La Danza nell'Antica Grecia

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A cura del gruppo storico

I Figli del Sole


Tersicore, protettrice della danza e della lirica corale.


In Europa la danza nacque alla fine del secondo millennio avanti Cristo, precisamente in Grecia. La cultura greca operò una sintesi di quanto si era prodotto fino ad allora presso le altre civiltà conosciute: dall’Egitto all’India, alla Cina. Dalle danze africane essa recepì i caratteri della festosità e dell’allegria; dalle danze asiatiche prese l’impostazione etico-religiosa dai toni solenni ed introversi. Attraverso la elaborazione di questi elementi, si crearono due distinti filoni: la danza apollinea e la dionisiaca che corrispondevano ai due poli filosofico-culturali ellenici dell’Ethos e del Pathos. Dalla fusione dei due filoni si generò la danza teatrale. Ad un attento esame del fenomeno coreico in Grecia, viene fuori che non vi sono molti elementi di novità rispetto a quanto si era prodotto presso altre civiltà. Ci troviamo di fronte ad una rielaborazione di temi già esistenti, quali combattimenti, morte, fertilità, iniziazione, nozze. Le modalità ricalcano noti schemi afro-asiatici: danze animali, mascherate e imitative, eseguite in circolo, in coppia, in processione o su fronti contrapposti maschi/femmine. E’ anche vero che queste e non altre sono le tipologie espressive; è quindi naturale che i popoli venuti prima, nell’averle realizzate, ci sembrano oggi originali, mentre i popoli venuti dopo ci danno l’impressione di aver copiato passivamente. Certo, le popolazioni elleniche sono state molto creative in tutti i settori della cultura e dell’arte; per questo motivo ci si sarebbe aspettato qualcosa di importante in campo coreutico. Probabilmente i flussi migratori verso la Grecia spiegano l’importazione di danze esistenti altrove. I gruppi di immigrati si portarono appresso le danze in uso nelle terre di origine. I Greci ebbero come maestri di danza i Cretesi che furono i migliori danzatori della loro epoca: questi furono unanimemente considerati i più grandi artisti nei vari generi di ballo. Una loro danza, la pirrica, fu adottata dagli Spartani che la trasformarono in una vera e propria danza di preparazione al combattimento. Secondo la loro cultura, un grande danzatore era anche un grande guerriero. Gli storici raccontano che gli spartani entrassero in battaglia con un tipo di marcia che corrispondeva ad una danza.


Grande sviluppo ebbero anche le danze di culto dove la figura della donna assunse un ruolo di centralità. Le famose mènadi erano danzatrici invasate, prese dall’ebbrezza sacra e capaci di annullarsi in Dionisio. La loro danza, all’inizio frutto di rapimento e di istintività, diventò prodotto sofisticato e artisticamente rilevante. Basti dire che la gestualità delle mani fu codificata in una serie di significati direttamente connessi ai vari moti dell’animo umano. Confluirono in Grecia molte danze asiatiche, dalla cui ‘ellenizzazione’ scaturì un fenomeno che, associato o meno al divino, possiamo definire come il culto per la bellezza e per il nudo femminile. Dalle pitture vascolari che ci sono state tramandate si evince un tema quasi fisso: danze di fanciulle che, interpretando gli antichi riti della fertilità, sembrano perseguire l’obiettivo primario di mostrarsi al fine di piacere 1.

Danzatrice greca con Crotali . Britush Museum


La danza era alla base dell’educazione ellenica. I buoni danzatori erano onorati e vennero isituiti anche pubblici concorsi di danza. Anche Socrate prese lezioni di danza ed amava ripetere che “il buon danzatore fa l’ottimo soldato” e che “coloro che meglio onorano gli Dei nelle danze sono egualmente i migliori nel combattimento”. Per designare la danza i Greci impiegavano due vocaboli: orchesis che designava la danza nelle facoltà individuali e choreia per la pratica collettiva. Sia nell’una che nell’altra danza era sempre importantissimo l’elemento mimico: il danzatore greco parlava e pregava con tutto il corpo. La danza greca si può dire che nasca nel coro, dove acquista il suo triplice carattere religioso,educativo e guerriero. Platone pensava che fossero degne di considerazione, le danze pacifiche e quelle di guerra, tutte le altre, dalle comiche alla buffonesche e simili erano escluse dal grande filosofo perché considerate nocive al corpo sociale. Le danze elleniche si possono classificare secondo il piede: il ritmo dattillico scandiva il passo maestoso dei procesionali, mentre l’anapestico staccava energicamente le danze guerriere. Per semplificare, si può dire che le danze greche si possono dividere in stasimotere, le danze religiose con battute di 6/8, gli embateri, le marce militari con ritmo 2/4 o 4/4 e gli iporchemi le danze ginnico educative a tempo 5/8 o 3/4. A queste tre ripartizioni possiamo ricondurre l’intera danza ellenica. La più famosa danza guerresca è la pirrica, più che una danza è un’esercitazione di passi robusti, una parata. Altre danze sono quelle dei fiori, vivace celebrazione della primavera, le danze dionisiache, cioè quelle sfrenate, le danze conviviali, a base acrobatica, la danza religiosa (emmeleia) tipica della tragedia, il sikinnis, ovvero la danza del dramma satirico e il kordax, la danza popolare e gaia della commedia. La coreologia teatrale ellenica, grazie alle sue forme, ha raggiunto quasi il balletto con le sue entrate, maschere e messinscene.

