Il Cielo nell'antica Grecia

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A cura del gruppo storico

I Figli del Sole


Urania, protettrice dell’astronomia e della geometria.


L’universo geocentrico di Tolomeo

Le idee cosmologiche diffuse tra i Greci dell’epoca arcaica sono ricavabili dai poemi omerici. La Terra era concepita come un disco piatto circondato dal fiume Oceano. Al di sopra del disco, in forma di calotta semisferica, era posto il Cielo, mentre al di sotto vi era il Tartaro. Poiché il Tartaro è sempre buio il Sole (e gli altri astri) non potevano mai raggiungerlo. Secondo una tradizione riferita da Ateneo (I Deipnosofisti, 469e-470d), e presente già nella mitologia egizia, il Sole durante ogni notte sarebbe stato trasportato da Ovest ad Est lungo l’Oceano, adagiato in un letto o, secondo altri autori, posto in una coppa. Omero conosce e nomina alcune costellazioni e stelle, ma le nozioni astronomiche da lui usate sono estremamente limitate. Esiodo, in relazione alla regolazione dei tempi del lavoro agricolo, ha l’occasione di citare qualche nozione in più. Ad esempio come punti di riferimento temporali usa sia i solstizi sia fenomeni stellari. Si tratta però anche in questo caso di conoscenze empiriche, inquadrate nell’ambito della cosmologia tradizionale.


ASTRONOMIA E FILOSOFIA PRESOCRATICA L’uomo che è tradizionalmente considerato l’iniziatore della filosofia greca, Talete di Mileto, fondatore della scuola ionica, si occupò anche di astronomia. Gli sono attribuiti una buona stima del diametro apparente del Sole e della Luna (come la 720ª parte del circolo percorso dal Sole), lo studio di solstizi ed equinozi e anche l’improbabile previsione di un eclisse di Sole. Anassimandro può forse essere considerato il vero iniziatore dell’astronomia razionale. Egli, ritenendo per primo che la Terra (che considerava di forma cilindrica) fosse sospesa nello spazio e che quindi il ‘cielo’ fosse anche sotto i nostri piedi, capì che gli astri si estendono in tutte le direzioni e che tramontano ad Ovest per risorgere ad Est perché ruotano attorno alla Terra. Gli è stata attribuita anche l’invenzione dello gnomone, strumento che avrebbe usato per rilevare l’altezza del Sole e della Luna e quindi l’inclinazione dell’eclittica. Contributi essenziali furono quelli di Parmenide, al quale sono attribuiti sia la scoperta della sfericità della terra che la comprensione della causa delle fasi lunari. Parmenide capì che la Luna è sempre piena e sferica e che l’apparenza del suo crescere e decrescere è dovuta al variare della posizione relativa di Terra, Sole e Luna, che rende variabile la porzione della Luna che è illuminata dal Sole e allo stesso tempo è a noi visibile. Un contributo interessante allo sviluppo delle idee astronomiche venne da Filolao, della scuola Pitagorica, che sostenne un modello di sistema solare non geocentrico; al centro dell’universo vi sarebbe stato un grande fuoco, intorno al quale ruotavano la Terra, l’Antiterra, la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. L’esistenza dell’antiterra fu introdotta probabilmente per giustificare l’invisibilità del fuoco centrale che veniva occultato da quest’ultima, nonché dalla necessità filosofica di arrivare ad un numero totale di dieci corpi. Platone, il grande filosofo, ebbe dapprima una visione dell’universo eliocentrica, poi ritrattata in tarda età per il geocentrismo. Intuì tuttavia la sfericità della Terra, sostenendo anche che la Luna ricevesse luce dal Sole.

Talete di Mileto (in greco antico Θαλής, traslitterato in Thalès) Mileto, 640 a.C./625 a.C. – circa 547 a.C.)


LE SFERE DI EUDOSSO Eudosso di Cnido introdusse il concetto di sfere omocentriche, ossia di un universo diviso in sfere aventi un unico centro di rotazione in cui si trovava la Terra; in ogni sfera vi era poi un pianeta con un moto circolare ed uniforme differente da quello degli altri. In questo modo diede spiegazione dei movimenti retrogradi e degli stazionamenti periodici dei pianeti: per le stelle fisse fu facile attribuire una sfera immobile, mentre per i pianeti e per la Luna il moto veniva spiegato con una prima sfera che induceva un moto diurno, un’altra per il moto mensile ed infine una terza ed una quarta con diverso orientamento dell’asse per il moto retrogrado. Tenendo conto che il Sole ne possedeva tre, si giunge ad un sistema di ben 27 sfere. Callippo di Cizico aggiunse altre 7 sfere al sistema di Eudosso, portando il totale a 34 sfere, per spiegare le evidenze osservative, relative in particolare alle variazioni di velocità angolare del Sole e della Luna. Aristotele attribuì realtà fisica alle sfere di Eudosso e Callippo, aggiungendone ancora altre. Egli ipotizzò un complicato sistema di 55 sfere animate da un motore immobile dal quale partiva l’impulso al moto di tutte le sfere, mentre l’attrito contribuiva a creare un moto differente per ogni sfera.

L’INIZIO DELL’ASTRONOMIA MATEMATICA Le prime opere nelle quali vi sono certamente applicazioni della matematica all’astronomia sono anche le prime opere scientifiche greche giunte fino a noi. Si tratta degli scritti di Autolico di Pitane e dei Fenomeni di Euclide. Si tratta però di opere elementari, nelle quali ci si limita ad applicare semplici concetti di geometria sferica ai fenomeni astronomici dovuti alla rotazione diurna. Aristarco di Samo perfezionò la visione dell’universo di Eraclide Pontico spostando il Sole al centro dell’universo; il moto dei corpi quindi diveniva più semplice da spiegare anche se non ancora perfetto, data la mancata applicazione delle orbite ellittiche. Inoltre, considerò il moto rotatorio della Terra su di un asse inclinato, spiegando così le stagioni. Aristarco fu anche famoso per il metodo di misura della distanza tra la Terra-Sole. Al primo quarto di Luna, quando risulta visibile anche il Sole, i due astri formano un angolo di 90°. Considerando l’ipotetico triangolo tra i tre corpi, Aristarco misurò quello della Terra con la Luna ed il Sole, trovando un valore di 87°. In questo modo, con un semplice calcolo trigonometrico ottenne che la distanza Terra-Sole era 19 volte maggiore di quella tra la Terra e la Luna. Il valore in verità è di 400 volte, ma l’importanza di tale misura non consiste nella precisione riscontrata, quanto nel metodo usato e nell’intuizione.


