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di Angelo D’Onofrio, psicanalista

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Salute e stili di vita

Angelo D’Onofrio, psicologo e psicoterapeuta di formazione ed orientamento psicoanalitico. Già docente di Psicologia dinamica presso il Centro Ricerche Biopsichiche di Padova e coordinatore della sezione veronese “G. Guantieri” della Società Italiana di Medicina Psicosomatica dal 2014 al 2016, ha pubblicato diversi libri ed articoli su varie riviste.

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La situazione pandemica legata alla Sars-Cov 2 aveva già provocato mutamenti sociali complessi in modo improvviso nella vita quotidiana. Ad essa si è aggiunta la guerra in Ucraina. Di fronte a situazioni di tal genere mi sono chiesto: “Di quale stato della mente potrei parlare in questo articolo?”. Ho deciso: parlo della

speranza, che non va vista in senso difensivo, vale a dire come pia illusione solo per evitare la dura realtà. Questi eventi hanno offerto una radiografia impietosa della natura umana, manifestatasi in tutta la sua fragilità. La pandemia ha profondamente cambiato le nostre abitudini, ha messo in crisi la progettualità del futuro, del contatto sociale, dei legami affettivi. Sono cresciute enormemente le sensazioni di solitudine e di isolamento, che hanno dato un forte contributo alla configurazione di un lutto complesso, lasciando gli esseri umani ad affrontare una situazione senza precedenti. Si sperava che, attenuandosi il problema del virus, ci potesse essere di nuovo una chiamata alla vita di persone, paesaggi, sentimenti, che erano rimasti sotterrati a sonnecchiare. Ci è sembrato che i giorni foderati di tristezza volgessero finalmente al termine, quando si è abbattuta sul mondo la guerra. Pensavamo che i vissuti di pesantezza, di stagnazione potessero far parte del passato. La vita, invece, non va sempre come la immaginiamo. Essa fa la sua strada e noi la nostra. Così ci siamo trovati di fronte ad esibizioni muscolari alla Rambo, che ci hanno riportato ad un oscurantismo che credevamo di aver ormai illuminato con la ragione. Quando non ci sono più parole (ma sarà così?) scoppia la guerra. Non so se tutto accada davvero per mancanza di parole. Non è vero che non ci siano parole. Ciò accade solo se manca la parola “amore”. Credo, invece, che in certi momenti occorrerebbe scalpellare le parole con giudizio, con prudenza, con conoscenza della Storia, la cui ignoranza (e l’ignoranza è sempre una prigione) porta a suscitare risposte semplicistiche di fronte a situazioni complesse che richiedono un attento lavoro di differenziazioni. Insomma, le parole dovrebbero sempre essere un pacato invito alla saggezza e alla moderazione e non parole forcaiole. Bisogna portare il pensiero dove c’è l’impensabile, inventare parole dove c’è l’inesprimibile. Ho sempre ritenuto che le guerre non si vincono mai. Non si dovrebbero nemmeno combattere, in quanto l’uomo scopre, sul campo di battaglia, solo la sua follia e la sua disperazione. Eppoi, c’è da chiedersi come sia possibile vivere dopo. Si dice che bisogna trovare la strada per arrivare alla pace. Penso che a volte occorre “scavarla” una strada perché non ci sono altre possibilità, se ogni angolo cieco risulta un agguato possibile. Occorrerebbe, dunque, ricordarsi che siamo (o dovremmo essere) persone pensanti, capaci di riflettere, di interrogarsi per poter cambiare.

Il sapore della speranza di Angelo D’Onofrio

Salute e stili di vita

In diversi esseri umani ho riscontrato siccità mentale o monocultura della mente, laddove sarebbe utile mettere la mente a maggese per poterla riutilizzare in modo nuovo, per produrre nuovi pensieri e reimparare l’alfabeto del mondo. L’introspezione e l’esperienza collaborano a promuovere la crescita e il cambiamento. Ed in ogni relazione positiva e promotrice di crescita la speranza gioca un grande ruolo. Pertanto, volgersi alla speranza è un fattore importante perché aiuta l’essere umano ad affrontare le tempeste che affliggono ogni esistenza. Essa è un insieme di desideri, fantasie, percezioni, pensieri, giudizi ed altro ancora. Nel mio lavoro di psicoterapeuta la speranza è fondamentale così come in medicina. È risaputo, infatti, che i soggetti, che rinunciano alla speranza o che precipitano in uno stato di disperazione e si arrendono, sono in pericolo di vita. Nei campi di concentramento coloro che in qualche modo abbandonavano la speranza finivano per trasformarsi in cadaveri viventi, in attesa della morte liberatrice. Si muore quando la notte oscura dell’anima scende nella nostra vita e la ferisce con l’angoscia e la disperazione. Pertanto, bisognerebbe fare dei corsi sulla speranza. Tutti sappiamo quanto pesino sulla bilancia della vita speranza e disperazione. I miei pazienti, quando accettano un percorso analitico, che è lungo nel tempo, si affidano alla speranza e, pur di raggiungere i loro obiettivi, sono disposti ad affrontare sacrifici di tempo, denaro, energie fisiche e psichiche. Cosa li sostiene, se non la speranza? Anche noi, dopo il covid, ci siamo augurati che la fiaccola della speranza potesse bruciare ancora luminosa, permet-

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tendoci cambiamenti, crescita e progresso. La guerra ci ha riportato nel chiaroscuro, per non dire nel buio. Abbiamo sperato che la lingua della ragione prevalesse sul guazzabuglio ideologico, sulla legge della giungla, sulle acrobazie delle parole. Abbiamo dovuto invece assistere alla solita liturgia dell’arresto della memoria, alle parole intrecciate ad arte, alle verità presunte, all’assenza di alternative. Abbiamo visto in tv volti sofferenti, disperati, smarriti, in uno scenario d’inferno. Abbiamo visto i demoni di cui si nutre a volte la natura umana. Ho letto nei volti dei profughi la sofferenza per ciò che è stato, ma anche il desiderio di tornare. Gli antichi greci parlavano di algia (dolore) e nostos (ritorno). Desiderio di tornare a casa e dolore. La nostalgia ci fa capire che la vita ha delle radici e una continuità. Abbiamo visto esseri umani erosi dalla loro terra come lingue di spiaggia, portate via dal mare. Speravamo che l’Uomo fosse in grado, col tempo e grazie alla memoria, di creare il migliore dei mondi possibili, ma questo sogno è come un veliero sempre in viaggio che non arriva mai da nessuna parte. Vorrei che questo articolo fosse come un messaggio nella bottiglia e affidarlo alle onde… nella speranza che lo trovino coloro che saranno alla ricerca di un messaggio. Mentre concludevo l’articolo mi chiedevo quale potesse essere non dico il migliore dei mondi possibili, ma un mondo accettabile. Allora mi sono tornate in mente le parole di Moliere: grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico. È davvero difficile realizzare questo sogno? Oggi, pertanto, abbiamo ancora bisogno del sapore della speranza. ●

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