Danzatrici greche e saltimbanchi.

1 - Tratto da “STORIE DI DANZA. Come nasce un ballo. Dove e quando” di Rino Capone. Opera vincitrice al Concorso Letterario IL PREMIO L’AUTORE – FIRENZE - Sezione SAGGISTICA, Edizione 2006. (www.firenzelibri.com – Maremmi Editori SAS)


Nessun popolo dell’antichità amò la danza quanto i Greci. La danza era in Grecia un vero linguaggio, interprete di tutti i sentimenti e di tutte le passioni. E’ risaputo tuttavia che la danza espressiva aveva un posto di rilievo nella religione e negli esercizi del corpo. Aristotele parla di saltatori che rappresentavano con le loro danze i costumi e le passioni degli uomini. A quell’epoca in Grecia, come in Egitto e in Palestina, la danza presiedeva sempre le cerimonie di culto. Faceva parte della ginnastica e degli esercizi militari. Il legislatore Licurgo tenne la danza in grandissima considerazione istituendo numerosi esercizi destinati a mantenere in allenamento i guerrieri. Gli Spartani poi andavano incontro al nemico ballando. Al tempo di Aristofane il ballo veniva ordinato dai medici oltre ad essere l’accompagnamento obbligatorio per banchetti e feste. La danza aveva presso gli antichi una portata più ampia avvicinandosi così molto di più alla natura. I movimenti di danza (o movimenti orchestici) non sono né meccanici né imitativi. Platone disse che: “l’animale non può starsene a riposo e salta e s’agita con visibile piacere come se volesse spendere in movimenti inutili una forza sovrabbondante”. E l’uomo obbedisce a un bisogno simile quando si mette a ballare. In Atene le cerimonie abbinate alla danza erano innumerevoli: oltre ai giochi Pitici, c’erano i giochi di Nemea, gli Istmici (che traevano il loro nome dall’istmo di Corinto), le feste di Adone e di Aiace, le feste campestri in onore di Cerere e in onore di Diana. E poi le feste in onore di Castore e Polluce, di Bacco, di Giove, di Minerva, ed altre feste consacrate a Pallade, a Esculapio, ad Apollo; le feste funebri, le feste a Borea (che avevano lo scopo di placare il dio del vento Borea), la festa della terra e dei buoi; la festa delle Muse, quella che celebrava la vittoria di Maratona, quella di Nasso e il trionfo di Pallade su Nettuno.

Danzatrici greche - Collezione Hemilton

I poeti greci recitavano o cantavano i loro versi danzando e perciò furono chiamati “danzatori”. Pindaro definisce “danzatore” Apollo e Simonide chiama la danza una poesia muta. Luciano sostiene che la danza non entrò a far parte dei giochi olimpici solo perchè i Greci temevano di non trovare premi degni di essa. Omero ci mostra Vulcano che sta ornando gli scudi con figure danzanti. Sembra che anche Socrate abbia danzato con Aspasia. Nell’antica Grecia si ballava dappertutto e in ogni occasione: nei templi, nelle campagne, nei boschi. Ogni avvenimento veniva celebrato con le danze: il matrimonio, la nascita, addirittura la morte era occasione di ballo. Omero narra nell’Iliade che Vulcano, il divino zoppo, cesellò sullo scudo di Achille una danza simile a quella che Dedalo aveva inventato per Arianna. Vi erano rappresentati delle fanciulle e dei giovani intrecciati in un passo cadenzato: le fanciulle coperte con un velo leggerissimo e i giovani lucenti per l’olio di cui si erano cosparsi vestivano una tunica e portavano la spada con l’impugnatura d’oro con pendagli d’argento. Ballavano in tondo imitando il movimento circolare di una ruota.


Gli eroi seguivano l’esempio degli dei. Teseo festeggiava con la danza la sua vittoria sul Minotauro e dopo la vittoria su Salamina Sofocle danzò accompagnandosi con la lira. Omero nell’Odissea afferma che la danza rallegrava i banchetti. Eschilo e Aristofane si esibirono in pubblico danzando nelle loro commedie. Epaminonda fu un grande ballerino. Filippo, re di Macedonia, sposò una ballerina. Nicomede, re di Bitinia, era figlio di una ballerina. Gli antichi Greci sostenevano che i ballerini erano “saggi di piede e di mano” perché i loro gesti interpretavano i misteri della natura. I migliori ballerini di Grecia si reclutavano in Arcadia. Le pitture dei vasi e i bassorilievi di marmo e di bronzo ci hanno trasmesso i gesti della danza greca. La danza greca era suddivisa in tre tipi fondamentali: la danza sacra, la danza profana e la danza militare. Le danze sacre sarebbero ispirazione di Orfeo al suo ritorno dall’Egitto e tra esse si annoverano le Emmelie, le Hyporchemes, e le Gymnopedies: Le Emmelie erano essenzialmente danze sacre e se ne attribuisce l’invenzione ai satiri di Bacco. Secondo Platone queste danze (rappresentazioni mimiche) erano improntate sulla necessità di esprimere il sentimento di cui è permeato ogni mortale quando invoca la divinità. Potevano anche rappresentare la grazia, la maestà e la forza e avevano un grande effetto sugli spettatori. Le Hyporchemes al contrario erano danze mimiche e liriche, eseguite da un coro di cantanti e erano una specialità dei Dori che le abbinavano alle feste di Apollo. La loro vera origine è incerta. Pare che abbiano avuto origine a Delo, dove venivano cantate e danzate intorno all’altare di Apollo. Le Gymnopedies, care ai Lacedemoni, erano usate specialmente nelle feste in onore di Apollo e spesso servivano d’introduzione alla Pirrica: erano eseguite da ballerini nudi con la fronte coronata di palme. Tutte le altre danze dell’antica Grecia avevano caratteri più o meno comuni con le danze fondamentali precedenti ed erano collegate alle cerimonie religiose. Alcune erano specifiche per una certa città e celebravano un dio, una vittoria o un fatto celebre.

