducibilità sempre a fini fiscali delle erogazioni liberali in denaro a favore di enti o istituzioni pubbliche, fondazioni o associazioni senza fine di lucro, in misura che non ecceda il 2% del reddito dichiarato al netto degli altri oneri deducibili. Lo stesso Lelio Lagorio, nel capitolo 6 “conclusioni e linee di riforma legislativa” della prima Relazione sulla utilizzazione del fondo unico dello spettacolo14, affermava che la tempestiva emanazione delle leggi di riforma di ciascun comparto dello spettacolo è indispensabile per completare e rendere veramente efficace il progetto riformatore della legge istitutiva del Fondo Unico dello Spettacolo, la cui operatività è in buona parte frenata dagli strumenti di intervento e dalle procedure previsti dalle legislazioni di settore ancora vigenti. Le discipline ordinamentali esistenti risultano invecchiate o comunque non coordinate con i dichiarati intenti di rinnovamento. Pertanto insieme alla Legge “madre” vengono presentati tre disegni di legge (musica, prosa, danza) che non verranno mai approvati dal Parlamento. 13
Associazione per l’economia della cultura, Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1980-‐ 1990, sezione II “spettacolo da vivo” coordinatore Roberto Trezzini, pag.375, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 23 gennaio 1995. 14 Camera dei Deputati, Relazione sulla utilizzazione del fondo unico per lo spettacolo e sull’andamento complessivo dello spettacolo (anno 1985), presentata dal Ministro del Turismo e dello Spettacolo Lagorio e trasmessa alla Presidenza della Camera il 31 gennaio 1986, pagg. 92-‐97. 51/121
Decreto Legislativo 29 giugno 1996 n.367, trasformazione degli enti lirici in fondazioni di diritto privato; anche con questa operazione tutto rimane pressoché identico, i cambiamenti sono molto lenti (basti pensare i tempi lunghi che gli ex enti hanno impiegato per adeguarsi alla norma, le continue proroghe ad opera di norme successive), ma in questa sede preme sottolineare che non si è provveduto ad un riordino del settore spettacolo ma solo a una parte di esso, ovviamente per strutture preesistenti alla Repubblica. Questo piccolo intervento non è avvenuto per le vie ordinarie ma con decreto legislativo. La relazione con la Costituzione formale è minima, si può considerare il sostegno dello Stato alle attività di rilevante interesse generale (come diceva la Legge 800) quale elemento positivo, ma non si delinea con forza di legge (e questo è un compito affidato dalla Costituzione del 1947 allo Stato) un sistema di accesso per tutte le fasce della popolazione alle arti dello spettacolo, non tutti i comparti dello spettacolo sono trattati in modo equo basti pensare alle differenti aliquote di FUS destinate ai diversi settori, l’azione di riordino si interessa ancora come sempre esclusivamente degli ex enti lirici sinfonici. I principi costituzionali non sono proprio applicati, vengono disattesi, quindi non possiamo parlare propriamente di deragliamenti, scollamenti, ma semplicemente di disinteresse e vuoto normativo. Da questo quadro sintetico emerge in modo chiaro l’assenza di una legge quadro di settore, che finalmente faccia chiarezza sull’intero comparto dello spettacolo senza distinzioni. Fin ora la Repubblica ha delegato allo Stato compiti che le appartengono, continuando ad assoggettare il comparto dello spettacolo a regole di funzionamento da apparato senza instillare in esso quei principi costituzionali vitali che lo avrebbero rinnovato, e tutto questo sarebbe possibile con l’azione feconda di una legge quadro elaborata seguendo le vie ordinarie previste dalla Costituzione stessa. Proseguiamo l’analisi, perché nel corso del tempo si verificano alcune condizioni di cambiamento: 52/121
Il 18 aprile 1993 una tornata referendaria un po’ caotica, in cui si proponevano molti quesiti su materie diverse, rileva un orientamento generalizzato dei votanti verso il SI, ma ciò procura in modo inaspettato l’abrogazione della Legge 31 luglio 1959 n.617 che istituiva il Ministero del turismo e dello spettacolo. Le competenze in dette materie vengono attribuite in via provvisoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (era già accaduto nel 1944). Legge di conversione 30 maggio 1995 n.203 del D L 29 marzo 1995 n.97 “Riordino delle funzioni di turismo, spettacolo e sport” che all’art. 1 comma 1 trasferisce alle Regioni competenze e funzioni amministrative del soppresso Ministero del Turismo e dello Spettacolo, stabilisce al comma 3 che le regioni concorrono all’ elaborazione ed attuazione della politica nazionale e comunitaria in materia di spettacolo e alla definizione dei criteri per la ripartizione delle risorse ma allo stesso tempo all’articolo 2 attribuisce importanti funzioni alla Presidenza del Consiglio tra cui quelle alle seguenti lettere: a) definizione delle politiche di settore sulla base di una programmazione triennale e linee strategiche di indirizzo di concerto con le regioni ; b) attività necessarie per la partecipazione dell’Italia alle politiche comunitarie; d) indirizzo e coordinamento nei confronti delle regioni; h) funzioni di indirizzo, coordinamento, sostegno, promozione e vigilanza sulle attività dello spettacolo, ivi comprese quelle promozionali e di alta formazione artistica. Tutto questo, come si afferma nell’articolo 3 comma 1, in attesa della costituzione di una autorità di governo specificatamente competente per le attività culturali e dell’entrata in vigore delle leggi quadro riguardanti il cinema, la musica, la danza, il teatro di prosa e gli spettacoli viaggianti. All’articolo 3 comma2 lettera a vengono trasferite le funzioni degli organi consultivi già esistenti ad almeno 5 comitati: musica, danza, cinema, teatro di prosa, circhi equestri e spettacoli viaggianti sulla base di 53/121
regolamenti emanati ai sensi dell’art.17 della Legge 23 agosto 1988 n.400 e al comma 2 bis dei criteri e delle modalità per la concessione di sovvenzioni contributi e sussidi ai sensi dei regolamenti di cui all’art. 17 comma 2 della Legge 23 agosto 1988 n.400 su proposta dell’autorità di governo competente per lo spettacolo sentito il comitato per i problemi dello spettacolo. Commentando queste disposizioni normative l’evoluzione è chiara, le competenze in materia di spettacolo sono di potestà regionale ma il governo avoca a sé alcune funzioni per garantire l’interesse nazionale e unitarietà degli interventi; siamo in un periodo di incertezza riguardo le competenze, con il referendum si apre un vuoto da colmare al più presto con interventi normativi specifici. L’entusiasmo per il maggior peso attribuito alle regioni avvolge molte persone ma il potere centrale non molla e continua a provvedere alla maggior parte delle funzioni dell’ormai defunto Ministero del turismo e spettacolo, tra le quali la più importante è la concessione di sussidi, sovvenzioni e contributi: la “proposta dell’autorità di governo” assume un peso preponderante. Interessante e per questo ho evidenziato questi aspetti con sottolineature e grassetti, il compito di promozione, sostegno che la Presidenza del Consiglio si propone di svolgere e ancor di più l’auspicio di un imminente riordino del settore spettacolo attraverso Leggi Quadro. Ciò non è avvenuto fino ad oggi, salvo per il comparto del cinema. Possiamo osservare che da un evento imprevisto, la soppressione di un ministero, gradualmente si inizia a ragionare nell’ambito dello spettacolo in termini di autonomie locali. Emerge però il concetto di concertazione, che anticipa in qualche modo una sistemazione successiva effettuata con legge costituzionale nel 2001. Nella Legge 203/95, infatti, spesso si fa riferimento alla concertazione con le regioni o ad accordi intercorrenti nella conferenza StatoRegioni. Fino ad ora le normative della Costituzione materiale sempre nel settore dello spettacolo non si erano occupate di questo, focalizzando l’attenzione sullo Stato centrale, e disattendendo l’articolo 5 della Costituzione formale. Ora a livello generale sboccia un gran fermento sulla tematica autonomia, ma 54/121
osserviamo come questa autonomia sul piano dello spettacolo sia vincolata dall’intervento dello Stato e delle funzioni ad esso attribuite: Legge delega 15 marzo 1997 n.59 detta legge Bassanini, dal relatore in parlamento, “delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e la semplificazione amministrativa. Con questa norma, su delega del Parlamento,
il
Governo
cerca
di
attuare
alcuni
interventi
di
semplificazione amministrativa delocalizzando alcune funzioni dello Stato centrale a regioni, province e comuni. Un primo tentativo verso l’attribuzione di maggior peso alle autonomie, ma questa deve prendersi con gran riserva, osserviamo qui di seguito il ruolo conferito allo Stato in materia di spettacolo da uno dei decreti legislativi che scaturiscono dalla Legge delega: Decreto legislativo 31 marzo 1998 n.112 art. 156 si individuano i compiti di rilievo nazionale dello spettacolo, riportiamo il testo qui di seguito:
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Spettacolo Art. 156. Compiti di rilievo nazionale in materia di spettacolo 1. Lo Stato svolge i seguenti compiti: a) definisce gli indirizzi generali per il sostegno delle attivita' teatrali, musicali e di danza, secondo principi idonei a valorizzare la qualita' e la progettualita' e in un'ottica di riequilibrio delle presenze e dei soggetti e delle attivita' teatrali sul territorio; b) promuove la presenza della produzione nazionale di teatro, di musica e di danza all'estero, anche mediante iniziative di scambi e di ospitalita' reciproche con altre nazioni; c) definisce, previa intesa con la Conferenza unificata, i requisiti della formazione del personale artistico e tecnico dei teatri; d) promuove la formazione di una videoteca, al fine di conservare la memoria visiva delle attivita' teatrali, musicali e di danza; e) garantisce il ruolo delle compagnie teatrali e di danza e delle istituzioni concertistico-orchestrali, favorendone, in collaborazione con le regioni e con gli enti locali, la promozione e la circolazione sul territorio; f) definisce e sostiene il ruolo delle istituzioni teatrali nazionali; g) definisce gli indirizzi per la presenza del teatro, della musica, della danza e del cinema nelle scuole e nelle universita'; h) concede sovvenzioni e ausili finanziari ai soggetti operanti nel settore della cinematografia, di cui alla legge 4 novembre 1965, n. 1213, e successive modificazioni ed integrazioni; i) provvede alla revisione delle opere cinematografiche, di cui alla legge 21 aprile 1962, n. 161;
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l) autorizza l'apertura delle sale cinematografiche, nei limiti di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 8 gennaio 1998, n. 3; m) contribuisce al sostegno delle attivita' della Scuola nazionale di cinema, fermo quanto previsto dal decreto legislativo 18 novembre 1997, n. 426; n) programma e promuove, unitamente alle regioni e agli enti locali, la presenza delle attivita' teatrali, musicali e di danza sul territorio, perseguendo obiettivi di equilibrio e omogeneita' della diffusione della fruizione teatrale, musicale e di danza, favorendone l'insediamento in localita' che ne sono sprovviste e favorendo la equilibrata circolazione delle rappresentazioni sul territorio nazionale, a questo fine e per gli altri fini di cui al presente articolo utilizzando gli ausili finanziari di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, e successive modificazioni ed integrazioni; o) contribuisce ad incentivare la produzione teatrale, musicale e di danza nazionale, con particolare riferimento alla produzione contemporanea; p) preserva ed incentiva la rappresentazione del repertorio classico del teatro greco-romano in coordinamento con la fondazione "Istituto nazionale per il dramma antico"; q) promuove le forme di ricerca e sperimentazione teatrale, musicale e di danza e di rinnovo dei linguaggi; r) contribuisce al sostegno degli enti lirici ed assimilati di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n.367. Parole chiave: LO STATO, DEFINISCE, PROMUOVE, GARANTISCE, DEFINISCE
E
SOSTIENE,
CONCEDE,
PROVVEDE,
AUTORIZZA,
CONTRIBUISCE, PROGRAMMA, PRESERVA. Al di là della valutazione dei compiti, tornando alla Costituzione formale, tutte queste parole non sono prerogative della Repubblica? Dal punto di vista filosofico e giuridico, questa posizione è ancora da sottolineare quale conseguenza dell’identificazione 57/121
REPUBBLICA- STATO. Dal punto di vista pratico, invece, possiamo rilevare come la Costituzione materiale si avvia, tramite provvedimenti non frutto delle vie ordinarie ma in questo caso di delega al governo di funzioni e prerogative del Parlamento, verso un delineamento graduale delle competenze di ciascun organo del corpo Repubblicano (Stato, Regioni, Province, Comuni). In questa fase storica era precipuo salvare l’unitarietà degli interventi, ecco perché tutto questo interesse per i “compiti di rilievo nazionale”. D’altronde la crisi inaspettata procurata dalla soppressione del Ministero, attiva una serie di interventi, che da un lato possono sembrare reazionari e conservativi dei privilegi ma dall’altra aprono il varco ad un nuovo mondo a venire: quello della rivoluzione copernicana della riforma del titolo V della Costituzione. Necessita, infatti, in modo organico una sistemazione generale (e non solo nell’ambito ristretto dello spettacolo) di quanto l’articolo 5 afferma nella sua applicazione della seconda parte della Costituzione riguardo Stato, Regioni, Province, Comuni, un capovolgimento radicale che vedremo nel paragrafo successivo. Nel testo citato lo Stato si sostituisce in toto ai compiti della Repubblica nell’ambito dello spettacolo, ma osserveremo che con il principio di sussidiarietà orizzontale introdotto dalla riforma del titolo V tutti gli organi della Repubblica entrano in relazione e finalmente sarà la stessa Repubblica con la sinergia delle sue membra a poter assolvere questo compito e non una parte di essa quale lo Stato. Rimanendo però a questa fase di sviluppo, la Costituzione materiale sembra accentrare poteri come sempre allo Stato ma si apre alla sinergia con gli enti locali in forma di dialogo, basta leggere attentamente l’articolo 156 alle lettere: c)-e)-n) con le parole chiave PREVIA INTESA CON LA CONFERENZA UNIFICATA, IN COLLABORAZIONE CON LE REGIONI E GLI ENTI LOCALI, UNITAMENTE ALLE REGIONI E AGLI ENTI LOCALI. Decreto Legislativo n.368 del 20 ottobre 1998 “Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali” Art. 1 - Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali
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1. Nel quadro delle finalità indicate dall'articolo 9 della Costituzione e dall'articolo 128 del Trattato istitutivo della Comunità europea, è istituito il Ministero per i beni e le attività culturali, di seguito denominato Ministero. Il Ministero provvede, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dalle disposizioni del presente decreto, alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali e alla promozione delle attività culturali. Nell'esercizio di tali funzioni il Ministero privilegia il metodo della programmazione; favorisce la cooperazione con le regioni e con gli enti locali, con le amministrazioni pubbliche, con i privati e con le organizzazione di volontariato. Opera per la massima fruizione dei beni culturali e ambientali, per la più ampia promozione delle attività culturali garantendone il pluralismo e equilibrato sviluppo in relazione alle diverse aree territoriali e ai diversi settori. 2. Ai fini del presente decreto valgono le definizioni di cui all'articolo 148 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Finalmente quanto previsto si realizza, viene istituito un nuovo Ministero, nel testo dell’articolo 1 vi è un richiamo esplicito all’articolo 9 Costituzione e alla cooperazione con regioni, enti locali, amministrazioni pubbliche, privati e organizzazioni di volontariato. Riguardo alla cooperazione con enti locali e privati, oppure operare la massima fruizione dei beni culturali, pluralismo ed equilibrato sviluppo, non si capisce perché tutto ciò debba ancora una volta realizzato da un sistema amministrativo centralizzato. Non si tratta forse di 59/121
dinamiche naturali che possono scaturire dalla relazione dei diversi organi della Repubblica sia centrali che locali? Va bene chiarire quali sono i compiti dello Stato e delle Regioni e creare delle clausole di salvaguardia dell’interesse nazionale, forme di coordinamento soprattutto per i rapporti con i sistemi comunitari, ma le dinamiche di relazione tra attori pubblici, privati, la promozione, il pluralismo non sono la risultante dell’interazione di tutti i protagonisti? Non può essere compiuto da un organo amministrativo centralizzato. Ecco il riaffermarsi dell’identificazione REPUBBLICA- STATO. Nei restanti articoli di questo decreto legislativo si incontra di frequente la frase, “salvo le competenze attribuite alle regioni o enti locali”. In questa fase manca proprio questo, sapere bene le competenze di ciascuno. La riforma del titolo V darà una spinta innovativa e secondo me prepara l’avvento di una legge quadro sullo spettacolo efficace.
