L.O.W. - Limbiate Orthopedic Wire

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ABSTRACT Il lavoro di tesi è cominciato con la ricerca della funzione che riuscisse a sfruttare al meglio il potenziale che il sistema dell’Ex manicomio Antonini possedeva per quanto concerne la sua posizione strategica a livello regionale e urbano e l’ampia disponibilità di edificati esistenti da rifunzionalizzare, quali la Villa Crivelli Arconati detta Pusterla. La storia ultrasecolare di quest’area affonda le sue radici in epoca napoleonica come residenza imperiale, diventando nel secondo Ottocento uno dei complessi manicomiali più vasti sul territorio nazionale. Dalla sua dismissione negli anni ottanta nessuna delle amministrazioni ha saputo intervenire a una riqualificazione, determinandone l’abbandono. Dalla lettura dei piani di governo del territorio a livello regionale e comunale si è compreso quanto fosse più interessante e sostenibile conservare la maggior parte degli edificati esistenti per il loro valore storico e tipologico, intervenendo con azioni di messa in sicurezza delle strutture portanti ove fosse necessario. Il sistema dell’Ex-Antonini è difatti ancora considerato il “fiore all’occhiello” di Limbiate nella memoria dei cittadini più anziani, che non ne permetterebbero la demolizione quanto piuttosto un progetto di riordino degli spazi aperti e la riqualificazione funzionale. Secondo le indicazioni di piano, la suddetta area d’intervento ha da destinarsi all’ambito sanitario, scolastico e culturale. Dovendo rispondere da P.G.T. alla vocazione sanitaria del luogo, ci si è palesata l’occasione di incontrare il dottor Porcellini, primario del reparto di Chirurgia della Spalla e del Gomito presso l’Ospedale Cervesi di Cattolica, esperto di cure ortopediche a livello nazionale e docente per la Loyola University di Chicago. Dall’esperienza di collaborazione con le università e le cliniche statunitensi, il dr. Porcellini ci ha manifestato il suo desiderio di realizzare un complesso ospedaliero ad ispirazione del modello d’oltreoceano, strutture dove la clinica ortopedica, gli spazi per la riabilitazione, le strutture universitarie e i laboratori di ricerca possano essere riuniti all’interno dello stesso complesso, a poca distanza uno dall’altro. Il diagramma distributivo di tali strutture vedrebbe i campi sportivi per la riabilitazione in una posizione centrale e baricentrica rispetto alle restanti, una soluzione applicabile all’area di progetto individuata. Il modello distributivo in oggetto permette infatti che le indicazioni terapeutiche suggerite dentro la clinica possano avere un immediato riscontro nell’attività sportivo-riabilitativa sul campo. La fase di progettazione degli spazi ha quindi considerato tutti questi fattori, immettendo nuove strutture intra le esistenti, generando spazi di connessione e funzioni che per dimensioni e significato non si accordavano con gli interni esistenti. Tali architetture connetrici, poste tra edificati con destinazioni d’uso differenti, servono entrambi, arrivando in alcuni casi anche a pervadere le strutture preesistenti.


Partendo dalla scala urbana si è cercato di operare per la ricongiunzione del complesso al tessuto di Mombello, prolungando le direttrici della città all’interno delle mura di recinzione, riqualificando il centro sportivo e rendendolo a disposizione sia della cittadinanza che delle scuole superiori interne al complesso, ma soprattutto qualificando Villa Crivelli Arconati quale fulcro del progetto, perché elemento di connessione funzionale tra tutti e tre gli ambiti di progetto. Diventando centro culturale a livello sovracomunale, sarebbe capace di ospitare spazi mostre e vedrebbe valorizzato il suo patrimonio storico secolare. Il dislivello su cui si erge la villa e l’attuale destinazione d’uso agricola del livello inferiore ci hanno portato a una distinzione funzionale, lasciando agli istituti scolastici i loro spazi attuali, affidando parte dei campi agricoli alla comunità Bacco per il recupero dei tossico-dipendenti, e occupando il livello superiore con gli spazi della clinica. Introducendoci alla scala architettonica si è suddivisa la progettazione in due sottogruppi. Al primo è stato affidato il compito di progettare lo spazio di introduzione ai reparti della clinica ortopedica, insieme di edifici che si pongono appena oltre l’ingresso. Lo spazio interstiziale tra gli edifici esistenti e i nuovi fabbricati è un ambiente semi-pubblico di incontro e di convivenza tra pazienti, capace di ospitare la mensa, un piccolo spazio ristoro e di svago. Il secondo gruppo ha invece ideato l’innesto di una piscina e una palestra riabilitative in comune sia alla clinica fisioterapica che al laboratorio di bio-meccanica. La spina del percorso è l’elemento paradigmatico del progetto, dettato dalle necessità di connessione tra gli edifici e superamento della tipologia a padiglioni in prima analisi, d’altra parte abbiamo preferito ridare unità e forza agli edifici connettendoli piuttosto che operare frammentariamente su ciascuno. Per gli spazi esterni agli edifici del L.O.W. si è deciso di creare un sistema di aree pubbliche e verdi che possano servire da “sfogo” ed assumere funzioni terapeutiche per i pazienti ricoverati. Analogamente all’azione di connettere gli edifici, nello studio degli spazi aperti si è scelta l’acqua quale elemento di connessione tra gli elementi di progetto del verde. La continuità delle vasche d’acqua, del percorso ad esse parallelo, le lievi pendenze e le essenze terapeutiche sono tutti fattori che concorrono al benessere e alla guarigione del degente, che osservando i miglioramenti della propria condizione fisica parallelamente all’avanzare delle stagioni, riesce a non smarrire la concezione del tempo e ad apprezzarne il valore. Gli step successivi ci hanno visti impegnati nel disegno delle distribuzioni interne ai corpi architettonici e a quelle che pervadono lo spazio pubblico esterno. Ci si è dovuti confrontare in particolare modo con le normative funzionali e dimensionali proprie delle costruzioni ospedaliere e sportive, conformando gli spazi esistenti a tali esigenze. Non è però mancata l’occasione di riflettere e agire in maniera originale su quegli ambienti che meno si assoggettano a norme restrittive, quali gli spazi di connessione semi-pubblici interni e gli episodi progettuali esterni. In ultima analisi abbiamo studiato i dettagli architettonici di attacco o separazione tra i nuovi corpi architettonici e quegli esistenti.


