Cinema e itinerari in Basilicata

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c i n e m a e itinerari in Basilicata


Proprietà letteraria riservata Editore 1a edizione: 2013 Tutte le immagini sono utilizzate in questa pubblicazione ad esclusivo scopo didattico e divulgativo. Comune di Matera APT Basilicata FEEM Documento redatto da Angelo Bencivenga, Livio Chiarullo, Delio Colangelo e Annalisa Percoco. Il lavoro di ricerca è stato coordinato da Livio Chiarullo. FEEM Viggiano, 2012 - 2013


INDICE 1. Il cinema in Basilicata......................................................p.5 2. Metamorfosi del paesaggio filmico lucano:

dalla “terra oscura senza peccato e senza redenzione” al luogo dell’anima..........................................................p.9

2.1. La Basilicata come “terra oscura senza peccato e senza redenzione”...................................................................p.12 2.2. Matera e il filone biblico............................................................p.17 2.3. La Basilicata come luogo dell’anima..........................................p.21

3. Gli Itinerari cinematografici............................................p.25 3.1. Basilicata coast to coast.............................................................p.27 3.2. Matera film locations.................................................................p.36 3.3. Vulture in cinema.......................................................................p.44 Bibliografia.........................................................................................p.49


1.


il cinema in basilicata


6 La Basilicata è sempre stata terra di cinema, offrendo le sue location alle produzioni cinematografica a partire dal secondo dopoguerra. Sino ad oggi sono stati girati più di quaranta film sul suolo lucano, appartenenti a diversi generi cinematografici e che hanno proposto differenti immagini della regione. La maggior parte delle produzioni ha utilizzato le location materane dei Sassi e della Murgia che, per la loro affascinante scenografia e particolare morfologia, sono diventati il principale attrattore cinematografico. Un posto rilevante, comunque, è riservato anche ad altri luoghi sulla costa e nell’entroterra che, come vedremo, sono state scelte da prodotti cinematografici più vicini all’identità reale della Basilicata. In particolare, bisogna ricordare la fortuna cinematografica di Craco, paese disabitato dal 1963, che è stato utilizzato in molti film per la sua atmosfera suggestiva.


I film girati in Basilicata Passannante di Sergio Colabona, 2011 Un giorno della vita di Giuseppe Papasso, 2011 Basilicata Coast to Coast di Rocco Papaleo, 2010 Mineurs di Fulvio Wetzl, 2007 The Nativity Story di Catherine Hardwicke, 2006 The Omen Il presagio di John Moore, 2006 Il Rabdomante di Fabrizio Cattani, 2005 The Passion of the Christ di Mel Gibson, 2003 Io non ho paura di Gabriele Salvatores, 2002 Ogni lasciato è perso di Piero Chiambretti 2000 Terra Bruciata di Fabio Segatori, 1999 Del perduto Amore di Michele Placido, 1998 L’ Uomo delle Stelle di Giuseppe Tornatore, 1995 Il sole anche di notte di Paolo e Vittorio Taviani, 1990 King David di Bruce Beresford, 1985 Tre Fratelli di Francesco Rosi, 1981 Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi, 1979 Volontari per destinazione ignota di Alberto Negrin, 1978 L’Albero di Guernica di Fernando Arrabal, 1975 Qui comincia l’avventura di Carlo di Palma, 1975 Il tempo dell’inizio di Luigi Di Gianni, 1974 Allonsanfan di Paolo e Vittorio Taviani, 1974 Anno Uno di Roberto Rossellini, 1974 Il decamerone nero di Piero Vivarelli, 1972 Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci, 1972 C’era una Volta di Francesco Rosi, 1967 Made in Italy di Nanni Loy, 1965 Il vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, 1964 Il Demonio di Brunello Rondi, 1963 Gli anni Ruggenti di Luigi Zampa, 1962 La Vedovella di Silvio Siani, 1962 Italia ’61 di Jan Lenica, 1961 Viva l’Italia! di Roberto Rossellini, 1961 A porte chiuse di Dino Risi, 1960 La nonna Sabella di Dino Risi, 1957 La Lupa di Alberto Lattuada, 1953 Le due sorelle di Mario Volpe, 1950 Nel mezzogiorno qualcosa è cambiato di C. Lizzani, 1949

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Metamorfosi del paesaggio filmico lucano: dalla “terra oscura senza peccato e senza redenzione” al luogo dell’anima.


10 Il paesaggio (con la storia, i personaggi e la colonna sonora) è uno degli elementi essenziali del prodotto filmico. Parlando di paesaggio, intendiamo la scenografia naturale, reale o parzialmente ricostruita, che di solito è possibile vedere in un film. Senza voler approfondire il discorso sul rapporto tra paesaggio e arte, che richiederebbe ben altra trattazione, è necessario chiarire che esso diventa tale solo nel momento in cui è inquadrato da uno sguardo; e tale sguardo non è un puro atto fisiologico, ma si tratta di un’operazione di portata culturale in cui i simboli, i miti e le credenze giocano un ruolo forte. In questo senso, è emblematica una delle definizioni classiche del paesaggio che lo indica come “natura percepita attraverso una cultura” (D’Angelo 2010, p. 12). Analogamente, Turri (1998) sostiene che il paesaggio non può essere considerato un’entità a sé, ma, è portatore di un’identità determinata dall’attività umana; sulla stessa linea, Assunto considera il paesaggio come «natura nella quale la civiltà rispecchia se stessa, immedesimandosi nella sue forme» (Assunto 1999, p. 365). Secondo tale prospettiva, guardare è interpretare e rappresentare e, in questo senso, non si tratta più solo di un atto individuale e indipendente, ma di un’operazione vincolata alla società di appartenenza e, dunque, al suo sistema di valori. E’ per questo che lo stesso territorio può dar vita a paesaggi differenti, cioè a rappresentazioni differenti dello stesso pezzo di territorio (Raffestin, 2005). E’, quindi, plausibile ipotizzare che non esiste “un paesaggio” ma “dei paesaggi”, proprio perchè le percezioni sono numerose e diverse le une dalle altre. Le arti figurative, la fotografia, la letteratura, i media, il cinema permettono questa rielaborazione e rappresentazione del paesaggio contribuendo, al tempo stesso, a fissarne alcuni caratteri principali. Da quanto fin’ora detto emerge come i prodotti di uno sguardo non siano e non possano essere fotocopia della realtà, ma una sua rappresentazione; il paesaggio è, dunque, una rappresentazione che si situa all’incrocio tra un’impostazione oggettiva della realtà materiale e un orientamento percettivo e soggettivo dello sguardo. Proprio perchè l’arte contribuisce alla formazione del paesaggio, organizzando visivamente il suo aspetto, D’Angelo sottolinea l’origine pittorica del termine di modo che «il paesaggio reale sia stato percepito e concettualizzato come la proiezione sulla natura di quello che la pittura ci ha insegnato a vedere» (D’Angelo 2010, p. 16). Da questo punto di vista, tutta la riflessione premoderna sull’arte ha visto in essa il canale di produzione dei paesaggi, determinandone anche la percezione che abbiamo di essi. Con la modernità, proprio per via della “storicità” del paesaggio, così come definita da Assunto (1999), intesa nella sua duplice valenza di luogo in cui è impressa l’azione umana e che si caratterizza attraverso una percezione mediata culturalmente, vi è un sostanziale cambiamento rispetto al passato. In uno dei pochi saggi dedicati al rapporto tra cinema e paesaggio, Bernardi (2002) evidenzia come il paesaggio nella modernità non è più considerato come un luogo associato alla contemplazione distante, ma diventa un campo di esperienze o, addirittura, di dominazione dell’uomo sulla natura. Ed è proprio in questo senso che risulta interessante guardare al cinema come principale interprete di questo cambiamento. Terrone sottolinea