Lo scienziato che per primo misurò la lunghezza del meridiano terrestre fu Eratostene di Cirene, in Egitto. Il metodo che adottò per misurare la lunghezza del meridiano terrestre ebbe come riferimento due città: Alessandria e Siene, l’odierna Assuan. Partendo dall’ipotesi che fossero sullo stesso meridiano (in realtà sono separate da 3° di longitudine), misurò dapprima la distanza tra le due città, ponendo concettualmente i raggi solari paralleli tra loro: questa situazione è possibile in alcuni giorni dell’anno; il giorno del solstizio d’estate, infatti, a Siene il Sole è allo zenit e i raggi risultano verticali, mentre ad Alessandria formano un certo angolo: questo angolo corrisponde all’angolo posto ipoteticamente al centro della Terra tra le rette che congiungono le due città. Il suo valore era di 1/50 di angolo giro (ancora i gradi sessagesimali non erano stati ufficialmente introdotti), che equivaleva a 250.000 stadi, ossia a 39.400 km (contro i 40.000 reali). Apollonio di Perga in Turchia introdusse il sistema degli epicicli e dei deferenti. I pianeti così avrebbero dovuto ruotare attorno alla Terra su di un’orbita circolare ad una velocità costante chiamata deferente, mentre il centro della stessa orbita avrebbe ruotato attorno ad un cerchio immateriale detto epiciclo; sicché, per spiegare le persistenti differenze osservative dovette introdurre il modello eccentrico, con la Terra non perfettamente al centro del deferente; in tal modo la rotazione dei pianeti avveniva secondo un modello matematico molto vicino alla realtà, con moti retrogradi e persino variazioni di luminosità del pianeta. Ipparco di Nicea utilizzando vecchie osservazioni e cataloghi stellari primordiali, ne creò uno nuovo con 850 stelle, assegnandovi per primo le coordinate ellittiche. Classificò quindi le stelle in una scala di sei grandezze che oggi conosciamo come magnitudini stellari. Tramite questi elementi Ipparco poté notare che tra le sue osservazioni e quelle del passato vi era una certa differenza; questo implicava lo spostamento del centro di rotazione del cielo, e quindi la precessione degli equinozi. Il suo studio fu così accurato che poté calcolare i valori di spostamento supposti in 45” d’arco all’anno (oggi il valore stimato è di 50”). Stabilì con buona precisione la differenza tra anno tropico e sidereo calcolandone anche i tempi. La fama di Claudio Tolomeo è sorta grazie anche al libro “L’Almagesto” (Mathematikè Syntaxis). I libri dell’Almagesto sono un riepilogo di tutto il sapere del passato ed erano talmente completi da divenire in breve tempo un riferimento duraturo per i secoli futuri. In essi Tolomeo riprese e riadattò le vecchie teorie astronomiche alle nuove scoperte: stabilì il sistema geocentrico come punto irremovibile delle sue idee, dal quale giustificò il moto dei pianeti con le teorie di Apollonio ed Ipparco usando epicicli e deferenti; e nel cercare di creare un modello quanto più preciso possibile, ma soprattutto che non differisse dalle osservazioni, introdusse il concetto di equante, perfezionando l’ipotesi dell’eccentrico di Apollonio. Con questo “stratagemma” Tolomeo riuscì a non discostarsi troppo dai principi aristotelici di circolarità delle orbite e di costanza del moto; difatti, l’eccentricità fa apparire il moto degli astri non costante quando osservato dalla Terra, mentre in realtà risulterebbe continuo. Fu anche con questo sistema che riuscì a giustificare tutti i moti dei pianeti, anche quelli retrogradi, rispetto alla volta celeste. Creò un catalogo stellare con 1028 stelle usando le carte di Ipparco con cui divise il cielo in costellazioni, tra le quali le 12 dello zodiaco, usando il metodo delle magnitudini stellari.

Heath, Thomas, Greek Astronomy, New York, Dover, 1991. (Un’antologia di fonti, utile soprattutto per la prima fase, non matematizzata, dell’astronomia greca) Heath, Thomas, Aristarchus of Samos. New York, Dover, 1981. (Nonostante il titolo è una storia dell’astronomia greca fino ad Aristarco di Samo). Neugebauer, Otto, A History of Ancient Mathematical Astronomy. 3 vols. Berlin: Springer, 1975. (Opera molto più tecnica delle precedenti)


L’ASTROLOGIA GRECA Gli inizi dell’Astrologia in Grecia sono altrettanto oscuri che quelli in Mesopotamia, in Egitto o in Cina. Li si data generalmente sia dalla fulminea conquista di Alessandro, sia dal III° sec. aC. con l’arrivo sull’isola di Cos di un rifugiato babilonese, Beroso (probabilmente Berusu in assiro) che vi apri’ una scuola di astrologia. Tuttavia ci sono delle numerose tracce molto piu’ antiche che impediscono di accettare questa ipotesi storica semplicistica. D’altra parte, tre secoli prima, i Greci erano gia’ in possesso di tutte quelle conoscenze astronomiche che, presso i popoli d’Oriente non servivano che all’Astrologia, e sarebbe strano che essi avessero preso a prestito lo strumento (senza servirsene) ed i metodi di calcolo, senza un preciso scopo oroscopico, quando tutti i metodi di divinazione trovavano in Grecia un terreno particolarmente propizio. Citiamo dunque rapidamente alcuni fatti che dimostrano come l’Astrologia esistesse ben prima di Beroso che, d’altra parte, non era il primo astrologo caldeo ad esercitare in Grecia: un certo Ostano, compagno di Serse (485-465), l’aveva preceduto di due secoli. In primo luogo l’Iliade di Omero, il cui ordine dei canti lascia trasparire un arrangiamento astrologico indiscutibile, che dimostra che il simbolismo zodiacale era gia’ ben noto a quei tempi e serviva da canovaccio (o da promemoria?) al racconto come a qualche altro mito. [1] Questo poema inizia col segno del Leone, quello di Apollo e delle Muse, compie due giri completi dello zodiaco e prosegue sino al segno del Sagittario compreso. E’ pur vero che Luciano considera Omero un nativo di Babilonia, patria dell’Astrologia. D’altra parte gli Antichi, all’Iliade ed alle altre grandi epopee, davano il nome generico di ciclo o cerchio, il che gia’ suggerisce l’idea del ciclo o del cerchio zodiacale. Secondariamente, gli stessi autori greci attribuivano l’introduzione dell’Astrologia nel loro paese a personaggi infinitamente piu’ antichi di Beroso, ed al primo posto ponevano il misterioso Cadmo fondatore di Tebe, il cui nome ci richiama quello dell’Adam Kadmon della Kabbala, l’Adamo stellare di prima della caduta.

Cadmo uccide il Serpente a guardia della fonte di Ares - 550/540 a.c.

Secondo la tradizione sarebbe Cadmo a introdurre l’Astrologia dall’Egitto e cio’ potrebbe corrispondere verosimilmente a qualche fatto storico. Secondo certi autori, Cadmo - il cui nome significa letteralmente l’Orientale - con l’Astrologia, avrebbe importato in Grecia anche l’alfabeto fenicio (non era forse il fratello di Phoenix, parola che indica al tempo stesso la Fenice, la palma e l’anno?!) ed il culto di Dioniso. Da notare che molto piu’ tardi, all’inizio del V° secolo aC., cioe’ due secoli prima dell’arrivo di Beroso, un Cadmo regno’ sull’isola di Cos. In terzo luogo i pensatori presocratici furono chiamati fisici o matematici [2], nome che piu’ tardi designera’ gli astrologi. Benche’ i documenti sulla scuola ionica di Mileto, del VII° e VI° sec. aC., siano rari e molto posteriori (risalgono all’epoca di Aristotele), l’Astrologia vi occupa chiaramente un posto d’onore. Talete, che taluni fanno nascere nell’illustre famiglia di Cadmo, fu il primo greco a predire un’eclissi di Sole (del 610, del 597 o ancora del 28 maggio 585) che mise termine alla guerra tra i Medi e Lidi. Viene presentato anche come un discepolo degli Egiziani avendo egli vissuto a lungo a Creta ed in Egitto.

Scrisse un’opera sulla Astrologia nautica (da Teofrastro a Simplicio), gia’ andata persa all’epoca del Romani. Vi esponeva Il suo concetto davvero rivoluzionario consistente nel considerare l’Astrologia come una scienza naturale. «Considera gli astri come cose fisiche - constata Abel Rey [3] - dal rango degli dei dove sino ad oggi non hanno mai cessato di essere e dove continueranno ad esserlo con Platone, Aristotele e gli Stoici, essi scendono al livello delle nature terrestri ... ».


Si deve percio’ considerare Talete come l’autentico capostipite degli astrologi materialisti di oggi. E’ sempre lui a mettere a punto la teoria dei quattro Elementi partendo dall’acqua. «Anche se Eudemio attribuisce a Eunopide di Chio, posteriore di un secolo la descrizione precisa dello zodiaco, anche se i cerchi (dei pianeti) non sono stati volgarizzati prima dei Pitagorici e di Parmenide, non c’e’ alcun motivo per escludere che Talete abbia conosciuto ed insegnato il sapere degli astronomi babilonesi ed egiziani», [4] cioe’ l’Astrologia. Cicerone afferma che Talete costrui’ una sfera celeste che altri attribuiscono ad Anassimandro (intorno al 610-547) che pare sia stato pure l’ideatore di uno gnomone a Sparta. La fisica di quest’ultimo e’ nettamente segnata dall’Astrologia in quanto secondo lui «l’orifizio astrale e’ aperto dalla nascita del mondo, e non si tappa ne’ si stappa se non lentamente nelle fasi e nelle eclissi» [5]. Come Talete egli non accetta i miracoli: «e’ necessario che tutto si deduca dalle premesse»[6], il che e’ un’attitudine prettamente astrologica, poiche’ nonostante le inevitabili esagerazioni dei suoi servitori, l’Astrologia si presenta prima di tutto come una scienza di osservazione che richiede una logica senza incrinature. Aggiungiamo che gli Antichi parlano di sfere celesti molto piu’ vecchie di quelle di Talete e di Anassimandro. Diogene di Laerte cita, ad esempio, la sfera del poeta ed astrologo Musaeus (del XIV° o XIII° sec. aC.) ma poiche’ non fornisce alcuna precisazione, gli storici restano molto scettici [7] in quanto cio’ li costringerebbe a riconoscere che il cielo e’ stato seriamente studiato prima della guerra di Troia.

