Michele Cannavò, Scatti di luce. Viaggi e incontri di uno psicoterapeuta

MICHELE CANNAVÃ’

SCATTI DI LUCE Viaggi e incontri di uno psicoterapeuta

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MICHELE CANNAVÃ’

SCATTI DI LUCE Viaggi e incontri di uno psicoterapeuta

Milano 2016

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Ringraziamenti Un libro è un’opera di vita, come un albero fatto di radici e rami. Nelle radici ritrovo la mia famiglia, mio fratello, i miei nonni che hanno contribuito a sostenermi e rendere speciale il nostro stare seduti attorno a una tavola tra cibi e chiacchiere.

Tra i rami i miei amici che hanno colorato la mia esistenza, i miei docenti e colleghi, stimoli necessari per ogni cambio di rotta e infine i miei amori dove mi sono permesso di perdermi per poi ritrovarmi. In ogni incontro, in ogni appartenenza e in ogni separazione il mio sé si è definito. Grazie, miei compagni di viaggio.

Grazie agli editor, architetti del mio sogno.

Un grazie particolare agli operatori e ai pazienti della CTA La Grazia di Caltagirone, angeli creatori delle buste che contengono le cartoline legate al libro e, soprattutto, di gran parte del mio essere oggi.

Ringrazio infine – ma non in ultimo – Elisa Anfuso, pittrice catanese, amica e compagna di pensieri e riflessioni sulla vita, sul dolore e sulla gioia. Condividiamo l’osservazione dell’uomo nelle sue varianti, dei suoi vizi e delle sue debolezze. Di solito nei suoi quadri cerco il senso, la direzione e la profondità che in modo criptico trasmette a chi entra in risonanza con il suo mondo. Le ho chiesto di leggere il mio di mondo e rappresentarlo. Lo ha fatto mirabilmente nel quadro Tra terra e cielo che chiude questo libro.

© 2016 Festamobile – Milano | www.festamobile.it Tutte le foto sono di proprietà dell’autore.

Questo volume è stato stampato su carta arcoprint EW 1.0 rispettosa dell’ambiente, con i caratteri Fedra Sans, Electra e Frutiger nel mese di settembre 2016 presso la Litografia Solari, a Peschiera Borromeo (Milano) ISBN 9788899825010

Scatti di luce

Indice 6

Presentazione di Margherita Spagnuolo Lobb

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Creiamo la nostra bellezza Una storia di immagini e parole

27 28 29 30 31 32 33 34

Scarpe rosse Fiducia Ironia a basso volume Il movimento AAA La bellezza La conquista It’s Time

51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64

Sicilia Goal Nitrato d’argento Vanità Alle porte d’Europa Abbracci Parallele Resistenza La danza Il gruppo L’attesa Riflessi Lentamente, insieme Chagall

79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89

Rompere le regole Lievi e pesanti come neve Madri e figli Sabbia soffice The bridge Corri, affidati A kiss is a kiss Le conchiglie di Tritone La casa del Paguro L’isola che non c’è Je suis

IL SENSO - La percezione 18 19 20 22 23 24 25 26

Siamo universi Questione di pelle Attraverso le correnti Sorriso Equilibri in movimento Scosse ed esplosioni Mangio, dunque assaggio I-phone or We-are

L’INCONTRO - Gli amici, l’amore, gli altri, la natura 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50

Trampolini Un tempo per noi Amiche Relazioni Matrimonio Fame di terra Railway Gone with the wind L’ascolto Essere sole essere ghiaccio Precauzioni Il porto dei sogni incrociati Mal d’Africa Roots Simbiosi

LA CURA - tra mente e corpo 66 67 68 70 71 72 73 74 75 76 77 78

Lorica Dritto, fino al mattino Confini Solchi Terapia Ritratti dell’io Equilibrio Candy crush inside Maneggiare con cautela Surfing Punti di vista Nebbia di guardia

90 Foto, sensi e corpo

nella pratica clinica con i gruppi

105 Postfazione

di Gianni Francesetti 108 Bibliografia

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Michele Cannavò

Presentazione di Margherita Spagnuolo Lobb «Occorre essere imperfetti per attrarre».