come il film, oltre a comportarsi come agente storico e quindi capace di influenzare la nostra concezione del passato, può avere il valore anche di agente geografico: dà rilievo al rapporto tra uomo e ambiente e così facendo «modifica le concezioni e le configurazioni del territorio» (Terrone 2010, p. 14). In altre parole, il cinema annulla la distanza che la pittura aveva prodotto tra il paesaggio e l’osservatore che lo percepisce, per entrare al suo interno e scrutarlo nei minimi dettagli. A differenza del gesto del pittore, che cercava di cogliere la totalità del paesaggio, la cinepresa penetra in esso, offrendo allo spettatore quello che Benjamin definisce come una realtà “multiformemente frammentata”1 (Benjamin 1966, p. 38). Secondo Benjamin, la rivoluzione del cinema è paragonabile a quella psicoanalitica: come quest’ultima ha liberato l’inconscio, così la prima ha enormemente approfondito la sensibilità ottica. Come vedremo per il caso della Basilicata, il cinema offre vari modi di percepire il paesaggio, mostrando sempre nuovi aspetti e alimentandone le interpretazioni. Il paesaggio della Basilicata è stato rappresentato nel cinema in differenti modi; come abbiamo già detto, Matera e, in particolar modo i Sassi, sono di gran lunga le location più utilizzate e, allo stesso tempo, i paesaggi più rappresentati e rappresentativi della filmografia lucana. Si possono distinguere alcune tendenze dominanti di rappresentazione cinematografica del paesaggio lucano. Innanzi tutto vi è una tendenza a una rappresentazione piuttosto realistica della terra lucana, mostrata soprattutto nella sua condizione di miseria e arretratezza e figlia della riflessione intellettuale sulla questione meridionale. Questa “terra oscura senza peccato e senza redenzione” su cui Carlo Levi ha richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica impegna soprattutto la filmografia degli anni ‘60 e ‘70 ed ha recenti riecheggi in “Del Perduto Amore” di Placido e “Un giorno nella vita” di Papasso. C’è, poi, un’altra tendenza cinematografica che interessa soprattutto Matera e che vede in essa un intrinseco valore di spiritualità religiosa. Dagli anni ‘60 ad oggi possiamo dire che si è venuto a costituire un filone biblico della filmografia “lucana”; quattro

1 «Il pittore osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato, l’operatore invece penetra profondamente nel tessuto dei dati. Le immagini che entrambi ottengono sono enormemente diverse, Quella del pittore è totale, quella dell’operatore è multiformemente frammentata, e le sue parti si compongono secondo una nuova legge.» (Benjamin 1966, p. 38).

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12 produzioni importanti, dal “Vangelo” di Pasolini a “King David”, da “The Passion” di Mel Gibson a “The Nativity Story” sono state realizzate tra i Sassi e la Murgia. Infine, soprattutto negli ultimi anni, è riscontrabile un nuovo modo di intendere il paesaggio lucano; allontanato lo sguardo dai problemi sociali della regione, emerge, invece, un’interpretazione molto più intima di tale paesaggio, inteso come un luogo dell’anima. Di tale recente visione, “Basilicata coast to coast” sembra esserne il compimento.

2.1. La Basilicata come “”terra oscura senza peccato e senza redenzione” Come abbiamo detto, una vasta riflessione, da Levi a De Martino, ha posto l’attenzione sui problemi della Basilicata che, negli anni ‘60, appariva come una regione ancora molto arretrata sia da un punto di vista economico che culturale. Il cinema ha cercato di portare sul grande schermo questa riflessione, mostrando quella “terra oscura senza peccato e senza redenzione” così come è definita nel romanzo di Levi (Levi 1945, p.4). In questo senso, è naturale che la trasposizione cinematografica di “Cristo si è fermato a Eboli” sia l’opera più rappresentativa di questo modo di vedere il paesaggio lucano. Il film di Rosi, insieme a “Il Demonio” e “Del perduto amore” offre uno spaccato veritiero di quello che era la Basilicata dagli anni ‘30 agli anni ‘60. Il film di Rosi è sicuramente uno dei prodotti artistici più rappresentativi dell’identità lucana e racconta con verismo un pezzo di storia della Basilicata. Tratto dal libro omonimo di Carlo Levi, a metà tra romanzo e saggio, racconta l’esperienza di confinato vissuta da Levi stesso durante l’epoca fascista nel paese di Aliano. Durante i due anni trascorsi in esilio Levi, medico progressista torinese, ebbe l’occasione di entrare in contatto con la civiltà contadina e arcaica lucana, così lontana dalla sua cultura, che osservò con meticolosa attenzione e che lo colpì profondamente. Di trarre un film da quell’esperienza se ne parlò sin dagli inizi degli anni ‘602 e tuttavia, bisognerà attendere la fine degli anni ‘70, quando ormai Levi è scomparso, per la realizzazione del progetto in duplice versione: una più lunga, di circa quattro ore, realizzata per la televisione e una ridotta per il cinema. Nel “Cristo si è fermato a Eboli” di Rosi il paesaggio lucano è il vero protagonista della vicenda all’interno del quale si muove il protagonista come un “personaggio spettatore” (Mancino, Zambetti 1997, p. 122). Come già succede nel romanzo, e forse ancora di più, vi è un eclissarsi dell’autore e del personaggio in favore del paesaggio e del contesto sociale in cui si muove. Da un punto di vista stilistico, il regista cerca di mantenere lo stesso approccio del romanzo: in parte racconto, in parte trattato etnografico. La vicenda personale dell’esule passa spesso in secondo piano ed emerge la realtà contadina e profondamente rurale della Basilicata degli anni ’30. La cinepresa segue Levi lungo le strette vie del paese mettendo in atto quel pedinamento del personaggio, mutuato dal neorealismo, come se la storia sia un semplice pretesto per raccontare la realtà di quei luoghi. Come ha sottolineato Rondolino (1996), campi e controcampi, ovvero


