à t i n r e d o
in
e d a
o n a l i
MMM Lʼesigenza della verticalità nel tempo
Modernità Made in Milano L’esigenza della verticalità nel tempo tesi a cura di
Federico Pozzoli 795319
Corso di Laurea in Architettura
Ambientale
A.A. 2014/2015 Relatore_Alessandro
De Magistris
MMM 4 Introduzione 7 Glossario
1 10 - 25
I MILANESI SCOPRONO LA VERTICALITÀ 7 La verticalità di Milano nella storia
71 Nuova sede della Regione Lombardia Porta Nuova 84 City Life
3 92 - 93
RIFLESSIONI SULLA VERTICALITÀ CONTEMPORANEA
2 26 - 90
LA MANIFESTAZIONE DELL’ESIGENZA DELLA VERTICALITÀ NELLA CITTÀ DI MILANO DAL 1900 AD OGGI 26 Milano adotta il grattacielo: il contesto 38 Torre Rasini 43 Torre SNIA Viscosa 46 Casa Albergo in via Corridoni, Palazzo Argentina, Casa per abitazioni, uffici, negozi e autorimessa in corso Italia e Palazzo INA in corso Sempione 56 Grattacielo Pirelli 63 Torre Velasca 69 Milano ri-adotta il grattacielo: il contesto
94 - 99
UNA MAPPA DELLA MILANO VERTICALE
100 - 117
INTERVISTE 102 Intervista Prof. Andrea Campioli 105 Intervista Prof. Lorenzo Degli Esposti 110 Intervista Prof. Pierluigi Panza 114 Intervista Prof. Luigi Spinelli
118 - 139
DOMUS E LA CITTÀ VERTICALE
140 - 141
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
INTRODUZIONE Modernità Made in Milano, l’esigenza della verticalità nel tempo è un lavoro che mediante l’attenta ricerca delle fonti, per comprendere il punto di vista che caratterizza ogni architettura e ogni epoca, in cui essa prende luogo, si prefigge, sia l’obbiettivo di fornire un’esauriente storiografia della verticalità milanese, sia di affrontare quegli aspetti teorici che orbitano intorno a questa tipologia costruttiva. L’attenta ricerca di testi, il puntiglioso spoglio della rivista Domus dall’anno 1946 all’anno 2010 alla ricerca di articoli sui grattacieli e le interviste condotte a personaggi di spicco del corpo docente del Politecnico di Milano, ognuno ai vertici nel suo campo, mi ha permesso di acquisire il sapere necessario per affrontare in modo adeguato questo insidioso argomento. Conscio del fatto che il modo corretto di considerare il grattacielo è quello di contestualizzare la sua nascita, e tutte le sue nascite, o ri-nascite, nelle diverse epoche e parti del mondo ho affrontato il lavoro ponendolo all’interno della disciplina architettura, cioè come una sua declinazione, come lo è la fabbrica, la chiesa, la casa. Per comprendere il grattacielo, è importante non tendere a escluderlo, a trattarlo come un oggetto a se stante, tanto predominante nell’ambiente quanto a-necessario di connessioni con la disciplina che lo ha generato, e non creato.
MMM | 4
Per questo motivo, e per il fatto che considero la ‘verticalità’ solamente come un’aggettivo attribuibile a più tipologie di architetture, nel primo capitolo ho perseguito l’obbiettivo di re-inserire il grattacielo all’interno di una tradizione che vede, nella città di Milano, il Duomo e la Torre del Filarete due esempi antichissimi e autorevoli. Sorprendentemente, o non troppo, studiando le vicende che hanno accompagnato la costruzione di questi due monumenti milanesi mi sono imbattuto in situazioni, esigenze, polemiche ed obbiettivi del tutto simili a quelli che emergono tutt’oggi; questo ci fa comprendere come siano mutate le capacità tecniche dell’uomo, e con esse le sue ambizioni in altezza, ma che il luogo geometrico delle esigenze che generano un’opera di verticalità, i mezzi psicologici per affrontare queste opere e le reazioni psicologiche non variano in quanto intrinseche nell’animo umano. Date queste premesse mi sono approcciato alle realizzazioni verticali di Milano dal 1900 ad oggi studiandone approfonditamente la cultura, o sarebbe meglio dire le culture, le esigenze e le ambizioni delle teorie e degli uomini che li hanno scaturiti. Così mi sono immerso totalmente nella cultura dei milanesi dei primi anni del XX secolo: questo mi ha portato a confrontarmi con l’approccio illuministico e la sua propensione a modificare, migliorando, la società. Con il grado di conoscenza dei grattacieli
esteri da parte della popolazione. Con l’esigenza di un’espressione artistica in assonanza con lo spirito del tempo, si veda il movimento Futurista in Italia, e per esempio l’azione di Adolf Loos all’estero. Con, ovviamente, la poderosa influenza Lecorbuseriana sulla scena architettonica del capoluogo lombardo. Tutti questi presupposti hanno permesso, non senza resistenze, l’avvento del grattacielo: la torre Rasini, la torre SNIA Viscosa, le case-albergo, il palazzo Argentina, la casa per abitazioni uffici negozi e autorimessa in corso Italia, Palazzo INA, il grattacielo Pirelli e la torre Velasca ne sono solo i più preminenti esempi. Con queste realizzazioni siamo giunti ormai agli anni 50-60 e la concezione architettonica, cioè la teoria, inizia a mutare. Essa perde quei caratteri di trascendenza e di impegno morale tipici dell’illuminismo e del movimento moderno in favore di una visione immanente e relativistica. L’architettura che cambia con la società, essendone specchio, risente degli influssi della cultura popolare e si adatta alle leggi dell’informazione facendo dell’immagine di sé, la parte di maggiore importanza. È in questa chiave che vanno letti molti dei nuovi grattacieli che nascono in tutto il mondo, e quindi anche a Milano. Per esempio lo storto, il grattacielo di Zaha Hadid, e il curvo, il grattacielo di Daniel Libeskind a City Life, esponenti
MMM | 5
della corrente decostruttivista sono perfetti esempi di quanto detto. Essi mediante gli strumenti formali, enunciati da Johnson nella mostra al MoMA del 1988, dello smembramento, della dislocazione, della flessione, della deviazione e della distorsione decostruiscono gli assiomi che da sempre, secondo Derrida, permeano il fare, e il pensare stesso dell’architettura; acuendo di conseguenza la memorabilità dell’opera. Lo storto attraverso la rotazione attorno ad un asse verticale dei suoi piani, il curvo mediante il curvamento di un oggetto, il grattacielo, tipicamente verticale e rettilineo, mettono in crisi il modo in cui ognuno di noi conosce storicamente l’architettura. Questo provoca nell’osservatore dell’immagine grattacielo smarrimento e confusione, ma soprattutto attenzione, peculiarità fondamentale in un’epoca in cui il successo di un uomo o di un’opera si misura in termini di followers e di audience. Banalizzando: in un’epoca in cui apparire è meglio che essere, a queste architetture non interessa più proporre modelli di sviluppo a cui ambire e perdono così ogni valenza morale e di impegno sociale. Essendo infatti il frutto di una cultura relativistica, in cui non sono più riconosciute quelle leggi universali che secondo l’illuminismo governavano l’universo, e perciò dove ogni individuo è detentore della verità assoluta, risulta impossibile proporre un modello universalmente riconosciuto
di società mediante l’azione architettonica. Io ritengo che sia, in ultima analisi, urgente uscire da questa concezione della disciplina perché in un mondo in cui la crisi ecologica è sempre più imminente, serve che l’architettura torni ad assumere il ruolo che aveva durante il movimento moderno, e che Edoardo Persico definiva straordinariamente come ‘sostanza di cose sperate’. Date queste premesse, il grattacielo per le sue caratteristiche può, e deve, ambire a ruolo chiave nella trasformazione delle città. Per fortuna la società è composta da una cultura dominante, e da più sottoculture: così si può assistere al fatto che a poche centinai di metri da City Life sorga Bosco Verticale. Grazie ai riconoscimenti ottenuti da questa architettura, e alla conseguente esposizione mediatica ricevuta, ingrediente oggi imprescindibile per ambire a modello sociale riconosciuto, esso potrebbe aspirare a diventare simbolo di una nuova epoca, che attenzione non è un revivalismo storico del movimento moderno, bensì la trasposizione moderna e migliorata, in quanto consapevole, dei suoi ideali.
MMM | 6
GLOSSARIO
MMM | 7
COS’È L’ESIGENZA L’esigenza, che sia popolare, elitaria, reale, imprenditoriale, sociale, speculativa, artistica, di fama, di un’epoca... l’esigenza qualunque forma assuma è lo stato dello spirito umano che mette in moto quelle azioni necessarie a forgiare la realtà. Essa si manifesta in molte forme, probabilmente come suggerisce Philippe Daverio la forma architettonica è quella più invasiva: “We’re all victims of the architect. Architecture is the only art that you can’t help but feel. You can avoid paintings, you can avoid music, and you can even avoid history. But good luck getting away from architecture.”; e fra le tante forme che può assumere, persino in quella architettonica essa può trovare innumerevoli declinazioni: di riparo, di status, di condivisione o di isolamento... di una sola diramazione dell’esigenza architettonica mi occuperò in questo lavoro, dell’esigenza della verticalità.
IDENTIFICAZIONE DI UNO STILE Lo stile è una cosa labile, dettata a posteriori cercando di unire le opere di architetti che per natura cercano di emergere individualmente. Detto ciò: lo stile è identificabile solo nella misura in cui un’opera successiva prende spunto da un opera precedente, aggiungendo o togliendo, avanzando. Ciò a sua volta fornirà la base per un’opera successiva. Lo stile, se non storicamente spento, è in continuo mutamento. Alla luce delle difficoltà intrinseche presenti in questa categorizzazione prediligerò un approccio a priori; si indagheranno le cause, gli elementi fondativi, si cercherà cioè di identificare quei fenomeni culturali, artistici, storici e di contingenza sociale che hanno portato l’architettura milanese a svilupparsi nel tempo fino alla Milano odierna, e non in una differente ma altrettanto possibile città. Per questo motivo si parlerà di Scuola Milanese.
COME GIUDICARE UN’ARCHITETTURA
Ogni sistema è vero perchè propone, e falso perchè esclude. MARGUERITE YOURCENAR
La realtà è molteplice. E’ come un diamante, unico ma dai mille riflessi, dipende tutto dal punto di vista da cui si guarda. Ogni cosa indagabile ne è esemplificatrice. Anche la cosa più amorfa, anonima ed insignificante che ci sia in architettura, per esempio una lastra di cemento, se osservata da dieci persone riceverà dieci descrizioni differenti, descrizioni a posteriori: grigia, ruvida, alta, bassa, spessa, sottile... Opinioni relative, magari tutte vere ma che non colgono la natura di quell’oggetto. Esistono altre considerazioni, quelle a priori, cioè quelle che per esempio riguardano come quella lastra di cemento è stata realizzata. Queste hanno sicuramente un grado di oggettività maggiore in quanto riguardano il passato, un processo già terminato. Se una tale ampiezza di commenti sono suscitati da una singola lastra di cemento immaginiamoci ora quanto si possa dire su due lastre di cemento accostate. Immaginiamoci ora quante riguardo cento lastre montate in seguito a una speculazione creativa. Le cento lastre sono quelle del nostro ipotetico palazzo: un numero esponenziale di descrizioni. Alcuni potrebbero pensare che questa smisurata quantità di informazioni sia dannosa ma la verità è che più riflessi del diamante siamo in grado di cogliere maggiore sarà la comprensione della realtà. Perciò appurata la complessità del diamante, nel nostro caso dell’ipotetico palazzo, per facilitare colui che si prefigge un’indagine accurata e rigorosa è bene predisporre uno strumento appropriato in grado di catalogare, necessariamente attraverso un processo di sintesi, ed organizzare la molteplicità dei riflessi profusi dalla realtà, bellissima. Conscio del fatto che per progettare, e per comprendere un’architettura servono due mappe mentali differenti sono altresì convinto che i due processi si relazionino con le medesime esigenze. Quindi così come Vitruvio indica firmitas, utilitas e venustas come categorie, indicazioni per costruire, esse possono essere riproposte anche per giudicare un’architettura. A mio giudizio però esse saranno da intendere come steps, gradini da salire in sequenza, il primo sarà quello della costruzione: un’architettura dovrà fornire
MMM | 8
adeguato riparo, essere solida e non crollare. Il secondo quello della funzione: ampia categoria che racchiude tanto nozioni di organizzazione del Bauhaus quanto quelle moderne di ecologia. Il terzo ed ultimo gradino sarà quello della bellezza: secondo Vitruvio “l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie”, implementata poi da Le Corbusier secondo cui la bellezza è accordo con l’asse delle cose. Nonostante siano degli insiemi che, come detto vanno obbligatoriamente conosciuti separatamente, in sequenza, è paradossalmente necessario che per una sana architettura essi siano anche sviluppati in contemporanea. L’elemento che i tre steps hanno in comune e che permette questo paradosso è il segno. Il segno in architettura implica tutte le cose. Oltre a rappresentare se stesso, implica delle funzioni: la sola disposizione di uno stesso muro nello spazio delinea delle funzioni differenti. Implica una specifica gamma di costruzioni. Il segno può essere bello o brutto. Giudicando il segno si giudicheranno i tre gradini, e viceversa. L’ultima considerazione riguardo a come si giudica un’architettura, per non dilungarmi eccessivamente, riguarda la necessità personale di precisare che con questa classificazione non ho voluto alimentare una classificazione come quella del professore emerito Jonathan Evans Prichard ma piuttosto, per affinità culturale e di intenti, a quella del professore John Keating, personaggio magistralmente interpretato dal compianto Robin Williams ne L’attimo fuggente, poiché sono profondamente convinto che: “medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni necessarie al nostro sostentamento... ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore, sono queste le cose che ci tengono in vita!”.
COS’È UN GRATTACIELO Nell’enciclopedia Treccani si definisce il grattacielo così: “Dall’inglese sky-scraper, edificio di marcato sviluppo verticale, con un notevole numero di piani: comunemente si definiscono g. gli edifici con almeno 15-20 piani, cioè un’altezza minima di m 50-70.”, identificandolo perciò in toto nel suo carattere di altezza, questo nel linguaggio architettonico non è abbastanza. Lo sky-scraper come suggerisce la parola stessa è un concetto di importazione che non esisteva precedentemente nella cultura italiana ed europea; poiché non esisteva una parola per descrivere questa nuova e straordinaria invenzione, per tradurla si fece ricorso alla tecnica del calco linguistico (sky=cielo; scraper=raschietto). Questo si rese necessario perché non era solamente un “edificio di marcato sviluppo verticale” come lo potevano essere le torri dei castelli o i campanili delle chiese, architetture di cui la penisola italiana abbondava e nella cui costruzione eccelleva, ciò perchè l’altezza portava con se peculiarità tecnologiche, tipologiche e sociali del tutto nuove. Questa asserzione incontrovertibile è confermata dal fatto che la culla dei grattacieli è universalmente riconosciuta nella città di Chicago, verso la fine del XIX secolo, nonostante a New York si costruissero edifici già considerevolmente alti vent’anni prima. Questo ci fa capire come il grattacielo nacque quando alla caratteristica altezza se ne fusero altre che permisero a quest’architettura di assumere un ruolo importante in più aspetti della vita dei cittadini ed un’iconografia riconoscibile nell’ideale popolare. Queste peculiarità di cui parlo, e che qui non mi dilungherò a spiegare, sono svariate, da nuovi tipi di fondamenta allo scheletro in acciaio, dalle bow-window alle banali porte girevoli; esse non erano altro che lo specchio dei bisogni della società interpretati e risolti dagli architetti. “Costruzione eretta dall’uomo per abitarvi...”. Dato che non si definisce la tipologia casa solo con la forma “...suddivisa in vani ed eventualmente in piani”, così non dovremmo inquadrare i grattacieli solo con l’altezza, che è si un requisito fondamentale ma non sufficiente, e far perciò riferimento anche a quelle caratteristiche sociali e teoriche che ne plasmano la forma e le funzioni. Infine non è possibile dare una definizione completa di grattacielo senza menzionare New York. In questa città, come viene magistralmente svelato da Rem Koolhaas nel suo Delirious New York, lo sky- craper trova la sua piena realizzazione. Qui vengono sublimati ed estremizzati i concetti che pochi anni prima si erano mostrati solo embrionalmente a Chicago. Le interpretazioni di un autore come lobotizzazione delle funzioni e congestione della superficie diventano concetti fondanti per chiunque voglia, da quel momento in poi, avventurarsi in questa branchia dell’architettura (intesa come sintesi organica di urbanistica e progettazione di grattacieli).
MMM | 9
1
I MILANESI SCOPRONO LA VERTICALITÀ L’historia si può veramente definire una guerra illustre contro il tempo, perché togliendogli di mano gli anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaveri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera nuovamente in battaglia. ALESSANDRO MANZONI - I promessi sposi Orizzontalità. Pianura Padana, Milano. Verticalità. Alpi. Fin dalla sua fondazione a Milano si rincorre questa dualità: una città eretta nell’orizzontalità della pianura, sullo sfondo della verticalità alpina. Le Alpi, come la scenografia di uno spettacolo osservano sornione l’andirivieni di persone, lo scorrere delle vite e le ora avverse, ora benevole vicende che si susseguono in quella che è la più grande città che si estende al loro cospetto. Bonarie la avvolgono e la abbracciano, come una storia di vero amore stanno ora vicine, proteggendola da venti freddi e perturbazioni del Nord, ora lontane per non soffocarla e consentirle un prospiciente sviluppo. La pianura invece, ospitale e cornucopia sacrifica sé stessa come luogo e come mezzo permettendoci di giungere al benessere materiale. Posta su una delle principali vie di commercio europee, al centro di una feconda pianura, circondata da fontanili e corsi d’acqua, la città, date tutte queste caratteristiche positive, ha invogliato i primi popoli nomadi a insediarsi qui, e gli ha altresì permesso di cresce e prosperare. Pur vantando un territorio tanto ospitale, non era abbastanza per la vita della razza umana, fin dalla prima volta che vi si stabilì, come in qualsiasi altra parte, l’uomo iniziò a fare quello che gli è sempre riuscito meglio, quello che lo distingue dagli altri animali del creato: cioè indagare,
MMM | 10
scoprire, servirsi di strumenti per conoscere e poterne creare degli altri... sempre volto all’obbiettivo di migliorare il proprio tenore di vita. Le Corbusier in “Verso una Architettura” scrive: “Lo strumento è l’espressione diretta, immediata del progresso; è il collaboratore necessario; il liberatore anche”, poi aggiunge: “Questo gesto è espressione di salute dello spirito, di salute morale, di morale; non si ha il diritto di produrre male per colpa di un cattivo strumento... lo si butta via, lo si sostituisce con uno nuovo”. Questo è quello che ha sempre fatto l’uomo, quel che gli ha permesso di usare il cervello e il pollice opponibile, quel che gli ha permesso di uscire dalle caverne e poi di scoprire il fuoco, e poi ancora la ruota e gli utensili. Conoscere la realtà per potersene servire attraverso gli strumenti, dapprima semplici e poi sempre più complicati. Perciò conforme alla sua natura l’uomo ha costruito una capanna, delle strade, un insediamento, dieci o cento costruzioni non importa, pur sempre una città, antropizzazione del territorio. Questo passaggio, fondamentale nella storia dell’umanità, ha il significato intrinseco di superiorità, assoggettamento della natura. Giusto? Sbagliato? Necessario? Di fatto questo passaggio ha portato oggi Milano a essere una metropoli da più milioni di persone, a noi di vivere e a me di scrivere queste righe. Non ha senso rinnegare la nostra natura, parlando in termini
totalmente acritici (avremo modo più avanti di entrare nel merito), la razza umana ha bisogno di antropizzare il territorio per sopravvivere. E così fece fin dai primi popoli celtici, passando per l’epoca romana e tutte le alterne vicende del Medioevo, fino alla creazione di uno stato italiano, fino a oggi. Dato che molte sono state le fasi storiche, molte le alternanze e le vicende che si susseguirono in questa città, che di monotono ha solo il terreno su cui poggia, la sua stessa composizione spaziale, riflesso diretto delle ambizioni e delle azioni della società, è stata più volte rimaneggiata, migliorata o ampliata a seconda delle vicissitudini che incombevano in quel preciso periodo storico e in quella determinata situazione. Per esempio la mutazione dell’impianto stradale, da uno rigidamente costruito seguendo gli schemi ortogonali della castrametazione romana, a uno più irregolare di forma ovoidale del tre-quattrocento ebbe, nell’identità della città, ripercussioni grandissime che ne segnarono il destino. Si provi a immaginare quanto sarebbe diversa l’idea che avremmo di lei, e banalmente quanto sarebbe differente la nostra vita di tutti i giorni quando recandoci al lavoro percorressimo una rigida maglia ortogonale come a New York, invece che una ragnatela di vie, se poco meno di duemila anni fa, prima la sconsiderata giacitura delle mura massimianee rispetto alla viabilità, e poi l’influenza e il
L. Gambi e M. C. Gozzoli, Milano, Bari, Laterza, 1982, 1989, pp 59 1
L. Beltrami, Guida storica del Castello di Milano 1368 - 1894, Milano, Hoepli, 1894, pp 17 2
3
Idem, pp 17-18
governo di popoli non romani in cui questa organizzazione era tipica di aree di pianura prive di risalti fisici1, appunto come Milano, non avessero imposto alla città questa metamorfosi. O ancora come l’insicurezza dei tempi antichi fece presto comprendere che per proteggere le città servisse la costruzione di sistemi difensivi. In questo ambito le mura erette da Ottaviano Augusto nel 50 a.C. circa sono il più antico esempio. Poi, più di mille anni dopo, in seguito alla caduta dell’impero romano e alla creazione di un Ducato milanese, nel 1157 con l’imminente minaccia di Federico Barbarossa la necessità difensiva divenne di nuovo impellente. Viene deciso perciò di aggiungere alle mura romane, che se pur rimanevano imponenti erano anche degradate, ad una certa distanza, un fossato con un terrapieno e una palizzata. Curiosamente, circa tre secoli dopo, il fossato divenne il tracciato dei navigli2. Nel 1162, in seguito ad un assedio l’Imperatore del Sacro Romano Impero conquistò la città, che però rimase sotto il suo controllo solo per pochi anni prima che i milanesi, con l’obbiettivo di non incorrere in un’altra invasione, procedessero alla ricostruzione e miglioramento del terrapieno. “Centocinquant’anni più tardi, Azone (Azzo) Visconti sostituì al semplice terrapieno un muro merlato, il quale costituì definitivamente, a partire da quell’epoca, il nuovo recinto della città”3. Sto parlando di questi fatti sia, come già detto, per esemplificare come la necessità di un gruppo eterogeneo di individui vari col tempo, e di come esso si debba
MMM | 11
darwinianamente adattare modificando il territorio e le proprie abitudini, sia perché a mio avviso già in epoca romana i milanesi entrarono per la prima volta in contatto con la verticalità, e con essa anche con quelle sue peculiarità non aderenti necessariamente all’esigenza abitativa. Si perchè parlare di verticalità non significa riferirsi solamente ai grattacieli; verticalità è un aggettivo, una caratteristica attribuibile a più ambiti. Dalla palazzina di quattro piani, alla torre del Filarete, dalla guglia del Duomo a quella del grattacielo Unicredit. Filosoficamente parlando persino il muro di una villa a un piano può essere insignito dell’aggettivo di verticalità. Esso infatti è un dispositivo, uno strumento costruito in altezza e rispondente alle esigenze di protezione degli abitanti contro le insidie esterne. Risultato ottenibile solamente mediante uno barriera verticale, cioè un segno nel territorio. Dato perciò che ogni architettura è costruita in altezza, ognuna è verticalità, e ognuna, pur ipogea e minuta che sia, è un’alterazione del territorio. Questo ci porta a comprendere come da un certo punto di vista l’unica differenza tra il muro merlato di Azone (Azzo) Visconti e il grattacielo Allianz è la conoscenza tecnicoscientifica. Il motivo è che la costruzione del Duca visconteo non è altro che, similmente ai grattacieli, un segno artificiale e verticale, più alto possibile, teso a raggiungere un obbiettivo prefissato: in questo caso, proteggere la città dal nemico e darle prestigio. Le mura, le Basiliche e il Circo fanno perciò parte di quelle costruzioni della società romana meneghina che non erano strettamente legate alla
finalità abitativa di una costruzione ma che possedevano quei caratteri di grandiosità, fama, simbolismo e scopo facilmente collegabili ai colossi odierni di cemento e vetro. Il passo è breve: il circo a Mediolanum, il Colosseo, piazza San Pietro, Castel Sant’angelo a Roma sono i grattacieli dell’era antica. Il Colosseo e il Burj Khalifa sono parenti stretti. Così si giunge a capire che l’altezza assoluta di un’edificio non è più un metro di giudizio adeguato per definirlo, poiché ogni architettura si colloca in un momento tecnico ben preciso e non consente paragoni con quelle di altre epoche. Il paragone è più efficace se fatto con il contesto in cui la costruzione viene inserita, solo con questo modo di procedere si può includere o meno una costruzione nella categoria dei grattacieli, e della verticalità. Quello che c’è da chiedersi ora è quale sia, se questa o un’altra, la percezione della nozione di verticalità da parte dei milanesi di duemila anni fa e di oggi. Il rapporto tra popolazione, in un certo qual modo società, e verticalità è molto importante e pertanto sarà in seguito ripreso più volte. Per ora basti sapere che lo sviluppo in altezza nelle varie epoche viene differentemente interpretato in base al ruolo che esso assume, o viene fatto assumere, nell’immaginario collettivo. Se perciò con questa disquisizione, fors’anche un po’ troppo astratta, sto incominciando a convincere il lettore che la verticalità è un concetto più ampio di quel che la società moderna creda e propagandizzi, e che è una categoria ampia e a sua volta composta da molte sottocategorie,
A. De Magistris, High-rise, Torino, UTET, 2004, pp 4 4
5
Idem
6
Idem
G. Ponti, Domus, Milano, Editoriale Domus, n. 267, pp. 1 7
F. Zuccari e G. De Castro, Il Duomo di Milano, Roma, Editalia, pp 5 - C. Castellaneta, La mia Milano, Milano, Mondadori Editore, 1988, 1988, pp 10 8
F. Zuccari e G. De Castro, Il Duomo di Milano, Roma, Editalia, 1992, pp 42; vieni qui riportata una tabella con le misure delle principali cattedrali europee e vi è scritto che: “Le dimensioni di metri 158, di lunghezza, di metri 88 di larghezza, e di metri 111 di altezza collocano la nostra cattedrale come la più vasta fra quelle di gotico stile; ed altresì confrontata a quelle di stile diverso, non la cederebbe per grandiosità di proporzioni e per vastità di superficie che alla sola Basilica Vaticana.” 9
Idem, pp 5
10
G. C. Bascapè e P. Mezzanotte, Il Duomo di Milano, Milano, Bramante Editrice, 1952, 1965, pp 11 11
1 Facciata del Duomo fotografata dal Museo del 900
mi sarà molto più facile proseguire il discorso con esempi, che sarebbero potuti apparire a tutti, e fin da subito, più aderenti.
LA VERTICALITÀ DI MILANO NELLA STORIA La verticalità tradizionale di Venezia, la verticalità tradizionale di Bologna, la verticalità tradizionale di Napoli... Ogni città italiana, ma si potrebbe anche dire, ogni città, ha una tradizione di verticalità su cui si potrebbero scrivere molte pagine; la maggior parte delle volte però esse vengono considerate come avulse da questa caratteristica e si dipinge ogni nuovo grattacielo come una cattedrale nel deserto. Allargare il concetto di verticalità come sopra accennato, o più semplicemente ri-passare a setaccio le nostre città con un occhio maggiormente critico, servendosi dello stesso metodo di giudizio del passato, ma scevro da impostazioni pre-giudiziali gioverebbe sia alla qualità della critica sia alle città stesse in quanto permetterebbe una nuova antologia in grado di inserire serenamente nuovi episodi verticali nel tessuto urbano, e più importante, nell’immaginario collettivo. In quest’ottica procederò a due esempi che, per forza simbolica, sono in grado di rivalutare da soli l’intera storia della verticalità milanese. “The urge to build as high as possible”4 è quindi presente, come accoglimento di una necessità, fin dai tempi antichi. Esempi ne sono le più svariate architetture: il colosso di Rodi, le “Piramidi, gli ziggurat e il Faro di Alessandria”5,
MMM | 12
e ancora i “campanili, ... le grandi cupole rinascimentali e barocche”6 , che trovavano nella verticalità l’elemento distintivo principale per rispondere a quel postulato che Gio Ponti ha scritto: “forma di una sostanza”7. Una delle categorie che più spesso nella storia si sono servite di questo elemento distintivo sono le chiese, ed i motivi di questo prolungato ed ininterrotto rapporto sono molteplici, tanto da spingersi anche in ambiti esulanti 1 l’architettura, quali: fede, psicologia, simbolismo e potere. Per questa ragione, oltre ad un fatto di gerarchia temporale, partirò a parlare da una dei massimi esempi di questa categoria. Il Duomo8: che è la chiesa più grande e più alta9 di Milano è anche, non a caso, quella più capace di evocare con immediatezza l’intera città10. La Cattedrale meneghina ci sarà dunque utile sotto due aspetti nella nostra trattazione: come esempio di verticalità tradizionale e come episodio di modificazione epocale di uno spazio, di una tradizione e di consuetudini profondamente radicate nella società paleocristiana del luogo. Infatti non basta prendere in considerazione gli anni a partire dalla sua fondazione per comprendere appieno la storia e le implicazioni sulla società di questo evento memorabile, ma bisogna partire da circa mille anni prima quando, nello stesso luogo, venivano edificate la chiesa di S. Tecla e la chiesa di S. Maria Maggiore, che insieme formavano, quella che poi verrà chiamata, una cattedrale doppia. Iniziare un’analisi
dalla data di fondazione del Duomo, che conosciamo grazie al ritrovamento di una lapide su cui è inciso: “EL PRINCIPIO DEL DOMO DE MILANO FU NELL’ANNO 1386”11, costituirebbe un errore poiché non sarebbe esaustiva ne ai fini storici generali ne a quelli di questa ricerca. Prendendo in considerazione anche l’assetto ecclesiastico paleocristiano invece si riesce a comprendere meglio
tutta la portata simbolica e sociale di tale rivoluzione urbanistica. Nel testo di A. Pracchi “La cattedrale antica di Milano”, invidiabile sunto di razionalità e di lucidità applicata al ragionamento, viene fatta, dopo tanta confusione finalmente chiarezza sulle origini e sul significato di questo sdoppiamento di impianto tanto curioso quanto insolito oggi ai nostri occhi.
A. Pracchi, La cattedrale antica di Milano, Bari, Laterza, 1996, pp 232-233 12
13
Idem, pp X
14
Idem, pp 132
15
Idem, pp 86
16
Idem, pp 90
M. Saltamacchia, Costruire Cattedrali: il popolo del Duomo di Milano, Genova, Marietti, 2011 17
A. Pracchi, La cattedrale antica di Milano, Bari, Laterza, 1996, pp 427 18
Vengono spiegate le origini delle chiese doppie, concetti che ora non riprenderemo perché rappresentano una divagazione non organica ai fini della verticalità, ma che si basano su nozioni care anche a questo lavoro. Per esempio il Pracchi mostra come questo particolare luogo formato da due chiese e due battisteri12, che affonda, al tempo stesso, radici nel simbolismo e nella teologia dei cristiani dei primi secoli, profonda numerose ripercussioni sociologiche riscontrabili negli usi e nei costumi della comunità religiosa meneghina, poiché “gli eventi, ma anche le idee, hanno non solo un tempo ma anche uno spazio, e che soltanto l’intreccio fra queste due dimensioni è in grado di rendere conto della qualità e della complessità dei fenomeni”13. Questa impostazione, che già avevamo accennato a pag 10, porta a comprendere come, a differenza delle numerose tesi di altri studiosi riportate nel libro, una teoria seria ed in grado di fornire adeguate risposte debba necessariamente basarsi su elementi a priori, che per esempio l’autore indica nella cultura, nella teologia e nel simbolismo dell’epoca14: “insomma entro i confini dell’«orizzonte mentale» di quel periodo”15. Infine un altro concetto fondante dell’opera di Pracchi e rintracciabile anche in queste righe è quello del simbolo: grande è stato il mio stupore quando leggendo tale definizione mi son reso conto delle pesanti analogie con quello che ho scritto nel Glossario, nelle prime righe di “come giudicare un’architettura”. E ancora più grande lo è stato quando l’analogia si è formata tra simbolo e architettura (costruzione). Ecco l’estratto a cui mi riferisco:
MMM | 13
“Ora, esporre la struttura e le implicazioni fondamentali di un simbolo è sempre un’operazione in qualche misura contraddittoria. Se infatti un simbolo è, per definizione, il luogo geometrico di una totalità di significati simultanei e intrecciati fra loro - una totalità appunto e non una sequenza - allora «spiegarlo» cioè tradurlo in una serie di enunciati verbali, concatenati deduttivamente, è un procedura tanto inevitabile quanto arbitraria. Di conseguenza quella che esporremo sarà una (non l’unica) delle possibili esegesi di una totalità che, per sua natura, è comunque più complessa e più ricca di implicazioni di quanto una semplice descrizione, almeno nei limiti di queste pagine, possa testimoniare”16 Questa considerazione esplica chiarissimamente la complessità nel descrivere un simbolo, e dato che un’architettura è (anche) un simbolo, nel descrivere un’architettura. Tornando alla cattedrale doppia di Milano, essa come abbiamo detto, con la sua conformazione, agisce direttamente sulla vita dei partecipanti alla liturgia; in concreto il sacerdote conduceva i fedeli da un corpo all’atro in concomitanza di particolari occasioni, come la Pasqua, trasmigrazio per eccellenza, dando particolare significato simbolico e teologico allo sdoppiamento. Queste processioni da un’aula all’altra erano quindi di particolare importanza per la Chiesa, che esplicava così le sue funzioni di istruzione del popolo e di divulgazione della dottrina; ma lo erano altrettanto per la popolazione che le considerava ormai come una consuetudine, una normalità, dato che si ripetevano tutti gli anni, più volte l’anno, per circa mille anni. In luogo a quanto detto è lecito,
anche senza la testimonianza diretta di documenti che lo attestino, supporre da parte dei milanesi una forte identificazione nel luogo e nei costumi. In questo senso stupisce il generosissimo apporto di oblazioni destinate alla Veneranda Fabbrica del Duomo, che viene letto dagli storici come segno di grande entusiasmo per la nuova costruzione17. Sappiamo da cronache di altri fatti dell’epoca, di una popolazione molto orgogliosa e attiva, come per esempio quando approfittando di un vuoto di potere visconteo instaurano la repubblica, o quando intervenendo nell’ambito dell’architettura-simbolo di potere mettono il veto a Francesco Sforza sulla ricostruzione del castello, ma questi episodi li approfondiremo più avanti. Quindi sarebbe logico pensare a proteste, o per lo meno a qualche forma di dissenso. L’assenza di queste testimonianze però non le esclude categoricamente. Dando per vero il legame supposto tra oblazioni e soddisfazione popolare non resta che da comprenderne le cause. Tale assunto porterebbe a pensare che la tesi di un così forte rapporto tra architettura e società non sia del tutto fondata e che quindi anche la spiegazione fornita dal Pracchi andrebbe a crollare come un castello di carte che vede mancare una fondazione sicura. In realtà è Pracchi stesso che alla fine del suo libro fornisce una possibile spiegazione: “la vitalità e la piena comprensione del simbolo hanno avuto un ruolo decrescente nel tempo, e infine nullo”18 nella persistenza della cattedrale doppia nei secoli. Così l’assetto mentale della popolazione, e dei suoi capi, che col tempo si è plasmato in base alle esigenze, ha modificato
Piazza del Duomo, skyline di Milano e Alpi sullo sfondo, metĂ XIX secolo circa 2
2
Skyline di Milano nel 1927 circa, tratto da Polifilo, Il Duomo di Milano, dalla collezione l’Italia Monumentale, Firenze, Fratelli Alinari, 1927 3
3
MMM | 14
4 Corso Vittorio Emanuele, allora corsia dei Servi con Duomo e guglia maggiore sullo sfonfo, anno1834, tratto da F. Zuccari e G. De Castro, Il Duomo di Milano, Roma, Editalia 5 Corso Vittorio Emanuele con Duomo e guglia maggiore sullo sfonfo, anno 2015
4
MMM | 15
5
6
7
MMM | 16
Adottando un braccio uguale a 59,49cm come termine della conversione si calcola che il campanile era alto 145,7m. La guglia del Duomo sarà di 111m 19
G. C. Bascapè e P. Mezzanotte, Il Duomo di Milano, Milano, Bramante Editrice, 1952, 1965, pp 9 20
F. Zuccari e G. De Castro, Il Duomo di Milano, Roma, Editalia, 1992, pp 147 21
M. Saltamacchia, Costruire Cattedrali: il popolo del Duomo di Milano, Genova, Marietti, 2011, pp 16-18 22
G. C. Bascapè e P. Mezzanotte, Il Duomo di Milano, Milano, Bramante Editrice, 1952, 1965, pp 7-9; F. Zuccari e G. De Castro, Il Duomo di Milano, Roma, Editalia, 1992, pp 147-149 23
A. Pracchi, La cattedrale antica di Milano, Bari, Laterza, 1996, pp 427 24
R. A. Marrucci, Duomo anima di Milano, Milano, Federico Motta Editore, pp 15 25
quello materiale della città. Si è partiti da un’interpretazione architettonica di un simbolo dottrinale, e della mentalità dell’epoca, che ha profondamente influenzato gli usi; si è passati attraverso una progressiva perdita di significato e una vuota ripetizione del gesto che ormai si era però evoluto in consuetudine, per giungere infine alla modificazione di un’azione profondamente radicata attraverso l’alterazione di uno spazio. A questa mutata considerazione riguardo la cattedrale, da sola insufficiente, concorsero numerosi altri fatti alla maturazione dell’intenzione di costruirne una nuova e di dimensioni senza pari. Ecco quelle che sono riuscito a rintracciare: le condizioni socio-culturali meneghine dell’epoca erano di grande rilevanza nel panorama europeo mentre la cattedrale non lo era. Altre città italiane quali per esempio Firenze, Orvieto e Siena se ne andavano dotando. Mercanti e uomini d’arte portavano testimonianze delle architetture gotiche d’oltralpe. Il giorno 11 Aprile 1353 crollava il campanile di Sanata Maria Maggiore (che, per chi ci vuol credere, le cronache attestano di altezza pari a 245 braccia19) rimanendo da allora non più ricostruito. Non è escluso che l’idea di una nuova e grandiosa chiesa fosse già presente nelle intenzioni di Benabò Visconti “beffardo spregiatore di religiosi eppure largo donatore di conventi, ospedali e opere pie”20 e che egli stesso cominciò quindi a raccogliere soldi. Il conte di Virtù (Gian Galeazzo) che incoronato il 6 Maggio 138521 a signore della città volendo riscattare la sua immagine, e quella dello zio Bernabò, probabilmente perorò
MMM | 17
tale causa (nella maggior parte delle fonti risulta che la posa delle fondazioni incominciò l’anno seguente). Rinomate sono le intenzioni espansionistiche22 di Gian Galeazzo, tali forse a portarlo a voler dotare la sua città di una chiesa adatta alle sue mire23. All’epoca sedeva sulla cattedra di Ambrogio l’Arcivescovo Antonio da Saluzzo, legato da parentela coi Visconti. Il concorrere di tutte queste concause portò infine alla costruzione della splendida opera che, dopo varie fasi e secoli di gestazione, noi tutti possiamo ammirare oggi in Piazza Duomo. Prima di terminare riguardo questo argomento però voglio riportare l’unico riferimento che ho potuto trovare accennante delle proteste: “Le resistenze, assai forti, che l’unificazione del gruppo episcopale nel nuovo Duomo incontrerà a partire dal Quattrocento, non nasceranno tanto dal rimpianto per la struttura simbolica e liturgica che andava così perduta, quanto dall’inevitabile inerzia opposta a ogni mutamento da quella incrostazione di interessi e di tradizioni che nei secoli si erano andate stratificando intorno alla cattedrale”24. Sarebbe interessante compiere una ricerca sulle fonti esulanti l’operato di annotazione della Veneranda Fabbrica del Duomo per approfondire questo argomento. Altro aspetto che mi ero prefissato di trattare era la verticalità tradizionale che tale emblema rappresenta per la città. Il Duomo, anche prima della costruzione della guglia, rappresentò un fatto anomalo per grandezza ed imponenza se confrontato con le costruzioni presenti a quel tempo in città. Una tale
costruzione doveva sicuramente destare forte stupore nel cittadino che venendo verso la piazza attraverso il tessuto medioevale se lo trovava davanti, per di più se mai prima d’ora aveva potuto vedere una simile costruzione. Esempi ascrivibili nella stessa categoria del Duomo ne erano di certo presenti a quel tempo in città, e altri ne erano esistiti prima, ma nessuno poteva paragonarsi con esso. Esempi regionali erano sicuramente conosciuti da molti, mentre quelli esteri, di cui se ne possono fornire molti e simili, erano presumibilmente quasi totalmente sconosciuti. Tale grandezza era del tutto in linea invece se confrontato con le ambizioni dei cittadini e della classe dirigente; ambizioni che oggi potremmo definire una manifestazione di lungimiranza e di fede nel futuro. Il nuovo impianto come abbiamo detto andava a sostituire la chiesa di S. Tecla e la chiesa di S. Maria Maggiore, le quali costituivano il centro sociale e religioso da circa mille anni25, andandole a superare entrambi in dimensioni, e col tempo anche in opulenza. Questo accadde perché la città necessitava di un simbolo consono allo sviluppo e alla grandezza a cui era arrivata, e a cui ambiva. La smisurata navata e la vertiginosa guglia erano la manifestazione di un bisogno, si religioso, ma anche di sviluppo, nato tra discordi sentimenti di fierezza e di vanagloria: orgoglio di una città che vuole rappresentare, a se stessa e ai visitatori, quanto di buono è capace di ardire, e contemporaneamente vanità di primeggiare sulle città rivali. Questa dicotomia, antitetica convivenza di orgoglio e vanità sta nascosta nel concepimento di tutti i grattacieli
e di tutti i progetti di verticalità. Così Milano erigeva proprio nel suo cuore un monito che non si esauriva ai pregiatissimi marmi di Candoglia e alle finissime vetrate di cui era formata la sua struttura, ma che si sublimava nell’impegno e nell’ingegno di tutti quegli uomini che contribuirono, dapprima ad azzardare simile impresa, ed infine di quelli che con la forza dei loro muscoli e della loro volontà la portarono incredibilmente a compimento. Le questioni di chi abbia effettivamente fondato il Duomo, se per iniziativa popolare o se per volere di Gian Galeazzo Visconti, e di chi abbia maggiormente contribuito alla sua costruzione, se architetti italiani o d’oltralpe, perdono di valore se si comprende che la vera importanza del Duomo risiede nella testimonianza storica di un bisogno di consolazione dell’animo umano, in quanto simboleggiante concetti elevati di sviluppo e miglioramento sociale. Se si comprende il pauroso passo nel vuoto che fecero i costruttori, se si considera che la maggior parte della fabbrica fu finanziata da offerte, giorno per giorno, della popolazione, se si pensa ad esso come espressione di volontà di un’intera città... appare chiaro come il Duomo di Milano entri di diritto in quella categoria di opere grandiose che l’uomo compie pur avendo contro ogni pronostico, perché nel loro compimento sta proprio la realizzazione dell’animo umano. Componente imprescindibile di tale sentimento atavico è la verticalità! In questa ottica assume ancora più valore la scoperta che il campanile della Basilica di Santa Maria Maggiore superava in altezza la celeberrima madonnina eretta circa cinquecento anni
MMM | 18
8
10
9
12
11
13
MMM | 19
26
vedi nota 16
L. Beltrami, Guida storica del Castello di Milano 1368 - 1894, Milano, Hoepli, 1894, pp 19 27
28
Idem, pp 23
L. Beltrami, Guida storica del Castello di Milano 1368 - 1894, Milano, Hoepli, 1894, pp 28 - G. G. Belloni, Il castello Sforzesco di Milano, Milano, Bramante Editore, 1966, pp 11 29
G. G. Belloni, Il castello Sforzesco di Milano, Milano, Bramante Editore, 1966, pp 10 30
31
Idem
dopo. Il campanile, stando ai cronisti dell’epoca, raggiungeva la mirabile altezza di 145,7m26 mentre la sommità della guglia si fermerà a quota 111m. Se questa cifra dovesse essere veritiera il campanile della Basilica paleocristiana rappresenterebbe un episodio di grandissima rilevanza in una nuova antologia di verticalità. Il secondo esempio più importante di verticalità tradizionale da me individuato nella città di Milano è la Torre del Filarete. Circa negli stessi anni in cui si provvedeva a dotare la città di una cerchia di mura consona al suo prestigio, spinti dal continuo ed imprevedibile mutare degli eventi, si provvedete anche a rafforzare e ingrandire, quello che inizialmente era conosciuto come il castello di porta Giovia e che poi divenne il castello Sforzesco. Per esattezza, la sua prima fondazione risale presumibilmente al 136827, data in cui Galeazzo II non ritenendo sicuro la fortezza ereditata dal fratello decise di erigerne una nuova a cavallo delle mura di Azone. Questo castello si rivelò col succedersi della dinastia Viscontea un simbolo di odio e oppressione che i milanesi si affrettarono a distruggere non appena, in seguito alla morte nel 1447 di Francesco Maria Visconti, istaurarono la “l’aurea repubblica di S. Ambrogio”28. Il simbolo di oppressione che la rocca rappresentava era tanto impresso nella popolazione che quando essa accettò il governo di Francesco Sforza, lo fece solo alla condizione che non venisse ricostruito. Il nuovo signore di Milano dovette attendere cinque mesi, tre anni in totale dalla distruzione, prima di ottenere il permesso da parte dei milanesi alla risistemazione della fortezza mediante la promessa che
MMM | 20
fosse solamente “per ornamento della città e sicurezza contro qualunque nemico che in ogni tempo la volesse molestare”29. In data primo luglio 1450 agli ingegneri militari Marcoleone da Nogarolo e Giovanni da Milano fu affidato il compito di condurre i lavori. Due anni dopo, alla morte per peste di quest’ultimo il cantiere veniva affidato all’ingegnere ducale Jacopo da Cortona a cui, per assicurarsi il promesso carattere ornamentale il Duca Francesco Sforza affiancò Antonio Averulino, conosciuto come Filarete. Il suo compito consistette nel progettare il fronte verso la città, ed in particolare la torre centrale, per sminuire, o dissimulare poi vedremo, il carattere gravoso e militare dell’opera. La torre, che era posta sopra l’ingresso principale, raggiungeva l’altezza di 70 metri. Ben lontana dai 111m della futura guglia maggiore del Duomo ma comunque dotata di un’altezza per l’epoca considerevole, in linea con quella dei campanili delle Basiliche milanesi ad essa contemporanei. La costruzione della torre del Filarete è uno splendido esempio di concomitanza di diverse motivazioni, che in generale possono essere moralmente lodabili o biasimabili, ma che, in ogni caso, la loro unione pragmaticamente concorre alla realizzazione di un elemento, di un fenomeno, che a sua volta può essere, indipendentemente dalle ragioni della sua costruzione, anch’esso lodabile o biasimabile nel senso generale. Come abbiamo detto il castello Sforzesco simboleggiava nell’immaginario collettivo dei milanesi la tirannia e l’oppressione della dinastia Viscontea, tanto che lo Sforza, al momento di essere proclamato
Duca dovette accettare la condizione di non ricostruirlo, e per alcuni storici anche di distruggerlo30. Ovviamente in una città importante e continuamente sottoposta alle ambizioni di molti come Milano, era impensabile per un sovrano accettare l’assenza di un rifugio sicuro, così dopo aver promesso che non sarebbe stato usato di nuovo come strumento di oppressione Francesco procedette alla sua rifondazione. Questo è potuto accadere perché un’architettura, può si profondere numerosi significati e, se lo sguardo di chi la osserva è allenato, anche numerosi caratteri, ma non può per se stessa diventare simbolo di nulla che sia subordinato ad attività umana. Così solo promettendo una totale inversione di rotta delle azioni associate al castello il nuovo duca poté procedere nel suo intento. Intento che, superando questa breve precisazione, presumibilmente non si esauriva alla promessa di ornamento della città e di sicurezza contro i malintenzionati, perché in realtà era, per la maggior parte, interesse personale di avere un muro spesso a dividerlo da futuri attentatori. Motivazione questa che secondo me è lecita e del tutto comprensibile ma nelle cui pieghe Gian Guido Belloni, autore di “Il castello Sforzesco di Milano”, “constata ragioni inconfessabili anche se umane, motivi che con l’architettura e la decorazione nulla hanno a che fare,” ma che “profondamente influenzano l’una e l’altra” 31. Se ben ho interpretato, Belloni critica neanche tanto velatamente il neo duca meneghino colpevole secondo lui di aver inseguito l’arte e il bello non per loro stessi ma per futili motivi pratici come quelli che
32
Dizionario Oxford
G. G. Belloni, Il castello Sforzesco di Milano, Milano, Bramante Editore, 1966, pp 11 33
14 veduta da porta Sempione, ora Arco della Pace, con parco Sempione e skyline di Milano sullo sfondo, tratto da F. Zuccari e G. De Castro, Il Duomo di Milano, Roma, Editalia
14
possono essere l’adempimento di una promessa fatta al popolo. Questo comportamento quindi lo renderebbe, sempre secondo Belloni, un tiranno (inteso come: “Chiunque eserciti la propria autorità con intransigenza o imponga dispoticamente la propria volontà agli altri”32, senza accezione negativa) che sovrappone i sui interessi personali a quelli della collettività, ignorandola e ingannandola in quanto l’unico obbiettivo sarebbe la dissimulazione del carattere oppressivo della fortezza, e quindi per riflesso anche di quello militare, ma ipotetico, del suo governo. Siccome infatti la tirannia lasciata intravedere nel testo dell’autore sopra citato non si è mai realizzata, il nesso logico tra decisione di realizzare un fronte artistico e piacevole, e l’accusa di essere un tiranno che ha anzitutto costruito “un baluardo ... di se stesso e della sua signoria”33 cade subitamente. Quello che è importante chiedersi adesso è se il valore formale, storico e simbolico del castello e della torre perdano di significato sapendo che sono state erette grazie a quella che è stata definita una motivazione biasimabile. La risposta è assolutamente no! Bisogna chiarirsi prima di tutto che l’interesse di protezione, tale è stato visto lo svolgersi della sua attività ducale, non è affatto una motivazione biasimabile ma è di diritto ascrivibile in quella categoria delle esigenze di cui tanto abbiamo parlato e per cui un uomo costruisce, dalla casa al castello. Se anche lo fosse stata, o se anche esistesse una classifica delle esigenze più o meno biasimabili la risposta non cambierebbe perché sono innumerevoli nella storia
MMM | 21
15
16
MMM | 22
esempi di costruzioni edificate per i più biechi motivi che però la polvere del tempo ha sepolto, e davanti alle quali oggi rimaniamo ammirati, o passeggiamo indifferenti dato che, sarebbe il caso di dire purtroppo, l’unico attributo che resiste al succedersi delle generazioni è quello della bellezza. Inoltre bisognerebbe ricordarsi che questa esigenza non è stata l’unica a concorrere alla realizzazione del manufatto, ma lo sono state anche altre. Analizzando il luogo geometrico delle esigenze, per usare una definizione cara al Pracchi, quella di Francesco Sforza è affiancata da quella dei cittadini che dopo la promessa esigono un castello che li difenda e che contemporaneamente abbellisca la città. Ed entrambe sono affiancate da quella del Filarete che dopo essere stato cacciato da Roma vede nella nuova torre un’opportunità di lavoro. È anche presumibile, come già accaduto in precedenza col Duomo, che sia presente un’altra esigenza, e che sia un po’ la causa dell’accettazione della proposta del duca, e un po’ un’ulteriore motivazione indipendente. Mi riferisco al quel groviglio di fierezza e di vanagloria già in precedenza accennato che circa settant’anni dopo la fondazione del Duomo di Milano torna a testimoniare la grande considerazione che i milanesi hanno di loro stessi e della loro città e che non permette di lasciar un luogo tanto rappresentativo in uno stato di abbandono. L’aver elencato le esigenze più importanti, ma a cui se ne potrebbero sicuramente aggiungere altre, mostra in primo luogo come siano in gioco vari attori, ognuno interessato al proprio punto di vista. In secondo che le
A. De Magistris, High-rise, Torino, UTET, 2004, pp 4 34
esigenze, in questo caso come in molti altri, sono complementari e collaborano unitariamente alla realizzazione del bene comune, e che quindi, in terzo luogo, è difficile stabilire quale abbia avuto più importanza nella definizione della struttura perché per ogni soggetto in campo, che vede nel suo punto di vista quello centrale, la realizzazione della torre del Filarete risulta essere un beneficio maggiore per se stesso. Analizzando infatti i dati con un approccio pragmatico e che tenga conto di tutti i punti di vista che partecipano alla realizzazione del fenomeno ci si rende conto che tutti raggiungono il proprio obbiettivo: lo Sforza si procura una residenza sicura da cui governare tranquillamente il ducato, il Filarete da sfoggio della sua bravura, i cittadini acquisiscono una facciata di pregio e maggiore sicurezza contro possibili invasori. Questo che alcuni potrebbero definire come un modo moralmente sbagliato di agire, sta in realtà nella natura dei processi creativi e architettonici tanto da non esistere altro modo. Non bisogna infatti stupirsi che tutte queste esigenze influenti in modo così decisivo sulla forma del castello, e che secondo Belloni nulla dovrebbero avere invece a che fare, non sono da sfuggire per rincorrere quella che potrebbe sembrare un’architettura pura e libera da ogni interferenza, ma sono contrariamente da studiare e da comprendere appieno perché sono quell’elemento che da sempre costituisce il motivo di esistenza dell’architettura. Oggi come una volta un’architettura nasce solamente dell’incontro di più esigenze, paradossalmente a volte anche divergenti, che l’architetto ha il compito di cogliere, interpretare e restituire alla società sotto forma di
MMM | 23
opera architettonica, cioè di forme geometriche tridimensionali. Mi sento di affermare che al mondo esistono solo architetture nate dall’incontro di esigenze. Riassumendo in poche righe i concetti sopra espressi si può dire che i grattacieli sono, esattamente come le ville e i bisturi, degli strumenti creati dall’uomo, in luogo alla definizione di una necessità con lo scopo ultimo di migliorare il suo tenore di vita. Proseguendo con questa interpretazione eticofunzionale appare chiaro come i tanto idolatrati sky-scraper su cui si sono sprecati fiumi di inchiostro, sia per denigrarli che per esaltarli, come se fossero un’entità a sé stante, non siano altro che la semplice e genuina manifestazione dell’esigenza umana in una forma adatta, dettata dalle funzioni che in esso devono prendervi luogo. Così la frase di Cesar Pelli in cui afferma il grattacielo essere una sorta di “«obelisco» del mondo contemporaneo” potrà essere intesa, non più come il posizionamento del tall-building ad “anello terminale di una lunga catena di fatti eccezionali”34 ma piuttosto come espressione spontanea di una società ben salda all’interno di capisaldi temporali e spaziali; e quindi estesa non più soltanto al paragone con l’obelisco ma con qualsiasi altra tipologia architettonica: il grattacielo è la casa contemporanea, il tempio contemporaneo, la fabbrica contemporanea e il castello contemporaneo. È bene però ricordare come una teoria non soppianti l’altra presumendo di descrivere integralmente l’origine e lo sviluppo di questa tipologia, infatti vanno tenute in considerazioni entrambe poiché concorrono a definire un maggior
numero di riflessi del diamante. Se da un lato questo accostamento aiuta ad inserire più serenamente il grattacielo nella storia dell’architettura, dall’altro rivaluta la posizione del secondo termine di paragone perché, al contrario, significa riconoscere anche in esso un carattere di modernità. Oggi la società considera si il Duomo e la torre del Filarete come esponenti imprescindibili della propria memoria, della tradizione e dell’identità di Milano, ma li spoglia di qualsiasi altro significato che non sia quello stilistico. Relazionandosi con un’estensione temporale fuori da ogni aspirazione umana appaiono quindi come immutabili nello scenario della città; la quale essendo composta da oggetti immutabili, lo deve essere di conseguenza anche lei, immutabile. Questo visione crea una città non formata da pre-esistenze da rispettare ed onorare, ma una città di elementi familiari che non devono essere modificati, migliori per il semplice fatto che sono già li. Dare invece adito all’accostamento di queste figure storiche coi grattacieli moderni significa risvegliarli, destarli dallo stato di torpore a cui il succedersi delle generazioni li ha condannati riconoscendo in loro l’intero bagaglio simbolico di ardimento, irriverenza e novità che la loro costruzione portò nella concezione della città di allora. Osservarli oggi con occhi antichi getta un ponte culturale tra architettura del passato e del futuro accumunandola inscindibilmente. Questo paragone ci autorizzandoci inoltre a, in sintonia con le esperienze del passato, voler adattare Milano alle nostre esigenze. In conclusione possiamo dire che studiando questi parenti illustri, i
quali al loro tempo erano grandi visioni di modernità e manifesti inquietanti del futuro, si ritrovano situazioni altamente simili a quelle di oggi. È così che andando a ripescare le vicende prima riportate si scoprono interessi personali, intenzioni biasimate, esigenze di popolarità e di bellezza. Elementi come la tecnica, la società e l’«orizzonte mentale» si evolvono col tempo definendo varie epoche, ma certe reazioni e comportamenti dell’uomo non variano mai perché sono ad esso intrinsechi: è così che osservando come si è giunti a erigere la cattedrale di Milano si può comprendere, per esempio, anche come si è eretto il grattacielo Unicredit.