Umberto Eco

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catti di luce, di Michele Cannavò, è un libro che integra foto artistiche con riflessioni dell’autore.

L’aggancio con cui Michele sin dall’inizio ci cattura è un armonico rimando tra la curiosità tipica della cultura siciliana, l’amore per la gente e per la vita, il senso della vista, il piacere di esserci come chi si lascia stupire da particolari insoliti ma straordinariamente attraenti. Il racconto nasce dai ricordi legati alla famiglia di origine dell’autore, soprattutto all’accattivante figura del nonno, che portava il nipotino a vendere verdura al mercato: «In qualche modo, mio nonno sostenne la mia curiosità di scovare, nel fluire di gente che mi sommergeva, chi fosse disponibile a entrare in sintonia con me»1. L’atteggiamento estatico ed estetico che caratterizza sin da bambino l’esperienza dell’autore è lo sfondo su cui si costruisce il modo di sentire e di essere di cui questo libro è testimonianza: «a volte mi bastava stare fermo a guardare il mondo attorno per apprendere cose nuove»2.

Prima di sottoporci i suoi scatti, l’autore – opportunamente – mette se stesso a nudo, con umiltà e calore, spiegandoci da dove nasce la sua arte, quasi a consentire anche a noi di usare una fotocamera per cogliere i dettagli più insoliti della sua anima.

Sono commossa nel presentare questo primo libro di Michele, che ho sempre stimato e sostenuto nella sua arte, nel suo calore e nella sua intelligenza estetica capace di integrare il sapere umano con quello scientifico della cura psicoterapica.

In particolare, vorrei portare l’attenzione del lettore su due concetti di questo libro, che mi sembrano innovativi e utili.

Il concetto gestaltico di adattamento creativo – il connubio tra arte e psicoterapia non è nuovo. In psicoterapia della Gestalt tuttavia si parla di adattamento creativo, più che di creatività3. La parola “adattamento” è importante perché fornisce quel radicamento alla realtà, elemento da cui è necessario partire per entrare davvero in contatto, perché la creatività sia al servizio dell’altro o di una situazione, e non piuttosto esercizio autocentrato di espressione delle proprie frustrazioni.

1

Infra, p. 10.

Infra. p. 11.

3 Cfr. M. Spagnuolo Lobb e N. Amendt-Lyon (a cura di), Il permesso di creare. L’arte della psicoterapia della Gestalt, FrancoAngeli, Milano 2007.

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Scatti di luce

Negli anni Cinquanta, quando nacque la psicoterapia della Gestalt, la parola nuova era “creativo”, più che “adattamento”, come ci ricorda Richard Kitzler nel suo saggio Il permesso di creare4. In una società in cui la norma era l’obbedienza alle regole imposte da regimi autoritari5, la novità da sottolineare era la creatività. Ma nella società contemporanea, in cui il bisogno, all’opposto, è quello di trovare un radicamento relazionale capace di contenere la liquidità di regimi politici centrati su interessi economici di pochi, sistemi educativi sbandati e potenzialità globalizzanti dei media6, la parola “adattamento” è il necessario corollario a cui ancorare un concetto di creatività che sia terapeutico.

Lo strumento che la psicoterapia della Gestalt usa per concretizzare questo “ancoraggio” della creatività è la prospettiva estetica, che Michele spiega bene nelle pagine introduttive: la conoscenza dell’altro attraverso il sentire sensoriale. Uso il termine “conoscenza relazionale estetica” per definire il nostro sentire come situazionato, fondato – umilmente – sulla realtà esperita con l’altro, condivisa nel contatto, e generatrice di un “campo esperienziale”7. La verità non esiste apriori, ma è ogni volta ritrovata nel contatto con il mondo, è situazionata e transitoria, è al servizio del momento effimero – eppure storico – che attraversiamo quando incontriamo la novità portata dal “diverso da me”. Questo fornisce un’ottica particolare sulla sofferenza psicologica.