Levi/Volontè e i contadini, segnano il ritmo del film, che un continuo alternarsi di soggettive e oggettive. L’uso inconsueto di inquadrature dal basso, poi, rimanda metaforicamente alla durezza della vita ad Aliano, alla sua impervietà esistenziale. Durante le lunghe passeggiate del protagonista emerge la Lucania dove “Cristo non è mai arrivato, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia” (Levi, 1945, p.3). Tutti gli sforzi tecnici sembrano confluire nell’esigenza di trasmettere allo spettatore l’atmosfera autentica di quel mondo: l’onnipresenza di animali nelle inquadrature, l’incipit di ogni sequenza con una scena di lavoro nei campi, il chiacchiericcio, i fruscii e i versi degli animali come colonna sonora principale. Come ha sottolineato Bolzoni (1986), però, non vi è in questo film alcun cedimento alla nostalgia per un mondo contadino che non esiste più anzi, l’attenzione a questa realtà risulta sempre molto controllata e sobria3. Ancora Rondolino (1996) sottolinea come questa sobrietà stilistica sia una scelta morale che, del resto, è presente in gran parte della filmografia rosiana e rappresenta la sua cifra stilistica. Per Rosi, Il film è l’occasione per aggiungere un altro tassello alla “questione meridionale” a cui ha dato molto spazio nella sua carriera registica. Interessante è notare che dal film emerge un ritratto autentico del paesaggio con la sua vita ciclica, legata alla terra e alla natura, immersa in una tradizione pagana e antimodernista; e tuttavia, “Cristo si è fermato a Eboli”, la cui storia è ambientata ad Aliano, è stato girato soprattutto a Craco, la cui scenografia da paese abbandonato era più adatta a ritrarre la Basilicata degli anni ’30. In questo senso la tendenza realista del film, pur facendo ricorso ad alcuni artifici, sta proprio nell’obiettivo di una rappresentazione piuttosto fedele o autentica di quella che era la vita dei lucani negli anni ‘30 vista dagli occhi di un medico torinese. Anche “Il Demonio” di Brunello Rondi ha come obiettivo quello di offrire un ritratto autentico della Basilicata, soprattutto in riferimento a quel “mondo magico” che circondava la realtà lucana degli anni ‘60. A metà strada tra storia

2 In un recente libro-intervista, Rosi racconta che Levi venne a trovarlo sul set del suo “Salvatore Giuliano” nel 1962, cercando di capire se il regista fosse la persona giusta per portare al cinema il suo romanzo. Lo stile poetico di Rosi, che seguendo la tradizione neorealista, tendeva più alla rappresentazione del paesaggio che alla storia, era piuttosto vicino all’anima del romanzo. Levi, che non aveva concesso i diritti del suo romanzo a molti registi interessati, sembrava propendere per Rosi (“Non posso dire che mi disse un sì esplicito, ma diciamo che da quelle chiacchierate capii che prima o poi ce l’avrei fatta”) (Rosi, Tornatore, 2012, p. 340). 3 Interessante notare come nel 1981 Rosi tornerà per una nuova produzione, “Tre Fratelli”, in cui di fronte all’incupirsi dei tempi moderni emerge la nostalgia per un mondo contadino di cui la Basilicata sembra ancora conservarne alcuni tratti. Il film che vede tra gli interpreti principali Philippe Noiret, Michele Placido e Vittorio Mezzogiorno, traslando il racconto russo “Il Terzo Figlio” di Platanov nel meridione, mette a confronto la realtà contadina e alcuni problemi dell’attualità. I tre fratelli protagonisti del film tornano nel loro paese d’origine per la morte della madre; il ritorno nei luoghi della propria infanzia diventa così l’occasione per riflettere sul proprio presente e confrontarsi sulle proprie scelte di vita. Ambientato a Matera e in altri luoghi della Basilicata, tutti però ben poco visibili e riconoscibili, la storia segue parallelamente la nostalgia del padre per un mondo contadino ormai perduto e il momento di smarrimento che vivono i figli davanti alle sfide del terrorismo e della modernità.

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14 drammatica e documentario, il film racconta i riti contro il malocchio, gli esorcismi, le superstizioni, che hanno ispirato anche alcuni documentari del regista Luigi Di Gianni4. Interamente girato in Basilicata, il film è stato realizzato tra Matera, Miglionico e l’abbazia di Montescaglioso. Fonte di ispirazione sono le “spedizioni” condotte da Ernesto De Martino in Basilicata, alla ricerca di riti pagani che avevano integrato la vulgata cristiana. Senza voler approfondire in questa sede un argomento troppo vasto, ci basta sapere che De Martino vedeva nelle pratiche magiche lucane non semplicemente degli eventi folkloristici, ma una importante funzione di protezione dell’’individuo dalla negatività che la realtà poteva riversargli contro5. In quel particolare contesto storico e culturale, i riti e le pratiche magiche aiutavano i lucani a metabolizzare gli eventi negativi che investivano le loro esistenze, imputandone la colpa a una presenza maligna che, tramite procedure ben definite, poteva essere allontanata. Ed è proprio su questo tema che si forma l’ossatura drammatica de “Il Demonio”: la protagonista, Purificata, non riuscendo a superare una delusione d’amore, cade nella “fascinazione”. La fascinazione, o la possessione, rappresenta il momento di stallo in cui si trova Purificata che non riesce ad accettare il fatto di essere stata lasciata; ma, allo stesso tempo, è il modo in cui incomincia a intraprendere un percorso interiore per identificare la negatività che c’è dentro di lei e espellerla attraverso l’esorcismo. E il percorso di liberazione da questo male, che però la condurrà a una fine tragica, è un paesaggio di riti liberatori, pratiche magiche, esorcismi, lamenti funebri che il regista inserisce all’interno della narrazione con intento quasi documentale. Un paesaggio magico che mostra con nettezza la distanza della terra lucana dal progresso e da quel boom economico che veniva vissuto in altre zone d’Italia. “Del Perduto Amore” è l’ultimo film di questa “trilogia realistica” del paesaggio lucano. Girato nel 1998 a Irsina e Ferrandina ma ambientato negli anni ‘50, racconta la storia di una giovane comunista, che nella realtà di provincia si batte per rendere le donne partecipi della vita sociale e politica. Il film è liberamente ispirato alla vera esistenza di Liliana Rossi, morta all’età di 24 anni, dedicata agli altri, insegnando a leggere e scrivere alle ragazzine che il lavoro nei campi strappava dalla scuola, assistendo i vecchi abbandonati, comunicando alle donne la possibilità di dare un significato diverso alla loro esistenza. La determinazione di questa giovane ragazza, interpretata da Giovanna Mezzogiorno, racchiude nel tragico finale un’epifania che, come vedremo, allo stesso tempo continua e supera quella rappresentazione del paesaggio senza peccato e senza redenzione di ispirazione leviana. Anche qui, quello che emerge è la difficile condizione della provincia in cui domina il bigottismo e una visione del mondo ideologicamente orientata. Rispetto agli altri due film, però, vi sono due differenze fondamentali: è meno rappresentativa della Basilicata e più del meridione in genere (in cui una ragazza dalle idee progressiste fatica a trovare


spazio in una società maschilista e autoritaria) e poi, nel finale tragico in cui la protagonista muore, rimane la speranza di un cambiamento della situazione sociale. Soprattutto questo secondo aspetto è da approfondire. Infatti, alla scena della morte di Liliana segue un correre lungo le strade di donne e bambine vestite di bianco che, in un certo senso, si riprendono il paese. Tutto l’impegno politico di Liliana, infatti, era orientato nel dare un’istruzione alle bambine che non andavano a scuola e, più in generale, a esortare le donne a partecipare alle vicende politiche del proprio paese e a non restare chiuse in casa sotto il giogo dei propri mariti. Così il film si chiude con l’omaggio in bianco di tutte le donne dei paese alla bara di Liliana, a cui il prete chiude la porta della chiesa e nega la messa funebre per via della condotta eterodossa della ragazza. Ma è bene sottolineare, come scrive Nazzaro (1995), che non si tratta di un film ideologico che contrappone lo scontro tra la visione comunista e quella democristiana; l’approccio di Liliana, seppur sostenuto da alcune idee fortemente progressiste, è soprattutto affettivo verso le sue allieve e di difficile comprensione non solo per il tradizionalismo democristiano ma anche per il rivoluzionarismo ingessato del pci stalinista. In questo senso, la morte di Liliana non è stata vana, come non lo è stato il suo modo di operare il quella realtà così difficile; il regista Placido offre quindi allo spettatore la speranza di un cambiamento, di una provincia lucana che tende al progresso. Tuttavia, come ha notato Nazzaro (1995), il film è un lungo flashback del protagonista, Gerardo, che da bambino aveva seguito la vicenda di Liliana. Tale considerazione è importante perchè l’uso del flashback serve a marcare un punto di vista (quello di Gerardo) che, chiaramente, non corrisponde alla realtà delle cose ma solo a un’interpretazione. La Liliana che vediamo è quella che vede Gerardo e quindi, inevitabilmente nella sua visione positiva. Una visione analoga della società lucana è espressa dal film “Un Giorno della Vita” (2011) di Papasso, a cui può essere riconosciuta una certa continuità con il film di Placido. Come succedeva per Liliana, anche la passione di Salvatore per il cinematografo (come per Liliana

