
3 minute read
Di mare e altre tempeste

Henri de Toulouse-Lautrec Donna rossa con camicia bianca, 1889. Olio su tela. Madrid
Testi di Andrea Malvano a cura di Marco Ferullo
Advertisement
A Parigi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la Spagna era di casa. Per strada giravano Manuel de Falla, Isaac Albéniz, Pablo Picasso, ovunque venivano programmate opere dedicate al mondo iberico, ventagli con pizzo e nacchere non potevano mancare nei mercatini sulle rive della Senna. Non era quasi mai un folclore autentico, ma una suggestiva rivisitazione di una tradizione ormai secolare; da Boccherini a Rimskij-Korsakov la Spagna aveva sempre disteso il suo fascino su tutta l’Europa. Bizet, Lalo, Chabrier e Debussy furono solo alcuni dei compositori che non seppero resistere allo charme di quel mondo luminoso. Ma ad andare davvero al di là dei Pirenei erano in pochi. Addirittura Théophile Gautier in Voyage en Espagne (1840) era arrivato a dire: «I balli spagnoli esistono solo a Parigi».

Henri Matisse, Femme espagnole, 1917.
Nato nelle Fiandre da una famiglia di origine spagnola, Édouard Lalo studiò tra Lille e Parigi, manifestando uno spiccato interesse per il classicismo e per le ricerche sul repertorio strumentale. Nonostante una notevole propensione per la composizione, colse i suoi primi successi solo intorno al cinquantesimo anno di età, quando cominciò a dedicarsi con grande impegno al genere del concerto solistico. Decisivo fu l’incontro con Pablo de Sarasate, il grande violinista di Pamplona, a cui Lalo dedicò la celebre Symphonie espagnole (1875): partitura acclamata dal pubblico per diversi decenni. Ma altrettanto rilevante fu la fama del successivo Concerto in re minore, nato poco dopo grazie alla collaborazione con il violoncellista Adolphe Fischer, primo interprete dell’opera a Parigi nel 1877.

Rogelio de Egusquiza Tristan and Isolde (Morte), 1901. Studio.
Nel Trionfo della morte di Gabriele D’Annunzio c’è una pagina in cui il protagonista descrive l’emozione provata all’ascolto di Tristano e Isotta: «Nell’ombra e nel silenzio dello spazio raccolto, su dall’orchestra saliva un sospiro invisibile, un gemito spirava, una voce sommessa diceva il primo richiamo del desiderio in solitudine, la prima confusa angoscia nel presentimento del supplizio futuro». Le parole sono riferite al Preludio che introduce il primo atto; ma sono perfette per leggere un’opera che racconta un’inarrestabile corsa all’annientamento. Lo stesso Wagner, quando nel 1854 cominciò a lavorare sulla leggenda trovadorica di Tristano e Isotta, accennò senza troppe reticenze alla volontà di tornare sul binomio amore-morte:

Joaquín Sorolla L'ora del bagno, 1904. Olio su tela
Debussy scelse di vivere a Parigi, la città in cui il sapore dell’oceano si sente solo nei plateaux royales delle grandi brasseries. Ma quelle rare volte in cui decise di fuggire dalla grande metropoli, si ritrovò quasi sempre a due passi dal mare. Cannes nel 1870 fu il rifugio della famiglia Debussy in fuga da una Parigi assediata da Bismarck. Fiumicino, negli anni del Prix de Rome, fu una rivelazione agli occhi di un compositore nauseato da un Roma «laida, piena di marmo e di preti». Arcachon nel 1880 fu la residenza estiva del giovanissimo musicista al seguito della contessa Nadejda von Meck. E la Normandia nel 1904 fu la meta della romantica scappatella con la futura moglie Emma, nonché nel 1915 il luogo in cui cercare rifugio dalle cannonate della Grande Guerra. Insomma, Debussy conobbe molti luoghi in cui comporre un’opera ispirata alle grandi distese marine. Eppure La mer nacque nel 1903 a Bichain, in Borgogna, lontano da qualsiasi scenario costiero.