VOLUME I

COMMITTENZA E SITO DI PROGETTO


TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA POLITECNICO DI MILANO a.a. 2016/2017 relatore di tesi di laurea: EMILIO FAROLDI studenti: PIETRO AMATO FILIPPO GEROSA SOFIA PAROLINI PIER PAOLO PALAZZETTI


INDICE VOLUME I - COMMITTENZA E SITO DI PROGETTO

1. IL COMMITTENTE

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1.1 INTERVISTA AL DOTTOR PORCELLINI

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI A MOMBELLO DI LIMBIATE

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2.1 INQUADRAMENTO TERRITORIALE E URBANISTICO

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2.1.1 Gerarchie territoriali e poli attrattori 2.1.2 Infrastrutture e collegamenti 2.1.3 Il sistema del verde e il Parco delle Groane 2.1.4 Strategie di sviluppo del PGT 2.1.5 I nuclei satellite e la Città metropolitana di Milano

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2.2 MORFOLOGIA DELL’AREA DI PROGETTO

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2.2.1 Confini 2.2.2 Morfologia

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2.3 PROPRIETÀ E FUNZIONI INSEDIATE

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2.4 EVOLUZIONE INSEDIATIVA DI MOMBELLO 2.4.1 Villa Arconati Crivelli Pusterla 2.4.2 Insediamento del manicomio Antonini 2.4.3 Evoluzione edilizia dell’ospedale psichiatrico 2.4.4 Legge Basaglia e dismissione 2.4.5 Strategie di sviluppo dell’area

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2.5 STATO DI CONSERVAZIONE E VINCOLI DI TUTELA

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NOTE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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Laboratorio di Biomeccanica Albergo e Ristorante

RIiabilitazione e Fisioterapia

Stores Struttura sportiva riabilitativa

Clinica Ortopedica e Traumatologica dello Sport

Piscina e Palestra

Centro Spa UniversitĂ e Ricerca


1. IL COMMITTENTE

La diffusione dello sport, dalla clinica ortopedica allo store di abbigliamento

1.1 Intervista al dottor Porcellini, chirurgo ortopedico a Cattolica (RN) fautore di un centro di traumatologia dello sport sul modello americano.

NOI: Buon giorno dottor Porcellini dr. PORCELLINI: Buon giorno ragazzi NOI: A seguito della telefonata nella quale ci aveva accennato alla sua idea di Ospedale di Traumatologia dello Sport abbiamo individuato un sito di progetto che potrebbe accogliere questa nuova funzione. Si tratta dell’area ex-Antonini a Limbiate (MB), a una mezz’ora circa da Milano. La suddetta zona è stata il quartier generale di Napoleone in Italia e dalla metà dell’Ottocento ha iniziato ad ospitale il manicomio Antonini, ricevendo pazienti provenienti da tutta la provincia di Milano e da altre zone della Lombardia. Ha un’estensione di 600000 m2 circa. Dalla dismissione negli anni ottanta dell’attività manicomiale a seguito della legge Basaglia, quello che era considerato il “fiore all’occhiello” di Mombello di Limbiate è rapidamente caduto in rovina, e con lui anche molti dei padiglioni dove venivano ospitati i pazienti. Per la sua estensione e posizione strategica, la presenza della villa Crivelli Pusterla (dove risiedette Napoleone Bonaparte) e per la memoria che porta con sé, sarebbe interessante intervenire in questa zona. Potrebbe approfondire le sue intenzioni e, se ci sono, dirci quali potenzialità e problematiche vedrebbe in quest’area rispetto alla sua idea? dr. PORCELLINI: Dunque, da come posso vedere in questa tavola che mi avete portato il sito in discussione è molto ampio e in una posizione strategica rispetto a Milano. Quello che io ho in mente è un’Ospedale di Traumatologia dello Sport. Si tratta di un modello di ospedale di medicina dello sport molto sviluppato in alcuni college universitari degli U.S.A., e ad ora assente in Italia. Questa tipologia “rivoluzionaria” prevede che la clinica di intervento chirurgico, quella fisioterapica, il centro di ricerca 5