MMM | 24
17
MMM | 25
2
LA MANIFESTAZIONE DELL’ESIGENZA DELLA VERTICALITÀ NELLA CITTÀ DI MILANO DAL 1900 AD OGGI Far crescere novantasei esseri umani dove prima ne cresceva uno. Ecco il progresso. ALDOUS HUXLEY - Il mondo nuovo Il contrario di una verità profonda non è un errore, è una verità contraria BLAISE PASCAL
W. J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, Londra, PHAIDON, 1982, 1987, 1996, 1997, 1999, 2001, 2002, 2003, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 7 35
Ogni tipo di storiografia si compone in maggior parte di gesti arditi, di opere temerarie, di coraggio nell’intraprendere percorsi mai tentati, di voglia di sovvertire lo status quo delle cose, di compiere imprese arditissime ed epiche. La storia dell’arte allo stesso modo è un elenco di eccellenze, di opere normalissime che sono rivoluzioni, di nuove espressioni formali e stilistiche, di voglia di provocare, di innovare e di impressionare, di non prendersi sul serio e al tempo stesso di essere più rigorosi possibili nel rappresentare la realtà. L’architettura, che intrattiene stretti rapporti con l’arte, progredisce allo stesso modo, secondo un andamento non lineare, ma per episodi di “elevata qualità intellettuale e formale”35. Nel capoluogo lombardo l’architettura ha trovato periodi di straordinaria fecondità, mirabili interpreti ne hanno rivoluzionato, non solo la concezione in Italia, ma anche nel mondo intero. Dato che all’interno delle molteplici applicazioni in cui si materializza questa disciplina si trova anche quella della verticalità, la quale nell’ultimo secolo si è coniugata con maggior risonanza nell’esperienza del grattacielo, anch’esso ha potuto godere del lavoro dei maestri milanesi che hanno saputo restituircene esempi mirabili. Questa storiografa sull’architettura della verticalità milanese si comporrà pertanto
MMM | 26
anch’essa di architetture eccellenti, a volte definite di rottura, a volte di continuità, ma in entrambi i casi dirette ad apportare un nuovo punto di vista riguardo la comprensione dell’arte, ma si potrebbe dire anche della realtà.
MILANO ADOTTA IL GRATTACIELO: IL CONTESTO Per me la musica è il colore. Non il dipinto. DAVID BOWIE È bene contestualizzare la nascita del grattacielo, e tutte le sue nascite, o rinascite, nelle diverse epoche e parti del mondo ponendolo all’interno dell’architettura, una sua declinazione, come lo è la fabbrica, la chiesa e la casa e non tendere a escluderlo, a trattarlo come un oggetto a se stante, tanto predominante nell’ambiente quanto a-necessario di connessioni con la disciplina che lo ha generato, e non creato. Solo analizzando le esigenze del periodo, della società, dell’architettura e considerandolo come parte di un tutto è possibile comprenderlo e giustificarlo. Questa tipologia si è manifestata per la prima volta a Chicago tra il XIX e il XX secolo come conclusione di un complesso
processo avente per attori principali motivazioni sociali, economiche, tecnologiche, culturali, comportamentali, filosofiche e persino religiose dell’America ottocentesca. La più grande città dell’Illinois dalla metà del 800 è stata uno scalo ferroviario importantissimo, imprescindibile nodo di comunicazione tra colonizzato Est e selvaggio Ovest, luogo da cui ebbe inizio l’epopea western. Tonnellate di legno tagliate dalle mitiche figure, ma poco conosciute perché offuscate dal mito dei cowboy, dei lumberjack nelle sconfinate foreste di conifere del Nord venivano spedite su rotaia verso quelle terre che per essere colonizzate necessitavano di legno per le strade, per le case, per gli utensili, per scaldarsi. A quell’epoca il legname era sia la principale fonte di energia, sia di materiale da costruzione, e tutte le tonnellate necessarie ad ammodernare, colonizzare e industrializzare gli Stati Uniti provenivano dalle immense foreste del Nord, intorno alla zona dei grandi laghi, e venivano spedite proprio da Chicago portando grande ricchezza nelle famiglie che ne controllavano i traffici. D’eramo nel suo libro “ il maiale e il grattacielo” pone Frederick Weyerhaeuser, il maggior commerciante di legname dell’epoca, sullo stesso piano di figure epiche nello scenario capitalista statunitense come Daniel
M. D’eramo, Il maiale e il grattacielo, Milano, Feltrinelli, 1995, 1999, 2004, pp 57-58 36
37
Idem, pp 54
Rem Koolhaas, Delirious New York, Verona, Mondadori, 1978, 2001, 2009, pp 21 38
39
Idem
Le Corbusier, Verso una Architettura, Verdellino di Zingonia, Longanesi, 1973, 1979, 1984, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 189 40
Rem Koolhaas, Delirious New York, Verona, Mondadori, 1978, 2001, 2009, pp 22 41
Guggenheim, Andrew Carnegie e, forse il più famoso, John Rockefeller. Nel 1833 si contavano appena 350 abitanti, che nel 1900 erano diventati 1.698.000, e nel 1930 3,3 milioni36. Questo incredibile sviluppo della popolazione si ebbe per un miglioramento delle condizioni economiche e per un incremento nella facilità nel reperire lavoro; possibilità queste non dovute solamente al prima florido commercio di legname, ma che in poche decina d’anni andò scemando per la massiccia deforestazione della zona, ma anche grazie ai commerci di carni e alla creazione nel 1848 della Chicago Board of Trade, cioè la camera di commercio di Chicago dove si inventarono i forward contract37. Questa grande disponibilità di denaro, unita all’aumento della popolazione, alla nascita e alla crescita di importanti società, alla necessità di concentrare tutti i loro dipendenti in un solo edificio, alla necessità di garantire loro degli adeguati standard igienici, alle nuove tecniche costruttive, alle macchine per il trasporto verticale di persone e di cose, all’assenza di una storia architettonica americana precedente a cui attenersi, all’azione di un gruppo di architetti e di ingegneri che seppero unire le loro competenze e soddisfare le richieste, alla religione protestante che associa il successo nella vita all’amore di Dio, alla presenza di personaggi senza scrupoli, alla filosofia di Ralph Waldo Emerson, e si anche allo smisurato aumento del prezzo dei terreni nel cosiddetto Loop e all’opportunità di realizzare cospicue plusvalenze i grattacieli nacquero a Chicago. Tempestivamente la prima città che
MMM | 27
adottò il grattacielo fu New York, ma si può dire anche il contrario dato che, più che a Chicago, esso divenne in pochi anni il simbolo incontrastato della “grande mela” nel mondo, e quando si pensa a New York si pensa al grattacielo, quando si pensa al grattacielo si pensa a New York. Empire State Building, Rockefeller Center, Torri Gemelle, sono forse i più famosi degli esempi che contribuirono nel tempo alla leggenda di questa città, che ha radici bene lontane nel tempo. Fin dall’esposizione del 1853, organizzata in risposta a quella londinese di due anni prima, i newyorkesi sembrarono prendere coscienza del destino che li attendesse. Con questa grande fiera la città volle rivendicare la sua “superiorità, sotto quasi ogni aspetto, su tutte le altre città americane”38, e si può aggiungere del mondo, costruendo due “strutture colossali” 39. La prima era il corrispettivo oltreoceano del Crystal Palace, con le differenze di un impianto cruciforme e di un’enorme cupola al centro, la seconda era il Latting Observatory, una torre di ferro e legno alta più di 100m. La sfera della cupola e l’ago della torre sono indicati da Koolhaas nel suo libro più famoso come le figure archetipo del grattacielo. La base concettuale da cui svilupparne i postulati. L’ago sta a simboleggiare l’impulso di sollevarsi verso il cielo con la forma più economica possibile, la sfera al contrario la volontà di rimanere al suolo contenendo il massimo volume possibile. Solo unendo queste due figure, e le loro peculiarità apparentemente inconciliabili si ottiene lo skyscraper, che non è più quindi unicamente la ricerca dell’altezza come per le torri Medievali, ma punta ora anche ad
attrarre e contenere più persone possibili. Solo passando da questo concetto si arriva a comprendere come questa figura architettonica non rappresenti solamente la sfida “al cielo” da parte dell’uomo. In essa si amalgama infatti la materializzazione di un potere, di un simbolo nel territorio che assurge a landmark, e contemporaneamente la concentrazione, o meglio congestione di cose, funzioni e persone in un unico luogo, risultato più avanzato dell’architettura applicata al capitalismo e governata dalla legge dell’Economia40. Le immagini stereotipate dell’ago e della sfera rimasero endemiche nella cultura dei Newyorkesi tanto che anche prima dell’importazione delle scoperte di Chicago provarono autonomamente a comporre una nuova tipologia di verticalità, esempio ne è il Tribune Building. Altra consapevolezza che portò la costruzione del Latting Observatory fu la presa di coscienza del territorio. Coloro che salirono in cima alla torre poterono osservare da una postazione privilegiata la morfologia del suolo che li ospitava e constatare che aveva dei limiti geografici ben delineati ed invalicabili costituiti dal Hudson River e dal East River. “Se questa nuova consapevolezza limita il campo delle loro ambizioni, ne aumenta però l’intensità”41. All’epoca la popolazione cresceva senza sosta tanto da lasciar intravedere la possibilità, ora molto meno remota di quarant’anni prima, di inghiottire quello smisurato atto di fede che era stata la “Griglia di Manhattan”. Nel 1807 deWitt, Morris e Rutherford avevano elaborato un sistema di strade perpendicolari, 12 avenues direzione Nord-Sud e
S. Settis, Se Venezia muore, Torino, Einaudi, 2014, pp 33 42
A. Manfredini, Il Collegio degli Ingegneri di Milano ed i grattanuvole, in “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 settembre 1911, pp 506 43
44
Idem
A. Manfredini, A proposito della reiezione di un progetto del cosiddetto “grattanuvole” da parte della commissione edilizia di Milano, in “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 novembre 1910, pp 601 45
A. Manfredini, Il Collegio degli Ingegneri di Milano ed i grattanuvole, in “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 settembre 1911, pp 506 46
155 streets in direzione Est-Ovest, che andava a saturare tutto lo spazio disponibile sull’isola di Manhattan, per la maggior parte ancora rurale. Anche se nel 1853 i lotti occupati erano poco più di un terzo di quelli potenziali totali, per la preoccupazione di una sterminata ed uniforme distesa di costruzioni scandita solamente dalle evenues e dalle streets, senza mai una piazza, uno slargo o un parco si decise di ampliarne uno già presente nel piano fino a circa a triplicarlo. Il risultato fu Central Park, di Frederick Law Olmsted. La rigida spartizione urbanistica dell’isola portò con se anche un altro effetto molto importante per il futuro di Manhattan poiché si vennero a creare lotti pressoché tutti uguali tra loro, non assimilabili ma inizialmente liberi da ogni restrizione. Questa democratica spartizione dello spazio lasciava libero sfogo alle iniziative edili all’interno del terreno acquistato, tanto che l’unico limite all’interno del lotto era posto dalle possibilità economiche del costruttore stesso. Dato che proprio nello stesso anno in cui si poterono osservare i confini dell’isola salendo sul Latting Observatory nacquero anche le preoccupazioni per la saturazione dell’isola di Manhattan, la quale evenienza avrebbero provocato un grave arresto dello sviluppo edile ed economico in generale, è lecito pensare che l’idea primigenia di New York città della verticalità sia nata, ancora embrionale e senza una precisa definizione, proprio in quel periodo. Con l’ingresso nel 900 gli U.S.A. si avviavano a diventare la maggior super-potenza della terra, simbolo universalmente riconosciuto di libertà, opportunità, successo, ricchezza e modernità, scalzando
MMM | 28
dal trono le ormai assopite potenze europee. Quale miglior simbolo quindi se non il simbolo stesso della sua città più famosa e sviluppata era appropriato per rappresentare nell’immaginario collettivo gli ideali dell’America? Testimonianza a supporto di tale tesi sta il fatto che “si è ricorso” più volte “alla tipologia del grattacielo per affermare, in concorrenza con gli Stati Uniti che ne sono la patria d’origine, la propria modernità”42. A discapito del fatto che oggi si potrebbe affermare che il primato dell’America come super-potenza mondiale sia in declino, o almeno non così evidente come mezzo secolo fa, quello del grattacielo come sinonimo di modernità non lo è affatto. Basti pensare a tutte quelle realizzazioni che superano in altezza il primato newyorkese ed Americano spostando il riconoscimento dell’edificio più alto al mondo verso oriente. Nuovi centri economici e di potere nascono in giro per il mondo, per affermarlo, per farlo sapere a tutti lo urlano costruendo super- grattacieli da 500, 600 e 800 metri di altezza e progettando persino quello da 1000 metri. Ma tornando all’inizio del ventesimo secolo, il mito Americano non era ancora sorto del tutto e andava costruendosi con i giganti di ferro nelle sue città. Frammenti di quanto succedeva dall’altra parte dell’oceano arrivarono di certo in Italia, ed in particolare a Milano. Oltre alle folcloristiche ed, a vedersi oggi interessantissime, cartoline che viaggiatori ed emigrati inviarono da New York ai parenti rimasti in patria, deve esserci stata anche una contaminazione a un livello culturale più alto. Una conoscenza del fenomeno americano che non si sia esaurita all’impressione,
allo stupore di osservare per la prima volta uno skyline (concetto del tutto nuovo all’epoca), ma che ne abbia studiato i concetti fondativi e le conseguenze sulla città per comprenderne le linee guida ed estrapolarne l’essenza. Nei primi anni del 900 però questo studio deve aver sicuramente riguardato, per la maggior parte, non la “grande mela”, che vedrà poco più avanti negli anni il suo periodo di fama, bensì Chicago che in quell’epoca era il vero laboratorio pulsante di questa nuova tipologia. Testimonianza se ne ha nelle modifiche al regolamento di igiene e di edilizia del Comune di Milano iniziate nel 1908 e terminate nel febbraio 1910. La Commissione consigliare con l’obbiettivo “di vedere se lo sviluppo che Milano va prendendo e le caratteristiche di vita della sua popolazione non consigliassero di indirizzare l’edificazione, in quello stesso senso che fu già applicato in parecchie città dell’estero”43 approvò una modifica che prevedeva “che la città venisse divisa come in 3 zone”44. L’Articolo 61 del regolamento stabilisce una prima zona, interna alla cerchia dei navigli, dove l’altezza delle case “non deve superare i 5/4 della larghezza della via corrispondente”45, una zona a “costruzione intensiva” quindi, “la quale permettesse alla vita degli affari di svolgersi entro una cerchia di spazio relativamente ristretta”46. Una seconda tra la cerchia dei navigli e l’oggi nominata circonvallazione interna con altezze consentite pari a quelle del passato, e cioè di 5/4 della larghezza della via corrispondente ma con limite massimo di elevazione posto a 24 metri. Un’ultima zona al di là della
18
18-19 Collezione Italo Rota
19
MMM | 29
A. Manfredini, A proposito della reiezione di un progetto del cosiddetto “grattanuvole” da parte della commissione edilizia di Milano, in “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 novembre 1910, pp 601 47
48
Idem, pp 601-602
M. D’eramo, Il maiale e il grattacielo, Milano, Feltrinelli, 1995, 1999, 2004, pp 54 49
Una Coketown è una città che funziona a carbone per tutto, per treni, cibo, riscaldamento, fabbriche, anche per produrre elettricità. 50
A. Manfredini, Il Collegio degli Ingegneri di Milano ed i grattanuvole, in “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 settembre 1911, pp 506 51
Illuminismo, 31/12/2015, http:// www.treccani. it/enciclopedia/ illuminismo/ 52
53
Idem
Illuminismo, 15/02/2016, https:// it.wikipedia.org/ wiki/Illuminismo, da Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, di I. Kant, 54
AA.VV, Architetti milanesi: Tre generazioni, a cura di F. Bucci, M. Meriggi, Boves, Araba Fenice, 2008 55
circonvallazione interna con limite di edificazione posto a all’equivalente della larghezza della via, ma con il limite a 24 metri qualora la strada fosse di maggiori dimensioni. “Queste nuove disposizioni del regolamento, discusse e votate dalla Commissione consigliare, approvate dalla Commissione edilizia allora in carica, approvate dal Consiglio Comunale e dalle superiori autorità di tutela, miravano appunto evidentemente a facilitare... un senso evidente, chiaro, intuitivo di igiene, di modernità e di praticità”47. Per far ciò bisognava “creare un centro di vita cittadino nel quale rapidamente possano svolgersi gli affari, nel quale sia condensata in piccola superficie la vita dei traffici, nel quale sia concentrata, diremmo quasi, la pulsazione della vita diurna, del lavoro e del guadagno; creando invece verso la periferia quartieri spaziosi, alberati, ricchi di aria e di luce, nei quali l’individuo e le famiglie vivano di una vita esilarante, tranquilla, gaia, igienica”48. Da questi stralci possono essere tratti molti spunti. Il primo è senza dubbio il chiaro riferimento all’urbanistica che si è delineata sul finire dell’800 a Chicago, forse la prima città metropolitana, dove esisteva un cosiddetto “Loop”, una zona centrale caratterizzata da un numero sempre crescente di skyscraper, e una zona esterna caratterizzata da villette monofamiliari, ampi spazi e tranquillità. “Nel 1910 i trasporti pubblici portavano nel Loop di Chicago un milione di pendolari”49, trend che era stato costantemente in crescita negli ultimi decenni grazie allo sviluppo del trasporto pubblico, provenienti dalle periferie dove si rifugiavano per sfuggire al caos, alla
MMM | 30
criminalità, alla povertà e alla scura fuliggine tipica delle Coketown50. La direzione in cui si volle far sviluppare Milano, che per la verità può anche essere stata ispirata in parte dalla teorizzazione delle garden city europee nel corso del XIX secolo, presenta chiari punti in comune con l’impostazione della windy town, tanto che le parole di Manfredini sembrano descrivere proprio la città dell’Illinois. Inoltre in un altro passaggio non riportato del testo si fa un chiaro riferimento al grattanuvole (nome con cui si indicava all’epoca il grattacielo nella città meneghina) come derivazione degli “edifici all’americana”51, evidenziando ancora di più il già chiaro debito culturale dell’impostazione urbanistica, e la provenienza da essi di un’aura di modernità e sviluppo a cui ambire. Aspetto imprescindibile da notare a questo punto della trattazione, che va a costituire il secondo spunto derivato dai sopra riportati estratti, e contemporaneamente di importanza fondamentale per la comprensione della cultura milanese è la metodologia con qui viene studiato ed assimilato l’esempio estero, quindi adattato ed armonizzato al luogo e alle tradizioni, usando una terminologia moderna: al genius loci milanese; ma per spiegare quanto annunciato mi occorre iniziare una digressione sopra l’inquadramento artistico, culturale e filosofico di Milano, e delle figure di maggior influenza sulla sua storia. Circa 200 anni prima delle parole di Manfredini cominciava un’“evoluzione delle idee in fatto di religione, scienza, filosofia, politica, economia, storiografia e di rinnovamento delle forme letterarie”52 che venne chiamata illuminismo. Questo approccio
mentale dell’uomo nei confronti della vita, comprendente diversi ambiti, “deriva da una secolarizzazione e laicizzazione dell’idea di provvidenza, o progresso, intesa come attività storica umana”53, cosicché il concetto di ragione divenne centrale. Kant scriveva che l’uomo deve uscire dallo stato di minorità dovuto a se stesso, cioè di incapacità nell’usare adeguatamente il proprio intelletto, e attraverso decisione e coraggio usarlo senza alcuna sottomissione pre-posta da alcuno54. In questo modo la ragione applicata al progresso divenne l’unico strumento che potesse guidare l’uomo fuori dai periodi bui della storia verso uno sviluppo che permettesse di “illuminare” la rotta verso la felicità. Felicità dunque come conseguenza del progresso è un’argomento centrale sia dell’illuminismo sia di Pietro Verri, che ne fu appunto il principale promotore in Italia. La sua azione fu molto intensa nel riformare ed ammodernare l’economia, e il governo in generale, della città di Milano attraverso numerosi scritti ed incarichi istituzionali. Verri, vissuto dal 1728 al 1797, lasciò profonde tracce sia in diversi ambiti della legislazione cittadina sia nella cultura della stessa, tanto da far riemergere due secoli dopo, nel solco da lui lasciato, e nella figura di Antonio Banfi, un suo ipotetico erede. Se per Verri “la felicità si raggiunge solo attraverso la conoscenza”, per Banfi la ragione, strumento per giungere alla conoscenza, è il mezzo per dar senso ai nostri sentimenti55. Banfi, che insegnò a Milano dal 1932, si trovò ad affrontare un problema che Verri non dovette mai fronteggiare, sorto alla fine
A. Pracchi, La città come campo caratteristico dell’illuminismo, in L. Patetta (a cura) Storia dell’architettura. Antologia critica, Milano, Etas, 1991, pp 208-209 56
A. Rigillo, La città e la cultura urbanistica del 700, Napoli, Liguori, 1964, pp 11 57
58
Idem
E. Guidoni, L’architetto o la città, in Piermarini e il suo tempo, (catalogo della mostra), Milano, 1983, pp 19 59
60
bib pubblica
del 700 con l’industrializzazione della Francia e la nascita dell’Ecole Politecnique e dell’Ecole des Beaux Arts consisteva nella separazione tra scienza e arte (in senso più lato tra arte e realtà). La prima era vista, conseguenza dell’impostazione illuminista, come metodo prediletto ed infallibile di indagine della realtà, mentre la seconda perde di affidabilità con la messa in crisi dei prototipi inviolabili dell’antichità, cioè delle proporzioni, che non sono più viste né come assolute né come divine. Più che una separazione si tratta proprio di una profonda frattura che venne risanata solamente nei primi anni del 1900. Per esempio il maestro milanese a questo proposito sosteneva un’apparente contraddizione, e cioè che l’arte è al pari della scienza una metodologia di indagine della realtà, utile a portare la luce nell’ombrosità del mondo. Molte sono state le conseguenze di una modalità di indagine improntata sulla razionalità, e molte anche le correnti e i pensieri dei filosofi al suo interno nel corso dei decenni, uno dei concetti fondati però è sempre stato il deismo, cioè l’esistenza di un ente supremo ordinatore dell’universo che è conoscibile mediante un’indagine, ma che non si rivela autonomamente all’uomo come il Dio del Cristianesimo. Per alcuni quest’indagine si può compiere solamente attraverso la scienza mentre secondo altri anche attraverso l’arte. Questa idea fu di molti nell’Europa a cavallo tra il 19° e il 20° secolo. Per esempio artisti come Kandinsky, Mondrian e Picasso fecero dell’arte la loro principale modalità di approccio alla realtà, e in particolare dell’astrazione il loro strumento prediletto. Superare la confusione
MMM | 31
e la molteplicità di quello che li circondava attraverso la ricerca di principi primi che governano ogni cosa su questa terra divenne il loro obbiettivo. Proprio come gli scienziati e i filosofi gli uomini d’arte si approcciavano al mondo nel modo a loro più congeniale, al solo obbiettivo comune di rintracciare le leggi dell’universo. In questa corrente astratta si inserì il giovane Jeanneret quando, in seguito al suo arrivo a Parigi, Amédée Ozenfant lo iniziò alla pittura. Ma fermiamoci un attimo, torneremo più avanti a questo discorso per terminare di delineare il contesto culturale dell’Europa e dell’Italia dell’epoca. Nell’illuminismo emerge la “contraddittorietà del tempo, riflesso di quella più generale complessità concettuale e pratica che impedisce di identificarlo come un sistema filosofico o come una prassi univoca”, quindi “è piuttosto una attitudine critica, un movimento storico, teorico e pratico, complesso fino all’eclettismo e alla contraddizione”56. Questo eclettismo e queste contraddizioni sono però soltanto apparenti, dovute alla sua capacità di adattarsi nel tempo e nello spazio. Gli stessi principi concettuali se sviluppati in ambienti e società differenti produrranno risultati differenti, persino contrastanti. Quanto detto “si concretizza nel fatto che esso determina la formazione di una mentalità eccezionalmente favorevole all’attività urbanistica intesa sia come interventi nelle città esistenti... sia come nuove fondazioni”57 tanto da poter dire che “nessun altro movimento di pensiero ha mai avuto nello sviluppo e nella trasformazione delle città una così profonda incidenza”58. Dato che a Milano Verri fu solo il capostipite di
una schiera di intellettuali che adottarono il primato della razionalità, si assiste da parte loro a un drastico tentativo di riconvolgimento della città storica in nuovi modelli dettati dalla ragione, la nuova mentalità tecnico-scientifica tenta di recepire gli apporti specialistici ai diversi problemi (viabilità, verde pubblico, igiene, sicurezza, ecc.) nella direzione di una razionalizzazione totale e sistematica dell’ambiente59. È sorprendente riconoscere la stessa impostazione e la stessa cultura nell’articolo di Manfredini (si veda nota n. 47), e quindi nella cultura dei politici che si occuparono della redazione del regolamento di igiene e di edilizia del Comune di Milano. Se non conoscessimo la discrepanza temporale che separa questo documento dall’epoca di Verri si potrebbero senza problemi ritenerli dello stesso periodo. La predisposizione a modificare la società prestando profonda attenzione al suo miglioramento attraverso la ragione è l’elemento che accomuna i due periodi e che permette, come scrive Monestiroli, di gettare un ponte lungo due secoli, da Pietro Verri ad Antonio Banfi60, dagli illuministi lombardi ai politici della Commissione consigliare. Come testimone del fatto che la modifica al regolamento di cui stiamo parlando sia di natura illuminista, oltre che la sua stessa stesura e le intenzioni che la sostennero, si può di certo annoverare il modo in cui venne accolta la novità estera. Con questo passaggio termina la digressione che avevo iniziato proprio per chiarire maggiormente il seguente punto. Manfredini, o chi per lui fosse presente nella Commissione consigliare, non si
A. Pracchi, La città come campo caratteristico dell’illuminismo, in L. Patetta (a cura) Storia dell’architettura. Antologia critica, Milano, Etas, 1991, pp 208-209 61
A. Manfredini, A proposito della reiezione di un progetto del cosiddetto “grattanuvole” da parte della commissione edilizia di Milano, in “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 novembre 1910, pp 603 62
63
Idem
limitò a copiare i risultati, l’apparenza o l’immagine che forniva Chicago ma si preoccupò di studiarne le cause al fine di comprenderne i principi. Proprio come farebbe un filosofo, o un pittore nella sua indagine della realtà. Così non si decise di promuovere un’incontrollata crescita in altezza, ma di concentrare dentro le mura la maggior parte del fervore lavorativo in rispetto della storia, della natura e dell’identità di Milano, limitando a 5/4 l’elevazione consentita. Questo regionalismo ante litteram è di certo una metodologia illuminista perché come prima riportato: essa “è piuttosto una attitudine critica, un movimento storico, teorico e pratico, complesso fino all’eclettismo e alla contraddizione”61 che una filosofia univoca, cristallizzata, dogmatica. Questa sua caratteristica che è intrinseca nella sua stessa natura è spiazzante poiché quando si crede di avere riconosciuto una manifestazione formale corrispondente in tutte le sue parti alla formazione concettuale, lo stile muta, si modifica nell’apparenza, nell’esteriorità, ingannando chi ad essa si è fermata, non cogliendone i principi. La mutevolezza dell’illuminismo, per esempio in architettura, è dovuta all’adattamento, nel tempo e nello spazio, nei confronti dell’ambiente, della società, della cultura, delle esigenze (questo concetto di adattamento fisionomico dell’illuminismo è di fondamentale importanza e più avanti sarà ripreso ed approfondito in relazione al cosiddetto “regionalismo”)... Così a Milano interrogati su quale sviluppo era meglio intraprendere in risposta agli stili di vita che vi si svolgevano si convenne di permettere il
MMM | 32
concentramento nel centro, e lo sparpagliamento all’esterno. Ma se era tutto così razionalmente ponderato ed adattato perché oggi invece del “centro storico” non abbiamo un Loop all’americana? Manfredini scrive due articoli, da cui ho tratto gli estratti, per protestare contro la decisione di non procedere con la costruzione di un grattanuvole da lui progettato nella zona, che oggi identifichiamo con la fermata Missori della linea metropolitana 3. Nonostante fosse stato ideato in rispetto delle nuove norme del regolamento, e da quanto detto, degli stili di vita dei milanesi, si incendiò un’aspra polemica che ne decretò la soppressione. Se pur i milanesi pretendevano con il loro stile di vita di essere moderni erano ancora legati a un’estetica che oggi definiremmo ottocentesca. Facciate di palazzi ed arredi interni erano ancora governati dal debito nei confronti della storia come manierismi romani o revival neoclassici. Non dimentichiamo che i grattacieli erano nati solamente pochi anni prima, e dall’altra parte del mondo, e che quei movimenti che oggi siamo abituati a considerati come espressioni consolidate dell’estetica moderna, quasi dei classici, come il futurismo, il movimento razionalista e il movimento moderno, nel primo decennio del 900 avevano ancora da venire, e comunque sarebbero stati bollati ancora per decenni come avanguardie temerarie. Contrapponendo il grattanuvole alto 60 metri di Manfredini, di cui sarebbe interessantissimo poter disporre di immagini, all’estetica consolidata dominante dell’epoca nella città meneghina si può giungere a comprendere il rifiuto che da alcune parti sorse nei suoi
confronti. Anche ipotizzando, cosa probabile, che l’abito del primo grattanuvole milanese fosse in accordo con l’estetica imperante dell’epoca, la tipologia del grattacielo ne porta un’altra connaturata dentro di se del tutto rivoluzionaria ed invasiva. Spogliando il grattacielo dello stile con cui lo si riveste a seconda dell’epoca e del luogo in cui viene inserito, esso è senza dubbio generatore di un’estetica propria, che scaturisce dall’edificio e conquista tutta la città, dovuta alla sua forma. Forma che, a quanto pare, cozzava irrimediabilmente con la sensibilità di alcuni giornali locali, di parte della popolazione, e anche del famoso architetto Luca Beltrami. L’architetto e senatore Beltrami che fu progettista della ristrutturazione della facciata verso la città del castello Sforzesco, di cui abbiamo in precedenza scritto, addusse come argomentazione il fatto che il nuovo edificio in zona Missori potesse “costituire un pericoloso precedente, preludente magari alla costruzione di un vero e proprio grattanuvole in piazza del Duomo o in piazza dei Mercanti”62. Tralasciando di commentare nel merito l’argomentazione che già Manfredini reputa destituita di “qualsiasi valore, poiché nel caso specifico il progetto presentato non si riferiva né alla piazza del Duomo né alla piazza dei Mercanti”63, le considerazioni interessanti sono partendo da quella meno ovvia: il fatto che si intuisce fra le righe che si intende preservare la qualità architettonica delle due piazze, ritenute di livello superiore, che sono cuore e anima della città, dalla contaminazione di modelli che avrebbero fatto di certo comodo a speculatori e costruttori, ma che avrebbero irrimediabilmente
G. C. Argan, Architettura e ideologia, in Zodiac, n. 4, aprile 1959, pp 51 64
A. Sant’Elia, L’architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista. it/_manifes.htm 65
U. Boccioni, Architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista. it/_manifes.htm 66
compromesso l’alto valore urbanistico del centro. Passando alla seconda analisi si nota inoltre il timore, consentendo il primo edificio alto, di una viralità del fenomeno che avrà come conseguenza inevitabile lo snaturamento, la perdita dei valori e dell’identità della città di Milano e dei sui abitanti in favore della moda degli “edifici all’americana”, cioè di una cultura estera. Questa avversione per un nuovo stile proveniente dall’estero può a ragione essere interpretata come una lecita risposta negativa volta a preservare i tratti caratterizzanti di una determinata comunità di persone che col tempo hanno sviluppato una cultura propria, delle consuetudini, e per quanto riguarda l’ambito architettonico, uno stile ben riconoscibile. Questa argomentazione può addirittura essere con più forza riproposta oggi, e lo è stato fatto, poiché in una società governata dalle leggi del commercio e dell’informazione globalizzata, dove le identità regionali considerate nella loro pluralità vanno a costruire una ricchezza inestimabile di conoscenze e di saper fare, si rischia di favorire invece una modello culturale univoco e standardizzato per tutto il mondo. Su questo tema si dibatterà molto per tutto il XX secolo, e ancora fino a oggi, ma siccome ora è ancora un’obiezione che emerge, sembrerebbe quasi inconscia fra le parole di Beltrami, mi riserverò di approfondirla più avanti quando sarà sollevata volutamente da architetti preminenti. Per ora mi interessa analizzare questa avversione da un altro punto di vista: quello di Giulio Carlo Argan. Argan in un brillante ed interessantissimo articolo
MMM | 33
comparso su Zodiac nell’aprile 1959, termina avanzando l’ipotesi che tutto il pensiero dell’umanità moderna, e quindi anche dell’arte, sia interpretabile come la contrapposizione “di arte conservatrice, che assume i grandi valori costituiti come proprio fondamento ideologico ed eterno contenuto della propria eterna bellezza formale, e arte progressiva, che si inserisce nel processo di continua trasformazione, determinazione e superamento dei valori”64. Così intesa la critica dell’architetto e senatore Beltrami assume i connotati di un pretesto elaborato per difendere i preconcetti conservatori a cui mi sento di accumunarlo. La modifica del regolamento di igiene e di edilizia del Comune di Milano terminata nel 1910, ma iniziata nel 1908, si può addirittura dire precedente al Manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti pubblicato il 9 febbraio 1909, movimento progressista per antonomasia che arriva ad auspicare (goliardicamente) la distruzione dei musei (cimiteri) e delle biblioteche, simboli del passatismo imperante e predominante di quell’epoca. Risale addirittura a sei anni dopo il manifesto di Antonio Sant’Elia sull’Architettura futurista firmato l’11 luglio 1914 in cui si ricerca la “soluzione del nuovo e imperioso problema: la casa e la città futuriste. La casa e la città spiritualmente e materialmente nostre, nelle quali il nostro tumulto possa svolgersi senza parere un grottesco anacronismo”65. Il grattacielo oltre che di una nuova forma è di certo portatore di nuove funzioni, di un nuovo modo di vivere l’abitazione, in conflitto con quelle stesse che il futurismo
combatteva, e auspica di cambiare, è quindi comprensibile, quasi ovvio che esso abbia incontrato resistenza ed ostruzionismo. Come abbiamo detto il Manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti è pubblicato il 9 febbraio 1909, sul giornale parigino ‘Le Figaro’, e costituisce una poderosa rottura nei confronti della pluralità dei legami col passato, interpretati come catene che impediscono all’uomo di riversare tutte le energie verso la scoperta di un nuovo modo totalitario di vivere in sintonia con lo spirito dell’epoca. All’interno di questo nuovo modo totalitario di vivere assume un ruolo fondamentale l’architettura, “l’arte libera per eccellenza, la più vasta nell’aspirazione all’assoluto è purtroppo e la più schiava e la più legata alle contingenze della vita”66. Tracce ne sono già presenti nel primo manifesto, Marinetti lascia infatti intendere fra le righe di un poderoso nichilismo la necessità di incrementare la nuova estetica fatta di locomotive, automobili e aeroplani. Mentre rifiuta ogni manifestazione estetica scaturita dall’adorazione del passato, non più fertile dispensa da cui trarre insegnamenti ed ispirazione ma ormai feticcio sterile, brama il ferro, il fuoco, la velocità e tutte quelle opere modernissime nate dalla tecnica come le automobili e i tram a due piani. Insomma una liberazione da modi e stili anacronistici, non aderenti cioè a quelle nuove manifestazioni della tecnica, portatrici di un nuovo stile di vita moderno. E al contrario, da tutte quelle manifestazioni e realizzazioni umane che non erano più rispondenti ad un nuovo sentire moderno. La prima corrente artistica a cogliere queste richieste fu la
Architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista. it/_manifes.htm 67
U. Boccioni, Architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista. it/_manifes.htm 68
69
Idem
70
Idem
71
Idem
72
Idem
Le Corbusier, Verso una Architettura, Verdellino di Zingonia, Longanesi, 1973, 1979, 1984, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 170 73
U. Boccioni, Architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista. it/_manifes.htm 74
Idem; “Oggi cominciamo ad avere intorno a noi un ambiente architettonico che si sviluppa in tutti i sensi: dai luminosi sotterranei dei grandi magazzini dai diversi piani di tunnel delle ferrovie metropolitane alla salita gigantesca dei grattanuvole americani” 75
pittura: a distanza di un anno dalla pubblicazione su Le Figaro i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto dei pittori futuristi e qualche mese dopo il Manifesto tecnico della pittura futurista. Il tale rivolgimento che essi produssero nel campo artistico spinse Boccioni a scrivere un nuovo manifesto, questa volta per l’architettura e iniziarlo con queste parole: “Abbiamo preso a pedate l’apatia commerciale e tradizionale dei pittori e degli scultori italiani, è ora di prendere a frustate l’affarismo e la viltà degli architetti”. Questo scritto fu ritrovato tra le carte di Marinetti nel 1972 senza indicazione cronologica, ma sembra credibilmente collocarsi tra la fine del 1913 e la metà del 1914, in un periodo sicuramente antecedente la pubblicazione del Manifesto Architettura futurista di Sant’Elia, del quale del resto Boccioni era da tempo amico67. La mancata divulgazione al grande pubblico non deve far pensare all’assenza dei concetti contenuti in esso nella cultura, o sotto cultura, italiana, infatti molti sono i collegamenti con l’antecedente Manifesto dei pittori futuristi e il successivo manifesto di Sant’Elia. Inoltre il ritrovamento di queste carte fra quelle di Marinetti indica una circolazione che di certo è avvenuta fra gli aderenti al movimento, e quindi probabilmente anche Sant’Elia. Il manifesto dell’architettura futurista di Boccioni è un’opera di straordinari contenuti, e anche di fondamentali per questa trattazione, in cui sviluppa concetti solo accennati negli elaborati precedenti e che ritroveremo più avanti a fondamento del pensiero
MMM | 34
di Le Corbusier. Le somiglianze col pensiero del maestro svizzero non si contano, tanto da indurre a pensare che il giovano Jeanneret sia entrato in possesso di questo scritto. Tanto per incominciare entrambe usano la stessa terminologia utilizzando esempi come: ferro chirurgico (bisturi), nave (piroscafo), e macchina; ed ammirano le nuove manifestazioni della tecnica e dell’ingegneria che “rispondono direttamente alle necessità della vita e che per il loro ufficio sono credute fuori dal dominio estetico e sono invece proprio quelle che creano per la necessità della loro origine una emozione estetica veramente viva”68; in Verso una Architettura l’analogia tra la nuova estetica ingegneristica e quella di una nuova architettura che dovrà nascere è riproposta con insistenza tanto da culminare nelle celebri pagine in cui le foto del Partenone vengono affiancate da foto di automobili. Entrambe propendono per “la distruzione della vecchia e inutile simmetria per la quale si sacrifica sempre l’utilità”69. Boccioni introduce per la prima volta l’analogia fra casa e macchina poiché dice: “Gli ambienti di un edificio devono dare, come un motore, il massimo rendimento”70, che poi Le Corbusier renderà celeberrima. Il pittore italiano scrive che “la facciata di una casa deve scendere salire scomporsi entrare o sporgere secondo la potenza di necessità degli ambienti che la compongono”71 e casa Curutchet, fra le altre, ne rispetta i dettami. Inoltre Corbu sembra trarre da questo scritto l’avversione per la strada canyon. Ed infine entrambe condividono la convinzione di “un ordine prestabilito”72, di natura
illuminista, da cui dedurre le leggi fondamentali del mondo, della scienza e quindi della forma; così ne parla nel suo libro il neonato personaggio Le Corbusier: “questo asse ci fa supporre una unità di gestione, ammettere una volontà unica all’origine. Le leggi della fisica sarebbero conseguenti a quest’asse, e se riconosciamo (e amiamo) la scienza e le sue opere è perché le une e l’altra rimandano alle prescrizioni di questa volontà prima”73. A monte di tutte queste riflessioni, e di altre che si ritrovano anche nel manifesto dell’architettura futurista ufficiale, sta, come conseguenza del rifiuto di ogni schiavitù da stili del passato e da stili stranieri, cioè da stili non corrispondenti alla vita che si svolge nei palazzi su cui venivano applicati, il ritorno alla necessità, “l’unica via che conduca ad un rinnovamento radicale dell’architettura”74. Necessità intesa come esigenza impellente, ed ecco che ritorna il termine esigenza che tanto avevo usato nel capitolo precedente, e poco in questo. Già ho parlato senza usare esplicitamente il termine dell’esigenza constatata a Chicago e New York quando le circostanze delinearono in modo naturale la comparsa di un nuovo modo di abitare la città: il grattacielo. Esso fu l’organico concentrarsi delle esigenze moderne, contemporanee e spontanee, sorte il quel periodo ed in quei luoghi, in una sola risposta che Boccioni annovera tra quelle di una sana e nuova, si potrebbe dire futurista, architettura75. Come prima suggerivo, ribadisco, il fatto che il pittore abbia scritto queste idee, soffermandoci ora in particolare sul grattacielo, è sintomo del fatto che fosse sentimento, non dico
A. Sant’Elia, L’architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista. it/_manifes.htm 76
77
Idem
78
Idem
79
Idem
80
Idem
W. J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, Londra, PHAIDON, 1982, 1987, 1996, 1997, 1999, 2001, 2002, 2003, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 163 81
82
Idem
83
Idem, pp 164
84
Idem, pp 164
85
Idem, pp 85
86
Idem, pp 164
G. C. Argan, Architettura e ideologia, in Zodiac, n. 4, aprile 1959, pp 48; qui argan descrive il razionalismo in generale, ma quanto riportato descrive perfettamente anche le idee di Le Corbusier 87
comune, ma comunque presente nella cultura dell’epoca, o in una parte di essa; non bisogna pensare infatti che siccome il testo non fu pubblicato se non decenni in ritardo, questo contenuto rimase solo nella testa e nei fogli privati dell’autore. È perciò l’associazione che si fa del grattacielo con un’estetica dettata dai nuovi stili di vita, che col passare dei decenni andavano diffondendosi dall’America a tutta l’Europa, a far nascere l’idea del grattacielo come sinonimo di progresso e di modernità. L’accostamento ad un movimento così volto a combattere il passato in favore di una modernità onesta, come lo è il futurismo, deve di certo aver contribuito alla conoscenza del mito della verticalità, e di New York, nella misura della loro diffusione, anche se non in modo principale. Il successivo, ma che potremmo considerare concomitante, elaborato di Sant’Elia riprende molti di questi concetti e ne approfondisce degli altri: in particolare quello stilistico. Dato che “i materiali moderni da costruzione e le nostre nozioni scientifiche”76 stanno formando “un nuovo ideale di bellezza ancora oscuro ed embrionale, ma di cui già sente il fascino anche la folla”77 si assisterà alla nascita della “casa di cemento di vetro di ferro senza pittura e senza scultura, ricca soltanto della bellezza congenita alle sue linee e ai suoi rilievi, straordinariamente brutta nella sua meccanica semplicità, alta e larga quanto più è necessario, e non quanto è prescritto dalla legge municipale”78. Questo potrà avvenire solo “a colpi di genio”, da parte di architetti “armati di una esperienza scientifica e tecnica”79 ma prestando attenzione al fatto
MMM | 35
che “l’architettura futurista non è per questo un’arida combinazione di praticità e di utilità, ma rimane arte, cioè sintesi, espressione”80. È evidente in queste parole il richiamo ad esperienze del passo come possono esserlo quella dei grattacieli, straordinariamente brutti nella loro meccanica semplicità, alti e larghi quanto più è necessario, e dell’esperienza di Viennese di Adolf Loos; ma lo è altrettanto lo spunto per le architetture di tutti i maestri del movimento moderno. Il futurismo infatti fu un movimento artistico ampio e molto importante che aiutò a traghettare l’architettura nell’era del movimento moderno influenzando vari architetti per decenni, alcuni ancora oggi. Una delle più importanti, se non la più importante figura dell’architettura del 900 è Charles Édouard Jeanneret, ai più conosciuto col nome di Le Corbusier. Egli ha contribuito in modo imprescindibile a coniare lo stile e la cultura dell’architettura moderna raggruppando in una sola e completa ideologia quelle esperienze che da decenni autonomamente tentavano questa impresa. La sua istruzione molto diversificata gli permise di conoscere il pensiero di diverse personalità, a ognuna delle quali a posteriori sarà riconosciuto il ruolo quasi genitoriale nei confronti del movimento moderno, e di attingere da ognuno di essi gli elementi necessari a costituire un pensiero unitario talmente solido da riuscire a rovesciare, sostituendolo, il modello architettonico predominante. È cresciuto studiando i maggiori esponenti artistici dei secoli precedenti, questo gli permise di posizionarsi saldamente all’interno di ideali illuministi. Per esempio
il suo insegnante alla scuola d’arte locale Charles L’Eplattenier, che “era un avido seguace di Ruskin”81, “incoraggiò la tendenza di Jeanneret all’attento studio e all’osservazione della natura, incoraggiando il suo studente a guardare, al di là delle apparenze, le strutture sottese a piante e fossili, e sottolineando la bellezza delle forme geometriche semplici”82. Il suo progetto per una Scuola d’arte del 1910 lascia intravedere invece tracce “del semplificato “classicismo” geometrico dell’architetto settecentesco Claude-Nicolas Ledoux”83 e la predisposizione a guardare il passato per trarne lezioni di carattere generale84 attraverso l’uso della memoria come evocazione e reinterpretazione del tipo. Metodologia questa tipicamente illuminista rintracciabile anche nel Dictionnaire raisonné de l’architecture di Eugène Violletle-Duc, che sappiamo aver acquistato quando, nel 1908, lavorando a Parigi per Perret spese tutto il suo primo stipendio85, in cui c’era scritto che “la storia offre esempi metodologici, ha funzioni didattiche”. Altro concetto fondamentale per il giovane architetto svizzero, e per il suo futuro pensiero, contenuto in quest’opera fu che “l’architettura non imita le forme della natura, ne riproduce l’organizzazione logica e strutturale, scientificamente leggibile, geometrica”. Geometria che per lui sarebbe stata un mezzo simbolico per esprimere “verità più alte”86, cioè “rappresentativa della struttura logica della coscienza o la coscienza stessa separata, sia pure per assurda ipotesi, dai suoi contenuti di conoscenza”87. Profonda conoscenza della storia quindi, a cui si affiancò una
20 Disegno di Le Corbusier adolescente, tratto da AA.VV, Le Corbusier, a cura di H. Allen Brooks, Milano, Electa, 2001
20
21 Disegno di Le Corbusier durante i suoi viaffi dal 1907 al 1911, AA.VV, Le Corbusier, a cura di H. Allen Brooks, Milano, Electa, 2001
21
MMM | 36
W. J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, Londra, PHAIDON, 1982, 1987, 1996, 1997, 1999, 2001, 2002, 2003, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 164 88
89
Idem, pp 83
Le Corbusier, Verso una Architettura, Verdellino di Zingonia, Longanesi, 1973, 1979, 1984, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp VII 90
altrettanto profonda comprensione dello spirito dell’epoca. Aforisma questo, comparso qui per la seconda volta nel mio lavoro, che deve essere ben inteso: lo spirito dell’epoca per me non è altro che l’insieme dei bisogni e delle speranze che nascono spontanei ma confusi e inconsci da una popolazione circoscritta, e che gli architetti devono analizzare e comprendere appieno con l’obbiettivo di razionalizzarli, renderli chiari ed intelligibili prima di tutto a loro stessi, e poi a tutti, così da tracciare la rotta, da guidare lo sviluppo verso un mondo migliore e, successivamente verso nuovi bisogni ancora. Ad aiutare il giovane Jeanneret in questo processo di decifrazione delle nuove esigenze moderne, ci furono due importantissimi architetti presso i quali ebbe la fortuna di lavorare. Infatti, sorprendentemente in sintonia col nascente, da li a pochi anni, movimento futurista, il giovane architetto diffidò del sistema educativo tradizionale, ed evitò l’accademia di BeauxArts, preferendo prestare servizio nello studio di due pionieri: August Perret a Parigi e di Peter Behrens a Berlino. “Perret insegnò a jeanneret le questioni del costruire in cemento armato e lo introdusse”, come abbiamo visto, “alla tradizione teorica del razionalismo francese”88. Da Behrens invece “assimilò l’idea che una nuova architettura dovesse fondarsi sull’idealizzazione di tipi e norme progettati per soddisfare i bisogni della società moderna, in armonia con i mezzi della produzione di massa”89. L’importanza associata al progresso dell’architettura mediante lo sviluppo dei tipi architettonici sarà un punto centrale anche dell’esperienza milanese.