Vaso con danzatori greci - Museo Borbonico - Napoli

La danza Dionisiaca era sacra al dio Bacco e la danza Imbica al dio Marte, mentre la danza Hormos si ballava in onore di Diana e riuniva tutta la gioventù di Sparta. Come nelle Gymnopedie i ballerini e le ballerine erano nudi ma non offendevano il pudore. Questa danza si ballava anche in tutta la Grecia nei giorni di festa, lungo le vie delle città, guidata da una giovane coppia. A un certo punto del ballo tutti i giovani e le fanciulle, tenendosi per mano, si riunivano in una catena prima e in un cerchio poi ed eseguivano dei passi cadenzati in avanti e indietro con l’accompagnamento della musica. La tradizione vuole che la danza Hormos fosse stata ideata da Licurgo e in Plutarco si legge che ad alcuni cittadini che lo rimproveravano per aver mostrato la gioventù nuda, egli rispose: “Io voglio che eseguendo i medesimi passi le donne diventino pari agli uomini per la salute, la forza, la virtù, la generosità dell’animo”. Infine le danze Orfiche celebravano il coraggio de Castore e Polluce. A queste danze sacre vanno annoverate anche le innumerevoli danze che seguivano le processioni e i funerali. Nelle processioni tutto il popolo portava all’altare le vittime a passi cadenzati e cantando inni. Nelle danze funerarie i partecipanti al corteo a volte erano vestiti di bianco: un gruppo di ballerini precedeva il corteo funerario e di tanto in tanto interrompeva le danze per inneggiare al defunto. Seguivano poi i “piagnoni”, stipendiati , che accompagnavano con lamenti e gesti ritmici il corteo. A detta di Platone i parenti del defunto potevano anch’essi prendere parte alla danza, cioè alla Mimica Funebre. Per un certo periodo vigeva l’usanza che una persona precedesse il corteo vestito con gli abiti del defunto e alle sue lodi costui alternasse la satira. Tutti coloro che conoscevano il defunto partecipavano al corteo in abiti bianchi e coronati da rametti di cipresso; quindici fanciulle, circondate da un gruppo di giovani, precedevano il defunto danzando e il corteo era chiuso dalle “prefiche” coperte da lunghi mantelli neri.


Vaso con danza dionisiaca - Nocera - Museo Borbonico - Napoli

Le danze Militari erano obbligatorie ma meno numerose delle sacre. Ballando con le armi i Greci si formavano all’arte della guerra e al combattimento corpo a corpo. Tutte le danze militari si raggruppano attorno alle due principali: la Pirrica e la Memfitica. La danza Pirrica fu inventata da Pirro, figlio di Achille, per i funerali del padre, ma alcuni fanno derivare il suo nome dal significato “fuoco” in riferimento al fuoco dell’azione e dell’energia dei danzatori. Pindaro invece sostiene che Achille fu il primo a danzare la Pirrica davanti al rogo di Patroclo. Secondo un’antica tradizione la prima sarebbe stata Minerva che l’avrebbe danzata in memoria dei Titani. Sicuramente la Pirrica era danzata in onore di Minerva e Senofonte dice che fosse danzata addirittura da una sola donna. E questa danza tanto in voga nell’antica Grecia ha raggiunto i giorni nostri! Secondo Platone consisteva in quei movimenti atti a sfuggire i colpi dell’avversario: quindi salti in avanti e indietro o laterali, abbassamenti improvvisi...oltre a rappresentare i movimenti di attacco. Esistevano diversi tipi di Pirrica: la Pirrica a Uno consisteva in movimenti mimetici composti da corse, salti, balzi, accucciamenti; la Pirrica A Due e la Pirrica in Massa erano un insieme di evoluzioni ritmiche eseguite da più ballerini.