1. IL COMMITTENTE

Biomeccanica e il polo universitario di studi medici non siano dislocati in zone distinte della città se non in città diverse, bensì vengano accorpate in un’unica struttura, dove gli impianti sportivi siano collocati al centro del sistema. NOI: Che tipo di clientela si immagina che possa accogliere questa struttura? dr. PORCELLINI: Personalmente mi immagino una parte più riservata che ospiti le aule universitarie, le sale operatorie e i laboratori di analisi: questa parte chiamiamola medica. D’altra parte una zona più “ludica” dove anche gli sportivi non professionisti che presentano dei dubbi o delle curiosità possano provare gli impianti sportivi. Di conseguenza potrei contattare alcune aziende di abbigliamento sportivo per predisporre piccole attività commerciali dove prima della compravendita si possano anche testare gli articoli e le strutture sportive. Quello che però è fondamentale rispetto a queste attività di contorno sono la clinica per le operazioni chirurgiche e quella fisioterapica. Realizzare un centro medico è difficile, una clinica privata di fisioterapia è facilissimo. Per quanto riguarda l’aspetto delle aziende sportive bisogna capire bene i collegamenti con la città di Milano, se la gente sarebbe disposta a raggiungerlo. Una qualsiasi funzione, se unica e di qualità, attrae movimenti di persone. NOI: Difatti uno dei fattori interessanti per cui avevamo pensato a questo sito è la sua vicinanza a Milano, ad appena mezz’ora di tragitto in macchina e facilmente servita dai mezzi di trasporto pubblico. Già la sua funzione precedente a manicomio ne denuncia la sua capacità di polo attrattivo a livello provinciale se non regionale. dr. PORCELLINI: Affinché questa nuova funzione possa interessare non solo i professionisti ma tutte le categorie di sportivi e anche i cittadini si potrebbe prevedere un ristorante e una SPA. Un’altra possibilità sarebbe quella di coinvolgere le federazioni e le associazioni sportive per i ritiri pre-stagionali, cosicché alla fine degli allenamenti e del periodo di permanenza possano ricevere un check out medico in laboratorio. La preparazione atletica e la prevenzione, il tutto dalla A alla Z. NOI: Quale capienza ricettiva immagina per una struttura del genere? 6


1. IL COMMITTENTE

dr. PORCELLINI: Dipende da diversi fattori. Se si riescono a collocare le attività commerciali diventa un outlet, immerso in un ambiente medico e di fisioterapia. Come dimensioni mi confronterei con quelle dello Juventus Stadium, che lavora anch’esso sul concetto di compattezza e centralità. In un ambiente del genere chiunque può comprare e interessarsi allo sport. Perché andare a Limiate e non semplicemente alla Nike di Milano? Perché qui c’è anche la possibilità di testare la merce e gli impianti. L’idea innovativa consiste nel fatto che dopo aver provato o comprato l’attrezzatura sportiva, il cliente può anche fare un elettrocardiogramma da sforzo. Rispetto alle degenze prevederei un numero non inferiore a un centinaio di posti letto, oltre a tutto l’afflusso di pazienti che fanno visite, non necessariamente malati, un centro che sia anche di prevenzione. NOI: Un altro aspetto che abbiamo notato nei modelli americani è la possibilità per lo sportivo di andare in questi centri e imparare o migliorare i movimenti corretti della propria attività, seguendo i consigli dei fisioterapisti per quanto concerne la postura e la coordinazione dei movimenti. dr. PORCELLINI: Tutto questo fa parte del laboratorio di Biomeccanica, anche perché spesso il medico opera il paziente ma non lo segue sempre nell’attività di recupero. Potrebbe quindi accadere che il medico curante manda le analisi agli assistenti o fisioterapisti che aiutano il paziente nella pratica riabilitativa. Nelle università americane il campo da football è al centro di tutto e poi c’è l’aspetto medico. Noi consideriamo anche l’apparato di biomeccanica così che se ad esempio un lanciatore di baseball vuole migliorare le sue performance lo può fare grazie all’utilizzo di tutori. Se un paziente ha un dolore a un’articolazione passa in laboratorio per le analisi, va alla fisioterapia ed esce avendo completato tutti gli step curativi. È da capire bene se gli investimenti siano di carattere privato o pubblico. NOI: Possibilmente anche non privata a prescindere. Le strutture americane che abbiamo preso in analisi sono spesso legate alle università. Ci interroghiamo spesso sulle possibilità di ricerca per quest’area che non è così prossima a un’università di medicina. dr. PORCELLINI: Difatti se il progetto che farete funzionasse potrei parlare personalmente con il preside della Loyola University di 7


1. IL COMMITTENTE

Chicago che ha un distaccamento a Roma, dove vado spesso a tenere delle lezioni. Se gli interessasse si potrebbe facilmente creare un distaccamento dell’università per gli studi e per la ricerca sulla medicina traumatologica. Anche perché, oltre all’arretratezza delle università di medicina italiane, la traumatologia dello sport in Italia non è ancora considerata a livello universitario. Se l’area in questione si presta realmente a queste funzioni è un’occasione da non lasciarsi scappare, perché l’unica città in cui questo progetto si può realizzare è quella attorno a Milano. In Emilia-Romagna, dove lavoro, non c’è un impatto imprenditoriale così forte per realizzare qualcosa del genere. NOI: Guardando la disposizione attuale degli edifici, c’è la possibilità di attuare un progetto quale quello da lei descritto? dr. PORCELLINI: A mio parere sì, andrà poi valutato se gli edifici dismessi sono da riqualificare o da demolire. Io collocherei le strutture sportive al centro. Considerate che a New Orleans il chirurgo ha la possibilità di monitorare l’attività sportiva direttamente dalla finestra del suo studio e di scendere a vedere la squadra durante gli allenamenti. La centralità è il paradigma di questo progetto. Voi dovete elaborare un modo per collegare le diverse strutture comodamente ma anche piacevolmente. Villa Stuart a Roma è una clinica privata, di conseguenza nessuno la raggiunge per testare le attrezzature sportive. Bisogna quindi mischiare il piacevole con l’utile. Spazi per l’attività ludica di prova. NOI: Un vantaggio di quest’area a supporto di questa esigenza è la sua vastità. dr. PORCELLINI: La zona ospedaliera deve funzionare al pari dell’Hospital for Special Surgeli di New York, dove ciascun livello è dedicato ad un’articolazione specifica (un piano per la spalla e il gomito, uno per la mano, uno per il piede e un altro per l’anca e la colonna vertebrale). L’idea a mio parere vincente non è tanto inventare qualcosa di nuovo, ma quella di unire funzioni altrimenti distaccate, dove l’attività clinica di cura, ricerca e prevenzione sia legata alla zona commerciale e di attività sportiva. NOI: Pare anche a noi vincente considerare un’utenza di sportivi che non si restringa ai soli professionisti. 8