MMM | 37
La frase riportata in Verso una Architettura in cui associa la nobiltà del modo di vedere dell’uomo al sacrificio completo dell’accidentale, in ragione dell’austerità, che è la regione superiore dello spirito, denota inoltre, per esempio, la conoscenza e la simpatia nei confronti del maestro viennese Adolf Loos che nel suo libro Parole nel vuoto scrive così: “Cercare la bellezza nella sola forma e non farla dipendere dall’ornamento: questa è la meta a cui tende l’umanità”. L’accoglienza positiva nei confronti di una nuova forza che sta cambiando il mondo, come quella dell’industrializzazione, fino alle estreme conseguenze culminate nei tentativi di standartizzare l’approccio alla progettazione architettonica, mediante per esempio l’invenzione del modulor, e di serializzazione delle tecniche costruttive. Le già sottolineate peculiarità col movimento futurista. L’ammirazione (sempre volta ai principi generatori) verso il classicismo e le sue forme maturata nel suo “voyage d’Orient” in Italia, Grecia e Asia minore. Il ritorno a Parigi e l’incontro con Ozenfant, che oltre a produrre la nuova identità Le Corbusier, lo introdusse nel mondo della pittura creando insieme la nuova corrente purista, tanto sconosciuta nel mondo pittorico quanto centrale in quello architettonico. Dal momento che le influenze decisive nella formazione del maestro svizzero sono ancora innumerevoli, e sarebbe di certo presuntuoso voler cercare di offrirne un’esaustiva sintesi in queste poche righe ho puntato ad elencare solamente quelle che saranno riprese e sviluppate nella successiva epica esperienza milanese.
Dopo anni di studi, tirocini, viaggi e meditazioni l’insieme eterogeneo delle conoscenze apprese cominciò ad amalgamarsi in una disciplina omogenea, e così la concentrazione di tutte le conoscenze in un sola figura geniale e determinata a rivoluzionare l’ormai stanco ambito architettonico portò, dopo l’incontro con Ozenfant nella città parigina, alla creazione di una rivista: L’Espirit Nouveau, dalle cui pagine partì per la prima volta un nuovo messaggio volto a istaurare “una diversa maniera di svolgere la teoria dell’architettura”90. Nel 1920-1921 vennero pubblicati sulla rivista una dozzina di articoli contenenti la sintesi del pensiero di un uomo geniale e dello spirito dell’epoca firmati Le Corbusier. Per l’interesse generato questi scritti furono raccolti in un libro intitolato Verso una Architettura, grazie al quale essi trovarono piena realizzazione e più ampia diffusione. Terminando la descrizione del contesto rendo chiare anche i motivi per cui mi sono così puntigliosamente voluto dilungare sul quadro storico degli anni a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. La prima riguarda strettamente la comprensione e l’approccio corretto da utilizzare nell’avvicinarsi alla tipologia del grattacielo, e di qualsiasi altra. Come in precedenza già detto esso necessita, per essere compreso, di essere posizionato, in qualità di loro prodotto, all’interno dell’architettura e della società. Comprenderne e spiegane le cause, le cui radici come abbiamo visto hanno origini lontane nello spazio e nel tempo, può essere di giovamento nel contrastare l’opera di mistificazione che da più
Le Corbusier, Verso una Architettura, Verdellino di Zingonia, Longanesi, 1973, 1979, 1984, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp VII 91
P. Bottoni, Le Corbusier, Archivio Bottoni, Le Corbusier, Urbanesimo, Milano 1934, Milano, G. Mazzotta, 1983, pp 34 92
P. Bottoni, Le Corbusier, Archivio Bottoni, Le Corbusier, Urbanesimo, Milano 1934, Milano, G. Mazzotta, 1983, pp 33 93
P. Bottoni, Le Corbusier, Archivio Bottoni, Le Corbusier, Urbanesimo, Milano 1934, Milano, G. Mazzotta, 1983, pp 34 94
G. Ciucci, G. Muratore, Storia dell’architettura italiana, il primo novecento, Milano, Electa, 2004, pp 52 - diretta da dal co, guido zucconi 95
parti, oggi come allora, si solleva contro le sue manifestazioni. Questo ci porta direttamente alla seconda motivazione, e cioè l’esplicitazione delle componenti, e delle loro origini, della cultura che permise l’accoglimento del, o si può dire anche, generato il, grattacielo nella città di Milano. Questa cultura consisteva oltre che in motivazioni interne (sociali, industriali, di ambizione...), in parte già presentate e in parte che lo saranno, nella conoscenza delle idee di Le Corbusier. Secondo Pierluigi Nicolin poco dopo la pubblicazione della raccolta degli scritti Lecorbuseriani, “fra gli studenti di architettura di allora, quelli che avrebbero costituito la esigua appendice italiana del movimento moderno, il libro circolava di nascosto”91, poiché era visto come liberazione da quel giogo provato durante gli “anni dell’università, verso un insegnamento e una pratica architettonica che affidava i sui valori rappresentativi... esclusivamente al “virtuosismo del dettaglio e dello stile” anziché all’affermazione di un suo ruolo sociale”92. Circostanziando ancora di più la data, Graziella Tonon fa risalire al 1926 il primo impatto di uno sparuto gruppetto di allievi frequentanti l’ultimo anno del Politecnico di Milano con le teorie di Le Corbusier, a quell’epoca trentanovenne, contenute in Verso una Architettura. Lo stesso Piero Bottoni affermò in un’intervista: “fu attorno a quel libro e da quel libro che praticamente sorse il movimento di architettura moderno in Italia.. noi siamo stati allattati da Le Corbusier”93. È da qui che nacque la rivoluzione moderna in Italia, da quello sparuto gruppetto di studenti del Politecnico
MMM | 38
formato, oltre che da Bottoni, da Figini, da Pollini e da Terragni94. Questa contaminazione è potuta accadere sia perché questi giovani trovavano nelle parole dell’autore profonde somiglianze con una corrente artistica che ormai in Italia, più di quindici anni dopo la nascita, aveva acquistato sempre più importanza, come il futurismo, sia perché al contrario, del movimento italiano ne era, o ne rappresentava l’evoluzione. Ne raccoglieva cioè l’eredità e la tradizione, ma implementandolo e migliorandolo ne permise finalmente l’applicazione anche in architettura: era l’occasione che si stava aspettando, fin dai tempi delle parole di Marinetti, di superare il passato. I pensieri di Corbu si inserivano inoltre perfettamente nella tradizione illuminista milanese, che dalla sua nascita 200 anni prima mai si era assopita del tutto, e che da li a pochi anni vedrà un nuovo periodo di spolvero con la comparsa di Antonio Banfi. Per queste ragioni, in un ambiente dove l’estetica attingeva indistintamente da Haussmann al cinquecento romano, il movimento moderno italiano mosse i primi passi.
Torre Rasini
Una delle prime realizzazioni degne dell’etichetta di grattacielo che si vede a Milano è la Torre Rasini di Gio Ponti e Emilio Lancia, realizzata in un intervento che vede al suo interno anche una casa bianca e apparentemente cubica. Il complesso è stato edificato all’incrocio di Corso Venezia e Bastioni di Porta Venezia, tra il 1933 e il 1934, e rappresenta una straordinaria affermazione per il movimento moderno italiano. Il medesimo sparuto gruppo di
giovani architetti che nel 1926 veniva allattato da Le Corbusier, fondò nello stesso anno, con l’ingresso anche di altre figure, il Gruppo 7. Questo gruppo iniziò la sua azione attraverso una serie di articoli polemici verso il linguaggio formale del 900, che a quanto pare il futurismo non era riuscito a cambiare, pubblicati sulla rivista “Rassegna Italiana”. Le prime occasioni di sperimentare operativamente queste nuove idee giunsero abbastanza velocemente a realizzazione nelle Biennali di Monza, cioè solamente in un ambito che potremmo definire protetto come quello di una mostra. Va detto però che essi non furono ideatori di un nuovo modo di fare architettura. Da più parti, e da circa 100 anni, cioè dalla nascita dell’industrializzazione, in Europa si predica una nuova e moderna architettura. La si teorizzava egregiamente ma mai nessuno era ancora riuscito a trovare una trasposizione di quei valori in una forma adatta. Fu solo nei primi del 900 con Frank Loyd Wright, e negli anni venti con Gropius, Mies Van der Rhoe e Le Corbusier che il movimento moderno trovò i suoi padri in grado di dare una forma alle teorie precedenti. All’interno di queste teorie non concretizzate in una forma va annoverata anche il futurismo che si, può vantare i disegni per la “Città Futura” di Sant’Elia, che secondo Nikolaus Pevsner sono stati l’unico contributo alla nuova architettura che l’Italia ha saputo offrire nella prima fase di costruzione di un’estetica modernista, ma rimangono pur sempre un lascito di carattere puramente ideale ed artistico95. Tanto più che non ne fu capace un movimento come il futurismo, non lo fu di certo
P. Bottoni, Le Corbusier, Archivio Bottoni, Le Corbusier, Urbanesimo, Milano 1934, Milano, G. Mazzotta, 1983, pp 34 96
22 Casa elettrica, tratta da La casa elettrica, 15/02/2016, http:// www.domusweb.it/it/ notizie/2015/05/25/ un_modello_della_ casa_elettrica.html 23-24 Villa Figini 24 Foto tratta da Villa Figini, Wikipedia, 15/02/2016, https:// upload.wikimedia. org/wikipedia/ commons/2/22/ Milano_villa_Figini.jpg
il Gruppo 7 che ricopre una posizione molto meno rilevante nelle gerarchie della storiografia riconosciuta. Osservando le realizzazioni modello delle Biennali: casa del dopolavoro e garage per cinquecento auto del 1927, casa elettrica del 1930, casa-studio per un’artista del 1933 di Figini e Pollini, e i lavori di Terragni come l’officina del gas del 1927 e casa sul lago per un artista del 1933, si può ben notare una duplice influenza rintracciabile nelle opere di Gropius e di Le Corbusier, per evidenti motivazioni soprattutto in quella di quest’ultimo. Queste osservazioni sono confermate ancora una volta dalle parole di Bottoni: “nonostante l’ammirazione verso Gropius, erano state le tesi di Le Corbusier a rappresentare ‘un fattore di vasto appagamento dell’idealità generica dei giovani’”96. Il Gruppo 7, e gli architetti che lo seguirono si limitarono a copiare lo stile Lecorbuseriano. O si può dire meno rigidamente, a riportarlo, e forse anche a tradurlo, in Italia poiché ai loro occhi rappresentava ottimamente la nuova architettura. Registrata questa operazione è però di fondamentale importanza chiarire che il movimento moderno, o razionalista, non può essere totalmente identificato con lo stile usato dal maestro svizzero negli anni 20. Questo stile, che avrà un folgorante successo e che si imporrà nella scena internazionale, è infatti solamente una delle possibili rappresentazione del sentire moderno di quell’epoca. Ne era cioè l’interpretazione scaturita dal pensiero di un insieme di persone, il cui accomunarsi costituì una cultura. Questa cultura, inizialmente sotto-cultura che divenne poi predominante proprio grazie al sodalizio con l’opera degli
MMM | 39
22
23
24
anni 20 di Le Corbusier, scaturì dall’impostazione razionalista di derivazione illuminista. L’opera parigina del maestro godette di talmente tanta risonanza, e fu di una tal elevata qualità che molti furono gli architetti che confusero l’architettura moderna, razionalista, con quella che definiremo purista. Questa errata associazione avvenne perché nei primi anni di ribalta il carattere espressivo di Le Corbusier, padre del movimento moderno, era fortemente debitore dell’esperienza pittorica purista, tanto da poter affermare che questa corrente artistica sia stata una delle più invadenti dell’epoca moderna in architettura. A guardare la storia sembra quasi inevitabile che da ogni grande maestro nasca una maniera, cioè un seguito di architetti che ne copiano i tratti formali e stilistici, e siccome Le Corbusier è stato a mio avviso il maggiore degli architetti del 20° secolo, maggiore è stato il manierismo nei suoi confronti. Il risultato che si ebbe col trascorrere degli anni fu che il purismo fu spogliato dei propri caratteri idealistici e fondanti finendo per essere identificato solamente dalle forme. La confusione scaturita dall’impoverimento concettuale causò un fenomeno, molto importante negli sviluppi futuri della storia architettonica, di diffusine di forme moderne slegate da un coevo accoglimento degli ideali, che paradossalmente le avevano generate. Per comprendere in modo ancora più approfondito perché, limitandoci al caso italiano, gli architetti milanesi adottarono così di buon grado l’architettura purista serve analizzarne anche i tratti fisionomici. L’esperienza purista nasce dalle menti e dai pennelli di Ozenfant e Le Corbusier
MMM | 40
nell’ambito pittorico come reazione alle derive cubiste che tendevano verso un’astrazione caotica della realtà e puntava attraverso la rappresentazione di oggetti riconducibili a forme geometriche elementari all’affermazione di una realtà ordinata, governata dai numeri, strumento per la diretta interpretazioni delle leggi naturali univoche. Non deve stupire quindi l’affinità di impostazione con le posizioni accolte dal Gruppo 7, perché esse comparvero per la prima volta nel saggio “Après le Cubisme” del 1918 ma vennero poi approfondite nella rivista “Espirit Nouveau” dagli stessi autori e in “Verso una Architettura”. Il significato simbolico che gli stilemi puristi portavano intrinseco era perfettamente compatibile con un certo background culturale e sociale italiano. Nel ricorso a tutto quel bianco, che Le Corbusier definisce il coloro dell’assoluto, a quelle forme semplici, geometriche e austere composte per esaltare il carattere plastico dell’opera al fine di generare in chi osserva una forte commozione Bottoni, Figini, Pollini e Terragni riconobbero più che in altre rappresentazioni, prima di tutto la teoria contenuta nel libro- manifesto che avevano amato, e poi una purezza in grado di rispecchiare ed appagare il loro desiderio di utopismo architettonico e sociale. Le opere di Corbu si ponevano al mondo come manifestazioni dello spirito dell’epoca, connotate però da una vena quasi sovrannaturale, che permetteva loro di essere poste a culmine di una tradizione “divina”, il cui capostipite potremmo individuare nel Partenone, tanto che con la loro purezza sembravano le uniche in grado di sbaragliare tutte le resistenze legate ancora ad
un’ottica decorativa. Si può infatti affermare che l’impalcatura stilistica dell’architettura purista si presta molto bene a essere interpretata come architettura di rottura, portatrice di un taciturno monito per un futuro migliore. Per questa ragione la realizzazione della bianca casa bianca contestualmente alla torre Rasini, è un avvenimento di grande rilevanza. Per la prima volta, al di fuori di una esposizione, veniva presentata alla società meneghina un’opera moderna, in quanto ispirata agli ideali e alle forme di una architettura nuova. Pochi mesi dopo vide la luce anche un’altra opera ancora più radicale, tanto da poter essere posta su un’ipotetica copertina di un libro di architetture puriste. L’opera in questione è la residenza che l’architetto, studente della prim’ora di Le Corbusier e membro del Gruppo 7, Luigi Figini realizzò per sé stesso. La minore paradigmaticità della villa di Ponti e Lancia rispetto alla “palafitta”, così rinominata dai milanesi, di Figini non deve far pensare che siccome non segue così pedissequamente i cinque punti indicati dal maestro svizzero non sia anch’essa un’opera che prende fortemente le distanze dalla visione maggioritaria dell’epoca e, nello specifico, fortemente debitrice di questa nuova estetica estera. Il drastico accoglimento dei cinque punti della nuova architettura da parte di Figini rispetto ad un adattamento più controllato di Ponti e Lancia è un chiaro indicatore del diverso percorso compiuto da ognuno in precedenza. Figini, poco più che trentenne all’epoca della costruzione di quest’opera, ha da sempre caratterizzato i suoi lavori coi dettami dell’architettura purista, facendo della battaglia contro l’architettura dell’epoca il suo
25
26
27
28
29
30
MMM | 41
cavallo di battaglia. Differentemente Ponti e Lancia, più anziani, ebbero modo di studiare ed iniziare la loro azione qualche anno prima, in un contesto ancora fortemente saldo in un’ottica decorativa e di riutilizzo di forme del passato. Analizzando però le opere anteriori alla torre Rasini, come per esempio: casa in via Randagio del 1924-26, casa Borletti del 1928, casa in via Domenicani del 1928-1930 e le “case tipiche” in via De Togni del 1931-1933, si può notare una forte propensione, progressivamente in aumento, alla ricerca di adattamento della casa alle esigenze della vita moderna. La duplice esperienza in Corso Venezia deve essere perciò collocata come a culmine di questo processo di “modernizazzione”. Come ho detto il complesso affacciato su Porta Venezia è caratterizzato da due corpi, un palazzo di colore bianco e una torre, per ognuno delle quali va fatto un discorso separato. Prima c’è da dire che questo fu l’ultimo lavoro che i due architetti realizzarono insieme e che “già si sono un po’ separati in questo edificio stesso, fatto di due corpi distinti”97. Infatti nella prima si colgono forti influenze puriste amalgamate e sottomesse però a quello che, col senno di poi, potremmo definire il forte carattere pontiano. Tralasciando l’estetica, in quest’opera si coglie una totale accettazione degli ideali moderni, una presa di coscienza della loro importanza che porterà poi Ponti alla feconda esperienza di divulgatore con la rivista Domus. Nel grattacielo invece non si percepisce nessun influsso dell’architettura purista. Esso è un’opera posta nel solco delle precedenti realizzazioni della
Gio Ponti Archivio, 15/01/2016, http:// www.gioponti.org/it/ archivio/scheda-dellopera/dd_161_5900/ casa-rasiniallangolo-tra-corsovenezia-e-bastioni-diporta-venezia#gallery 97
da 25 a 30 Complesso Rasini
Gio Ponti Archivio, 15/01/2016, http:// www.gioponti.org/it/ archivio/scheda-dellopera/dd_161_5900/ casa-rasiniallangolo-tra-corsovenezia-e-bastioni-diporta-venezia#gallery 98
coppia, e inquadrabile nello stile Novecento, ma con dei forti aspetti innovativi. Nel modo in cui “c’è forse più Lancia nella torre... e più Ponti nella cubica villa”98, ognuna diventa simbolo delle rispettive esperienze future. La torre Rasini, pur non essendo inspirata all’estetica che in quel periodo rappresentava la corrente più avanguardista dell’architettura in Italia, e cioè quella purista, contiene notevoli novità formali e concettuali. È alta 48m e rivestita quasi totalmente di mattoni rossi. La diversa giacitura e tonalità di alcuni mattoni formano delle fasce marcapiano. Oltre alle abituali finestre rettangolari ne sono presenti anche di forma arcuata, che insieme alle strombature delle finestre e all’altana decorata costituiscono i principali rimandi alla tradizione formale classica italiana. Procedendo da Corso Buenos Aires la caratteristica che si nota di più è senza dubbio il movimento in facciata, che inizia con l’attacco alla casa bianca e culmina in una interessante protuberanza semicilindrica che parte da terra e termina all’ottavo piano con un pergolato vagamente liberty. Come detto l’esperienza di Chicago era di certo nota agli architetti milanesi, per questo ritengo che questa struttura prenda largamente spunto dalle strutture bow window, introducendo così nel capoluogo lombardo un’innovazione tecnico formale rilevante. La congiunzione col terreno è però un’anomalia di grande peso che la fa assomigliare maggiormente a una colonna di ordine gigante che ad un aggetto aereo volto ad aumentare le volumetrie degli appartamenti. Azzardo l’ipotesi che questa soluzione formala possa essere stato il risultato di una mediazione
MMM | 42
tra le differenti idee dei progettisti. Gli angoli rivolti verso i Bastioni di Porta Venezia sono risolti con un’invenzione che riapparirà prepotentemente anni dopo nell’opera di Vico Magistretti. Si tratta qui di ricoprire lo spigolo con della pietre di colore bianco, fortemente diverso dal rosso dei mattoni, per congiungere le due finestre poste sulle facce adiacenti dell’edificio, smaterializzando l’angolo. Questa soluzione deriva dal desiderio, presumo di Ponti, di assimilare nell’opera il tema della finestra a nastro. L’angolo, nelle tecniche costruttive tradizionali è sempre stato un nodo strutturale importantissimo per la stabilità della costruzione. Ispirandosi alle nuove tecniche in cemento armato, una su tutti la struttura Dom-ino di Le Corbusier, Ponti e Lancia cerca di ingannare l’osservatore proponendo una facciata priva di funzioni strutturali. La parte superiore termina con delle terrazze a gradoni degradanti verso il Parco Indro Montanelli, che Ponti riutilizzerà più volte nelle sue architetture e che qui, per la tipologia dell’edificio, possono essere tratti, mediante un mero calco formale, dai grattacieli newyorkesi scaturiti dalla zoning law del 1916. Il fatto che affacciasse posteriormente sui giardini di Porta Venezia e anteriormente sui Bastioni è certamente uno dei motivi per cui oggi possiamo ammirare questo palazzo alto. L’esperienza di Manfredini e del suo grattanuvole ha mostrato, per prima cosa, come l’aspetto dell’igiene sia tenuto molto in considerazione, e per secondo, come l’opinione pubblica sia sensibile, nel bene e nel male, a questa nuova tipologia. Quindi per quanto riguarda il primo
punto la posizione della torre Rasini garantiva l’areazione necessaria a se stessa, e agli edifici circostanti, per erigere il primo grattanuvole. In più l’affaccio sul parco permetteva al costruttore di offrire appartamenti di lusso, il che unito all’ovvio fatto che il grattacielo è un generatore di plusvalore, l’operazione deve essere perciò scaturita in una speculazione redditizia dal punto di vista economico. Senza dubbio motivazione questa della scelta del lotto da parte della società finanziatrice: Anonima Immobiliare di Porta Venezia. Per quanto riguarda il secondo punto invece si possono portare una serie di considerazioni. La prima è che sono passati circa 20 anni dalla proposta rigettata, e dall’annessa polemica, sul grattacielo in piazza Missori e che altri esempi esteri possono essere arrivati a Milano ed aver predisposto maggiormente l’opinione pubblica. Un’altra è che questo primo skyscraer nostrano non è molto alto, 20 anni dopo e 10m più basso della proposta di Manfredini, e che è posizionato in una zona molto più esterna, quasi periferica per l’epoca. L’ultima considerazione potrebbe rispondere al perché i due architetti hanno deciso di dare due impostazioni differenti al palazzo e alla torre. L’architettura moderna, presente in Italia nella sua accezione purista non aveva ancora assunto una posizione predominante né nello scenario architettonico né in quello sociale, tanto che, come ho scritto, il palazzo di Ponti e Lancia, e la residenza di Pollini furono le prime manifestazioni in Italia. Progettare perciò un grattacielo, portatore gia di per sé di una estetica molto forte, purista avrebbe
O. Selvafolta, Alessandro Rimini (1898-1976): profilo di un architetto, in Il primo grattacielo di Milano, Milano, Silvana Editoriale, 2002, pp 11 99
Wikipedia, 18/01/2016, https:// it.wikipedia.org/wiki/ SNIA 100
O. Selvafolta, Alessandro Rimini (1898-1976): profilo di un architetto, in Il primo grattacielo di Milano, Milano, Silvana Editoriale, 2002, pp 21 101
102
Idem
103
Idem, pp 51
rappresentato una rottura troppo forte per il primo grattacielo milanese. Come se, per paura che il progetto vada in contro allo stesso esito di quello del 1911, i progettisti abbiano deciso di dividere un unico progetto in due: uno moderno esteriormente e uno interiormente. Col seguente grattacielo approfondirò il rapporto tra estetica e società.
Torre SNIA Viscosa
La torre Snia Viscosa costruita tra il 1935 e il 1937 e progettata da Alessandro Rimini su commissione della società SNIA Viscosa è alta 59,25m e si affaccia su piazza San Babila all’intersezione di tre vie: Corso G. Matteotti, Via Monte Napoleone, Via Bagutta. Fin dalla vittoria del concorso pubblico il progetto di Rimini piacque “sia dal punto di vista architettonico, che del suo difficile inserimento nel contesto urbano”99. Dato che all’epoca il limite di altezza per un edificio costruito in città era di 30m, l’apprezzamento anche da parte del comune gli permise di ricevere dopo una fitta corrispondenza le deroghe di altezza necessarie a procedere. A differenza delle scarse esperienze precedenti in verticalità, questo grattanuvole si posiziona proprio nel cuore nevralgico del centro urbano. Piazza San Babila è sempre stata uno snodo importantissimo per la vita della città e dei suoi cittadini, e proprio in quegli anni, in seguito all’approvazione del piano regolatore di Cesare Albertini, era interessata da un vasto sconquassamento che vide la demolizione di numerosi edifici. La conseguenza fu quella di ottenere una nuova piazza dalle dimensioni di circa 85x200m circondata da
MMM | 43
edifici, che col tempo andranno a erigersi, del tutto nuovi. La zona attorno a Piazza San Babila con le demolizioni per allargarla e gli sventramenti per creare nuove vie era il luogo di maggior fervore urbanistico dell’epoca, con questa azione si voleva infatti proiettare il centro cittadino verso il futuro, creando cioè una zona dove i collegamenti e il commercio ne avrebbero di certo giovato. Questa azione fu il concretizzarsi dell’ambizione monumentale e di grandezza che il fascismo nutriva, in genere per l’urbanistica di tutte le città d’Italia, ed in particolare per la città che ospitava piazza San Sepolcro, il luogo da dove era partita l’ascesa politica il 23 marzo 1919. In questo contesto va ad inserirsi l’azione di una delle maggiori società italiane e mondiali di quegli anni. Fondata nel 1917 da Riccardo Gualino la Società di Navigazione Italo Americana (SNIA) aveva il compito di controllare i trasporti marittimi tra Italia e Stati Uniti. Con gli anni virò i suoi interessi nel settore chimico e del tessile prendendo il nome di SNIA Viscosa. Nel 1925 era la prima società italiana con un capitale sociale pari ad un miliardo di lire, oltre che la prima a essere quotata in una borsa estera (Londra e New York); nello stesso anno il gruppo Snia Viscosa era arrivato a produrre complessivamente 24.000 kg al giorno di filati artificiali (pari al 68,6% della produzione nazionale e all’11,1% di quella mondiale), di cui circa l’80% destinato all’esportazione, occupando 20.000 dipendenti100. Dieci anni dopo il suo primato era sempre più stabile, e voleva affermarlo nella città tradizionalmente più
laboriosa d’Italia, la cui zona di San Babila sarebbe diventata grazie alle trasformazioni in atto una delle più rappresentative e moderne. Il significato simbolico di tale scelta tipologica e di tale ubicazione rispecchia sia “l’ascesa di un gruppo industriale italiano particolarmente innovativo come la SNIA”101, sia quei valori “di modernità, progresso e audacia che la città inseguiva da tempo, e che proprio nel settore del grattacielo non era ancora riuscita a realizzare”102. Infatti “parecchi tradizionalisti non erano ancora preparati ad accettarlo per la sua inaspettata altezza, e per di più, in un contesto di radicale trasformazione urbanistica”103. Oltre però a questi aspetti c’è né un altro che a mio avviso concorse ad alimentare le polemiche, ma per comprenderlo sarà utile prendere in considerazione l’opera precedente di Rimini, che oltre alla coincidenza ricadente nella paternità del grattacielo di cui stiamo parlando, è anche un’ottima cartina al tornasole per comprendere il gusto estetico della borghesia di quel periodo. Anzi proprio osservando i cambiamenti di stile nei suoi progetti si può comprendere il brusco impatto estetico che sortì il grattanuvole SNIA nel centro della città. Nei primi anni di lavoro autonomo Rimini strinse una stretta e fortunata collaborazione con l’impresa edile “Ing. Mario Lucca & C.” avviata verso una fruttuosa specializzazione nella costruzione di cinematografi. Tra le due guerre ci furono infatti dei notevoli sviluppi tecnici nell’ambito dell’industria cinematografica che portano ad un sempre crescente interesse da parte dei milanesi. Rimini fu protagonista in prima persona di
31
32
MMM | 44
O. Selvafolta, Alessandro Rimini (1898-1976): profilo di un architetto, in Il primo grattacielo di Milano, Milano, Silvana Editoriale, 2002, pp 16 104
105
Idem, pp 17
106
Idem, pp 21
31-32 Foto storiche tratte da Il primo grattacielo di Milano di O. Selvafolta scattate nel 1937 circa
questa espansione progettando diversi cinematografi. Il grande successo che ebbe in quegli anni questa nuova arte è testimoniata anche dal fatto, fra gli altri, che Bottoni in uno dei suoi scritti prese propio per termine di paragone il cinema e i film per costituire una metafora con l’architettura, e in particolare con lo stile che un architetto deve usare. Ma di questo parlerò più avanti analizzando le architetture del secondo dopo-guerra. Il primo incarico che l’impresa edile Lucca commissionò al giovane architetto fu il cinematografo Colosseo, che con i suoi 1800 posti a sedere testimoniava il forte consenso ottenuto da questa forma di spettacolo. Esso si inserisce in un edificio in via Montenero affacciato su piazza Cinque Giornate e viene terminato l’8 Aprile 1927. Nel 1929 invece è richiesta ancora l’opera dell’architetto per decorare gli interni del cinema Impero in via Vitruvio progettato da Carlo Golgoni. Queste le sue due opere principali degli anni venti a Milano, che insieme ad un altro cinema, il Puccini, ed al prestigioso incarico del nuovo Ospedale Cardarelli di Napoli decretarono la sua consacrazione nella scena architettonica, passi che lo portarono nel 1935 a vincere il concorso per il grattacielo in piazza San Babila. Un anno dopo la pubblicazione degli articoli polemici del Gruppo 7 Rimini inaugurava il cinema Colosseo decorandolo in quello stesso modo che il gruppo di giovani architetti ribelli andavano combattendo, e il futurismo prima di loro. Visto però il grande successo a cui Rimini arriverà a partire dalla realizzazione di quest’opera, essa deve di certo aver intercettato
MMM | 45
il linguaggio espressivo atteso dal sentire comune. Sia per la grandiosità degli spazi, sia per le novità tecniche, che per la cornice architettonica, il progetto fu accolto da grande risonanza positiva dalla stampa cittadina: per la “”cornice architettonica... la sala magnifica, le gallerie di linea perfetta, grandiosità e praticità mai raggiunta, e il plafond a cassettoni”, agli occhi dei contemporanei, riecheggiava la nobiltà del Phanteon”104. Il tema fu infatti interpretato con un “robusto accento classicheggiante, in accordo, si scriveva, col “nome stesso di Colosseo” e con la pretesa di una Roma che non guardava tanto all’antico quanto alla sua piena stagione manierista cinquecentesca”105. Allo stesso modo nel cinematografo Apollo i motivi ornamentali di pavimenti, soffici, mobili e stucchi lasciavano affiorare uno stile neoclassico. Così cinque anni prima della torre SNIA Viscosa Rimini testimonia ancora il grande accostamento che la popolazione fa tra decorazione e lusso, rivestendo di vuoti orpelli un edificio la cui anima era invece modernissima, e che, secondo il pensiero razionalista, avrebbe dovuto meritare altro trattamento. Col suo operato contravveniva di certo agli innumerevoli tentativi che in tutta Europa andavano compiendosi da anni per elaborare un’architettura in accordo con le funzioni degli edifici moderni, per esempio cogliendo l’occasione, dei cinematografici, ma accontentò ed appagò, altrettanto certamente, il senso estetico che la cultura predominante accostava a opere di tale respiro. A completare il quadro è opportuno citare ora le prime costruzioni in deroga del limite di 28m edificate fra piazza Piemonte
e via Washington tra il 1923 e il 1925 di 44m di altezza: i cosiddetti grattacieli gemelli di piazza Piemonte. Oltre a rimarcare il fatto che essi ricevettero il permesso di edificazione solo “in virtù della vastità della piazza e delle vie laterali”, e per il “buon effetto e a vantaggio estetico della località”106, è importante notare il linguaggio espressivo con cui veniva trattata un tipologia, ritenuta intrinsecamente moderna, come quella del grattacielo. Mettendo a confronto questa costruzione, e le sale cinematografiche che Rimini costruisce fino al 1929 con la torre Rasini del 1933-34 e la stessa torre SNIA Viscosa del 1935-37 è evidente come sia in atto un processo di alternanza fra linguaggi stilistici. Gli architetti di cui sto parlando in queste pagine hanno colto negli anni il cambiamento culturale nato nella società e stanno cercando di intercettare questo sentire per rappresentarlo nelle loro opere. Attenzione però, non per restituire una vuota immagine metaforica della società, e qui sta il concetto fondamentale dell’architettura razionalista, ma per fornire attraverso una stretta corrispondenza tra pianta e facciata un’architettura in grado sia di rispecchiare quelle nuove funzioni e quei nuovi bisogni nati dall’attività umana svolta in una determinata regione, identificabile qui a grandi linee nell’Europa, sia per indicare a quali risultati ammirevoli possa portare la direzione intrapresa inizialmente con la nascita dell’illuminismo e quindi con la teoria del progresso. Evidenza di queste tendenze se ne avranno negli anni a seguire nell’opera di Moretti e di Bottoni, ma già si scorgono tracce embrionali nelle opere qui trattate.
L. Spinelli, Gli spazi in sequenza di Luigi Moretti, Siracusa, Lettera Ventidue Edizioni, 2012, pp 8 107
Infatti pur essendo identificata la torre SNIA con lo stile Novecento essa a mio parere presenta sia forti tratti richiamanti lo stile razionalista di quegli anni, sia una condivisione degli aspetti ideologici che ne stanno alla base. L’intervento, pur con le strombature delle finestre, per la rigida impaginazione della facciata e la configurazione a massa chiusa, rigorosamente torriforme, risulta avere un aspetto molto austero. Stessa austerità predicata da Loos. Poi il deciso rifiuto di un certo tipo di decorazione su tutta la superficie si concretizza anche nei balconi. A differenza della palazzina bianca di Ponti e Lancia in cui alcuni aspetti, tra cui le ringhiere, si richiamavano ancora, e paradossalmente per l’impostazione dell’opera, a un’estetica storicista, Rimini assume totalmente un’impostazione razionalistailluminista “decorando” i balconi con forme geometriche astratte. L’architetto qui non contraddice i dettami del movimento moderno bensì li applica correttamente in tutta la loro varietà di possibilità, solo apparentemente contraddittoria. Da qui a pochi anni si assisterà allo stringersi del giogo fascista al collo della società e dell’architettura, e al tragico avvenimento della Seconda Guerra Mondiale. Avvenimenti questi che rallentarono e contemporaneamente velocizzarono, a seconda degli ambiti, delle situazioni e dei personaggi, quella nuova architettura detta razionalista, che in Italia era ancora fragile, sopratutto nelle applicazioni della verticalità.