2.3 La riforma del titolo V, le competenze in ambito di spettacolo La seconda parte della Costituzione cosiddetta “formale” riguarda l’ordinamento della Repubblica: Stato centrale (Parlamento, Presidente della repubblica, Governo) La magistratura e l’ordinamento giurisdizionale Le autonomie locali (Regioni, Province e Comuni) È possibile effettuare modifiche a questa parte della Costituzione, ma bisogna seguire le procedure di cui all’art.138: necessitano due successive deliberazioni conformi allo stesso testo, a distanza di tre mesi l’una dall’altra, da parte di ciascuna delle due Camere. Nella seconda votazione è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Se nella seconda votazione la legge non è stata approvata dai due terzi dei componenti di ciascuna camera, un quinto dei membri di una delle due Camere, o cinque consigli regionali, o cinquemila elettori possono chiedere, entro tre mesi, che venga indetto un referendum 60/121
popolare. In alternativa, la Legge Costituzionale 24 gennaio 1997 n.1 ha disposto la possibilità di votare le modifiche nell’ambito di una commissione parlamentare bicamerale, ma in questo caso a prescindere da qualunque maggioranza, è obbligatorio il ricorso al referendum popolare. Ho enunciato tutto questo per far comprendere quanto sia complesso il procedimento che conduce al cambiamento di alcune parti della Carta Costituzionale e, indipendentemente dalla procedura prescelta, la necessità di una convergenza generale tra le forze presenti in parlamento in modo che la Legge Costituzionale possa essere approvata con larga maggioranza. Nel 2001 si è creata, infatti, una congiuntura parlamentare che ha portato a modifiche del titolo quinto della seconda parte della Costituzione, ovvero degli articoli 114-116-117-118-119-120-123-127-132 e all’abrogazione dell’articolo 115, dell’articolo 124, del primo comma dell’articolo 125 e degli articoli 128129-130. Il provvedimento in questione è la Legge Costituzionale 18 ottobre 2001 n.3 "Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione"pubblicata nella Gazzetta ufficiale n.248 del 24 ottobre 2001. Il novellato articolo 114 della Costituzione contenuto nell’articolo 1 della presente Legge recita: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province,dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. [omissis]". L’articolo, in primo luogo, chiarisce senza lasciare spazio a nessuna possibilità di equivoco, la distinzione concettuale e giuridica tra Repubblica e Stato. Costituita da vuol dire sicuramente che non è più giustificato identificare Repubblica con Stato (o ancora peggio con i suoi organi di governo), che l’una sta all’altro come il contenente al contenuto e che il contenente, la Repubblica Italiana, è tale se contiene in un ordine di priorità e di importanza non certo casuale: Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato. L’elencazione, 61/121
come già detto, non è affatto casuale, ma in ordine di priorità e bisogna leggere parte del nuovo art.118 Costituzione (di cui all’articolo 4 della Legge 3/01) per capirne il senso. "Art. 118. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà'". L’articolo 118 comma 1, esprime una visione municipalista, attribuendo ai Comuni le funzioni amministrative ordinarie, coinvolgendo province, città metropolitane, regioni solo sulla base di principi di sussidiarietà (cioè di sostegno, aiuto, soccorso, ausilio, appoggio), differenziazione (cioè capacità di differenziare l’intervento a secondo dei bisogni) e adeguatezza (cioè capacità di adeguarsi alle richieste del territorio, quindi a completa salvaguardia e rispetto delle peculiarità locali): il fine è quello di garantire unitarietà di azione in tutto il territorio nazionale. Per la nostra riflessione è importante sottolineare che il centro della responsabilità amministrativa è collocato nel Comune e non nello Stato, tutti gli 62/121
altri enti (Stato compreso) intervengono in regime di sussidiarietà ma garantendo allo stesso tempo rispetto ed adeguatezza alle peculiarità locali (per questo il Comune si trova al centro) e del riferimento agli standard nazionali (non si può scendere sotto una soglia minima di livello essenziale di prestazione). La sede dell’azione amministrativa non è statale ma locale, questo è un assunto importante per la normativa dello spettacolo. Una netta inversione rispetto alle abitudini della Costituzione materiale, in base alla quale era lo Stato che per “generosità democratica” o per esigenze funzionali trasferiva agli enti locali compiti amministrativi che dava per scontato appartenessero al suo potere: questa era ancora l’ispirazione della Legge 15 marzo 1997 n.59 “Delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali per la Riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”. In questo caso le autonomie locali coincidevano con il decentramento amministrativo in barba all’articolo 5 della Costituzione che li disegna come due concetti netti e distinti. L’articolo 118, però, prosegue affermando che la Legge dello Stato disciplina forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali ma sono tutti gli attori istituzionali (Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni)15 ad agire in modo sinergico sulla base del principio di sussidiarietà per favorire l’autonoma iniziativa individuale e collettiva dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale16. Il verbo all’indicativo presente “favoriscono” che ho volutamente evidenziato nel testo dell’articolo insieme al soggetto Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni e al complemento oggetto “autonoma iniziativa”indica un obbligo costituzionale della Repubblica in tutte le sue componenti di favorire l’autonomia dei cittadini quali singoli o in forma associata. Si recupera in modo pieno il combinato di due articoli dei Principi Fondamentali esaminato in precedenza: art. 2 comma 1 e art. 15
In questo caso l’ordine di priorità appare invertito rispetto all’art.114, ma il Costituente sta considerando la catena di sussidiarietà facendola partire dalla legislazione statale che disciplina forme di intesa e coordinamento. 16 I termini utilizzati sono simili a quelli della Legge 800/67 che considerava l’attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale. 63/121
5. L’articolo 2 comma 1 “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, l’autonomia di iniziativa si realizza individualmente o nelle formazioni sociali e la Repubblica deve favorirla con l’adempimento di doveri di solidarietà politica, economica e sociale, e in questo caso il novellato articolo 118 fa esplicito riferimento ai beni culturali non solo nel compito dello Stato di disciplinare mediante legislazione ma di intervento della Repubblica per favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini nello svolgimento di attività di interesse generale (e la legge 800 già considerava seppure soltanto la lirica e la concertistica di rilevante interesse generale). L’articolo 5 afferma che La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali […]adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento e ben si coniuga con l’articolo 118 comma 4 così come riformulato dalla Legge Costituzionale 3/01 in cui è la Repubblica una e indivisibile formata da Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favorisce l’autonomia dei cittadini e le iniziative di singoli o delle formazioni sociali per lo svolgimento di attività di interesse generale di cui sono parte i beni culturali. La domanda conseguente a tutto è: lo spettacolo è parte dei beni culturali? Abbiamo affrontato questa tematica già nel primo capitolo, esaminando la produzione normativa del diritto internazionale, per evidenziare come questo sia stato riconosciuto e soggetto a tutela nell’ambito dei beni culturali di tipo immateriale. Anche in Italia, dopo la Legge Costituzionale n.3/01 il problema si è posto, non per questioni di principio ma per mere attribuzioni di competenze amministrative nel settore. La Regione Toscana nell’ambito di un ricorso presentato alla Corte Costituzionale, di cui parleremo in seguito riguardo alla potestà legislativa e di emanare regolamenti, affermava che lo spettacolo non fosse compreso nella tutela dei beni culturali prevista dal’articolo 117 della Costituzione così come modificato dall’art. 3 della Legge n.3/01. Ma vedremo 64/121
presto che si tratta di una eccezione procedurale e non di una negazione di un principio universalmente riconosciuto a livello internazionale. Entriamo quindi nel tema della potestà legislativa e regolamentare in materia di spettacolo esaminando alcune parti del nuovo articolo 117: Art. 117. - La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. […] Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie […] omissis Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse 65/121
di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. La potestà Legislativa è affidata alla pari allo Stato e alle Regioni, l’articolo elenca le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva (omesse in quanto non è compreso lo spettacolo) e affida alle Regioni il compito di legiferare in tutte quelle materie che non sono di competenza esclusiva dello Stato (quarto comma). Esiste però un ambito in cui Stato e Regioni concorrono alla formazione di norme, esso è denominato legislazione concorrente, nel senso che entrambi possono pronunciarsi su alcune materie ma è la Regione ad avere potestà di regolamentazione nel proprio territorio mentre lo Stato salvaguarda l’unitarietà e i livelli minimi essenziali di prestazione emanando norme di ordine generale che contengono principi fondamentali. Come emerge chiaramente dal testo, la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali è materia di legislazione concorrente. Pertanto lo Stato detta i principi fondamentali validi per tutti ed ogni Regione legifera autonomamente. Sulla base di quanto qui enunciato, è stato presentato un ricorso alla Corte Costituzionale da parte della Regione Toscana avverso il “decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 24 (Disposizioni urgenti in materia di contributi in favore delle attività dello spettacolo), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 82 che, al comma 1, disciplina i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo e le aliquote di ripartizione annuale del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163 (Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello 66/121
spettacolo), affidandone la determinazione a “decreti del Ministero per i beni e le attività culturali non aventi natura regolamentare. La Regione Toscana ha impugnato tale disposizione per violazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, rivendicando la titolarità della competenza legislativa nella materia “spettacolo”. Per la ricorrente i primi due parametri, in particolare, risulterebbero violati in quanto il legislatore statale sarebbe intervenuto in una materia – quella dello “spettacolo” appunto – che, non essendo enumerate tra le materie oggetto di legislazione esclusiva dello Stato, né fra quelle oggetto di legislazione concorrente, di cui rispettivamente al secondo e al terzo comma dell’art. 117 Cost., è da considerare affidata alla potestà legislativa residuale delle regioni, secondo quanto stabilito dal quarto comma dello stesso articolo. Spetterebbe alle regioni, conseguentemente, disciplinare in via legislativa e regolamentare la suddetta materia, nonché stabilire il riparto delle funzioni amministrative tra le stesse e gli enti locali nel rispetto dei principi dell’art. 118 Cost. La tesi esposta troverebbe fondamento, secondo la Regione, nel decreto legislativo n. 112 del 1998 che ha dettato specifiche disposizioni in un apposito capo (il VI) intitolato allo “spettacolo” separato da quello (il V) dedicato ai “beni e attività culturali”. La disciplina separata dimostrerebbe l’impossibilità di ricondurre ora lo “spettacolo” nella materia di competenza. […] Nel respingere le censure, la Corte provvede ad individuare l’ambito nel quale interviene la disciplina oggetto di esame e, come già enunciato in altre occasioni (ad esempio sentenze n. 303 e 370 del 2003) ricorda che la mancata inclusione di una materia nelle elencazioni dei commi secondo e terzo dell’art. 117 Cost., non implica per ciò solo ed automaticamente che la stessa sia oggetto di potestà legislativa residuale delle regioni. Il terzo comma dell’art. 117 Cost., attribuisce alla potestà concorrente di Stato e regioni la materia concernente la “promozione e organizzazione di attività culturali” che, per i giudici, nell’ambito delle più ampie attività culturali, ricomprende anche le azioni di sostegno degli spettacoli.”17 17
Testo tratto dalla relazione della dott.ssa Paola Garro “sentenze nn.255 e 256 del 2004 67/121
La Corte Costituzionale in questo modo con sentenza n.255 del 2004 respinge le motivazioni addotte dalla Regione considerando a pieno titolo lo spettacolo parte integrante delle più ampie attività culturali, ricomprendendo in queste anche le azioni di sostegno degli spettacoli. Quindi qualunque dubbio che lo spettacolo non sia un bene culturale può essere dissipato definitivamente e la Corte Costituzionale lo afferma in modo netto e chiaro. Nella sentenza 255/2004 altresì la Suprema Corte “sollecita un intervento del legislatore statale perché riformi le leggi vigenti per adeguarle alla mutata disciplina costituzionale, avvertendo che il sistema normativo esaminato ha superato il vaglio di costituzionalità in ragione solo di una sua temporanea applicazione, “mentre appare evidente che (…) non potrà essere ulteriormente giustificabile in futuro”18. La Regione Toscana impugna anche altri due provvedimenti Statali, ma la Suprema Corte rigetta con sentenza 256/2004 confermando quanto già pronunziato in precedenza nella sentenza 255/2004: “La Corte si richiama alle precedenti decisioni in cui ha riconosciuto che a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione è venuto meno il potere regolamentare dello Stato nelle materie di legislazione concorrente, ancorché previsto da leggi anteriori. Tuttavia ricorda “che non può tale circostanza determinare la compromissione di attività attraverso le quali valori di fondamentale rilevanza costituzionale – nella specie protetti dagli artt. 9 e 33 Cost. – sono realizzati. In sintesi, non si può privare la società civile e i soggetti che ne sono espressione (enti pubblici e privati, associazioni, circoli culturali, ecc.) dei finanziamenti pubblici indispensabili per la promozione e lo sviluppo di attività che, normalmente, non possono affidare la loro sorte alle mere leggi del mercato”19. In sostanza la Corte Costituzionale comprende a pieno titolo lo spettacolo nei beni e attività culturali, sollecita un intervento normativo forte e chiaro per questo settore, in quanto le normative regolamentari prodotte dallo Stato possono avere una validità limitata nel tempo e se questa situazione si protraesse (contributi alle attività di spettacolo)”, pag 1, pubblicata sul sito internet della Regione Toscana. Relazione citata, pag.2 19 Relazione citata, pag.3 68/121 18