1. IL COMMITTENTE

dr. PORCELLINI: Uno spazio come questo potrebbe essere concesso a un imprenditore in modo da commercializzare in maniera più originale e costruttiva i suoi prodotti e contemporaneamente creare un centro di prevenzione, cura e ricerca. A ciascun interlocutore privato spetterà poi la scelta di come organizzare gli spazi interni, decidendo se collocare all’interno della fisioterapia gli attrezzi ginnici, piscine d’acqua o macchinari al laser. Voi preoccupatevi di predisporre degli spazi che siano abbastanza capienti e flessibili (elenca alcune dimensioni minime di spazi per la fisioterapia). Noi ad esempio abbiamo dei pazienti che si vergognano, dovrete quindi predisporre delle piscine per la riabilitazione che siano individuali. Tanti sono i risvolti che andrebbero migliorati. Un’altra attrezzatura interessante potrebbe essere una parete per l’arrampicata. Perché relegarla solo ai professionisti? Cosicché chiunque possa svolgere l’attività, pagare il servizio e visitare il centro al termine. Ribadisco, se si mischiano il piacevole con il meno piacevole - andare dal medico non è sempre piacevole - quindi con la prevenzione, potrebbe confluirvi anche un’utenza che accederebbe anche per divertirsi, iniziando da una semplice prova di una calzatura e terminando con una visita di prevenzione. NOI: La ringraziamo molto per il suo tempo e le informazioni che ci ha saputo dare. dr. PORCELLINI: Grazie a voi. Questo è un primo passo. Se funzionerà potremo tranquillamente farvi da supporto per proporlo ad enti, università o anche imprenditori. Vi ribadisco la centralità come punto di lavoro per una comodità di comunicazione e spostamento. NOI: Arrivederci dr. PORCELLINI: Arrivederci

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI A MOMBELLO DI LIMBIATE

2.1 INQUADRAMENTO TERRITORIALE E URBANISTICO

Il comune di Limbiate, appartenente alla Provincia di Monza e Brianza, si estende per un’area di 12 chilometri dalla valle del fiume Seveso fino al lembo orientale delle Groane ed è immerso nell’omonimo parco; confina a nord con i territori dei comuni di Ceriano e Bovisio, ad est con quello di Varedo, a sud con Senago e ad ovest con Cesate e Solaro. Limbiate è un comune di 36.067 abitanti1, storicamente formatosi nell’ambito dell’hinterland Milanese, seppur appartenente dal 2004 alla Provincia di Monza e Brianza, della quale ne costituisce il confine sud-occidentale con la provincia di Milano. Dato l’incontrarsi delle quattro provincie di Monza- Brianza, Varese, Como e Milano, la posizione del Comune, su scala regionale, può considerarsi nevralgica dal punto di vista amministrativo. Limbiate appartiene ad uno dei principali ambiti di sviluppo dell’area metropolitana milanese; un ambito da sempre contraddistinto da due situazioni contrastanti: da un lato l’incalzare dello sviluppo economico e urbanistico lungo le principali vie di comunicazione, dall’altro l’estendersi di un paesaggio di indubbio valore, coincidente con il Parco regionale delle Groane. Il suo nome, in origine “Lemiate” (< limes), significa “limite”, ed indica proprio il limite del lembo di terra che confina con l’altipiano delle Groane. Un altro centro che, originariamente “autonomo” si è unito in epoca successiva a formare la odierna cittadina è Mombello, originariamente composto dal nome “monte” e dall’aggettivo “bello” ad indicare che la località sorge su un sopralzo del piano, da cui lo sguardo spazia con una bella vista. Limbiate si colloca pressappoco a metà strada tra due realtà urbane molto forti e tra loro collegate da un’arteria stradale particolarmente signifcativa che percorre trasversalmente il territorio provinciale, attraversando lo stesso territorio di Limbiate. Da un lato Saronno (a 22 km ca.) e sul lato opposto Monza (a 15 km ca.) sono i centri urbani che insieme a Milano formano un sistema a “T” entro cui sono contenuti i principali flussi di gravitazione della popolazione residente a Limbiate.

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.1.1 Gerarchie territoriali e poli attrattori