Si tratta di rispettare l’umanità delle persone e sostenere la tensione verso il raggiungere l’altro che c’è in ogni sofferenza. L’approccio estetico alle relazioni e alla sofferenza ci pone in contatto con il sentire più che con il giudicare, con le emozioni e i desideri di chi si trova in una situazione difficile; ci permette di conoscere il dramma umano con una profondità esperienziale tale da poter cogliere sia il dolore che i tentativi per uscirne. C’è insomma una differenza sostanziale tra guardare una persona e i suoi vissuti da un punto di vista valutativo (confrontandola con norme e criteri esterni alla relazione) e da un punto di vista estetico, lasciandoci affascinare dalle emozioni che vibrano in lei.

Michele è uno psichiatra psicoterapeuta che lavora sia in contesti comunitari, con pazienti gravi e cronici, che privatamente con 4

R. Kitzler, La creatività come terapia della Gestalt, in M. Spagnuolo Lobb e N. Amendt-Lyon (a cura di), Il permesso di creare. L’arte della psicoterapia della Gestalt, pp. 139-152.

5 La psicoterapia della Gestalt fu fondata subito dopo la caduta dei regimi autoritari coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale.

6 Cfr. M. Spagnuolo Lobb, Dal bisogno di aggressività al bisogno di radicamento: la prospettiva clinica e sociale della psicoterapia della Gestalt post-moderna, in M. Pizzimenti (a cura di), Aggressività e sessualità. Il rapporto figura/sfondo tra dolore e piacere, FrancoAngeli, Milano 2015, pp. 187-204.

7 Cfr. M. Spagnuolo Lobb, Il sé come contatto. Il contatto come sé. Un contributo all’esperienza dello sfondo secondo la teoria del sé della psicoterapia della Gestalt, «Quaderni di Gestalt», XXVIII, 2 (2015), pp. 25-56.

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Michele Cannavò

pazienti non istituzionalizzati. La sofferenza umana è il suo pane quotidiano, e la sua creatività curiosa e stimolante è costituzionalmente integrata nel suo lavoro terapeutico. Lui sa che l’intenzionarsi verso il mondo richiede il coraggio di andare al di là della paura di essere rifiutati o umiliati. Il dolore nasce dal non sentirsi riconosciuti nella tensione verso l’altro, è quella la ferita, la rottura della spontaneità verso il mondo.

«Il dolore non è altro che la sorpresa di non conoscersi», scrive la poetessa Alda Merini. Passiamo gran parte della vita a riparare le nostre ferite, cercando comunque di portare a compimento il nostro desiderio dell’altro o, come diceva Lacan, il nostro desiderio di essere desiderati dall’altro. Succede allora che ognuno di noi diventa speciale e unico proprio per l’intreccio con cui ha integrato le ferite con i desideri e si è “intenzionato” verso l’altro. Cerchiamo di riparare le crepe della nostra anima salvando ciò in cui crediamo, adattandoci creativamente alle difficoltà. È proprio l’imperfezione di questo intreccio di ferite e desideri, di cedimenti e coraggio, che diventa “perfezione”, estetica del contatto e bellezza da valorizzare, invece che da nascondere.

Come nella pratica giapponese del “Kintsugi”, in cui oggetti rotti vengono riparati con l’oro o altri materiali preziosi, l’estetica ci insegna che quando qualcosa si rompe, subisce e racconta una storia, diventa più pregevole e più rara. Anche la nostra anima ha ferite e cicatrici da raccontare, intrecci unici che costituiscono il nostro valore. In questa ottica, la ferita non è più una colpa, qualcosa di cui vergognarsi, ma rivela il nostro modo originale di integrarla nella nostra vita.

Credo che questo sia il senso più profondo dell’impegno di Michele psichiatra, psicoterapeuta e fotografo.

L’altro concetto che vorrei portare all’attenzione del lettore è quello della foto come azione di contatto.