nel tempo potrebbero essere accolte eccezioni di incostituzionalità. Lo Stato deve emanare linee generali ma la potestà di regolamentazione spetta alle regioni, la Corte è intervenuta a salvaguardia dei diritti protetti dagli articoli 9 e 33 della Costituzione, per non privare la società civile di aiuti indispensabili per un settore, lo spettacolo, che per la sua importanza non può essere abbandonato a sé stesso. La sentenza 255/2004 afferma testualmente : “si sconta in modo particolare la difficoltà derivante dalla mancanza, nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della Parte seconda della Costituzione), di qualunque disposizione transitoria finalizzata a disciplinare la fase di passaggio nelle materie in cui si sia registrato un mutamento di titolarità fra Stato e Regioni e particolarmente là dove – come nel caso in questione – occorra passare da una legislazione che regola procedure accentrate a forme di gestione degli interventi amministrativi imperniate sulle Regioni, senza che le leggi regionali da sole possano direttamente trasformare la legislazione vigente in modo efficace”. L’auspicio dunque è quello di “approvare al più presto una Legge Quadro sullo Spettacolo, che fornisca i principi fondamentali in base ai quali le Regioni possano legiferare in materia di regolamentazione e di contribuzione finanziaria. Le procedure accentrate di gestione amministrativa sono superate dal nuovo assetto costituzionale, a dire il vero lo erano sin dal 1947 (cfr art.5) ma la costituzione materiale ha perpetrato le sue influenze nefaste. Il tempo è scaduto, è ora di muoversi. Cosa è successo effettivamente dopo la Legge 3/2001 per il settore spettacolo? Con Legge ordinaria 5 giugno 2003 n. 31 “Disposizioni per l’adeguamento
dell’Ordinamento
della
Repubblica
alla
legge
costituzionale 3/2001”, si delega il governo ad emanare decreti legislativi per la ricognizione ed individuazione dei principi fondamentali per le materie di legislazione concorrente e fino alle nuove leggi con le quali saranno stabiliti tali principi. Nulla innova sullo spettacolo. 69/121
Legge 6 luglio 2002 n.137 “delega per la riforma dell’organizzazione del governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti pubblici”. Prevede l’emanazione entro 18 mesi di decreti legislativi correttivi o modificativi di decreti legislativi già emanati ai sensi della legge 59/97 (Bassanini). Emanazione ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione, ma in realtà si ripete il processo di semplificazione fine anni 90 introdotto da Bassanini. Erano previsti decreti legislativi per il riassetto di disposizioni legislative e regolamentari di cinematografia, musica, teatro, danza e altre forma di spettacolo dal vivo. Si ottiene solo un decreto sul cinema. Decreto Legislativo n.28 /2004 “Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche”. La delega produce norme riferite ad un solo comparto, il cinema, e nei mesi di settembre e ottobre 2004 il Ministero ha provveduto all’emanazione di 8 decreti attuativi. Si osserva come la Costituzione materiale prosegue il suo percorso: si emanano leggi e decreti sulla falsa riga della legge Bassanini (legge 59/97) senza voler intervenire in modo tempestivo e definitivo nei vari comparti. Si continua sul percorso delle legge delega, il parlamento dunque dichiara con questi atti disinteresse e provvisorietà delegando il governo a sostituirlo. Tutto questo elargisce un effetto positivo solo sul comparto cinema. Rimane scoperto tutto il settore dello spettacolo dal vivo. Da segnalare un'altra iniziativa: Istituzione della Società per Azioni ARCUS costituita ai sensi della Legge 16 ottobre 2003 n.291 con compiti di promozione e sostegno finanziario, tecnico economico e organizzativo di progetti e altre iniziative di investimento per la realizzazione di interventi di restauro e recupero dei beni culturali e di altri interventi a favore delle attività culturali e dello spettacolo. ARCUS è fonte di finanziamento, la Legge 21 maggio 2004 n.128 individua disponibilità da destinarle per attività a favore di beni culturali e spettacolo con assegnazione di una quota di 70/121
proventi prelevata dal fondo Lotto e Lotterie, ma la maggiore contribuzione proviene dal Fondo Unico dello Spettacolo. In epoca di risparmio bisognerebbe fare chiarezza sulle funzioni di ARCUS spa e regolamentare il suo ruolo nell’ambito di una legge quadro sullo spettacolo. Tale provvedimento dovrebbe ridisegnare, sotto il profilo dei principi generali, il sistema spettacolo e dei finanziamenti ordinando i ruoli di Stato e Regioni alla luce dei nuovi dettami costituzionali. Sono passati più di 10 anni dalla legge 3/2001 ma nulla è avvenuto (salvo un intervento parziale sul cinema mediante decreto legislativo). Già però all’orizzonte si affacciano venti di rinnovamento della Legge Costituzionale n.3/2001. Esaminiamo brevemente nel prossimo paragrafo, il DDL Costituzionale del Governo Monti per vedere se propone qualcosa in riferimento allo Spettacolo.
2.4 Il Disegno di Legge Costituzionale Riforma del Titolo V presentato il 15 ottobre 2012 Il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 9 ottobre 2012 un Disegno di Legge di Modifica del Titolo V della Costituzione, presentato in Parlamento il giorno 15 dello stesso mese. Nella Relazione illustrativa vengono indicati sinteticamente finalità e contenuti, riportiamo parte di alcune slide riassuntive di tale relazione elaborate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, scaricabili sino al mese di novembre 2012 dal sito del Ministero della Pubblica Amministrazione e Semplificazione, le sottolineature sono mie, il DDL è depositato al Senato con il numero 3520: Le criticità da correggere L’intervento si è reso necessario viste le criticità emerse nel corso di questi anni; tuttavia, dato il breve spazio di legislatura ancora a disposizione, l’obiettivo è quello di apportare modifiche 71/121
quantitativamente limitate, ma significative dal punto di vista della regolamentazione dei rapporti fra lo Stato e le regioni
Principio dell’unità: valore fondamentale L’intervento riformatore si incentra anzitutto sul principio dell’unità giuridica ed economica della Repubblica come valore fondamentale dell’ordinamento, prevedendo che la sua garanzia, assieme a quella dei diritti costituzionali, costituisce compito primario della legge dello Stato, anche a prescindere dal riparto delle materie fra legge statale e legge regionale. E’ la cosiddetta clausola di supremazia presente in gran parte degli ordinamento federali.
Competenze che cambiano per lo Stato Si tende, inoltre, ad impostare il rapporto fra leggi statali e leggi regionali secondo una logica di complementarietà e di non conflittualità; per questo sono previste alcune innovazioni particolarmente incisive. Si inseriscono nel campo della legislazione esclusiva dello Stato alcune materie che erano precedentemente considerazione della legislazione concorrente: il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le grandi reti di trasporto e di navigazione, la disciplina dell’istruzione, il commercio con l’estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia.
Cosa cambia Inoltre nella competenza statale rientrano anche materie sino ad ora non specificamente individuate nella Costituzione e che sono state oggetto, in questi anni, di contenzioso costituzionale. Si tratta di 72/121
materie suscettibili di un’autonoma configurazione e riferibili alla competenza esclusiva dello Stato: la disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche o la disciplina generale degli enti locali.
Ruolo maggiore alla legislazione concorrente Si attribuisce alla legge statale un ruolo più duttile ed ampio nell’area della legislazione concorrente, prevedendo che spetta alla legge dello Stato non più di stabilire i problematici “principi fondamentali”, bensì di porre la disciplina funzionale a garantire l’unità giuridica ed economica della Repubblica. Si dispongono, poi, confini meno rigidi fra potestà regolamentare del Governo e potestà regolamentare delle regioni, prevedendo in modo semplice che lo Stato e le regioni possono emanare regolamenti per l’attuazione delle proprie leggi.
Il ruolo della Corte dei conti Altri punti qualificanti, sempre in chiave di unitarietà giuridica ed economica dell’intero ordinamento, sono il riconoscimento a livello di Costituzione della competenza della Corte dei conti a svolgere controlli sugli atti e sui bilanci delle regioni, nonché l’individuazione dell’equilibrio di bilancio e del contributo al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica quali principi validi anche nei confronti dell’autonomia delle regioni a statuto speciale.
Con questo Disegno di Legge il Governo riconosce la criticità che ha procurato nel rapporto Stato- Regioni il testo del Titolo V della seconda parte della 73/121
Costituzione così come modificato dalla Legge Costituzionale n.3 del 2001. Nel corso di poco più di 10 anni, come evidenziato nei paragrafi precedenti, la Riforma Costituzionale ha innescato un rapporto conflittuale tra gli Enti Locali e lo Stato soprattutto per quanto concerne le materie affidate alla Legislazione Concorrente. Lo dimostrano nel settore spettacolo le due sentenze della Corte Costituzionale 255 e 256 del 2004 di cui abbiamo parlato in precedenza, ma ciò ha investito in generale quasi tutti gli ambiti. Il Governo propone quale soluzione di ogni conflitto alcune misure, limitate ma ben definite: Introduzione Supremazia”,
nell’Ordinamento cioè
della
Costituzionale
prerogativa
dello
della Stato
“Clausola di
di
intervenire
normativamente con misure di salvaguardia dell’unità nazionale anche in materie di legislazione esclusiva delle regioni o concorrente. Attribuzione alla legislazione esclusiva statale di alcune materie in precedenza collocate nella legislazione concorrente o non specificamente individuate nella Costituzione, tra queste non figurano beni culturali ed ambientali, quindi nemmeno lo spettacolo. La giustificazione è quella di impostare il rapporto fra leggi statali e leggi regionali secondo una logica di complementarietà e di non conflittualità. Anche nella Legislazione Concorrente si attribuisce alla legge statale un ruolo più duttile ed ampio prevedendo che spetta alla legge dello Stato non più di stabilire i problematici “principi fondamentali”, bensì di porre la disciplina funzionale a garantire l’unità giuridica ed economica della Repubblica. Si dispongono, poi, confini meno rigidi fra potestà regolamentare del Governo e potestà regolamentare delle regioni, prevedendo in modo semplice che lo Stato e le regioni possono emanare regolamenti per l’attuazione delle proprie leggi. In sostanza il ruolo dello Stato diviene preminente nella Legislazione e limitarsi ad emanare Principi Fondamentali viene considerato “problematico”, pertanto le norme statali diventano più incisive, stabiliscono la “disciplina” funzionale a garantire l’unità nazionale. 74/121
L’eventuale approvazione di questo Disegno di Legge nella XVII legislatura potrebbe far ritornare la dottrina costituzionale ad una visione verticale del rapporto tra Stato e Regioni, in cui lo Stato ha un ruolo più forte ed incisivo e preminente. La sussidiarietà disegnata dalla Riforma del Titolo V attualmente vigente, invece, è orizzontale cioè tutti hanno pari valore e nessuno è in posizione di prevalenza. Qualsivoglia proposta di riforma dello Spettacolo deve tenere conto dell’assetto costituzionale20 ma se questi muta è necessario riformulare tutto da capo. In conclusione anche se di fatto non cambia la collocazione della materia “spettacolo” a livello di potestà legislativa (rimane concorrente), il DDL Costituzionale targato Monti ridisegna il rapporto Stato- Regioni dal punto di vista generale e questo potrebbe causare il permanere di una visione di accentramento delle competenze in materia di spettacolo nelle mani dello Stato. Per un maggior approfondimento sul DDL in questione allego tabella sinottica con collazione tra testo vigente e nuova formulazione accompagnata da note di commento, la fonte è una elaborazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri:
20
L’ultima proposta di Riforma dello Spettacolo, denominata Carlucci- De Biasi, è strutturata in applicazione del Titolo V così come modificato dalla Legge Costituzionale n.3 del 2001, quella che la precede, presentata dal deputato Colasio nel 2006, ancor di più. 75/121
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Capitolo 3 Alcune Osservazioni sulla Cultura dal Mondo dei mass media
Dalla comunità intellettuale italiana provengono alcune proposte interessanti di cambiamento, che a mio giudizio sono in sinergia con i Principi enunciati dalla Carta Costituzionale. Dissipato ogni dubbio che lo spettacolo sia parte integrante della cultura e dei beni culturali, possiamo accogliere le istanze di rinnovamento per tutto l’ambito culturale e considerarle feconde per una riforma della normativa dello spettacolo. Lo scrittore Edoardo Nesi pubblica un editoriale su La Repubblica del 22 ottobre 2012 intitolato “Una modesta proposta in difesa della cultura: scrivere una enciclopedia della bellezza italiana, le parole di esordio sono: “vorrei fare una modestissima proposta ai nostri governanti e ai nostri politici” e segue a pag 50 “[…] La modestissima proposta è quella di decidere di investire in quel bene immenso e immensamente delicato che è la conoscenza, poiché è proprio- mi verrebbe da scrivere solo- dalla conoscenza e dal contributo che le nostre figlie e i nostri figli potrebbero dare alla sua diffusione che potrebbe nascere uno straordinario, duraturo ritorno economico. Come?[…]” L’autore effettua alcune osservazioni e avanza delle proposte, Esaminiamo le osservazioni: 1. La spesa pubblica per la cultura non è un costo ma è da sempre l’investimento migliore per l’Italia. 2. L’Italia ha due eccellenze riconosciute in tutto il mondo: “il nostro immenso patrimonio culturale” e il successo dell’intreccio di piccola e media industria, artigianato. 3. Esiste una relazione virtuosa tra patrimonio culturale e industriaartigianato, infatti “l’accostamento, la vicinanza concettuale e persino 83/121
fisica alla sublime grandezza dell’arte italiana” produce effetti positivi (ad esempio gli incassi degli ambulanti aumentano se si collocano in prossimità di piazza dei Miracoli a Pisa) 4. L’illusione dei giovani di oggi è quella di trovare una occupazione a tempo determinato in una grande industria nazionale o multinazionale in crisi, già oggetto da tempo di agevolazioni statali e che in risposta a queste chiude con facilità battenti o “delocalizza” in aree dove il costo della manodopera è minore. Bisogna trovare delle alternative migliori. Analizziamo le proposte di soluzione: 1. Valorizzare gli studi umanistici e le risorse delle nuove generazioni, creare posti di lavoro nella cultura per i giovani come catalogatori delle bellezze italiane. La proposta cardine è quella di scrivere una enciclopedia della Bellezza Italiana ad opera dei giovani. 2. In chiave operativa il nesso tra cultura e produzione, e non solo, potrebbe realizzarsi in questo modo, sentiamolo direttamente dalle parole di Nesi in conclusione dell’articolo: “immaginate un’ Italia che riesce a trasformare secoli di conoscenza, tutti i gioielli della sua storia e della sua cultura, in un prodotto globalmente desiderabile. Un’Italia che offre a milioni di nuovi benestanti nel mondo- tra l’altro resi tali dalla globalizzazione che ha così crudelmente colpito il nostro grande cuore manifatturiero- la conoscenza del patrimonio artistico più straordinario del pianeta attraverso il loro telefonino […] perché non inserire nell’idea di patrimonio italiano anche il culto del saper vivere? Perché non affiancare all’arte anche le grandezze del nostro design, dell’arte contemporanea, della moda, della musica, dell’opera, del teatro e del cinema, dell’artigianato e persino del cibo e del vino? Perché non segnalare al mondo la bellezza, sia quella che si può comprare, sia quella che non si può comprare: i panorami più belli del mondo, i luoghi della
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storia, le spiagge più belle, i gioielli che sono le nostre isole? Eh ditemi, perché no?” Vorrei confrontare il contributo dello scrittore Edoardo Nesi con l’articolo 9 tratto dai Principi Fondamentali della Costituzione italiana.