Per quanto riguarda l’ambito territoriale di riferimento2, Limbiate si confronta con realtà insediative di dimensioni e caratteristiche pressoché analoghe, appartenenti ora alla Provincia di Milano, ora al territorio della Provincia di Monza e Brianza; un ambito a geometria variabile che, in alcuni casi, supera gli stessi limiti amministrativi provinciali e riconosce in Cesano Maderno, Desio, Garbagnate Milanese, Paderno Dugnano i comuni che maggiormente competono con la Limbiate, offrendo servizi differenziati sia sotto il profilo degli residenziale, sia per quanto riguarda le attività artigianali o industriali e terziario-commerciali. Entrando nel merito delle dinamiche sovracomunali inerenti l’offerta di servizi, è possibile affermare che Limbiate, pur costituendo un polo gravitazionale limitatamente ad alcune tipologie di servizio, fa riferimento per quanto riguarda sanità, trasporti e istruzione superiore alla rete di servizi presente nei principali comuni del contesto immediatamente prossimo. Relativamente a Saronno l’offerta di servizi in grado di integrare la dotazione comunale riguarda l’assistenza ospedaliera e l’offerta scolastica superiore. In direzione opposta la città di Monza presenta un’offerta pressoché analoga sempre a livello ospedaliero e d’istruzione, completando l’offerta degli istituti tecnici presenti sul territorio di Limbiate, ai quali si affianca anche un’offerta commerciale di più ampio respiro. Cesano Maderno, primo comune di dimensioni considerevoli sul confine limbiatese, è in grado di attrarre popolazione dai comuni limitrofi e da Limbiate per il servizio Sanitario-Assistenziale e per l’Istituto tecnico industriale. Per quanto concerne i comuni limitrofi Limbiate fa riferimento per i servizi sanitari a Paderno Dugnano, Cesate e Garbagnate Milanese, dove ha sede l’Azienda Ospedaliera G. Salvini, e Desio, sede dell’A.O. Desio-Vimercate e del Distretto A.s.l. Monza Brianza, di cui Limbiate fa parte. Nel caso dei comuni di Bovisio Masciago e Varedo i flussi in uscita dal territorio di Limbiate si dirigono principalmente verso le stazioni ferroviarie che permettono gli spostamenti verso Milano e verso nord in direzione di Como attraverso le linee del servizio ferroviario regionale e suburbano. Quanto emerge dalle relazioni fin qui descritte è certamente uno scenario molteplice e multipolare. Una mappa complessa e articolata che restituisce un sistema d’offerta adeguatamente strutturato, diffuso ed accessibile in cui è possibile distinguere tre diverse gerarchie di relazione: una prima, “di prossimità”, riferita alla rete di centri urbani di medie dimensioni direttamente connessi a Limbiate e prevalentemente concentrati lungo l’asse ferroviario Milano-Asso; una seconda, di tipo “trasversale”, riferita alle polarità di Monza e di Saronno disposte alle due estremità dell’asse coincidente con l’ex strada statale Bustese che intercetta anche il polo intermedio di Desio e, infine, la relazione “longitudinale” con Milano storicamente strutturata attorno alla direttrice dei Giovi e alla linea tramviaria Milano-Mombello. Per quanto concerne la dinamica dei flussi in entrata nel comune di Limbiate e il ruolo che lo stesso territorio 12


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

assume nei confronti del contesto circostante, occorre innanzitutto specificare che i flussi di popolazione che interessano Limbiate si riferiscono in primo luogo alle strutture scolastiche e sanitarie situate all’interno dell’ex Presidio Psichiatrico Antonini di Mombello. Strutture e funzioni che hanno svolto e tuttora svolgono un ruolo attrattore nei confronti del territorio circostante, tale da far riconoscere la stessa Limbiate quale polarità della Brianza occidentale. Nello specifico, i flussi relativi ai servizi sanitari e socio-assistenziali concentrati nell’ambito territoriale di Mombello riguardano: il Presidio Ospedaliero di Riabilitazione Neuropsichiatrica G. Corberi, il Poliambulatorio Territoriale dall’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate; la Residenza Sanitario Assistenziale Disabili (R.S.D.) Giovanni XXIII e il Servizio Tossicodipendenze (Ser.T.) gestiti dall’Azienda Sanitaria Locale di Monza e Brianza ed infine il Centro Vittorio Formentano sede dell’AVIS Provinciale di Milano. Costituiscono polo gravitazione di un certo rilievo anche le scuole superiori situate all’interno del complesso dell’ex Presidio Psichiatrico; si tratta in particolare dell’Istituto Tecnico Agrario che richiama un bacino di utenza esteso a più di 90 comuni appartenenti alle province di Monza e Brianza, Milano, Varese, Como e Lecco e dell’Istituto Tecnico Commerciale Elsa Morante la cui offerta formativa è frequentata prevalentemente da studenti non residenti a Limbiate. Ulteriore motivo di attrazione della frazione di Mombello è la Villa Pusterla Crivelli Arconati, dimora settecentesca, parte del Sistema delle ville gentilizie lombarde che raggruppa cinque dimore storiche dislocate nel Nord milanese.

A lato: Localizzazione del Comune di Limbiate nel sistema della Città Metropolitana di Milano. Limbiate è storicamente luogo strategico nella comunicazione con Milano, è comune al limite della recente Provincia di Monza e Brianza.

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.1.2 Infrastrutture e collegamenti