Anassagora, che insegno’ ad Atene per una trentina di anni - a partire dal 475 o dal 461 - riteneva che il destino dell’uomo fosse di obbedire agli astri. Si narra che egli avesse predetto che una meteora sarebbe caduta nel 467 nell’ Aegos-Potamos, piccolo fiume del Chersoneso di Tracia e che, in seguito, egli assistette a questa caduta [8], predizione unica nel suo genere e mai verificatasi da allora. Poiche’ osava insegnare che la Luna e’ una terra simile alla nostra, che il Sole e’ un globo di fuoco e non una massa animata dalla divinita’, che gli astri non sono degli dei e li si adora a torto, fu accusato di empieta’ e condannato a morte. Il suo allievo, l’illustre Pericle, riusci’ a salvargli la vita, ma fu bandito da Atene e mori’ due anni dopo, nel 428, a Lampsaca, citta’ della Misia, all’eta’ di 72 anni. In questa citta’ gli sono stati innalzati due altari a riconoscimento della sua opera, ma il suo libro Della Natura non ci e’ pervenuto che frammentariamente e Democrito, suo contemporaneo e nemico, l’ha accusato di essersi appropriato di idee astrologiche piu’ antiche. E’ evidente che la Grecia di prima di Alessandro non e’ rimasta estranea alle preoccupazioni astrologiche comuni a tutto il mondo antico. Il rilievo accordato qui a Talete, Anassimandro e Anassagora, dovrebbe essere ugualmente concesso ad una buona dozzina di altri personaggi, il che allungherebbe inutilmente questo esposto. Senofonte e Parmenide avevano gli occhi fissi alla volta celeste; Eraclito stabiliva come principio che «il cammino in alto (quello degli astri) e il cammino in basso (quello degli uomini) e’ lo stesso,” ed il suo soprannome l’Oscuro non e’ giustificato se non prescindendo dall’Astrologia. Egli introdusse in Grecia la nozione babilonese di un Grande Anno che egli valutava in 10.800 anni seguendo Cesorino (numero ottenuto moltiplicando i 3600 zodiacali per 30, durata media di una generazione) o in 18.000 anni secondo Ezio (gli stessi 3600 moltiplicati per 50, cifra di Giove-Marduk). Pitagora, il cui nome significa l’Araldo pizio - cosa assai suggestiva ed inquietante - e che, secondo la leggenda, soggiorno’ in Egitto e a Babilonia, mette l’accento sulle «personificazioni» che sembrano essere in primo luogo le suddivisioni zodiacali. Si suppone d’altra parte che il suo aforisma: «I numeri sono gli elementi di tutte le cose», sia legato al numero delle stelle che formano le costellazioni [10]. Costruendo la sua scienza dell’Universo, la divide in quadrivio: Aritmetica, Musica, Geometria e Astrologia, il che dimostra di per se’ che quest’ultima e’ al vertice del suo sistema... Anche ammettendo, come piu’ tardi nel Medio Evo, che queste quattro arti capitali si collochino sullo stesso piano, si vede gia’ l’importanza dell’Astrologia nel pitagorismo. Si attribuisce d’altra parte a Pitagora l’iscrizione del dodecaedro (cioe’ dello zodiaco) nella sfera celeste, cosa che, nel Timeo di Platone, serve da schema al Demiurgo per modellare l’intero cosmo, quello la cui costruzione completa gli Elementi.


Nelle sue “Note di un occultista” (n. 15, p. 68), Gabriel Trarieux d’Edmont scrive: «Nego che si possa comprendere il Timeo se non si conosce l’occultismo. E’ una descrizione dello zodiaco». D’altronde, numerose sono in Platone le allusioni astrologiche. Egli fissa, ad esempio, nelle Leggi, il numero totale dei cittadini liberi in 5.040 perche’ questo numero e’ divisibile sia per 7 (pianeti), sia per 12 (segni e case), sia per 28 (dimore lunari) e per 360 (gradi), cioe’ per tutti i numeri astrologici. Nella sua utopia, questi cittadini liberi eleggeranno 360 guardiani ripartiti in gruppi di 30, amministrando ogni gruppo lo Stato ideale per un mese. E difficile non vedere in questo progetto la trasposizione del cielo astrologico sul piano sociale. La prova principale ci viene infine fornita dalla storia stessa della Grecia, iniziata con la riunione di citta’ e popoli diversi attorno ad una stessa fede nelle dodici grandi divinita’ zodiacali. E’ questa idea religiosa ed astrologica che ha creato l’unita’ greca, e non gia’ l’egemonia militare di una citta’ o una qualsiasi concezione politica. Molti altri fatti simili possono essere citati a favore dell’esistenza dell’Astrologia molto prima dell’arrivo a Cos, sotto il regno di Antioco Soter (281-260), del sacerdote di Belus, o di Baal.

E indiscutibile che Beroso ha fortemente contribuito alla propagazione dell’Astrologia in Grecia, ma e’ certamente esagerato vedere in lui l’autentico iniziatore e fondatore dell’Astrologia in Grecia - a meno che avvenimenti tragici, come le guerre dei Medi che provocarono l’arretramento culturale delle terre ioniche, non avessero completamente distrutto quanto esisteva in precedenza, ma questo non sembra essere stato il caso. «Si crede, - annota F. Boquet -, che le dottrine astrologiche fossero conosciute in Grecia alla fine del V secolo prima della nostra era» [11]. Comunque sia, la scuola creata da Beroso a Cos era cosi’ brillante e le sue predizioni astrologiche cosi’ sorprendentemente esatte che gli Ateniesi, mentre era ancora in vita, gli dedicarono una statua dalla lingua d’oro per sottolineare l’ammirazione che destava in loro la sua scienza. I suoi risultati scientifici e materiali furono davvero eccezionali. Scrisse tre libri di cui uno sull’Astrologia e l’altro sulla storia di Babilonia. Non ne possediamo che frammenti, spesso di terza o quarta mano, poiche’ le citazioni che ci sono pervenute erano tratte da opere - egualmente scomparse di Alessandro Polistoro e Apollodoro. Secondo Eusebio la sua storia si sarebbe estesa su 2.150.000 anni, numero evidentemente simbolico. Cosi’, delle sue dottrine astrologiche provenienti dai templi di Babilonia, ci e’ nota soltanto la teoria della periodicita’ delle catastrofi che si verificano quando tutti i pianeti si trovavano riuniti nel segno del Cancro (cosa che faceva presagire un diluvio di fuoco), oppure in Capricorno (che corrisponde al diluvio di Acqua). Questa teoria puo’ essere in relazione con la grande annata di Eraclito, prima menzionata, in quanto si tratta di configurazioni astrali molto rare, e la grande annata dovrebbe corrispondere per principio al rinnovamento dell’umanita’ e della terra, come il nostro anno e’ quello della natura. E’ possibile che siano state queste dottrine di Beroso a spingere qualche astrologo hindu ad annunciare la «fine del mondo» per il 5 febbraio 1962 (incontro dei 7 astri tradizionali nel segno dell’ Acquario). Ma precisiamo a questo proposito che ne’ il The Astrological Magazzine di Bangalore ne’ altre serie pubblicazioni dell’India hanno mai fatto predizioni di questo genere e che, d’altra parte, nessun astrologo serio ha mai parlato di un’azione immediata delle eclissi. Beroso avrebbe anche inventato un apparecchio astrologico di cui ufficialmente non sappiamo assolutamente nulla. E non e’ neppur certo che noi non si possieda questo misterioso strumento, in quanto nessun archeologo ne’ storico ha ancora fatto dei confronti tra questo emiciclo di Beroso e un apparecchio astrologico scoperto nella primavera del 1900. Nel I° sec. a. C., una nave che da Rodi faceva rotta verso l’Italia, affondo’ presso l’isoletta di Antichitera, nella parte piu’ meridionale della Grecia. La scoperta del suo relitto sarebbe stata l’occasione di quella che poteva ben dirsi una delle prime clamorose imprese dell’archeologia sottomarina.