Art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione In occasione del commento a questo articolo abbiamo sottolineato al paragrafo 2.1 che l’oggetto della salvaguardia è ben individuato e delimitato dai Padri Costituenti: il patrimonio storico ed artistico della nazione e del paesaggio. È come dire che l’italianità espressa in beni materiali ed immateriali ha la priorità rispetto a tutto il resto e deve essere il centro dell’intervento di salvaguardia, promozione e trasmissione. Pertanto Nesi sta parlando di un principio garantito dalla nostra Costituzione e propone di renderlo operativo affinché possa tradursi in dinamica economica come fattore di crescita. Quando la tutela di cultura e paesaggio (ndr Nesi mette in correlazione, al termine del proprio articolo, proprio i beni culturali con quelli paesaggistici) e la trasmissione del sapere riguardo a questo patrimonio diventa anche motore dell’economia, si è creata una sinergia efficace di sviluppo per l’intero sistema paese. Tutto questo è in armonia con il quadro costituzionale, infatti è la Costituzione stessa ad affermare che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, e la cultura produce occupazione. Siamo tornati all’inizio del nostro percorso del capitolo 2 e abbiamo chiuso il cerchio aperto all’esordio. L’importanza della cultura per la crescita del paese viene messa in rilievo da una testata giornalistica economica importante, Il Sole 24 ore, che il 19 febbraio 85/121
2012 pubblica un documento denominato “Manifesto per una costituente della cultura” introdotto dallo slogan “niente cultura, niente sviluppo”,per far sì che “da giacimenti
di un passato glorioso, ora considerati ingombranti beni
improduttivi da mantenere, i beni culturali e l’intera sfera della conoscenza tornino determinanti per consolidare una sfera pubblica democratica”. Il manifesto è strutturato in cinque punti e propone di insediare una Costituente per la Cultura sul modello dell’Assemblea Costituente del 1946-47 e al primo punto sottolinea che cultura e ricerca sono i capisaldi della nostra carta Costituzionale. Fare cultura non è solo conoscenza ma anche “sviluppo”, ricerca e tutela del paesaggio ed educazione. Il riferimento all’art.9 dei Principi Fondamentali è molto chiaro, inoltre l’educazione è considerata fondamentale e al punto 4 si specifica che l’arte e la storia dovrebbero essere insegnate (alla pari della cultura scientifica) in tutti gli ordini e gradi di scuola. Al punto 5 si individuano le risorse: gli sgravi fiscali e provvedimenti a sostegno dei privati (mecenatismo), in quanto la complementarietà tra sostegno pubblico e privato rappresenta l’unica forma di sviluppo della cultura. Al punto 2 si scandiscono i tempi: l’ottica deve essere di medio e lungo periodo, in sostanza vengono bocciate le politiche a corto raggio senza un piano di sviluppo pluriennale. Alleghiamo in copia la tabella di sintesi pubblicata dal quotidiano:
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Nei mesi successivi, sempre dell’anno 2012, la stessa testata pubblica alcuni articoli contenenti rilevazioni, indagini di mercato e dichiarazioni di studiosi e addetti ai lavori, che anticipano di qualche mese e di qualche giorno quanto afferma Nesi il 22 ottobre, scorriamone velocemente i contenuti: 21 luglio 2012 ne “La cultura vale quanto la finanza” di Cristina Casadei, si prende in esame il rapporto sull’industria culturale21 in Italia intitolato “L’Italia che verrà” realizzato in collaborazione da Unioncamere e dalla fondazione Symbola: 20 esperti sotto la supervisione del prof. Pierluigi Sacco, hanno 21
L’industria culturale in senso stretto comprende industrie culturali, industrie creative, patrimonio storico- artistico e architettonico, performing arts e arti visive ma esiste anche la cosiddetta “filiera” cioè tutti quei settori che vengono attivati dalla cultura (fonte Sole 24 ore del 15 ottobre 2012). 87/121
scandagliato regione per regione le esperienze più avanzate e le tendenze emergenti di ogni settore tra cultura, creatività, tradizione, innovazione, genio, ingegno e saper fare che passa per un milione e mezzo di realtà in zone ricche di monumenti ed opere d’arte: biocarburante in Piemonte, sartorie tradizionali in Puglia, mobili in Brianza e occhialeria in Veneto, alta sartoria abruzzese e napoletana, il vino e il marmo della Toscana, filiera dell’animazione, ecc. Per Ermete Realacci, Presidente della fondazione Symbola: “Se vuole guardare al domani, l’Italia deve fare l’Italia perché è quando sceglie come naturale collocazione della competitività economica il terreno della bellezza, dell’innovazione, della ricerca, del made in Italy, che spesso incrociano la green economy, che vince. Non è un caso che l’industria culturale sia molto forte nelle regioni e nelle province che hanno un manifatturiero evoluto […] il risanamento dell’economia si può fare in tanti modi, quello migliore è di farlo con un’idea di futuro”. Paolo Gagliardi, Presidente di Unioncamere, sottolinea la forte spinta dell’industria culturale in Italia “[…]per il valore aggiunto addirittura superiore a quello della finanza e delle assicurazioni, ma anche per l’export e per gli occupati”. Il rapporto, infatti, rivela che l’industria culturale frutta al paese il 5,4% del Pil (dà lavoro anche al 5,6% del totale degli occupati del Paese), superiore al settore primario o a quello della meccanica, pari al doppio della somma del comparto della finanza e delle assicurazioni messe insieme se si prende in esame tutta la filiera il valore aggiunto passa dal 5,4 al 15% del totale dell’economia nazionale (il 18,1% del totale degli occupati). 13 ottobre 2012 “Cultura non più cenerentola” di Antonello Cherchi, riporta dichiarazioni di Gianfranco Fini in cui compaiono censure verso il governo per i fondi assegnati, la gestione e l’assenza di politiche culturali, il Presidente della Camera della XVI legislatura si scaglia anche contro la Riforma del Titolo V del 2001 considerando la collocazione della materia del turismo nella legislazione concorrente un grave danno per le politiche italiane in sede mondiale. La proposta di Fini è quella di creare connessioni tra scuola, università e ricerca ed estendere a tutta la cultura le agevolazioni fiscali ora limitate al settore cinematografico (tax credit), oltre a mettere in atto adeguate politiche per il 88/121
turismo. Anche Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria, considera la riforma del titolo V del 2001 dannosa perché fatta in modo affrettato e auspica l’approvazione da parte del Parlamento delle nuove modifiche al titolo V. Nonostante la crisi e il quadro di incertezza politica, nel decennio 2001-2011 il consumo degli italiani in cultura sono cresciuti, seppur di poco, lo dimostrano anche i dati riportati nel bilancio 2012 di Federculture. A giudizio del giornalista ci sono state esperienze positive di binomio pubblico-privato, come nella gestione dell’auditorium di Roma, che è arrivato ad autofinanziarsi per il 63%. Quindi quanto affermato da Edoardo Nesi trova riscontro in altri documenti pubblicati dalla stampa e nelle riflessioni di personalità che hanno condotto ricerche statistiche e indagini di mercato. Emerge da tutto questo un forte richiamo a valorizzare l’italianità del passato e del presente, è riconosciuto da tutti che il sistema Paese diventa vincente quando valorizza l’originalità e la bellezza quale caratteristica e peculiarità nazionale, in questo terreno la interconnessione tra il patrimonio storico artistico e la produzione di beni acquista valore aggiunto e garantisce successo nei consumi interni ma in modo propulsivo nell’export e nel turismo. Riguardo alle osservazioni riportate sulla materia “turismo” nel titolo V della Costituzione, si rileva che la proposta di nuove modifiche presentata dal governo Monti non toglie questa disciplina dalla Potestà della Legislazione Concorrente, ma si limita a scorporare le grandi reti di trasporto e di navigazione, la disciplina dell’istruzione, il commercio con l’estero, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, alcuni di questi settori (infrastrutture di porti ed aeroporti, il commercio con l’estero) sono collegati con il turismo ma non sono il turismo che rimane saldo nella legislazione concorrente. In riferimento alla Costituzione Formale, il dibattito in corso su queste tematiche è ricondotto alle tutele riconosciute agli articoli 9 e 33, ed in particolare la relazione tra cultura patrimonio storico artistico ed educazione che abbiamo incontrato più volte e da più parti nelle proposte esaminate (ad es. il manifesto in 89/121
5 punti o le dichiarazioni di Fini) è contemplata dalla disciplina costituzionale all’art.33. Una esortazione a mantenere alto il senso di autostima nella nostra italianità, nel nostro patrimonio di beni artistici e culturali (materiali e immateriali) e di quanto la nostra creatività è in grado di compiere in modo propulsivo proviene dalla Costituzione e a tal proposito sembra utile riportare un breve riferimento alla trasmissione del 17 dicembre 2012 “La più bella del Mondo” condotta da Roberto Benigni su RAI 1.