4 Tra i vari documentari realizzati, bisogna ricordare “Magia Lucana”, “Nascita e morte nel meridione”, “Pericolo a Valsinni”, “Viaggio in Lucania”. 5 «In queste condizioni di labilità della presenza si innesta la funzione protettiva delle pratiche magiche. La magia lucana è un insieme di tecniche socializzate e tradizionalizzate rivolte a proteggere la presenza dalla crisi di “miseria psicologica e a ridischiudere mediante - cioè in virtù di tale protezione - le potenze operative realisticamente orientate (...) Pur entro questo questo regime protetto di esistenza, si reintegra il bene fondamentale da proteggere, cioè la presenza individuale, la quale attraversa il momento critico o affronta la prospettiva incerta ridischiudendosi di fatto ai comportamenti realistici e ai valori profani che la crisi senza protezione magica avrebbe, nelle condizioni date, compromesso» (De Martino 1959, pp. 71-73).

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16 era l’insegnamento) sembra non essere compresa dal padre comunista, particolarmente chiuso nelle sue idee. Sullo sfondo del racconto, infatti, vi è la Basilicata degli anni ‘60 e lo smarrimento vissuto nella sezione del Partito Comunista di Melfi per la morte di Palmiro Togliatti. Come già era successo a Liliana, anche per Salvatore la vita di provincia sembra essere strozzata dalla contrapposizione ideologica: da una parte il fronte rivoluzionario e comunista dall’altro quello conservatore della chiesa. In questa logica binaria, a Salvatore non è concessa alcuna deviazione (cinematografica). Infine, vale la pena ricordare un altro film che, anche se non è stato realizzato in Basilicata, ne evoca continuamente il suo paesaggio: “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti. Il film, girato nel 1960, è considerato ancora oggi uno dei capolavori della storia del cinema italiano. Frutto di un interessante connubio tra la forza narrativa de “I Malavoglia”, al quale si ispira, e l’attenzione al contesto lucano di Levi e Scotellaro6, il film racconta la dolorosa vicenda di una famiglia lucana emigrata a Milano. Originariamente, Visconti e i suoi sceneggiatori avevano pensato a un lungo prologo da girare in Basilicata: la morte del capofamiglia dei Parondi spinge i figli e la moglie alla decisione di trasferirsi al nord; la bara del padre viene gettata nel Mar jonio, la terra venduta e il protagonista Rocco (Alain Delon) dice addio alla sua fidanzata. Di tale idea originaria, però, nulla è rimasto e il film comincia direttamente con l’arrivo della famiglia Parondi alla stazione di Milano. In questo modo il film, invece di rendere invisibile il paesaggio lucano o paradossalmente proprio perchè non lo mostra, fa di esso una presenza importante della sua struttura narrativa. Come sostiene Canova (2000), infatti, il paesaggio lucano è continuamente evocato con nostalgia nei racconti e nei discorsi oppure negli interni delle case degli emigrati, nei loro vestiti, nei loro modi di fare7. Secondo Canova, la scelta di non mostrare il prologo lucano va messa in rapporto a quella di lasciare fuori anche l’epilogo dell’ingresso in fabbrica di Ciro, l’unico della famiglia che è riuscito a integrarsi a fronte del fallimento sia di Rocco che di Simone. I due momenti sono, quindi, volutamente lasciati fuoricampo perchè rappresentano i due momenti dell’integrazione; quella iniziale lucana, a cui si guarda con nostalgia e quella finale milanese, conquistata con grande sofferenza. Quello che interessa al regista è, invece, il momento di transito dall’una all’altra condizione, vissuta dai protagonisti come una lotta per la sopravvivenza di verghiana memoria. In questo senso, è chiaro come la Basilicata è molto più presente nel film nel suo essere assente, paesaggio evocato con nostalgia, il cui abbandono viene pagato dalla famiglia Parondi ad un prezzo molto alto. Analogamente, è interessante considerare anche il film “I Basilischi” (1963), opera prima di Lina Wertmuller che, benchè girato soprattutto in Puglia, fa riferimento anche alla Basilicata e, in particolare, a Palazzo San Gervasio di cui la regista è originaria da parte di padre. Il film racconta il contesto lucano in modo ironico e aggiunge un elemento nuovo: se negli altri film veniva messo in luce l’arretratezza della Basilicata, in questo caso viene considerata la mancanza di prospettive come pratica


autocastrante di una certa gioventù. Ispirandosi alle nuove tendenze della commedia all’italiana dell’epoca (soprattutto quella di Pietro Germi) che aveva incominciato a trattare satiricamente alcuni atteggiamenti culturale del meridione, il film racconta la beata inerzia di due ragazzi di provincia, dove la mancanza di prospettive future offre la giustificazione sufficiente per non affrontare la vita. Come lucertole ferme al sole (i basilischi, appunto) tra «il mito della fuga verso la metropoli» e «l’erotismo verbale» (Miccichè), il film racconta i figli di una classe media meridionale indifferente alla propria condizione e volutamente privi di progettualità futura.

2.2. Matera e il filone biblico

Vi sono film, poi, in cui la Basilicata presta le proprie location per rappresentare altri luoghi. In questo caso, il film non ha l’obiettivo di ritrarre realisticamente la Basilicata ma utilizza il paesaggio lucano per ambientarvi storie che non appartengono alla sua identità culturale. é il caso, ad esempio, di due film come “La Lupa” di Alberto Lattuada e “L’uomo delle stelle” di Giuseppe Tornatore in cui i Sassi di Matera diventano un piccolo paese siciliano. In entrambi i casi, la scelta di ambientare tutto o parte del film nello scenario materano è determinato dalla particolare atmosfera che esso riesce a trasmettere. “La Lupa”, in particolare, trasposizione cinematografica dell’omonima novella di Giovanni Verga del 1953, è il primo film interamente girato nei Sassi; racconta la storia di una donna dalla sessualità prorompente, incarnata dal corpo voluttuoso dell’attrice Kerima che semina scandalo in un piccolo paese siciliano. Secondo Lattuada a Matera «le voragini spalancavano sotto i piedi dei personaggi qualcosa di terrificante, di grave; insomma, un peso violento, un impatto» (Cosulich 1985, p. 58). In altre parole, secondo il regista, il paesaggio materano possiede qualcosa di intimamente drammatico, capace di dare al film un’atmosfera che non aveva trovato in altri luoghi. Del resto, come vedremo, è opinione condivisa di molti registi che hanno girato a Matera, che

6 È lo stesso regista Visconti a riconoscere questa duplice influenza: da una parte c’era l’idea di creare una storia drammatica che si ispirasse a “I Malavoglia” di Verga (che del resto il regista aveva già utilizzato per “La terra trema”) e dall’altra la scelta del contesto lucano derivava proprio dalla lettura di Carlo Levi e di Rocco Scotellaro (Fofi, 2010). 7 Gli interni delle abitazione sono rivestiti di cesti di vimini, di utensili di rame, di collane d’aglio, di statue di San Rocco; sulle pareti le foto dei familiari con i vestiti tipici, le immagini dei santi ecc.. (Megale 2003). Un lavoro molto accurato per riprodurre questo “paesaggio interno” lucano è stato compiuto da Visconti e i suoi collaboratori. Del resto Visconti, aristocratico milanese, per calarsi nella realtà lucana aveva compiuto un lungo viaggio in Basilicata alla fine degli anni ‘50.