All’incirca verso la Pasqua del 1900, dei pescatori di spugne, dirottati dalla tempesta, gettarono l’ancora nei paraggi. Pur non trovandosi nelle loro abituali acque, gli uomini si tuffarono e s’imbatterono nel relitto. Gli archeologi greci furono avvisati. Vasi, anfore, statue in bronzo e in marmo vennero scoperti in questa occasione, il genere di oggetti che si sarebbero rinvenuti poi piu’ tardi in moltissimi altri relitti ... Ma vi si scopri’ anche un oggetto cosi’ sorprendente che per decenni, nessuno seppe dire che cosa fosse. Spezzato, corroso, coperto di incrostazioni, l’oggetto sfidava la sagacia dei ricercatori. Fu soltanto nel 1902 che si riusci’ a capire che si trattava di una sorta di meccanismo. Ci volle ancora un mezzo secolo di paziente e minuziosa pulizia per riconoscere che ci si trovava di fronte al piu’ complesso meccanismo che ci sia pervenuto dall’Antichita’.

Frammenti e schema tecnico della macchina di Antichitera

Conservato ad Atene, non ha eguali in nessun altro museo del mondo. E' davvero un pezzo unico, ed i testi antichi, scientifici o letterari, non avevano mai permesso di dubitare che nulla di simile potesse esistere ai tempi della Grecia e di Roma. Cosi' come lo si e' potuto oggi ricostruire, cosi' per lo meno come i lavori di M. de Solla Price hanno permesso di ricostituirlo partendo dai suoi frammenti deteriorati, l'oggetto si presentava come una scatola piatta: 326 mm di lunghezza, 164 mm di larghezza, 48 mm di spessore. Le sue pareti anteriori e posteriori si potevano aprire, rivelando dei quadranti e tutta una serie di accoppiamenti complessi ed eccentrici con ruote dentate funzionanti secondo un sistema epiciclico. L'insieme a quel che sembra evocherebbe all'aspetto un piccolo orologio del XIX° secolo. Le rimanenti 20 ruote dentate, tutte in bronzo, hanno potuto essere identificate; una di esse e' ancora montata scentrata, come in origine. L'angolo formato dall'estremita' di questi denti e' uguale dappertutto: 60°. Su alcuni di questi ingranaggi si sono riscontrate tracce di riparazioni (denti sostituiti per es.) il che permette di supporre che questo apparecchio abbia funzionato a lungo. E su tutte le superfici lisce, come sulle «porte» o coperchi dell'oggetto, si trovano numerosi caratteri greci che ne spiegano la meccanica, costituendo verosimilmente le istruzioni di impiego. Certo, si sapeva gia' che i Greci conoscevano e fabbricavano sistemi di ingranaggi, ma molto semplici, a due o tre ruote dentate soltanto. Ed ecco che ad un tratto si scopre qualcosa di cosi' complesso da essere degno dell'industria degli orologi. A cosa serviva questo meccanismo che le riviste scientifiche hanno qualificato come un qualcosa di incredibile? I frammenti delle «istruzioni per l'uso» e delle iscrizioni sui quadranti hanno finito per dare la risposta.


Su uno dei quadranti si puo’ vedere il nome dei segni dello zodiaco disposti in circolo. Si puo’ altresi’ notare su un anello mobile all’esterno del primo cerchio, i nomi dei mesi dell’anno. I due cerchi del quadrante, sono accuratamente suddivisi in gradi. E il solo esempio noto di uno strumento antico scientificamente suddiviso in gradi su una scala cosi’ grande. Delle lettere-chiave servono da riferimento per le iscrizioni del modo d’uso. L’insieme e’ destinato a mostrare ed a prevedere il movimento annuale del Sole attraverso lo zodiaco cosi’ come gli spostamenti delle stelle e delle costellazioni. Altri quadranti, decifrabili con ancora maggiore difficolta’, sembrerebbero riferirsi ai pianeti conosciuti dai Greci: Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, al loro «sorgere» ed al loro «tramonto», nonche’ ai loro movimenti diretti e retrogradi nel cielo. Il «meccanismo», di Antichitera - di cui si ignora sempre quale sia la forza che ne consentiva il funzionamento - sembrerebbe dunque essere stato una specie di calcolatore dei movimenti degli astri. Tutti questi movimenti, dal ritmo estremamente complesso, potevano essere in qualche modo riprodotti, raffigurati, previsti da questa piccola scatola delle dimensioni di un libro... L’esame degli altri oggetti trovati nel relitto, l’analisi della forma stessa dei caratteri greci che componevano le modalita’ di impiego, indicano chiaramente l’epoca del naufragio insieme a quella in cui lo strumento fu fabbricato. Queste epoche sembrano discostarsi di una trentina d’anni, e che il tutto si situi nel I sec. avanti la nostra era. Si tratta indiscutibilmente di un apparecchio puramente astrologico verosimilmente destinato all’astrologia oraria o ancora alla comparazione del cielo del momento con un oroscopico natale (anche se fino a prova contraria questo modo previsionale con i «transiti» in uso sia stato illustrato per la prima volta dagli Arabi), poiche’ permette di avere continuamente sotto gli occhi il cielo del momento e di consultarlo. Gli archeologi ed i redattori delle riviste scientifiche [12] completamente digiuni della nostra scienza, non hanno pensato alla necessita’ pratica di avere costantemente sotto gli occhi le posizioni planetarie. Innumerevoli sono gli strumenti moderni che rispondono a queste necessita’. Si puo’ quasi dire che ogni praticante ne inventa uno che corrisponda ai suoi gusti, ma si e’ nonostante tutto sorpresi di constatare come questa esigenza sia stata sentita duemila anni fa. Che si tratti dell’emiciclo di Beroso o di un apparecchio similare successivo, si puo’ affermare che dal III° sec. aC.l’Astrologia regna in modo totale sul mondo ellenico. Il culto della Fortuna - una religione derivata direttamente dalla pratica oroscopica rimpiazzo’ la credenza negli dei astrali combattuti da una serie di filosofi e riportati al livello di semplici pianeti e segni zodiacali - forze divine certo, e superiori agli uomini, ma cio’ nonostante forze fisiche. La prima conseguenza dello sviluppo dell’Astrologia in Grecia fu che le divinita’ stellari passarono dal livello soprannaturale a quello naturale. Gia’ nel VI° e V° sec., cioe’ nei due secoli che precedettero Beroso, e’ il termine dike’, la giustizia, che viene impiegato da Eraclito (dopo Anassagora) per designare quel che c’e’ di ordinato nel cammino degli astri e nell’Universo, le loro influenze sul mondo ed il flusso e riflusso delle trasformazioni che essi determinarono [13]. Questa denominazione e’ gia’ molto suggestiva poiche’ lascia intendere che gli astri incarnano l’ordine universale che e’ giusto e nettamente superiore alle antiche credenze religiose. I vocaboli piu’ tardi di Astrologia e mathesis non hanno il potere evocatore di dike’, ne’ il significato filosofico che questa parola implica, il tratto essenziale dell’astrologia greca e’ la sua democratizzazione. Non si tratta piu’ di una scienza sacra che si nasconde accuratamente nei santuari. L’idea della divinita’ degli astri ed i rapporti profondi della mitologia e del cielo stellare non impediscono assolutamente all’Astrologia di essere al servizio di tutti e non piu’ solo di qualche privilegiato. e’ possibilissimo che la scuola di astrologia caldea di Beroso, aperta a tutti (e non piu’ unicamente ai sacerdoti, come a Babilonia) abbia contribuito a questa democratizzazione, ma la laicizzazione degli astri e dei miti della scuola ionica e’ un fenomeno molto anteriore e tipicamente greco che nulla deve al rifugiato mesopotamico. Le affermazioni di Anassagora ed Empedocle, ad esempio, secondo le quali lo zodiaco coincideva primitivamente con l’equatore e che l’asse del mondo si era in seguito inclinato, provocando lo spostamento dei poli e dei climi [14] presentano cio’ come un fenomeno naturale dovuto allo «sforzo del Sole», senza alcun intervento divino esteriore. Non si puo’ trasformare questo esposto in un catalogo degli astrologi greci, talmente essi erano numerosi.