Quella di Michele è un’arte che nasce dal contatto: perfino quando le sue mostre sono realizzare e installate, il suo interesse è fare evolvere quegli scatti attraverso l’esperienza che le persone hanno di esse.

Umberto Eco, citato in epigrafe, in quella che lui chiama l’“estetica delle rovine”, espone il fascino che l’imperfezione delle opere d’arte induce. L’esempio è la Venere di Milo che, pur non avendo braccia, stupisce per la sua bellezza. Anzi, forse è proprio quella mancanza che attrae, quel pezzetto di realtà che – appunto perché mancante – stimola chi la osserva a completarla, a immaginare come quelle braccia avrebbero potuto essere, quale forma avrebbero potuto assumere per completare una statua così bella. Già ai primi del secolo la psicologia della Gestalt scopriva i meccanismi percettivi, che tendono a creare la “buona forma”: non abbiamo pace finché non troviamo l’unitarietà della forma, e la nostra mente continua

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Scatti di luce

a elaborare possibili soluzioni. Bluma Zeigarnik, una psicologa russa, ha definito questo fenomeno (che poi ha preso il suo nome) come l’irresistibile tensione a chiudere le forme, a impegnarci costantemente a risolvere il problema che rimane aperto finché non lo percepiamo risolto. Nel caso dell’opera d’arte questa ci attrae proprio perché ci fa prendere contatto con l’esperienza del non compiuto, e ci fa riconciliare con la possibilità di esprimere ciò che abbiamo retroflesso.

Per la psicoterapia della Gestalt, l’incompiuto è il contatto mancato, sperimentato non tanto in modo mentale ma come fisiologia dell’essere-con. È proprio quella vibrazione, che nasce dall’imperfezione percepita da chi osserva, che è maieutica: la sentiamo drammaticamente familiare e allo stesso tempo piena di nuove possibilità. Come direbbe Eco, l’opera d’arte non sarebbe tale se non comunicasse l’imperfetto e – come diciamo noi terapeuti della Gestalt – se non trasmettesse la possibilità di completare la tensione verso l’altro, di lanciarsi nel “next” (nell’immediato futuro), concludendo con la propria percezione e con le proprie scelte ciò che nell’arte non può concludersi.

Il concetto di foto-terapia proposto dall’autore in questo libro applica pienamente questo principio gestaltico. L’opera d’arte non è qualcosa da ammirare ma qualcosa da vivere, da gustare con i sensi e da ad-gredere, da destrutturare e modificare nel contatto che essa stessa crea. Così si realizza lo scopo primario dell’arte che è catartico ed evocativo di ciò che nascondiamo nell’anima, che fallisce di raggiungere l’altro perché bloccato o anti-istituzionale.

In conclusione, questo libro testimonia, in modo leggero e profondo insieme, l’importanza di adottare l’estetica come etica, un valore fondamentale della psicoterapia della Gestalt. Una conseguenza importante per l’atteggiamento di cura è il coraggio di raggiungere l’altro muovendosi da una realtà co-creata, innanzitutto corporea, che sospende il giudizio sul mondo. Dunque, l’accettazione del dato fenomenologico di sé e dell’altro, con l’umiltà di esserci senza precomprensioni.

Sapere vedere la meravigliosa armonia delle relazioni umane nel dettaglio di uno scatto di luce è tra gli insegnamenti più grandi per tutti noi.

La speranza è generata dal desiderio di uscire dai confini limitati del proprio io. Più si entra in relazione con gli altri, più ci si trasforma, riuscendo a compiere quel passo verso l’ignoto che ci fa sentire liberi e ci rende artefici di una realtà “terza” e co-creata. Non c’è desiderio senza trascendenza.

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Scatti di luce

AAA Quando vedo un contatto, qualunque esso sia, mi sento attraversare da una inconfondibile sensazione di avere assistito a un evento unico e irripetibile. Fate di tutto – tutto il possibile – per non desensibilizzarvi alla bellezza.