MMM | 46
Casa Albergo in via Corridoni, Palazzo Argentina, Casa per abitazioni uffici negozi e autorimessa in corso Italia e Palazzo INA in corso Sempione
I bombardamenti Alleati eseguiti con bombe incendiarie, per l’errata convinzione che Milano fosse costruita in legno, hanno si avuto l’obbiettivo di fiaccare l’efficenza militare della città, ma anche quella dei suoi cittadini. Per cercare di colpire al cuore ed abbattere l’umore generale della popolazione furono bombardati numerosi luoghi simbolo della città. Vennero indistintamente distrutti edifici religiosi, culturali e ricreativi: il Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele II, il Tetro alla Scala, la chiesa di Santa Maria delle Grazie, l’Ospedale Maggiore, il Museo Poldi Pezzoli, la Pinacoteca di Brera... quasi a voler azzerare la ricca cultura e le radicate tradizioni per costringere alla resa la cittadinanza. Tanto furono dolorose queste ferite che appena finita la guerra l’imperativo fu quello di ricostruire a partire proprio da quelle architetture che trascendevano il loro essere meri mattoni, ma che avevano assunto una identificazione di grande valore nel rapporto che i cittadini intrattenevano con la città, e le sue parti. La prima opera a essere restituita a precedenti splendori fu il Teatro alla Scala l’11 maggio 1946 con la direzione d’orchestra di Arturo Toscanini. Il problema che si dovette affrontare in architettura nel dopo-guerra però non riguardava solamente la
ricostruzione dei luoghi d’interesse. Un quarto del patrimonio edilizio esistente a Milano alla vigilia della guerra fu devastato. Quindi oltre alle vittime illustri dell’architettura e della cultura, caddero anche ingentissimi quantità di abitazioni lasciando senza tetto migliaia di uomini. Nel 1946 le famiglie senza casa risultavano essere più di centomila107. Ernesto Nathan Rogers dalle pagine di Domus, rivista di cui tenne la direzione solo per pochi anni dopo la fine del conflitto mondiale, si preoccupò più volte nei suoi editoriali di affrontare tale problematica. Nelle sue parole si avvertiva, conscio dell’opportunità unica, la necessità di predicare e di realizzare nuove case razionali per tutti quelli che la avevano persa. La ricostruzione conseguente alle atrocità della Seconda Guerra Mondiale fu la più grande palestra che l’architettura moderna razionalista avrebbe mai potuto desiderare. Infatti gli architetti razionalisti, Le Corbusier in primis, culturalmente impostati nei parametri illuministi, ambivano come maggiore compimento della loro azione professionale alla modificazione e al miglioramento della società attraverso l’applicazione di tipi e modelli architettonici razionalmente dedotti dalla natura. Quindi, consequenzialmente all’obbiettivo enunciato si assiste a un cambiamento della figura professionale dell’architetto poiché assume, anche se non volutamente, un ruolo politico all’interno della società. Ruolo non assimilabile però all’azione della figura tradizionale di “politico”, l’architetto diventa un tecnico, personalità esterna alla politica che somministra le proprie soluzioni, dedotte in questo caso
Biografia, in Moretti visto da Moretti, a cura di L. Montevecchi, Roma, Palombi Editore, 2007, pp 136 108
L. Moretti, in Moretti visto da Moretti, a cura di L. Montevecchi, Roma, Palombi Editore, 2007, pp 64 109
dall’osservazione della società, che sta all’interno della natura, e che i politici tradizionali non sono in grado di fornire. Però si verifica il fatto che più questi personaggi affermano la loro natura apolitica più si calano nel ruolo pienamente politico del tecnico. Le Corbusier dichiarò più volte il suo entusiasmo riguardo le potenzialità che poteva offrire la ricostruzione tanto da intravedere nell’istituzione nel 1945 del Ministère de la Reconstruction et de l’Urbanisme un’occasione unica per trasformare la Francia con lo stampo dei suoi progetti della Ville Contemporaine e della Ville Radieuse. Questo ci fa notare come il problema della ricostruzione era presente oltre che a Milano, anche in Francia e in tutta Europa, e che soluzioni razionali di architetti-tecnici furono proposte e realizzate in molte città del vecchio continente. Nuove case e persino nuove città furono costruite in ossequio ai dettami del movimento moderno, sull’onda dell’entusiasmo del trionfo della ragione sul caos si credette di essere nel pieno realizzarsi della rivoluzione. Milano partecipò a questa ondata di entusiasmo con sorprendente tempestività. La proficua attività svolta negli anni 30 dal Gruppo 7, e da altri, contribuì decisivamente a preparare sia l’opinione pubblica sia l’ambiente accademico e agevolò l’opera di questi anni, che pur non rimase scevra di polemiche. Il primo a far registrare tali aspetti concettuali nelle sue opera fu un outsider della scena milanese. Luigi Moretti nato a Roma il 2 gennaio 1907 compie i suoi primi incarichi nella capitale intrecciando la sua attività con quella del regime fascista. Di questo periodo si ricordano opere di elevata qualità formale come l’Accademia della
MMM | 47
scherma, la Palestra del Duce e la Cella commemorativa, tutte dichiaratamente moderne. Con l’inizio del conflitto le sue notizie si fanno lacunose, riprenderanno nel 1945 quando viene “fermato dalla polizia a Milano, probabilmente per le sue connivenze col fascismo, e trattenuto in carcere a San Vittore conosce, in quella occasione, il conte Antonio Fossataro”, fascista anch’egli, ed “insieme fondarono la società Cofimprese con l’intento di realizzare opere edilizie”108. Il 27 febbraio 1947 il Consiglio Comunale approva il progetto firmato Moretti, E. Rossi e presentato da Cofimprese di costruzione di 22 case-albergo nel contesto urbano. Progetto che fu realizzato solamente in parte poiché, per il dilungarsi dei tempi e il conseguente lievitare delle spese, videro la luce solamente 3 degli edifici inizialmente stabiliti: quello in via Filippo Corridoni 22, quello in via Lazzaretto 7 e in quello in via E. Bassini 36-38. Quello in via Filippo Corridoni 22 è stato il primo ad essere edificato (tra il 1947 e il 1950), il più alto (48,12m), e paradossalmente per la mentalità odierna, il più centrale. Per descriverlo non c’è modo migliore di riportare le parole stesse di Moretti: “L’edificio è una delle opere più ardite di architettura moderna e nel suo tipo unica in Europa. Nel suo stile d’avanguardia nessuna concessione è stata fatta a elementi decorativi, ma tutta la bellezza e l’efficacia è stata realizzata con le sole aperture delle finestre, che con la loro dislocazione rispondono esattamente alle necessità interne delle stanze. Pur essendo un’architettura senza decorativismi, essa assume un valore particolarmente lirico, specialmente
le grandi fenditure delle testate, che segnano esattamente lo spazio dei corridoi centrali. Corridoi che sono concepiti come strade sovrapposte, ciascuna delle quali a servizio di due fila di case minime...”109. Estratto questo interessantissimo e pieno di spunti. Innanzitutto Moretti definisce la sua opera ardita ed unica in Europa poiché lo stile usato è ancora considerato, anche anni dopo dalla sua nascita, d’avanguardia. Architettura pioniera non solo a Milano dunque, non solo in Italia, ma in tutta Europa, che pone quindi il capoluogo lombardo in una posizione di grande rilevanza internazionale. Il punto centrale di questo “stile d’avanguardia” è che la bellezza dell’opera non è più affidata ai decorativismi, bensì all’austerità assoluta, al rigore e alla precisione della composizione delle facciate e delle piante, dell’opera tutta insomma, capace di generare nell’osservatore un’emozione lirica. Moretti stesso indica le fenditure delle finestre sui lati corti come il punto più evocativo, che Le Corbusier descriverebbe, di un’emozione plastica. Ma questo stile, oltre che preoccuparsi della bellezza (un nuovo tipo di bellezza in cui è totalmente assente ogni genere di orpello superfluo), ritiene fondamentale fornire un tipo di abitazione nuovo, studiato razionalmente ed in risposta alle esigenze antiche dell’uomo, mai cambiate cogli anni, e a quelle moderne nate dalla società dell’epoca. L’edificio di Moretti e Rossi si inserisce in una feconda discussione riguardo l’alloggio minimo nata negli anni venti e che ha avuto come protagonisti il Bauhaus, l’OSA, Le Corbusier e molti altri. Si trattava di definire il minimo spazio in cui un
34
33 Foto storicha della Casa Albergo in via Corridoni scattata da via Conservatorio, tratta trumbl, 15/02/2016, http://avantcour. tumblr.com/ post/97548276335/ wmud-luigi-moretticasa-albergo-via
33
36 Foto tratta da trumbl, 15/02/2016, http://avantcour. tumblr.com/ post/97548276335/ wmud-luigi-moretticasa-albergo-via
35
38 Foto scattata da via Conservatorio
36
37
38
MMM | 48
L. Spinelli, Gli spazi in sequenza di Luigi Moretti, Siracusa, Lettera Ventidue Edizioni, 2012, pp 21 110
111
Idem, pp 20
Le Corbusier, Verso una Architettura, Verdellino di Zingonia, Longanesi, 1973, 1979, 1984, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013 112
113
Idem, pp 166
L. Spinelli, Gli spazi in sequenza di Luigi Moretti, Siracusa, Lettera Ventidue Edizioni, 2012, pp 23 114
115
Idem
uomo moderno potesse vivere adeguatamente. Questo tema si sposava perfettamente con quello delle case-albergo che avevano come target, usando le parole di Bottoni tratte dalla celebre guida di Milano del 1954, “chi, per condizioni di lavoro o per stato di famiglia, non avrebbe possibilità o convenienza di vivere in un appartamento usuale o in albergo, ma prevalentemente ‘vive in camere mobiliate’. Qui gli inquilini appartengono al ceto industriale, professionale o impiegatizio”110. Cioè “la casa-albergo vuole appunto offrire il conforto di una abitazione indipendente, anche se minima, a chi è costretto, per ragioni di lavoro, ad abbandonare il proprio nucleo familiare”111. Moretti recepisce il dibattito internazionale e lo adatta alle esigenze di una precisa parte della popolazione. In questo caso il ricorso alla verticalità appare evidente essere del tutto organico per poter organizzare un elevato numero di unità abitative, precisamente 122 in quello minore e 286 in quello maggiore, in uno spazio ridotto dettato dall’ubicazione del lotto nel tessuto del centro di Milano. L’analisi di questa opera aiuta a comprendere ancora meglio, si potrebbe dire, un’altra sfaccettatura del movimento moderno. Esso infatti rifiuta l’impostazione che vede la tecnica e la funzione al centro della composizione; molto significativa è a questo proposito la frase di Le Corbusier: “A coloro che, assorti nel problema della “macchina da abitare”, dichiaravano: “l’architettura significa servire”, abbiamo risposto: “l’architettura significa commuovere”. E siamo stati accusati di essere dei “poeti”, con disprezzo”112. Allo
MMM | 49
stesso modo però rifiuta, con altrettanta fermezza, chi predica un’architettura dettata totalmente dagli aspetti estetici, come possono essere le decorazioni o le derive passatiste, puntando con tutte le sue forze ad una fusione di questi due modi di vedere, tra forma e funzione. Questa premessa portò gli architetti del movimento moderno a inventare quella che secondo Franco Purini è una modalità di architettura che risulta essere sfuggevole allo sguardo. Semplice in facciata perché complessa in pianta. Il maestro svizzero sosteneva infatti che far architettura voleva dire aver avuto delle idee ed essere stati in grado di comporle insieme. Nella casaalbergo in via Corridoni 22 quindi i progettisti sono stati all’altezza di risolvere talmente bene sia il tema complesso dell’alloggio minimo, sia quello di organizzare queste unità in un edificio alto da poter restituire una facciata dal massimo rigore compositivo. Rigore che si trasforma in austerità, austerità che si manifesta quando l’uomo “per la nobiltà del modo di vedere e il sacrificio completo dell’accidentale, ha raggiunto la regione superiore dello spirito”113. La scrittrice Anna Maria Ortese attaccava il carattere solitario dell’opera scrivendo di “profili altissimi di ghiaccio, silenziose lapidi per una folla, mostruosi fogli di giornale caduti dalle edicole del cielo...”114. Critiche esteticamente durissime ma che dando adito alla tesi secondo cui solamente l’uomo dall’animo evoluto è in grado di creare e/o apprezzare le forme austere, prima di Loos e poi ripresa da Le Corbusier (che sappiamo aver letto Nietzsche), e di cui ho appena parlato, deve essere stato facile da parte di Moretti decretare
l’infondatezza delle critiche ricevute. Purtroppo per lui però Ortese muoveva persino critiche più pensanti a questo nuovo edificio; la scrittrice sosteneva che era un’opera mal riuscita in generale e fin dalla sua concezione, andando a minare già nel 1958, le fondamenta su cui si è basato il movimento moderno fino a quegli anni. Riflette sull’insensatezza e l’inappropriatezza da parte dell’architettura di affrontare temi esistenziali cosi profondi e ne decreta il fallimento, per lo meno in quest’opera, anche se le sue parole hanno il sapore di una sentenza universale. Dell’edificio in via Corridoni ne parla come un’architettura che “nata per proteggere, opprime; per rassicurare, spaventa; per confortare, incupisce. Dice tutto il nostro tempo: l’intenzione di assistere l’uomo, e il disprezzo misterioso dell’uomo”115. Posta l’impossibilità di svolgere un’analisi approfondita del gradimento degli ospiti sull’edificio, unico modo per decretare se le riflessioni della scrittrice fossero corrette e porre quindi subito fine a questo dubbio, ritornerò su questo tema più avanti, ora mi interessa completare il ventaglio delle polemiche che si sono sollevate sull’opera di Cofimprese. Nelle pagine del Corriere della Sera per esempio Cesare Chiodi denunciava altezze extra- regolamentari, mentre Cesare Albertini scrive un articolo dal titolo ‘Case troppo alte a capriccio dei costruttori’ mettendo in guardia dagli effetti negativi sull’igiene del quartiere e dalla qualità della vita collegata a tale tipologia. Per queste polemiche si cambia ambito, come era prevedibile si attacca la verticalità dell’opera, che di
L. Spinelli, Gli spazi in sequenza di Luigi Moretti, Siracusa, Lettera Ventidue Edizioni, 2012, pp 24 116
A. Fossataro, in Moretti visto da Moretti, a cura di L. Montevecchi, Roma, Palombi Editore, 2007, pp 64 117
39 Acquerello di Bottoni, foto scattata alla mostra Comunità Italia a cura di Alberto Ferlenga e Marco Biraghi alla triennale di Milano 40 Palazzo INA
certo deve aver destato stupore nei più tradizionalisti ed affezionati allo skyline e all’ambiente del centro cittadino, ma come già detto è del tutto naturale posto il numero elevato degli alloggi. Per quanto riguarda l’igiene invece le critiche sono del tutto infondate, pregiudiziali e testimoniano una totale mancanza di studio del caso specifico. Infatti da un movimento che vede l’architettura come il mezzo prediletto per creare una società felice non può che scaturire un edificio progettato in ossequio dei più stringenti parametri igienici, in rispetto sia dei suoi abitanti sia degli abitanti del quartiere. La costruzione infatti prevede una modernissima dotazione di impianti: in totale sei ascensori, “impianti di riscaldamento con termoconvettori collocati sotto le finestre, impianto indipendenti di sollevamento per fornire acqua corrente fredda e calda ad ogni unità alloggio, con boiler e contatore individuale...”116; il tutto confezionato in un alloggio di 16mq (5m x 3,5m) studiato razionalmente per ospitare uno o due letti, due armadi, uno per i vestiti e i bagagli e uno con il fianco attrezzato con fornello elettrificato, un tavolo e un bagno con lavandino, doccia e wc. Queste unità sono disposte in sequenza come su due piani paralleli, o due facce della stessa medaglia, una rivolta a Est e una a Ovest collegate, orizzontalmente da corridoi strade (negli stessi anni Le Corbusier edificata l’Unité d’Habitation che diventerà il riferimento per questa tipologia utilizzando la stessa soluzione), e verticalmente dagli ascensori prima nominati e da due rampe di scale visibili sulla facciata orientale. Dal punto di vista formale è interessante notare
MMM | 50
come in realtà quello che arrivando da via Conservatorio sembra un corpo unico, alto, elegante e snello, è separato al centro da una fenditura, stilema che Moretti riprenderà anche in altre opere. Invece dal punto di vista funzionale, a testimonianza della grande modernità di concezione del progetto, si registra la presenza di una serie di servizi comuni come un bar ristorante, una sala di soggiorno e lettura, locali per sartoria, camiceria e calzoleria, sauna e palestra attrezzata al piano interrato. Osservando ora l’edificio dall’esterno per studiarne il rapporto con il contesto si nota che è composto da due corpi orientati secondo l’asse eliotermico, uno alto 21m destinato a “casa albergo per donne laureate” affacciato direttamente su via Respighi, e uno alto 48,12m con ingresso da via Savarè ma arretrato di 12m dalla giacitura stradale per garantirne un’adeguata vivibilità in relazione all’altezza della lama. Quindi l’intelligente collocazione dei corpi nel lotto aiuta un tale elemento verticale ad impattare il meno possibile con il contesto, operazione invece che programmaticamente avviene per quanto riguarda lo stile. Il totale utilizzo del bianco e di un’estetica spoglia fino all’inverosimile sono un’attività di denuncia e di invito verso quel mondo, sia architettonico sia delle committenze, che associava ancora l’architettura coi capitelli corinzi o per esempio con lo stile rinascimentale, di procedere verso un’architettura più matura. Il così radicato e cospicuo utilizzo dell’architettura purista in Italia, in maggior parte a Milano e a Como, anche quando in altre parti del mondo, e il suo stesso
ideatore, erano passati a nuove modalità espressive deve far pensare in parte ad una maggiore necessità di purificazione verso un’architettura che il Futurismo definirebbe anacronistica, in parte ad una forte adesione alle prime idee di Le Corbusier. Uno dei maggiori sostenitori di questo stile in Italia è stato Bottoni, che con la sua attività persistente ha testimoniato appunto la necessità di convincere la società della qualità dell’architettura moderna. Prima di approfondire questo tema però voglio concludere elencando l’ultima polemica che ha investito le casa-albergo in generale. Essa infatti riguarda non direttamente l’architettura ma il finanziatore e i progettisti. Infatti come scrive il conte Antonio Fossataro: “Rossi era un fascistone, Moretti era un fascista, io ero un fascista, e, nonostante questo costruimmo queste case albergo”117 ottenendo il permesso da una amministrazione comunista. L’autorizzazione arrivò perché Moretti e Fossataro nell’immediato dopo-guerra conobbero un membro della giunta comunista, l’assessore Montagnana che li prese in simpatia avallando il progetto; ma come spesso succede in questi casi, l’assessore diede il suo pieno via libera solo perché il conte si impegnò a trovare i finanziamenti, senza oneri per il comune. Quando poi i costi lievitarono dal contrato iniziale di 900 milioni a quasi 3 miliardi per il dilungarsi dei lavori da 18 mesi a quasi 5 anni il caso scoppiò come una bomba. Su questo aspetto c’è poco da dire se non comprendere che spesso negli affari contino di più le simpatie personali e le coperture finanziarie che le idee politiche, e che il rispetto dei tempi previsti nella
realizzazione di un edificio non è una consuetudine italiana. Ritornando ora al discorso sullo stile purista parlerò di due architetture di Bottoni: Palazzo Argentina e Palazzo INA. Il primo è praticamente contemporaneo alle case-albergo, alto 15 piani e ubicato al civico 36 di corso Buenos Aires mentre il secondo di qualche anno più giovane, precisamente costruito tra il 1953 e il 1958 si trova in corso Sempione 33 ed è alto 64,7m. Bottoni come abbiamo visto è stato uno dei primi a recepire in Italia il messaggio di Corbu, e pure uno dei suoi più fervidi sostenitori. A testimoniare la stima nutrita nei confronti dell’affermato maestro svizzero ci fu uno scambio epistolare dove il da poco laureatosi architetto milanese chiedette consiglio e parere sui suoi acquarelli intitolati “Cromatismi architettonici” esposti nella III Mostra internazionale delle arti decorative di Monza nel 1927. In seguito ci furono tra i due altri incontri, per esempio durante i CIAM, e altri scambi epistolari. Negli anni dopo il conflitto Bottoni era diventato ormai una figura preminente nel panorama architettonico curando mostre per la triennale e per esempio promuovendo una grandissima iniziativa come quella del nuovo quartiere sperimentale del QT8. Nell’impegno promosso nei confronti di progetti come il QT8 e nel quartiere Comasina, si nota chiaramente, forse più forte che in altri suoi colleghi il forte desiderio di riedificare una Milano razionalista, con nuovi quartieri immersi nel verde e case luminose, studiate per una nuova e migliore vivibilità. È in queste realizzazioni che si coglie palese il debito culturale verso la dottrina illuminista che
39
40
MMM | 51
41
42
43
44
45
46
MMM | 52
permea, Le Corbusier in primis, tutto il movimento moderno, e in particolare gli attori della scena milanese che hanno come obbiettivo il giungere attraverso l’architettura a una società ideale basata e sviluppata dallo studio razionale dei bisogni e delle esigenze dell’essere umano. La concretizzazione di questi nobili ideali si possono scorgere chiaramente nelle realizzazioni dei due edifici alti citati. Soffermiamoci ora su quello di corso Buenos Aires. Palazzo Argentina è tanto il frutto dell’applicazione di concetti Lecorbuseriani, elaborati dal maestro per porre razionale rimedio a problemi dell’abitare e dell’urbanistica, quanto figlio del lavoro del suo progettista di profondo studio e adattamento dello schema estero alle esigenze contingentali del luogo e della società. Bottoni amalgama il rifiuto della strada canyon con il successo della formula commerciale in voga in quel periodo di un cinema unito ad altri negozi. Nello specifico colloca l’edificio verticale ortogonalmente rispetto a corso Buenos Aires creando uno spazio più arioso ma allo stesso tempo non interrompe il fronte continuo della strada predisponendo un blocco di forma quadrata, alto tre pian,i che occupa tutto il lotto e contenente i locali commerciali. È interessante a questo proposito notare l’innovativa soluzione formale di strada pedonale coperta che utilizza per collegare i suddetti negozi al marciapiede. Ottiene con questa speculazione creativa una realizzazione architettonica che garantisce standard qualitativi maggiori non alienandosi però totalmente dal territorio. Questa attenzione per il tessuto urbano
circostante, già notato nella casa albergo di via Corridoni nell’accortezza di arretrare rispetto alla strada il corpo più alto, è un aspetto molto importante, anche se molto spesso non identificato, del movimento moderno. Qui, come nella casa per abitazioni, uffici, negozi e autorimessa in corso Italia di Moretti, questo aspetto è evidente nel modo in cui i due autori muovono i corpi per adattarli alle esigenze igieniche del lotto. Specialmente nell’edificio di Moretti in corso Italia è evidente come l’attenzione per l’ambiente circostante non sia in relazione agli aspetti estetici, come vedremo sarà inteso successivamente questo tema, ma a quelli igienici al fine di massimizzare razionalizzando la quantità di metratura edificabile senza entrare in conflitto con le case pre-esistenti. Tornando ancora una volta ai concetti fondanti dell’illuminismo e del movimento moderno è facile comprendere come questo modo di procedere e di intendere l’architettura sia proprio dovuto all’abitudine di non fermarsi alle apparenze, all’abito esterno, quindi allo stile degli edifici presenti nella città, ma di guardare alla metodologia con cui essi sono stati realizzati. Questa così forte astrazione e concettualizzazione però non convince tutti, e alcuni architetti, sia nel panorama mondiale, sia in quello italiano cominciano a distaccarsi da tali soluzioni formali, allontanandosi quindi di fatto anche dai concetti a esse retrostanti. Chi dei protagonisti di quel periodo non comprese i principi del movimento moderno razionalista confondendolo con le sue manifestazioni estetiche, per predisposizione personale,
41 Foto a Casa per abitazioni, uffici, negozi e autorimessa in corso Italia di L. Moretti scattata da via Rugabella 47 Foto di Palazzo INA scattata alla mostra Architettura Sintattica tenuta al grattacielo Pirelli e curata da M. d’Alfonso e L. Degli Esposti
per gusto e per emergere si spinge nella creazione di nuove composizioni, creando di fatto delle degenerazioni del movimento a cui dicevano di appartenere. In un periodo storico in cui vedevano avverarsi queste eresie, se così posiamo chiamarle, dell’architettura nata all’inizio del secolo, Bottoni costruì il palazzo INA. Una riaffermazione, che visto il contesto culturale, potremmo definire tarda delle idee da lui tanto sostenute in gioventù. Il palazzo INA è di fatto una concessione tardiva da parte della storia, come a riconoscimento della bontà di intenti, di una proposta chiamata ‘Milano Verde’ e ideata da Franco Albini, Ignazio Gardella, Giulio Minoletti, Giuseppe Pagano e altri, nel 1938. Essa prevedeva, sull’incipit concettuale del Plan Voisin di Le Corbusier dell’anno 1925, di radere al suolo una vasta area, compresa tra quella del Sempione e della Fiera, per sostituirla con bianchi edifici a stecca, o a lama, immersi in una distesa di alberi. La concezione di questo edificio riprende sia temi di piani urbanistici come une ville contemporaine per 3 milioni di abitanti, come Ville Radieuse e di edifici come l’Unité d’Habitation, da poco terminata, sia esperienze milanesi che cogli anni erano diventate numerose. Osservando però il panorama degli edifici alti milanesi il palazzo INA è di fatto l’ultima affermazione così convinta di ideali, e di un’estetica legata a doppio filo con l’esperienza architettonica internazionale degli anni venti. Questo potrebbe far pensare ad un impoverimento creativo, e interpretativo della società, da parte di Bottoni che da ormai quasi trent’anni ripropone sempre gli stessi concetti. Il fatto che proprio colui che con il
MMM | 53
47
W. J. R. Curtis, L’architettura moderna dal 1900, Londra, PHAIDON, 1982, 1987, 1996, 1997, 1999, 2001, 2002, 2003, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 321 118
Le Corbusier, Verso una Architettura, Verdellino di Zingonia, Longanesi, 1973, 1979, 1984, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 15 119
P. Bottoni, Cinema mode e speranze, in Una nuova antichissima bellezza, a cura di G. Tonon, Bari, Laterza, 1995, pp 89 120
Le Corbusier, Verso una Architettura, Verdellino di Zingonia, Longanesi, 1973, 1979, 1984, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, 2013, pp 5 121
Gruppo 7 si oppose ai passatismi e all’architettura anacronistica, si fossilizzi su uno stile e lo riproponga imperterrito per 3 decenni, possa far pensare che sia caduto in vecchiaia proprio in quell’atteggiamento che da giovane disprezzava. Le Corbusier stesso ligio nel tener in maggior considerazione l’essenza e i principi primi del progetto, “nel momento stesso”, negli anni 30, “in cui i cronisti e i sovrintendenti stavano canonizzando le “ville bianche”... degli anni venti come esempi dell’International Style, egli stava seguendo direzioni completamente nuove nella sua architettura”118, strade che porteranno a una tendenza rustica. Con questo passaggio al beton bruit Corbu non tradisce i sui ideali ma continua ad applicarli rigidamente, l’unico aspetto che si modifica è quello formale in cui il particolare più evidente è l’abbandono dell’uso persistente del bianco, scelta che lascia intravedere la decisione di imporre ai suoi lavori un carattere meno dichiaratamente radicale e rivoluzionario, meno esibizionista si potrebbe dire, probabilmente dovuto alla cessata necessità di impressionare e suggestionare l’opinione pubblica. Traccia di questo cambiamento si trova addirittura embrionale in “Verso una Architettura” dove scrive: “L’astrazione architettonica ha questo di peculiare e di magnifico: radicata nel fatto brutale lo spiritualizza”119. A distanza di vent’anni Bottoni non registra questo cambiamento dello stile del maestro e continua a progettare servendosi di quello purista. Questo fatto però va letto come una scelta consapevole dovuta alla convinzione che lo stile adottato nella giovinezza sia l’unico sincero.
MMM | 54
A chiarire maggiormente il pensiero dell’architetto milanese su questo punto di grande importanza giunge un articolo scritto da lui stesso nel 1927 in cui parla del cinema e delle sue mode, ma che a ben guardare riguarda l’architettura. “Si stacchi il cinema dall’operetta, si liberi da quanto in esso è ancora spettacolo, concessione alla moda, esibizione d’eleganze effimere, e valendosi risolutamente dei suoi mezzi crei opere visuali organiche, unitarie e fuse. Allora nemmeno l’alternarsi delle mode potrà toccare il valore delle films: gli abiti e le forme non invecchieranno perché, concepiti in quell’ambiente, ad esso intonati, anzi nati con lui, avranno un valore espressivo autonomo”120. In queste parole, oltre ad altri aspetti importantissimi e di cui sarebbe bene occuparsi, si coglie la necessità di giungere all’essenza espressiva dell’architettura. Alla macchina da abitare. Al minimo comun denominatore tra arte e costruzione. Impiegare il minimo, in termini di materiale, per ottenere il massimo, in termini di emozioni. E siccome Le Corbusier esordisce in “Verso una architettura con queste parole: l’architettura è “questione di moralità. La menzogna è intollerabile. Si muore di menzogna”121, Bottoni ritiene, ne è convinto tanto da non cambiare idea per decenni, che l’architettura purista sia la più alta vetta di sincerità raggiunta in questa disciplina. La più vicina a cogliere l’essenza dell’impostazione razionale, o la faccia stessa dell’impostazione razionale, senza filtri ne maschere. Come se il maestro svizzero fosse riuscito a dare forma concreta all’attitudine critica illuminista senza interporre nessun filtro, senza aggiungere nessuna maschera. Ne consegue
che per Bottoni lo stile purista perda ogni riferimento caduco di moda effimera, assumendo una peculiarità di modalità espressiva eterna. Ed è evidente, poste tali premesse, che ad un tale stile non se ne possa, anche a distanza di decenni, sostituire un altro. Progettualmente il palazzo INA consiste in una lama posizionata normalmente a corso Sempione. Procedendo dall’Arco della Pace verso la periferia il primo impatto che si ha con la costruzione si ha con la facciata Sud-Est dell’edificio; essa si compone come di otto colonne di balconi, su cui si alternano due o tre finestre modificando di conseguenza la larghezza degli stessi. Inoltre ogni colonna sembra ruotare su sta stessa imprimendo mediante lo sfalsamento dei balconi movimento alla facciata che però a primo acchito conserva un’impostazione ordinata. Il lato corto della lama non sconfina nella sede stradale ma l’impatto dell’alta, snella, spoglia e concava facciata, su cui fanno capolino solo un balconcino e una finestra per piano è assai di impatto, soprattutto se osservata dal marciapiede sottostante. Quella a Nord-Ovest invece è composta, a differenza di quella di Sud-Est, da quattro blocchi di balconi uguali tra loro ma dalle forme irregolari che hanno la funzione di pianerottolo di distribuzione e di balcone vero e proprio. Da progetto Bottoni aveva predisposto che il piano piloties fosse pubblico con negozi e servizi per la cittadinanza, e che il decimo piano fosse un luogo comune di aggregazione per gli abitanti del palazzo con la presenza interessantissima di vegetazione; entrambe le soluzioni non furono attuate, la prima per le resistenze della committenza di promuovere
48
49
50
51
52
53
MMM | 55
ogni commistione tra spazi pubblici e privati, la seconda per aumentare il numero di appartamenti e massimizzare i ricavi moncando di fatto la maggior parte delle aspirazioni tecniche del progetto. Questo fallimento, che può sembrare propedeutico solamente al singolo caso del palazzo INA è in realtà una delle ragioni per cui le aspirazioni politiche e sociali del movimento moderno fallirono alimentando nell’opinione pubblica l’idea diffusa che sia stato in realtà il movimento moderno stesso a fallire. L’incapacità di tradurre nella realtà i programmi, che oltre dell’aspetto formale erano formati anche da cospicue parti teoriche è ascrivibile alle più varie motivazioni di una società varia, imprevedibile, accidentale e non all’incapacità degli architetti, ai quali si può rimproverare semmai, col senno di poi, solamente una certa ingenuità. Le cause del cambio di rotta a cui si assiste a partire dagli anni 50 non vanno ricercate perciò nel punto di vista teorico del movimento razionalista ma in quello pratico. È vero che Argan già nel 1958 comprende e decreta che l’“insuccesso sul piano ideologico” del movimento moderno, “è un fatto che può riempirci di tristezza, ma che non si può contestare”122; ma questa è per me solamente una sua idea scaturita da una profonda e magistrale comprensione, e frutto di un’acutissima intuizione attorno alle cause della nascita e della morte dell’architettura razionalista. Acuta intuizione che può condividere con qualche altro fine osservatore della realtà ma che non era in alcun modo specchio del livello di comprensione medio degli architetti di quegli anni, i quali si affidavano per lo più a riflessioni nate, già nel modo sbagliato,
G. C. Argan, Architettura e ideologia, Zodiac, n. 4, aprile 1959, pp 49 122
AA.VV, Le Corbusier, a cura di H. Allen Brooks, Milano, Electa, 2001, pp 32 123
G. C. Argan, Architettura e ideologia, Zodiac, n. 4, aprile 1959, pp 47 124
dall’osservazione dei soli aspetti formali e stilistici. Prove a supporto di questa teoria se ne possono trovare molte, qui ne riporterò due. La prima consiste in un curioso siparietto che vede addirittura Le Corbusier come protagonista. Jerzy Soltan, collaboratore di Corbu racconta di una vicenda avvenuta una sera imprecisata tra il 1° agosto 1945 e il 31 luglio 1949, ciò il periodo in cui lavorò nell’atelier di rue de Sèvres: Corbu sedeva alla scrivania sfogliando un libro “sull’architettura ultramoderna contemporanea” con alle spalle due dei suoi principali collaboratori, André Wogenscky e Zoltan stesso. Mentre sfogliava continuava a brontolare mostrando chiaramente la sua insoddisfazione per le opere che vedeva finché sbottò dicendo: “C’est moche, ça!”. “E allora, Wogenscky, nella sua implacabile lealtà puritana verso i moderni: “Oui, Monsieur Le Corbusier, mais ce sont des freres”. Le Corbusier ascoltò, restò un attimo immobile, poi chiuse di colpo il libro. “Oui, vous avez raison”. Si alzò e uscì. La sera rimasi solo nell’atelier, ormai buoi, a riflettere su quella scena. Condividevo i motivi della condanna di Corbu verso quel tipo di architettura che, in qualche modo -allora non sapevo come- aveva finito per chiamarsi International Style, e del quale, lo stesso Corbu, veniva considerato, addirittura, il principale esponente. Per ironia della sorte, mi ero unito a Corbu proprio perché, secondo me, lui non ne faceva parte!”123. Questo curioso aneddoto sta ad indicare prima di tutto come l’opera di Le Corbusier sia stata quella più influente per la creazione di una nuova architettura, e di conseguenza di come la sua opera sia stata anche ampiamente
MMM | 56
fraintesa, tanto da lasciare sdegnato anche colui che dovrebbe esserne il padre. Il processo di impoverimento concettuale che si è verificato nel momento in cui le ville bianche, e poi le opere col beton bruit sarebbero dovute essere decodificate lascia perplesso lo stesso Le Corbusier; il quale non riconosce nelle opere degli architetti, che ironicamente lo ritengono il principale esponente dell’International Style, e quindi il riferimento del loro operato, i tratti peculiari del suo lavoro. La decodificazione avviene solamente al livello formale non elevandosi mai a quello concettuale. È preoccupante come questo errore di comunicazione mediante l’architettura avvenga così rapidamente, se già nel primo dopoguerra ciò veniva catturato da una pubblicazione, anche se evidentemente questo non era il fine del libro, figuriamoci come negli anni 50 il malcontento possa essere un sentimento più che diffuso. Infatti l’articolo che Argan scrive sul finire degli anni 50, e che ho gia citato più volte, prende spunto per iniziare da un saggio di Cesare Brandi intitolato: ‘Arcadio o della Scultura, Eliante o dell’Architettura’. In questo saggio Brandi affronta il tema del superamento del razionalismo puro, cioè quello che rifiuta la parte artistica, che secondo Argan però è già avvenuto embrionalmente con le dichiarazioni programmatiche dei principali protagonisti. Quindi evidenzia l’errore da parte di Brandi che “dopo aver indicato nel pragmatismo e nel tecnicismo dei programmi la preclusione per ogni esito artistico, è poi costretto a ribadir la condanna da un punto di vista opposto, di quello stesso utilitarismo indicando
l’astrattezza e l’utopismo”124. A mio avviso Brandi con questo elaborato scritto manifestò il proprio legittimo malcontento verso ciò che vedeva realizzarsi in Italia ed in Europa in quegli anni, fors’anche i grattacieli puristi elencati in questa storiografia. La sistematica riproposizione di stilemi incompresi per il solo motivo che in quell’estetica consisteva la moda di quel periodo, derubati dalla potenza espressiva dei maestri, rendeva le architetture solamente delle bianche e anonime costruzioni. Posta la perdita dei caratteri estetici e ideologici queste costruzioni continuarono però a portare intrinsecamente alle loro forme tutti quegli ideali politici, che in alcuni momenti, e contesti culturali, persero la loro connotazione di soluzione tecnica, venendo accusati di essere promotori di ideologie socialiste e/o utopistiche.
Grattacielo Pirelli
Penso di poter affermare senza possibilità di essere smentito che è impossibile associare una sola cultura a una società, poiché essa in genere è composta da una cultura dominante e da altre sottoculture. Questo avviene anche in architettura. L’uomo, che sta dietro ad ogni architetto, nato e cresciuto in una determinata cultura sarà rappresentante, con il suo lavoro professionale, dell’educazione ricevuta. Questo, in aggiunta alla diversità di sensibilità artistica tipica di ogni, prima di tutto uomo e poi, architetto e alla necessità di ogni professionista di affermarsi individualmente produce un panorama architettonico, di forme e di filosofie assai vario. Così mentre si produceva un lento ma costante allontanamento dal movimento
54
MMM | 57
moderno, a Milano con il grattacielo Pirelli si assiste a una sua poderosa riaffermazione. Avevamo lasciato Ponti con la torre Rasini e lo ritroviamo qui, separato da Lancia, affermato e totalmente padrone di un propio linguaggio formale. Per comprendere il grattacielo Pirelli bisogna comprendere che esso è figlio tanto dell’estetica caratteristica di Ponti quanto dell’applicazione più rigorosa degli assiomi razionalisti, ma che soprattutto questi due principi generatrici non sono assolutamente in conflitto. Ponti è forse colui che in Italia più si prodigò, sia mediante le sue opere sia con la fondazione della rivista Domus, per promuovere un’architettura veramente moderna, basata sui principi del movimento moderno. Col trascorrere degli anni di attività elaborò, grazie all’osservazione diretta della disciplina, delle idee ben precise che si tradussero, nel campo teorico in una serie di postulati da seguire per edificare un buon edificio, e dal punto di vista materiale in un’estetica che rende le sue realizzazioni riconoscibili fra mille. Attraverso la comprensione di queste due declinazioni analizzerò il grattacielo. L’aspetto teorico del pensiero di Ponti, declinato qui in una singola opera, venne sviluppato nei suoi lunghi anni di carriera per godere di un respiro generale. Il Pirellone, come fu affettuosamente soprannominato dai Milanesi, azione che a quanto ci mostra la storia fanno come consuetudine e forse come rito, non è perciò l’unico edificio a offrire l’opportunità di una realizzazione concreta a questi principi anzi, il dialogo tra teoria e pratica, tra pensiero e realizzazione è stata una costante
MMM | 58
nella vita dell’architetto milanese. Questo aspetto è fondamentale perché permette alle sue idee di essere dei principi guida del suo lavoro: un ragionamento nato dell’osservazione diretta e dal confronto con la disciplina architettonica non può perciò che diventare un timone nel lavoro di tutti i giorni, un insieme di consigli pratici da seguire in ogni circostanza e non un’astratta e utopica teoria slegata dal mondo. Da quando matura questi principi egli infatti li applica costantemente in tutti i suoi edifici, fino a fornire loro con il grattacielo Pirelli la massima notorietà cittadina, e probabilmente mondiale. Questi pensieri, come li chiama Pier Luigi Nervi e come ripete Ponti, sono ripresentati su carta, precisamente sulle pagine di Domus, il marzo 1956 in un’articolo dove l’opera ancora in costruzione davanti alla Stazione Centrale di Milano viene presentata. L’intento di tale articolo, come il direttore Ponti frettolosamente esplicita, non è esaltare la sua opera bensì di fornire gli strumenti adatti, e cioè i postulati che la hanno guidata, per giudicarla una volta terminata. Questi assiomi consistono in: la forma finita, l’essenzialità, l’invenzione strutturale, la rappresentatività, l’espressività, la illusività, l’aspetto luminoso notturno, l’onore al lavoro, l’aggiornamento tecnico, l’incorruttibilità dei materiali, lo sviluppo in altezza a condizione di cedere spazio al traffico ed al parcheggio, infine i valori formativi sociali di coraggio e intraprendenza. Approfondendoli si nota come non siano altro che una speculazione dei principi del razionalismo. Nella forma finita, cioè il rifiuto verso un
edificio progettato per ripetizione, potenzialmente all’infinito, di un elemento base e la propensione alla ricerca di una composizione, si ritrova l’attenzione ai caratteri essenziali dell’architettura antica tipica dell’atteggiamento di Le Corbusier, che nell’articolo viene citato più volte. L’essenzialità e l’invenzione strutturale invece sono scaturite dall’importanza della continuità tra struttura e forma, cioè dell’unità tra arte e scienza, dal ruolo fondamentale dell’austerità e della legge dell’Economia, e dalla necessità di un’architettura sincera. Nella rappresentatività si trovano tracce sia di deismo, sia di rappresentazione implicita dei valori contenuti in un edificio, sia di volontà di fornire un modello riconoscibile alla vita dell’uomo. Nell’espressività e nell’illusività si vuol testimoniare la centralità dell’arte. Nell’architettura notturna auto-illuminante è evidente il legame col tempo presente. Nell’aggiornamento tecnico si ritrova la concezione illuminista di cui ho gia parlato nelle prime pagine e che qui ripropongo: “... non si ha il diritto di produrre male per colpa di un cattivo strumento... lo si butta via, lo si sostituisce con uno nuovo”, cioè di fiducia nella tecnica e nel progresso come strumento di emancipazione e felicità. E poi sparsi si rintracciano riferimenti alla macchina di abitare, alla volontà, tutta illuminista e quindi del movimento razionalista, di migliorare modificando la società prendendo spunto si anche dal passato, ma solo riutilizzandone i principi relativi all’essenza e non le soluzioni formali. Dallo studio di questo scritto di Ponti, in cui ha certamente dato seguito al suo pensiero, si comprende come all’epoca della progettazione di
55
56
57
MMM | 59
58
59
60
61
MMM | 60
A. Pracchi, La città come campo caratteristico dell’illuminismo, in L. Patetta (a cura) Storia dell’architettura. Antologia critica, Milano, Etas, 1991, pp 208-209 125
G. Ponti, “Espressione” dell’edificio Pirelli in costruzione a Milano, Domus, n. 316, marzo 1956, pp 1 126
G.Ponti, Si fa coi pensieri, Domus, n. 379, giugno 1961, pp 2 127
G. Ponti, “Espressione” dell’edificio Pirelli in costruzione a Milano, Domus, n. 316, marzo 1956, pp 4 128
G.Ponti, Si fa coi pensieri, Domus, n. 379, giugno 1961, pp 1 129
quest’opera egli sia saldamento operante nei principi del movimento moderno. Chiunque abbia mai sperimentato un processo creativo sa che un’idea risolutiva di un dato problema nasce solamente dall’essersi posto delle domande. Queste domande nascono da precise esigenze, più saranno circoscritte queste esigenze maggiormente lo saranno le domande, e più veloci e migliori le risposte che arriveranno. Perciò un’idea che risolve due esigenze presumibilmente non sarà nata per una e adattata all’altra creando perciò una gerarchia, subordinandone una all’altra ma sarà stata, dopo molti passaggi, la sintesi razionale delle possibili soluzioni conosciute dall’individuo. Si tratta infatti di accumunare tutte le esigenze, rispolverando un’espressione già usata, del luogo geometrico a una unica soluzioni che vada bene per tutte. Dico questo per spiegare come le caratteristiche forme pontiane sono nate. I suoi stilemi scaturirono dalla risoluzione del luogo geometrico delle esigenze di: creare una corrispondenza tra teoria e pratica, assecondare il caratteristico linguaggio personale proprio di ogni persona, emergere individualmente nel mondo del lavoro... Ciò implica che l’azioni di Ponti, che più volte è stata segnalata come superamento, o posta parallela al movimento moderno non è altro che una sua normale manifestazione. Non deve stupire il fatto che partendo dagli stessi presupposti teorici, due maestri come Le Corbusier e Ponti possano essere arrivati a caratterizzazioni stilistiche differenti, persino opposte, perché fa parte delle peculiarità
MMM | 61
del movimento moderno, che scaturendo anche dall’illuminismo, ricordiamo essere “una attitudine critica, un movimento storico, teorico e pratico, complesso fino all’eclettismo e alla contraddizione”125. Progettualmente la soluzione del luogo geometrico delle esigenze di Ponti di trovare un proprio stile si traducono nel grattacielo Pirelli in un’opera complessa e colma di soluzioni che hanno tanto nella teoria quanto nella creazione individuale la loro spiegazione. Esempio ne è l’identificazione della forma chiusa con la figura esagonale. L’importanza dei punti programmatici sopra riportati è talmente forte che osservando l’architettura non è difficile ricavarne la corrispondenza con le invenzioni formali. È chiaro come i “quattro piloni cavi portanti, alle estremità, che contengono scale e ascensori di emergenza ed i condotti verticali elettrici e del condizionamento: quattro piloni mediani trasversali portanti e resistenti al vento”126 siano frutto di quanto detto a proposito dell’importanza dell’invenzione strutturale, dell’essenzialità e dell’illusività, dell’onore al lavoro, dell’aggiornamento tecnico e dei valori formativi sociali. Appare altresì chiaro che i quattro spigoli laterali e la copertura sollevata siano il tentativo di fare un’architettura auto-illuminante (“il cui adempimento” però “è stato abbandonato nel corso della costruzione”127) e leggera, qualità ascritta da Ponti nella categoria dell’illusività, e necessari per comporre una forma chiusa. Che nella facciata curtain-wall concorrano le caratteristiche di essenzialità, di invenzione strutturale (nella maniera in cui il
serramento si lega ad essa nella soletta), di rappresentatività, di aggiornamento tecnico ma che soprattutto sia l’espressività a determinarla. Che la disposizione del corpo alto, di quello basso e dell’auditorio nascosto sotto il posteggio sia conseguenza della consapevolezza, nata dall’osservazione dei bisogni della società, di promuovere uno sviluppo in altezza a condizione di cedere spazio al traffico ed al parcheggio. Che l’architettura tutta, vista nella sua totalità abbia un indiscusso valore di essenzialità in quanto “nulla vi è da aggiungere e nulla da togliere”128, di illusività in quanto leggera, di invenzione strutturale e quindi di aggiornamento tecnico e di coraggio e intraprendenza. Perché come dice Nervi e ripete Ponti l’architettura “si fa coi pensieri”129. Ma proprio perché l’architettura si fa coi pensieri c’è differenza fra pensarla, quindi disegnarla o rappresentarla con un modello, ed edificarla. A grattacielo Pirelli ultimato Ponti esprime la sua insoddisfazione, in accordo con con due grandi critici mondiali che hanno recensito l’edificio come Walter Mc Quade (Architectural Forum) e Reyner Banham (The Architectural Review), riguardo la non riuscita completa trasposizione dai principi teorici, quindi dal progetto, nella realtà. Come un padre richiama un figlio Ponti sottolinea che gli aspetti di espressività, illusività e di auto-illuminanza non sono stati correttamente tradotti dal modello alla costruzione. Di certo una vetrata totalmente trasparente, invece che nelle sole parti contigue ai pilastri, dei pianerottoli di sicurezza più arretrati nelle due fessure verticali
62
MMM | 62
G. Ponti, Esistenza ambientale. Conservazione ambientale. Creazione ambientale, Domus, n. 378, maggio 1961, pp 0 130
E. N. Rogers, Tre problemi di ambientamento, Casabella, n. 232, ottobre 1959, pp 6 131
63 Foto scattata da corso di Porta Romana 64 Foto scattata dall’interno del Museo del 900 65 Foto scattata da via Larga 66 Foto scatta dalla corte intena dell’Università Statale di Milano durante il Fuori Salone de 2015 67 Foto scattata da corso Italia
laterali e una copertura come in progetto avrebbero reso ancora più memorabile questa realizzazione che comunque Mc Quade inquadra come una testimonianza che ogni architetto sarebbe felice di aver progettato e di aver lasciato come traccia dietro di sé.
63
64
Torre Velasca
Pur in una città come Milano, dove abbiamo visto l’impostazione culturale essere sempre stata propensa al razionalismo, tanto da spingere Monestiroli a coniare per quegli architetti di tale tradizione, il termine “scuola di Milano” per identificarli, la deriva delle forme pose le basi per il vero superamento del movimento moderno. La torre Velasca è un’opera particolarissima e che necessita di essere studiata affondo, in tutte le sue sfumature, per essere compresa. Come da istruzione Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti e Ernesto Nathan Rogers, cioè lo studio BBPR, concepirono quest’opera in rispetto dei più stringenti criteri razionalisti. Nacque cioè con l’obbiettivo di redimere i “conformismi in corso”130 e promuovere “il rifiuto di ogni apriorismo stilistico, compreso quello del così detto linguaggio «moderno» che, ove venga raggelato in uno o nell’altro modello, formalmente già acquisito, arresta proprio la fondamentale energia di quei principii: il suo continuo divenire, che è la conquista di Gropius, applicabile ad ogni momento dell’azione pratica, la quale deve trovare in se stessa la sua originalità”131. Partendo da questo presupposto, che deve essere di certo stato anche di Ponti affrontando la progettazione del Pirelli, i BBPR aggiunsero
MMM | 63
65
66
67
68
MMM | 64
BBPR, B.B.P.R la torre Velasca a Milano, a cura di Federico Brunetti, Firenze, Alinea, 2000, pp 19 132
133
Idem
E. N. Rogers, Tre problemi di ambientamento, Casabella, n. 232, ottobre 1959, pp 6 134
135
Idem
BBPR, B.B.P.R la torre Velasca a Milano, a cura di Federico Brunetti, Firenze, Alinea, 2000, pp 22 137
però un’ulteriore, mi permetto di aggiungere, piccola, riflessione che ebbe ripercussioni vastissime sulla storia dell’architettura. Alla meccanica riproposizione dell’International Style, svuotato, come ho già detto, in talune sue realizzazioni sia dei contenuti di miglioramento sociale sia della liricità della composizione dei maestri, che prosegue e tende quindi verso la diffusione di un monotono e mediocre standard di architetture dalla veste moderna ma dall’essenza senza pretese, il gruppo milanese di architetti propone il superamento attraverso la teoria dell’importanza del luogo. Belgiojoso in una intervista conferma che prima, durante e dopo la progettazione della torre “è sempre stata da noi considerata inserita nel “Movimento Moderno” in quanto... concepita ed approfondita con rigorosa applicazione dei principi del Movimento Moderno”132. Però aggiunge che durante gli otto anni di progettazione, contestualmente “al diffuso maturare all’interno della cultura architettonica di quegli anni di posizioni più attente alle ragioni storiche ed ambientali” ci fu anche all’interno del progetto “una progressiva sensibilizzazione, anche nel linguaggio, ai caratteri ambientali ed alle memorie storiche dell’architettura lombarda”133. Rogers rispondendo alle accuse di allontanamento dai principi razionali sottolinea come “l’accordo con le preesistenze ambientali, naturali o artistiche, non è mai inteso in senso naturalistico o comunque imitativo e analogico, ma è fatto di simpatia verso le cose circostanti, di cui cerchiamo di accogliere il significato nella nostra composizione, attraverso la percezione del carattere essenziale e non
MMM | 65
secondo un’analisi deduttiva”134. La torre Velasca quindi è da intendere, come è intesa dai suoi progettisti, come una “estensione del Movimento Moderno”135 e non un suo superamento. La motivazione risiede nel fatto che il gruppo di amici e colleghi, concorde nell’impegno ad opporsi al dilagante stile internazionale che oltre a omologare tutta l’Europa, e in parte l’America, allo stesso stile, nei peggiori casi produceva paesaggi alieni e alienanti nella loro bianchezza, svilupparono servendosi degli strumenti offerti dal movimento moderno una teoria che, basata sull’importanza e il rispetto delle esperienze passate incentivasse lo sviluppo, non dirò di “esperienze dialettali” ma, di esperienze tipiche; rispondenti al genius loci, per usare un’espressione che diventerà popolarissima. Siccome, fatto mediante “la percezione del carattere essenziale” risulta essere un’esperienza condotta all’interno dell’ambito del movimento razionalista e non comporta una contraddizione ad esso, anzi è un’eventualità logica e prevedibile date le premesse illuministe riportate più volte. Si potrebbe dire addirittura di più. Si potrebbe aggiungere che i BBPR non hanno aggiunto niente, che non hanno offerto nessun punto di vista differente o offerto nessun miglioramento al movimento moderno. Sta già infatti nei suoi principi, come lo stesso direttore di Casabella scrive, “il suo continuo divenire... applicabile ad ogni momento dell’azione pratica, la quale deve trovare in se stessa la sua originalità”. A questo punto è logico porre sullo stesso piano la torre Velasca e le esperienze indiane di Le Corbusier, dove
egli muta vistosamente il proprio caratteristico linguaggio, che come abbiamo visto, i critici, ironicamente individuavano come modello referente dell’International Style. Quindi se la torre Velasca, ormai certamente posta all’interno del movimento razionalista, è da intendere come sua assoluta e ortodossa manifestazione o come implementazione condotta dai suoi postulati, è solamente una riflessione da lasciare ai teorici più puntigliosi e certamente di poco conto. Quanto detto ci porta quindi a comprendere come l’invenzione formale, che Boeri indica essere la prima di questo genere136, della torre paradossale stretta in basso e larga in cima sia derivata quanto dall’ubicazione del lotto in una angusta piazza, quanto dalla necessità di fornire spazi adeguati alle diverse funzioni che vi trovavano posto. Esigenza questa nata a sua volta dall’accortezza di introdurre nel mercato un immobile a destinazione mista tra abitazioni e piccoli uffici, per non contrapporsi con una torre di uffici per grandi aziende, alla previsione del quartiere direzionale. Che i pilastri esterni, complanari alla facciata siano un’invenzione strutturale, caro termine di Ponti, dovuta alla motivazione tecnica di scaricare a terra nel miglior modo il peso della parte aggettante e per garantire una maggiore flessibilità funzionale, liberando da ogni intralcio la pianta; e insieme per le motivazioni estetiche di elemento ordinatore della facciata, la cui presenza ha permesso la libera disposizione dei pieni e dei vuoti secondo le “varie esigenze funzionali”137 della pianta, e di elemento minuto e verticale volto ad esaltare la verticalità e l’imponenza dell’architettura tutta mediante la contrapposizione con
69
70
MMM | 66
71
72
73
MMM | 67
R. Banham, Milan: the Polemical Skyline, The Listener, settembre 1960, pp 338 138
139
Idem, pp 340
R. Banham, Neoliberty: The Italian Retreat from Modern Architecture, The Architectural Review, aprile 1959, pp 231235 140
BBPR, B.B.P.R la torre Velasca a Milano, a cura di Federico Brunetti, Firenze, Alinea, 2000, pp 21 141
142
Idem
G. Ponti, “Espressione” dell’edificio Pirelli in costruzione a Milano, Domus, n. 316, marzo 1956, pp 16 143
elementi di più grandi dimensioni. Che la sommità non sia altro che, per somiglianza, una speculazione creativa nata dal principio del tetto-giardino su cui invece di trovare spazio, come nell’Unité d’Habitation, un asilo, una piscina e una pista per correre e una palestra, vi è appoggiato, da progetto, sei attici a due piani e gli impianti tecnici amalgami da un dispositivo spaziale quale il tetto a falde. E che persino la colorazione se analizzata in questi termini può essere conseguenza di una ricerca sui materiali che donarono nei tempi antichi a Milano il suo caratteristico colore rosso. Ma se la questione si pone in questi termini come si spiega la feroce polemica a colpi di articoli occorsa tra Rogers, Aldo Rossi e Reyner Banham? L’acuto e autorevole critico inglese descrisse la tendenza degli architetti italiani “ex-modernists who have abandoned the accepted moral, social, and mechanical imperatives of the modern movement, and gone native in the thickets of gusto, cultura, storia, and so forth that grow so densely in Italian critical discourse”138. Riconosce all’opera l’“immense character” e la “compelling presence”139 ma la decreta anche come simbolo “the Italian retreat from modern architecture”140. La torre Velasca a mio parere è un’architettura particolarissima che nasce salda nell’essenza del movimento moderno ma che col trascorrere della progettazione si allontana sempre più da esso fino a uscirne. La Velasca è un collegamento, usando una metafora, un ponte che collega due sponde opposte dove si trovano, su una la tendenza ad un approccio trascendentale, e sull’altra la tendenza opposta
MMM | 68
ad una concezione immanente della disciplina. L’attenzione alla continuità dell’ambiente è giunta dapprima con un approccio razionale nell’affrontare la realtà, cioè “coi medesimi condizionamenti... del passato, quali il rapporto con la misura umana, i gesti dell’utente, il rapporto tra interno ed esterno, il clima, la visione degli spazi circostanti”141 ma poi è variata in un’azione del sub-cosciente, che dice Belgiojoso: “ci ha condotto passo passo”, e “non da un proposito intenzionale”142. Il risultato quindi è dettato da una perdita di vista dell’obbiettivo. Il carattere così fortemente “milanese” è da ricondurre perciò a un utilizzo, nella parte terminale del lavoro, di tecniche che illusoriamente i progettisti riconducevano alla razionalità ma che in realtà scaturivano dall’imitazione. Il risultato fu che il significato della Torre Velasca trascese quello che i suoi stessi ideatori le diedero: in parte erroneamente perché in molti la esaltarono per motivi di minore importanza nella complessità del progetto, in parte a ragione perché l’azione inconscia nei progettisti di un nuovo approccio alla disciplina assunse un ruolo predominante nell’identificazione visiva del grattacielo. Prima di proseguire in questa storiografia, voglio sottolineare, come ho a volte riportato e a volte no per rendere più scorrevole il filo logico del discorso, come la commistione tra architettura, in particolare per quanto ci riguarda, tra grattacieli e mondo dell’imprenditoria è presente in tutti i progetti qui elencati. Essa infatti, a mio giudizio, non è da intendere come aspetto negativo, come è identificata da una certa parte di
popolazione aderente all’ideologia comunista, ma come normale opportunità offerta all’architettura di compiere il passaggio dalla carta alla realtà. A volte è stata, come nel caso delle case-albergo, frutto di un rapporto paritario tra committenza e architetto, a volte come con la torre SNIA-Viscosa e il grattacielo Pirelli è stata una società, che per le svariate ragioni, da quelle organizzative a quelle simboliche, si è rivolta ad un professionista e a volte è stata iniziativa di una società di costruzioni che approfittando della situazione postbellica acquistò un lotto quasi totalmente distrutto affidandolo ad, nel caso della torre Velasca, un gruppo di progettisti. È nella natura degli eventi, e certificato dalla storia, vedasi il caso del castello Sforzesco, che ogni attore in gioco ricerchi il personale interesse. Tale impostazione non preclude affatto la nascita di una buona architettura, il cui fallimento può essere imputato, a seconda dei casi, o a una committenza deviata (“Il committente è colui senza il quale non si può fare architettura, e col quale, sovente, nemmeno”143), o ad un architetto incapace. Oggigiorno il rapporto tra grattacieli e finanziatori è diventato ancora più problematico. A causa dell’identificazione delle grandi società internazionali, che per l’elevato costo sono necessarie alla costruzione dei skyscraper, con il mondo della finanza più slegato dal contatto con la moneta reale, accusato di essere una degenerazione dell’economia e causa delle disuguaglianze economiche, i grattacieli stessi sono visti come simboli di potere deviato e di disuguaglianza. Questo discorso sarà poi approfondito con
L. Ponziani, Com’è triste Milano. Paralisi economica e crisi d’identità all’ombra del Pirellone, Il Messaggero, 31/12/1977 144
J. Foot, Milano dopo il miracolo, Milano, Feltrinelli, 2003, 2015, pp 138 145
A. Monestiroli, La ragione degli edifici: la scuola di Milano e oltre, Milano, Marinotti, 2010, pp 11 146
la trattazione dei moderni grattacieli di Milano. Per terminare il discorso riguardo questo argomento voglio riportare un pensiero di Ponti che ad essere maligni sembrerebbe quasi un discorsi ingannevole sviluppato solo al fine di permettere agli architetti di poter avanzare nel loro lavoro. Il fondatore di Domus invoglia i privati ad investire nella “banca dell’architettura” in quanto garantisce al nome del committente di rimanere perenne, con le pietre usate nella costruzione, nel tempo. Questo sta ad indicare che, figlia della concezione dell’architetto-tecnico era normale l’idea che l’architetto andasse “a caccia” di committenti. In cambio della possibilità di far avanzare l’architettura, con tutto ciò che questo comporta, essi offrivano la realizzazione, come nel caso del Pirellone, del “grattacielo per antonomasia voluto dalla dinastia dei Pirelli per un monumento degno di sé e idealmente dedicato a tutta l’imprenditoria privata lombarda”144. Classico esempio di edificio che trascende i propri significati materiali e formali che si trasforma nel “simbolo della modernità e dell’audacia della Milano del miracolo economico, “il simbolo stesso di quell’euforico spirito di ricostruzione economica voluta a confermare l’ottimistico ruolo di Milano ‘capitale morale’ dell’Italia industriale”145.