La danza Memfitica era simile alla Pirrica e Minerva avrebbe istituito anche questa per ricordare la disfatta dei Titani e, come nella Pirrica, i ballerini danzavano muniti di scudi, lance, giavellotti ma in modo meno focoso. Molte danze derivarono dalla Pirrica e dalla Memfitica e tra esse ricordo la Telesias, poco usata fuori della Grecia, e la Epieredias, danzata dai Cretesi. Nella Karpaia il danzatore raffigurava un contadino che viene assalito dal nemico mentre sta arando il campo per seminare il grano, viene fatto prigioniero e portato via con il suo aratro, Questa danza, rustica e militare, era in auge nella provincia di Magnesia e il suo nome significa “semenza”. Nella Kormastikè due file di guerrieri danzavano una di fronte all’altra. La Poiphygma aveva movenze che simulavano il terrore mentre la Leonina quelle della maestà e della forza. La Podismos rappresentava la ritirata e l’inseguimento del nemico e la Polemikè i colpi delle armi sugli scudi. Una delle danze greche piu’ antiche è la Cherionomia dove il ballerino faceva dei movimenti soprattutto con le braccia e le mani e secondo Ippocrate era tra le più stimate dai discepoli di Pitagora. L’Opoplea rappresentava i soldati colmi di gioia dopo la vittoria. La Thermaistos era una danza furiosa e a volte tragica: un gruppo di uomini, con le braccia nude si agitava brandendo accette e scuri fino al punto di mordersi le mani e ferirsi realmente.

Nel teatro greco il coro danzò fin dall’inizio: per molto tempo gli attori, che avevano il volto coperto con una maschera, danzavano e cantavano contemporaneamente. Più tardi gli autori stessi comparvero sulle scene per declamare le loro opere e i ballerini mimavano le frasi pronunciate. L’unione della poesia, della musica e della danza plastica ha dato un carattere particolare alla coreografia greca. Coloro che accompagnavano le danze dando il tempo ai ballerini battendo i piedi (accelerandolo o rallentandolo a seconda delle situazioni) erano muniti di sandali di legno o di ferro, più o meno pesanti a seconda dell’effetto che si voleva ottenere. Per le cadenze leggere invece battevano le mani una contro l’altra, con gusci d’ostriche o conchiglie. I soggetti della danza Tragica greca derivavano dalla mitologia e da azioni eroiche. Molto spesso erano rappresentati Saturno che divora i propri figli, l’amore della dea Cibele per un pastore, Giove che rapisce Europa, Dafne inseguita da Apollo, il giudizio di Paride. Nell’antica Grecia erano rappresentate anche le danze Allegre e Comiche. Tra le danze Allegre si ricorda la Diploia in cui le cadenze erano sostenute con la voce; l’Ephilema costituita da una specie di “girotondo” cantato e accompagnato dalla musica. La Niobe era una vera e propria coreografia divisa in cinque atti: preludio, sfida, combattimento, tregua e vittoria. La Krionon era anch’essa una danza/ ballo in tondo, ballata e cantata dal coro. La Piladeios fu creata e prese il nome da Pilade. Le danze Comiche, più vivaci ed allegre, che pare fossero riservate a danzatori un po’ alticci. Si dice che sia stato il satiro Kordax ad inventare tali danze. La Chreon Apokopè veniva rappresentato il taglio delle carni. Nell’Hypogones erano rappresentati vecchi curvi sui loro bastoni. Nella Nibadismos erano rappresentati i balzi delle capre.

Ogni citta’ greca aveva la danza Bucolica e la danza dei Fiori. Fra le più rinomate vira la danza delle Ninfe, la danza del Giavellotto, la danza degli Elementi e quella delle Vergini Schiave. Una danza rustica molto particolare era quella dedicata a Bacco in cui i ballerini dovevano saltare su otri pieni d’aria e unti con l’olio, affinché scivolassero. Teseo inventò la danza che imitava la partenza degli uccelli migratori. Callimaco dice che rappresentava i giri che Teseo aveva dovuto fare per uscire dal labirinto. Molti passi di danza imitavano l’andatura degli animali ,come il passo del gufo, dell’avvoltoio, della civetta, della volpe ... Un terzo genere di danza teatrale greca era la danza Satirica o Sicinnis, che era accompagnata da canzonette con frasi e allusioni scabrose. Il ballerino si metteva sul viso una maschera molto somigliante al soggetto da deridere e pare che questa danza fosse caratteristica dell’Attica “Sempre e dappertutto il ballerino greco è un attore che imita un’azione vera”2. 2- Tratto da "L'ARTE SACRA DELLA DANZA" a cura di Iniziazione Antica