“La più bella del Mondo” Nella trasmissione del 17 dicembre 2012 sulla Costituzione, il comico Roberto Benigni fornisce un paradigma di analisi interessante: la Costituzione come opera d’arte (poesia) scritta da persone che uscivano da una esperienza tremenda di devastazione, “separate su tutto ma unite” per scrivere le regole che permettono la convivenza civile per non scivolare ancora una volta nel dramma della guerra. È un testo meraviglioso anche dal punto di vista letterario figlio della sofferenza che ha illuminato le macerie, proclamato “avanti! Rialzatevi!”, pronunciato profezie e tracciato la strada per risolvere ogni problema. I membri dell’Assemblea Costituente non hanno guardato il presente ma si sono aperti al futuro, non si sono fatti ingannare dalla crisi, dalla fame (es. il prezzo del pane calmierato), dalla miseria, hanno guardato oltre le macerie, le bellezze del patrimonio artistico e paesaggistico caratterizzano l’italianità, sono la nostra Carta di Identità. Per questo motivo non hanno pensato che c’erano pochi soldi, hanno subito investito sulla bellezza (quella del nostro patrimonio artistico e del paesaggio) e sulle persone impegnandosi nella loro formazione culturale. “La grande politica è quella di guardare lontano”, guardare al futuro, quando si costruisce si fa anche per emozionare. Per questo, afferma Benigni; la cultura scientifica e quella umanistica procedono insieme ed hanno pari dignità: la ricerca e la tecnica con le emozioni e i sogni che provengono dai classici della 90/121
letteratura o dalle opere d’arte. Sembra strano che in un periodo di miseria gli scrittori della Costituzione abbiano pensato alla “bellezza”, ma è successo come a Cenerentola, ella chiede un bel vestito per essere bella. Meglio un popolo vestito bene ma con un po’ di fame che un popolo sazio ma tutto unto. La Costituzione ha guardato per prima alla persona, ha proclamato la solidarietà e la fratellanza. La solidarietà è un sentimento e la Costituzione l’ha tradotta in legge. Sono importanti anche i sentimenti nella vita, e qui inserisco un mio giudizio: non sono arte e spettacolo eccezionali veicoli di emozioni e sentimenti? Benigni sottolinea che la Costituzione Italiana ha sancito per iscritto i diritti della persona prima di tutto il resto del mondo, infatti la Carta per i diritti dell’Uomo dell’ONU è stata scritta nel dicembre del 1948 mentre la nostra Costituzione ha visto la luce nel Dicembre del 1947. È un orgoglio di italianità, Benigni afferma molte volte che sono stati gli altri a mutuare i principi fondamentali contenuti nella nostra Carta Costituzionale. E poi, aver fondato la Repubblica sul lavoro, significa che noi tutti dobbiamo dare il nostro contributo, lavoro significa anche passione ed è solo attraverso la passione che l’Italia può crescere. Sono considerazioni molto profonde che a mio giudizio coronano quanto esposto nell’intero capitolo ed in quello precedente. Possiamo essere separati su tutto ma dobbiamo essere uniti, come i Padri Costituenti, per costruire il futuro anche nel settore dello spettacolo, attraverso una legge quadro che applichi finalmente i principi stabiliti più di sessanta anni fa dalla Costituzione Formale. Analisi e prospettive per il 2013 Giovanni Maria Flick, già presidente della Corte Costituzionale, considera i valori proposti dalla Costituzione come attuali e frutto dell’espressione di una comunità della partecipazione, egli dispensa un saggio consiglio: rileggere la Costituzione prima di pensare a riscriverla. Per quanto concerne il rapporto tra beni culturali e Costituzione avanza alcune osservazioni: • La Costituzione stabilisce un nesso inscindibile, voluto e sottolineato tra patrimonio ambientale e culturale; si passa da una prospettiva 91/121
conservativa, statica, quasi materiale delle tutele ambientali e culturali, definite “cose” dalla legge 1039 del 1939, al concetto di “paesaggio e patrimonio storico della Nazione” dell’art. 9 Costituzione e a quelli di “tutela” e “valorizzazione” previsti dall’art.117, così come modificato dalla Legge costituzionale n.3/2001, compiti affidati rispettivamente a Stato e Regioni. Occorre orientarsi verso una prospettiva dinamica tesa a coinvolgere territorio, società civile, realtà locali, indirizzata alla promozione culturale e alla salvaguardia dell’ambiente. La Costituzione al suo art. 9 individua nella valorizzazione del patrimonio culturale, artistico e paesistico una risorsa, anche occupazionale, essenziale per il nostro paese. • Il sistema dei beni culturali, segnato da una grande ricchezza e diffusione sul territorio, è caratterizzato da una coesistenza di interessi di attori pubblici e privati e da una frammentazione di competenze ed attività. È essenziale la cooperazione tra i diversi soggetti sia essi pubblici o privati, impresa o no profit. La cooperazione è l’espressione dei principi costituzionali di pluralismo sociale (artt.2 e 18), istituzionale (artt. 5 e 114), delle garanzie di libertà del pensiero (art. 21), di cultura e di ricerca (art.33) e di iniziativa economica (art.41). • Occorre evitare sia un eccessivo sfruttamento economico delle potenzialità dei beni culturali, sia tagli indiscriminati che incidono pesantemente sulla fruizione. • Una strada da seguire è tracciata dall’art.118 ultimo comma della Costituzione: “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale” In questo modo si supera la logica di contrapposizione tra pubblico- per definizione inefficiente- e privato volto al profitto, facendo emergere il terzo settore, espressione della società civile e del no profit (volontariato, associazionismo, fondazioni, imprenditoria sociale, e non commerciale), che può agire in sinergia e in 92/121
competizione con il settore profit. È un ruolo che deve essere disciplinato in modo organico, esso esprime la ricchezza del pluralismo dei suoi protagonisti e discende dal principio personalistico e da quello di solidarietà fondamentali nella nostra Costituzione. L’anno 2013 non sembra partire con buoni auspici, lo sottolinea Gian Antonio Stella in un articolo intitolato “La cultura e i programmi elettorali: il patrimonio dimenticato” pubblicato sul Corriere della Sera di sabato 2 febbraio 2013. La recente campagna elettorale si è interessata di molti temi, tranne la cultura. Questa parola, che fa rifermento alla cosa per la quale l’Italia è conosciuta in tutto il mondo, è stata la grande assente nel dibattito e nei programmi politici di tutte le forze politiche in competizione. Quale prospettiva si apre nell’imminente futuro, visto tali premesse, è difficile prevedere. Una proposta sensata viene dal mondo della musica, già da tempo fecondo di fermenti positivi provenienti dalle forti spinte dell’associazionismo: riscriviamo l’art.9 della Costituzione e inseriamo la musica come destinataria di tutela. Considerato che in questo lavoro ci siamo occupati di “spettacolo” io renderei questa proposta più generale: inseriamo lo spettacolo e le sue arti nella Costituzione, magari menzionando ciascuna di esse singolarmente (musica, danza, teatro, cinema) affinché non si rischi di dimenticarne qualcuna. Altrimenti invitiamo chi ha responsabilità politica a leggere bene la Costituzione e a dar vita ai principi che essa già prevede, attraverso una sensata produzione normativa per vie “ordinarie”.
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Capitolo 4 I Disegni di Legge sullo Spettacolo dal Vivo dopo la Legge Costituzionale n.3/2001
4.1 XV legislatura, il DDL di Andrea Colasio Il 28 aprile 2006 il Deputato Andrea Colasio22 presenta alla Camera una Proposta di Legge quadro per lo spettacolo dal vivo (C.121). Dopo anni di immobilismo caratterizzati dall’avvicendamento di bozze disarticolate che non hanno raggiunto mai visibilità nelle commissioni o nelle aule del Parlamento italiano, il 31 luglio 2006 questo Disegno di Legge approda alla Camera e viene assegnato in sede referente alla VII commissione “Cultura, scienza e istruzione”. La relazione introduttiva contiene un accorato appello, rivolto al Parlamento, a dare un “segnale forte ed inequivocabile” al lungo periodo di attesa da parte dello Spettacolo dal Vivo di veder riconosciuta “la strategicità del settore e la sua funzione di coesione per la crescita civile, sociale ed economica della collettività”. Dopo l’approvazione della Riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione avvenuta nel 2001, spiega Colasio, diventa ancora più urgente intervenire con un’azione di “riforma organica complessiva da correlare ad una revisione strutturale del FUS”. La nuova dottrina Costituzionale, infatti, ha ridisegnato le competenze di Stato, Regioni, Province e Comuni e la carenza normativa di settore, accompagnata dal protrarsi di un senso di precarietà e incertezza da parte degli operatori, mette a dura prova la sopravvivenza del sistema “spettacolo dal vivo”. Con l’iniziativa del DDL n.121, l’Onorevole Colasio intende sollecitare il Parlamento a fornire “una risposta coerente con il nuovo assetto istituzionale della Repubblica, anche nel campo dello spettacolo, dando concretezza ad un federalismo fondato sul rapporto paritario e solidale 22
Andrea Colasio, Deputato eletto il 21 aprile 2006, iscritto al gruppo del Partito Democraticol’Ulivo, assolve l’Ufficio di Segretario della VII commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dal 6 giugno 2006 al 28 giugno 2008. 94/121
tra le diverse componenti della Repubblica, nuova occasione di evoluzione per il Paese e di tutela dell’interesse socio-culturale della collettività”. La Proposta di Legge, prosegue il Deputato proponente nella sua Relazione introduttiva, “è ispirata al principio della legislazione concorrente, necessario per garantire una visione articolata ed unitaria della cultura e capace di valorizzare lo spettacolo italiano e quel patrimonio di tradizioni regionali e locali sempre più fondamentali nell’epoca della integrazione e globalizzazione dei popoli e delle nazioni, onde evitare il rischio della perdita della propria identità”. La presentazione qui enunciata, a mio giudizio, rende ben chiaro quali fossero i fermenti che animavano il dibattito degli anni immediatamente successivi alla riforma del Titolo V. Il forte desiderio di dare voce alle realtà locale valorizzandone l’identità socioculturale e le tradizioni investe anche il settore dello spettacolo, conducendo la produzione di testi normativi verso la realizzazione della sussidiarietà orizzontale, “federalismo fondato sul rapporto paritario e solidale tra le diverse componenti della Repubblica”, sono parole pregnanti dense di significati emblematici e rappresentative dei dibattiti dell’epoca tra le forze politiche. Ma ancor di più, lo abbiamo detto nei capitoli precedenti, la forte rivincita della Costituzione formale su quella materiale procurata dalla Legge n.3/2001, che apre una stagione di rinnovamento dei settori vitali della società italiana. Tra questi, lo spettacolo dal vivo, che attende da anni di essere “investito” dai germi fecondi della Costituzione Formale. La proposta Colasio si dirige senza esitazione nella direzione tracciata dal novellato Titolo V, individuando tre aree prioritarie di intervento: 1) Il riconoscimento di tutte le arti che afferiscono allo spettacolo dal vivo (teatro, musica, danza, circo spettacolo viaggiante e popolare) quale componente fondamentale del patrimonio artistico e culturale del Paese 2) La necessità di delineare un programma per la presenza omogenea e diffusa dello spettacolo dal vivo su tutto il territorio nazionale, attribuendo pari dignità e valore all’identità culturale nazionale e 95/121
regionale. In questo modo vengono contemperate le istanze nazionali e quelle locali. 3) Regolamentare
l’investimento
pubblico
a
sostegno
del
settore,
accompagnato e sgravato da agevolazioni/incentivi fiscali che solleciti l’intervento sussidiario del privato.
Nel Testo mancano riferimenti espliciti al Diritto Internazionale, ai Principi Fondamentali e alla Parte Prima della Costituzione della Repubblica Italiana. Il Riconoscimento delle arti dello spettacolo come parte del patrimonio culturale ed artistico e la chiara affermazione che lo spettacolo dal vivo necessita di interventi di sostegno pubblico sono comunque da considerarsi “tout court” diretta conseguenza dei Diritti Fondamentali contenuti nelle Carte ONU UNESCO e nella Costituzione. Il titolo V seconda parte di quest’ultima illumina l’intero
dispositivo,
contemperando
le
due
esigenze
di
salvaguardia
dell’interesse nazionale e di libertà conferita alle autonomie locali. È proprio qui la svolta che caratterizza questo documento, individuare delle soluzioni al problema della preminenza della legislazione Statale nel regolamentare le attività dello spettacolo dal vivo. Colasio disegna un quadro in cui Stato e Autonomie locali collaborano insieme, a pari livello, nel definire le linee generali e di indirizzo e promozione delle attività culturali. I compiti un tempo di prerogativa statale vengono attribuiti ad uno strumento, la Conferenza unificata di cui all’art.8 del Decreto Legislativo n.281 del 1997, capace di salvaguardare l’unitarietà dello spettacolo dal vivo e di consentire alle istituzioni di individuare le strategie e gli obiettivi più consoni per l’evoluzione e lo sviluppo dei settori. Prossimità ed efficacia rappresentano gli strumenti operativi per contemperare le istanze nazionali e locali con le esigenze e le aspettative dei territori. Tra le competenze della Conferenza Unificata rientra il riparto del FUS tra quota statale e regionale. Scorriamo velocemente il testo del Disegno di Legge:
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Capo I Disposizioni Generali
Art. 1, comma 2 contiene il Principio cardine “La Repubblica riconosce lo spettacolo dal vivo quale componente fondamentale del patrimonio artistico del Paese e ne tutela la libera creatività ed espressione quale strumento di affermazione dell'articolata identità culturale italiana”. Al comma 2 lettere a-b-c-d dispone il sostegno economico, promozionale e di valorizzazione dello spettacolo dal vivo da parte di Comuni, Province, Città Metropolitane e Stato (da notare come l’elenco rispecchia l’art.114 Costituzione), garantisce ampie opportunità di fruizione delle diverse forme di spettacolo (ma non chiarisce come e quali), al comma 3 elenca le arti che fanno parte dello spettacolo dal vivo: musica , teatro, danza, circo, spettacolo viaggiante comprese attività degli artisti di strada e spettacolo popolare nelle sue diverse forme. Non si comprende cosa voglia dire al comma 4 quando afferma che lo spettacolo dal vivo assume uno status di “eccezione culturale”. Se queste arti sono parte integrante della cultura perché devono essere delle eccezioni?