MMM | 69
MILANO RI-ADOTTA IL GRATTACIELO: IL CONTESTO La sostanza è ciò che è in sé e viene concepita per sé SPINOZA Sul finire degli anni 50 e durante gli anni 60 continuò una discreta attività edificatoria di episodi verticali quali: la torre Galfa, le torri Turati 1 e 2, edificio a torre per abitazioni di Chiolini, la Torre Servizi Tecnici Comunali. Durante questa fase continuò anche il progressivo allontanamento dalle peculiarità del movimento moderno, o per lo meno dai suoi tratti stilistici, e il mondo architettonico italiano si diresse, come si può notare dagli esempi riportati, verso ricerche improntate sul tema del regionalismo e della corrente detta brutalismo. Dopo questo periodo ci fu una brusca interruzione, terminata solo nel 1984 con l’inizio dei lavori dei grattacieli gemelli di FS Garibaldi, ma terminati solamente nel 1992, a cui danno seguito, con una nuova ondata verticale le realizzazioni dagli anni duemila ad oggi. Anche solo all’osservazione da parte di un cittadino non dentro i fatti dell’architettura appare chiara la differenza tra gli esemplari costruiti prima degli anni 70 e quelli moderni. Vediamo di comprendere le ragioni di questo cambiamento, che come vedremo non sono solo estetiche o relativi al vasto lasso di tempo che divide queste due epoche. Fin dal dopo guerra in Italia si tentò una reazione al movimento razionalista degli anni 30. Con gli anni questa, che inizialmente
era una sotto-cultura, acquistò di importanza in relazione al diffondersi di un’architettura svuotata dei suoi principi, cioè nell’ottica del movimento moderno proprio la parte di maggiore importanza, fino a diventare quella predominante. È Aldo Rossi che nel 1967 esplicita per la prima volta nell’introduzione ad ‘Architettura saggio sull’arte’ quello che Brandi aveva solo cominciato a intuire 11 anni prima, e cioè la distinzione tra razionalismo convenzionale e razionalismo esaltato. Il primo costruisce solo manufatti che rispondono alla razionalità mentre il secondo punta a conoscere e rappresentare il ‘nucleo emozionale’ dell’opera146. Anche se vista con gli occhi di uno dei maestri del movimento moderno questa distinzione risulta sbagliata (il razionalismo convenzionale non fa in realtà parte del movimento moderno, poiché come detto esso predica l’unione di arte e tecnica), ci aiuta a comprendere come il suo superamento sia avvenuto a causa di ragioni pratiche, relative al diffondersi di conformismi stilistici, e non dalla comprensione delle ragioni teoriche, che pur erano giuste, elencate da Argan sulle pagine di Zodiac. Paradossalmente il suo superamento deriva dall’opposizione a un modo di fare architettura che non gli appartiene. A posteriori, l’importanza della torre Velasca risiede proprio nell’aver fotografato, col suo divenire, il cambiamento in atto nella disciplina, che sarebbe avvenuto lo stesso, ma che la ha assunta come simbolo, anche grazie all’involontaria rilevanza nazionale ed internazionale, che le polemiche le diedero. Chiarite le ragioni dell’alternarsi dell’idea predominante, andiamo
E. N. Rogers, Tre problemi di ambientamento, Casabella, n. 232, ottobre 1959, pp 6 147
T. Monestiroli, La logica della memoria, Milano, Maggioli, 2010, pp 23 148
149
Idem, pp 44
A. Monestiroli, La ragione degli edifici: la scuola di Milano e oltre, Milano, Marinotti, 2010, pp 109 150
P. Panza, Estetica dell’architettura, Milano, Guerini, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2014, pp 142 151
a vedere in cosa consiste il superamento del movimento moderno. Poniamo, anche se erroneamente, ai fini di una maggiore comprensione della trattazione la torre Velasca come opera da cui ebbe inizio la decaduta della visione razionalista e da cui scaturì la teoria predominante, in vigore tutt’oggi, dell’architettura. Rogers, parlando del grattacielo su Casabella, dice: “Le forme vengono, per così dire, dedotte dai contenuti reali...”147. Questo, che potrebbe sembrare un’insignificante passaggio di un articolo che contiene concetti ben più profondi, nasconde in realtà in sé embrionalmente già tutti i presupposti degli sviluppi futuri. L’unico modo che si ha di uscire dal movimento moderno è quello di rifiutarne i principi fondativi illuministi, e cioè di uso della ragione, di fede nel progresso della ragione e nell’importanza dell’essenza. Se non si fosse fatto questo il mondo architettonico avrebbe continuato a girare in tondo, all’interno del recinto razionalista, con l’eventualità, molto più che remota, di ri-trovare col tempo interpreti straordinari in grado di esprime con la stessa efficacia di Le Corbusier, Wright e altri, gli assiomi concettuali da cui stava cercando di separarsi. Invece a partire da: “dedotte dai contenuti reali” di Rogers, si attua un lento ma inesorabile processo di abbandono del modo trascendentale di interpretare la realtà, e quindi l’architettura, in favore di uno immanente. L’attenzione verso il voler essere così milanese della torre dei BBPR attraverso la riproposizione di contenuti reali, materiali, quali la misura delle finestre e degli aggetti, il colore del rivestimento, il tetto
MMM | 70
a falde provoca negli osservatori l’idea di una composizione imitativa, rivolta cioè non più alla risoluzione del tema degli edifici, del loro nucleo nascosto, della loro essenza, ma attraverso il calco dei risultati, della sola apparenza. Si effettua così il passaggio dalla memoria come evocazione, cioè “attraverso la reinterpretazione del tipo o di un elemento della costruzione” mediante l’”assunzione del riferimento attraverso l’analogia, non tanto nelle sue forme, bensì nei sui principi costruttivi”148: alla memoria come citazione che “significa riproporre fedelmente gli elementi architettonici della storia, in un contesto moderno, per dimostrarne la loro valenza progettuale”149. Ripeto per sottolineare l’importanza che questo passaggio è potuto avvenire solo grazie al, ed è scaturito dal, rifiuto degli assiomi illuministici e di dominio della ragione; questo mutamento della concezione architettonica ha portato nel tempo allo sviluppo di teorie, quali per esempio il postmoderno e il decostruttivismo, basate su macro-concetti teorici di immanentismo, relativismo e di caos, e quindi su concetti di immediata traduzione pratica diametralmente opposti a quelli del movimento moderno. Aldo Rossi che fu uno dei primi in Italia e nel mondo ad addentrarsi in questa strada, ancora poco conosciuta, ripeteva spesso che “non voleva ridurre le forme dell’architettura all’essenziale... ma gli interessava che gli elementi della sua architettura fossero identificabili in quanto tali e non in quanto forme geometriche. La porta, la finestra, la colonna, l’architrave sono elementi dell’architettura che devono avere una forma espressiva
della loro identità, perché vengano riconosciuti, perché si rendano intelligibili”150. A proposito, Robert Venturi nel suo celebre libro Learning from Las Vegas scrive che “la percezione e la creazione dell’architettura dipendono dall’esperienza passata e dall’associare emozioni, e che gli elementi simbolici e rappresentativi possono trovarsi spesso in contraddizione con la forma, la struttura e la funzione con cui si combinano in uno stesso edificio. ... Dissentiamo dagli architetti moderni, che, nella tradizione della Bauhaus, rifuggono dal simbolismo delle forme, intesa come espressione, e rinforzo, del contenuto”, in quanto “individuano nella creazione di forme architettoniche un processo logico, libero da tracce visive di esperienze passate, determinato soltanto dalla funzione e dalla struttura”151. Queste modalità di pensiero nate inizialmente dal rifiuto del modernismo si sono rafforzate, trovando nuove peculiarità, esattamente come ha fatto il movimento moderno nei primi del 900, attraverso il rapporto con la società e la cultura del tempo. La nascita della società di comunicazioni provocò tendenze pop che spinsero l’architettura verso una fruizione più veloce e spesso distratta. Prendendo in considerazione ‘L’architettura della città’ (1966) di Rossi, ‘Il territorio dell’architettura’ (1966) di Vittorio Gregotti e ‘Learning from Las Vegas’ (1977) si nota come cambi il rapporto con la città e come siano stati tutti influenzati dal fortunatissimo ‘The Image of the City’ di Kevin A. Lynch del 1960. Quello che hanno in comune infatti è l’interesse verso l’immagine, della città o del singolo
P. Panza, Estetica dell’architettura, Milano, Guerini, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2014, pp 140 152
P. Johnson e M. Wigley, Deconstructivist architecture, mostra al MoMA, 23 giugno - 30 agosto 1988 153
G.Ponti, Si fa coi pensieri, Domus, n. 379, giugno 1961, pp 1 154
P. Eisenman, Il futuro della tradizione, Casabella, n. 345, febbraio 1970, pp 29 155
edificio non importa, che assume quindi, come nella vita di tutti giorni, un ruolo imprescindibile. L’architettura contemporanea si fa quindi semplice, non sembri un paradosso, per attrarre l’attenzione. Dove l’immagine è padrona della comunicazione chi attrarrà di più l’attenzione su di sé vincerà. La semplicità dei concetti progettuali infatti facilita la comprensione immediata da parte dell’utente. Si comprende quindi come in questa società l’architettura moderna sarebbe inadeguata per il motivo contrario: essa fa della risoluzione della complessità dei principi progettuali un punto di forza, per restituirne poi un’immagine sfuggevole, che passerebbe cioè inosservata nel mondo odierno. L’attenzione verso l’immagine porta al rifiuto di ogni forma di astrazione e quindi all’utilizzo di simboli che permettano un’immediata comprensione della funzione dell’edificio da parte dell’utente; a volte l’edifico tutto diventa il simbolo. Si ripercorre nel senso opposto la strada verso l’astrazione tracciata da Mondrian152 che aveva aperto la strada all’astrazione nell’architettura razionale. A Milano di queste tendenze se ne ha traccia con le torri FS Garibaldi, tipico esempio di post- moderno. Purtroppo però la storia non ci ha permesso di continuare ad osservarle poiché nel 2008 sono state soggetto di una profonda ristrutturazione che le ha totalmente modificate esteticamente, aggiornandole ad un linguaggio tipicamente internazionale. Dal 1988 poi con la mostra dal titolo ‘Deconstructivist architecture’ curata da Philip Johnson e da Mark Wigley al MoMA di New York nacque e si diffuse, prendendo proprio nome dalla mostra,
MMM | 71
l’architettura decostruttivista, in cui si riversano la maggior parte degli aspetti del post-moderno, come per esempio l’importanza dell’immagine e l’indifferenza al contesto, fondendosi alla necessità, dedotta dalla società, di relativismo. Nata dalla filosofia decostruttivista di Derrida l’architettura omonima è un’architettura che ha come obbiettivo la messa in crisi del senso dell’abitare mediante la decostruzione del linguaggio architettonico. È un’operazione cioè di messa in crisi dei postulati della costruzione attraverso la deformazione della forma con tecniche come lo smembramento, la dislocazione, la flessione, la deviazione e la distorsione153. È importante notare, a questo proposito, come i più avanzati risultati di questo stile abbiano trovato realizzazione grazie al grande sviluppo sia della tecnica delle costruzioni, sia dei programmi di progettazione virtuali. Prima di parlare degli esempi di verticalità milanese, che in queste teorie trovano la loro spiegazione voglio specificare che è vero che la disciplina architettonica avanza nelle sue affermazioni formali grazie allo studio approfondito e alla trasgressione di soluzioni formali di opere precedenti, metodo cioè slegato da ogni riflessione filosofica sull’architettura, ma è anche vero che come diceva Nervi e ripeteva Ponti l’architettura “si fa coi pensieri”154. Eisenman, architetto che con la sua opera ha rappresentato le ideologie sia dell’architettura trascendentale razionalistica, sia di quella immanente, intesa nelle sue declinazioni più recenti, scrive che “mentre sarebbe
del tutto ingenuo sostenere sempre la rigida trasposizione delle ideologie nelle realizzazioni costruttive, è anti-scientifico ed in ultima analisi presuntuoso insistere nel non voler ammettere una corrispondenza tra concetti generali e forme architettoniche che vengono alla luce nello stesso periodo”155. A mio giudizio esiste un ambiente culturale e filosofico che influenza le forme dell’architettura. Alcune delle quali intrattengono un rapporto univoco con la riflessione teorica che le ha generate e dalle quali perciò si può risalire, seguendo il procedimento contrario, agli assiomi generatori. All’interno di questo ambiente poi trova posto l’azione individuale di ogni architetto che agisce secondo il gusto e le aspirazioni personali per evolvere la disciplina mediante il riuso, l’invenzione o la trasgressione di soluzioni formali.
Nuova sede della Regione Lombardia Porta Nuova
Nella primavera del 2007 con l’inizio del cantiere per la realizzazione della nuova sede della Regione Lombardia incominciò anche una stagione caratterizzata da grandi interventi di riqualificazione di aree abbandonate o sotto-utilizzate di Milano. Dopo anni di stallo nel campo della verticalità la Regione Lombardia, nella persona di Roberto Formigoni, decise di edificare un nuovo grattacielo che terminato nel 2010 sarà alto 161,3m e sarà per due anni il palazzo più alto d’Italia. Con questa speculazione Formigoni volle affermare l’importanza di una delle regioni, la Lombardia, più ricche, laboriose e rilevanti d’Italia, e d’Europa, rappresentando
74 Palazzo della Regione Lombardia
74
MMM | 72
Suolo Bene Comune, Legambiente, 04/01/2016, http:// lombardia.legambiente.it/sites/default/ files/docs/ quaderni_del_suolo-web_0.pdf, pp 31 156
l’istituzione in maniera consona alla sua grandezza con un’architettura d’eccellenza. Contestualmente ottenne anche di unire in un solo palazzo la maggior parte degli uffici comunali risparmiando così milioni dal canone di affitto degli immobili. Parallelamente all’epoca delle nuove trasformazioni edilizie milanesi se ne aprì un’altra, quella delle polemiche, dei comitati di quartiere e dei ricorsi al Tar. Il grattacielo della Regione Lombardia occupa la zona che prima era del Bosco di Gioia, lascito della contessa Giuditta Sommaruga all’Ospedale Maggiore che ne avrebbe dovuto mantenere la cura, destinandolo a scopi ospedalieri o che comunque lenissero le sofferenza dell’umanità. Il suo abbattimento destò nella popolazione milanese molta indignazione che tentò con proteste, ricorsi al Tar e interventi di personaggi famosi come Dario Fo, Milly Moratti, Michele Sacerdoti e Rocco Tanica di fermarne l’esecuzione. Riferimenti a questa vicenda nell’espressione artistica e culturale se ne hanno nella canzone del gruppo Elio e le storie tese intitolata ‘Parco Sempione’ e nel film di Maccio Capatonda ‘Italiano medio’. Ampliando però il raggio di osservazione si nota come la strategia progettuale di questo intervento sia collegata ad un’altra epocale trasformazione del tessuto cittadino: Porta Nuova, in cui è prevista la realizzazione di ‘La Biblioteca degli Alberi’, parco cittadino di 90.000mq (circa nove volte il Bosco di Gioia). Prende forma così la direzione intrapresa da Milano nell’ultimo decennio di una città più ecosostenibile. Percorso attuato, nel campo architettonico con la realizzazione di nuovi edifici più
MMM | 73
sostenibili e immersi nel verde, si veda anche per esempio il bando di concorso dell’area City Life, e in un’ottica più generale con più parchi, piste ciclabili, trasporto pubblico, viali alberati e Area C (precedentemente Ecopass). Il rispetto dell’ambiente, la riduzione dell’emissione di gas inquinanti e il consumo di suolo sono tutti nuovi concetti, sia per l’architettura sia per la politica e l’industria, su cui l’attenzione è però crescita in modo esponenziale negli ultimi anni cercando di colmare il gap dovuto al tardivo riconoscimento della loro importanza. Il rapporto ‘The limit to growth’, il più celebre documento in materia di sostenibilità ed inquinamento, risale ormai a circa 40 anni fa (30 all’epoca dei progetti), la sua pubblicazione è infatti del 1972. Nello studio commissionato dal Club di Roma al MIT, i ricercatori Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III affermarono che: “Se l’attuale tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, dell’inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale”. I problemi di livello mondiale sono molti, dalla crescita della popolazione, allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali all’incuranza di certe aziende verso l’ambiente, ma per porvici rimedio, senza voler cadere in una retorica semplicistica, bisogna iniziare da noi stessi e della nostra città.
Milano si trova in prima linea nello sperimentare gli svantaggi derivanti per esempio dallo smog, ogni anno i livelli di inquinamento superano i limiti e i cittadini si trovano a dover fronteggiare giornate col blocco del traffico, dalle inondazioni di interi quartieri, al consumo di suolo. Fermiamoci su questo punto, forse quello in cui mediante un’adeguata progettazione urbanistica e architettonica è possibile incidere maggiormente con l’architettura. A causa del sempre crescente prezzo degli immobili in città, all’intenzione programmatica espressa coi PGT di non aumentare la popolazione cittadina e a una discretamente diffusa cultura che vede nell’abitazione a villetta, o comunque immersa nel verde dell’hinterland milanese, uno stile di vita ambito, negli ultimi decenni del ventesimo secolo si è assistito a una massiccia urbanizzazione dell’area circostante il capoluogo lombardo, sopratutto nella fascia Nord. Infatti secondo Legambiente “solo in Lombardia”, che è una delle più urbanizzate e cementificate d’Europa, “negli ultimi anni il suolo è stato consumato al ritmo di 140.000 metri quadrati al giorno (l’equivalente di circa 20 campi di calcio)”156. Quello che descriveva Adriano Celentano nella celebre canzone ‘Ragazzo della via Gluck’, e cioè il fortissimo impulso costruttivo della campagna circostante, a quello che oggi è considerato il centro di Milano, negli anni novanta e nei primi anni duemila è avvenuto per l’hinterland più esterno a discapito degli ecosistemi naturali della pianura padana, dell’agricoltura e quindi dei suoli agricoli, “tanto che la perdita è ormai quantificabile a un quarto del patrimonio agricolo regionale”157. Questa criticità è
75
76 Dettaglio della copertura di piazza cittĂ di Lombardia
76
MMM | 74
77 Piazza cittĂ di Lombardia durante il semestre EXPO 2015 78 Foto scattata da piazza Gae Aulenti
78
77
79
MMM | 75
80
81
MMM | 76
Suolo Bene Comune, Legambiente, 04/01/2016, http:// lombardia.legambiente.it/sites/default/ files/docs/ quaderni_del_suolo-web_0.pdf, pp 31 157
Agnes Denes. Wheatfield, 04/01/2016, http:// www.fondazionenicolatrussardi.it/ Agnes%20Denes_1. html 158
ormai riconosciuta sia dall’ambiente intellettuale che da quello politico, i quali mediante iniziative culturali e progettuali come per esempio ‘RIFORMARE Milano’, promossa in collaborazione con il Politecnico di Milano, leggi e vincoli paesaggistici stanno cercando di porre un freno a questo fenomeno promuovendo un miglior utilizzo del suolo già urbanizzato. La verticalità quindi, intesa come strumento volto all’aumento della densità abitativa, all’interno dell’area urbanizzata cittadina è una soluzione intrapresa negli ultimi anni e sicuramente, a mio giudizio, auspicabile per il futuro, sempre posta in relazione a un’adeguata e imprescindibile qualità progettuale. Le esperienze di Regione Lombardia, di Porta Nuova e di City Life hanno intrapreso loro stesse, ed invogliato a farlo, questa strada, mediante l’espediente di edifici ad alta densità, e sostenibili in quanto certificati LEED GOLD, collocati in parchi privati ad uso pubblico. Modalità che non è di certo l’unica soluzione ma la cui replica in altre zone di Milano sarebbe di sicuro giovamento, solamente però attraverso l’assunzione di un target economico di riferimento più basso, per permettere ad una platea più ampia di potervi accedere. Eventualità questa del tutto auspicabile al fine di rendere più democratico il vivere in un ambiate rispettoso dell’ambiente e di elevata qualità. Ho accennato più volte all’intervento denominato Porta Nuova, vediamo quindi nel dettaglio di cosa si tratta. Il travaglio dell’area in cui viene posto questo progetto dura da quando, il 5 novembre 1961, la stazione di Porta Nuova venne arretrata e per creare l’odierna Stazione di Milano Porta
MMM | 77
Garibaldi. Da quel momento l’area delle Varesine e quella immediatamente prospiciente la stazione non furono mai soggette ad un intervento architettonico di riqualificazione generando un’area fortemente sottosviluppata dove negli anni trovò posto un Luna Park. Vari tentativi furono provati: nel 1953 il PGR indicò l’area come prescelta per ospitare il centro direzionale e liberare così il centro storico dalle attività terziarie ma nessun progetto arrivò mai alla fase esecutiva. Altro progetto fallimentare fu quello presentato nel 1991, in occasione di un concorso pubblico, da Pierluigi Nicolin. Infine la vicenda ebbe termine quando nei primi anni 2000 la società statunitense Hines, mediante un accordo col comune, riuscì nell’acquisto dei vari frammenti in cui era divisa l’area, e promosse un massiccio intervento che, per le sue dimensioni, cambiò volto ad un intero pezzo di Milano. Il Master plan è stato affidato allo studio americano KPF che lo ha sviluppato in stretto contatto con gli altri due principali studi che hanno partecipato, con le loro architetture, alla realizzazione dell’area: Pelli Clarke Pelli Architects e Boeristudio. In un’area di intervento di 340.000mq la società ha promosso l’azione anche di altri studi come Caputo Partnership, Piuarch, William McDonough + Partners, M2P Associati, Michele De Lucchi e altri. I lavori ebbero inizio nel 2007 e finirono nel 2014, ad eccezione del parco ‘La Biblioteca degli Alberi’ che deve essere ancora terminato. Durante il semestre di EXPO l’area del parco è stata soggetta a un’opera di Land Art ecologica ideata dall’artista Agnes Denes e promossa dalla Fondazione Nicola Trussardi, che
consisteva in null’altro che un campo di grano e aveva la funzione di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo i temi concernenti l’esposizione universale come: “la condivisione del cibo e dell’energia, la salvaguardia del territorio e dell’ambiente, la crescita sociale ed economica nel rispetto della qualità della vita degli individui e delle comunità”158. Le parti del progetto di maggior rilevanza sono la torre Unicredit, sede della società che gli dona il nome, per occupare con i suoi 239m la seconda posizione nella classifica degli edifici più alti d’Italia; la piazza sottostante intitolata all’architetto italiano Gae Aulenti per l’importanza che in breve tempo ha saputo assumere nella quotidianità dei milanesi e i grattacieli Bosco Verticale per essere risultati vincitori il 19 novembre 2014 del prestigioso premio biennale dell’International Highrise Award come grattacielo più bello del mondo, e anche per quello consegnato il 13 novembre 2015 dal Council on Tall Buildings and Urban Habitat come ‘Migliore Architettura del Mondo 2015’. Sovente, visitando piazza Gae Aulenti coi miei amici o con i miei colleghi studenti di architettura mi sono sentito ripetere la frase: “Sembra di essere a Dubai”. Questa espressione apparentemente banale nasconde in realtà due importanti riflessioni. La prima riguarda l’idea stessa del grattacielo, o l’idea a cui esso viene associato. Ho già parlato dell’idea che ricopre questa tipologia costruttiva nell’immaginario collettivo della Milano dei primi anni del 900 e abbiamo visto che era identificato, per vari motivi, con ideali di progresso, igiene e modernità; ma che esistevano anche posizioni detrattrici. Così
82 Sede Unicredit
82
MMM | 78
AA.VV, Guida all’architettura di Milano 1954-2014, a cura di M. Biraghi, G. Lo Ricco, S. Micheli, Lavis, Editore Ulrico Hoepli, 2013, pp 241 159
P. Panza, Estetica dell’architettura, Milano, Guerini, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2014, pp 140 160
oggi, esattamente come 100 anni fa, l’idea di grattacielo viene associata, in certi ambiti culturali della società, ad ideali di progresso, modernità e benessere in relazione degli esempi esteri che ci giungono attraverso i media, per esempio Dubai. Ragionevolmente questi gruppi cultuali saranno favorevoli al diffondersi di questa tipologia. Al contrario però, esiste anche una cultura avversa alla loro costruzione perché simboli della disuguaglianza, oggi molto accentuata, tra classi povere, operaie, svantaggiate... e classi ricche, imprenditoriali, avvantaggiate... In questo caso, il rifiuto o l’accettazione, non è da intendere come critica o lode al lavoro progettuale dell’architetto, ma solamente come pregiudizio intellettuale dettato da prerogative culturali. La seconda e più ampia riflessione riguarda il vasto capitolo della milanesità di un’opera; riflessione che, per intenderci, è applicabile a qualsiasi altra città del mondo. Entrando nel merito della nuova sede della Regione Lombardia e della torre Unicredit, esse sono state accusate di essere espressione di un “linguaggio neomodernista largamente collaudato a livello internazionale”159. L’espressione “Sembra di essere a Dubai” deriva proprio dal fatto di riconoscere nel diffuso utilizzo di facciate vetrate uno stile internazionale, quasi fosse un International Style 2.0. Bisogna però fare attenzione e distinguere le varie correnti stilistiche e concettuali perché si rischia di accumunare idee ed espressioni formali differenti solo perché fanno largo uso della tecnica curtain wall. Per esempio il grattacielo di Pelli e lo storto di Zaha Hadid (che analizzeremo più avanti), fanno entrambe uso
MMM | 79
della tecnica a facciata continua vetrata ma appartengono a due distinte concezioni della disciplina. Sia Pelli che Pei a mio giudizio si possono dire appartenenti ad una concezione dell’architettura che si colloca a metà tra architettura trascendentale e immanente, con forti influenze della prima. Fra le due opere milanesi però, è soprattutto lo studio di Pei che fa propri elementi tipici della nuova concezione architettonica post-moderna: attraverso le sinuose spirali con cui genera il progetto, che nel basamento terminano improvvisamente con delle pareti cieche di pietra, quasi fossero state bruscamente interrotte per l’inaspettata fine dell’area progettuale, esplicita il rifiuto di instaurare un dialogo con il resto della città. O meglio, il dialogo c’è e sussiste nel fatto di rifiutarlo. Analogamente alla prima fase post-moderna in cui la citazione decontestualizzata era quella storica, oggi diventa naturalistica, ma il rapporto con il pubblico non varia poiché l’attenzione del progetto si sposta al suo interno, esso diventa l’unica cosa importante, l’unica cosa fruibile. Infatti nella cultura “pop l’assorbimento della funzione critica avviene all’interno dell’opera”160. Pelli invece mantiene un’impostazione più rivolta all’essenza delle cose. La parte più importante qui non è il progetto, inteso come edificio in sé, ma il rapporto che crea col contesto, con la popolazione. È il fatto che sposta l’edificio ai margini dell’area di progetto lasciando il centro, sia materialmente che concettualmente, alla piazza. E nel fatto che mantiene quella inclinazione, tutta razionalista, di comprensione e, soprattutto,
modificazione della realtà. Una delle grandi differenze fra l’architettura del movimento moderno e di quella che la sostituì è appunto il non interesse nel voler mostrare la possibilità di una società migliore. Come vedremo con City Life l’interesse di questa architettura risiede tutto nella sola rappresentazione. Altro edificio che condivide con quello dell’architetto brasiliano gli ideali, mostrandoli anche in modo molto più marcato è il Bosco Verticale di Stefano Boeri. In esso infatti è evidente, quasi plateale, la dimostrazione, alla società, di un futuro migliore e possibile. Di fatto Boeri indica una direzione da seguire in un futuro prossimo, non solo in architettura, ma anche in politica, rispolverando la figura di architetto-tecnico. Ma torniamo al problema iniziale della milanesità, cioè dell’identità del luogo. Per poter affermare che un’architettura non è coerente con le sue corrispettive milanesi bisogna saper definire prima di tutto in cosa consiste per un edificio essere milanese. Cioè cosa vuol dire milanesità. Cioè cosa vuol dire Milano. Poniamo che un’ipotetica città nasca già nel pieno compimento del suo sviluppo territoriale, cioè che non ci sia stato un ieri dove i cittadini vivevano una città più piccola e, per estensione, che non ci sarà neanche un domani con una città più grande; supponiamo cioè che essa rimanga invariata, dal punto di vista dell’estensione, nel tempo. Gli edifici di questa ipotetica città però, come tutti gli edifici, col passare dei decenni si deteriorano sempre in maniera più grave, fino al punto che i cittadini siano costretti a demolirli e sostituirli con altri uguali. Poniamo ora di riuscire ad andare così avanti nel tempo che tutti gli edifici, per
83
84
85
MMM | 80
86
92
83 Foto scattata da via Arbe 84 Foto scattata dal palazzo Montecatini 85 Foto scattata da un treno in arrivo alla Stazione Centrale di Milano
93 87
88
88 Sede Unicredit e Wheatfield di Agnes Denes 90-91 Foto scattate dal belvedere Jannacci del grattacielo Pirelli 94
89
95
90
91 96
MMM | 81
G. Ponti, Esistenza ambientale. Conservazione ambientale. Creazione ambientale, Domus, n. 378, maggio 1961, pp 0 161
162
Idem
il loro ammaloramento, siano stati sostituiti con il loro corrispettivo, nuovo e uguale. La domanda da porsi a questo punto è: è sempre la stessa città di quando è stata creata, o è un’altra? Quello che si sta ponendo ora è quindi il problema filosofico dell’essenza e dell’identità. La città, anche dopo che tutti i suoi palazzi sono stati sostituiti, è la stessa e potrà chiamarsi con lo stesso nome che aveva in origine, o è un’altra e dovrà anche cambiare nome? Inoltre il problema si complica se consideriamo una città reale che sappiamo essersi sviluppata nel tempo, da un piccolo insediamento a una grande metropoli, e in cui i palazzi demoliti non vengono sostituiti con altri identici ai precedenti. Le domande che mi pongo sono: prima della Seconda Guerra Mondiale e dopo la conseguente ricostruzione Milano è stata la stessa? prima e dopo la costruzione del Duomo di Milano la città era uguale? e prima e dopo il Pirellone? l’idea di milanesità è quindi cambiata nel tempo? Può cambiare nel tempo? Insomma avrete capito che il problema così come è posto porta a considerare Milano o attraverso il concetto di essenza, e quindi a ritenerla immutabile, perché quello che conta è il suo carattere interno e nascosto ai sensi, o attraverso quello di identità, e quindi a ritenere che Milano e la milanesità cambino nel tempo con le realizzazioni materiali che in essa trovano posto. Gio Ponti non credeva nell’esistenza di una pre- esistenza ambientale con cui rapportarsi, preferiva considerare la “creatività, che per grazia di Dio, non è mancata mai in Italia”161 come ‘esistenza ambientale’, l’essenza cioè, in cui “si attua in
MMM | 82
continuità il temperamento di Milano”162. I BBPR invece, nella parte finale della progettazione della torre Velasca, cominciarono a considerare inconsciamente le manifestazioni materiali della città come corrispettivo con cui relazionarsi, assumendo per vero il concetto di identità. A chi come Rogers considera l’identità l’elemento con cui relazionarsi durante la progettazione, non può negare che esso si modifichi nel tempo, che l’idea di Milano oggi è diversa da quella di Milano 100 anni fa, proprio in relazione, sembra una beffa, alla sua modificazione materiale. Bisogna quindi concludere che non esiste, in questa concezione, un’unica idea di milanesità. È comprensibile però che in una società, e un’architettura, volte solamente al materiale e all’esteriore sia l’immagine che una città da di sé la parte più importante di essa. In particolare, come scrive Salvatore Settis nel libro ‘Se Venezia muore’, l’idea e l’immagine che da di sé in questo momento. Questa immagine assume una tale importanza che va salvaguardata e protetta da possibili cambiamenti poiché unicum storico e non più ri-ottenibile. Questa concezione, che da un lato inserisce la città nella storia, posizionandola a culmine di un processo evolutivo storico, dall’altro la estranea da essa poiché non ne riconosce i valori di sviluppo, modificazione e adattamento tipiche di ogni insediamento umano. L’identificare la città con un’immagine fissa e non modificabile la rende impossibilitata a proseguire il suo normale flusso storico di cambiamenti, che possono risultare riusciti o meno, non importa. È mia convinzione che per avere
qualcosa di vecchio bisogna fare qualcosa di nuovo. In relazione alla verticalità è illogico e antistorico considerare il limite in altezza di una città in base ad un edificio, in genere un monumento, costruito in un certo periodo, e che prima non esisteva. Questa considerazione vale sia, e fortunatamente è valsa, per Milano, con la guglia del Duomo, sia per Venezia con la colonna di San Marco che evidentemente prima di essere costruita non costituiva il limite per se stessa, cioè non c’era limite. Lo sviluppo di una città deriva, in parte, dal rifiuto del passato; una interpretazione troppo rigida del concetto di attenzione alle preesistenze ambientali porterebbe a una sterile riproposizione di manifestazioni stilistiche dedotte dalla storia, provocando come, un congelamento della città che rimarrebbe impantana nelle sabbie mobili della storia. Ecco che quindi, concludendo, quando diciamo che un edificio c’entra poco con una città, per esempio Milano, stiamo solo dicendo che ha pochi fattori in comune con la categoria mentale con cui ognuno di noi identifica e riconosce la città. Parlando quindi di milanesità si rischia di fornire all’edificio un termine di paragone parziale, vizioso e soggettivo. Infine, ricollegandoci al progetto di Pelli, la torre Unicredit si relaziona con la città nella maniera in cui, come detto, è presente l’intento progettuale di farlo. Essa dialoga col tessuto circostante e con le esigenze di una città intera in quanto durante la fase di progettazione era presente la volontà di porre rimedio, a quella che secondo l’architetto brasiliano era un’esigenza di Milano, cioè una nuova, anzi, la prima piazza di Milano non usata “solamente
97
MMM | 83
T. Monestiroli, Cesar Pelli: “Il futuro di Milano è verticale ma per diventare europea mancano gli spazi all’aperto”, 05/01/2016, http:// milano.repubblica.it/ cronaca/2013/11/06/ news/ milano_citt_ intervista_architetto_ incontri_architettura_ politecnico_in_ triennale_europa_ spazi_cesar_pelli_ creatore_della _t-70339976/ 163
Una metodologia unica nel suo genere: il concorso internazionale per la cessione e riqualificazione di parte del quartiere storico di Fiera Milano, 05/01/2016, http://www. quartierefiera.org/ metodologiafiera.htm 164
165
Idem
come luogo di attraversamento”163. È in questi ambiti progettuali che va ricercato il dialogo col contesto, che perciò qui non è inteso come ricorso a stratagemmi estetici al fine di mimetizzare l’edificio con, come ho appena dimostrato, un’ipotetica idea di milanesità ma similmente a come facevano la casa albergo in via Corridoni, il palazzo Argentina, la casa per abitazioni, uffici, negozi e autorimessa in corso Italia e il Palazzo INA in corso Sempione, l’edificio sede dell’Unicredit dialoga col genius loci servendosi degli strumenti del movimento moderno.
City Life
City Life è l’ultimo dei tre grandi interventi che hanno interessato Milano ed è l’unico ancora in corso. La sua storia ebbe inizio nel 2003 con la decisione di spostare la vecchia fiera campionaria nell’area di Rho-Pero e con quella di promuovere una gara per la riqualificazione della zona appena lasciata libera. Il bando è stato secondo Luigi Roth (Presidente di Fondazione Fiera Milano) “un modello innovativo nel panorama nazionale perché ha unito in un’unica procedura gli aspetti pianificatori- progettuali, gli aspetti realizzativi, la sostenibilità economico-finanziaria”164. Tralasciando gli aspetti economici, le linee guida architettoniche “sono nate dall’ascolto delle aspettative della città e, in particolare, da una serie di interviste ad esponenti del mondo accademico, dell’impresa, dei servizi, delle associazioni cittadine e dei media”165. Ulteriore attore che ha di certo contribuito a redarre le linee guida del bando è stato l’allora sindaco di Milano Gabriele Albertini che mediante un nuovo skyline voleva rilanciare l’immagine e il prestigio della
MMM | 84
città nel mondo. Frutto di questa mediazione furono tre punti: l’emblematicità dell’intervento, la vivibilità del luogo e la qualità architettonica ed ambientale. Erano poi presenti altri requisiti da soddisfare, come per esempio un parco esteso per la metà della superficie totale dell’area e un posteggio dotato di 3.000 posti auto. Il 28 giugno 2004 si concluse la prima fase, quella qualitativa dove degli otto progetti presentati, la commissione e un gruppo multidisciplinare di 11 esperti fra cui spiccava la figura di Kenneth Frampton, ne selezionò tre: CityLife, Pirelli Real Estate S.p.A., Risanamento S.p.A.. Il 2 luglio dello stesso anno si concluse la seconda fase, quella economica, in cui risultò vincitrice, con un’offerta di 523 milioni di euro, il progetto City Life. I lavori furono iniziati nel 2007 e teoricamente dovrebbero essere stati terminati entro EXPO 2015, ma l’attuale data di fine lavori risulta essere per l’anno 2018. Il progetto, fin da subito, è sempre stato soggetto di molte critiche, sia provenienti dall’ambito accademico, sia da quello della politica, sia da quello delle associazioni cittadine: in particolare l’Associazione Vivi e Progetta un’altra Milano ha combattuto un’aspra battaglia, giunta fino al TAR, per modificare il progetto e renderlo, secondo loro, più rispondente al contesto urbano. Vediamo quindi di analizzarlo per comprendere la fondatezza delle polemiche o meno. L’intervento, al netto di tutte le modifiche e dei ripensamenti occorsi nel tempo, oggi si presenta con una fascia meridionale di edifici residenziali che urbanisticamente riprendono, per analogia, il disegno degl’isolati circostanti,
con un parco di 170.000mq (Parco Sempione è di 386.000mq e i Giardini Indro Montanelli di 172.000mq), con la ristrutturazione di un padiglione della vecchia fiera, il Padiglione 3, ex Palazzo dello Sport, ora Palazzo delle Scintille e soprattutto con le tre torri, rinominate dai milanesi, il dritto, il curvo e lo storto, che compongono la parte emblematica del progetto, richiesta nel bando. Per quanto riguarda le residenze e l’accusa di essere dei corpi estranei, esse dialogano con il quartiere mediante l’utilizzo della citazione dell’organizzazione urbanistica adiacente, tipico metodo postmoderno di fare architettura. Introducendo un’estetica aggiornata, soprattutto per dieci anni fa, figlia di un adattamento impoverito delle possibilità scaturite dall’utilizzo di software durante il processo progettuale risulta evidente il contrasto stilistico con le abitazione circostanti. Questo contrasto non va però inteso in senso negativo, lo stile usato per un’architettura infatti non va di certo giudicato in rapporto a quello di case risalenti in media a cinquant’anni fa. Pur usando un metodo di contestualizzazine non affine alla mia inclinazione progettuale non mi sento di giudicare negativamente le residenze Hadid, per la qualità espressa, a differenza invece di quelle di Daniel Libeskind che non risultano all’altezza della sua fama. I tre grattacieli risultano effettivamente molto caratterizzanti, tanto che, non ancora terminati, sono già entrati a far parte di tutte le rappresentazioni dello skyline milanese. Ciò è stato particolarmente facilitato dalla loro natura teorica. Tutti e tre appartengono infatti a quella
98 Torre Allianz e residenze Hadid da piazza Elsa Morante
98
MMM | 85
cultura scaturita dalla fusione di quella pop, di quella dell’immagine e di quella di internet, che Lyotard definisce essere, nell’omonimo libro, la condizione post-moderna; nello specifico della disciplina però queste opere si differenziano: il grattacielo Generali, di Hadid, e il grattacielo soprannominato il curvo, di Libeskind, appartengono alla corrente decostruttivista mentre la torre Allianz, di Arata Isozaki, ad una prosecuzione post-moderna del modo di fare architettura. Quest’ultima, utilizzando il metodo già analizzato, della memoria come citazione, si rifà all’opera ‘colonna infinita’ dello scultore rumeno Constantin Brâncuși. Citando un’opera, che a sua volta rimanda ad un metodo costruttivo tipico rumeno, non avendo nessun legame con la cultura o la tradizione né italiana, né milanese, e essendo totalmente affidato a questa citazione il compito di rapportarsi con il mondo esterno, l’architettura risulta particolarmente priva di legami con la cultura, la società e l’ambiente milanese. Ma Isozaki si spinge oltre, essendo l’architettura stessa la citazione risolve in un modo totalmente autoreferenziale il dibattito sulla sua esistenza, il contesto perciò risulta totalmente estraneo al processo progettuale che vede nel fornire un’immagine virale di sé stessa il suo fine ultimo. Dal punto di vista qualitativo, parametro che però in questa concezione della disciplina risulta non più tanto importante, il grattacielo mi pare non adeguato nella maniera in cui ricerca il riferimento alla snellezza del grattacielo Pirelli. Il paragone, nonostante Ponti non fosse soddisfatto del carattere illusivo della sua opera, risulta particolarmente sfavorevole
MMM | 86
per la torre Allianz. Ritengo che l’aver voluto ricercare, da parte dell’architetto Giapponese, la fusione di due riferimenti come la ‘colonna infinita’ e la snellezza del Pirellone abbia finito per nuocere alla sua azione, poiché invece di sommarsi, le qualità delle due opere prese a modello, hanno finito per sottrarsi. A questo proposito è interessante riportare che, nonostante diversi studi scientifici abbiano riconosciuto nella forma originaria della ‘colonna infinita’ di Brâncuși un’elevata difesa dai fenomeni turbolenti che si generano intorno ad essa, la fusione con la caratteristica della leggerezza ne ha fatto perdere ogni vantaggio. Nonostante questo sono presenti soluzioni formali anche interessanti, come le quattro ‘stampelle’ necessarie a ridurre le oscillazioni che il vento, per la snellezza e l’altezza della struttura, può causare, e la proposta di ascensori panoramici posizionati sui lati minori dell’edificio. Il decostruttivismo, la nuova e più recente corrente architettonica, grazie all’azione di un gruppo di architetti che ha saputo sfruttare al meglio tutte le sue risorse e peculiarità, ha raggiunto una notorietà elevatissima. Simultaneamente, anche gli architetti che l’hanno praticata hanno raggiunto una fama mondiale, ed è stato addirittura necessario coniare un nuovo termine per descrivere le loro figure professionali: Archi-star. Se questi personaggi hanno raggiunto tale popolarità grazie alle loro opere decostruttiviste, o se al contrario, le loro opere decostruttiviste hanno raggiunto tale viralità mediatica grazie alla nascita della figura dell’Archi-star è ancora da stabilire. Questa nuova declinazione
della disciplina architettonica si compone, di molte parti ereditate dal movimento post-moderno, e dell’influenza della filosofia derridiana del decostruttivismo. Dal movimento post-moderno ha selezionato le peculiarità che esso a sua volta aveva dedotto dalla società moderna quali: l’importanza della fabbricazione di immagini, la predisposizione per una loro fruizione semplificata e la conseguente indifferenza nei confronti della cultura in cui l’opera si insedia; e le ha amplificate attraverso una caratteristica dedotta dalla teoria filosofica della decostruzione applicata all’architettura quale: la scomposizione del linguaggio architettonico riconosciuto precedentemente come assioma, per metterne in crisi il senso e infine mostrarne di nuovi. Il potenziamento della capacità di penetrare negli strati sociali della popolazione dell’immagine è ottenuta formalmente attraverso l’utilizzo di linee oblique e paradossi costruttivi che generano nell’osservatore stupore, spaesamento, attenzione..., stratagemmi volti ad ottenere memorabilità. Così definita l’architettura decostruttivista, è logico comprendere come sia stato questo progetto il vincitore di un concorso che poneva l’emblematicità come primo punto da soddisfare, e quindi perché non sia stato il progetto, da molti ritenuto migliore, di Renzo Piano, esponente di una declinazione della disciplina lontanissima da questi principi. In più, l’accostamento di tre grattacieli, che fanno già individualmente della loro immagine il loro punto di forza, ha provocato un’aumento esponenziale delle potenzialità comunicative
da 99 a 101 Render dei tre grattacieli di City Life, tratte da Zona Tre Torri – Il Curvo presentato alla Bocconi, Roberto Arzuffi, 15/02/2016, http://blog.urbanfile. org/2016/02/03/ zona-tre-torri-il-curvopresentato-allabocconi/
99
100
101
MMM | 87
102 Torre Allianz da via Framcesco Filelfo 103 Torre Allianz da via Domodossola
102
MMM | 88
103
104
105
MMM | 89
106 Lo storto di Zaha Hadid in costruzione, in data 29/10/2015
dell’intero intervento. Analizzando singolarmente le opere, in relazione ai principi teorici, si può notare come il grattacielo Generali mediante la torsione della struttura introduca quegli strumenti formali, quali appunto lo smembramento, la dislocazione, la flessione, la deviazione e la distorsione tipici del linguaggio decostruttivista, che simultaneamente mettono in crisi uno dei concetti con cui l’uomo conosce storicamente l’architettura, cioè che è fatta di parti verticali (pilastri) ed orizzontali (pavimento) ordinate, e attraggono l’attenzione, proprio per la loro espressione formale in opposizione a qualsiasi altra realizzazione ammirata in precedenza. Lo stesso discorso vale per il curvo di Liberkind, che però contesta il constructum di grattacielo, edificio in generale, costruito dalla sovrapposizione, uno dopo l’atro, di piani in direzione verticale. Oltre alla logica discrepanza di intento progettuale fra i due grattacieli, quello dell’architetto polacco si differenzia dallo storto anche perché compie, richiamando formalmente una porzione di sfera, un’operazione già nota in questa trattazione, di citazione, tipica dell’architettura post-moderna ma non di quella decostruttivista, testimoniando le forti contaminazioni che occorrono fra le due concezioni. Impostate su queste idee teoriche, l’architettura decostruttivista soprattutto, ma anche quella post- moderna rispecchiano una parte della società, la cui cultura consiste in una visione materiale, relativistica e caotica della realtà. Nell’intervento di City Life è evidente l’approccio relativistico alla realtà: in una visione in cui l’universo non è governato da leggi immutabili da cui dedurre
MMM | 90
razionalmente soluzioni pratiche per far progredire l’umanità, ma in cui ogni individuo si vede al centro del mondo ed è detentore della verità assoluta risulta impossibile proporre un modello universalmente riconosciuto di società mediante l’azione architettonica. La sua finalità non è più il proporre un futuro migliore ma limitarsi a rappresentare la realtà, nella sua complessità, inintelligibilità e materialità. L’esserne specchio 106 ne impedisce l’avanzamento relegando l’architettura a una situazione di impasse. La nuova direzione urbanistica, di cui ho parlato in relazione agli interventi di Porta Nuova e dell’area ex-fiera, non è dettato in questo caso da una riflessione introspettiva della disciplina, e quindi insita nei suoi principi, ma dall’imposizione, attraverso il bando, della volontà della commissione formata da elementi di Fondazione Fiera Milano e del Comune di Milano. In una società in cui assume così tanta importanza il numero di followers e l’esposizione mediatica questo tipo di architettura è più interessata a sopravvivere mediante la ricerca della popolarità che la proposta di modelli si sviluppo. Risulta però metodologicamente sbagliato giudicare le sue realizzazioni in questo ambito. Non si può infatti imputare ad un’architettura un demerito per una cosa che non sarà mai, e che non potrebbe
neanche mai essere. Non si può infatti giudicare l’intervento di City Life in base al suo rapporto con Milano e in base al modello di società che propone perché quelli non sono i suoi obbiettivi. Neanche la bellezza è più un termine di giudizio valido ma lo sono solo, per quanto riguarda lo storto e il curvo, la qualità della decostruzione operata sull’idea storica di architettura e per tutti e tre il tempo di permanenza sulla
‘cresta dell’onda’ mediatica. Se si vuole invece criticare la mancanza di impegno sociale di questa architettura bisogna impegnarsi nella definizione di una nuova concezione della disciplina che si opponga a quella che oggi, rimane, la più diffusa nel mondo.