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18 l’autenticità, l’asprezza del paesaggio siano prettamente cinematografica e capace di dare una particolare valore alle produzioni. Come abbiamo visto, infatti, se da una parte il paesaggio viene utilizzato dalle produzioni cinematografiche per via delle sue caratteristiche, dall’altra il paesaggio si carica dei significati emersi dal film. In questo senso, è interessante considerare come abbia avuto particolarmente successo l’ambientazione nei Sassi di racconti cinematografici tratti dalle sacre scritture. La creazione di un “filone biblico” a Matera, determinato dalla particolare conformazione de I Sassi, ha però anche dotato il paesaggio materano di una particolare atmosfera mistica, al punto che possiamo parlare di una sorta di paesaggio religioso materano. Possiamo rintracciare ne “Il Vangelo secondo Matteo” (1964), che ha inaugurato tale filone, il punto di incontro e di passaggio tra le due tendenze “paesaggistiche” fin ora trattate: il paesaggio di miseria e quello religioso. Pasolini, infatti, non sceglie Matera in quanto somigliante a Gerusalemme, ma perché è rappresentativa del contesto socioeconomico del sud d’Italia. Non è un caso, infatti, che originariamente il regista aveva pensato di girarlo nei luoghi reali in cui si era svolta la storia di Gesù ma, dopo alcuni sopralluoghi (che diventeranno un reportage dal titolo “Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo”), decise di girarlo in Italia. Il film, realizzato nel 1964 tra Lazio, Puglia e Basilicata, trova nelle location materane le scene più importanti e destinate a rimanere nella storia del cinema: I Sassi diventano la Gerusalemme della predicazione cristiana e della via crucis mentre la Murgia materana è il luogo della crocefissione e della resurrezione del Cristo. Un posto importante nel film è riservato anche a Barile, dove sono ambientate le scene riguardanti la natività e la strage degli innocenti. L’idea principale, confermata da Murri (2003), è che la riconoscibilità del paesaggio lucano permetta di smitizzare la vicenda di Cristo lasciandone però intatto il valore del messaggio. Così se da una parte c’è l’intenzione autentica di sottolineare la forza rivoluzionaria del messaggio cristiano e ricollegarla a un generale senso del sacro, dall’altra è presente la necessità di rispondere all’urgenza di una critica all’autorità e all’istituzione religiosa. In questo senso, la purezza del messaggio cristiano deve far emergere la non purezza della Chiesa e della borghesia. Ancora Murri (2003) sottolinea come nel film si alternano primi piani di Cristo che diffonde il messaggio divino con campi lunghi in cui emerge l’arretratezza in cui versa la Basilicata e, più in generale, il meridione. La macchina da presa si allontana dal protagonista per inquadrare i paesaggi, i volti scavati, alcuni dettagli, con la stessa attenzione dimostrata da Pasolini nei suoi precedenti film sulle borgate romane8. I due piani della narrazione, che possiamo chiamare “divino” e “sociale”, rimangono separati all’interno del film senza possibilità di conciliazione dimostrando come, secondo Pasolini, il messaggio cristiano sia in epoca contemporanea ancora inascoltato. Ed è proprio in questo senso che, secondo Ferrero (2005), la scelta del contesto lucano serve a mettere in rapporto il messaggio cristiano con la questione meridionale in modo tale che tale messaggio non appaia vano e decontestualizzato ma ne metta in luce le criticità. Matera, quindi, ma anche


Barile, portano all’interno del film non solo la loro conformazione fisica ma anche la situazione sociale. In questo senso, il tentativo compiuto dal film è quello di far emergere l’immagine autentica di una regione anche se raccontando una storia che non le appartiene. Il film ha avuto una gestazione piuttosto lunga e non mancarono discussioni animate durante la sua realizzazione; per il ruolo di intellettuale trasgressivo che Pasolini si era ritagliato con i suoi primi film e le opere letterarie, vi era molto timore sul modo in cui avrebbe trattato l’argomento. Vale la pena ricordare che nel 1963, un anno prima dell’uscita de “Il Vangelo”, Pasolini aveva realizzato un mediometraggio dal titolo “La Ricotta”9 che gli aveva causato una condanna per vilipendio alla religione di Stato. “Il Vangelo secondo Matteo”, però, si rivelò un film molto fedele al testo sacro, capace di scontentare gli amici comunisti e di trovare alleati, invece, nella stampa cattolica a tal punto da ricevere il premio Office Catholique International du Cinema. Differente, invece, è il caso di “The Passion of the Christ” (2004), versione hollywoodiana realizzata da Mel Gibson. Gli esterni del film sono stati girati a Matera e a Craco. Il film, che racconta la passione di Cristo dal invocazione nel giardino dei Getzemani alla resurrezione, ha dato una grande visibilità internazionale ai Sassi di Matera, in cui si svolge la cruenta via crucis di Cristo. Come era già avvenuto per “Il Vangelo secondo Matteo”, il film si conclude sulla Murgia Materana, luogo utilizzato per rappresentare il Golgota dove avviene la crocefissione Come ha sottolineato Baugh (2004), se il film di Pasolini è un film ascetico, fatto di piccoli movimenti di macchina e scandito da musica classica, quello di Gibson punta sugli effetti visivi, sulla virulenza delle immagini e su una regia molto più “spettacolare”. In questo senso, si potrebbe dire che se Il Vangelo di Pasolini rappresenta la teologia della gioia, la Passione di Mel Gibson è la teologia dell’espiazione (Baugh 2004). Come abbiamo già detto, e confermato da quanto ha scritto Royal (2004), l’obiettivo del film è quello (ancora più di Pasolini a cui è stata riconosciuta una certa vicinanza al testo) di una fedeltà al

8 Scrive Ferrero: “I volti, il paesaggio petroso, gli strumenti di lavoro: il mito è calato in un paesaggio concreto” (Ferrero 2005, p. 58). 9 Si tratta di un episodio all’interno del film collettivo “Rogopag” in cui Pasolini mette in scena una troupe cinematografica alle prese con un film sulla Passione di Cristo; il regista del film, durante la scena della crocifissione, scopre la morte dell’attore, che recita il ruolo del ladrone buono, per indigestione di ricotta.