Contemporaneo di Beroso, che probabilmente ignorava essendo morto nel 270, Epicuro era anche astrologo, cosa che gli storici generalmente dimenticano di ricordare. Avrebbe scritto 300 opere, di cui alcune consacrate all’Astrologia, tutte perse, salvo un trattato sulla Natura ritrovato nel 1818 tra le rovine di Ercolano e di cui si avevano soltanto degli estratti in Diogene di Laerte. Tuttavia ci resta di lui una lettera indirizzata a Pitoclo sui fenomeni celesti che non lascia alcun dubbio sui suoi interessi astrologici, trattati evidentemente da «;antiquati»; dagli astronomi di oggi [15]. Si potrebbero citare ancora molti altri nomi conservati dagli autori antichi, ma di cui non sappiamo granche’. Un indovino, Aristandro di Telmesse, era il consigliere di Alessandro il Grande, e, siccome gli autori greci affermano che gli erano familiari tutti i metodi divinatori, si puo’ pensare che fosse anche astrologo. Numerosi sono oggi gli astrologi che, oltre alla nostra scienza, utilizzano altri procedimenti divinatori come la grafologia, la geomanzia, i tarocchi o la chiromanzia. In ogni caso, la letteratura astrologica dei Greci era molto importante, e si possono citare un gran numero di opere andate perse come un Trattato astrologico di Carpos di Antiochia [16], un altro di Esiodo o ancora un libro di Geminus sull’Astrologia la cui esistenza e’ ugualmente attestata da Proclo.

Epicuro (in greco Ἐπίκουρος, Epìkouros) Samo, 10 febbraio 341 a.C. – Atene, 271 a.C.- Museo Archeologico Nazionale, Napoli


Conone di Samo che viveva ad Alessandria all’inizio del III° sec. aC.e fu amico e, probabilmente maestro di Archimede - il quale nutriva verso di lui la piu’ grande ammirazione - ha composto per lo meno sette libri su Astrologia e Astronomia, opere dedicate a Tolomeo Evergete. Questi trattati sono serviti ad Ipparco e sono citati da Catullo e Virgilio, ma non sono parimenti pervenuti fino a noi. [17]. Protetti dai Lagidi, di cui taluni, pare, si occuparono di Astrologia (come Tolomeo I, fondatore del Museo e della Biblioteca del Serapione che raccolse rapidamente 700.000 volumi, e Tolomeo II, grande protettore dei saggi), gli astrologi di Alessandria erano numerosi e celebri, ma, ahime’, anche dei piu’ quotati come Aristillo di Samo o Timocaris, non restano ne’ opere ne’ biografie. Attirati dalle «borse» generosamente concesse, gli astrologi del mondo intero si diedero appuntamento nella nuova capitale dove, pare, procedevano ad un confronto dei metodi e ad uno scambio di osservazioni.

L’Astrologia sembrerebbe aver fatto dei rapidi progressi di cui non ci resta nulla; possiamo soltanto supporlo basandoci su indicazioni sparse. Si sa, per esempio, che un certo Dioniso avrebbe rinnovato o riformato l’Astrologia mondiale, creando un’era che porta il suo nome ed in cui i nomi dei mesi erano rimpiazzati da quelli dei segni zodiacali. Si e’ pure informati che Aristarco di Samo (di cui Tolomeo cita le osservazioni del 278) insisteva sull’importanza della divisione della sfera in 720 parti - dunque un mezzo grado zodiacale - i cui significati sono ancora utilizza- ti dagli astrologi hindu, e preconizza una grande annata di 2.484 anni. Secondo Vitruvio [18] egli avrebbe ugualmente costruito due quadranti solari ed inventato un apparecchio astrologico che doveva servire ad erigere gli oroscopi, detto scaphium o scaphe’. e’ vero che Archimede, figlio di astrologo, aveva lui pure costruito un planetario. Uno degli scritti completi - tra i piu’ antichi pervenutici - e’ il poema in sei libri Sull’Influenza degli Astri di Manetone, che viveva sotto il regno dei due primi Lagidi (cioe’ nel III° sec. a.C). Sacerdote egizio, originario della citta’ di Sabaunitos (nel Delta), fu conservatore degli archivi del tempio di Eliopoli. Tuttavia qualcuno dubita dell’autenticita’ di questo trattato (che non e’ stato ristampato dopo la sua pubblicazione a Leyda nel 1698 e a Leipzig nel 1857) e ritiene che si tratti di un’opera collettiva e probabilmente molto piu’ tarda (forse anche del III° sec. della nostra era). Lagidi furono i promotori di un celebre osservatorio di cui uno dei creatori potrebbe essere stato Eratostene (intorno al 275-194), ma le opere astrologiche di costui (tra le quali Catasterismi dedicato all’influenza delle costellazioni e delle stelle fisse, e un trattato sulla Grandezza della Terra) sono andate perse. Vissuti tra lui e Teone, padre della famosa Ipatia e ultimo conservatore del Museo di cui la Storia abbia conservato il ricordo, possono essere citati i nomi di una cinquantina di astrologi. Ma vediamo quali sono le opere attualmente ancora esistenti. Dall’altra estremita’ del mondo greco, alla corte di Antigone Gonata, re di Macedonia (278-242), c’erano un astrologo, Nicandro di Colofone ed un medico, Arato. Per distrarsi, il re incarico’ il medico di scrivere un poema sul cielo, e l’astrologo un libro sulla triaca (n.d.t.: antica composizione medicinale di moltissimi ingredienti che si usava quale antidoto contro il morso dei serpenti velenosi o come rimedio in moltissime malattie), poiche’ i potenti di questo mondo si divertono spesso alle spalle degli altri. Ora il tempo ha risparmiato I Fenomeni ed I Pronostici di Arato e La Triaca di Nicandro, il che dimostra - contrariamente alla supposizione di Bailly - che questi due libri siano migliori delle decine di opere similari perdute. Secondo l’opinione generalmente ammessa, il poema di Arato non e’ che la stesura in versi di un’opera persa di Eudossio di Cnido, rivale di Platone, dunque anteriore di un secolo.Seguono due altri «classici» dell’astrologia greca.

Gli Astronomica di Manilio e il Tetrabiblos di Claudio Tolomeo che formano, ognuno, un trattato completo. Di Manilio praticamente non sappiamo nulla. Il nome stesso e’ piuttosto incerto, poiche’ i suoi cinque libri degli Astronomica figurano anonimi sui piu’ antichi manoscritti, e sui piu’ recenti a volte e’ chiamato Mallio e Manlio [19]. Fu certamente contemporaneo di Augusto, e generalmente le sue opere vengono datate intorno all’anno 10 della nostra era. Per diverse ragioni non si possono avere molti dubbi che sia vissuto in Africa, anche perche’ l’esempio di domificazione (cioe’ della divisione del cielo in 12 case oroscopiche) che egli da’, corrisponde alla latitudine di Alessandria, cosa che ci permette di classificarlo tra gli autori greci, benche’ egli pretenda di essere il primo latino (cioe’ romano) ed il primo poeta a tentare di redigere un trattato di Astrologia in versi. Quest’opera contiene circa 2400 versi, ma e’ nondimeno incompiuta, probabilmente per la morte del suo autore[20] e non e’ stata diffusa all’epoca.