Un nesso indissolubile legò la lirica, dunque la magia della parola e del suono, all’armonia e all’espressività di gesti e movimenti, tanto che i poeti greci che recitavano o cantavano i loro versi danzando furono chiamati “danzatori”3. Pindaro, del resto, definisce “danzatore”lo stesso Apollo e Omero narra nell’Iliade4 che Vulcano, il divino zoppo, cesellò sullo scudo di Achille una danza simile a quella che Dedalo aveva inventato per Arianna. Vi erano rappresentati delle fanciulle e dei giovani intrecciati in un passo cadenzato, a imitazione del moto circolare di una ruota. Le fanciulle, coperte con un velo leggerissimo, e i giovani, lucenti per l’olio di cui si erano cosparsi, vestivano una tunica e portavano la spada con l’impugnatura d’oro e pendagli d’argento. Mitologia a parte, attestazioni sulla danza e del suo ruolo in Grecia ci vengono sia da storici e trattatisti sia dagli stessi poeti lirici. Platone parla della danza nelle Leggi e nella Repubblica (IV sec. a.c.) e ritiene che abbia origine dal desiderio spontaneo del corpo dei giovani di muoversi; istinto tipico degli animali, ma che solo nell’uomo assume una forma ordinata e consapevole, grazie al ritmo e all’armonia. Il filosofo distingue, infatti, tra danze “buone” e “cattive”: le prime sono le danze armoniose, severe e gravi, che hanno come loro fine la bellezza e la bontà (ciò che è buono è anche bello); le seconde sono danze deformi e indecenti, che imitano il brutto e il ridicolo.5 Analogamente per Luciano da Samosata, autore di un trattato su questa disciplina, la danza non entrò a far parte dei giochi olimpici solo perchè i Greci temevano di non trovare premi degni di essa. Lo stesso attribuisce la sua origine all’intento di imitare i moti armoniosi degli astri e dei corpi celesti. Essa è, dunque, un dono delle divinità perché il kosmos, ovvero l’equilibrio e l’armonia, si diffondi nel mondo, ne informi passioni, sentimenti, che il danzatore ha il dono di illustrare, a sua volta, tramite gesti e movimenti6. Così, in una scena da lui descritta7, il giovanetto danza col vigore della gioventù e il suo ballo consiste in passi militari, preludio dei movimenti che dovrà poi fare quando sarà al campo; la ragazza, invece, indica alle sue compagne come danzare, in modo che la danza risulta nel complesso una unione di forza e modestia. Su tale concezione insiste anche Erodoto a proposito del banchetto dato dal tiranno Clistene con lo scopo di scegliere un futuro sposo per sua figlia, la bella Agariste. In tale occasione, tutti i pretendenti dovevano esibire le loro qualità musicali e sociali; Ippoclide, il favorito di Clistene, racconta Erodoto, che si esibì proprio in una danza che in questo caso fu talmente lasciva da costargli la sposa. Attestazioni sulla danza, nel suo duplice valore etico ed estetico, ci vengono altresì dai lirici, sia che si tratti di fuggevoli visioni di balli festivi8 sia che si sintetizzi la sua intima essenza in incisive definizioni9. Gli Elleni, dunque, godevano di tali spettacoli, accogliendoli come espressione artistica associata ad esibizioni ludiche, non mancando l’elemento di stravaganza e provocazione nonché quello erotico. Va però precisato che essi non conoscevano la danza di società nel senso in cui la intendiamo noi: inizialmente si danzava in gruppo o da soli, mai in coppia, e solitamente ragazzi e ragazze, reclutati soprattutto dall’Arcadia, si esibivano separati. Ancora pitture e bassorilievi di bronzo e di marmo ci informano di gesti, occasioni, costumi e valenze simboliche delle tre principali tipologie: la danza sacra, la profana, la danza militare parenetica o con funzioni di celebrazione10.

3 - Forme di danza, seppure non codificate, sono attestate indirettamente da racconti mitologici e storici. Tra i primi, la storia delle figlie di Preto, che divennero folli e salirono sui monti, abbandonandosi con altre donne a danze frenetiche. Tra i secondi,la testimonianza di Aristosseno di Taranto (IV sec. a. C.), secondo cui alcune donne, tra Locri e Crotone, colte da un impeto di follia, corsero fuori dalla città senza che nessuno potesse trattenerle. Solo più tardi questo delirio collettivo venne curato organizzando danze e forme musicali. Per ulteriori approfondimenti, cfr. G. Guidorizzi, “Letteratura greca”, 2, Einaudi, pp. 248 s.). 4 - Cfr. Hom., Il. XVIII, 494 s. e 570 s.: le danze effigiate da Vulcano sullo scudo di Achille sembrano in parte corrispondere alla cosiddetta “dedalea”, così denominata in riferimento al labirinto di Creta. Ancora, nell’Odissea (VIII, v. 265), si narra come Odisseo, ospitato alla corte dei Feaci, ne ammirasse il ”balenio dei piedi”. Infine, come sottolinea Luc., “De saltatione” 23, Omero (Il. XIII, 637) include la danza, definendola “irreprensibile” tra le cose più belle insieme al sonno, al canto e all’amore. 5 - Particolare interesse in questo senso è il passo contenuto nelle “Leggi” di Platone ( 771e-772a), dove il filosofo si dice favorevole a organizzare feste <<dove danzeranno ragazzi e ragazze, che, in modo ragionevole e in un’ età che offre pretesti verosimili, al contempo osserveranno e si faranno osservare nudi e nude, fino ai limiti imposti a ciascuno da un saggio pudore>>. 6 - Una posizione simile, qualche secolo più tardi, è quella del retore antiocheno Libanio, che, in polemica con Elio Aristide; difende la pratica della danza -come della pantomima-, riconoscendone, al di là di possibili deviazioni (enfasi eccessiva, comportamenti effeminati), il valore educativo improntato sull’impegno e sull’equilibrio. Si legga, a proposito, il saggio on line di Nicola Savarese, “L’orazione di Libanio in difesa della pantomima”, al sito www.dass.uniroma1.it:81/pdf/ dispense/quarenghi. 7 - Cfr. Luciano, “De saltatione”, 10. 8 - Così, ad es., Saffo nel fr. 16 L.P.:<<Piena sorgeva la luna/e intorno all’aria le fanciulle stettero intorno all’amabile ara/Le fanciulle in cadenza con molli piedi danzavano, leggermente sul terreno, fiore dell’erba muovendo>>. 9 - Nota la definizione del poeta lirico Simonide (VI-V sec. a.C.), variata più tardi in relazione alla pittura: <<La danza è una poesia muta, la poesia una danza parlante>>. 10 - Pare che già il re ateniese Teseo festeggiasse con la danza la sua vittoria sul Minotauro, così come, dopo la vittoria a Salamina, Sofocle danzò, accompagnandosi con la lira. Alla danza si dedicò in prima persona anche Epaminonda, il generale tebano vincitore a Mantinea, mentre Filippo II di Macedonia ne fu un grande estimatore, al punto da sposare una ballerina.