Art. 2 (Finalità), fissa i principi che guidano l’intervento della Repubblica nel settore, seguendo i criteri enunciati nel Titolo V seconda parte Costituzione “sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza, prossimità ed efficacia” e disciplina le forme di intesa e coordinamento istituzionale, definisce lo spettacolo dal vivo come servizio di utilità sociale. Richiama un impegno particolare per le tutele del patrimonio culturale nazionale e regionale, delle minoranze linguistiche, per la formazione-istruzionedivulgazione e per il lavoro, si adopera per garantire agevolazioni e accesso a prezzi ridotti per le categorie di persone a basso reddito. 97/121
Art. 3 delinea i compiti della Conferenza Unificata: • Definire indirizzi generali, interessante il riferimento a principi di qualità, progettualità, imprenditorialità ed economicità • Promozione dello spettacolo dal vivo sul territorio nazionale in modo omogeneo • Indicare strumenti di cooperazione e solidarietà istituzionale • Promozione della produzione nazionale e regionale all’estero Tutela della tradizione ma anche promuovere la contemporaneità, la ricerca di nuovi talenti e la formazione ed educazione del pubblico attraverso l'interdisciplinarità, la multimedialità e l'integrazione multietnica delle culture, la formazione dei giovani in età scolare. Contiene molti buoni propositi, ma non fornisce suggerimenti su come attuarli. • Riparto del FUS secondo criteri stabiliti e verificati ogni tre anni, contiene però delle clausole di salvaguardia dei fondi per alcune istituzioni: Ente Teatrale Italiano. Biennale di Venezia, Istituto del dramma antico, Accademia d’arte drammatica e di danza. La Legge non stabilisce le quote di riparto destinate a Stato e Regioni, non fornisce garanzie di equità tra i diversi settori dello spettacolo dal vivo: quali aliquote per ciascun settore? Tutto è demandato agli accordi che interverranno nell’ambito della Conferenza. • Parla esplicitamente di ARCUS Spa, uno dei compiti della Conferenza è quella di stipulare accordi di programma con questa società e con fondazioni bancarie per l’utilizzo delle quote ad essa destinata, anche con interventi di perequazione sul territorio (non spiega quali). • Sostenere Conservatori e Accademie per l’alta formazione dello spettacolo dal vivo, ma il testo non fornisce ulteriori indicazioni. • Favorire progetti per turismo, beni culturali, istituzione di archivi nazionali e regionali per la memoria visiva dello spettacolo dal vivo. 98/121
La Conferenza unificata, però, si avvale della struttura del Ministero per i beni Culturali per l’adempimento dei suoi compiti e la proposta di legge conferisce al Governo la delega a regolamentare attraverso Decreti Legislativi: interventi di semplificazione organizzativa del settore spettacolo dal vivo, modelli contrattuali per l’autonomia artistica, requisiti per l’accesso all’intervento pubblico, norme attuative. Sembra un brusco ritorno al passato. La normativa, che cerca di liberare lo spettacolo dal vivo dalle pastoie della regolamentazione statale ripartendo i compiti tra Stato ed Enti Locali mediante lo strumento della Conferenza unificata, ritorna ad affidare molti compiti al Governo. Ancor più grave, all’interno di una Legge quadro, si continua a far ricorso alla delega e non alle vie ordinarie già poste in essere dalla norma stessa.
Gli articolo 4-5-6 delineano i compiti di Comuni, Città metropolitane e Regioni, e disegnano il quadro della sussidiarietà istituzionale. Le Regioni in collaborazione con i Comuni e le Città metropolitane provvedono alla elaborazione di un piano di programmazione regionale dello spettacolo dal vivo, esercitano azione di indirizzo dell’attività degli enti locali, promuovono e sostengono le attività di spettacolo dal vivo in collaborazione con Stato, Province e Comuni. Si fa sempre riferimento alla valorizzazione di storia, cultura e tradizioni e alla promozione delle arti dello spettacolo in particolare della musica, del teatro, delle tecniche di recitazione, della storia della danza e della pratica coreutica e della tradizione circense nelle scuole di ogni ordine e grado. Le regioni si occupano anche di formazione, aggiornamento, creazione di nuovi profili professionali, promozione di nuovi talenti e attenzione per l’imprenditoria femminile, promozione del turismo culturale, sostegno distretti culturali e individuazione di aree comprensoriali in cui promuovere le attività di spettacolo. È un elenco molto lungo di mansioni, che coincidono in parte con 99/121
quelle della Conferenza unificata, salvo che per la competenza territoriale (quella della regione di appartenenza) e di pianificazione e programmazione. Province , Comuni e Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative conferite con Legge regionale, partecipano alla fase di programmazione regionale e condividono gli oneri economici (anche associandosi tra di loro) indispensabili alla costituzione di attività stabili di spettacolo e alla loro gestione. Anch’esse insieme alla Regione provvedono alla formazione, aggiornamento di figure professionali dello spettacolo e svolgono attività di promozione, ma hanno competenza esclusiva a rilasciare le autorizzazioni per l’occupazione di suolo pubblico, costruzione di parchi di divertimento e all’esercizio delle attività dello spettacolo viaggiante. Questi Enti devono istituire nel proprio bilancio un fondo di sostegno allo spettacolo dal vivo. La sussidiarietà intesa come cooperazione Stato- Regioni si realizza attraverso convenzioni triennali in cui sono definiti: obiettivi, priorità, soggetti beneficiari di sostegno, investimenti economici e interventi di enti locali e privati, alla convenzione possono compartecipare più regioni. In prima attuazione gli interventi ricalcano quelli effettuati in precedenza dallo Stato. Al termine del triennio si rivedono i criteri di riparto FUS per settore e territorio. La gestione delle risorse è affidata alle Regioni.
Capo II Interventi di Riforma
L’art. 7 si occupa degli “interventi fiscali” La proposta di Legge ricorre nuovamente allo strumento della Delega conferita al Governo, questa volta per emanare Decreti Legislativi recanti interventi fiscali in favore dello spettacolo dal vivo. La Legge quadro ne stabilisce principi e criteri direttivi: 100/121
• parziale fiscalizzazione degli oneri sociali • detassazione degli utili reinvestiti fino ad euro 130.000.000 per attività di formazione, recupero spazi e innovazione tecnologica • sostegno ad iniziative giovanili e femminili anche tramite prestito d’onore, estensione delle erogazioni liberali a tutte le attività dello spettacolo dal vivo • tax shelter23 con tetto fino a 250.000 euro a soggetto • premio fiscale proporzionale allo sbigliettamento • riduzione IVA su acquisti fonogrammi e strumenti musicali • agevolazioni fiscali su spese di vitto e alloggio per i professionisti dello spettacolo dal vivo • facilitazioni varie per il teatro e le attività itineranti, tra cui la possibilità di libera circolazione stradale
L’articolo 8 sopprime il Comitato per i problemi dello spettacolo di cui alla Legge 23 dicembre 1996 n.650 istituendo presso il MIBAC (Ministero per i beni e le attività culturali) un nuovo collegio con funzioni consultive denominato “Consiglio dello spettacolo dal vivo”. La composizione è di 20 membri che si riuniscono in seduta plenaria o di area, infatti l’assemblea è articolata in quattro settori definiti “comitati tecnico-scientifici”: musica, teatro, danza, circo/teatro popolare. Ogni comitato è composto da 5 membri, due designati dalla Conferenza Unificata Stato- Regioni (art.8 del DLGS 281/1997), uno dall’ ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), uno dalle Province ed uno dal MIBAC. I componenti durano in carica tre anni, sono scelti tra esperti del settore di riferimento di comprovata esperienza, il loro mandato è rinnovabile 23
Le disposizioni sul Tax shelter (scudo fiscale) permettono la detassazione degli utili di impresa con la possibilità di beneficiare di uno scudo fiscale per la parte di utili investiti nella produzione e distribuzione. Attualmente possono beneficiare della detassazione le industrie cinematografiche sulla base del Decreto Legislativo n. 28 del 22 gennaio 2004, dell’art.1 della Legge 24 dicembre 2007 n.244 (legge finanziaria 2008) e più specificatamente ex art. 3 comma 6 lettera a) del decreto del MIBAC 7 maggio 2009 “Tax shelter produttori”. La Proposta di Legge Colasio anticipa di qualche anno il ricorso a questo istituto nel settore cinema. 101/121
consecutivamente una sola volta. Il Consiglio riunito in seduta plenaria fornisce pareri nelle seguenti materie: 1. Ripartizione quota FUS tra Stato e Regioni, distribuzione tra i diversi settori dello spettacolo dal vivo 2. Accordi di programma Stato- Regioni in sede preventiva e consuntiva 3. Utilizzo risorse per interventi perequativi 4. Questioni di rilievo generale che interessano lo spettacolo dal vivo
I Comitati, invece, esprimono pareri riguardo alle materie sopraelencate ai punti 2 e 4 limitatamente a quanto concerne il settore di riferimento, pertanto sono esclusi pronunciamenti su “ripartizione del FUS” e “utilizzo di risorse per interventi perequativi”.
Capo III Attività Settoriali
art. 9 attività musicali; art.10 attività teatrali; art.11 attività di danza; art.12 circhi, spettacolo viaggiante, artisti di strada e spettacolo popolare.
In questa sezione la Proposta di Legge prende in esame i singoli settori dedicando a ciascuno di essi un articolo. Musica, teatro e danza (artt.9-10-11) hanno in comune un primo comma del rispettivo articolo dedicato, nel quale si riconosce a ciascuno di essi la funzione di “mezzo di espressione artistico e di promozione culturale” e la dignità di “aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività”. Il secondo comma di ciascun articolo di riferimento ha come soggetto “La Repubblica”, ma si diversifica nei singoli settori secondo quanto segue: 102/121
Musica (art.9), la Repubblica tutela e valorizza le attività musicali “di livello professionale” in tutti i suoi generi e manifestazioni, favorisce e valorizza il patrimonio delle “istituzioni” che si propongono come mission di favorire con “carattere di continuità” forme di produzione, distribuzione, promozione, coordinamento perseguendo i seguenti obiettivi: Conservazione dei beni musicali di qualunque genere, degli archivi delle “istituzioni” e diffusione di documenti e statistiche di interesse musicale Produzione contemporanea: promozione di autori e interpreti italiani Sperimentazione e ricerca di nuovi linguaggi musicali Diffusione della cultura musicale: formazione degli spettatori in particolare dei giovani attraverso intese con le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni musicali che ricevono finanziamenti Organizzare eventi musicali promozionali che illustrano e confrontano tra loro tendenze artistiche sia italiane sia straniere Formazione e perfezionamento di compositori ed esecutori in collaborazione con scuole ed università Formazione di complessi musicali professionisti Diffusione della musica italiana all’estero anche attraverso programmi pluriennali “organici” Diffusione della musica leggera, popolare e per immagini, da considerarsi “forma espressiva contemporanea” e “patrimonio artistico culturale di rilevante interesse sociale” Quest’ultima affermazione risulta interessante, per la considerazione che assicura alla musica leggera, mai assunta prima, essa è posta alla pari della tradizione del folklore popolare in buona compagnia con la multimedialità. Queste sono allo stesso tempo “forma espressiva contemporanea” e “patrimonio artistico di rilevante interesse sociale”.
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Le attività musicali prendono vita e sussistono grazie all’intermediazione delle Istituzioni organizzative, la proposta di Legge riconosce e interloquisce con i soggetti promotori e di produzione i quali assumono un ruolo di vitale importanza. Questo giustifica il successivo art. 13 che disciplina la professione di agente intermediario tra gli artisti e gli enti di produzione (l’agente è l’anello finale della catena di promozione/produzione, in contatto prossemico diretto sia con il musicista sia con il fruitore). Non si trova esplicito riconoscimento dello stato di impresa, ma si pone al centro del sistema l’organizzazione produttiva/promozionale.
Teatro (art.10), il comma 2 afferma che la Repubblica tutela e valorizza le attività teatrali “professionali” senza distinzione di genere in riferimento a forme produttive, distributive, di promozione e di ricerca esercitate “con carattere di continuità”. È da notare che non viene menzionato il termine “istituzioni”. Una spiegazione potrebbe essere la seguente, il teatro è organizzato da secoli in “compagnie” itineranti, esse sono allo stesso tempo comunità di artisti e struttura organizzativa, il “capocomico” è artista e amministratore. La musica, invece, secondo il DDL deve passare attraverso l’intermediazione di un’organizzazione esterna ma strettamente interconnessa con i compositori ed esecutori, che un tempo era rappresentata prima dalla figura dell’impresario e poi da quella dell’editore. Impresario ed editore erano soggetti esterni “non musicisti” deputati alla produzione, promozione e amministrazione. Pertanto in materia di teatro, il DDL elenca la tipologia di forme produttive, distributive, di promozione senza circoscrivere il campo dei soggetti. Gli obiettivi da perseguire sono riportati qui di seguito in forma sintetica: Progetti integrati di produzione, promozione e ospitalità che coinvolgano in modo stabile gruppi di artisti, tecnici e pubblico in un determinato territorio
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Tradizione ed innovazione: drammaturgia contemporanea, teatro di strada, teatro per l’infanzia e le nuove generazioni Pari opportunità nella fruizione del servizio culturale, omogeneità sul territorio, attenzione per le aree geografiche meno servite Distribuzione in particolar modo verso il pubblico giovanile Organizzazione di festival in Italia e promozione delle produzioni nazionali all’estero, per il confronto tra le diverse espressioni italiane ed internazionali
Danza (art.11), molto sintetico ed essenziale rispetto agli articoli precedenti, afferma che la Repubblica favorisce lo sviluppo delle attività professionali di danza che con carattere di continuità promuovono: Un rapporto permanente tra complesso di artisti, tecnici e amministratori e la collettività di un territorio in un progetto integrato di produzione, promozione e ospitalità. Danza contemporanea, ricerca e sperimentazione. Integrazione delle arti sceniche Pari opportunità nella fruizione del servizio culturale, omogeneità sul territorio, attenzione per le aree geografiche meno servite Distribuzione, promozione e formazione del pubblico, si afferma che la danza costituisce un servizio sociale Formazione e aggiornamento di personale artistico e tecnico Manifestazioni a carattere promozionale, confronto tra tendenze espressive italiane e internazionali, diffusione delle produzioni nazionali all’estero.