MMM | 91
3 G. C. Argan, Architettura e ideologia, Zodiac, n. 4, aprile 1959, pp 52 166
A. Monestiroli, La ragione degli edifici: la scuola di Milano e oltre, Milano, Marinotti, 2010, pp 16 167
168
Idem
F. Purini, L’architettura didattica, Villa San Giovanni, Grafica Meridionale, 1980, pp 1 169
A. Monestiroli, La ragione degli edifici: la scuola di Milano e oltre, Milano, Marinotti, 2010, pp 16 170
RIFLESSIONI SULLA VERTICALITÀ CONTEMPORANEA Sono molto felice per questo prestigioso premio [l’IHA, n.d.r.]. [Si tratta di] un riconoscimento all’innovazione nell’ambito dell’architettura. È un invito a pensare all’architettura come un’anticipazione del futuro per ognuno di noi, non solo come l’affermazione di uno stile o di un linguaggio STEFANO BOERI Giungendo alla fine di questo lavoro che si è interrogato sulle cause delle modificazioni dell’architettura nel tempo voglio presentare il mio punto di vista sulla direzione da intraprendere nel campo della verticalità. In un mondo in cui la crisi ecologica è sempre più imminente e l’indirizzo predominante dell’architettura rispecchia la cultura immanentista e relativistica della società, non prodigandosi quindi per proporre nuove possibilità di sviluppo, la verticalità assume, e deve assumere, ancora nuove declinazioni per rispondere alle esigenze contemporanee. Ciò significa un’alternanza al vertice dei principi che governano l’architettura. Io propendo quindi per un ritorno ad una visione trascendentale della realtà, in modo che l’architettura riprenda a guidare lo sviluppo di una società che non può prescindere da una così importante parte di sè stessa. Si ritorni allo studio dello spirito dell’epoca, il quale non andrebbe mai abbandonato e che ricordo non essere altro che l’insieme dei bisogni e delle speranze che nascono spontanei ma confusi e inconsci da una popolazione circoscritta, e che gli architetti devono analizzare e comprendere appieno con l’obbiettivo di razionalizzarli, renderli chiari ed intelligibili prima di tutto a loro stessi, e poi a tutti mediante la loro opera. Questo processo di analisi, applicato alle necessità nate da una cultura trascendentale
MMM | 92
razionalistica porta a tracciare la rotta verso un mondo migliore, verso uno sviluppo della società, quindi per estensione dell’essere umano e, successivamente verso nuovi bisogni ancora. Si perché, come acutamente Argan nota, nella concezione illuministica, “ogni libertà è sempre libertà da qualche cosa; e la definizione di quel da è il momento più difficile del cammino verso la libertà. È molto probabile che gli architetti della prima metà del nostro secolo, in Europa e in America, abbiano definito quel da in modo imperfetto; è da augurare che gli architetti d’oggi, impegnandosi a superare l’esperienza di quell’architettura, superino i limiti o le inibizioni che le impedirono di realizzare i suoi programmi e non quello che fu il più autentico e vitale dei suoi impulsi morali”166. Ben venga quindi il ritorno della figura architettotecnico che, dopo un’attenta ed imparziale analisi dello spirito dell’epoca, si erga al di sopra della politica e della società indicando un modello da perseguire, prestando sempre la massima attenzione però a non sconfinare nel dibattito e nell’identificazione polita, intesa nei suoi partiti. Questa infatti fu una delle cause che incentivò l’abbandono della pratica dell’architettura moderna che, da più parti, era stata accusata, in certi suoi attori di essersi fatta portatrice di messaggi politici e non più morali. Questo errore gravissimo, che pur è così comprensibile date le premesse,
privò l’architettura, e in generale l’arte della speranza di un mondo migliore. “Quel mondo” cioè “nel quale, ‘occorre credere una buona volta’ come dice Ludovico Quaroni”167. Se quindi si tarpa quest’ambizione dell’architettura, Antonio Monestiroli si domanda cosa rimanga “delle straordinarie definizioni di architettura di Edoardo Persico, ‘sostanza di cose sperate’ o di Ernesto Nathan Rogers, ‘utopia della realtà”168 o di Franco Purini, “promessa di qualcosa di altro”169. Negli anni 50 e 60 del 900, e da li in avanti, però “ogni utopia viene sepolta, ogni idealità è scambiata per ideologia, quella ideologia colpevole di avere irrigidito la ricerca degli architetti moderni. Ma idealità e ideologia non sono sinonimi. L’architettura privata di ogni idealità perde il suo primo motivo di costruzione”170. Per fortuna non sono mai mancati architetti che, anche in drammatica solitudine, continuarono a perseverare in questa idealità, e per fortuna oggi a Milano assistiamo, a quella che spero sia, la sua rinascita. Grazie ai riconoscimenti ottenuti dal progetto Bosco Verticale, e alla conseguente esposizione mediatica ricevuta, ingrediente oggi imprescindibile per ambire a modello sociale riconosciuto, esso potrebbe aspirare a diventare simbolo di una nuova epoca, che attenzione non è un revivalismo storico del movimento moderno, bensì la trasposizione moderna e migliorata, in quanto consapevole, dei suoi
Suolo Bene Comune, Legambiente, 04/01/2016, http://lombardia. legambiente.it/sites/ default/files/docs/ quaderni_del_suoloweb_0.pdf, pp 30-31 171
T. Monestiroli, Cesar Pelli: “Il futuro di Milano è verticale ma per diventare europea mancano gli spazi all’aperto”, 05/01/2016, http:// milano.repubblica.it/ cronaca/2013/11/06/ news/ milano_citt_ intervista_architetto_ incontri_architettura_ politecnico_in_ triennale_europa_ spazi_cesar_pelli_ creatore_della _t-70339976/ 172
ideali. In un’epoca in cui la popolazione mondiale tocca cifre mai raggiunte prima nella storia, in cui l’80% della popolazione europea vive in aeree urbane e in un paese in cui il consumo di suolo assume un peso rilevante a causa della scarsità di superfici ‘utili’ (solo il 23% del territorio nazionale è ubicato in pianura)171, il grattacielo ambisce a ruolo chiave nella trasformazione delle città. Sia chiaro che quella del grattacielo è una delle possibili soluzioni perseguibili e che la sua attuazione non deve prescindere dalla ricerca o dall’applicazione di altri modelli. Il punto fondamentale su cui incentivare gli sforzi è quello di aumentare la densità delle nostre città mediante la riqualificazione di aree abbandonate o la sostituzione, anche se ancora funzionanti e abitati, di edifici (case, uffuci, scuole...) a bassa densità. Il mio sostegno a questa tipologia architettonica risiede nel fatto che essa è uno strumento plausibile nell’attuazione di entrambe le strategie riportate, e anche immediatamente disponibile. Sono altresì conscio del fatto che come tutte le soluzioni non è una soluzione perfetta in quanto presenta alcuni aspetti negativi, come per esempio l’elevata quantità e concentrazione di impianti necessaria al suo funzionamento, o la possibile generazione di criticità igieniche nel rapporto col contesto. Soluzioni a cui bisognerà sicuramente trovare un rimedio. Perché “se Milano vuole crescere in maniera intelligente, deve farlo sviluppandosi su se stessa, in altezza. Le grandi città hanno solo due strade per crescere: espandersi in orizzontale o salire
MMM | 93
in verticale. La seconda è l’unica sostenibile”172. La popolazione milanese deve perciò in ultima analisi prendere coscienza della propria situazione attraverso la comprensione della propria posizione geografica. Come avvenne per i newyorkesi, che salendo sul Latting Observatory si resero conto di essere circondati dall’acqua, così i milanesi salendo sui loro grattacieli devono comprendere che, i territori rurali posti a corona di Milano, parimenti all’acqua costituiscono una territorio off-limits, e che di conseguenza l’unica direzione possibile per uno sviluppo sostenibile è quella verticale.
MMM | 94
UNA MAPPA DELLA MILANO VERTICALE
MMM | 95
46 25
49
21
39 16
48 33 32
45
13
31
44 14 2
3
42
10
MMM | 96
26 18
27 43 28
23
17
6
30
36
29
35
12 9
34 20
24 37 4 8
5 40
38 11 47
1
7 15
19
41
22
MMM | 97
1
Verticalità storiche
Grattacieli
Duomo di Milano, architetti vari, 13861932, piazza Duomo, Altezza: 111m, Piani fuori terra: , Destinazione: Cattedrale
2 Grattacieli bassi
Torri
Progetti
Torre del Filarete, Filarete, 1450-1455, Piazza Castello, Altezza: 70m, Piani fuori terra: , Destinazione: museo
3
Grattacieli gemelli, M. Borgato, 19191923, via Washington 1 e 2, piazza Piemonte 3, Altezza: 44m, Piani fuori terra: 8, Destinazione: residenza
4 Torre Rasini, G. Ponti, E. Lancia, 19331934, Corso Venezia 61, Altezza: 45 (48)m, Piani fuori terra: 12, Destinazione: residenza e uffuci
5 Torre SNIA Viscosa, A. Rimini, 19351937, Corso Matteotti, 11, Altezza: 59,25m, Piani fuori terra: 15, Destinazione: residenza, uffici e attività commerciali
6 Torre Locatelli, M. Bacciocchi, 19361939, P. della Repubblica 27, Altezza: 67 m, Piani fuori terra: 17, Destinazione: residenza, attività commerciali
7
Casa Albergo, Luigi Moretti, Ettore Rossi, 1947 – 1950, via Filippo Corridoni, 22, Altezza: 48,12m e 22,58m, Piani fuori terra: 14 e 6, Destinazione: residenza convenzionata
8
Centro Svizzero, A. Meili, G. Romano, 1947-1952, Piazza Cavour 4, via Vecchio Politecnico 1,3, Altezza: 80m, Piani fuori terra: 20, Destinazione: uffici e sedi di rappresentanza
9
Palazzo Argentina, P. Bottoni e G.
MMM | 98
Ulrich, 194-51, corso Buenos Aires 36, Altezza: m, Piani fuori terra: 15,
10 Casa per abitazioni, uffici, negozi e autorimessa, L. Moretti, 1949 - 1955, Corso Italia 13-17, Altezza: 48 m, Piani fuori terra: 14, Destinazione: residenza, uffici, negozi e autorimessa
11 Torre Donizetti, A. Rimini, 1951, via Mascagni 24, Altezza: 55m, Piani fuori terra: 17, Destinazione: residenza
12 Grattacielo di Milano o torre Breda, L. Mattioni, E. e E. Soncini, 1950-1955, Piazza della Repubblica, 32, Altezza: 116 m, Piani fuori terra: 31, Destinazione: residenza e uffici
13 Torre Biancamano o (Grattacielo Baselli), P. Portaluppi, 1952-60, piazzale Biancamano 2, Altezza: 63m, Piani fuori terra: 20, Destinazione: residenza e commerciale
14 Torre al Parco, V . Magistretti, F. Longoni, 1953-1956, via Revere 2, Altezza: 78,80m, Piani fuori terra: 21, Destinazione: residenza e uffici
15 Centro Diaz, L. Mattioni, 1953-1967, Piazza A. Diaz 7, Altezza: m, Piani fuori terra: 17, Destinazione: uffici, note: La torre era più alta di dieci metri, poi ridotta per volere della Sovrintendenza ai monumenti
16
Palazzo INA, P. Bottoni, 1953-1958, C. Sempione 33, Altezza: 64,7 m, Piani fuori terra: 19, Destinazione: residenza
17
Grattacielo Pirelli, G. Ponti, A. Fornaroli, A. Rosselli, 1953-1960, Piazza Duca d’Aosta 3, Altezza: 127,1m, Piani fuori terra: 33, Destinazione: uffici
18 Torre Galfa, M. Bega, 1956-1959, Via Generale Gustavo Fara, Altezza: 102,37m, Piani fuori terra: 31, Destinazione: uffici e attività commerciali
19
Torre Velasca, Studio BBPR, 19561959, piazza Velasca 5, Altezza: 106m, Piani fuori terra: 26, Destinazione: residenze, uffici e attività commerciali
20 Torre Turati 1, L. Mattioni, 1958-1960, Via Turati 29, Altezza: 72 m, Piani fuori terra: 18, Destinazione: residenza e uffici
21 Torre Unilever (o Bonnet), F. Diomede e G. e C. Rusconi Clerici, ?-1962, via Bonnet 10, Altezza: 68 m, Piani fuori terra: 19, Destinazione: uffici/abbandonato
22 Edificio a torre per abitazioni, P. Chiolini, 1962-1963, Viale Sabotino 19/2, Altezza: 95 m, Piani fuori terra: 25, Destinazione: residenza
23 Torre Servizi Tecnici Comunali, Renato Bazzoni, Luigi Fratino, Vittorio Gandolfi, Aldo Putelli, 1962-1966, via G. B. Pirelli 39, Altezza: 90 m, Piani fuori terra: 24, Destinazione: uffici
24 Torre Turati 2, G. Muzio, L. Muzio, 1963-1969, Via Turati, 40, Altezza: 75 m, Piani fuori terra: 19, Destinazione: residenza e uffici
25 Torri FS Garibaldi, Laura Lazzari e Giancarlo Perrotta, 1984-1992, Piazza S. Freud, Altezza: 100 m, Piani fuori terra: 25, Destinazione: uffici, note: ristrutturazione 2008-2012 di arch.Massimo Roj
Verticalità storiche
Grattacieli
Grattacieli bassi
Torri
Progetti
26
34
Nuova Sede Regione Lombardia, Pei Cobb Freed & Partners, Caputo Partnership, Sistema Duemila, 2005-2010, piazza Città di Lombardia 1, Altezza: 161,3 m, Piani fuori terra: 43, Destinazione: uffici
Casa Albergo, L. Moretti, 1947-50, Piani fuori terra: 11, via Lazzaretto 7, Destinazione: residenza convenzionata
27 Bosco verticale, Stefano Boeri Architetti, 2007 – 2013, via Gaetano de Castillia, Altezza: 112m e 80m, Piani fuori terra: 35 e 25, Destinazione: residenze
28
35
Casa Albergo, L. Moretti, 1949-52, Piani fuori terra: 7, via E. Bassini 36-38, Destinazione: residenza convenzionata
36
Edificio per abitazioni e uffici, P. Lingeri, 1951-1952, Via M. Gioia 1, Altezza: m, Piani fuori terra: 13, Destinazione: uffici, residenza
37
Headquarter Unicredit, Pelli Clarke Pelli Architects, 2009 – 2013, Piazza Gae Aulenti, Altezza: 231m (compresa la guglia), Piani fuori terra: 35, Destinazione: uffici e commercio
Torre della Permanente, A. e P.G. Castiglioni e L. Fratino, 1951-1953, Via F. Turati 34, Altezza: m, Piani fuori terra: 12, Destinazione: uffici
29
38
43 Torre INPS, Ufficio tecnico INPS, 1967, via M. Gioia 22, Altezza: 62 m, Piani fuori terra: 18, Destinazione: uffici
44 Torre Branca, G. Ponti, C. Chiodi, 1933-1934, viale Alemagna 6, Altezza: 116m (con antenna), Destinazione: attività commerciale, Committenza: Triennale di Milano
45 Antenna Rai, 1953, corso Sempione 27, 100m, Destinazione: antenna di trasmissione radiotelevisiva
46 Torre Arcobaleno, 1964, via C. Farini, Destinazione: torre piezometrica
47
Diamante, Kohn Pedersen & Fox Associates, 2010 - 2014, Viale della Liberazione, Altezza: 137m, Piani fuori terra: 30, Piani interrati: 4, Destinazione: uffici e funzioni di rappresentanza
Torre Monforte, A. Pasquali, 1951 -1954, Corso Monforte 36, Altezza: 78 m, Piani fuori terra: 19, Destinazione: residenza
Progetto per piazza San Babila, L. Baldessari, 1937, piazza San Babila, Destinazione: cinema-teatro, dancing, bar-ristorante, negozi, uffici, appartamenti
30
39
48
Torre Vespa, L.Vietti, 1955 -1959, Corso Sempione 43, Altezza: 82 m, Piani fuori terra: 19, Destinazione: residenza e commerciale
Solaria e Aria, Arquitectonica, Caputo Partnership, 2010-2014, viale della Liberazione, Altezza: 143m, 100m, Piani fuori terra: 34 (Solaria), 18 (Aria), Destinazione: residenza
31 Torre Allianz (Isozaki), Arata Isozaki, Andrea Maffei, 2012 – 2015 , via Ambrogio Spinola, viale Dulio 5, Altezza: 207,20 m, Piani fuori terra: 50, Destinazione: uffici
32 Torre Hadid, Zaha Hadid, 2014-2016, via Ambrogio Spinola, viale Dulio 5, Altezza: 175 m, Piani fuori terra: 44, Destinazione: uffici
33
Torre Libeskind, Daniel Libeskind, 2015-2018, via Ambrogio Spinola, viale Dulio 5, Altezza: 150 m, Piani fuori terra: 34, Destinazione: uffici/ricettivo
MMM | 99
40
Torre Tirrena, E. ed E. Soncini, 1957, Piazza Liberty, Altezza: 49,5 m, Piani fuori terra: 12, Destinazione: uffici, residenza, commercio
41
Torre in via Quadronno, A. Mangiarotti e B. Morassutti, 1959 -1960, Via Quadronno 24, Altezza: m, Piani fuori terra: 8, Destinazione: residenza
42
Torre Aquileia, V. Magistretti, 1961 -1963, Piazzale Aquileia 10, Altezza: m, Piani fuori terra: 10, Destinazione: residenza
Milano Verde, F. Albini, I. Gardella, G. Minoletti, G. Pagano..., 1938, zona Sempione-Fiera, Altezza: m, Piani fuori terra:, Destinazione: parco-residenza-uffici
49 Progetto per un centro civico al QT8, F. Drugman, 1962-1965, QT8, Destinazione: centro civico
MMM | 100
INTERVISTE
MMM | 101
INTERVISTA PROF. ANDREA CAMPIOLI MMM Negli ultimi anni a Milano si sono costruiti parecchi grattacieli, qual’è il suo giudizio su di essi? AC Se devo esprime un giudizio personale, non mi piacciono ma non si tratta qui di dare un giudizio sui grattacieli milanesi. Essi infatti sono il risultato di un processo evolutivo che ha portato a massimizzare la rendita degli spazi in un area molto servita dal punto di vista dell’accessibilità e di conseguenza l’edificio alto si è imposto come soluzione ragionevole. Se andiamo a ragionare sul piano della sostenibilità economica perciò questi edifici sono sensati. Se andiamo a analizzare invece la situazione dal punto di vista della loro efficacia dal punto di vista ambientale, molto probabilmente si sarebbero potute trovare soluzioni più efficaci dato che come la gran parte degli edifici alti presentano molte criticità. MMM Come è vista questa tipologia nel mondo progettuale odierno, in relazione all’ambito ambientale. Possono essere architetture sostenibili? AC Messo in questi termini il problema è mal posto. prima di tutto bisogna capire cosa vogliamo intendere con sostenibilità, e in particolare con sostenibilità ambientale. Questo tema è molto articolato e si declina in 4 pilastri oggi considerati fondamentali: ambientale, sociale, economico e culturale (quest’ultimo aggiunto). Per concentrarci solo sul quello ambientale bisogna prima di tutto dargli una definizione. Personalmente ritengo che se vogliamo fare in modo di individuare una misura della sostenibilità dobbiamo fare in modo di andare a considerare quelli che sono le risorse consumate e gli impatti prodotti sull’intero ciclo di vita di una determinata azione. Quindi se consideriamo questa come sostenibilità ambientale è chiaro
MMM | 102
che l’edificio grattacielo propone sia dei vantaggi sia dei svantaggi rispetto ad altre soluzioni tipologiche. I vantaggi sono che rispetto ad un indicatore come il suolo, che è una risorsa rara che lo diventerà sempre di più, ha incontestabili vantaggi. Le tipologie dense presentano dei vantaggi evidenti dal punto di vista del consumo del suolo che però devono scontrarsi con la loro intensità nell’uso di materiali e nell’uso di sistemi tecnologici impiantistici che un’edificio complesso come lo è un’edificio alto per sua necessita impone. Oltretutto rispetto ad altre tipologie, proprio per questa elevata densità impiantistica, si presenta il problema di una porzione aggiunta di impianti e di consumo di risorse nella fase di manutenzione dell’edifici. Nel senso che, più impianti implicano un maggior numero di interventi manutentori in tempi ravvicinati. Dal punto di vista del consumo energetico però, nella fase d’uso, dipende molto da progetto a progetto. Ci sono progettisti che sono molto attenti alla questione del contenimento dei consumi energetici attraverso uno studio raffinatissimo dei sistemi di involucro. L’edificio alto sconta però, soprattutto nell’ambito del settore terziario, il fatto di aver inseguito un’immagine legata alla trasparenza e che quindi lo lega all’applicazione di soluzioni basate su acciaio e vetro che in qualche modo confligge pesantemente con il tema del contenimento dei consumi energetici, soprattutto in contesti mediterranei come il nostro. La presenza di estati particolarmente calde, con un’eccesso di trasparenza, anche se ben gestito costituisce comunque un problema. Oltretutto il fatto di fare riferimento a queste tipologie di involucro leggero, che ha intrinseco il problema di una massa superficiale degli involucri ridotta, vuol dire poi avere dei problemi dal punto di vista del confort interno.
02/12/2015 MMM Ipoteticamente, si potrebbe diminuire la gravosità dell’economia dell’edificio dei sistemi impiantistici con un’adeguato studio dell’involucro e dei sistemi di schermatura? AC Tutto si potrebbe fare. Nel senso che oggi la tecnologia consente di trovare innumerevoli soluzioni ma bisogna a questo punto considerare il problema dei costi. È chiaro che se l’obbiettivo del contenimento dei consumi energetici viene traguardo fin dall’inizi del progetto, facendo attenzione al modo in cui sono esposti i diversi fronti dell’edificio e gestendone le caratteristiche costruttive ragione della radiazione solare, credo si possa sicuramente raggiungere livelli molto spinti di contenimento dei consumi energetici. Tenga presente però che i consumi energetici però di un edificio alto non è solamente legato alla questione del condizionamento ma c’è tutta una parte impiantistica legata al suo funzionamento. Pensi soltanto ai trasporti verticali e al fatto che tutti le reti impiantistiche le debba portare in quota: come l’acqua la devo portare fino all’ultimo piano, e questo vuol dire consumare dell’energia. Per contro se ritorniamo all’indicatore consumo di suolo, la tipologia a bassa densità, che ricordiamo è nata negli 20 a Chicago per cercare di vendere più macchine possibili, presenta però ineludibili svantaggi. MMM Sono poi le tipologie nate a Chicago negli stessi anni. AC Si. proprio perché c’erano due problemi diversi da risolvere in quel momento. Questo la dice però lunga su un’altra questione. Ci fa capire come non esista in architettura una soluzione ottima. Sono sempre molto perplesso quando le questioni sono poste in termini generali. bisogna vedere quali siano le condizioni di contesto e quali gli obbiettivi. Ci sono ragioni rispetto alle quale l’alta densità
è sicuramente auspicabile rispetto a quella a bassa densità, e altre ragioni che invece auspicano una soluzione contraria. È chiaro che oggi il problema del consumo di suolo è prioritario il tema dell’alta densità diventerà il tema.
di suolo misura la qualità di un suolo in base alla quantità di carbonio. Non è sufficiente dire che un suolo non è urbanizzato, serve una qualificazione di quel suolo e non mettersi solamente nell’ottica del mq.
MMM A questo proposito vorrei farle leggere tre frasi: [foto1]. In un contesto come quello della Lombardia la parte agricola è sempre stata fondamentale. Se si continua a erodere suolo assecondando la tendenza degli ultimi decenni, che ha visto la popolazione abbandonare Milano, per vivere in Brianza, per poi farci ritornoper lavorare, non crede che questo proplema del suolocontinuerà ad aggravarsi? Non bisogna trovare una soluzione? AC La tendenza cambierà sicuramente. Si sta già infatti lavorando dal punto di vista legislativo per arrivare a consumo suolo 0. Cosa questo significhi è tutto da vedere; però devo dire che la tendenza da lei esposta cambierà. Teniamo presente che come i grandi interventi che hanno caratterizzato Milano in questo ultimi anni la tendenza in atto è quella di andare a recuperare aree centrali, quindi già urbanizzate, suolo che era gia stato consumato, andando a concentrare la volumetria in edifici alti per liberare superfici filtranti e superfici verdi. Questo potrebbe essere il tema del futuro. Perché anche all’interno di aree gia urbanizzate è possibile pensare a una de-urbanizzazione. Ciò significa liberare suolo, ma anche cercare di fare in modo che questo suolo ritorni a funzionare dal punto di vista biologico come un terreno, non dico naturale ma che possa essere considerato diversamente da quello urbano urbanizzato. Sul tema delle aree verdi cittadine non bisogna farsi però trarre in inganno. Dal punto di vista dell’efficenza ambientale noi come architetti consideriamo il consumo di suolo in termini di mq urbanizzati, mentre nelle logiche di LCA, cioè dove si va a misurare effettivamente l’efficenza ambientale di un sistema, l’indicatore consumo
MMM In poche parole: quantità ma soprattutto qualità. AC Si certo perché un prato naturale rispetto a un campo agricolo è molto differente.
MMM | 103
MMM Guardando quanto è successo sia a Porta Nuova sia a City Life si può dire che la tendenza a Milano è stata questa? AC Un conto è avere un parco, un conto è avere un bosco. Il parco è sicuramente un elemento che all’interno di un impianto urbano ha una grande valenza dal punto di vista del condizionamento climatico poiché riduce l’isola di calore e lo smog per esempio. Quindi dal mio punto di vista è sicuramente una tendenza auspicabile. Si tratta sempre di capire la sua qualità. La comparsa di questi spazi verdi in relazione a grattacieli pone necessariamente delle questioni, un edificio alto implica al suolo una serie di servizi e sotto-servizi che se ricoperti da superfici green ne fanno perdere potere ecologico. MMM E’ sicuramente meglio interrare i posteggi che oggi sono essenziali, e ricoprirli con aree verdi che lasciarli in superficie. Questo è quello che è avvenuto a Milano. AC Bisogna sempre sapere di cosa si sta parlando, quello che dice lei è vero. L’introduzione di aree filtranti pure, senza parcheggi sottostanti sarebbe ancora meglio. MMM Tutti i grattacieli costruiti in questi anni a Milano godono della classificazione LEED GOLD. Lei cosa ne pensa, la ritiene qualificante? AC È qualificante sicuramente, ancora una volta non in assoluto. I sistemi a punteggio funzionano dando un’attribuzione di punti rispetto ad alcuni requisiti. Nello specifico il
protocollo LEED li attribuisce mettendo a confronto l’edificio da valutare con uno standard di riferimento. Quindi sicuramente un edificio alto LEED Gold è meglio di un edificio alto LEED argento; stiamo sempre all’interno della tipologia a grattacielo. L’obbiettivo dei sistemi a punteggio è quella di avere uno standard che va via via alzandosi, in modo che i progettisti debbano dimostrare di volta in volta di aver superato le prestazioni prestazionali dell’edificio di riferimento. In funzione dello scostamento dallo standard ricevo una classificazione. Quindi certamente la classificazione LEED è garanzia di attenzione verso certi aspetti. Io non sono un grande fan dei sistemi di certificazione a punteggio però di fatto hanno obbligato gli studi di progettazione ad interessarsi ad alcuni aspetti che generalmente venivano considerati di secondaria importanza. MMM Ultima domanda. Per Milano lei auspica un’espansione a consumo suolo 0, quindi in altezza, che veda un concentramento della popolazione in città? Sapendo che non si può prescindere da un’elevata quaità architettonica. Andare verso l’alto, e farlo bene può essere un’adeguata strategia per il futuro o ci sono altri possibili scenai? AC Prima diceva che c’è in percentuale un maggiore incremento di suolo occupato rispetto alla crescita della popolazione; qui si pone la vera domanda per l’Europa e per Milano. Ci aspetta un futuro di espansione oppure un futuro di riqualificazione che non prevede un gran aumento delle volumetrie? A Milano e nei comuni dell’hInterland in questi anni, a fronte di un’espansione demografica stagnante il numero di mq resi disponibili è aumentato quindi vuol dire che c’è un’immissione sovra-proporzionata nel mercato di case. quindi potrebbe esserci anche un fenomeno di aumento della popolazione che vada a colmare questi lasciati vuoti. In teoria per Milano non dovrebbe quindi essere un problema di
dimensioni così rilevanti. Io credo che invece il problema centrale sia quello dei processi di riqualificazione che devono essere attivati. Il fatto di orientare questi processi di riqualificazione nella direzione dello sviluppo in altezza piuttosto che in altre forme credo che dipenda molto dalla qualità dei progetti. Non ci deve essere una preclusione alle diverse modalità di intervento. Dei buoni progetti per esempio potrebbero essere composti da porzioni che si sviluppano in altezza, da porzioni che in qualche modo conservano un loro preciso radicamento col suolo; bisogna poi tenere presente i ragionamenti che Salvatore Settis fa nel libro “Se Venezia muore”, per cui esiste un problema di identità culturale dei nostri contesti, che non ha un ruolo del tutto trascurabile nella decisione di come procedere nello sviluppo dei tessuti urbani. C’è un’identità culturale con la quale bisogna confrontarsi, questo non vuol dire condividere la stessa impostazione di pensiero di Settis che è ha favore di una grande attenzione. Io non sono mai a favore di visioni che in qualche modo blocchino la situazione, credo che il concetto di cultura sia un concetto evolutivo, la modernità è un concetto che si costruisce man mano che la società evolve. Ben vengano tutte quelle riflessioni che ci posso portare a rivedere il carattere identitario della nostra società e di conseguenza il modo in cui rispondiamo attraverso il modo di progettare. Voglio aggiungere però che a Milano sia presente un’identità più stringente che in altre città e che vada quindi rispettata. È una vecchia questione nata già col bando per il palazzo della sede della Regione Lombardia in cui alcuni progetti tentavano di ricomporre il tessuto urbano. Il progetto vincitore di fatto ha in parte mediato con questa esigenza andando però poi a realizzare un corpo alto che in qualche modo rompeva questa identità del tessuto relativamente basso del quartiere isola e dell’area circostante. Questo è un dibattito che c’è sempre
MMM | 104
stato e credo che rientri nel lavoro che i progettisti devono svolgere. Devono cioè interpretare la cultura del luogo rispettando le esigenze del committente, cercando di trovare la soluzione migliore possibile. Le questioni ambientali entrano come uno degli elementi che devono essere considerate all’interno di questo complesso e complicato lavoro di valutazione a diversi livelli.
1
2
3
INTERVISTA PROF. LORENZO DEGLI ESPOSTI MMM Comincerei da una piccola nota a margine: le è piaciuta la mostra Comunità Italia a cura di Alberto Ferlenga e Marco Biraghi alla triennale di Milano? LDE Si mi è piaciuta anche se è fin troppa densa, possiamo dire che ci sono fin troppi contenuti in poco spazio per essere critici. Ma in generale va benissimo nel senso che c’è tanto materiale su cui riflettere. Magari il doppio dello spazio avrebbe giovato all’allestimento. MMM Incomincio l’intervista da una considerazione generale. È a favore o contro la tipologia del grattacielo, senza entrare nel caso milanese? LDE La tipologia del grattacielo, innovativa qualche tempo fa oggi è diventata tutt’uno, si potrebbe dire emblematica con un certo tipo di sfruttamento sia del suolo, sia della città. Quindi come tipologia a sé stante, quindi come discorso architettonico, ogni architetto è interessato al grattacielo, e quindi anche io, rispetto invece a quello che sta dietro, alle dinamiche cioè che portano oggi alla costruzione dei grattacieli bisogna essere ben più critici e almeno porsi il problema. MMM Entriamo ora nel particolare. Perché lei, mi è parso di capire, è cosi contrario a quanto accade a Milano nell’ambito della verticalità? LDE Le esperienze milanesi degli ultimi 15 anni, con le dovute eccezioni per alcuni edifici rilevanti dal punto di vista tecnico, da un punto di vista del linguaggio, dell’impianto urbano e soprattutto di relazione col contesto sono tutti, se dobbiamo tirare una somma, negative. Non abbiamo nessuna costruzione che abbia veramente avviato un discorsi critico
MMM | 105
sul grattacielo, a parte forse quello di Zaha Hadid... vedremo, e anche di rivisitazione della tipologia rispetto all’oggi. Quindi appaiono soluzioni abbastanza ordinarie e di un’estetica per niente aggiornata. Questo mi porta a dire che da un punto di vista estetico sono bocciati. Ma da un punto di vista di espressone di un certo tipo di dinamica dello sfruttamento della città sono ancora peggio. Nel senso che questi grattacielo sono nati, e sono stati costruiti all’interno di operazioni che sono molto opinabili, e mi riferisco a Porta Garibaldi e a City Life. Essi sono due operazioni del tutto sorde alle reali esigenze della città perseguire per altri fini, di mero profitto. MMM Dato che mi pare di capire che lei critichi l’aspetto capitalistico e di sfruttamento economico di questi grandi interventi vorrei sottoporle un mio pensiero. Io penso che questo modo di agire è quello che è sempre stato alle spalle dell’architettura, e mi riferisco all’intreccio di esigenze. C’è l’esigenze di chi costruisce che deve guadagnare, l’esigenza dell’architetto che deve trovare qualcuno che lo faccia lavorare e l’esigenza della città che deve evolversi...? LDE Si si sicuramente ci sono esigenze e possono anche essere contrastanti, però bisogna vedere questa mediazione a che livello si situa. A prescindere dai risvolti estetici, ovvero: anche la più bieca delle iniziative può portare a un capolavoro; ma non stiamo parlando di questo. Ammesso che siano tutti dei capolavori, bisogna considerare che sono stati fatti ignorando quanto la città chiedeva o quanto, al contrario poteva essere proposto in modo intelligente in quelle due aree. A lodarle si può dire che siano ricette di governance e soluzioni tecniche funzionanti, ma da qui a dire di utilizzare queste due grandi aree come
09/12/2015
incipit per pensare a una nuova Milano e un nuovo modo di intendere la città, allora sono due occasioni perse. MMM A mio giudizio osservando quanto accade a Porte Nuova, in Piazza Gae Aulenti nello specifico, mi pare che l’intervento di Cesar Pelli con la realizzazione della piazza e dei grattacieli circostanti sia pienamente riuscito poiché la gente ci si reca e la vive appieno. D’estate o d’inverno la piazza è piena e la fontana a raso induce a un maggiore senso civico e a una maggiore fruibilità dello spazio. Non pensa che il riscontro oggettivo della popolazione contrasti con quanto ha appena detto? LDE Ci sono due aspetti da tener conto. Un aspetto è: anche Britney Spears ha venduto milioni di dischi. Quindi il successo di pubblico è relativo, sopratutto se stiamo parlando di un fenomeno riscontrabile nel lungo periodo. Cioè, se c’è il pubblico non vuol dire che un intervento di per sé funzioni. Privatizzando l’intera città e facendola diventare una Disneyland piena di utenti paganti ottengo il risultato di una città piena di persone, però nel frattempo cosa abbiamo perso? Quindi questo è sicuramente un aspetto che si lega al secondo, ovvero: a prescindere da quanta gente va in un luogo, cos’altro poteva essere questo luogo? Anche Time Square è piena di gente ma di fatto è stata privatizzata e disneyficata, quindi è pieno di gente. Ok però rispetto a prima, o rispetto ad altri possibili usi dello spazio pubblico, che cosa ha di intelligente quanto è stato fatto, quanto ha di stupido e quanto di meglio si poteva fare? O meglio, non si poteva fare di meglio? Ne dubito. Quindi c’è una serie di aspetti da considerare a prescindere da un successo di pubblico che fra l’altro è anche relativo a quanti e quali spazi ci sono a disposizioni nella città. Se non avrò di meglio di un determinato
spazio, Vabbè andrò li. MMM Ultima domanda per chiarire questo concetto. Prima mi sembra che lei abbia usato il termine “fruizione della città”. Cosa intende esattamente con queste parole, in relazione alla sua considerazione che se la gente popola uno spazio non è abbastanza? LDE Dipende dalla natura dello spazio e da quanto la città e i cittadini sono coinvolti nella decisione sui cambiamenti della natura e l’uso di questo spazio. Quindi quanto questi spazi sono utili alla città, quanto sono utili all’operatore, quanto la progettazione di questi spazi ha coinvolto le varie istanze presenti nella città e quanto le ha ignorate. Il caso di Porta Garibaldi è emblematico. Ovvero tutte le richieste delle comunità insediate sotto forma di varie associazioni sono state o censurate, mettendo a rischio la sopravvivenza di queste associazioni MMM Sta parlando delle associazioni di Isola immagino? LDE Si. O parte di esse sono state comprate offrendo in cambio poco o nulla. MMM Le mostri due immagini. La prima riguarda l’edificio di Corso Italia di Moretti [foto 2], il secondo le residenze Zaha Hadid nell’ex zona fiera [foto 3]. Non trova delle somiglianze formali? LDE No nessuna (ride). Nemmeno formali. È impossibile anche solo paragonare un’opera di Moretti con un’opera dello studio Hadid. MMM Io sto parlando dell’impatto che un milanese prova camminando per strada e si ritrova ad ammirare le due opere. LDE Un cittadino normale camminando per Milano può vedere nell’opera di Moretti passando da Corso Italia un’opera il cui planovolumetrico contesta il lotto aprendo una via che il pedone può attraversare e sbucare nella piazzetta retrostante e arrangiando gli edifici
MMM | 106
in modo che non costituiscano delle corti ma in modo che si vadano a contrapporre all’idea dell’isolato chiuso. MMM Però di fatto rompe la tradizionale via milanese, possiamo dire, a Canyon. LDE Si esatto questo sto dicendo. Contesta l’impostazione dell’isolato. Zaha Hadid non ha fatto altro che un semplicissimo compaund residenziale in una zona in cui poteva fare qualsiasi cosa in quanto è una zona di fatto libera. Poteva inventarsi quello ce voleva, ha realizzato invece una soluzione assolutamente ordinaria. Quindi anche il cittadino che passa di li dovrebbe rendersi conto del diverso rapporto. Senza andare solo all’estetica ma in generale tra le masse dell’edificio e della città. Andando all’estetica io non trovo grandi somiglianze e se ci fossero vuol dire che la povera Hadid è in ritardo di 60 anni. MMM Le leggo una frase che ha scritto Gio Ponti su un’editoriale di Domus relativamente alla torre Velasca. Stava parlando del contesto ambientale e delle pre-esistenze. “Fra le cose da conservare è poi soprattutto la capacità creativa nell’ambito di una cultura e di una tecnica estremamente aggiornate. Questa creatività, per grazia di Dio, non è mai mancata in Italia ed è forse la più peculiare “pre-esistenza” della quale dobbiamo tener conto per continuare quella “esistenza” dello spirito che animò le nostre città, nelle precedenti civiltà della loro storia”. Cosa ne pensa? LDE Io sono con Ponti e non con Rogers. Io purtroppo, sebbene suoni blasfemo, non condivido tutta questa enfasi che è stat prima lanciata e poi cosi tanto sostenuta da tantissime parti, di attenzione alle preesistenze ambientali. Se io sto facendo un’opera è perché sto cambiando quello che c’è. Se non posso anche non farla. Quindi molto meglio buttarla come lei ha letto sulla creatività se si
vuole dare una spiegazione di questa esistenza o pre-esistenza che sia o no ambientale. MMM Però sembra un discorso in contraddizione con quello che mi ha detto finoad ora. LDE Perché? MMM Zaha Hadid, Libeskind, Cesar Pelli sono tutti architetti che comunque... LDE Che fanno disastri! Non Sono più capaci di far nulla. Io non sto parlando dell’esterofilia o piuttosto che di essere nostrani. Io sto parlando del singolo progetto. Il singolo progetto può più o meno criticare la storia dell’architettura e proporne un’avanzamento oppure può biecamente replicare un cliché di soluzioni ordinarie... Il primo atteggiamento si ritrova in Moretti, o Terragni. Terragni in corso Sempione o Moretti in corso Italia, sebbene il periodo e l’estetica siano diversi, entrambe hanno contestato un certo tipo di architettura e ne hanno promosso un’avanzamento. Il povero Libeskind, che ha fatto un progetto oltraggioso a City Life, e anche Zaha Hamid che ha fatto un progetto modestissimo, non hanno per niente colto nel segno. Anzi sono loro che hanno omaggiato le pre-esistenze ambientali del peggior Ligresti. Quindi sono stati molto Rogersiani. MMM Questa è l’ultima domanda. Leggendo gli articoli scritti da lei e dal compianto Guglielmo Mozzoni si manifesta palese l’odio nei confronti delle recenti manifestazioni dell’architettura degli archi-star e dell’architettura x immagini. Premettendo che non mi trovo d’accordo con molte delle affermazioni che ho letto quella che vorrei farle presente è soprattutto quella riguardo la qualità di tali architetture. A parte questo, che è un’opinione personale e che se non vuole può anche non commentare, mi interessa molto di più esporle una tesi. Io penso che ogni forma d’odio
derivi da una mancata comprensione dell’altro, di conseguenza penso che quegli articoli siano così pieni d’odio per la mancata comprensione dell’architettura d’oggi. Di sicuro lei conoscerà Antonio Monestiroli. Monestiroli sosteneva la tesi che dopo l’era del razionalismo quello vero, quello dei le corbusier e dei mies van de rhoe, sia nata una reazione simmetricamente opposta. Argan in un’articolo su zodiac ha scritto che la storia dell’architettura, ma anche di molti altri ambiti si può leggere nell’ottica di posizioni di arte conservatrice e arte progressiva. Perciò siamo passati da un’architettura razionalista trascendente che si imponeva di farsi portatrice di leggi naturali nascoste nella natura per migliorare la società, e che faceva della complessità una qualità nascosta a fronte di una semplicità nella risoluzione del progetto. A un’architettura immanente e materica (nel senso che non vede altro al di fuori di essa) che fa della rappresentazione della complessità e del caos e del relativismo del mondo il suo simbolo, ma che soprattutto non vuole migliorare la realtà ma solo rappresentarla. Il decostruttivismo è solo l’ultima delle espressioni di questa concezione, che potremmo definire ancora prima che architettonica, filosofia della realtà, e racchiude in esso la cultura popolare di venturi, dell’immagine tipica del mondo informatico e la rappresentazione caotica della realtà non determinata da nessuna legge a priori. finendo: leggendo gli articoli ho trovato alcune frasi che mi hanno fatto pensare che lei e monestiroli apparteniate senza dubbio alla prima concezione del mondo, e che perciò sia x questo che è così incompatibile con il decostruttivismo. Pensa che sia un’analisi corretta? LDE Partiamo dall’inizio. Prima di tutto non c’è odio in uno scritto ma ci può essere indignazione e critica. Mai nessuno si sognerebbe di odiare Libeskind e di odiare Hadid. Però indignazione si. Ci viene da
MMM | 107
chiederci perché mai ci hanno rifilato una sola del genere. Ma questa è un’indignazione da milanese e non da architetto. Poi anche da architetto uno potrebbe dire: “Cosa gli è venuto in mente di farei giro per il mondo una roba del genere?!”. Un danno sia a Milano sia all’architettura in sé. O per lo meno un mancato avanzamento. In questo senso vanno letti alcuni di quegli articoli. Poi la figura di Mozzoni è una, la mia è un’altra. Siamo figure diverse. Per Mozzoni era molto più virulento questo attacco, ma aveva anche un’altra età, era nato nel 15’. Io non sono in nessun caso a fenomeni di architettura recente, ma ci mancherebbe altro. L’architettura è nata per cambiare e per rinnovarsi e non per persistere. Quindi questo è un punto che è e deve rimanere fermo: la miglior architettura rinnova l’architettura precedente, quindi io non sono un conservatore, però il rinnovare, per come la vedo io non può essere il ripudio di quello che c’era prima. Perché questo non è un rinnovare, questo è una conferma di quello che c’era prima. Se io semplicemente faccio un’operazione che è una contestazione assoluta di quello che ho avuto fino a quel momento sono nell’alveo di quella stessa cosa. Ho preso quella cosa come imperante e ho fatto qualcosa di assolutamente diverso. Quindi questa per me è un’attività che non è per niente critica. È un’attività che è una reazione quasi cieca rispetto a quello che si credeva di attaccare. Però bisogna fare dei grandissimi distinguo. Non si può in nessun caso paragonare Libeskind a Ghery o ad Hadid. Cioè sono figure che veramente poco hanno a che fare tra loro, che poi siano messe insieme nell’88 in una fortunata formula dell’architettura decostruttivista. È un’etichetta che i curatori hanno dato per i Moma ad una mostra. Molti di questi architetti hanno sempre detto che loro non si riconoscono in questa etichetta. Quindi non si può dire il decostruttivismo ha quest’anima perché non ce l’ha. Così come il razionalismo non aveva
una vera e propria anima. Anche all’interno del razionalismo ci sono grandissime diversità, soprattutto nel suo sviluppo. Quindi che cosa di buono noi possiamo tenere non è definibile a priori e io non sono assolutamente contrario, ci mancherebbe altro. Però questo qualcosa di nuovo da cosa deriva? Deriva da: 1- uno studio attento e da una trasformazione dell’esistente. 2Da un genio personale così estroso. 3- o è una banalizzazione di qualche forma alla moda? Cioè sono tre cose completamente diverse che possono avere qualche similitudine estetica alla fine del processo di creazione di un’architettura ma solo ad una visione distratta posso tutte e tre costituire un’avanzamento. Nel primo caso c’è effettivamente un’avanzamento poiché è un paziente e meditato lavoro sul corpo dell’architettura per arrivare ad una nuova architettura. Il secondo è un vicolo cieco. Nel senso che un estro personale assoluto va benissimo, ma non contribuisce così tanto al discorso dell’architettura. Sebbene, sia ben chiaro, possa arrivare da solo a vette assolute. Quindi molto difficilmente usabile da altri. Il terzo caso non è neanche architettura, è spazzatura! Tanto di quello che ci hanno rifilato alcuni di questi che lei ha citato, che in altri casi hanno fatto grandi opere, non sono opere all’altezza del loro nome. Se lei prova a paragonare il museo Ebraico a Berlino e questo ciarpame che Libeskind ci ha rifilato a City Life sembrano fatti da persone diverse. Va bene che un museo non è una residenza, ma se fai un museo così non puoi fare una residenza così! È evidente che per fare queste residenze ha messo li qualcuno a farli per fare un po’ di cassa e tanti saluti. O la stessa Hadid che ha fatto comunque delle opere egregie, anche se non è poi tento nelle mie corde, però quello che ci ha fatto veder qui a Milano è proprio una banalizzazione di uno pseudo linguaggio contemporaneo alla moda di Archistar. Monestiroli dice che il razionalismo non è un periodo ma un modo di pensare
quindi non può essere superato. (ride) MMM E ma se viene abbandonato quel modo di pensare... LDE C’è chi ancora oggi porta avanti certi discorsi quindi non trarrei rispetto alla sua domanda delle separazioni così nette. Mi rendo conto che lei ha la sua età e ha bisogno di definire una cornice dentro alla quale muoversi, per è difficilmente sintetizzabile un secolo di architettura in così poco e quello che io non farei è parlare genericamente di decostruttivismo e del nuovo, e di un vecchio e di un razionalismo. Non è così. Quello che può essere molto utile è prendere certe opere e analizzarle, che è quello che bisognerebbe fare a scuola. Insieme ai corsi, o nei corsi di progettazione analizzare una serie di opere per far vedere cosa succede nella storia dell’architettura. Non vedendole però solo come nozioni, o date ma come strategie progettuali, modi di comporre un’architettura. Questo vedrà accumulerà tantissimi che a primo acchito le possano sembrare lontani, e avverrà perché alcuni hanno , trasgredendo quanto era stato fatto dai loro maestri, portato ad un avanzamento, un vero e proprio avanzamento. Non a una completa contestazione sterile, che però potrebbe essere geniale, intendiamoci. Non è che se c’è il razionalismo o il decostruttivismo dobbiamo accettare quanto ci passa oggi il mercato. Non è così. Dobbiamo pensare di trovare tra tutto quello che ci passa il mercato quali sono le cose buone e quali quelle criticabili; soprattutto cosa oggi porta a far sempre meno questi ragionamenti di meditato ragionamento, quindi trasgressione, ma meditata basata su un lungo percorso e una lunga pratica rispetto a un’immagine apparentemente vincente, brillante, fresca e chiamiamola internazionale. Questo si è un bel problema. Quindi come riuscire a portar avanti dei discorsi critici, anche di nicchia, resistendo a delle dinamiche che spostano molto l’architettura verso altre cose.
MMM | 108
Quindi non c’è decostruttivismo che tenga. È un altro il discorso: quanto conoscenza del passato hanno quelli che vogliono far avanzare l’architettura, e come pensano di usare il passato. Non come citazione, ma come trasgressione chi di davvero lo ha capito. Questo io intenderei, non c’è perciò un contrapposizione come da lei prospettato. MMM Ho compreso che lei dice che non si può ridurre tutta l’esperienza architettonica in due poli opposti, però più che altro io, basandomi sulle teorie di Monestiroli, sto contrapponendo i due modi di pensare che stanno dietro all’architettura razionalista e a quella che è venuta dopo. Il razionalismo in tutte le sue declinazioni era guidato da architetti che riconoscevano delle leggi della natura da riportare nella società. LDE Ma questo è opinabile. Può essere così ma può anche non essere così. Se lei pensa a tutta opera di Terragni, come la vede rispetto alla natura? Tutta l’astrazione di Terragni. MMM Bè l’astrazione la ricondurrei a quell’ambito. LDE A cosa? MMM La ricerca della verità attraverso l’astrazione. LDE E cosa ha a che vedere con la natura? MMM Non la natura intesa come naturalismo. Le Corbusier parlava di leggi naturali che governano l’universo. Questo tipo di natura. LDE E ma è lo stesso Le Corbusier da un lato definisce le 4 modalità del comporre che nulla hanno di naturale, e sono solo un modo di mettere insieme il telaio e i volumi. Poi dopo la guerra fa un grandissimo avanzamento con un discorso molto più plastico. La natura può trovarla dietro tutto quello che vuole ma per me con l’architettura non ha molto in comune. La natura non ha neanche questo spirito di ricerca di razionalità piuttosto di non so che
cosa... Secondo me l’architettura è fatta di altra architettura. Quindi se uno conosce le altre architetture sviluppa una capacità migliore di avere a che fare con l’architettura. E in questo processo non c’entra niente ne l’architettura ne una ricerca di ipotetici principi astratti. Quindi per parlare di astratto è più giusto parlare di rarefazione del segno, di un modo di composizione delle masse e dei volumi. Ma non è un qualcosa di metafisico trascendentale. È un qualcosa di molto pratico. MMM Si Le Corbusier però parla di queste cose però prende come esempio i telai delle macchine. Diceva che nell’ingegneria si arrivava all’essenza. LDE Si ma pensi che questo lo scriveva all’inizio del 900 quando doveva combattere contro l’accademia di Beaux Arts. Quindi lo diceva per quello. MMM No ma l’idea del razionalismo, come lei prima diceva, che non era uno stile ma un modo di pensare... LDE No, ho detto che lo diceva Monestiroli MMM Ok, lo diceva lui. Questa è l’impostazione che è rimasta per anni. LDE Ma non è che io più penso più mi viene fuori meglio l’architettura. Io non devo pensare, devo disegnare. Per questo io dico che è importante la conoscenza di quello che è stato. Quindi non è una ricerca di principi razionali. Il modo di riuscire a superare il precedente, l’innovazione quindi (che è un termine terribile), diciamo il nuovo in architettura, non è dovuto a una riflessione filosofico trascendentale sull’architettura ma alla conoscenza dell’architettura. Quindi in questo caso non c’è problema MMM Quindi lei non crede che ci sia un rapporto tra architettura e filosofia? Glielo chiedo perché dopo farò un’intervista al prof. Pierluigi Panza.