Ci sono inoltre molte notizie su Claudio Tolomeo di Peluso, soprannominato nel Medio Evo il «;principe degli astrologi». Le date delle sue osservazioni personali annotate nella sua Sintassi vanno dal 126 al 141. Sembra risiedesse a Canopo alle dipendenze del tempio di Serapide dove nel 147 consacro’ un’iscrizione astronomica il cui testo ci e’ stato conservato. Secondo Olimpiodoro, sarebbero stati allora 40 anni che egli osservava gli astri. Gli autori arabi lo fanno vivere sino a 78 anni e secondo Suidas la sua vita si sarebbe prolungata fino a Marco Aurelio, cioe’ dopo i 160 anni. Autore fecondo, ha scritto otto libri sulla Geografia, tre libri di Armoniche, tredici sull’astronomia (Sintassi o Almagesto), senza parlare di numerose altre opere. Nel campo dell’Astrologia, la sua opera che fa ancora testo ai giorni nostri e il Tetrabiblos o I quattro libri dei giudizi degli astri, opera di compilazione in cui fornisce ad esempio tre opinioni diverse senza prendere personalmente partito. Anche Tolomeo appare piu’ come un volgarizzatore che si ispira ad opere anteriori andate perdute che come un creatore. Il successo che ha conosciuto il Tetrabiblos e’ incontestabilmente dovuto piu’ al fatto che e’ il piu’ vecchio lavoro astrologico apparentemente completo giunto fino a noi che non per le sue intrinseche qualita’. Cinque secoli e mezzo dopo la sua scomparsa, gli Arabi lo presero come loro principale guida in Astrologia, e questo fece la sua fortuna. Tolomeo ha scritto altri libri astrologici - in particolare un Trattato dei quattro Elementi - che fanno parte delle sue numerose opere perse. La seconda opera che porta il suo nome, Carpos o Centiloquio, e’ generalmente considerata apocrifa. Presentandosi come un «condensato» del primo, da’ qualche aforisma che non si trova in questo, ma che poteva evidentemente figurare in qualche altro libro astrologico andato perduto di Tolomeo. Separati da piu’ di un secolo, gli Astronomica di Manilio e il Tetrabiblos si completano felicemente senza mai contraddirsi. I due provengono da un fondo comune degli astrologi dell’Antichita’ oggi scomparso. Pressappoco all’epoca di Tolomeo datano probabilmente le Ascensioni di Ipsicle (sebbene Paul Tannery [21] ritenga che esse siano della prima meta’ del II° sec. prima della nostra era). E il piu’ vecchio lavoro pervenuto fino a noi in cui ogni grado dello zodiaco e’ diviso in minuti e secondi. Il suo trattato astrologico principale sull’Armonia della Sfera, citato da Achille Tatius, non ci e’ pervenuto, ma le sue idee sul dodecaedro e l’icoasedro serviranno piu’ tardi a Keplero. Aggiungiamo che e’ al II° sec. aC.che data la piu’ antica opera antiastrologica conosciuta, L’Arte divinatoria di Panezio, uno stoico nato a Rodi o in Fenicia e di cui non sappiamo assolutamente nulla. Questo libro tuttavia e’ prezioso, poiche’ dimostra la stima di cui godeva l’Astrologia presso i Greci e lo sfrontato sfruttamento commerciale. La ciarlataneria non e’ un fenomeno moderno.

Tratto da “L’Astrologia Grea” di Alexander Volguine - 1994 [1] A. Volguine, Journal d’un astrologue, Paris 1957, p. 48 ss. [2] Abel Rey, La Jeunesse de la Science Grecque, Paris 1933, p. 4. [3]Ibid., p. 36. [4] Ibid., p. 40-4l. [5] Ibid., p. 80. [6] Tbid., p. 8I. [7] F Bouquet, Histoire de l’Astronomie, Paris 1925, p. 2I. [8] Ibid., p. 40. [9] René Taton, La Science Antique et Médiévale, Paris 1957, p. 214. [10] Abel Rey, ibid., pp. 192-194. [11] Ibid., p. 79. [12] «Science et Avenir», D.150 del 1959, p. 401 [13] Abel Rey, ibid., p. 402. [14] Aeitus il, 8, citato da AbeI Rey, ibid., p. 242. [15] F. Bouquet, ibid., p. 80. [16]Citato da Abel Rey, ibid., p. 211. [17] F. Bouquet, ibid., pp. 81-82. [18] Ibid., p. 87. [19] Articolo di Paul Manceaux in «La Grande Encyclopédie», Paris, s.d. tome XXII. [20] J. Hiéroz, Manilius et la Tradition Astrologique, Nizza, 1941, p. 4. [21] Recherches sur l’Histoire de l’Astronomie ancienne, Paris 1893.


..."Dei modi di predire il futuro attraverso l'astronomia due sono i piu' importanti ed efficaci: uno, che e' il primo nella teoria e nella pratica, e' quello mediante il quale abbiamo conoscenza delle inalterabili configurazioni prodotte dai movimenti del sole, della luna e dei pianeti in relazione reciproca e con la terra, il secondo e' quello che ci permette di indagare i cambiamenti prodotti nel mondo dai particolari aspetti di queste configurazioni. Il primo ha una sua propria 1ogica ed un proprio metodo, desiderabile per se, prescindendo dai risultati che conseguono dalla sua combinazione con 1' altro. Esso e' stato esposto sistematicamente e scientificamente, nel miglior modo a me possibile, in questo trattato. Del secondo, che non e' altrettanto autosufficiente, ho cercato di dare una descrizione adeguata dal punto di vista filosofico"... TETRABIBLOS - Claudio Tolomeo


LA MITOLOGIA DELLE COSTELLAZIONI Alcune delle principali costellazioni e i miti ad esse legate.

ANDROMEDA Questa costellazione lega il suo nome ad almeno altre cinque costellazioni: Cefeo, Cassiopea, Perseo, Balena e Pegaso. Il mito proviene dal IV libro delle Metamorfosi di Ovidio (43 a.C. – 18 d.C). Andromeda era la bellissima figlia del re di Etiopia: Cefeo. Un giorno, mentre si stava pettinando, la madre di Andromeda, la regina Cassiopea, anche lei bellissima, ebbe la sventurata idea di proclamarsi più bella delle Nereidi, le cinquanta ninfe del mare, figlie di Nereo (il vecchio del Mare). Faceva parte di esse Anfitrite, la moglie di Poseidone (Nettuno per i Romani) il dio del mare. Proprio quest’ultima, offesa per l’affronto, convinse il marito a punire la regina d’Etiopia per la sua superbia Il dio, allora, mandò un mostro, la Balena, a devastare le coste dell’Etiopia. Il padre di Andromeda, disperato, si recò dall’Oracolo di Ammone, per sapere che cosa si potesse fare per allontanare dal paese la calamità. Dopo avergli spiegato il motivo della collera del dio, l’oracolo disse allo sconvolto sovrano, che l’unico modo per porre fine alle devastazioni era sacrificare sua figlia, la principessa Andromeda, al mostro. Pur di salvare il suo paese il re accettò, perciò Andromeda venne incatenata a uno scoglio (la tradizione vuole che si trovi nei pressi dell’odierna Tel Aviv) in attesa dell’orrenda fine. Tutto sembrava perduto per la giovane principessa ma Perseo, l’eroe che decapitò Medusa, appena di ritorno dalla sua grandiosa impresa, si trovava nei paraggi e rimase folgorato dalla bellezza indifesa della fanciulla. Perseo si avvicinò ad Andromeda che a differenza della madre era molto timida e non osò rivolgergli lo sguardo nemmeno in un momento così delicato, ma alla fine si decise a raccontargli la sua storia. Il mostro intanto emerse all’improvviso dalle acque ed era pronto ad azzannarla: l’eroe senza indugio chiese ed ottenne la mano di Andromeda ai genitori e si gettò a capofitto sul mostro trafiggendolo con la sua spada. “Come la vide legata le braccia a una rigida rupe, Perseo l’avrebbe creduta di marmo, se l’aria leggera non le moveva le chiome e stillavano lagrime gli occhi, inconsapevole n’arde e stupisce. Rapito alla vista della bellezza dimentica quasi di battere l’ali.1” (Ovidio, Metamorfosi, IV, 673-677)


A malincuore i sovrani mantennero la promessa ed i due giovani poterono finalmente sposarsi. Ma per Andromeda e Perseo le disavventure non erano ancora finite. Cassiopea, infatti, gelosa della figlia, d’accordo con Fineo, zio e precedente fidanzato di Andromeda, complottò contro Perseo. Ma l’eroe, scoperto l’inganno, sgominò i nemici mostrando loro la testa della Gorgone, che li pietrificò. Perseo portò Andromeda in Grecia, dove divenne re di Trinto. Qui, i due, vissero felici e contenti ed ebbero più di tredici figli. Le stelle più brillanti di Andromeda sono: Andromedae, detta anche Sirrah o Alpheraz, rispettivamente dall’arabo surrat, “ombelico”, e al-faras, “il cavallo”, perché prima questa stella era condivisa con la costellazione di Pegaso e ne rappresentava l’ombelico. Della stessa magnitudine c’è poi Andromedae, detta anche Mirach, che deriva dall’arabo al-mi’zar, “guaina” o “perizoma”. 1 - Dal passo citato, si vede come l’eroe fosse dotato di ali proprie (i sandali alati appunto) e non volasse quindi in groppa a Pegaso, come vogliono versioni probabilmente apocrife.