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20 racconto evangelico della Passione di Cristo. Da questo punto di vista, è da considerare non solo la scelta di utilizzare l’ebraico, l’aramaico e il latino, piuttosto insolita per un film biblico ma, soprattutto, di seguire da vicino e lungamente la via crucis in modo da mettere in risalto la sofferenza del Cristo. Per questo motivo, sempre secondo Royal, la violenza mostrata non è assolutamente gratuita ma rientrerebbe nell’economia di una narrazione che vede proprio in quel dolore visibile la chiave interpretativa della vicenda di Cristo. Ovviamente in questo film, l’aspetto sociale del Vangelo di Pasolini non può avere luogo. Matera è stata scelta proprio per la sua somiglianza con Gerusalemme o, ancora di più, nella logica di mostrare la passione in tutta la sua autenticità e verosimiglianza e, quindi, per la possibilità di esprimere al meglio l’effetto scenico10. Le strette vie dei Sassi, le scalinate, diventano teatro di questo racconto: il corpo martoriato del Cristo si accascia continuamente sui gradini polverosi, il suo sangue macchia la pietra bianca. Il punto massimo della narrazione si ha nella scena dell’arrivo sul Monte Golgota quando il Cristo, piegato dal peso della croce, si inerpica sulla roccia della Murgia materana. Qui la cinepresa indugia ancora molto, con scene particolarmente cruente, sulla sofferenza del Cristo; ma, allo stesso tempo, essa, posizionata dalla Murgia verso Matera, si apre al paesaggio mostrando una parte dei Sassi posizionati appena sopra la croce. È il passaggio in cui il film esprime metaforicamente la chiave della mitologia cristiana: attraverso la sofferenza, il Cristo si prende carico dell’intera umanità per redimerla. Il paesaggio materano è chiamato a sottolineare questo momento, confermando il suo importante ruolo all’interno della narrazione. In modo analogo lo fa “King David”, una imponente produzione diretta da Bruce Beresford e interpretata da Richard Gere sulla storia di Davide re d’Israele, e, soprattutto, “The Nativity Story”, che però predilige la Murgia materana, il cui sfondo petroso e di natura arida contestualizza bene le difficoltà di Giuseppe e Maria nel portare alla nascita un figlio così importante per la storia umana.

2.3. La Basilicata come luogo dell’anima Negli ultimi anni, il cinema sembra aver esaurito la rappresentazione realista della Basilicata e l’attenzione verso i problemi del sud; emerge, invece, la tendenza a vedere la Basilicata come un luogo dell’anima, ovvero come un posto in cui dare spazio a un percorso personale. Il cinema stringe sui personaggi, mostrandone il processo interiore, le vicende intime e spesso il paesaggio lucano è chiamato ad aiutare la struttura narrativa a esprimerle al meglio. Un primo esempio di questo modo di utilizzare il paesaggio si può trovare nel film di Paolo e Vittorio Taviani “Il Sole anche di Notte” (1990). In quest’opera il contesto storico relativo al regno borbonico rimane sullo sfondo, quasi a essere solo il pretesto per raccontare la storia. Il protagonista, un barone lucano, mette presto da parte le sue aspirazioni riposte nella carriera militare e in un matrimonio che gli avrebbe aperto le porte dell’aristocrazia che conta


per dedicarsi alla ricerca della purezza interiore. è a questo punto che il paesaggio lucano si ritaglia uno spazio importante all’interno della narrazione: il barone decide di tornare a casa e isolarsi in una casetta sperduta. Lì il paesaggio arido si raccoglie intorno al protagonista e diventa lo scenario ideale in cui raggiungere Dio. La vita del frate barone è scandita dal lento corso della natura, dal passaggio saltuario di pastori con il gregge che rappresentano l’unica testimonianza di un’umanità da cui si è emarginato. Non è un caso quindi, se le scene girate a Matera si limitano a un terrazza e un cortile interno, lasciando invisibili i Sassi. Non è il paesaggio urbano, della civiltà a interessare, ma quello dei grandi scenari naturali. Il suo isolamento è, però, turbato da incursioni occasionali di curiosi che tolgono spazio al paesaggio; e tale isolamento ne accresce il mito così da attirare tanta gente alla ricerca di un possibile miracolo. Il paesaggio naturale comincia così a riempirsi di uomini, donne che, in un certo senso, lo occupano. Il protagonista è diventato un’attrazione, con la complicità della Chiesa che vuol sfruttarne l’immagine, e a lui non resta che migrare altrove. Lo scenario naturale è al centro anche di “Io non ho Paura” di Gabriele Salvatores, girato nel 2002 nella zona del vulture melfese. Gli immensi campi di grano di un giallo abbagliante, che si dividono l’inquadratura soltanto con l’azzurro del cielo, sono teatro della vicenda di Michele e del suo percorso di maturazione: il piccolo protagonista, infatti, scopre che gli adulti del paese tengono un suo coetaneo segregato nel pozzo di un casale abbandonato. Nella prima parte del film è subito chiaro che il paesaggio, anche in questo caso, è vissuto come un luogo di pace, in cui Michele si rifugia quando litiga con gli amici o dove si nasconde; confortevole per riposare e capace di attutire le cadute. È ,dunque, una natura ospitale che riflette il mondo disincantato dell’infanzia. La regia alterna grandi panoramiche dei campi in cui Michele e la sua bicicletta fanno tutt’uno con il grano a rapidi movimenti di macchina in cui la cinepresa si immerge in essi, volando appena sopra le spighe. Secondo quanto sostiene Malavasi (2005), il film mostra sin da subito un

10 Mel Gibson ha dichiarato: “l’architettura della città, le rocce, il paesaggio circostante ci hanno fornito uno sfondo eccezionale. La prima volta che ho visto Matera ho perso la testa perché era semplicemente perfetta” (Ciak si viaggia, 2010).