LDE C’è sicuramente un rapporto tra architettura e filosofia, nel senso che un’architetto può interessarsi di filosofia, ma la filosofia non darà nessuna risposta all’architettura. Al contrario, un filosofo può interessarsi di architettura ma come potrebbe questa farlo avanzare nella sua disciplina? Quindi è la stessa cosa, ogni scambio tra discipline può dare degli spunti e può aprire la mente, ma non può in nessun caso fare avanzare. Può semplicemente dare qualche spunto, ma uno per poter avanzare deve possedere la storia della sua disciplina. O avere un estro tale, innato, che gli permette per caso, di riuscire a farlo. Altrimenti non vedo grandi contrapposizioni tra i geni e i grandissimi architetti del razionalismo o del cosiddetto decostruzionismo. C’è un altro architetto che lei non ha citato, Eisenman, che ha attraversato l’opera di Terragni, quella di Le Corbusier e arriva alloggi cercando ancora di sovvertire l’una e l’altra, pur essendo un grande estimatore di una e dell’altra, e cercando persino di sovvertire ancora, lo di ce sempre, Alberti. Non vedo contrapposizioni dovute a diversi modi di pensare. MMM Vede un’evoluzione più continua dell’architettura? LDE Io vedo che certi architetti studiando e praticando l’architettura riescono a farla evolvere, altri riescono in maniera innata a farla evolvere, portando più che altro a vicoli ciechi, e la sera grande maggioranza non riesce in questo obbiettivo. Ma Questo non è conservatorismo. È solo il modo di trasgredire. Il modo di trasgredire deve essere basato su una profonda conoscenza. Ma poi cosa centra coi grattacieli tutto questo? (ride) MMM I grattacieli fanno parte dell’architettura quindi per parlare dei grattacielibisogna parlare anche di architettura. LDE Giusto! Va bene.
MMM | 109
INTERVISTA PROF. PIERLUIGI PANZA
MMM Considerando che ho seguito alcuni delle conferenze che ha tenuto nell’ultimo anno, come per esempio quella in occasione della presentazione della mostra Grattanuvole, in cui ha trattato il tema della verticalità del Duomo volevo chiederle: l’introduzione del Duomo di Milano, con la sua mole e le sue dimensioni eccezionali, in un contesto culturale come quello dell’epoca, ed in un contesto di tessuto cittadino medioevale, quale effetto deve aver avuto sui milanesi, sulla città stessa e sulla cultura? PP Secondo me ebbe dall’inizio un valore di tipo simbolico quello di costruire in altezza all’interno della città di Milano. Cioè Milano, Mediolanum, la città in mezzo alla pianura completamente coronata dalle montagne. Il simbolo di richiamo migliore per queste montagne che si vedono in lontananza era costruire una sorta di montagna all’interno di una città geograficamente piatta, all’interno di una pianura piatta. Per questo ha avuto da subito un forte valore simbolico l’idea di costruire una guglia in altezza, una guglia bianca poi, interamente di marmo di candoglia. Quindi credo che quando gli Arcivescovi nel 14° secolo incominciarono la costruzione della prima guglia, la guglia Carelli, con una sottoscrizione civica, si intese proprio dare un simbolo alla città. Questo simbolo era come costruire una montagna, o una vetta, all’interno di Milano che riprendesse anche nella forma le montagne che si vedevano a coronamento della città. Quindi credo che questo sia stato l’effetto agli occhi della popolazione. MMM Può ripetermi il nome della guglia che ha citato? PP Guglia Carelli. È una delle
MMM | 110
guglie nella zona dell’abside sulla sinistra. È stata una delle prime ad essere realizzata e la prima di grandezza rilevante. Perché poi la guglia centrale fu realizzata solo nel 18° secolo. Il primo progetto lo fece Francesco Merlo, ma venne approvato nel 1764 e realizzato conseguentemente il progetto di Francesco Croce. MMM A proposito della guglia maggiore. Ho letto la corrispondenza fra Croce e Paolo Frisi in cui veniva critica la guglia. Il testo, inizialmente anonimo, che poi si rivelò essere di Paolo Frisi e in cui criticava pesantemente la costruzione della guglia del Duomo, era scientificamente infondato, e probabilmente mosso da pregiudizi contro lo stile gotico. Ancora oggi si assistono a critiche sui nuovi grattacieli che potremmo dire appartenenti alla stessa categoria. Sia ben chiaro, ce ne sono alcune fondate e a cui bisogna prestare molta attenzione, ma quelle simili a quelle di Frisi secondo lei influenzano l’opinione pubblica e la realizzazione stessa dell’opera? Se si, come e in quale misura? PP Il primo dato importante da sottolineare è proprio quello che la costruzione in altezza è sempre stata accompagnata da una sorta di psicostoria della critica architettonica e dell’impressione popolare. Una psicostoria che vede in queste costruzioni in altezza qualcosa di pericoloso, di demoniaco... l’idea che sta alla base dell’inconscio collettivo è quella della torre di Babele: cioè l’idea che se si costruisce verso il cielo come sfida alla natura e alla divinità poi potrebbero esserci delle ripercussioni. Questa idea che la costruzione in altezza sia una sfida eccessiva alla natura e che quindi qualcosa possa accadere ha sempre accompagnato il commento delle costruzioni in altezza, anche a Milano e testimonianza ne sia appunto
09/12/2015 il dibattito che è sorto attorno alla costruzione della guglia maggiore a proposito della quale, alcuni dei maggiori matematici dell’epoca, come Paolo Frisi e Ruggero Boscovich, espressero pareri di grande preoccupazione. Trasmisero grande paura, soprattutto sulla possibilità che i terremoti causassero dei danni, ma anche per il timore verso danni causati da fulmini o che la guglia non dovessero reggere. Questo è un motivo psicologico. Più che riconducibile alla storia dell’architettura è riconducibile alla storia della psicologia. È presente ancora tutt’oggi questo aspetto e direi che anzi, dopo le vicende dell’11 settembre a New York questa psico-storia si è maggiormente diffusa. Il costruire in altezza è diventato di nuovo un tabù perché è vista come una sfida eccessiva che espone al pericolo. MMM Torniamo un attimo all’argomento precedente: per un cittadino dell’epoca, camminare per gli stretti vicoli della città medievale e ritrovarsi di colpo davanti la grandissima costruzione che era il Duomo genera secondo lei la stessa reazione che oggi possiamo provare noi trovandoci davanti un grattacielo a Milano? Le ricordo un passaggio dei ‘Promessi Sposi’: Renzo giunge in vista della sagoma del duomo e si ferma ad ammirarla da lontano, vedendola con grande stupore per la prima volta (l’autore definisce l’edificio come “ottava meraviglia” e indica che esso sembra sorgere in mezzo a un deserto, poiché svetta isolato verso il cielo). PP Diciamo che i grandi grattacieli, anche milanesi, dell’epoca post-moderna, o meglio del decostruttivismo, con la loro indifferenza al contesto hanno fatto si che sia rinata una sorta di città fatta anche di scorci improvvisi. Questo era tipico della città medievale,
era scomparso con la città ideale del Rinascimento e poi con la città razionale del 700, ancor di più nell’800 con l’introduzione dei grandi viali borghesi. Invece col decostruttivismo è prepotentemente riemerso. Quindi un piccolo parallelo lo si può instituire. Non tanto dal punto di vista della storia dell’urbanistica, perché nel medioevo siamo in assenza di pianificazione mentre questi nasco all’interno di strategie di piano, per quanto molto lasche. Però è vero che è rinata una città che si può osservare per scorci successivi, con grandi sorprese. MMM Non crede che il Duomo, la torre del filarete, i campanile delle chiese, siano stati visti al tempo allo stesso modo in cui sono visti i grattacieli oggi? Che sono i grattacieli di ieri? PP I grattacieli veri e propri no. La torre del Filarete così come la vediamo oggi è un falso perché costruita da Beltrami nel 1900. Però li la torre aveva una funzione di osservatorio quella torre, un po’ celebrativa un po’ di osservazione. Il Duomo aveva una forte funzione simbolica. Differentemente i grattacieli che nascono oggi nascono soprattutto per esigenze di carattere economico cioè: il costo del suolo è tale che la costruzione in altezza consente un forte risparmio. Quindi non è la stessa cosa perché nel passato l’altezza aveva un contenuto simbolico molto forte che oggi invece ha smarrito in favore, secondo me, di una dimensione esclusivamente di carattere finanziario. Devo dire però che almeno un pizzico di questa simbolicità resta perché nel bando di concorso per City Life il forte carattere simbolico era richiesto. Quindi si voleva un po’ recuperare questa componente storica per evitare che la costruzione in altezza oggi risulti frutto esclusivamente della speculazione. Ciò nonostante mi è parso un tentativo un po’ abortito perché dei tre ne hanno costruito soltanto uno. MMM Hanno sicuramente un
MMM | 111
carattere economico però vengono anche spesso usati dalle aziende che li commissionano come simbolo sul territorio. PP Beh si, che siano un simbolo fallico di potere è un’idea molto vecchia alla quale oggi si abbina un aspetto molto pratico, e cioè quello di poter fare pubblicità a quota elevata per rendere visibile il marchio da tutta la città. Certo la costruzione in altezza resta simbolo di opulenza in qualche modo e così come nel Medioevo le chiese volevano trasmettere il potere della chiesa, le torri la forza della signoria oggi è vero che il mondo della finanza riconosce ancora nel grattacielo uno specchio della propria forza. Esempi ne erano le Torri Gemelle, non a caso i terroristi hanno colpito volontariamente quel tipo di simbolo. Conserva un valore simbolico poiché il motore del capitalismo avanzato è il mondo della finanza è chiaro che è la finanza ha intrattenere più rapporti con questa tipologia. MMM È successo più volte nella storia che architettura attingesse ispirazione dalla pittura, esiste lo stesso rapporto con la filosofia? PP Questo è proprio il mio campo di studi. Io non ho quasi mai riscontrato una sorta di causalismo perfetto. Cioè a una sorta di pensiero filosofico segue una determinata espressione di carattere architettonico perché ciò sarebbe possibile se l’architettura fosse semplicemente il linguaggio espressivo teso a rappresentare dei contenuti dei caratteri conoscitivi o almeno interpretativi. L’architettura invece è si anche un linguaggio espressivo, ma oltre a questo è tante altre cose: una risposta di tipo sociale, fornire un luogo adatto per un fine richiesto, inerisce componenti economiche, spaziali... per cui non c’è un determinismo tra pensiero filosofico e soluzioni architettoniche. Qualche volta come nel caso del post-moderno o del decostruttivismo diciamo che l’architettura ha colto quello che si chiamo lo Zeitgeist, cioè lo spiri del
tempo, e quindi lo spirito del tempo è così forte che investe tutti i fenomeni della vita: dall’architettura alla cucina al modo di vestirsi... In questo caso dunque anche l’architettura intercetta quello che la filosofia sintetizza come Zeitgeist del periodo. Questo avviene e può essere letto a posteriore dai critici e dagli osservatori, mentre non credo che ci sia un determinismo a priori. Detto banalmente: nasce una nuova corrente filosofica e come conseguenza ne avremo anche una architettonica. Questo no. Sarebbe troppo semplice e banale. MMM Questo cogliere lo Zeitgeist potrebbe essere interpretato anche come l’adottamento di una moda o è qualcosa che ha anche fare con valori non così passeggeri riscontrabili nella società? PP L’architettura è specchio della società in cui nasce. Le condizioni sociali e contestuali la determinano. Cioè ne determinano la sua nascita e il suo sviluppo. Dopo di che nei casi migliori, o nei casi particolari l’architetto può attraverso la sua opera cioè la costruzione di una architettar, diventare anche critico della società in cui quell’architettura è nata. Cioè attraverso la sua opera mostrare i limiti, le prospettive di questa società e quindi non essere semplicemente la sua opera, espressione dei contenuti della società ma anche critica aggiuntiva. Questo secondo aspetto secondo è molto particolare, molto limitato e estremamente difficile. Più in generale è semplicemente specchio dei contenuti della società che la determinano e cdi cui diventa espressione nei suoi casi migliori. Questo non è una moda perché sta nel destino dell’architettura stessa. nei suoi casi peggiori, cioè quando si trasforma in manierismo si innesca un meccanismo di architettura alla moda, di riproposizione di un lingua alla moda. Questo è un aspetto degenerativo. In conclusione io credo che sia espressione della società in cui si sviluppa, dopo di che, nei sui aspetti migliori riesce ad essere anche
una critica, nei suoi aspetti peggiori si trasforma in manierismo, ovvero in ri-esecuzine alla moda di qualcosa che sembra funzionare per trovare consenso negli studenti, nei giornalisti e nei media. Il consenso è ovviamente importante perché adesso è connessa anche la capacità di coagulare denaro che è l’elemento necessario per far si che si sviluppino le cose. MMM A mio avviso l’architettura decostruttivista odierna non ha molti punti in comune con la filosofia omonima, tanto che lo stesso Derrida ne ha preso le distanze. L’architettura decostruttivista non è solamente decostruzione del senso, come doveva essere per Derrida, ma si è fusa con la cultura pop dell’immagine. Scusi quella che potrebbe sembrare una domanda stupida: allora perché si chiama ancora così? Quel che voglio dire è che se essa è mutata e si è contaminata, la critica, o gli architetti stessi non dovrebbero darle un nome nuovo, e creare così un nuovo movimento? PP I due aspetti che maggiormente la avvicinano è il fatto che Derrida ha scritto anche dei saggi sull’architettura e ha partecipato alla progettazione del Parc de la Villette con Bernard Tschumi. Il secondo aspetto è il fatto che al MoMA venne organizzata quella mostra che radunava architetti decostruzionisti, così come negli anni precedenti il MoMA aveva lanciato l’Intenational Style, quindi secondo un meccanismo ricorrente. Dopo di che la domanda è, simile a quella di prima: c’è un determinismo perfetto tra quello che è il decostruttivismo in filosofia ed in architettura? No non c’è ovviamente un determinismo perfetto però alcuni aspetti non è vero che manchino e provo a fare qualche esempio, riprendendo anche un saggio di Derrida. In filosofia i decostruttivismo vuol dire decostruire tutti gli impalcati della logica classica, come il principio di non contraddizione aristotelica, l’idea che la filosofia stessa si basi sul linguaggio, idea tipicamente
MMM | 112
platonica, e arrivare a una specie di origine in cui la parola è un mero flusso. Secondo Derrida, così come lo esprime in un saggio che i intitola ‘De la grammatologie’, bisogna fare un cammino all’indietro per trovare questa scaturigine delle cose e da li ricominciare. È solo un’ipotesi di percorso il decostruzionismo in filosofia. In architettura però qualche parallelo c’è stato: l’abbandono della simmetria, l’idea di costruire fuori asse, l’idea di non rapportarsi al contesto, l’idea di giustapporre nuovo e antico in maniera molto disinvolta senza connessione. Questi tentativi possono essere letti come un lavoro critico sull’architettura che cerca di vedere come i suoi postulati vitruviani di simmetria, euritmia, rispetto per le distanze... non siano l’unica strada attraverso la quale l’architettura può esprimersi e attraverso la quale l’architettura può rispondere ai suoi fini. Che ci siano riusciti o no, questo è dubbio, e credo che sia una stagione passeggera.
avevano sperimentato questo tipo di decostruttivismo che però rimane sempre una scomposizione verticale o orizzontale. Difficile leggere in Terragni l’anticipazione di altre ricerche contemporanee nell’area decostruttivista in cui il lavoro ha molto più a che fare con soluzioni organiche. Frank Gehry non è di certo un epigono di Terragni.
MMM Sempre a proposito del decostruttivismo, durante una conferenza Purini esprime una teoria, poi raccolta in un libro, secondo cui ci sarebbero numerosi esempi decostruttivisti nell’azione degli architetti italiani comunemente ritenuti razionalisti. Quello che più mi ha colpito è stato l’esempio di Terragni e della sua casa del fascio a Como. Purini dice che la casa del fascio è un esempio anti litteram di decostruttivismo. PP È una lettura corretta, però secondo me, Terragni anticipa solamente il decostruttivismo di Peter Eisenman e al massimo quello della Hadid, cioè anticipa le forme in cui, quella che era chiamata da Bruno Zevi ‘la scatola abitativa’ viene esplosa e le sue lastre fatte slittare. Proprio come le architetture di Eisenman in cui le parti delle sue opere fuoriescono, vengono fatte slittare, ci sono dei setti inseriti; i quindi in qualche modo si può dire che Terragni ed altri maestri del razionalismo
MMM Lo storto di Zaha Hadid lo ritiene una vera architettura decostruttivista? Ha dei pilastri inclinati che vanno contro il senso comune di vedere un’opera con elementi verticali e orizzontali, il vecchio sistema trilitico. PP Ma lo costruiscono?
MMM È quindi una ricerca che rimane all’interno del razionalismo quella di Terragni? PP Io credo che ci siano architetti come Eisenman che deostruiscono il movimento moderno. Allora è chiaro che Terragni è anticipatore di questo tipo di ricerca espressiva, Ci sono altri architetti decostruzionisti come Gehry, o altri, che non hanno come obbiettivo la decontrazione del razionalismo ma partono piuttosto da forme organiche che piegano e reinterpretano. In questo caso il razionalismo non è un precursore di questo tipo di lavoro.
MMM Si sono già a metà quasi. Il dritto di Isozaki è finito, lo storto di Hadid sono a metà mentre quello di Libeskind, il curvo sono alle fondamenta. PP Rientra nel discorso che abbiamo fatto prima in quanto tenda di dimostrare che i postulati dell’architettura, quindi la capanna primitiva di Lauger )elemento verticale, elemento orizzontale e timpano) non sono gli unici secondo i quali può essere costruita un’architettura. Quindi da questo punto di vista, secondo me, almeno in termini rappresentativi risponderei affermativamente. Questi tre edifici invece nel loro complesso sono espressione di una fase un po’ stata, un po’ di manierismo di questa
forma espressiva. L’Italia è approdata un po’ tardi a questo tipo di linguaggio, e come sempre quando approdi tardi poi fai le cose un po’ in fretta e un po’ raffazzonate. Molti degli architetti stranieri non hanno prodotto qui i loro migliori progetti per un motivo anche molto semplice: in Italia non sai mai se arriverai a costruire, per cui nessuno di loro si impegna strenuamente in fase progettuale. Questi grattacieli sono frutto, escludendo quello di Isozaki che è molto tradizionale, di un manierismo decostruttivo. MMM Quello di Isosaki non mi sembra decostruttivista. PP No. Quello di isozaki è un tipico grattacielo International Style. Un’architettura direi globalista che si trova in tutti i paesi del mondo. È quindi anche questa espressione della società che la genera perché ci siamo affacciati, più o meno criticamente, al globalismo e al mondialismo attraverso la rete, il mondo digitale, alla finanza internazionale, lo scambio mondiale, la banca mondiale... l’architettura, come già nel periodo dell’International Style è tornata anche a esprimere forme che si trovano indifferentemente in tutto il mondo. Questo è possibile perché sono edifici ad alta tecnologia che funzionano ad aria condizionata e se li metti a Singapore o sul Cervino stanno più o meno allo stesso modo. Questa è un traguardo raggiunto per l’architettura? Non lo so però vorrei sottolineare che tutti coloro che si oppongono all’identità, al localismo, al genius loci in favore delle magnifiche sorti progressive del globalismo e della rete accettino serenamente questo tipo di architettura perché è espressione di quel tipo di mondo desiderato. Un mondo tutto uguale, pseudo-democratico di cui queste sono le espressioni architettoniche. MMM Un ultima domanda. Non era previsto che la facessi anche a lei ma siccome l’ho appena fatta al Prof. Degli Esposti vorrei sentire anche il suo parere. Ho letto dei libri di A. Monestiroli, ex preside del Politecnico,
MMM | 113
in cui indicava l’era razionalista, non parlo delle stanche riproposizioni manieristiche ma proprio dei maestri quali Le Corbusier, Mies van Der Rohe, Gropius... come una modalità, un’idea di affrontare il progetto, più che uno stile. Quest’idea secondo Monestiroli era un’idea trascendente che puntava a modificare la società basandosi su delle leggi universali che governano l’universo. In base a queste leggi il razionalismo, coi suoi grandi interventi tecnici, cercava di migliorare la città e il mondo. A questa fase si è contrapposta quella che viviamo oggi. Cioè una fase di architettura che non crede più in queste leggi trascendentali, che non prova più a migliorare la società ma che lo rappresenta solamente. Argan in un’articolo su Zodiac... PP Si a questo possiamo già rispondere. Si questo è vero e in parte lo abbiamo detto. Il movimento moderno si inseriva in uno Zeitgeist in cui c’era un tipo di fiducia illuministica che si credeva potesse contribuire, attraverso l’architettura e l’urbanistica, a mutare il mondo mutando le condizioni della società; cioè le condizioni di vita dei singoli individui migliorandole, offrendo loro per esempio una casa dignitosa, uno spazio minio studiato in relazione alle esigenze dell’individuo e della famiglia. L’origine del movimento moderno è poi in parte anche costruire delle abitazioni razionali al fine di migliorare le condizioni igienico sanitarie di vita degli individui allungandone la vita e migliorandone la felicità nella vita quotidiana. Oggi non c’è più tutto questo in architettura. Ma non è che non c’è più tutto questo solo in architettura, non c’è più nello Zeitgeist del nostro tempo. Nessuno pensa seriamente che la politica avrà nell’immediato la possibilità di migliorare la vita umana. È gia tanto se può gestirla in maniera leale e in qualche modo sensata. Nessuno si affida più alla cultura come elemento d riscatto e promozione sociale, ovvero come strumento utilizzato da un individuo che nasce in una famiglia
povera o poco abbiente, per migliorare la sua condizione in seno alla società. Tutto questo è venuto meno entrando in una fase di forte relativismo. Adesso sarebbe complicato stare ad elencare tutte le cause. Solo l’ottusità degli architetti li induce a pensare che sia la loro disciplina ad aver fatto un passo indietro. Non è solo la loro disciplina. L’architettura conta assai poco nelle dinamiche economiche mondiali. Queste dinamiche sono controllate da altri centri di potere e con altre finalità, rispetto a quelle del movimento moderno, e l’architettura quindi non è più centrale. È centrale favorire l’immigrazione per abbassare il costo del lavoro, favorire la diffusione della rete per un controllo globale degli individui... L’architettura è un elemento sul quale non si punta ed è gia tanto quando è rimasta espressione della società che la produce.
INTERVISTA PROF. LUIGI SPINELLI Con lei vorrei trattare il periodo seguente alla Prima Guerra Mondiale. Le idee di Le Corbusier ebbero molta fortuna a Milano, Monestiroli direbbe perché trovano qui un pregresso razionalista particolarmente fertile e compatibile con l’idea del maestro Svizzero. Cosa ne pensa? LS Sicuramente, perché il primo nucleo razionalista che portava in Italia le idee di Le Corbusier era declinato su Milano e su Como. Quindi a Milano abbiamo Figini e Pollini, abbiamo Bottoni, professionisti che sono direttamente in contattato con il maestro Svizzero attraverso gli scampi epistolari. L’edificio più paradigmatico dei cinque punti di Le Corbusier è la villa di Figini al villaggio dei giornalisti. MMM
La costruzione di palazzo INA, di palazzo Argentina, delle case-albergo di Moretti e del progetto Milano verde presentano, e tentarono di inserire una novità nello scenario architettonico milanese. Le idee su cui si basavano erano molto Lecorbuseriane e includevano una concezione di natura, democrazia e società ideale. Quale fu la reazione della società milanese? LS Milano era un terreno fertile per le ricerche e le proposte di questi architetti razionalisti. Dal punto di vista del modo di pensare tradizionale portarono delle soluzioni nuove. La Milano verde presupponeva di trasformare di radere al suolo, come i progetti di Le Corbusier su Parigi, gran parte della zona Nord- Ovest di Milano. Palazzo INA e palazzo MMM
MMM | 114
Argentina sono due realizzazioni che vengono molto dopo, negli anni 50. Palazzo INA non è altro che la riproposizione di una delle stecche di Milano verde ipotizzate da Bottoni. La distanza di tempo che intercorre tra la proposta urbanistica e il palazzo fa capire come all’inizio non ebbero attecchito queste idee. Diciamo che erano ciste con un certo scetticismo da parte della società borghese milanese. Un esempio per tutti: la casa Rustici di Terragni e Lingeri è stata chiamata la gabbia del merlo. Questo nel modo comune di pensare della gente indicava un certo spregio. Un po’ come è avvenuto oggi ci grattacieli di City Life che sono stati rinominati: il dritto, lo storto e il curvo. LS Si infatti. MMM
Sappiamo che durante la seconda guerra mondiale Milano fu pesantemente bombardata e molto di quello che oggi chiamiamo centro storico fu distrutto. L’azione di ricostruzione fu poderosa e conserva tuttora dei capolavori architettonici che andrebbero maggiormente studiati. Architetti che oggi annoveriamo come modernissimi costruirono architetture rivoluzionarie in un contesto che oggi renderemmo a preservare immutato poiché protetto dal nome di: preesistenza ambientale. Fra questi capolavori ci sono anche alcuni dei grattacieli sopra citati. All’epoca come si viveva il rapporto con il passato. Non pensa che l’eccessiva protezione dei centri storici di oggi MMM
16/12/2015 li abbia resi dei luoghi morti? Se all’epoca ci fosse stata questa concezione quanti capolavori avremmo perso? Lo stesso Rogers, considerato uno dei fondatori di questa corrente, coi BBPR ha costruito un grattacielo in pieno centro storico, a due passi dal Duomo. LS Io credo che su questo tema non si possa generalizzare. Nel senso che ci sono stati sicuramente degli interventi coraggiosi, anche perché in quel periodo c’era l’urgenza di trasformare zone bombardate e si costruiva in precario attraverso scorciatoie del piano regolatore. In precario hanno costui per esempio il palazzo di Moretti in corso Italia. Per tanti anni non ha avuto l’abitabilità perché non aveva le altezze nette necessarie. Poi dico che non si può generalizzare perché ci sono atteggiamenti diversi. Quello dei BBPR con la torre Velasca è quello della contestualizzazione dell’opera all’interno della città. A due passi c’è l’intervento di Moretti che non si preoccupa più di tanto dell’intervento ambientale ma propone delle immagini nove. Moretti è più indirizzato verso la costruzione di un frammento di città; e un frammento di città all’interno del centro storico o cerca di stabilire delle connessioni con quello che gia c’è diventa un episodio molto isolato. In zone non storiche e meno rappresentative, Ponti può costruire nello stesso anno della Velasca il grattacielo Pirelli. Abbiamo quindi quasi dei prototipi dei diversi possibili atteggiamenti.
Quale era il rapporto col passato negli anni 50? LS Era un momento di dibattito. Ci si schierava su posizioni opposte. Rogers coi BBPR aveva un’atteggiamento differente da quello di Moretti che puntava ad un panorama internazionale, nonostante conoscesse bene il barocco. Non dico che la visione dei BBPR non fosse internazionale ma avevano un’attenzione maggiore nel contesto in cui progettavano. MMM
L’assetto a quinta delle case sopra citate giunge alla sua ultima realizzazione a Milano, e contemporaneamente al suo punto più alto nella nella casa di viale Italia. Qui è dove però questa tipologia trova anche la maggiore rielaborazione progettuale fin ad essere perfettamente integrata nel tessuto medievale con cui però, paradossalmente costituisce una anomalia e una negazione. Non trova che qui, e prima ancora in casa Argentina la rielaborazione critica di questa tipologia estera (Le Corbusier) costituisce un regionalismo anti litteram congenito nel razionalismo? Che poi è la stessa sensazione che si ha leggendo li pensiero razionalista di Rogers riguardo la torre Velasca? LS Certamente. In questa situazione particolare cera un giardino storico che lui doveva mantenere: il giardino Valeri. Quindi lui invece di chiudere la cortina costruisce una strada, che non è uno sventramento ma una strada d andamento a baionetta rimanendo quindi alla stessa scala delle vie del tessuto circostante. Costruisce praticamente un pezzo di tessuto circostante. La ricchezza di questo pezzo di tessuto risiede MMM
MMM | 115
nella qualità dello spazio fra gli edifici e dai percorsi, perché cerca di ripresentare l’articolazione della città storica. Ogni edificio preso da solo ha una precisa idea tipologica data dall’orientamento, dalla funzione... Alcuni elementi contribuiscono ancora maggiormente a contestualizzare l’intervento. La testa a Sud dell’edificio 48,che è una grande quinta, dove ci sono i soggiorni, si muove a cercare l’orientamento migliore. Il taglio he lui fa sia nelle case albergo sia in corso Italia lavora per rendere meno di impatto la dimensione di queste grandi facciate. Come anche il taglio sul lato corto, per modellare meglio il volume. Questi tagli si legano anche al tema del chiaro scuro, su cui lui scrive ance dei saggi sulla rivista ‘Spazio’. Non crede quindi che questa attenzione ad adattarsi al luogo in cui si manifesta un edificio sia una caratteristica del movimento razionalista? Cioè anche Le Corbusier che costruisce le sue famose ville bianche a Parigi poi quando va in India si adatta al luogo e al clima. Così Bottoni e Moretti, che prendono molto ispirazione dalle ville del maestro, con tutto quel bianco e volumi puri, quando costruiscono a Milano tentano di adattarsi alla società e alle esigenze di Milano. LS C’è sicuramente un’attenzione dal punto di vista di questi personaggi dell’architettura milanese proprio perché sono radicati al luogo. Io ad esempio citerei anche Lingeri perché usa forme Lecorbuseriane, in modo anche smaccato, traducendole però infine all’interno dei materiali e del contesto. Quando Terragni e Lingeri costruiscono le loro 5 MMM
case milanesi, che sono: la casa Rustici, la casa Levizzari, la casa Ghiringhelli, la casa Rustici Comogli e la Tolinello. Sono cinque case fatte nel giro du due anni. Pur adottando un linguaggio comune, quello appunto di riferimento del movimento moderno, in ogni situazione adattano le architetture alle esigenze diverse. Quindi questa è un’attenzione al contesto. Spostandoci ai giorni d’oggi, cosa pensa di questi nuovi interventi che stanno cambiando così tanto la fisionomia di Milano? LS Mi sembra prima di tutto che la città, dopo tanti anni sia finalmente ripartita cercando di riacquistare una dimensione internazionale. Li trovo abbastanza slegati da un disegno coerente di trasformazione della città, fatto però che per me è dovuto alla motivazione che sono progetti di ormai alcuni anni fa. Alcuni sono edifici che erano previsti nel centro direzionale, negli anni 50, e che hanno visto realizzazione solo oggi. Un edificio che per esempio auspico che al più presto venga recuperato, e che cedo che sia uno dei più belli e dei più moderni è la torre Galfa. MMM
C’è un progetto dell’Unipol per la sua riqualifica. LS Speriamo. Speriamo sopratutto che mantengano i caratteri peculiari dell’opera. MMM
Mi pare comunque di capire che ci sian parere negativo su queste nuove realizzazioni. LS No non è negativo. L’edificio in altezza secondo me è una tipologia molto interessante quindi non sono tra quelli che giudicano negativamente a priori MMM
questa categoria. L’unica cosa è che vedo uno scoordinamento nello skyline di Milano. Se andiamo a vedere alcuni centri direzionali si nota come ci sia stata un’idea di fondo che ha guidato tutti i progetti. Il problema sono gli slittamenti temporali fra ideazione di un progetto e la sua realizzazione. Si riferisce al fatto che l’area di Porta Nuova è un’intervento che si cerca di attuare ormai da metà secolo? LS MI riferisco al fatto che mi ricordo di aver partecipato con Cino Zucchi al concorso di Garibaldi- Repubblica ormai vent’anni fa. Quello poi vinto da Nicolini. Poi da li ci sono stai tutta una serie di cambiamenti. MMM
Però il progetto di Cesar Pelli è recente. LS Il progetto di Pelli, se devo giudicarlo come intervento in sé è uno degli edifici che c’entra meno con Milano per il suo modo di porsi col tessuto edilizio e per i riferimenti tipologici adottati... Non è il riproporre la guglia, perché c’è la guglia del duomo, che lo rende milanese, comeho letto da certe parti. MMM
Visto che ha citato il centro direzionale perché non ha trovato piena realizzazione? LS Vi sono stati realizzati gli uffici tecnici del comune di Milano di Gandolfi, poi è stata fatta la torre Galfa e altri. Rispetto al fatto di concentrare li tutti gli edifici in altezza, ne sono stati realizzati talmente pochi che l’idea non ha avuto la chiarezza che aveva in origine. MMM
Per quale ragione secondo lei? MMM
MMM | 116
Sono semplicemente programmi che non trovano compimento. Da una parte no c’era ancora la cultura dell’edificio alto, dall’altra sono mancate le forze per concentrare in un luogo molti grattacieli. Per esempio un edificio come la torre di Porta Romana è un’episodio che ha una sua storia, in quel punto della città però perde di significato perché è isolato. LS
Ha appena detto che non c’era la cultura dell’edificio alto, eppure di esempi ce ne erano molti. LS Ma sono del esempi di proposta. Anche l’edifico di Bottoni in corso Buenos Aires era molto più interessante e più snello, poi è stato modificato dagli interessi. Nel mio scritto sul libro ‘Grattanuvole’ cercavo soprattutto di parlare dell’edificio alto inteso come elemento di proposta di una nuova modernità all’ingresso in città. Quindi c’è il model Agip di Vaccigalupo e Ratti a Metropoli che si incontra arrivando dalla via Emilia e della nuova autostrada del Sole negli anni 60. C’è l’edificio di Albertino Rodi Bottoni quando si arriva dalla Milano Laghi. C’è anche la lama di Bottoni in corso Sempione. Sono tutti tentativi di dare un’immagine di città moderna che però rimane solamente episodica. Sembra che si annunci una città moderna ma poi all’interno questa trasformazione non è presente. Sono episodi concepiti in un tempo e uno spazio talmente dilatati che hanno perso la loro forza. MMM
Ho letto qualche tempo fa di una, non so se era effettivamente una proposta o una teoria. Se si vanno vedere le porte di Milano si trova in loro MMM
corrispondenza molti grattacieli. Quasi si volesse andare a segnare l’ingresso in città. LS Si è una cosa che è avvenuta anche in altre città, per esempio a Parigi. Si individuavano aree, che avessero anche degli indici edificatori adeguati, per posizionarvici dei simboli, dei landmark. Però su Milano non credo ci sia stata un’idea del genere. Un’idea simile c’è stata per le case-albergo di Moretti che inizialmente dovevano essere 22 e dovevano essere collocate in punti strategici su una cintura attorno al centro storico. Ne sono state realizzate solo 3, quindi anche in questo caso o vediamo un programma ad ampia scala che non viene attuato totalmente. Per le resistenze della società o per cos’altro? LS In questo caso il problema è stato che i costi sono lievitati improvvisamente. A questo proposito sarebbe interessante trovare un disegno, che io non ho mai trovato, della disposizione delle case- albergo attorno a Milano. MMM
Curiosamente la casaalbergo più alta è quella più centrale. Non è quasi un paradosso visto con gli occhi di oggi? LS Infatti è l’edificio che ha generato più scandalo. Molti interventi sul Corriere della Sera (si tratta quindi dell’opinione comune) lo criticano. Mentre un paio di interventi su Domus lo celebrano (e qui parliamo degli interessati del settore). Però molti ragionamenti sull’altezza sono dettati anche dal piano regolatore. MMM
Abbiamo parlato di Porta Nuova, invece per quanto riguarda City Life? MMM
Li trovo molto slegati dal contesto urbano. Mentre Porta Nuova bene o male si inserisce dal punto di vista del funzionamento col contesto urbano City Life sembra terra di frontiera. Forse perché noi siam abituati a girare attorno alla vecchia fiera e quindi è difficile entrare ed attraversare la zona. Poi non esiste la milanesità degli interventi perché sono tutti marchi dove riconosciamo benissimo il modo di lavorare di architetti diversi. Osservare ad esempio adesso le case di Zaha Hadid di fronte alla palazzina di via Euripide di Asnago e Vender vediamo proprio la differenza tra la milanesità di alcuni edifici moderni e questi interventi contemporanei. LS
Non trova una certa somiglianza tra queste residenze della Hadid e l’edificio di Moretti in corso Italia? LS Questo ti dice l’internazionalità e la sperimentazione di Moretti. Lui lavorava già ad un livello internazionale.Po valere anche il discorso opposto. Moretti uno dei più conosciuti architetti italiani all’estero. Assago e Vender e Moretti sono quasi più conosciuti dai grandi architetti stranieri come Eisenman e Ghery piuttosto che in Italia. MMM
C’è un’articolo di Ponti su Domus ce parla del rustico in architettura. Non pensa che Bosco Verticale sarebbe stato meglio al rustico? LS Bosco Verticale a me non dispiace. Ho sentito delle cose sulla sua gestione che sono un po’ strane. Rispetto a questa domanda, la finitura molto bianca e molto artificiale dei balconi secondo me è troppo forte. MMM
MMM | 117
Come Bosco Verticale, anche la torre Solaria e Aria sono fatte con lo stesso rivestimento di colore nero. Tutti criticano il grattacielo di Pelli per l’utilizzo del vetro e nessuno critica queste, che a mio avviso sono delle macchie nere totalmente slegate dal contesto. LS Mi ricordano due edifici, non molto alti devo dire, ma comunque di quella tipologia, che si trovano sullo ex-scalo scalo di porta Romana fatti da Massimiliano Fuksas che sono neri e sono molto interessanti. MMM
Quindi non ritiene che questo colore nero sia slegato? LS Non è un fatto di colore. È molto più banale quell’International Style di Pelli. MMM
A proposito delle torri di Fuksas. Esse erano inserite come grattacielinel libro ‘Grattanuvole’. Lei li considera effettivamente grattacieli? Non sono un po’ bassi? LS Sono bassi però se li paragoniamo agli altri edifici di Milano... Per anni la torre Pirelli, che è alta 137m è stata l’architettura più alta della città. Devo dire che fino ad un certo punto c’era anche il pensiero di non dover superare il Duomo. Il Cardinale Schuster non voleva che si superasse in altezza la Madonnina del Duomo.Per un significato simbolico. MMM
Sono solo 51m. Io sinceramente gli ho esclusi dal mio elenco di grattacieli. LS Forse è meglio considerarli come edifici alti, anche perché la tipologia è quella. E li trovo una delle realizzazioni più interessanti degli ultimi anni. MMM
MMM | 118
DOMUS E LA CITTÀ VERTICALE
MMM | 119
DOMUS E LA CITTÀ VERTICALE Questa ultima appendice del lavoro di tesi è una delle più importanti. Essa consite nel sistematico spoglio della rivista Domus volto a organizzare in tabelle i dati raccolti in seguito la ricerca e l’elencazione degli articoli riguardanti i grattacieli.
MMM | 120
gennaio
febbraio
1946
marzo
aprile
maggio
1
giugno
luglio
agosto
settembre
ottobre
novembre
dicembre
1
1
1
1947 1948
2
1
1
1949
1
1950 1951
1
1
1
1952 1953
1
2 1
1 1
1954
1
1955
1
1956
1
1
1957 1958
2
1959
1
1960 1961
1
1
1962 1963
1 1
1
1
2
1
1
1 1
1964
1 1
1
1
1
1965
1
1966 1967
1
1968 1969
1 1
1
1970 1971
1 1
1
1
1
1
1972 1973
1
1
1974
1
1975
1
1976
1
1
1977
1
1978
1
1979
1
1980
1
1981 1982
1
1 1
1983
1
1
1 2
1984
1
1985
1
1986
1
1987
1
1 1
1988 1989 1990 1991 1992
1
1993 1994 1995
1
1996 1997 1998
1 1
1
1999 2000
1
2001
2
4
2002 2003
1 1
1
2004
1
2005
1
2006 2007 2008
1
MMM | 121
1
2009 2010
1
1 1
1
COLORE
MMM | 122 DOMUS DOMUS DOMUS DOMUS DOMUS
I nuovi grattacieli di Chicago Il “termine” del grattacielo Osservazioni su una architettura Architettura spontanea
18 19 20 21
DOMUS
Monumenti di ieri e di oggi
15 DOMUS
DOMUS
La Triennale nel suo quartiere sperimentale Q.T.8
14
Favola Americana
DOMUS
Due edifici di Frank Lloyd Wright
13
America spontanea
DOMUS
Una antica villa a Palermo
12
17
DOMUS
Spettacolo del mondo, dalle riviste
11
16
DOMUS
10
DOMUS
Dove far andare l’architettura
8 DOMUS
DOMUS
Per un’altra maniera di abitare
7
Paesaggio urbano
DOMUS
Brasile - da Le Corbusier architetto allo “stile Le Corbusier”
6
Un nuovo albergo a Milano
DOMUS
Folklore, non architettura
5
9
DOMUS
4
Cervinia Centro sportivo in verticale “Quota 2600” Gli sciatori stessi con la loro adesione debbono contribuire alla realizzazione di questi centri sportivi ideali per essi.
DOMUS
2
3
DOMUS
Facciate secondo l’orientamento Una costruzione di oggi a Cervinia, che deve entusiasmare tutti gli sciatori.
- Villaggio in verticale a
DOMUS
Una casa verticale
1
RIVISTA
TITOLO
NUMERAZIO NE
292
285
278
275
272
272
264 - 265
263
257
254
251
248 - 249
243
239
238
229
227
226
226
210
206
NUMERO
3 - 1954
8 - 1953
1 - 1953
11 - 1952
7 / 8 - 1953
7 / 8 - 1952
12 - 1951
11 - 1951
4 - 1951
1 - 1951
10 - 1950
7 / 8 - 1950
2 - 1950
10 - 1949
7 / 8 - 1949
7 / 8 - 1948
3 / 4 - 1948
1 / 2 - 1948
1 - 1948
6 - 1946
2 - 1946
DATA
5
7
10
1
16
6
34
2
52
5
63
68
12
1
5
1
9
13
9
31
10
PAG
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
DEDICATO
X
X
X
X
ARGOMENTO
OPERE
Tabella 1
DEDICATO
X
X
PROGETTO
ARGOMENTO
ARGOMENTO
CONCORSI
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
ARGOMENTO
RIFLESSIONE DEDICATO
X
TECNICHE
Brasile
Milano
New York - San Paulo
Chicago
New York
New York
Roma
Milano
America
Palermo
New York
Milano
Milano
Milano
Italia
Cervinia
Rio de Janeiro
Milano
LUOGO
COLORE
MMM | 123 DOMUS DOMUS DOMUS
DOMUS
DOMUS
Progetto per Amburgo Unità residenziale a Piombino Grattacielo a unità sovrapposte Sul principio della “continuità dei prospetti” I grattacieli stanno bene vicini
35 36 37 38
39
40
DOMUS
DOMUS
Prima e dopo la Pirelli
Una struttura alta 400 metri
DOMUS
“ Si fa coi pensieri ”
34
45
DOMUS
Esistenza ambientale
Conservazione ambientale
Creazione ambientale
33
DOMUS
DOMUS
Le torri di Milano: la torre Galfa
32
Tre architetture di Luigi Moretti
DOMUS
Il grattacielo a Düsseldorf
31
44
DOMUS
Che cosa è cambiato a Londra?
30
DOMUS
DOMUS
Sul principio della “continuità dei prospetti”
29
Una nuova torre per Milano
DOMUS
Un nuovo grattacielo a New York
28
43
DOMUS
Il Securit nell’architettura
27
DOMUS
DOMUS
Una casa-torre a Rimini
26
42
DOMUS
A Björkhagen, fuori Stoccolma
25
DOMUS
DOMUS
Espressione dell’Edificio Pirelli in costruzione a Milano
24
Le torri di Torino
DOMUS
Paesaggio moderno di Milano
23
Architettura forma ed espressione di civiltà
DOMUS
Un grattacielo italiano in cemento precompresso
22
41
RIVISTA
TITOLO
NUMERAZIO NE
431
419
416
414
411
400
398
391
383
382
379
379
378
377
372
368
367
358
354
338
338
316
313
309
NUMERO
10 - 1965
10 - 1964
7 - 1964
5 - 1964
2 - 1964
3 - 1963
1 - 1963
6 - 1962
10 - 1961
9 - 1961
6 - 1961
6 - 1961
5 - 1961
4 - 1961
11 - 1960
7 - 1960
6 - 1960
9 - 1959
5 - 1959
1 - 1958
1 - 1958
3 - 1956
12 - 1955
8 - 1955
DATA
1
21
1
1
1
53
1
0
1
1
31
1
0
3
1
1
8
1
57
2
1
1
7
4
PAG
X
X
X
X
X
X
X
X
X
DEDICATO
X
X
X
X
ARGOMENTO
OPERE
X
X
DEDICATO
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
PROGETTO
ARGOMENTO
ARGOMENTO
CONCORSI
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
ARGOMENTO
RIFLESSIONE DEDICATO
X
X
X
X
X
X
X
TECNICHE
Genova
Milano
Stoccolma
Torino
Stoccolma
Milano
Piombino
Amburgo
Milano, Montreal, San Paolo, Bagdad
Milano
Milano
Milano
Düsseldorf
Londra
Milano
New York
Milano - San Donato Milanese
Rimini
Stoccolma
Milano
Milano
Italia
LUOGO
COLORE
MMM | 124 DOMUS DOMUS
Il World Trade Center a New York Chi l’ha costruito? Il più alto
56 57 58 59
DOMUS DOMUS
Immovable objects Una torre Argentina Spazio coperto fra due torri
62 63 64
DOMUS DOMUS DOMUS
DOMUS DOMUS
Cinque pezzi facili La caravella di Colombo Milano: urban still life La torre dei ricordi New York strikes again
68 69 70 71 72 73
DOMUS
Skyscraper business Micheal Graves
75 76 77
DOMUS
DOMUS
DOMUS
Humana building Romanticism and reintegration
74
DOMUS
DOMUS
Luci della ribalta Museo come opera d'arte
DOMUS
66 67
DOMUS
Toronto CN Tower National Commercial Bank
65
DOMUS
DOMUS
61
DOMUS
USA: fantalbero Dall’alto al basso
60
DOMUS
DOMUS
DOMUS
Perché si? Le capsule di Kurokawa
DOMUS
DOMUS
55
Libri Mies a Montreal
Informazioni
52
54
DOMUS
USA: cosa stanno costruendo e progettando Philip Johnson, Kevin Roche, Paul Rudolph
51
53
DOMUS
Un episodio a Madrid: le “Torres Blancas”
50
DOMUS
DOMUS
49
DOMUS
Perché no? Torri a Barcellona
48
DOMUS DOMUS
Prefabbricazione
RIVISTA
47
TITOLO
46
NUMERAZIO NE
667
660
653
636
636
626
624
621
616
615
604
595
586
577
572
558
557
547
535
527
524
520
500
498
496
495
494
485
477
470
467
449
NUMERO
12 - 1985
4 - 1985
9 - 1984
2 - 1983
2 - 1983
3 - 1982
1 - 1982
10 - 1981
4 - 1981
3 - 1981
3 - 1980
6 - 1979
9 - 1978
12 - 1977
7 - 1977
5 - 1976
4 - 1976
6 - 1975
6 - 1974
10 - 1973
7 - 1973
3 - 1973
7 - 1971
5 - 1971
3 - 1971
2 - 1971
1 - 1971
4 - 1970
8 - 1969
1 - 1969
10 - 1968
4 - 1967
DATA
1
23
2
18
2
28
4
26
22
13
8
24
38
8
20
31
13
20
21
24
1
1
3
5
2
3
4
7
4
7
12
7
PAG
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
ARGOMENTO
OPERE DEDICATO
X
ARGOMENTO
CONCORSI DEDICATO
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
PROGETTO
ARGOMENTO
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
ARGOMENTO
RIFLESSIONE DEDICATO
X
X
X
X
X
X
X
TECNICHE
Luisville
Chicago
Luisville
New York
Melbourne
Milano
Monaci di Baviera
Chicago
New York
New York
Jeddah
Toronto
Houston
Buenos Aires
New York
New York
New York
Chicago
Dallas
New York
Tokyo
Montreal
Chicago
Parigi
USA
Madrid
Barcellona
Düsseldorf
LUOGO
COLORE
MMM | 125 DOMUS
DOMUS
DOMUS
DOMUS DOMUS DOMUS DOMUS
Edificio Lloyd’s, Londra Pierluigi Nicolin, Progetto per l’area GaribaldiRepubblica, Milano L’edificio Kavanagh, Buenos Aires, 1933-35 Sede centrale di una banca, Francoforte Studio per un grattacielo Edificio a torre, Penang, Malesia Torre LVMH, New York Piano e i grattacieli Tre torri
80
81
82
83 84 85 86 87 88
DOMUS DOMUS DOMUS DOMUS DOMUS DOMUS DOMUS
Il grattacielo responsabile Come si progetta un grattacielo L’Austria a Milano La torre eterea di Nouvel Sette visioni di New York Milano Fiera, la città possibile Otto torri e un anello volante Con la testa inclinata
91 92 93 94 95 96 97 98
DOMUS
Linked Hybrid, Bijing Torre Aquileia Jesolo Utopie “molto” verdi
100 101 102 103
DOMUS
DOMUS
DOMUS
DOMUS
Sky Tower Cinquantaduesimo parallelo
99
DOMUS
DOMUS
90
DOMUS
La torre e la città La città tra le nuvole
89
DOMUS
DOMUS
DOMUS
DOMUS
79
Emerging skyline
78
RIVISTA
Hongkong & Shanghai Bank
TITOLO
NUMERAZIO NE
936
930
928
916
894
882
876
873
856
855
850
840
840
840
840
836
836
823
808
800
798
770
737
680
674
669
NUMERO
5 - 2010
11 - 2009
9 - 2009
7 / 8 - 2007
7 / 8 - 2006
6 - 2005
12 - 2004
7 - 2004
2 - 2003
1 - 2003
7 - 2002
9 - 2001
9 - 2001
9 - 2001
9 - 2001
4 - 2001
4 - 2001
2 - 2000
10 - 1998
1 - 1998
11 - 1997
4 - 1995
4 - 1992
2 - 1987
7 / 8 - 1986
2 - 1986
DATA
81
31
19
59
55
48
92
fascicolo
33
50
42
58
53
37
34
65
52
16
22
48
20
23
4
25
35
20
PAG
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
ARGOMENTO
OPERE DEDICATO
X
ARGOMENTO
CONCORSI DEDICATO
X
X
X
X
X
X
X
X
PROGETTO
ARGOMENTO
X
X
X
X
ARGOMENTO
RIFLESSIONE DEDICATO
X
X
X
TECNICHE
Jesolo
Pechino
Nijmegen
Barcellona
Las Palmas de Gran Canaria
Pechino
Milano
New York
Tokyo
New York
Londra
Londra, Rotterdam, New York
Sydney
New York
Penang
Francoforte
Buenos Aires
Milano
Londra
Hong Kong
LUOGO
COLORE
MMM | 126 DIRETTORE E. N. Rogers
E. N. Rogers
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
ESTREMI 1
2
3
4
5
6
7
8
9
eclettismo, critica, architettura moderna, propaganda
Brasile, architettura moderna
stile di vita, architettura moderna, grattacielo, verticalità, ecologia,
Architettura, Arte, propaganda, Figini e Pollini, facciata,
Grattacielo, movimento moderno, Le Corbusier
architettura disordinata e caotica, vita sociale, crisi, nuova architettura, nuova società, New York folklore moderno, violenta foresta, nuova architettura, Le Corbusier, Neutra, Rockefeller Center, alba New York, folklore, Brasile, grandiosità, purità, naturalezza, trionfo nuovo, tradizione, ricopiatura, riproduzione vuota, falsa tradizione, costume sociale di oggi, vita intima, vita spettacolo, utilizzazione locali, parecchi piani, orientamento, sole, negozi, terrazze, giardino pensile dove va l’architettura?, l’architettura va male, dove dovrebbe andare l’architettura, modo concreto, costruzione di Figini e Pollini, purezza, unità, poetica, sogno, coerenza, valori, classicità case-albergo, bianchissime tesserino ceramiche, polemiche, bellezza di rapporti,
Arch. Mario Tedeschi
Arch.i Luigi Figini e Gino Pollini
Arch.i Luigi Moretti e Ettore Rossi
Arch. Gio Ponti
Arch. Mario Tedeschi
Arch. Mario Tedeschi
montagna, verticale, modulare, polifunzionalità, modularità, unità, economia, efficienza
villaggio elastico, tecnologia moderna, economia, via giusta, forma logica di una sostanza, duplex, appartamenti collegati, appartamenti di più locali, no torre, aperta e mutabile, vantaggi, servizi, collaborazione, lavorazione in serie, piroscafo sulla neve
Arch. Carlo Mollino
montagna, verticale, grattacielo, genius loci, ecologia, funzionalismo, architettura moderna, bellezza, polifunzionalità
TEMI
condominio, stanze, sole, novatore dell’architettura di montagna, «building» di montagna, «architettura moderna», servizi, costume moderno, modernità di sostanza
TAGS
ecologia, brise-soleil, grattacielo per uffici, orientamento
Arch. Carlo Mollino
PROGETTISTA
uffici, città, sviluppo in altezza, facciata, orientamento, Nord, schermatura, sole, Le Corbusier, amianto
Gianni Albricci
AUTORE
Tabella 1 ACCETUAZIONE
Il pubblico crede di dover giudicare l’opera d’arte: è invece l’opera d’arte che giudica il pubblico e lo divide in due, quelli che capiscono o son chiamati a capire e quelli che non capiscono e non capiranno mai. chi è dentro chi è fuori.
e noi architetti in particolare combattiamo contro i « si è abitato sempre così » che, accettati senza ragionamento, impediscono ancora a molti una chiara visione della forma di un’abitazione aderente al costume sociale di oggi.