CIGNO Brillante ed estesa costellazione; la forma dell’uccello si estende sulla Via Lattea estiva, volando verso sud. Si tratta di una delle figure più tipiche dell’emisfero boreale, disposta lungo la Via Lattea in un suo tratto molto ricco. La forma della costellazione, ben riconoscibile nei cieli da giugno a novembre, ricorda una grande croce, con l’asse maggiore formato dalle stelle Deneb e Albireo, il becco del Cigno, e l’asse minore formato da Gienah e Rukh il punto di intersezione degli assi è invece rappresentato dalla stella Sadr. La parte settentrionale del Cigno si presenta circumpolare a nord del 35° parallelo nord, mentre Deneb non tramonta mai oltre i 44°N; la costellazione pertanto è una delle dominanti in assoluto per gli osservatori dall’emisfero nord. Il greco Eratostene (III secolo a.C.) la cita già col nome di Cigno e così venne rappresentata nella numerosa serie di racconti mitologici legati a questa costellazione ma, tra gli stessi greci, Ipparco (II secolo a.C.) e Tolomeo (II secolo a.C.) ne parlarono col termine di Uccello. In epoca cristiana le venne attribuito il nome di Croce. Gli Arabi le conferirono un’immagine meno elegante e nobile di quella greca ripresa poi dai latini, l’associarono cioè al Piccione ma soprattutto alla Gallina. Di fatto il termine Deneb, nome della più brillante tra le sue stelle, deriva proprio dall’arabo Dheneb-ed-Dajajeh, che significa appunto “la coda della gallina”. Degno di nota è come, nel 1627, si assistette al tentativo di ristabilire il nome cristiano ad opera dello Schiller. Egli infatti, per esaltare e perpetrare nel tempo la figura della madre dell’Imperatore Costantino (primo imperatore romano cristiano) colei che aveva ritrovato la Croce di Cristo smarritasi per 300 anni, battezzò la costellazione col nome di Croce sostenuta da sant’Elena. Il tentativo ebbe però vita breve e il nome di Cigno, alla fine prevalse, rimanendo fino ad oggi. Anche quest’asterismo è legato ad una delle tante relazioni extraconiugali di Zeus con donne mortali. Nella Tessaglia viveva Leda, la bellissima e virtuosa moglie di Tindaro, re di Sparta. Zeus, indispettito da tanta fedeltà, volle a tutti i costi sedurla. Naturalmente Leda gli sfuggiva, ma un giorno, mentre ella si lavava presso un fiume, il dio, assunte le sembianze di un bellissimo cigno, le volò in grembo e si congiunse con lei. La notte che seguì quel giorno, Leda si coricò anche con il marito. In seguito a quella doppia unione, con un dio e con un mortale, Leda partorì quattro gemelli. I primi due, Castore e Polluce, di natura divina e gli ultimi due di natura mortale: Elena, la donna più bella del mondo, e Clitennestra. Così, infatti, scrive Pindaro (V secolo a.C.): “Zeus davanti gli venne [a Polluce] e pronunciò queste parole: “Tu sei mio figlio; poi, congiuntosi alla madre tua, l’eroe suo sposo stillò il seme mortale ...” Pindaro (Nemea, X, 39-43) Clitennestra sposò Agamennone, re di Sparta, mentre Elena fu causa della guerra di Troia, ma questa è un’altra storia ...

Leda e il Cigno - Apluleia, 330 a.c.


La versione del racconto che risale a Eratostene, invece, dice che Zeus un giorno s’invaghì della ninfa Nemesi che abitava a Ramno, a nord est di Atene. Per sfuggire alle avance sgradite del dio assunse le forme di vari animali, dapprima tuffandosi in un fiume, poi scappando per terra, e infine volando via sottoforma di oca. Senza arrendersi, Zeus la inseguì nonostante tutte le trasformazioni, ogni volta trasformandosi in un animale più grande e più veloce, finché non si tramutò in cigno e con quelle fattezze l’acchiappò e la violentò. Igino racconta una storia simile, ma non cita le metamorfosi di Nemesi. Dice, invece, che Zeus finse di essere un cigno che stava sfuggendo a un’aquila (in realtà si trattava di Afrodite che aveva assunto le sembianze di un’aquila su richiesta di Zeus) e che Nemesi gli offrì rifugio. Solo dopo essersi addormentata con il cigno in grembo si rese conto dell’errore compiuto. In entrambe le versioni il risultato fu che Nemesi fece un uovo che fu poi donato alla Regina di Sparta, Leda, alcuni dicono da Ermes e altri da un pastore che trovò l’uovo in un bosco. Dall’uovo uscì la bella Elena (che doveva diventare poi famosa come Elena di Troia). Denb (alpha Cygni) insieme ad Altair (alpha Aquilae) e Vega (alpha Lyrae) costituiscono un cospicuo triangolo, chiamato Triangolo Estivo, che caratterizza il cielo delle notti estive.


ORSA MAGGIORE È sicuramente la costellazione più nota del cielo boreale, le sue sette stelle principali costituiscono un asterismo facilmente identificabile, denominato Grande Carro, anche se qualcuno, più prosaicamente, ci vede un tegame con il manico o una seggiola con lo schienale. E’ bene tenere presente che le sette stelle dell’Orsa Maggiore costituiscono solo una piccola parte dell’intera costellazione che rappresenta, abbastanza bene, l’animale, l’orsa appunto. La costellazione si estende per ben 1280 gradi quadrati ed è la terza, per estensione, di tutto il cielo, superata solo dall’Idra e dalla Vergine. Le sette stelle rappresentano la coda e la parte finale della schiena dell’animale, esse sono: Dubhe (da Al-Thahr-al-Dubb-al-Akbar, cioè il dorso del grande orso) Merak (abbreviazione di Merak-al-Dubb-al-Akbar, cioè le reni del grande orso) Fegda o Fechda (da Fekhah, cioè la coscia) Megrez (da Maghrez, cioè la radice della coda) Alioth (da Al-lat o al-Giun, cioè cavallo nero) Mizar, che significherebbe “grembiule”; il nome sarebbe stato introdotto nelle carte celesti, secondo congetture di Giuseppe Scaligero, in sostituzione del suo nome di Merak, già usato per la seconda. Sufi, astronomo arabo del X secolo, la chiamò Al-anak-al-Benat che significherebbe “la capra dei piagnoni” Alkaid o Benetnasc’, entrambi derivanti da Al-kaid-al Benat-al-Nasc’ cioè il capo dei piagnoni. È pure doveroso ricordare la famosa stella che accompagna Mizar che ha il nome di Alcor. Questa stella è visibile ad occhio nudo molto vicina alla ben più luminosa Mizar, da cui dista circa 12 primi. L’origine del suo nome è molto discussa ed è forse una profonda alterazione di qualche parola araba. Sembra che gli arabi la chiamassero Al-Suha, cioè la “piccola stella trascurata” ed anche Al-Saidak. Ed è questo significato che si ricollega all’idea, ancor oggi mantenuta, che essa servirebbe per provare l’acuità visiva. L’Orsa Maggiore era in origine la ninfa Callisto, figlia di Licaone, re di Arcadia. Callisto si era consacrata ad Artemide. Nelle Metamorfosi, Ovidio, ci narra la sua triste storia. Di lei s’innamorò Zeus, che voleva a tutti costi sedurla, ma poiché essa fuggiva gli uomini (le ancelle di Artemide, come la dea stessa, avevano fatto voto di castità) Zeus prese le sembianze di Artemide per possederla. Callisto, nonostante l’inganno, resistette coraggiosamente alla forza del dio: “Ella s’oppose lottando per quanto può donna Giunone oh se l’avessi veduta saresti ben stata più mite!” (Ovidio, Metamorfosi, II, 434-435) ma non ci fu nulla da fare. Callisto rimase in cinta ed il fatto fu scoperto quando Artemide e le compagne si fermarono a lavarsi presso una fonte, ed essa: “Si denuda: scoperta, per la gonfiezza del feto è tradita dal peso del ventre che si vede.” (Ovidio, I Fasti, II, 171-172) Artemide, furiosa, la scacciò e la moglie di Zeus (Era per i Greci, Giunone per i Romani) altrettanto adirata, infierì sull’incolpevole ninfa trasformandola in orsa, una trasformazione che Ovidio racconta con toni raccapriccianti. Molti anni dopo, Arcade, il figlio nato dalla violenza di Zeus, andando a caccia nei boschi, incontrò, inconsapevole, la madre che, riconosciutolo e guardandolo fissamente, cercò di avvicinarglisi, Arcade, spaventato, fu sul punto di colpirla con una freccia mortale quando Zeus, finalmente impietosito per la sorte della sua vittima, impedì il delitto e portò in cielo entrambi trasformando Callisto nell’Orsa Maggiore e Arcade nella costellazione di Artofilace (in greco “guardiano dell’orsa”). A questo nuovo affronto Era, la moglie di Zeus, reagì rabbiosamente, facendo in modo che per l’eternità alla Grande Orsa fosse impedito di lavarsi nelle acque dell’oceano. E in effetti, a quel tempo, a causa del moto precessionale, l’Orsa Maggiore era circumpolare anche alle latitudini della Grecia.