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22 doppio movimento: la continuità orizzontale della corsa in bici lungo i campi, simbolo dell’infanzia spensierata e la discontinuità verticale rappresentata dal pozzo buio in cui è nascosto il ragazzino rapito. La scoperta del nascondiglio è la brusca interruzione in cui inciampa il protagonista e che lo conduce a scoprire la dolorosa verità sui propri genitori. A questo punto, il paesaggio perde progressivamente i colori vivi della prima parte del film e la progressiva scoperta da parte di Michele di quel misterioso ragazzino è accompagnata dall’incupirsi del paesaggio che arriva ad assumere la stessa oscurità del pozzo. Nel momento della presa di conoscenza da parte del piccolo protagonista della realtà delle cose, alcune macchine trebbiatrici falciano il grano mangiando, insieme alle spighe, i resti della sua infanzia perduta. Il film termina di notte facendo presagire, attraverso una ferita subita da Michele non solo reale ma anche simbolica, l’alba di una nuova stagione dell’esistenza. Giocando sul continuo rispecchiamento tra stato d’animo del protagonista e paesaggio, “Io non ho Paura” è probabilmente il film paradigmatico di questa tendenza a utilizzare il paesaggio lucano come luogo di maturazione interiore del personaggio. Punto di arrivo di questa tendenza a vedere nella Basilicata un luogo dell’anima è “Basilicata coast to coast”, il cui regista Rocco Papaleo la coniuga con il ritmo leggero della commedia musicale. Il film racconta la storia di quattro amici che, riuniti dalla passione per la musica, decidono di partire a piedi da Maratea, sul versante tirrenico, per raggiungere il festival di teatro canzone di Scanzano, sul versante ionico della regione. Alla testa di questa armata brancaleone c’è professore di matematica con velleità artistiche (Rocco Papaleo), seguito da Salvatore Chiarelli (Paolo Briguglia), ex studente di medicina, Franco Cardillo (Max Gazzè), artigiano ammutolito da un amore infranto e Rocco Santamaria (Alessandro Gassman), volto noto locale. A loro si aggiunge Tropea Limongi (Giovanna Mezzogiorno), giornalista di una rivista parrocchiale costretta a seguire quella stramba impresa. Il viaggio è costellato di incontri, disavventure, musica, tradizione culinaria locale e paesaggi mozzafiato che rendono unica questa loro esperienza. Il film è una commedia musicale che unisce il racconto cinematografico alla promozione territoriale, amalgamando le storie dei personaggi con la sponsorizzazione di paesaggi e prodotti tipici della regione11. L’opera di Papaleo è, in questo senso, un atto di amore alla propria terra ma, anche, il modo per dare visibilità all’entroterra lucano in genere meno conosciuto. A parte Maratea e Craco che, come abbiamo visto, sono state già utilizzate da produzione cinematografiche, il film utilizza location “nuove”: Trecchina, Lauria, la Diga del Pertusillo, Tramutola, Aliano, Latronico, Nova Siri e Scanzano Jonico. Il film mostra vari paesaggi della Basilicata, dal mare alla montagna, passando per luoghi già “cinematografici” come il paese di Craco. Il paesaggio lucano diventa la location di un viaggio sia reale che interiore; come tutti i road movie, anche il Basilicata coast to coast è per i protagonisti il modo per fare un bilancio della propria vita e porsi nuovi obiettivi. Come era già avvenuto con “Io non ho Paura”, tali paesaggi riflettono spesso lo stato d’animo dei protagonisti: così, ad esempio, lo specchio d’acqua luccicante della


Diga del Pertusillo prelude alla storia d’amore tra Tropea e Franco mentre il paesaggio arido e avvolto dalla nebbia dei calanchi di Aliano risente dell’abbandono di Rocco. Quello che emerge non è un paesaggio realistico, ma esso si carica dei valori simbolici espressi nel film. Si tratta di una rappresentazione della Basilicata piuttosto diversa da quella caratterizzata dalla filmografia “lucana”; una terra vista romanticamente a base di jazz e natura. In altre parole una Basilicata a misura d’uomo, in cui la vita sembra scorrere in modo antimoderno e in cui è possibile compiere un percorso interiore; probabilmente una Basilicata più ideale che reale, che suggestivamente invita lo spettatore ad essere percorsa.

11 Il film, infatti, è stato cofinanziato dalla Regione Basilicata attraverso l’utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo regionale proprio in quanto è stato riconosciuto ad esso un ruolo strategico nella promozione del territorio.

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3.


Gli itinerari cinematografici


26 Gli itinerari cinematografici nascono dall’esigenza di rendere fruibili i paesaggi cinematografici. Attraverso tali itinerari è possibile farsi un’idea di quelle che sono le rappresentazioni della Basilicata al cinema e, al tempo stesso, rivivere scenari che sono stati visti sul grande schermo. La costruzione degli itinerari segue, chiaramente, la logica della fattibilità e non quella della tipologia paesaggistica. In questo senso, nello stesso percorso è possibile visionare le differenti immagini della Basilicata veicolate dai film. La modalità per fruire del paesaggio cinematografico è rappresentato dal materiale fotografico e i qr code. La fotografia, allegata per ogni tappa dell’itinerario, è costituita dall’immagine reale su cui è sovrapposta quella cinematografica; il qr code, invece, è una tecnologia che permette, tramite l’utilizzo di cellulari e tablet, di visionare la scena del film relativa alla tappa. Entrambi questi strumenti servono a dare precise indicazioni su dove sono state girate le scene dei film in Basilicata, in modo da poter rivivere le varie rappresentazioni paesaggistiche. Son tre gli itinerari cinematografici realizzati: 1) Basilicata coast to coast 2) Matera film locations 3) Vulture in cinema


3.1 Basilicata coast to coast

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L’itinerario è diviso in due parti, alla stregua di un film, costituito da primo e secondo tempo. Il primo tempo conduce da Maratea alla Val d’agri, mentre il secondo da Craco a Scanzano jonico. Entrambi i percorsi sono costituti da tappe principali e tappe secondarie.

Primo tempo: da Maratea alla Val d’Agri Laurenzana

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28 1) Maratea (tappa principale)

Il viaggio di Nicola, Rocco, Franco e Salvatore comincia dalla perla del Tirreno. La piazzetta di Maratea è il punto di partenza, dove si condensa tutto l’entusiasmo dei protagonisti, mentre la Statua del Redentore offre la sua protezione per questa singolare impresa. Maratea è stata teatro anche di altri film: “La vedovella” di Silvio Siani, “A Porte chiuse” di Dino Risi e “Ogni lasciato è perso” di Piero Chiambretti. La cittadina ospita anche un evento cinematografico: il Maratea film festival.


2) Trecchina (tappa secondaria)

Prima tappa dell’allegra brigata, tra pane e frittata e la scoperta che il padre di Tropea è un importante politico locale.

3) Lauria (tappa secondaria)

A Lauria, paese d’origine di Rocco Papaleo, i quattro amici si concedono una doccia molto particolare. A immortalare quel divertente momento, c’è Tropea (Giovanna Mezzogiorno).

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30 4) Tramutola (tappa principale)

Nella piazzetta del lavatorio pubblico si svolge una serata a base di “Jazz e Cocomeri”. é la prima apparizione pubblica della band “Le Pale Eoliche” capeggiata da Nicola/Papaleo. A detta di quest’ultimo, Tramutola ha le più belle ragazze della regione.

5) Diga del Pertusillo

La diga del Pertusillo è il luogo di una piacevole sosta prima di ricominciare il cammino. C’è chi si riposa, chi si dedica alla pesca e chi si concede una doccia. Ma è anche il luogo in cui avviene Il secondo incontro con il terribile brigante Carmine.


6) Viggiano

Rocco (Alessandro Gassman) ha abbandonato il gruppo e ora attraversa la Basilicata da solo; la processione della Madonna di Viggiano, però, sembra produrre in lui un principio di ravvedimento.

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poli Senise 1) Aliano (tappa principale)

Sul terrazzo da cui Carlo Levi osservava la civiltà lucana, i quattro brindano con il vino Aglianico alla memoria dello scrittore confinato dal Fascismo e di Gianmaria Volontè, l’attore che lo ha rappresentato sul grande schermo in “Cristo si è fermato a Eboli”.

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2) Craco (tappa principale)

La città fantasma della Basilicata è l’ultima tappa prima di giungere sulla costa. Craco, grazie alla sua atmosfera suggestiva, è stata location di molti film: “Cristo si è fermato a Eboli” è stato quasi interamente girato nel paese fantasma che, rispetto ad Aliano, aveva mantenuto la conformazione da paesino lucano degli anni ‘30; poi, vi è stata ambientata un’importante scena di “The Passion”: l’impiccagione di Giuda. E ancora, “Terra Bruciata”, “The Nativity Story”, “Il Sole anche di Notte”. Vista questa lunga tradizione cinematografica, non poteva non fermarsi anche Rocco Papaleo nel suo “Basilicata coast to coast”.