DANZE MILITARI Tra le danze militari, la pirrica fu adottata dagli Spartani che la trasformarono in vera e propria danza di preparazione al combattimento. Platone, partendo dall’etimologia del nome (pyrrìchios: danza rossa)11, ne attribuisce l’origine alla dea Atena.. La danza pirrica ebbe però il più grande sviluppo nella città di Lacedemone (Sparta), capitale della Laconia. Probabilmente derivata dai riti organizzati per celebrare le vittorie di guerra, veniva eseguita da giovani, sia individualmente che in gruppo, con armi e armature, che simulavano le posizioni di attacco e di difesa, accompagnati dalla musica del flauto. Questa danza aveva però anche lo scopo di esercitare i combattenti aumentandone l’agilità prima della battaglia stessa in cui dovevano confrontarsi con il nemico. Il capo dei guerrieri era infatti anche il capo dei danzatori. Più tardi divenne una pantomima di imitazione del combattimento, più vicina a una forma di spettacolo. Platone nelle Leggi descrive questa danza come una mimica guerriera che rappresenta i differenti momenti del combattimento; iniziava con alcune parate eseguite sia tornando indietro lateralmente, sia indietreggiando, sia saltando, sia abbassandosi. Era eseguita sia da danzatori singoli, sia da due danzatori che si opponevano l’uno all’altro, sia in gruppo numeroso. In questa forma si trattava di una danza schermata, o meglio, di una scherma organizzata coreuticamente che introduceva una nota di virile bellezza nelle feste spartane dei Dioscuri e in altre feste come le Gimnopedie e le Grandi e Piccole Panatenaiche. Gli storici raccontano che gli eserciti spartani entrassero in battaglia con un tipo di marcia che corrispondeva ad una danza. Fra le danze guerriere, si ricordano ancora la xiphismòs (danza con la spada) e la thermastrìs (danza dai movimenti convulsi). In parallelo alla civiltà ellenica, la danza militare trovò inoltre notevole riscontro in aree geografiche, per lo più dell’Asia, con cui la Grecia ebbe contatti non soltanto culturali. Nell’ Anabasi di Senofonte (VI, 1, 2-13) si legge, ad esempio, di uno spettacolo improvvisato che danzatori greci offrirono, per sancire la pace, a dignitari Paflagoni sulla costa del Mar Nero. Tra le danze descritte, quella “delle spade”, ancora oggi comune nel mondo balcanico e medio-orientale, in cui le spade, virtuosamente volteggiate, fendevano l’aria tra canti militari. Al termine di un mimico duello, il ballerino “morto” era condotto via, spogliato delle armi. Più vivaci e originali le danze successive, come ad esempio la “carpea”, propria della Tessaglia, con due attori-ballerini nelle parti rispettive di un ladro astuto e di un soldato contadino. La danza poteva essere conclusa con la vittoria del ladro che imbavagliava e depredava il contadino (finale presentato con successo in quella occasione) o con la cattura, al contrario, del malfattore, colto in flagrante nell’atto di rubare i buoi. A concludere il gradito spettacolo, un ballo misio con scudi, fatto di salti, piroette e movenze difensive, altre danze militari, dell’Arcadia e di Mantinea, al ritmo di flauti e battiti di scudi, e l’improvvisa apparizione di un’agghindata ballerina, che suscitò tra i compiaciuti Paflagoni un’entusiastica ammirazione!

Danza pirrica - Musei vaticani

11 - Ci sono molte fonti per l’attribuzione del nome: secondo alcuni deriverebbe dal nome dell’inventore, un tale Pirrico che veniva proprio dalla città di Sparta. La fonte più seguita dagli storici è tuttavia quella di Louis Séchan, che ne fa derivare il nome dall’aggettivo πυρρός (= rosso), che è poi il colore delle tuniche dei danzatori. La pirrica sarebbe allora la “ danza rossa”, ovvero la danza dei guerrieri, il cui costume è caratterizzato - fin dalla più lontana antichità e presso i popoli più disparati - dal colore vermiglio del sangue.