Molte interpretazioni vennero date, invece, alle sette stelle del Grande Carro: Cicerone (I secolo a.C.) le chiama i “Septem Triones” i sette buoi dei quali è guardiano Boote (da cui il termine settentrione per indicare il nord); gli inglesi le chiamano “la casseruola”; per gli Arabi esse rappresentano un feretro seguito dalle prefiche o piagnoni; per i Galli un cinghiale; per gli Egiziani un ippopotamo e così via. Secondo un’altra leggenda, l’Orsa Maggiore rappresenta una ninfa di Creta, Elice, che avrebbe allevato, assieme alla ninfa Cinosura, Zeus bambino. Crono, padre di Zeus, era deciso ad uccidere il figlio, perciò voleva punire le due ninfe che avevano aiutato Zeus. Per evitare ciò, Zeus, trasformò entrambe le ninfe in costellazioni, l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore, assumendo egli stesso la forma del Dragone. Si osservi che Callisto è il nome dato al quarto satellite di Giove.


ORSA MINORE Questa costellazione circumpolare deve la sua fama al fatto che la sua stella più brillante, di seconda magnitudine, è la notissima stella Polare, così chiamata nei nostri tempi per la sua vicinanza al polo nord celeste. A causa della precessione il polo nord Celeste (proiezione in cielo del corrispondente polo nord terrestre) descrive in 25.786 anni un cerchio tra le stelle, il cui raggio è di 23°,5. Esso si sta tuttora avvicinando alla Polare e verso il 2105 si troverà alla minima distanza da essa, circa 28’; dopo di che la distanza aumenterà. Del resto, intorno all’800 d.C. il Polo era vicino alla stellina di quasi quinta grandezza denominata 32 Cam. Se andiamo ancora indietro, intorno al 1200 a.C. la stella più vicina la Polo era la b dell’Orsa Minore che doveva servire ai naviganti mediterranei come guida e ancor oggi porta il nome di Kocab, che, secondo alcuni, deriva da Kaucab-al-Seemali che significherebbe “stella del nord”. Intorno al 2900 a.C. era invece l’a del Drago a fungere da Polare. E nel futuro, intorno al 4000 spetterà alla g del Cefeo e nel 7500 alla a l’onore di essere chiamate “Polari”. La costellazione dell’Orsa Minore è anche nota come il “Carro Piccolo”, poiché la disposizione delle sue sette stelle più brillanti imita quella delle sette stelle dell’Orsa Maggiore, che costituiscono il “Carro Grande”. Il nome attuale della costellazione si fa risalire a Talete perché sembra che prima i Fenici la denominassero la Cynosura (che in greco antico significa “coda del cane”). E qualcosa col cane ebbe a che fare anche nella mitologia greca, perché, se l’Orsa Maggiore rappresenterebbe la ninfa Callisto, l’Orsa Minore sarebbe semplicemente il suo cane. Secondo un’altra leggenda, l’Orsa Minore rappresenta una ninfa di Creta, Cynosura, che avrebbe allevato, assieme alla ninfa Elice, Zeus bambino. Crono, padre di Zeus, era deciso ad uccidere il figlio, perciò voleva punire le due ninfe che avevano aiutato Zeus. Per evitare ciò, Zeus, trasformò entrambe le ninfe in costellazioni, l’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore, assumendo egli stesso la forma del Dragone. Nella lingua inglese il nome proprio Cynosure è utilizzato per indicare sia la costellazione dell’Orsa Minore, sia la stella Polare; inoltre il sostantivo cynosure significa “centro dell’attenzione”. Oltre alla stella Polare, altre stelle brillanti sono Kochab e Pherkad. Prolungando la retta che congiunge le due stelle dell’Orsa Maggiore Merak e Dubhe seguendo la direzione indicata dalla figura, la prima stella luminosa che s’incontra è la Polare.


DELFINO La costellazione deve il suo nome alla particolare configurazione creata da un gruppo di stelle di quarta magnitudine, che ricorda felicemente la sagoma di un delfino in fase di salto. Nonostante le sue piccole dimensioni il Delfino è facilmente riconoscibile, grazie al fatto che le sue stelle sono molto ravvicinate fra loro. È una costellazione molto antica. Ai marinai greci capitava di frequente di avvistare delfini, non è quindi sorprendente trovare in cielo una di queste creature amichevoli e intelligenti. Il suo mito è legato alla storia di Arione, musico di Lesbo, la cui bravura viene così celebrata da Ovidio: “O canoro Arione, si dice che Cinzia [Artemide] ammirasse spesso il tuo canto come quello di suo fratello [Apollo]” Ovidio, Fasti (II, 89-90) È bene sottolineare che si tratta di un personaggio realmente esistito, un poeta e musicista vissuto nel VII secolo a.C. Arione nacque nell’isola di Lesbo, ma la sua fama si sparse per tutta la Grecia perché si diceva che era un abilissimo suonatore di lira. Mentre Arione ritornava in Grecia via mare, dopo un giro di concerti in Sicilia, i marinai della nave che lo trasportava complottarono per ucciderlo e rubargli il denaro che aveva guadagnato col canto. Apollo gli apparve in sogno svelandogli il complotto e promettendogli il suo aiuto. Al momento dell’aggressione, Arione chiese ai nemici di concedergli la grazia di cantare per l’ultima volta. Attirati dal suo canto dei delfini uscirono dal mare e Arione, fidando nell’aiuto del dio, si buttò in acqua. Un delfino lo portò sul dorso fino in Grecia, dove più tardi affrontò faccia a faccia coloro che avevano attentato alla sua vita, facendoli condannare a morte. Apollo, in segno di riconoscenza, portò il Delfino in cielo insieme alla lira di Arione. Ci sono però altri riferimenti; tra gli ebrei antichi, la costellazione, rappresentava il pesce di Giona. Molto interessante e poco noto è il fatto che le due stelle alfa e beta vennero riportate all’inizio del IXX secolo dal Piazzi con i nomi di Sualocin e Rotanev; molti astronomi, anche attuali, si sono scervellati per cercarne l’origine, certamente araba. Invece è uno scherzo giocatoci dal Piazzi medesimo. I due nomi letti a rovescio, suonano Nicolaus Venator, nome latinizzato di Niccolò Cacciatore, allora assistente del Piazzi all’Osservatorio di Palermo e suo successore nella direzione. È l’unica persona ad aver dato il proprio nome a una stella e ad averla fatta franca.

Un altro mito narra che Poseidone come sua moglie scelse una delle Nereidi, Anfritrite, la quale però era contraria alle nozze. Anfitrite per sfuggire alla corte ossessionante di Poseidone si nascose sul monte Atlante. Il dio incaricò alcuni uomini tra i quali un certo Delfino di convincere la nereide ad accettarlo come compagno. Delfino fu il più convincente di tutti e per riconoscenza il dio pose fra le stelle l'immagine del delfino.

Teseo, Atena e Anfitrite - Eufronio - 500/490 a.c.


Associazione culturale e gruppo di rievocazione storica

HLIADES KOUROI (Eliades Kuroi)

Figli del Sole


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