Cristo si è fermato a Eboli


Basilicata coast to coast

The Passion

Terra Bruciata

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34 Il sole anche di notte

The Nativity

3)Pisticci

A Pisticci si svolge da più di 10 anni un importante festival di cortometraggi: Il Lucania Film Festival.

4) Bernalda

Bernalda è il paese di origine della famiglia Coppola. Il nonno di Francis è emigrato negli Stati Uniti all’inizio del novecento ma ha mantenuto vivo nella sua famiglia il ricordo della terra lucana. Il regista, infatti, ha deciso di acquistare il palazzo in cui viveva il nonno per realizzare un resort, Palazzo Margherita, mentre la figlia, Sofia (anche lei regista), si è sposata a Bernalda nel 2011.


5) Scanzano Jonico

Il gruppo è arrivato a destinazione, ma troppo tardi. Il festival si è concluso e la piazza Ascalesi di Scanzano è popolata solo di bottiglie vuote. Nicola, Rocco, Franco e Salvatore decidono comunque di fare la loro esibizione davanti a un pubblico immaginario.

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36 3.2 Matera film locations

A Matera sono stati girati la maggior parte dei film ambientati in Basilicata. L’itinerario realizzato cerca di mettere insieme le location dei film più importanti in un percorso a piedi di circa due ore. Si parte da Porta Pistola, nel Sasso Caveoso, la Porta di Gerusalemme sia nel film “The Passion” che ne “Il Vangelo secondo Matteo”; l’itinerario segue la via crucis del film di Mel Gibson sino ad arrivare a Piazza San Pietro Caveoso e alla Chiesa della Madonna de Idris dove sono state ambientate le scene di molti film, da “La Lupa” di Alberto Lattuada a “Il Demonio” di Brunello Rondi e sino a “L’uomo delle Stelle” di Giuseppe Tornatore. Il percorso di conclude nel Sasso Caveoso con le scene di “King David” con Richard Gere, “Il Vangelo” di Pasolini e “Anni Ruggenti” di Luigi Zampa. é importante poi considerare anche la tappa fuori dall’itinerario a piedi, quella del Belvedere Murgia, luogo in cui è stata ambientata la crocefissione di Cristo sia nel film di Mel Gibson che in quello di Pier Paolo Pasolini.

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Itinerario Matera 1) Porta Pistola

A Porta Pisola comincia il percorso. Qui sia Pasolini che Mel Gibson vi hanno realizzato la Porta della cittĂ di Gerusalemme.

2) Via San Potito (The Passion)

Durante la sanguinolenta via crucis, il Cristo si accascia e la madre che con terrore lo osservava da lontano, decide di soccorrerlo come faceva quando lui era bambino.

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38 3) Via San Giacomo (THe Nativity Story)

Nei Sassi sono ambientate anche alcune scene di The Nativity Story. Nella scena Giuseppe e Maria arrivano a Gerusalemme.

5) Via Muro (The Passion)

Ancora immagini di sanguinosa sofferenza del Cristo di Mel Gibson.


6) Piazza San Pietro Caveoso (The Passion, L’uomo delle stelle)

Nella Piazza di San Pietro Caveoso, oltre a The Passion, sono state girate anche le prime scene di “L’uomo delle stelle”. Joe Morelli è appena arrivato in un paesino siciliano e nella piazza realizza i suoi (falsi) provini cinematografici.

8) Madonna de Idris (Il Demonio, la Lupa, Il Vangelo)

Davanti alla Chiesa della Madonna de Idris sono state girate diverse scene di film: Purificata, nel film Il Demonio, osserva dall’alto l’uomo, che l’ha lasciata, entrare nella chiesa di San Pietro Caveoso per sposare un’altra donna; il Gesù di Pasolini intento nella sua opera di predicazione del messaggio cristiano; l’incontro tra la Lupa e Nanni nel film di Lattuada tratto da Giovanni Verga; non molto lontano dalla chiesa anche Richard Gere nel film “King David”.

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9) King David

10) Vico Solitario (Anni Ruggenti)

Nella scena nel vico solitario, un giovane assicuratore (Nino Manfredi) che è stato scambiato per un gerarca fascista, viene attorniato da decine di persone che vedono in lui l’intermediario giusto per raccontare a Mussolini la difficile condizione abitativa dei Sassi.

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12) Vico Solitario (Il Vangelo)

Nel Sasso Caveoso Pasolini ha girato molte scene relative alla predicazione cristiana del suo “Il Vangelo secondo Matteo�.


13) Vico Solitario (King David)

Dalle mura di una fortezza realizzata appositamente per il film, esce il re Davide, interpretato da Richard Gere, che da sfogo a una suggestiva danza nel Vico Solitario.

14) Belvedere Murgia (The Passion, Il Vangelo)

Sulla Murgia materana, che rappresenta il monte Golgota, sono realizzate le scene della crocefissione sia di “The Passion” che de “Il Vangelo secondo Matteo”.

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44 Il Vangelo

3.3 Vulture in cinema

Il percorso parte da Irsina, luogo in cui è stato girato “Del Perduto Amore” di Michele Placido, passa per Palazzo San Gervasio dove sono state realizzate alcune scene de “I Basilischi” di Lina Wertmuller e arriva nel Vulture. Qui troviamo i campi di grano di “Io non ho Paura” di Gabriele Salvatores, la città di Melfi che ha fatto da sfondo alla storia di “Un giorno nella vita” di Giuseppe Papasso e, infine, Barile dove sono state ambientate alcune scene de “Il Vangelo secondo Matteo”.

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1) Irsina: Del Perduto Amore

Quasi interamente girato a Irsina, “Del Perduto Amore” racconta la storia di Gerardo, un ragazzino diviso tra la visione conservatrice della propria famiglia e l’affetto verso Liliana, una giovane comunista che ha realizzato una scuola per ragazze, nella Basilicata degli anni ‘50. Nella prima scena davanti alla cattedrale, il sindaco democristiano, interpretato da Rocco Papaleo, richiama il padre di Gerardo (Fabrizio Bentivoglio) perchè il figlio partecipa alla scuola di Liliana, sua avversaria politica. Nella seconda, invece, va in scena l’appassionato comizio di Liliana durante la campagna elettorale.

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2) Palazzo San Gervasio: I Basilischi

A Palazzo San Gervasio, sono state girate alcune scene de “I Basilischi�, opera prima di Lina Wertmuller. Si racconta con ironia la storia di due apatici ragazzi, Antonio e Francesco, in cui la mancanza di prospettive offre loro una comoda scusa per non affrontare la vita.


3) Melfi 1: Io non ho paura

I campi di grano di Melfi, fanno da sfondo a “Io non ho Paura�, storia sul percorso di maturazione del piccolo Michele.

4) Melfi 2: Un giorno della vita

A Melfi, si svolge la vicenda di Salvatore che, per acquistare un piccolo proiettore cinematografico, ruba i soldi nella locale sezione del partito comunista, di cui il padre è un fervente militante. Nella scena in Piazza Duomo, il padre, che ha scoperto il misfatto del figlio, lo costringe a restituire la tessera del partito che gli aveva fatto fare con grande orgoglio.

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48 5) Barile

Nelle vie delle cantine, dove si produce l’Aglianico, nel 1964 Pasolini vi ha ambientato due scene importanti del suo “Il Vangelo secondo Matteo”: la Natività e la Strage degli Innocenti.


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