DANZE PROFANE Legate a occasioni svariate, che vanno dalle feste alle rappresentazioni teatrali, le danze non legate in esclusiva a vincoli sacri riconducono le loro origini e caratteristiche a vicende mitologiche nonché ad aspetti della natura e della quotidianità. Tra le danze cosiddette “allegre” si ricorda la diploia, in cui le cadenze erano sostenute con la voce; l’ ephilema, costituita da una specie di girotondo cantato e accompagnato dalla musica. Una struttura più articolata presentava la Niobe, una vera e propria coreografia divisa in cinque atti (preludio, sfida, combattimento, tregua e vittoria). Particolari per l’originalità dei temi, la chreon apokopè, in cui veniva rappresentato il taglio delle carni; le Hypogones, imitazione di vecchi curvi sui loro bastoni; il nibadismos , con movenze simili ai balzi delle capre. Ogni città greca aveva, inoltre, la danza Bucolica” e la danza dei Fiori. Fra le più rinomate vi erano poi la danza delle Ninfe, la danza del Giavellotto, la danza degli Elementi e quella delle Vergini schiave. Una danza rustica molto particolare era quella dedicata a Bacco, in cui i ballerini dovevano saltare su otri pieni d’aria e unti con l’olio, affinché scivolassero. Ancora agli animali si ispiravano la danza degli uccelli migratori (a inventarla fu forse Teseo ) e singole movenze che ne imitavano l’andatura, come il passo del gufo, dell’avvoltoio, della civetta, della volpe. Coloro che accompagnavano le danze dando il tempo ai ballerini battendo i piedi (accelerandolo o rallentandolo a seconda delle situazioni) erano muniti di sandali di legno o di ferro, più o meno pesanti a seconda dell’effetto che si voleva ottenere. Per le cadenze leggere invece battevano le mani una contro l’altra, con gusci d’ostriche o conchiglie. Ricordi di queste e simili tipologie di danza si riscontrano anche in attuali balli popolari. L’attuale sousta, per esempio, deriverebbe dalla danza eseguita da Achille intorno alla pira del defunto Patroclo, per quanto, eseguita nelle piazze dei villaggi, si connoti piuttosto come ballo d’amore. Lo tsakonikos , ovvero danza del labirinto, sembra invece conservare il legame originario col mito di Teseo e del Minotauro, mentre la mirologhia mira essenzialmente, in un contesto funebre, al ricordo e alla celebrazione. Il tutto in un gioco di piedi battuti a terra o strusciati, salti, contorsioni, e ritmo che si fa sempre più serrato.


DANZE SACRE A partire dalla nota definizione nietzschiana, una prima categorizzazione delle danze cultuali vede da un lato le danze apollinee, severe, composte, legate in esclusiva ad un contesto cultuale, dall’altro quelle dionisiache, dal ritmo concitato, satiriche, orgiastiche talora, molto spesso improvvisate. Le danze apollinee più famose furono: la gheranos12, danza degli Ateniesi a Delo, l’ emmèleia, danza usata nella tragedia, il peana, danza magica eseguita dal coro, e infine la danza ipochermatica, accostabile, per la vivacità del ritmo, a quelle dionisiache13. Di particolare interesse, e forse tra le più antiche, la gheranos, che, come suggerisce il nome, imitava i movimenti di Tèseo nel Labirinto. E fu proprio all’eroe ateniese che se ne attribuì l’origine, quando, appunto sbarcava a Dèlos di ritorno da Creta14. A offrircene un’idea l’immagine ritratta sul vaso François, con uomini e donne alternativamente che sfilano, rivolti verso l’altare, in pose rigide, tenendosi per mano. Un richiamo alla civiltà cretese (a cui si ascrive, del resto, la provenienza delle danze apollinee) è nell’abbigliamento femminile, costituito da lunghe tuniche aderenti, alla maniera della “Dea dei serpenti”, vivacizzati da stilizzate geometrie. Corti mantelli di forma triangolare caratterizzano invece le figure maschili, con ridotti copricapi e le gambe scoperte e divaricate. Danza per eccellenza della tragedia, eseguita nelle pàrodo, negli stàsimi e negli esodi finali, l’emmelèia, come tale, si caratterizzava per atteggiamenti (o schemi) composti, coordinati in passaggi (phorài) distinti e compiuti. “grave e dignitosa”, come la definivano già antichi commentatori, essa poteva adattarsi tuttavia agli argomenti delle singole tragedie. Si deve a Polluce la trasmissione di alcuni nomi di passi di danza (tra questi “panierino”, “doppia”, “capriola”, “mano concava”, ecc.), ma ciò non basta a evocare la dinamica del passo che designano. Si può anzi ritenere che appartengano alla danza greca in generale e non all’emmeleia in particolare. Tra le danze afferenti al culto di Dioniso, le più famose erano il kordax, danza tipica della commedia, l’oklasma, danza persiana con caratteristiche acrobatiche, la sikinnis, propria del dramma satiresco, a contenuto scurrile. A caratterizzare la prima, movimenti grossolani e grotteschi, ascrivibili al suo legame con i culti di varie divinità e in particolare di Dioniso; si pensava infatti che fosse riprovevole danzare il cordace da sobri e che Dioniso si fosse servito di esso, come di bevande inebrianti, per ridurre in proprio potere intere popolazioni refrattarie.