Dal punto di vista viabilistico3, Limbiate si colloca ai margini di due importanti direttrici di collegamento dell’ambito territoriale con il capoluogo milanese; l’ex strada statale SS35 dei Giovi e la linea ferroviaria Milano-Seveso-Asso hanno rappresentano, senza dubbio, le principali direttrici su cui, per lungo tempo, Limbiate ha fatto riferimento per assicurare le relazioni con Milano e con l’area metropolitana. La viabilità extraurbana principale insistente sul territorio Limbiatese è costituita dalla strada statale Monza-Saronno SS527, che taglia trasversalmente il territorio comunale e dalla Superstrada Milano-Meda che invece transita al di fuori del territorio comunale. Occorre osservare che la strada statale SS527 Monza-Saronno, principale asse di collegamento in direzione est-ovest, assolve ad una duplice funzione: da un lato, in assenza di altri collegamenti trasversali, rappresenta l’elemento portante dell’armatura intercomunale che consente gli spostamenti di lunga percorrenza tra i territori provinciali di Monza e Brianza, Milano e Varese, dall’altro costituisce un importante asse della rete urbana che mette in collegamento l’abitato centrale con l’ambito di Mombello e dell’ex Ospedale Psichiatrico, il cui margine sud orientale risulta definito proprio dall’asse viario. Sotto il profilo del trasporto pubblico il territorio è direttamente interessato dall’attraversamento della linea tranviaria Milano Affori - Mombello di Limbiate, elemento storicamente consolidato sulla direttrice Comasina che, sin dal 1915, ha supportato il consistente traffico pendolare verso Milano conseguente al forte incremento demografico degli anni Cinquanta e Sessanta. Ad oggi la valenza del servizio è sicuramente mutata rispetto al passato; le caratteristiche tecniche del tracciato, il moltiplicarsi delle intersezioni viarie, l’aumento del traffico veicolare hanno aumentano fortemente i tempi di percorrenza del servizio, facendogli certamente perdere competitività nei confronti del mezzo privato per gli spostamenti verso Milano. Per ripristinare la sua competitività è stato programmato l’ammodernamento della linea nel tratto compreso tra Milano e Varedo, mentre per la tratta Varedo - Mombello, è in fase di studio un prolungamento della stessa linea in direzione di Cesano Maderno, ad intercettare la linea ferroviaria Saronno-Seregno. Oltre alla linea tranviaria, l’offerta di trasporto pubblico su ferro è garantita ai margini del territorio comunale dalle linee del sistema ferroviario regionale Milano-Seveso-Asso (con le stazioni di Cesano Maderno, Bovisio Masciago e Varedo), Seregno-Saronno (con le stazioni di Cesano Maderno, Cesano Groane, Ceriano Groane, Ceriano Solaro) e Milano-Saronno (con le stazioni di Garbagnate Milanese e Saronno) che consente il collegamento con l’aeroporto internazionale di Malpensa. Il trasporto su gomma è assicurato da alcune autolinee extraurbane che, complessivamente, garantiscono una buona accessibilità territoriale e un discreta mobilità interna con 12 linee che attraversano il territorio comunale, assicurando anche il collegamento con gli istituti scolastici superiori collocati a Mombello. Nel merito della mobilità ciclabile, Limbiate è caratterizzato da una dotazione di percorsi abbastanza 14

A lato: Il sistema del Parco delle Groane, ha inizio a nord di Bollate, in prossimità del Parco Nord Milano, e ha il suo termine a Lentate sul Seveso.


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

limitata; pochi tracciati prevalentemente concentrati nel settore più occidentale del territorio comunale. Un sistema che nel suo complesso appare molto frammentato e discontinuo, rispetto al quale il comune prevede interventi di estensione e potenziamento finalizzati alla creazione di una rete di percorsi tra loro interconnessi ed in grado di assicurare una buona accessibilità ciclabile alla quasi totalità dei servizi esistenti.

2.1.3 Il sistema del verde e il Parco delle Groane

Importante limite allo sviluppo del tessuto costruito, il Parco delle Groane, ha preservato l’integrità degli spazi aperti e garantito nel tempo la loro fruibilità e continua ad influire positivamente sulle condizioni ecologicoambientali del territorio, contribuendo in misura preponderante al raggiungimento di uno sviluppo urbano sostenibile. Dal punto di vista quantitativo le aree incluse nel Parco delle Groane occupano più del 35% dell’intera superficie comunale e si caratterizzano per la presenza di attività agricole, macchie prevalentemente arbustive lungo i solchi fluviali dei torrenti Cisnara, Lombra e Garbogera e di un patrimonio di archeologia industriale connesso ai complessi delle antiche fornaci per la produzione di laterizi, la cui diffusione si è legata in passato alla presenza su questo territorio di un terreno ricco di coltri argillose. Integra ed arricchisce il sistema del verde territoriale4 anche la rete idrografica superficiale che si estende all’interno del territorio comunale. Limbiate è infatti attraversata longitudinalmente da alcuni piccoli corsi d’acqua a carattere torrentizio (Cisnara, Lombra e Garbogera), lungo il cui corso, nonostante il grado di inquinamento e la progressiva perdita di naturalità, permangono residui di alberature di ripa e ambiti di discreta qualità ambientale. Il sistema idrografico naturale si arricchisce nella zona più a sud dell’abitato, quasi al confine con Senago, del canale Villoresi, importante opera idraulica ad uso irriguo costruita a fine Ottocento per garantire l’acqua necessaria all’agricoltura dell’alta pianura milanese. La presenza del Parco delle Groane, oltre ad aver preservato l’integrità degli spazi aperti e aver garantito nel tempo anche la loro fruibilità attraverso la realizzazione di una rete di itinerari ciclabili e pedonali, ha influito e certamente continua ad influire sulle condizioni ecologico-ambientali del territorio, contribuendo in maniera preponderante al raggiungimento di uno sviluppo urbano sostenibile grazie all’importante ruolo di “filtro” che lo stesso assume rispetto alla conurbazione metropolitana che ha interessato le direttrici radiali in uscita da Milano. L’estensione del Parco che si incunea nel territorio urbanizzato compreso tra le propaggini periferiche di Milano e i confini provinciali, garantisce infatti una discreta continuità con gli altri parchi dell’alta pianura milanese: a nord con il Parco della Brughiera Briantea che occupa una vasta area ancora boscata ai margini dei confini provinciali e a sud con il Parco Nord Milano, un grande parco metropolitano incluso nell’area più densamente urbanizzata della metropoli milanese. Completano questo quadro il Parco del Grugnotorto Villoresi 15


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

e il Parco di Monza e della Valle del Lambro che, collocati nei territori a est di Limbiate, costituiscono altre importanti realtà paesaggistiche ed ambientali di rilevante interesse.