Per quanto riguarda l’articolo 12, attività circensi, spettacolo viaggiante, artisti di strada e spettacolo popolare, osserviamo una strutturazione differente del testo rispetto agli articoli dedicati alle altre discipline: innanzitutto, il comma 105/121
1 non è in comune con musica, teatro e danza ma si differenzia esprimendo sinteticamente le testuali parole:“la Repubblica promuove la tutela della tradizione circense, degli spettacoli viaggianti, degli artisti di strada e dello spettacolo popolare, di cui riconosce il valore sociale e culturale”. Nella formulazione qui riportata non vengono utilizzate locuzioni quali “mezzo di espressione artistico”, “aspetto fondamentale” o “insostituibile valore”, si riconosce comunque il valore sociale e culturale di attività circensi, spettacolo viaggiante, artisti di strada e spettacolo popolare. In effetti, a prescindere dalla tipologia di formulazione, è riconosciuta pari dignità tra le arti, inclusa la musica leggera, infatti nell’art. 9 comma 2 lettera (i), la musica “leggera, popolare e per immagini” viene ricondotta ai principi di “mezzo di espressione artistico e di promozione culturale e aspetto fondamentale della cultura ed insostituibile valore sociale, economico e formativo della collettività” di cui al comma 1 del medesimo articolo. Pari dignità dovrebbe essere conferita anche alla cultura in generale in tutte le sue forme (e i Diritti fondamentali lo affermano). Questo intento non sembra emergere nel precedente art.1 comma 4 che conferisce allo spettacolo dal vivo lo status di “eccezione culturale”, ma il concetto di Cultura è stato ben sviscerato nei Diritti Fondamentali come onnicomprensivo, unitario, senza gradi o livelli, comprendente i beni materiali e immateriali, il patrimonio culturale colto e quello popolare senza alcuna gerarchia di importanza, la tutela è verso tutto ciò che si può definire cultura. La cultura è “una” senza necessità di eccezioni. Proseguendo l’esame dell’articolo 12, al comma 2 si afferma che la Repubblica tutela e sostiene produzione di spettacoli di significativo valore artistico (quindi un accenno esplicito al rispetto di uno standard alto di qualità) realizzati da soggetti di diritto privato secondo un piano ben strutturato che consideri il rapporto tra domanda ed offerta e l’esigenza di soddisfare le necessità di aree emarginate non raggiunte da questo tipo di espressione artistica. Come negli articoli dedicati a musica, teatro e danza, si fa riferimento alla promozione, alla formazione del personale, alla diffusione dei prodotti italiani all’estero, ma con attenzione per le peculiarità di queste discipline la tutela comprende anche i 106/121
risarcimenti parziali dei danni occorsi in Italia o all’estero, il sostegno finanziario all’acquisto di macchinari e beni strumentali, la creazione di registri appositi per l’attestazione dei requisiti tecnici- professionali all’espletamento della professione ed infine l’esonero dal pagamento di tasse di occupazione del suolo pubblico. La Proposta di Legge si conclude con l’art.13 dedicato alla disciplina della professione di “agente per lo spettacolo dal vivo”. La Legge 800 del 14 agosto 1967 dichiarava illegali le intermediazioni tra artisti e datori di lavoro impedendo di fatto ogni attività di agenzia in Italia. La successiva Legge n.8 dell’8 gennaio 1979 conservava il divieto di intermediazione ma abrogava alcuni articoli della Legge 800, introducendo la figura del “rappresentante degli artisti” che sulla base di una delega scritta da parte del lavoratore dello spettacolo poteva firmare contratti e ricevere comunicazioni in sua vece. Il documento di incarico e le generalità del rappresentante erano depositati presso l’Ufficio collocamento lavoratori dello spettacolo del Ministero del Lavoro. Oggi con la trasformazione degli Uffici collocamento in centri per l’impiego questa disciplina risulta anacronistica e necessita di essere rivisitata. La proposta di legge qui esaminata tenta una regolamentazione, riconoscendo all’art.13 comma 1 la professione di agente sulla base di un contratto scritto di procura. Alle successive lettere a- b- c- d vengono stabilite le mansioni dell’agente: promuovere, trattare e definire i programmi, luoghi, date e clausole contrattuali sottoscrivere contratti in nome dell’artista sulla base di un esplicito mandato fornire
consulenza
normativa
su
adempimenti
previdenziali
ed
assistenziali in riferimento al contratto ricevere comunicazioni e provvedere alla gestione degli affari riguardanti l’attività professionale dell’artista
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Il comma 2 del medesimo articolo istituisce un apposito registro presso il MIBAC e una commissione incaricata della tenuta dell’albo, del controllo dei requisiti di iscrizione e vigilanza sull’attività degli iscritti. La commissione, al successivo comma 3, dura in carica tre anni ed è composta da 5 membri,uno designato dal MIBAC, uno dal Ministero del lavoro, uno dalla Conferenza unificata e due dalle organizzazioni di categoria degli agenti. I commi 4 e 5 sanciscono rispettivamente l’obbligatorietà di iscrizione all’albo e il compito per la Commissione di stabilire un numero massimo di artisti rappresentabili da ciascun agente, giustificando questa misura finale con la necessità di “evitare la formazione di cartelli e di iniziative monopolistiche o oligopolistiche”. Non sembra cambiare nulla rispetto al passato, questo articolo continua sulla strada di limitare le azioni di mediatorato, anche se ne riconosce formalmente in ruolo rispetto alla normativa vigente. Definire compiti e mansioni in modo rigido, non prevedere per l’iscrizione all’albo una specifica formazione e limitando il numero di artisti da gestire tiene fuori l’Italia dai fermenti di sviluppo che caratterizzano i paesi del resto del mondo. Ormai la gestione degli artisti è diventato un business condotto in regime di globalizzazione, si può vigilare ma non irrigidire un sistema basato sull’incontro tra domanda ed offerta. Applicare una norma restrittiva valida solo per l’Italia causa semplicemente una fuoriuscita del nostro paese dalla competizione internazionale. Fa sorridere considerare la formazione di cartelli o monopoli basata esclusivamente sul numero di artisti gestito da ciascun agente. I punti deboli di questa proposta risiedono nell’insufficiente valore propulsivo contenuto nel capo II art.7 “interventi di riforma”. Si cerca di procedere a facilitazioni fiscali, ma sempre arginate da tetti massimi e parziale detassazione, o allo sbigliettamento, anche il tax shelter ha un tetto massimo di 250.000 euro a soggetto. Gli interventi perequativi, che dovrebbero consentire alle diverse regioni e territori, un’equa distribuzione delle risorse rispetto ai bisogni, non sembrano disegnati in modo chiaro. Gli interventi perequativi, infatti, sono intimamente legati alla Spa ARCUS e agli accordi di programma che la 108/121
Conferenza Unificata stipula con questa “al fine di operare eventuali interventi perequativi sul territorio nazionale”, art. 3 comma 1 lettera i). In questo iter entra anche il Consiglio dello spettacolo dal vivo ma soltanto per esprimere un parere, come recita l’art.8 comma 1 lettera c), riguardo a “le proposte di utilizzo delle risorse per gli interventi perequativi di cui all’articolo 3, comma 1, lettera i), e gli obiettivi perseguiti”. In sostanza questo Disegno di Legge apre un varco ad un ridimensionamento del ruolo dello Stato24 nella gestione del settore “spettacolo dal vivo”, cerca di applicare il quadro di riferimento costituzionale della Riforma del Titolo V seconda parte del 2001, ma non è generoso nell’individuare soluzioni operative efficaci e funzionali ad un perfetto funzionamento del sistema. Se volessimo parlare per metafore, individua gli attori, distribuisce i ruoli ma non scrive un copione dettagliato affidando agli attori stessi il ruolo di scrivere la sceneggiatura. In certi settori però procede ad ingessature per timore di vedersi “sfuggire dalle mani lo spettacolo”, ad esempio nel disciplinare la professione di agente, oppure fornisce soluzioni rigide per salvaguardare situazioni pregresse, come ad esempio nel dover passare attraverso ARCUS per finanziamenti di privati (accordi di programma con le banche) ed interventi perequativi.
4.2 XVI legislatura, il DDL bipartisan con testo unificato dalle Onorevoli Carlucci e De Biasi Nella XVI legislatura, Andrea Colasio non è annoverato tra i nuovi parlamentari, egli infatti prosegue la sua attività politica come amministratore locale a tempo pieno, il suo Disegno di Legge viene accantonato. In Parlamento nell’ambito dei gruppi di maggioranza ed opposizione si elaborano nuovi testi di proposte di legge in materia, l’Ufficio protocollo della Camera ne conta circa dieci distinti e di iniziativa personale di singoli Deputati. La grande confusione porta ad un atto 24
Si può osservare come lo Stato esce fuori completamente dall’elenco dei Soggetti Istituzionali a cui sono affidati compiti di gestione ed amministrazione dello spettacolo dal vivo, esso è sostituito in pianta stabile dalla Conferenza unificata permanente Stato Regioni; si tratta di una scelta di campo non più adottata nella legislatura successiva. 109/121
di responsabilità politica bipartisan, l’onorevole Gabriella Carlucci Deputato di maggioranza e l’Onorevole Emilia Grazia De Biasi all’opposizione riuniscono i rispettivi Disegni di Legge presentati nel 2008 unificandoli con tutte le restanti proposte e si impegnano a voler giungere ad un testo condiviso da tutti gli schieramenti, sottoponendolo all’attenzione della VII commissione “Cultura, scienza, istruzione” della Camera di cui le due parlamentari fanno parte. Il testo condiviso procede il suo iter nelle diverse commissioni, ma a noi interessa il grande fermento che accompagna questa iniziativa nel mondo della cultura e dello spettacolo, gli addetti ai lavori non credono ai propri occhi assistendo per la prima volta ad una congiuntura virtuosa di tutte le forze politiche verso un fine comune: giungere finalmente ad una Legge Quadro per lo spettacolo dal vivo. Non sappiamo ancora come andrà a finire, visto che la Legislatura si è conclusa anticipatamente. Scorrendo il documento nella sua versione attuale, si possono cogliere gli aspetti che lo differenziano dalla proposta di Colasio. L’assetto dei primi articoli risulta invertito, rispetto al precedente DDL, l’articolo 1 contiene le Finalità e l’articolo 2 i Principi “fondamentali” (Colasio invece titolava “Principi generali”). Le finalità contengono riferimenti espliciti alla Costituzione, con l’affermazione “lo spettacolo dal vivo rientra tra le attività culturali previste dalla Costituzione ed è riconosciuto dalla Repubblica quale elemento insostituibile della coesione e dell’identità nazionale e strumento centrale della diffusione e della conoscenza della cultura e dell’arte italiane in Europa e nel mondo, nonché fattore determinante per lo sviluppo dell’attività turistica nazionale”. Il testo chiude definitivamente, con atto normativo, la polemica sulla “natura culturale o non” dello spettacolo dal vivo recependo le sentenze della Suprema Corte e non limitandosi a considerare lo spettacolo tra le attività culturali previste dalla Costituzione ma quale elemento insostituibile della coesione e identità nazionale anche in riferimento alla visibilità della cultura italiana in Europa e nel mondo ed allo sviluppo del Turismo. Si pone in essere un circolo virtuoso tra spettacolo – cultura - identità nazionale e turismo, che avevamo ipotizzato nei capitoli precedenti in occasione del percorso di esame dei Diritti fondamentali. Per quanto concerne questi ultimi, il testo del 110/121
presente articolo non lesina riferimenti ai dettami Costituzionali ed ai più recenti Documenti del Diritto Internazionale elaborati dall’ONU e dall’UNESCO. Comma 1 articolo 1 “la Repubblica riconosce lo spettacolo dal vivo quale componente fondamentale del patrimonio culturale, artistico, sociale ed economico dell’Italia e dell’Europa ed elemento qualificante per la formazione e per la crescita socio- culturale dei cittadini”. Tale affermazione rappresenta la summa di quanto contenuto nei Principi Fondamentali e nella Parte Prima della Costituzione Italiana, in prospettiva internazionale, infatti il patrimonio culturale è integrato in quello europeo e nel comma successivo in quello mondiale. Il comma 2, infatti, contiene riferimento esplicito e dettagliato alla Convenzione UNESCO per la salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale adottata a Parigi il 17 ottobre 2003 e ratificata dalla Repubblica Italiana con Legge 27 settembre 2007, n.167. Lo spettacolo dal vivo, per la prima volta in un testo normativo della Repubblica Italiana (seppur ancora sotto forma di DDL in bozza), è specificatamente annoverato tra i beni immateriali dell’umanità soggetti a tutela internazionale. In attuazione dei Principi Costituzionali ed Internazionali la Legge statale “pone in essere le condizioni per assicurare forme di sostegno ed incentivazione”. Il successivo art. 2 ricalca nei contenuti quanto previsto nel DDL Colasio riguardo azioni di sostegno alle produzioni nazionali, ai giovani artisti, alla formazione degli artisti e all’educazione del pubblico, alla promozione nazionale ed internazionale, alla regolamentazione della professione di procuratore degli artisti (anche se in seguito non viene dedicato alcun articolo specifico a questa materia). A differenza di Colasio, però, si pone una certa attenzione alla relazione dello spettacolo dal vivo “anche come strumento di relazione tra culture ed interculturalità, di sostegno nelle aree del disagio fisico e mentale e di presenza negli istituti di prevenzione e di pena per favorire il recupero e il reinserimento sociale” (art.2 comma 1 lettera c). Cambia radicalmente l’impostazione, rispetto alla proposta Colasio, la sezione dedicata alla ripartizione dei compiti in materia tra Stato, Regioni, Province e 111/121