Kordax


Risulta purtroppo impossibile ricostruirne i passi, anche se alcuni studiosi hanno creduto di ravvisarli in talune rappresentazioni di danza sui vasi antichi. In particolare, in un cratere di Tarquinia, si scorgono tre ballerini, uno dei quali con la veste sollevata sul ginocchio, nell’atto di schernire, forse, il satiro centrale, che ha a sua volta, verso di lui, una gamba sollevata; simile alla prima, per un effetto di simmetria, la terza figura, priva, come le altre, di copricapo e calzare. Una scena simile compare su vasi laconici e corinzi, della fine del VII sec. a.C., ma in relazione, più probabilmente, alla danza dei comasti, cui sembra ispirarsi in origine lo stesso cordace. Anche in questo caso, i danzatori sembrano interagire tra loro, disposti frontalmente o di spalle, procedendo a saltelli e toccandosi talora con le punte dei piedi.15

Scena di danza, su un vaso a Tarquinia. Taluni studiosi hanno supposto trattarsi di passi del cordace

Più nota, invece, la struttura della sicìnnide, la cui mìmica si fonda soprattutto su rapidi movimenti delle mani, come lo skops (mano a solecchio), la kéir simé (mano con palmo all’infuori, piegata di 90 gradi al polso), la kéir kataprenés (palmo rivolto a terra). Contemporaneamente, i danzatori piegano alternativamente le due gambe all’altezza del ginocchio, ruotando vorticosamente su se stessi o procedendo a salti in avanti con le mani tese. Da citare, infine, la tribasia, ovvero la danza del ditirambo16, eseguita intorno all’altare di Dioniso, da un coro di 50 coreuti, al suono della cetra e del flauto. Una probabile scena di questa danza, opera del cosiddetto Pittore di Pan, è ritratta su un cratere a Basilea, custodito all’Antikenmuseum: ivi tre coppie di danzatori, con le braccia levate in avanti e il corpo piegato in opposta direzione, avanzano verso sinistra al simulacro di Dioniso. Motivi geometrici, soprattutto “greche”, vivacizzano, oltre alla nebris (ossia la benda di pelle leopardata17), i corti mantelli frangiati ; da notare, inoltre, l’assenza di calzari.


Al culto di Dioniso, si ricollegano anche le danze delle Menadi, invasate dalla carismatica potenza del dio. La loro danza, di rapimento e di istintività, fu effigiata dalla nota scultura di Scopa, nonché codificata come genere artistico, con la precisa corrispondenza tra gestualità e moti dell’animo. Si ricollegherebbe, invece, al culto di Afrodite e degli Amori – invocati, a detta di Luciano, perché partecipino anch’essi al tripudio e ala gioia- la cosiddetta “collana” (όρμός), in cui fanciulli e giovinetti si inseguono in u intreccio di grazia e virilità. Ancora figure femminili sono le protagoniste della danza cariathide, così denominata da Carya, una fanciulla di nobile stirpe spartana, ed eseguita in onore di Artemide. Il ritmo concitato e l’intenso pathos che ne è sostrato si evincono da alcuni movimenti e posture, come il busto in avanti e la testa rovesciata.

Probabile scena di tribasia, su un cratere a Basilea (Antikenmuseum), attribuito al Pittore di Pan. Si noti il simulacro di Dioniso.

12 - Vedi immagine a fine paragrafo. 13 - Rispetto al peana, anch’esso eseguito in onore di Apollo (il cui culto sostituì a Creta quello dell’antico dio della medicina Paiaon), l’iporchema presentava una struttura più complessa, non esclusivamente innodica. Grande importanza veniva infatti attribuita alla danza, oltre che al canto, secondo almeno due modalità di esecuzione: nella prima, era una sola persona a cantare e suonare, mentre il resto del coro si esibiva nella danza; nella seconda, attestata da Luciano (De salt., 16), e praticata già in antico a Delo, più persone suonavano, mentre il resto del coro, con movimenti lenti e pacati, dava plastica espressione alla musica ed alla poesia. 14 - Alla cultura cretese sembrano ricondurre diversi particolari, dalla postura rigida e frontale delle figure, pur ritratte in movenze di danza, al generale abbigliamento, comune ai personaggi degli affreschi (ad es., il “Principe dei gigli”) o dell’arte statuaria. Origini persiane o comunque asiatiche si ipotizzano, invece, per le danze dionisiache. 15 - Così, ad es., nella coppa laconica n. inv. 3879 , Firenze, di cui è illustrazione nel saggio on line “Canto, musica e danza nel teatro antico”, a cura della Soprintentendenza Archeologica Toscana e del Ministero per i Beni culturali, p.5. 16 - In una iscrizione frigia, figura la parola “dithrera” col significato di “sepolcro”, e ciò lascia supporre che il ditirambo sia stato, all’origine, un canto epitombale. L’ipotesi è supportata dal confronto fra Iliade, XXIV 721 e un passo della “Poetica” di Aristotele (IV 1449a9): i threnon exarchoi, “coloro che intonano il lamento”, di cui parla Omero, altri non sarebbero infatti che gli exarchontes ton dithyrambon, “coloro che intonano il ditirambo”, ritenuti da Aristotele, come accennato, i precursori della tragedia, nata, forse, da canti cultuali in onore di Dioniso prima e di eroi poi. 17 - La “nebris” era una pelle ferina, indossata dai seguaci di Dioniso come una tunica, ricavata di solito dal cerbiatto ma anche dalla pantera, dal capro, dalla lince o dalla volpe, animali legati in vario modo alle vicende e al culto del dio. La simbologia legata alla nebride è quella di una animalità ferina e selvaggia, di una forza bestiale, tale da infondere il desiderio di varcare i confini del mondo civilizzato per immergersi nella selvaggia naturalità.


EMMELEIA









Associazione culturale e gruppo di rievocazione storica

HLIADES KOUROI (Eliades Kuroi)

Figli del Sole


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