2.1.4 Strategie di sviluppo del PGT

L’assetto del territorio di Limbiate è definito dal Piano di Governo del Territorio (PGT), adottato dal Consiglio Comunale il 27 Marzo 2014, in sostituzione del precedente Piano Regolatore Generale del 2003. Le politiche adottate5 dal PGT di Limbiate rientrano nell’ottica d’un generale cambiamento nei confronti dell’assetto esistente attraverso lo sviluppo di temi legati alla riqualificazione urbana, alla valorizzazione della risorsa ambientale del Parco regionale delle Groane e alla mitigazione degli impatti generati dalle attività estrattive e produttive; l’Amministrazione intende inoltre incrementare la dotazione dei servizi esistenti attraverso il recupero e la rifunzionalizzazione della grande risorsa latente dell’ex ospedale psichiatrico Antonini. Per una grande risorsa territoriale qual’è l’ex Antonini a Mombello, l’obiettivo dell’Amministrazione è quello d’individuare strategie di recupero storico-ambientale e rilancio economico e sociale del complesso dell’area, anche per comparti a diversi stadi d’intervento, mediante Accordo di programma o altra procedura di programmazione negoziata, anche nella prospettiva di creare una porta nord di accesso al comune, risolvendo uno snodo delicato dal punto di vista estetico, funzionale e viabilistico e rivedendo il rapporto tra Mombello e Limbiate. Per quanto riguarda il tema del consumo di suolo si intende valorizzare i paesaggi naturali con cui gli ambiti urbani vengono in contatto (ambiti paesaggistici di tutela ambientale), assegnando un grande valore non negoziabile al sistema spaziale del Parco delle Groane attraverso la creazione delle cosiddette “porte del parco” quali elementi non solo di connessione tra Groane e città ma anche come ambiti gradienti di scudo verde tra gli spazi urbano ed extraurbano. Circa la viabilità sono stati riscontrati diversi problemi legati soprattutto al traffico d’attraversamento lungo le tre direttrici principali verso Saronno, Milano e Monza: sono stati ipotizzati in via programmatica diversi interventi sulla viabilità dal punto di vista sia strutturale sia organizzativo. In merito alla mobilità lenta si prevede il potenziamento della rete ciclabile quale elemento di raccordo tra le diverse parti della città al fine di garantire la fruibilità degli spazi urbani in sicurezza.

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.1.5 I nuclei satellite e la Città metropolitana di Milano

Nonostante l’attuale appartenenza amministrativa alla provincia di Monza e Brianza, il comune di Limbiate è stato, ed è ancor oggi, fortemente in rapporto con la città di Milano. Tale dipendenza è indicata sia dall’evidente superiorità che il legame infrastrutturale verticale con il capoluogo lombardo presenta nei confronti di quello orizzontale brianteo, sia da un punto di vista storico e culturale. La presenza dell’ex Manicomio provinciale a Mombello infatti ha determinato sin dalla sua nascita nel 1867 un continuo fusso lavorativo, economico e sociale tra le due città. Tutt’oggi, a seguito del massiccio sviluppo economico del ventesimo secolo e l’espansione della città di Milano in una conurbazione che rende indistinguibili i diversi confni amministrativi, tale legame è ancora più evidente e ci permette di definire Limbiate un “nucleo satellite” dell’area metropolitana milanese. Col termine di “nuclei satellite” ci si riferisce ai centri minori nella zona circostante un grande nucleo urbano che, gravitando attorno ad esso, ne subiscono la grande capacità attrattiva e manifestano una stretta integrazione sociale, economica e culturale con il nucleo principale. Proprio in quest’ottica la città di Limbiate, assieme ai comuni limitrofi di Saronno, Caronno Pertusella, e Busto Arsizio della provincia di Varese hanno espresso sin dal 2012 la volontà di entrare a far parte della costituenda città metropolitana di Milano, abbandonando di conseguenza la rispettiva provincia di appartenenza. Nel caso di Limbiate, tale annessione potrebbe valorizzare il territorio brianteo che, com’è noto, versa in posizione intermedia tra la condizione della città e quella extraurbana. Se la Brianza ha tratto in passato da tale situazione benefici importanti, è ora fortemente a rischio di subire gli svantaggi dell’uno e dell’altro assetto per fenomeni (industrializzazione e urbanizzazione spinta prima e successivamente deindustrializzazione, dequalificazione funzionale, degrado infrastrutturale, ambientale e urbanistico) manifestatisi sull’intero territorio, che hanno offuscato le condizioni originali. Per un verso la Brianza è divenuta una campagna troppo urbanizzata, con alti costi d’insediamento e bassa qualità paesaggistica e ambientale; per un altro verso è una periferia metropolitana povera di qualità urbana e con rilevanti problemi d’accessibilità e promiscuità funzionale. E’ necessario quindi in ogni livello di pianificazione cercare di riconoscere l’identità del luogo, la complessità territoriale, le forme problematiche d’insediamento e di utilizzo del suolo, i suoi caratteri naturali, sociali ed economici, avviando un’azione di riqualificazione impegnata sui due fronti, urbano e rurale.