Comuni. Abbiamo visto come la vicinanza cronologica del testo DDL 121 alla riforma del Titolo V Seconda Parte Costituzione del 2001 abbia influito in modo marcato sulla proposta nella sezione dedicata alla suddivisione delle competenze, lo Stato quasi scompare sostituito dalla Conferenza Unificata Stato Regioni e si fornisce dovizia di particolari ai compiti attribuiti alla Conferenza stessa, a Regioni, Province e Comuni. Tale assetto cerca di risolvere il conflitto aperto dalla Legge Costituzionale n.3/2001 tra potestà statale e regionale in materia di spettacolo, oggetto dei pronunciamenti della Corte Costituzionale nel 2004 dopo i ricorsi della Regione Toscana, ricercando negli accordi intercorsi tra Stato e Regioni riuniti in Conferenza Unificata la funzione di prevenire o dirimere ogni controversia. La proposta Carlucci come enunciato nel testo condiviso “recante modifiche in attuazione pareri”, ribalta la questione a favore dello Stato: questi ritorna ad essere l’ago della bilancia, garante a salvaguardia dell’interesse nazionale. L’articolo 3 della Proposta di Legge affida al Ministro per i Beni e delle Attività Culturali il compito di proporre alla Conferenza Unificata “gli indirizzi generali per il sostegno dello spettacolo dal vivo”. Una volta acquisita l’intesa in Conferenza Unificata è il Ministro che “disciplina con regolamento le modalità e i criteri di attribuzione e di erogazione delle risorse del FUS ai soggetti di prioritario interesse internazionale e nazionale e di ulteriori risorse destinate al settore” (art. 3 comma 2 lettera a). Alle successive lettere b- c- d- e- f- g- h- i vengono attribuiti al Ministero le responsabilità di promozione e diffusione dello Spettacolo dal Vivo in Italia ed in Europa, di favorire l’utilizzo di fondi europei, la politica di accesso al credito a favore di imprese ed operatori, la sottoscrizione di protocolli di intesa con piattaforme televisive pubbliche e private, la conservazione del patrimonio artistico nazionale dello spettacolo dal vivo, l’istituzione dell’Archivio dello spettacolo dal vivo. Si noti come l’art. 4 riguardante i compiti della Conferenza Unificata sia molto breve e sintetico, rispetto al precedente art. 3, segno della rinnovata prospettiva che mette al centro la salvaguardia dell’interesse nazionale esercitata dallo Stato attraverso il Governo e specificatamente dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. In sostanza la Conferenza, al comma 1 del presente articolo, 112/121
esercita la funzione di “stabilire la ripartizione del FUS tra quota di competenza statale e quota da attribuire alle regioni, nonché i criteri di utilizzo e ripartizione tra le regioni del Fondo per l’innovazione e il sostegno dei giovani talenti di cui all’art. 13 della presente legge”e a promuovere e coordinare intese ed accordi interistituzionali riguardo alle seguenti materie: affermazione identità nazionale, regionale e delle minoranze linguistiche, presenza capillare dello spettacolo dal vivo in tutto il territorio nazionale, collaborazione per il sostegno ad autori, esecutori ed operatori del settore, programmi destinati a scuola ed università, valutazione di efficacia ed efficienza dell’intervento pubblico. Ben poca cosa rispetto a quanto previsto nella proposta di legge precedente. I successivi art. 5 e 6 chiariscono le competenze di Regioni e Province, in analogia con la proposta Colasio, ma non si può non registrare il giro di vite rispetto al DDL 121 del 2006 con il ritorno delle principali funzioni propositive, gestionali e amministrative in ambito di spettacolo al Governo. Tutto questo è in sintonia con il Disegno di Legge targato Monti di revisione della Riforma del Titolo V Seconda Parte Costituzione esaminato in precedenza. L’art. 7 rafforza le funzioni attribuite all’Osservatorio Nazionale dello Spettacolo, di cui all’art.5 della Legge 30 aprile 1985 n.163. Ad esso viene assegnata la funzione consultiva nei riguardi della Conferenza Unificata a supporto delle politiche del settore e di comunicazione e di coordinamento con gli Enti Locali anche attraverso forme di decentramento dell’osservatorio stesso in uffici territoriali previsto dall’art. 5 comma 1 lettera J. Interessante il richiamo a collaborazioni sul territorio con agenzie formative o con istituzioni pubbliche e private nazionali ed internazionali, nonché l’utilizzo della tecnologia informatica per meglio perseguire gli obiettivi istituzionali. L’art. 8 comma 1 riconosce lo stato di impresa per le organizzazioni di produzione dello spettacolo dal vivo, l’obiettivo è la qualità quindi si incoraggiano trasformazioni e adeguamenti statutari degli enti di diritto privato, estendendo loro le agevolazioni economiche per aggregazioni di imprese 113/121
previste dalla Legge di conversione 9 aprile 2009 n.33 (art. 4 Decreto Legge 10 febbraio 2009 n.5 riportato integralmente in nota)25, nel caso di operazioni di 25
Legge di conversione 9 aprile 2009 n.33 del Decreto Legge 10 febbraio 2009 n.5
Art. 4. Decreto Legge 10 febbraio 2009 n.5 Aggregazione tra imprese 1. Per i soggetti indicati nell'articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che risultano da operazioni di aggregazione aziendale, realizzate attraverso fusione o scissione effettuate nell'anno 2009, si considera riconosciuto, ai fini fiscali, il valore attribuito ai beni strumentali materiali e immateriali, per effetto della imputazione su tali poste di bilancio del disavanzo da concambio, per un ammontare complessivo non eccedente l'importo di 5 milioni di euro. 2. Nel caso di operazioni di conferimento di azienda effettuate ai sensi dell'articolo 176 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nell'anno 2009, si considerano riconosciuti, ai fini fiscali, i maggiori valori iscritti dal soggetto conferitario di cui al comma 1 sui beni strumentali materiali e immateriali, per un ammontare complessivo non eccedente l'importo di 5 milioni di euro. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano qualora alle operazioni di aggregazione aziendale partecipino esclusivamente imprese operative da almeno due anni. Le medesime disposizioni non si applicano qualora le imprese che partecipano alle predette operazioni facciano parte dello stesso gruppo societario. Sono in ogni caso esclusi i soggetti legati tra loro da un rapporto di partecipazione superiore al 20 per cento ovvero controllati anche indirettamente dallo stesso soggetto ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile. Il maggior valore attribuito ai beni ai sensi dei commi precedenti e' riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attivita' produttive a decorrere dall'esercizio successivo a quello in cui ha avuto luogo l'operazione di aggregazione aziendale. 4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 si applicano qualora le imprese interessate dalle operazioni di aggregazione aziendale si trovino o si siano trovate ininterrottamente, nei due anni precedenti l'operazione, nelle condizioni che consentono il riconoscimento fiscale di cui ai commi 1 e 2. 5. Per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni e il contenzioso si applicano le disposizioni previste per le imposte sui redditi. 6. La societa' risultante dall'aggregazione, che nei primi quattro periodi d'imposta dalla effettuazione dell'operazione pone in essere ulteriori operazioni straordinarie, di cui al titolo III, capi III e IV, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero cede i beni iscritti o rivalutati ai sensi dei commi da 1 a 5, decade dall'agevolazione, fatta salva l'attivazione della procedura di cui all'articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. 7. Nella dichiarazione dei redditi del periodo d'imposta in cui si verifica la decadenza prevista al comma 6, la societa' e' tenuta a liquidare e versare l'imposta sul reddito delle societa' e l'imposta regionale sulle attivita' produttive dovute sul maggior reddito, relativo anche ai periodi di imposta precedenti, determinato senza tenere conto dei maggiori valori riconosciuti fiscalmente ai sensi dei commi 1 e 2. Sulle maggiori imposte liquidate non sono dovute sanzioni e interessi. 7-bis. Per assicurare il sostegno alle esportazioni, una quota pari a 300 milioni di euro delle disponibilita' del fondo di cui all'articolo 2 del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251, convertito, con 114/121
aggregazione realizzate attraverso fusione e scissione, effettuate dai soggetti operanti nel settore dello spettacolo dal vivo anche successivamente all’anno 2009. I maggiori benefici derivati dall’estensione di questa norma al comparto dello spettacolo dal vivo sono conferiti dal riconoscimento ai fini fiscali del valore attribuito ai beni strumentali materiali ed immateriali per un ammontare complessivo non eccedente l’importo di 5 milioni di euro. Il vincolo è quello che le imprese aggregate operino da almeno due anni. L’articolo 8 del DDL Carlucci- De Biasi prosegue con il conferimento allo Stato delle funzioni precedentemente assolte dal disciolto Ente teatrale italiano, con la possibilità di avvalersi delle società ALES Spa, una gemella di ARCUS. L’articolo 11 istituisce agevolazioni per finanziamenti, attraverso la creazione del Fondo per la concessione di contributi in conti interessi e del Fondo per la concessione di garanzie in favore di finanziamenti erogati alle imprese ed agli operatori del settore dello spettacolo dal vivo. Entrambi i fondi sono di titolarità dello Stato e sono alimentati dalla quota dell’1 per cento dell’importo annuale destinato dal FUS allo spettacolo dal vivo. Beneficiari del contributo e della garanzia possono essere soggetti pubblici e privati operatori del settore che necessitino di costruire, adeguare, recuperare o restaurare beni o spazi destinati allo spettacolo dal vivo oppure a sostegno delle attività artistiche stesse. Spetta al Ministero stabilire con Decreto le quote e i criteri di assegnazione. Le Regioni possono istituire autonomamente, adoperando la quota FUS di propria spettanza, ulteriori conti interessi o fondi di garanzia. L’art. 12 si occupa delle azioni di sostegno alle aree più povere, attraverso l’istituzione di un fondo perequativo di titolarità dello Stato con dotazione non inferiore a tre milioni e cinquecentomila euro annui. In sostanza si opera un modificazioni, dalla legge 29 luglio 1981, n. 394, e successive modificazioni, giacenti sull'apposito conto di tesoreria, a cura del titolare del medesimo conto, e' trasferita al conto di tesoreria intestato al fondo di cui all'articolo 3 della legge 28 maggio 1973, n. 295, per le finalita' connesse alle attivita' di credito all'esportazione. 115/121
riequilibrio delle risorse in modo da garantire uniformità nella distribuzione dei contributi in tutto il territorio nazionale. La titolarità del fondo è assegnata al MIBAC, la sua gestione alla società ARCUS Spa. L’articolo 13 istituisce un fondo per l’innovazione e sostegno dei giovani talenti, con titolarità sempre affidata al MIBAC, di cui 50 per cento dei finanziamenti è riservato all’innovazione, promozione, sostegno dei giovani talenti, il 25 per cento destinato a borse di studio in favore di ricercatori di tecniche e linguaggi dello spettacolo dal vivo, il restante 25 per cento alla promozione di attività artistiche mediante il sostegno a soggetti ed organismi più rappresentativi a livello regionale, ivi compresi ad organizzazioni che formano autori ed interpreti di spettacoli contemporanei. L’articolo 14 introduce il credito di imposta entro il limite massimo e complessivo di 350.000 euro annui per soggetto, assimilando gli organismi di spettacolo alle piccole e medie imprese. I crediti di imposta sono esentati dall’IRAP. Requisiti di accesso, modalità di fruizione e tipologie di spese agevolabili sono definiti con uno o più decreti del Ministero dell’Economia e Finanze di concerto con il MIBAC. Sono deducibili dell’IRPEF spese documentate per acquisto, manutenzione e riparazione di strumentazioni tecniche, nonché spese di vitto ed alloggio derivate dai rapporti di scrittura artistica o di lavoro in associazione, ma si rimanda a successivo Decreto del Ministero dell’economia e finanze la regolamentazione necessaria per l’attuazione.
4.3 Osservazioni Conclusive In conclusione osserviamo come il percorso che ha condotto lo spettacolo dal vivo a veder riconosciuto lo status di attività culturale indispensabile per i cittadini è stato lungo, tortuoso e non si è ancora concluso. Nella Costituzione formale del 1947 il riconoscimento era già stato previsto, ma il rapporto conflittuale tra la Costituzione formale e quella materiale ha impedito alla 116/121
Legislazione ordinaria della Repubblica di recepire ed attuare i principi stabiliti dai Padri Costituenti. A livello internazionale, nei documenti ONU ed UNESCO, anche se anticipati dalla Costituzione Italiana, il processo di elaborazione del concetto di cultura è stato lento e difficoltoso, solo nel 2003 abbiamo una definizione corretta e adeguata di “cultura immateriale”. Le disposizioni internazionali e quelle Costituzionali stabiliscono il principio che la Comunità (nazionale o internazionale) è in dovere di tutelare e sostenere economicamente le attività culturali, abbiamo dimostrato che tra queste è compreso lo spettacolo dal vivo. La situazione attuale in Italia a riguardo è disastrosa e ne abbiamo rilevato e illustrato le cause. Il passo avanti di questi ultimi anni è stato quello di giungere ad una convergenza per varare una riforma complessiva tramite una Legge quadro per lo spettacolo dal vivo. Tutto ciò non è stato portato ancora a compimento. Dal punto di vista economico, per dare una boccata di ossigeno al settore, basterebbe estendere al più presto i benefici previsti per il comparto “cinema” anche allo spettacolo dal vivo. Sul piano, invece, dei diritti fondamentali, centro dell’indagine contenuta in questo elaborato, possiamo rilevare che la lenta evoluzione travagliata sia a livello nazionale che internazionale ha condotto, nei progetti di riforma italiani, al riconoscimento dei Principi fondamentali in diversa misura: Colasio più vicino alle autonomie locali delineate dalla Legge Costituzionale n.3/2001, Carlucci invece con una inversione di tendenza centralistica ma con pieno riconoscimento della Convenzione UNESCO del 2003, che sul piano dei Diritti fondamentali non è da poco. Entrambe le proposte individuano la Repubblica come soggetto titolare dell’azione normativa, e questo è un passo avanti rispetto alla Legge 800/1967 che attribuiva tale potestà allo Stato.
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Bibliografia e legislazione di riferimento
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Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, Parigi, 17 ottobre 2003 (ratificata dalla Repubblica Italiana con Legge 27 settembre 2007, n.167 pubblicata nella G.U. n.138 del 12 ottobre 2007) Garro Paola, Sentenze nn.255 e 256 del 2004 (Contributi alle attività dello spettacolo), Documento pubblicato nel sito internet della Regione Toscana, anno 2004 Repubblica Italiana, Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 29 del 5 febbraio 2004 Parlamento Italiano, XV legislatura, Disegno di Legge c.121 di iniziativa del Deputato Colasio, 28 aprile 2006 Parlamento Italiano, XVI legislatura, Disegno di Legge Carlucci- De Biasi, testo in attuazione pareri aggiornato al 16 febbraio 2012 Parlamento
Italiano,
XVI
legislatura,
Disposizioni
di
revisione
della
Costituzione e altre disposizioni costituzionali in materia di autonomia regionale, presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti, 15 ottobre 2012 Rai Radio Televisione Italiana, Rai 1, La più bella del mondo, trasmissione condotta da Roberto Benigni sulla Costituzione Italiana, 17 dicembre 2012
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APPENDICE
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