Chissà se erano annunci osè.

La vita avventurosa, Parigi 2012

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Michele Cannavò

Trampolini Separarsi non sempre determina la fine di un equilibrio ma la possibilità di trovarne uno nuovo. Un vento ci spinge a tuffarci verso novità e incontri col desiderio da ritrovare e ri-sperimentare; ma può essere anche un’attesa sufficientemente lenta a restituirci fiducia che il passato non abbia tolto il “colore” a ciò che ritenevamo unico.

«Provarci era uguale a un tuffo da uno scoglio alto. Ti affacci, guardi sotto, torni indietro e dici chi me lo fa fare, ci riprovi, esiti, scuoti la testa e, quando tutti si sono buttati e si sono rotti di aspettarti, ti fai il segno della croce, chiudi gli occhi e ti lanci giù urlando».

(N. Ammaniti, Ti prendo e ti porto via) Il volo, Catania 2016

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MICHELE CANNAVÒ

«Siamo universi». Questa affermazione che apre il libro racconta un po’ di ognuno di noi, la nostra bellezza che – ci spiega l’autore con un metodo originale – si crea attraverso il senso, la percezione, le relazioni con gli altri attorno a noi. Foto e parole si legano per raccontare diverse storie: c’è il terapeuta, c’è il paziente (chi non ha mai provato dolore o bisogno degli altri?), c’è l’amico, l’amore, l’oltre. Tutto parte da noi e ci attraversa: «Je suis», io sono bellezza, noi siamo luce, scatti di luce.

Basta sfogliare. La fotografia racconta.

«La bellezza sta nel lasciarsi stupire e nel sentire il momento giusto per dire una parola, per compiere un gesto, per “scattare una foto” o semplicemente stare fermo ad aspettare».

Associazione FESTAMOBILE via dei tulipani 15, 20146 Milano www.festamobile.it

MICHELE CANNAVÒ

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Michele Cannavò, classe 1976, vive e lavora tra Caltanissetta, sua città natale, e Catania, dove svolge attività clinica di psicoterapia nel setting individuale, di coppia e di gruppo. È uno psichiatra specializzato presso l’Università di Catania, uno Psicoterapeuta della Gestalt, formato con Margherita Spagnuolo Lobb e Giovanni Salonia.

Ha conseguito un dottorato in medicina neurovegetativa. È autore di più di trenta pubblicazioni in ambito medico psichiatrico. Segretario del Comitato Esecutivo dell’EAGT (European Association Gestalt Therapy) e Presidente della SIPG (Società Italiana Psicoterapia Gestalt), ha completato il training di Developmental Somatic Psychotherapy a New York con Ruella Frank.

Ha concluso un Training Internazionale di Psicopatologia (Gestalt Therapy approach to Psychopathology and contemporary Disturbances) e un Training internazionale a Berlino dal tema Relational Living Body Psychotherapy. È attualmente docente, con indirizzo corporeo e clinico, presso l’Istituto di Gestalt H.C.C. Italy.

Utilizza le proprie immagini in ambito gruppale e di formazione come supporto all’incontro e all’emergere di emozioni e vissuti. Ha condotto diversi workshop nazionali e internazionali sul tema della fotografia e psicoterapia. Dal 2009 al 2015 ha realizzato varie mostre itineranti in tutta la Sicilia tra le quali Sensi e Gestalt, Sentire la mente: tra specchi ed emozioni e Il dono della vita: respiri dal mondo.

SCATTI DI LUCE. Viaggi e incontri di uno psicoterapeuta

L’ouverture è il pezzo che apre l’opera musicale, un’armonia di suoni che unisce e preannuncia tutti i temi che seguiranno; c’è dentro la gioia, il dolore, il conflitto tra i protagonisti, l’amore: temi diversi che trovano il loro equilibrio in un’unica grande composizione. Questa collana nasce per raccontare progetti armonici, storie che uniscono foto e parole creando qualcosa di nuovo e unico.

in copertina: Guerrieri, Istanbul 2014