Per ora - architettonicamente - lo « spettacolo del mondo » è caotico e drammatico: ed in esso la nuova architettura, Le Corbusier, Neutra, il Rockefeller Center, è una profezia, una vigilia, un’alba. Siate con gli architetti in questo loro sforzo ideale.
Dato che la tecnologia moderna consente queste costruzioni e l’economia, come vedremo, le accompagna, questa è la via giusta, e l’architettura che ne deriva è la forma logica di una sostanza. La segmentazione di ogni servizio porta a spese di manutenzione e complicazioni enormemente più soggette a inconvenienti; …
Questi condomini di piccoli appartamenti di cui questo primo esemplare sta sorgendo a duemila metri, non risolverebbero tanti problemi anche in città?
ESTRATTI
COLORE
MMM | 127 Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
11
12
13
14
15
16
17
18
19
DIRETTORE
10
ESTREMI
Gio Ponti
Enrico Peressuti
New York minore
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Arch. Ugo Luccichenti
e v’è chi prepara la propria definizione, la propria adesione o rifiuto a questa città, senza neanche averla vista: anzi tutti le siamo gia o pro o contro. Noi le siamo pro.
non è esagerato definirli come l’inizio di una forma « classica ».
urbanistica, torre, grattacielo, villette, parco, servizi, Ville Radieuse grattacielo, Frank Lloyd Wright, Johnson Wax Co.
Q.T.8, Bottoni, Ville Radieuse, urbanistica, insuccesso, propaganda, architettura moderna, umanità
monumentalità, monumento, monumentum, grandezza, storia,
New York, grattacielo, ideali, bene, geometria, purezza, conquista, Architettura moderna
New York, grattacielo
Chicago, America, grattacielo, L. M. Van der Rohe, architettura moderna, nuova tradizione di forma, purezza, cristallo
grattacielo, Brasile, New York, O.N.U., tetto, Sullivan, termine,
parco semiabbandonato, quartiere, criteri particolari, casa-albergo a torre, villette, servizi sportivi, grande parco
Johnson Wax Co., pianta quadrata, pianta circolare, ampie vetrate Q.T.8, Bottoni, no adesione e comprensione, « tutta la città avrebbe dovuto essere così », passato pauroso, indifferenza dei dirigenti,
monumentale, monumento, perfezione, grandezza, Colosseo, nuova stazione di Roma, favola Americana, Palazzo delle Nazioni Unite, cristallo, specchio, cielo, architettura universale, tecnica, purezza, monumento, emozioni, ritmo, Lever house, antipodi, macchine edilizie perfette, Bene
America, New York, definizione, polemica, provo contro, pro Chicago, mentalità diversa, Est, West, due grattacieli, espressone naturalissima, cristallo, forma « classica », vita intima, natura palazzo CBI Esplanada, Lucjan Korngold, « terminare » un grattacielo, Lever House, O.N.U., gabbia, edificio Edison, loggia
Arch. L. M. Van der Rohe
Arch. Lucjan Korngold
Arch. Piero Bottoni
Arch. Frank Lloyd Wright
grattacielo, O.N.U.
palazzo delle Nazioni Unite, facciata
Arch. Giorgio Ramponi
Arch. Giorgio Ramponi ?
nel palazzo CBI ha voluto chiudere in alto, finire, la costruzione, nel che sta il valore più interessante di questo edificio.
una favola bellissima ci raccontano tutti questi edifici, una favola generosa e pulita, la favola d’un ordine e d’una bellezza possibili, la favola di una profezia incantevole, la favola dei bei sogni ottimistici dell’uomo, la favola del Bene senza il Male.
è un elevato contenuto espressivo, è una classicità d’esempio ( non « classicismo » ), è una perfezione, a determinare il « monumentum », nella sua importanza al di là ed al di fuori della dimensione.
cosicchè quel quartiere che avrebbe dovuto essere l’onore di Milano moderna, sarà l’onore di Bottoni… A Milano, il Q.T.8 è in eccezione, in difficoltosa eccezione: a Stoccolma il Q.T.8 è « tutta la nuova città » e non c’è bisogno di Bottoni; …
ma ciò dipende dalla « immaginazione » di noi italiani. Essa va al di là della nostra condizione e della funzionalità pura e semplice, ma in essa è il fulcro di quelli che possono essere i nostri apporti alla cultura, alla civiltà, alla bellezza del mondo. Come abbiamo sempre fatto.
architettura moderna, albergo, bow window, grattacielo, piano terra, struttura, pilotis, cultura, arte
ESTRATTI
albergo nuovo, « torre senza fine », sovrapposizione, proporzioni, regolamento edilizio, « forma propria », bow window integrale, moto verticale, accento orizzontale, muro grosso di sostegno, colonne, pian terreno, Le Corbusier, « coraggio all’italiana », cultura, civiltà, bellezza, Campigli
ACCETUAZIONE
TEMI
TAGS
PROGETTISTA
AUTORE
COLORE
MMM | 128 DIRETTORE
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
ESTREMI
20
21
22
23
24 25
26
27
28
29
30
Gillo Dorfles
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
AUTORE grattacielo, facciata, tetto, Sullivan, termine, New York, O.N.U.
facciata, grattacieli, brise-soleil, architettura moderna grattacielo, Italia, pianta, cemento, cemento precompresso
architettura moderna, Milano, critica, estero, Inghilterra, storia, continuità,
infinito, facciata, serramenti, architettura « non chiusa », interruzione, volumi di servizio, Lever House, O.N.U., facciata, brise-soleil, « architettura spontanea », architetture d’oggi, frangi sole grattacielo, cemento armato precompresso, solai a sbalzo, nucleo centrale, uffici, facciata in cristallo, leggerezza Observer, organo inglese, città più moderna del mondo, continuità, grattacieli, storia, campanile Sant’Ambrogio, grande architetto, cittadinanza spirituale, orgogliose torri
Arch. Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Luigi Fratino Arch. Antunes Riberio - Arch.tti Ferrari Hardoy e J. Kurchan Arch.tti Angelo Mangiarotti e Bruno Morassuti
grattacielo, unità di abitazione, flessibilità, polifunzionalità
grattacielo, torre, flessibilità, riconoscibilità, polifunzionalità, sole
grattacielo, facciata, E.N.I.,
grattacielo, New York, Walter Gropius, eclettismo, architettura moderna, Le Corbusier, Ville Radieuse
grattacielo, facciata, facciata continua, funzionalità, modularità
Londra, grattacielo, architettura moderna, società, cambiamento, ammodernamento
unità di abitazione, 18 piani edificio, casa albergo, autonomia, attrezzature comuni, luoghi di villeggiatura, aerazione, illuminazione, torre, proprietà individuabili, abitazioni sovrapposte, ampi terrazzi, Premio Vis Securit-Domus, 1958, E.N.I., San Donato Milanese, facciate, poliedro, esagono, vetro e lega di alluminio grattacielo, Grand Central Building, quattro facciate, otto prospetti, apparizione formale, incastri, irsuta, Le Corbusier, torrevelaschiana, Central Station, torreggiava nel cielo, blocca il cielo, isolata
« prospetti continui », variazioni, necessità funzionali, orientamento, panorama, urbanistica, Londra, immutabilità, mutamento abitudini, interior design, « grande » architettura, grattacielo, casa molto alta, Thorn House, architettura « commerciale », razionalista, moderna, « brutalista », risultati in buona parte positivi, svecchiandosi
Arch. Georg Varhlyi
Arch. Mario Ravegnani
Arch.tti Marcello Nizzoli e Mario Olivetti
Arch.tti Walter Gropius e Pietro Belluschi
Arch.tti Angelo Mangiarotti e Bruno Morassuti
Arch. Gio Ponti
TEMI
TAGS
PROGETTISTA
ACCETUAZIONE
Peccato che quest’opera non possa sorgere isolata, a parte l’addensamento di traffico che essa porterà ulteriormente in questa zona.
i grattacieli di Milano sono storia nell’atto stesso della loro nascita, altrettanto italiani del campanile di Sant’Ambrogio.
ed infinito è, perchè questa architettura « non chiusa » ( cio che è parallelo si incontra all’infinito; e cio che è ritmo non ha chiusura ).
ESTRATTI
COLORE
MMM | 129 Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
33
34
35
36
37
38
39
Gio Ponti
31
32
DIRETTORE
ESTREMI
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
AUTORE
Il considerare che dove sorge essa rappresenti un inserimento ambientale, è per me di minor interesse, e di maggiore dubbio, che il considerarla come episodio architettonico in se.
Io consento, e godo, che l’architettura ( la buona architettura ) sia un mezzo di propaganda, e lo raccomando a tutti, ed è anzi per questo che ho scritto quella perorazione che è « Amate l’Architettura ». Arrabbiato Mr. Mc Quade? Arrabbiatissimo.
Amo la Torre Velasca, « forma architettonica », città viva, Torre Velasca, grattacielo, BBPR, creatività architettonica, preesistenza, storia, cultura, inserimento ambientale, dimensione e proporzione, forma restauro, architettura moderna, finita, creazioni ambientali, bilancio tecnica, propaganda, attivo, architetture degne, vista dal basso
grattacielo Pirelli, grattacielo, Gio Ponti, Nervi, Danusso, principi, propaganda, architettura moderna
grattacielo, rappresentatività, facciata, riconoscibilità, architettura moderna
grattacielo, pianta, facciata, funzionalità grattacielo, campagna, modularità, tecnica, facciata, curtain wall grattacielo, utopia, servizi comuni, separazioni delle funzioni
principi, forma finita, invenzione strutturale, rappresentatività, illusività, aspetto luminoso notturno, onore al lavoro, aggiornamento tecnico, incorruttibilità dei materiali, sviluppo in altezza, parcheggio, Architectural Forum, The Architectural Review, Mc Quade, Banham, proposizioni disattese, bilancio positivo
uffici, rappresentatività, facciata, parcheggio, « misura umana », casermoni, volumi, soletta,
grattacielo Phoenix-Rheinrohr, colonna centrale, servizi, ali, uffici, involucro trasparente, centro opaco soluzione urbanistica, pendio, ville accostate, casa alta, otto piani, mezzi industriali contemporanei, ville sovrapposte, modularità, pannelli « avenue verticale », edifici sovrapposti, nuclei autonomi, piattaforma, piazza, 250m, pianta a croce
« continuità dei prospetti », grattacielo, facciata, facciata pareti, variazioni di profilo, unità continua, funzionalità, modularità della trama
Arch. Melchiorre Bega
Arch. Gio Ponti
Arch.tti H. Hentrich e H. Petschnigg
Arch. Angelo Mangiarotti
Arch. Bernhard H. Zehrfuss Arch.tti Angelo Mangiarotti e Bruno Morassuti
Arch. Gio Ponti, Ing.ri Nervi e Danusso
BBPR
E, aggiungeremo, raggiunge una bellezza che è subito compresa ed amata, perchè è la forma ( tecnica, estetica e rappresentativa ) di una verità.
Torre Galfa, grattacielo, Milano, continuità, preesistenza, architettura moderna, contemporaneità, facciata continua
Torre Galfa, alta 133 m, « spettacolo » dell’architettura di Milano, quartiere direzionale, « creazione ambientale », città storica, sostanza storica, costruire proprio dell’epoca, realtà umana dei milanesi, verità
Nella Pirelli la dimensione da rappresentare visivamente è quella della, unica e totale, dell’azienda ( e non quella dei singoli ): in questi edifici d’abitazione la dimensione da rappresentare è quella, volta per volta, dell’appartamento, in altezza e in orizzontale.
Una nuova forma è apparsa col PhoenixRheinrohr: guardatela! L’interesse vero, il loro perchè, il loro significato nella evoluzione dell’architettura, è nella forma.
grattacielo, architettura moderna, forma finita, verde, Le Corbusier, Ville Radieuse
grattacielo della PhoenixRheinrohr, idea formale nuova, babilonesimo di New York, disegno, composizione, nova forma, evoluzione
ESTRATTI
Arch.tti H. Hentrich e H. Petschnigg
ACCETUAZIONE
TEMI
TAGS
PROGETTISTA
COLORE
MMM | 130 DIRETTORE
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
ESTREMI
40
41
42
43
44
45
46
grattacielo, architettura moderna, modularità, struttura
grattacielo, ecologia, riqualificazione
rigida piastra, fondazioni, pilastri, pareti di irrigidimento, riferimento, edificio alto, relazione fisica, relazione psicologica, prospettive, destinazione, abitare, monotonia, varietà dimensionale sistemazione progettata, case alte, verticalità, rinunciata dagli eventi, paesaggio
proposta, struttura, tecnica, abitabilità, correlazione tra funzioni, grattacielo, architettura moderna, 400 metri, uffici, ricerca, studio, polifunzionalità, modularità, problemi, cemento armato, futuro, civiltà, utopia comunicazione
Arch. Sune Lindström
Arch. Alberto Rosselli, Ing. Aldo Favini
Arch. Luigi Moretti
Arch. Alberto Rosselli, Ing. Piero Locatelli
Gio Ponti
Alberto Rosselli e Aldo Favini
Alberto Rosselli
Gio Ponti
grattacielo, modularità, cellule, industrializzazione
grattacielo, architettura moderna, materiali, forma, civiltà, ideali
« pylonen », architettura espressione di civiltà, forma essenziale, posizione nella città, composizione architettonica, alluminio, buon committente, caratterizzandosi
Arch.tti Quaroni e Renacco
Gio Ponti
edifici alti, grandi industrie, prefabbricazione, scheletrobase, necessità, cellule, Le Corbusier
grattacielo, urbanistica, architettura moderna, Le Corbusier, Ville Radieuse, civiltà, modernità, società, futuro, bellezza, monumentum, orizzontalità, traffico, collegamenti
Concorso Nazionale per il Piano del Centro Direzionale, Casabella, Architettura ed Urbanistica, risoluzione urbanistica, tre nuclei, centro amministrativo, attività commerciali ed industriali, collegamenti, residenze, parco, sviluppo orizzontale, « torri di Torino », 124 m, 14 torri, composizione distributiva, concentramento, distribuzione, città, vicine, Milano, Londra, addensamenti del traffico, insufficienza parcheggi, isolamento, firmitas, utilitas, venustas, monumentum, creazione ambientale, Parigi, Rond-point de la Dèfence, « grandeur » dell’architettura, New York, rinuncia all’architettura, visione, proposito, visione moderna di civiltà
Arch.tti Sven Markelius e Göran Sidenbladh
Arch. Wolfgang Döring
grattacielo, urbanistica, bellezza, modernità, architettura moderna
grattacieli, vicini, città italiane, sorgono isolati, edifici alti, ascensore, tendenza all’altezza, high-ways, incroci a quadrifoglio, stanno bene vicini, urbanistica, bella, ripetizione,
Gio Ponti
TEMI
TAGS
PROGETTISTA
AUTORE
ACCETUAZIONE
La proposta distruttore o di sistemi di strutture di grandi proporzioni - quali la tecnica attuale consente - porta alla considerazione di un nuovo ambiente di forme e della loro abitabilità.
L’esterno doveva prima di tutto - trasmettendo immagini ricche di contrasto come reali immagini dell’uomo - esprimere la natura dei temi che erano posti all’interno.
Così, dal buon committente, nasce la buona architettura.
Avviandomi, mesi fa, al rond-point, mi batteva il cuore dalla speranza e dalla paura: aveva ragione la paura: ho visto rosicchiato qualche primo pezzo di terreno con costruzioni di ordinaria amministrazione assolutamente estranee, indifferenti all’importanza, alla significazione, all’ambizione che aveva il piano, alla « grandeur » dell’architettura per dirla alla De Gaulle, alla civiltà della architettura che gli si doveva consacrare e che gli doveva corrispondere. Questioni di economie e di crediti? Non è vero. La linea buona non costa di più, costa magari di meno. Costa di più ad un editore stampare uno Shakespare che un mestierante qualsiasi?
I grattacieli non sono una cosa d’eccezione, e nemmeno una cosa americana: semplicemente sono gli edifici alti che gli ascensori oggi consentono di abitare, ed una tecnica eccellente di costruire. Se l’edilizia si svolgesse in ben raggruppati edifici alti, quali gli architetti valenti possono pensare e risolvere, nella espressione valori estetici e tecnici d’eccezione, ne risulterebbero finalmente onorati anche gli sviluppi delle nostre città.
ESTRATTI
COLORE
MMM | 131 Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
49
50
51
52
53
54
55
56
57
Gio Ponti
47
48
DIRETTORE
ESTREMI
Gio Ponti
Gio Ponti
AUTORE grattacielo, modularità, cellule, industrializzazione, tensistrutture
prefabbricazione, industria per l’architettura, tensistrutture, cellule prefabbricate, plastica, cavi d’acciaio
Arch. Wolfgang Döring
grattacielo, brutalismo
grattacielo, modernità, spazi comuni, acciaio
grattacielo, modernità, spazi comuni
grattacielo, modernità, spazi comuni, record di altezza
grattacielo, modernità, spazi comuni, Mies van der Rohe
grattacielo, acciaio, polifunzonalità, facciata libera, colori
strutture organiche, forza espressiva torri per uffici, gemelle, due grandi corti, struttura di acciaio, quattro torrioni cilindrici d’angolo, struttura in acciaio, tre torri ad uffici, corte vetrata uffici, edificio cavo, quattro grandi piazze, alberi John Hancock Center, 1.105 piedi, Empire State Building, World Trade Center, Sears Building, città in verticale, tiranti diagonali esterni complesso edilizio, tipica espressione architettonica, programma funzionale, nucleo urbano, numerosi autori, Westmount Square struttura modulare in acciaio, superficie minore, pareti a scorrere, parete specchio espressivo degli interni, colori caffetteria, uffici, capsule, torri, cellule, appese
Arch. J. S. de Oiza
Arch.tti Philip Johnson, Kevin Roche e Paul Rudolph
Arch.tti Belmont, Prouvé, Swetchine
Arch.tti Skidmore, Owings, Merrill
Arch. Mies van der Rohe
Arch. Gio Ponti
Arch. K. N. Kurokawa
WTC, World Trade Center, New York, fuori scala, 412m, 110 Arch.tti M. Yamasaki e E. Roth piani, edificio più alto al mondo, parete perimetrale portante, & Sons pseudo-gotico
grattacielo, New York, WTC, altezza, consumi, effetto canyon, struttura, struttura perimetrale
grattacielo, cellule, spazio minimo
grattacielo, corpo basso, torri, uffici
complesso, dieci piani, corpo basso, volumi curvi, curtain wall
Arch. J. A. Coderch
grattacielo, razionalismo, critica ad architettura
suggerimenti, grattacielo, apparizione, piante triangolari, funzionale all’interno, elemento del paesaggio della città, l’uno accanto all’altro, «apparizione», monotonia, conformismo
Arch. Gio Ponti
TEMI
TAGS
PROGETTISTA
ACCETUAZIONE
La presenza delle due enormi torri è un «fuori scala» nel contesto di Manhattan
L'opera d’arte non è dentro alla moda, è al di là, e non ha leggi se non nella sua propria, non ripetibile, vitalità. Certo esistono anche architetture «superate», ma si tratta di fabbriche che non sono mai state architetture.
dentro l’edificio che è cavo, quattro grandi piazze son sovrapposte l’una all’altra, a distanza di 10/11 piani: piazze con alberi, balconate, gallerie, ristoranti…
allontanatosi da una prima impostazione razionalista, … si ricollega ad alcune tendenze attuali di rivalutazione delle strutture organiche.
Perché non ridare all’architettura i suoi valori di «apparizione»? perché proprio nei suoi più grandi episodi la più grande monotonia?
ESTRATTI
COLORE
MMM | 132 DIRETTORE Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Gio Ponti
Alessandro Mendini
ESTREMI 58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
Fulvio Irace
AUTORE
TEMI
grattacielo, piazza coperta, pubblico, servizi, uffici
torre, ristorante, girevole
grattacielo, igiene, piazza coperta, posteggi
grattacielo, teoria, filosofia, natura, urbanizzazione, modernità, stile, tipologie
intero isolato, torri gemelle, 36 piani, immagine specchiata, piazza serra, superfici inclinate, pubblico, negozi, ristoranti, CN Tower, ristorante girevole, 350m, 490 posti, illuminazione e dimmer automatizzato, Jeddah, Mar Rosso, 27 piani, pianta triangolare, edificio introverso, verde e aria, garage circolare, acciaio e cemento Rockefeller center, avventura urbana, ‘la dignità dei tempi nuovi’, impresa speculativa, integrare l’arte al business, mancanza di ornamenti, jazz, esperti nouveau
Arch.tti P. Johnson e J. Burgee
Arch.tti F. e A. Piccaluga
Arch.tti Skidmore, Owings, Merrill
grattacielo, mostra, città
mostra all’aperto, Lower Manhattan, oggetti inamovibili, vecchi edifici
Arch.tti Skidmore, Owings, Merrill
grattacielo, uffici, curtain walls
grattacielo, sistema costruttivo, prefabbricazione, economicità, velocità
brevetto, costruiti a terra, sollevati, maggior rapidità, economicità, piani appesi
Arch.tti J. Portman e associati
solo edifici alti, torre, 120m, parallelepipedo di cristallo, stecca, fossato, distacco, grandi spazi aperti di lavoro, luce
grattacielo, albergo, spazi comuni, piazze interne, servizi alla sommità, servizi al piano terra
alberghi, grande hall, ascensori, atrio a tutt’altezza, lucernari, fontane, giardini, uccelli, passerelle, ascensori trasparenti, cocktail lounge
Arch.tti Manteola, Petchersky, Sanchez, Gomez, Santos, Solsona, Vinoly
grattacielo, altezza
edificio più alto al mondo, 445m, 110 piani, 16.500 persone, struttura in acciaio, uffici, abitazioni
serie televisiva, Who built this place?, parodia, governo, grattacielo, inserimento nella città architettura come fatto pubblico
TAGS
Arch.tti Skidmore, Owings, Merrill
PROGETTISTA
ACCETUAZIONE
Ha messo in evidenza i piani facendoli affacciare tutti con balconate sull’interno, sul vuoto di un atrio a tutta altezza che risulta di proporzioni eccezionali… ha animato il vuoto dell’atrio con sbalzi, passerelle, lucernari (e con fontane, giardini, luci e musiche: nel Regency di Atlanta volano liberi gli uccellini…
ESTRATTI
COLORE
MMM | 133 Arch.tti A. Rossi e G. Braghieri
grattacielo, revival storici, postmoderno, immagine, economia
fiera degli stili, forte rappresentatività, battage pubblicitario, consumo
Archetti Graves, Pelli, Franzen, Murphy/Jahn
Alessandro Mendini
74
grattacieli, società, economia, imprenditoria, futuro vari
Fulvio Irace
Alessandro Mendini
anni 70, drammatica e senza alterative, disoccupazione, decremento demografico, 1982, grattacieli, grandiosi programmi di investimento, restauro, imprenditori edili
73
grattacielo, post-moderno, rapporto col contesto, ricordi simbolo
Aldo Rossi
72
città sconosciuta, senza funzione, simbolo per eccellenza, libero dalle architetture che lo circondano
Alessandro Mendini
grattacieli, movimento moderno, stili, tradizioni
Fulvio Irace
Alessandro Mendini
complesso, divergenti ideologie architettoniche, bianca superficie, felice stagione creativa degli anni venti, vibranti squamature di mattoni, edificio alto e casa bianca, linguaggio razionale, sponde del novecento e del razionale, traduzione architettonica
71
grattacieli, struttura, megastruttura, rapporto col contesto,
Arch.tti W. e B. Betz
Alessandro Mendini
struttura iperdimensionata, torri cilindriche, vetro e acciaio, immagine tecnologica, Metabolist giapponesi, Archigram, metafora macchinista, pistoni, realismo, ideologia antiurbana,
70
grattacielo, post-moderno, realtà, rapporto col contesto, immanente
Arch.tti Murphy/ Jahn
Alessandro Mendini
idioletti post-modernisti, grattacielo, stravolgere il silenzioso vocabolario, roccaforte rigorismo modernista, delirio citazionista, uscita dal controllato purismo, proposte, scongelare l’elementarizzo del prisma isolato
69
grattacielo, tipologia, modelli, rapporto con la città, visuali
Arch. Ambasz
Fulvio Irace
Alessandro Mendini
ampliamento museo, uffici da affittare, modelli di edificio, gigantesca scultura minimal, piramide rovesciata, visione, colonna, lobby piano inclinato
68
TEMI
TAGS
PROGETTISTA
AUTORE
DIRETTORE
ESTREMI
ACCETUAZIONE
Le immagini, anonime o d’autore, di tante opere costruite nelle pieghe d’espansione della nuova città, si confermano così più che come squillanti bandiere del nuovo, come luogo di coesistenza di parole architettoniche che tendono a divenire tradizione architettonica e consuetudine formale: fornendo in tal modo l’impronta di una vulgata popolare in cui ben si esprime il senso della continuità dell’urbano, della costruzione di un linguaggio rappresentativo e corale della città.
È ormai qualche tempo che, con pervicacia insistenza, il brusio degli idioletti postmodernisti aggira e costeggia la tipologia del grattacielo: nel dichiarato intento di stravolgere il silenzioso vocabolario - per anni roccaforte gelosa di quel rigorismo modernista che vi ha spesso celebrato i suoi più convinti chefs-d’ouvre - non ha così esitato a fargli persino parlare il delirio citazionista di timpani e frontoni, di porcii e colonne.
ESTRATTI
COLORE
MMM | 134 Fulvio Irace
Sylvia Lavin
Alessandro Mendini
Alessandro Mendini
Mario Bellini
Mario Bellini
77
78
79
80
Wilfried Wang
V. M. Lampugnani
grattacielo, struttura, limite di altezza, economia, mercato, futuro, rapporto col contesto
AT&T, fase post-moderna, supergrattacielo, Television City, 150 piani, Donald Trump, 600m, affare, polemiche, voltafaccia estetici, grandi aspettative, restrizioni?, tecnica, economia, mercato, big is better, immagine, revisione
Alessandro Mendini
76
grattacielo, tipologia, futuro, polifunzionalità, piazza libera, mobilità verticale
grattacielo, tipologia, immagine, onestà, piazza interna, mobilità verticale
struttura portante esterna, memore della Tour Eiffel, nuovo tipo di grattacielo, enormi piloni interconnessi, travi reticolari, grande atrio centrale, vi appende i 47 piani, tecnologia, tre corpi, piazza libera, pedoni, servizi, impianti nel pavimento sopraelevato, ascensori, atri a doppia altezza, pianta aperta, luce naturale rappresentare, Lloyd, gesto teso a evocare innocenza e onestà, onestà costruttiva, eredità movimento moderno, iconografia dell’innocenza, l’immagine che il cliente desidera, decorazione, ascensori esterni, atrio, piazza coperta
Foster Associates
Richard Rogers Partnership
contesto, tre lati, simbolico, disinteresse per il problema del grattacielo, rapporto col contesto, grattacielo, tetto, elemento di senso civico chiusura, monumento civico
metodi di progettazione
modello, disegno
Fulvio Irace
grattacielo, revival storici, postmoderno, immagine, economia
movimento moderno, grattacielo, fantasie negative, peccato, grattacielo-scatola di vetro, correnti alternative, postmodernismo, investimento immobiliare, immagini, decorazione, moda
75
TEMI
TAGS
Alessandro Mendini
PROGETTISTA
AUTORE
DIRETTORE
ESTREMI
ACCETUAZIONE
Pare che, in questo edificio, gli ideali del committente siano stati, pur sobriamente, affermati, rendendo così, sfortunatamente, il linguaggio architettonico la decorazione stessa della sua ripromessa innocenza e onestà.
Storia e contesto, ornamento e decorazione, banditi dalla “tabula rasa” dell’astrattismo figurale modernista, tornano ad occupare il campo, rincorrendosi sul tavolo da disegno come temi né astrusi né peregrini.
ESTRATTI
COLORE
MMM | 135 grattacielo, ecologia, tecnologia
85
21 piani, banca, auditorio, uffici, ventilazione naturale, pareti ad ala, camera d’aria, cattura il vento, pareti da vento Arch.tti Hamzah & Yeang
François Burkhardt
grattacielo, progetto, futuro, pubblico, rapporto col contesto
OMA, Rem Koolhaas, Gary Bates
Rem Koolhaas
François Burkhardt
ascensore, acciaio, elettricità, ingegneri, tipologia isolata, collezione di singoli, grattacielo ‘futuro’, grattacielo ‘complesso’, nuova direzione urbana, integrazione di vari edifici, più grande, complesso integrato, quartiere urbano, continuità, accogliere il pubblico
84
grattacielo, ecologia, futuro, economia, committenza
Norman Foster & Partners
Manuel Cuadra
François Burkhardt
1991, grattacielo ecologico, tre lati, giardini pensili, spirale, polmoni verdi, megastruttura, 300m, mondo migliore, hi-tech, ecologico, ritorno all’essenza dell’architettura, passo in avanti, punto commerciale, costi e scadenze, general contrito, rozzezza tecnica ed estetica, aerazione naturale, delusione, punto di riferimento
83
grattacielo, società, modernità, regolamenti
Asch. Sanchez Lagos de la Torre
Marcelo Barreiro
modernizzazione, 1933, Le Corbusier, facciate lisce, città moderna, forma triangolare, entrata nel paese, edificio d’abitazione, qualità, regolamento, arretramento, torre isolata, 105 alloggi, terrazze-giardino, ingressi distinti, grattacielo più alto del Sud America, cemento armato, opera unitaria, organica,
Vittorio Magnago Lampugnani
progetto, grattacielo, riqualificazione, Milano, parco
concorso nazionale di idee, Nord-Ovest di Milano, 63 lavori, diversi livelli di realtà, parco, ricucire i brani del tessuto, uffici comunali, servizi, Isola, posteggi, Centro finanziario, 60m, tettoia, piattaforma, terrapieno, torre del Consiglio Comunale, totem
82
TEMI
TAGS
PROGETTISTA
Arch. P. Nicolin
AUTORE
Vittorio Magnago Lampugnani
DIRETTORE
81
ESTREMI
ACCETUAZIONE
Non soltanto gli architetti rimasero estasiati per questo ritorno all’essenza dell’architettura, che rappresentava contemporaneamente un passo in avanti.
ESTRATTI
COLORE
MMM | 136 Ruth Berktold
François Burkhardt
Dejan Sudjic
Dejan Sudjic
Dejan Sudjic
86
87
88
89
Alba Cappellieri
Paolo Tombesi
AUTORE
DIRETTORE
ESTREMI
Renzo Piano
Renzo Piano
Arch. Portzamparc
PROGETTISTA
TEMI
grattacielo, post-moderno, facciata, vetrata
grattacielo
grattacielo, ecologico, rapporto col contesto, architettura moderna, polifunzionalità
grattacielo, architettura moderna, ecologia, sostenibilità, sviluppo
TAGS 23 piani, vetro sabbiato, slancio verticale, tubi al neon, lotto stretto, atrio 22° piano, regolamenti, variazioni di piano delle superfici della facciata, sfaccettature cristalli, ragioni pratiche, correnti contemporanee centro di Sydney, loggiato, scorrere e ruotare le pareti, abbattimento visivo, progetto per comparti, 212m, nucleo strutturale di distribuzione, semiconiche rivoltate, epidermide vetrata, finestratura regolare, velo di vetro, torsione incombente della facciata Manhattan, foresta, densità, crescita, orizzontale, verticale, socialità, crescita sostenibile, Scheggia, London Bridge station, no posteggi, ottonovemila persone, sostenibilità urbana e ambientale, 300m, polifunzionale, New York Times Buildings, rapporto con la strada, sfuggire alla gravità, astrazione, pelle, vetri trasparenti, simbolo di potere, leggerezza, valenza sociale, Rotterdam, KPN Tower, 100m, schermo che guarda la piazza, decoro, materiali, reinterpretare i materiali dimensione verticale, esempio americano e asiatico, Berlino, Vienna, Londra, Barcellona, problemi quali la crescita urbana illimitata, la carenza di spazi per il terziario, la salvaguardia dei centri storici, la dispersione energetica e ambientale, emergenza architettonica, forma naturale, ruolo anti-urbano dell'edificio alto, scenari di sviluppo, grattacielo sostenibile,
ACCETUAZIONE
“permanenti sono le condizioni che impone la natura, passeggere quelle che impone l’uomo” - Auguste Perret
ESTRATTI
COLORE
MMM | 137 Dejan Sudjic
Dejan Sudjic
Dejan Sudjic
Dejan Sudjic
Dejan Sudjic
Dejan Sudjic Stefano Boeri
91
92
93
94
95 96
DIRETTORE
90
ESTREMI
Dejan Sudjic
Alba Cappellieri
Alba Cappellieri
Alba Cappellieri
AUTORE
vari
vari
Jean Nouvel
Norman Foster & Partners
PROGETTISTA
grattacielo
grattacielo, architettura moderna, ecologia, sostenibilità, sviluppo
grattacielo, architettura moderna, ecologia, sostenibilità, sviluppo
grattacielo, post-moderno
grattacielo, post-moderno
il grattacielo si è sviluppato, classico sviluppo verticale, zone pianificate, tecnologia, mercato, crisi New York 1987, Asia, 1998 crisi asiatica, le città americane si riprendevano, ristrutturazione, riconversione, formalismo, Torri Petronas, Dubai, storicismo… Swiss Re, City, prima torre ecologica, sky gardens, forma aerodinamica, negozi e ristoranti, persone, esigenze, aspirazioni, innovazioni, Hong Kong Bank, Commerzbank, ecologicamente responsabile logica, grattacieli, struttura, progettato aerodinamicamente, rapporto tra larghezza e altezza, stabilità, arrotondare gli spigoli, allineare alla direzione prevalente del vento, controllare oscillazioni, leggerezza, far penetrare la luce, aria convogliata Manhattan, piccolo lotto, norme edilizie, uscite di sicurezza, sporgenze, interno trasparente ed permeabile, lucernario smaterializzazione, piani di vetro, Torre Dentsu, 60 piani, sembra navigare eterea, struttura d’acciaio, liberandola dalle catene del peso e della massa, entità mutevole, nuvola
New York, torri gemelle, ricostruzione, Ground Zero, freedom tower
TEMI
TAGS
ACCETUAZIONE
ESTRATTI
COLORE
MMM | 138 grattacielo, utopia, futuro, ecologia
Maurizio Corrado
Alessandro Mendini
architetture verdi, origine asiatica, nord coreana, MAD, nuovi mondi, Franchois Roche, MVRDV, oriente palestra delle nuove utopie, vita vegetale, agricoltura, orticoltura, coltivazioni urbane, agricoltura e architettura
103
grattacielo, citazione, memoria, rapporto col paesaggio
Carlos Ferrater
Flavio Albanese
paesaggio , figura urbana contemporanea, importa antica, punto di riferimento, campanile di San Marco, nutrire l’immaginario, simbolo, doppio pinnacolo, funzione strutturale, richiama i campanili veneti, ricorda le vele
Carlos Ferrater, Gustavo Carabajal, Xavier Marti, Eleonora Mantese
102
grattacielo, futuro, architettura moderna, società, ecologia
Steven Holl
Flavio Albanese
spazio pubblico, rinnovamento privato in grande scala, collegamenti tra le torri, lavorare, abitare, svagarsi, pozzi geotermici, area urbana ecologica, specchi d’acqua
101
grattacielo, facciata, prefabbricazione, tecniche costruttive
Meccano Architecten
Flavio Albanese
masterplan, torre, 86m, dinamico quadrilatero dell’innovazione, modernità olandese, cemento e acciaio, fuori piombo nei primi otto piani, texture, facciata di pixel, Mondrian
100
grattacielo
Stefano Boeri
edifici alti, restrizioni urbanistiche, contemporaneità, investimenti, tre torri, vero deformato
Enrico Mirallas & Benedetta Tagliabue
Aquiles Gonzalez Raventos
99
grattacielo, architettura moderna, filosofia, tecnica, natura
Abalos & Herreros
Inaki Abalos
Stefano Boeri
98
pragmatismo è strumento creativo, discussione sociale, natura, natura, tecniche industriali, razionalismo, stile
Steven Holl
Michele Calvara
Steven Holl
grattacielo, futuro, architettura moderna, società
Rita Capezzuto
Stefano Boeri
città nella città, corona di torri, perforate con regolarità ossessiva, collegate da passerelle aeree, città futurista, scala gigantesca, 2.500 abitanti, ultramoderno, tipologia ibrida, otto torri, lunghi basamenti, percorsi sospesi, relazioni incrociate, commercio, spazi ricreativi, attività tempo libero, paesaggio, colline, materiale di riporto, parco pubblico
97
TEMI
PROGETTISTA
TAGS
AUTORE
DIRETTORE
ESTREMI
ACCETUAZIONE
ESTRATTI
MMM | 139
BIBLIOGARFIA AA.VV, Architetti milanesi: Tre generazioni, a cura di F. Bucci, M. Meriggi, Boves, Araba Fenice, 2008
Beltrami L., Guida storica del Castello di Milano 1368 - 1894, Milano, Hoepli, 1894
AA.VV, Guida all’architettura di Milano 1954-2014, a cura di M. Biraghi, G. Lo Ricco, S. Micheli, Lavis, Editore Ulrico Hoepli, 2013
Bottoni P., Le Corbusier, Archivio Bottoni, Le Corbusier, Urbanesimo, Milano 1934, Milano, G. Mazzotta, 1983
AA.VV, Il mondo nuovo: Milano, 1890-1915, a cura di S. Baia Curioni, M. Cattini, Milano, Electa, 2002
Bottoni P., Piero Bottoni : opera completa, a cura di G. Consonni, L. Meneghetti, G. Tonon, Milano, Fabbri, 1991
AA.VV, Le Corbusier, a cura di H. Allen Brooks, Milano, Electa, 2001 AA.VV, Milano architettura città paesaggio, a cura di M. D. Bardeschi, F. Bucci, R. Dullo, Roma, Mancosu editore, 2006 Argan G. C., Architettura e ideologia, “Zodiac”, n. 4, aprile 1959 Banham R., Neoliberty: The Italian Retreat from Modern Architecture, “The Architectural Review”, aprile 1959
Bottoni P., Cinema mode e speranze, in Una nuova antichissima bellezza, a cura di G. Tonon, Bari, Laterza, 1995 Castellaneta C., La mia Milano, Milano, Mondadori Editore, 1988, 1988 Cevini P., Grattacielo Pirelli, Roma, NIS, 1996 Ciucci G., G. Muratore, Storia dell’architettura italiana, il primo novecento, Milano, Electa, 2004
Banham R., Milan: the Polemical Skyline, “The Listener”, settembre 1960
Curtis W. J. R., L’architettura moderna dal 1900, Londra, PHAIDON, 2013
Bascapè G. C. e Mezzanotte P., Il Duomo di Milano, Milano, Bramante Editrice, 1952, 1965
De Castro G. e Zuccari F., Il Duomo di Milano, Roma, Editalia,
BBPR, B.B.P.R la torre Velasca a Milano, a cura di F. Brunetti, Firenze, Alinea, 2000 BBPR, La Torre Velasca : disegni e progetto della Torre Velasca, a cura di L. Fiori, M. Prizzon, Milano, Abitare Segesta, 1982 Belloni G. G., Il castello Sforzesco di Milano, Milano, Bramante Editore, 1966
MMM | 140
De Magistris A., High-rise, Torino, UTET, 2004 D’eramo M., Il maiale e il grattacielo, Milano, Feltrinelli, 1995, 1999, 2004 Eisenman P., Il futuro della tradizione, “Casabella”, n. 345, febbraio 1970 Foot J., Milano dopo il miracolo, Milano, Feltrinelli, 2003, 2015 Gambi L. e Gozzoli M. C., Milano, Bari, Laterza, 1982, 1989
Gardella I., Processo al grattacielo, “Hinterland”, n.2, marzo aprile 1978 Guidoni E., L’architetto o la città, in Piermarini e il suo tempo, (catalogo della mostra), Milano, 1983 Huxley A., Il mondo nuovo, Milano, Mondadori, 1932, 2000 Johnson P. e Wigley M., Deconstructivist architecture, (catalogo della mostra) MoMA, New York, 23 giugno - 30 agosto 1988 Koolhaas R., Delirious New York, Milano, Electa, 2001, 2009 Le Corbusier, Verso una Architettura, Milano, Longanesi, 2013 Manfredini A., A proposito della reiezione di un progetto del cosiddetto “grattanuvole” da parte della commissione edilizia di Milano, “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 novembre 1910 Manfredini A., Il Collegio degli Ingegneri di Milano ed i grattanuvole, “Il Monitore Tecnico”, Firenze, 10 settembre 1911 Marrucci R. A., Duomo anima di Milano, Milano, Federico Motta Editore Mattioni L., L’inedito grattacielo di Milano, Milano, Tip. R. Scotti, 1950 Monestiroli A., La ragione degli edifici: la scuola di Milano e oltre, Milano, Marinotti, 2010 Monestiroli T., La logica della memoria, Milano, Maggioli, 2010 Moretti L., Moretti visto da Moretti, a cura di L. Montevecchi, Roma, Palombi Editore, 2007
Nardi G., Le nuove radici antiche, Milano, Franco Angeli Libri, 1990 Ponti G., Amate l’architettura, Milano, RCS, 1957, 2004, 1014
Rogers E. N., Tre problemi di ambientamento, “Casabella”, n. 232, ottobre 1959 Rossi A., L’architettura della città, Macerata, Quodlibert, 2011, 1015
Ponti G., Editoriale, “Domus”, n. 267 Ponti G., “Espressione” dell’edificio Pirelli in costruzione a Milano, “Domus”, n. 316, marzo 1956 Ponti G., Si fa coi pensieri, “Domus”, n. 379, giugno 1961 Panza P., Estetica dell’architettura, Milano, Guerini, 1996, 1997, 1998, 1999, 2000, 2014 Panza P., Estetica, tempo e progetto nell’età delle comunicazioni, Milano, Guerini, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 Pracchi A., La città come campo caratteristico dell’illuminismo, in L. Patetta (a cura) Storia dell’architettura. Antologia critica, Milano, Etas, 1991 Pracchi A., La cattedrale antica di Milano, Bari, Laterza, 1996 Purini F., L’architettura didattica, Villa San Giovanni, Grafica Meridionale, 1980 Purini F., La forma storica della decontrazione nell’architettura italiana, a cura di B. Bottero, in Decontrazione in architettura e filosofia, Milano, CittàStudi, 1991, 1992, 1993, 1994,1995 Purini F., Comporre l’architettura, Bari, Laterza, 2000, 2008 Purini F., La misura italiana dell’architettura, Bari, Laterza, 2008
MMM | 141
Rigillo A., La città e la cultura urbanistica del 700, Napoli, Liguori, 1964 Saltamacchia M., Costruire Cattedrali: il popolo del Duomo di Milano, Genova, Marietti Selvafolta O., Alessandro Rimini (1898-1976): profilo di un architetto, in Il primo grattacielo di Milano, Milano, Silvana Editoriale, 2002 Settis S., Se Venezia muore, Torino, Einaudi, 2014 Spinelli L., Gli spazi in sequenza di Luigi Moretti, Siracusa, Lettera Ventidue Edizioni, 2012
SITOGRAFIA Agnes Denes. Wheatfield, 04/01/2016, http://www. fondazionenicolatrussardi.it/ Agnes%20Denes_1.html Architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista.it/_manifes.htm Boccioni U., Architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista.it/_manifes.htm Gio Ponti Archivio, 15/01/2016, http://www.gioponti.org/it/archivio/ scheda-dell-opera/dd_161_5900/ casa-rasiniallangolo-tra-corso-venezia-ebastioni-di-porta-venezia#gallery Illuminismo, 31/12/2015, http://www. treccani.it/enciclopedia/illuminismo/
Illuminismo, 15/02/2016, https:// it.wikipedia.org/wiki/Illuminismo T. Monestiroli, Cesar Pelli: “Il futuro di Milano è verticale ma per diventare europea mancano gli spazi all’aperto”, 05/01/2016, http://milano.repubblica.it/ cronaca/2013/11/06/news/ milano_citt_intervista_architetto_ incontri_architettura_politecnico_in_ triennale_europa_spazi_cesar_pelli_ creatore_della _t-70339976/ Sant’Elia A. , L’architettura futurista manifesto, 31/12/2015, http://www. architetturafuturista.it/_manifes.htm Suolo Bene Comune, Legambiente, 04/01/2016, http://lombardia. legambiente.it/sites/default/files/ docs/ quaderni_del_suolo-web_0.pdf, pp 30-31 Una metodologia unica nel suo genere: il concorso internazionale per la cessione e riqualificazione di parte del quartiere storico di Fiera Milano, 05/01/2016, http://www. quartierefiera.org/metodologiafiera. htm
ICONOGRAFIA Foto a cura dell’autore. Laddove le foto provengano da altre fonti è specificato nel testo.
MMM | 142
RINGRAZIAMENTI Con profondo affetto e riconoscenza ringrazio: i miei compagni e amici di Università che tanto mi hanno aiutato ed insegnato in questi anni. i Professori Andrea Campioli, Lorenzo Degli Esposti, Pierluigi Panza e Luigi Spinelli che si sono prestati alle mie interviste; in modo speciale il mio relatore Professor Alessandro De Magistris per l’oppurtunità di affrontare questo tema che tanto mi è caro. i miei amici, Hari De Miranda per il supporto morale, l’incoraggiamento e l’attività di revisione del testo, e Lucrezia Rivolta per il suo fondamentale apporto. infine mia Nonna e mia Mamma che mi sopportano e supportano con perseveranza e amore.
MMM | 143
MMM | 144 In quel cristallo che è la vita, ringrazzio tutti coloro che mi hanno donato un riflesso in piÚ.