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.2 MORFOLOGIA DELL’AREA DI PROGETTO

2.2.1 Confini

Il complesso dell’ex ospedale psichiatrico Antonini sorge sulla collina di Mombello, frazione posizionata all’estremo nord del territorio limbiatese, confinante a sud con il centro storico, a nord e ad ovest con il Parco delle Groane, e ad est con l’abitato di Bovisio Masciago senza soluzione di continuità. Mombello si è sviluppato attorno al nucleo originario di Villa Pusterla Crivelli che, nata come dimora suburbana nel tardo medioevo, ha dominato indisturbata il verde delle Groane fino al 1867 con la nascita del manicomio provinciale. L’area su cui insisteva il complesso dell’ex ospedale psichiatrico è divisa in tre zone morfologicamente omogenee, fisicamente delimitate da tre recinti, separate dalla via Monte Grappa, strada urbana che innerva la collina. La prima area, di maggiori dimensioni, coincide col primitivo nucleo del manicomio, cresciuto per un secolo attorno a villa Pusterla fino ad inglobare le foresterie agricole del “Mombellino”; la seconda, oggi occupata dal presidio ospedaliero di riabilitazione neuropsichiatrica G. Corberi, corrisponde con l’area di espansione dell’ospedale Antonini nel corso del primo Novecento ed è limitata ad ovest dalla Statale Monza Saronno con la via Monte Bianco; la terza ed ultima area posta a nord ovest, è la zona sportiva attrezzata della frazione di Mombello, nata come C.R.A.L. per i dipendenti dell’ ospedale Antonini. In seguito nella fase progettuale non prenderemo in considerazione l’area del presidio ospedaliero G. Corberi, data la difficoltà riscontrata nell’ accesso alle sue strutture e la sua destinazione d’uso unitaria ospedaliera, ancora in essere.

2.2.2 Morfologia

Dal punto di vista geomorfologico l’area del comune di Limbiate è caratterizzata da due ambiti territoriali ben distinti, entrambi presenti nell’area di progetto: il terrazzo sub-pianeggiante delle Groane ad ovest e l’area pianeggiante del livello fondamentale della pianura alluvionale ad est. Queste due aree sono distinte anche a livello altimetrico da un evidente aumento delle quote topografiche da sud-est a nord-ovest. Nell’area di studio il dislivello medio tra queste è di 20 m. circa, ed è riconoscibile da una scarpata che la attraversa da nord-est a sud-ovest 6. Anche dal punto di vista della morfologia urbana si può fare una distinzione tra le i due ambiti territoriali dell’area di progetto: il terrazzo è caratterizzato da un tessuto omogeneo a padiglioni isolati e viali alberati, mentre il livello della pianura ha conservato una destinazione prevalentemente agricola con fabbricati rurali. 18


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

A livello architettonico-formale sono individuabili diverse tipologie omogenee: la dimora gentilizia di forme barocchette-lombarde e neoclassiche; architettura ospedaliera a padiglioni, di semplici ma eleganti forme fine ottocentesche e , più recenti, forme novecentesche; architettura produttiva in forme neoindustriali novecentesche; architettura religiosa degli anni trenta; ed infine fabbricati rurali.

2.3 PROPRIETÀ E FUNZIONI INSEDIATE

L’intera area dell’Antonini è stata divisa con la nascita delle aziende ospedaliere nel 1992 e la previsione della dismissione degli ospedali psichiatrici, in due proprietà principali: una parte è rimasta sotto l’amministrazione provinciale, prima di Milano, e poi della Monza Brianza; una seconda area è invece diventata proprietà dell’Azienda Ospedaliera G. Salvini di Garbagnate. Se l’amministrazione provinciale si è sempre impegnata a trovare una funzione sostitutiva da inserire nei padiglioni di sua proprietà, l’A.O. Salvini è invece stata negligente sotto questo aspetto, lasciando cadere in stato di abbandono gran parte delle strutture di sua competenza. Come già anticipato all’interno dell’area di progetto sono stati insediati, a sostituzione dell’ospedale psichiatrico, diversi servizi di utilità pubblica che svolgono un ruolo attrattore nei confronti del territorio circostante. Nei padiglioni posti nella zona occidentale dell’area si trovano strutture sanitarie come il Poliambulatorio Territoriale dall’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, la Residenza Sanitario-assistenziale Disabili (R.S.D.) Giovanni XXIII, il Servizio Tossicodipendenze (Ser.T.) gestiti dall’Azienda Sanitaria Locale di Monza e Brianza ed infine il Centro diurno integrato per anziani Karol Wojtyla; sempre presenti nella zona ovest del complesso ma con accesso indipendente da via Buonaparte, sono il Centro AVIS Vittorio Formentano sede dell’AVIS Provinciale di Milano e la Sede operativa della Provincia di Monza e Brianza; nella zona settentrionale sono invece concentrate le strutture scolastiche superiori, ovvero l’Istituto Tecnico Commerciale Elsa Morante e l’Istituto Tecnico Agrario Luigi Castiglioni, che attualmente ha sede nella villa Pusterla Crivelli; nella parte superiore del terrazzo hanno sede anche strutture sociali, quali la comunità di famiglie Il Montebello, ed una comunità religiosa cristiano-ortodossa; la parte pianeggiante è invece prevalentemente dedicata alle attività agricole, in parte connesse all’Istituto tecnico agrario ed in parte associate alla Cooperativa sociale di recupero I Sommozzatori della Terra; ultima struttura avente sede a levante lungo il confine con la via Giuseppe Garibaldi, è la struttura per dipendenze croniche, Alba di Bacco. All’estremo sud dell’area sorge un centro di addestramento per cani guida dei Lions, struttura di eccellenza a livello europeo, che con accesso indipendente, nonostante la posizione, risulta esclusa dal complesso.

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.4 EVOLUZIONE INSEDIATIVA DI MOMBELLO

La storia del sito di Mombello, della villa Pusterla, dell’insediamento e crescita dell’ospedale psichiatrico provinciale è già stata ampliamente descritta in diversi volumi ed elaborati di tesi. Ci siamo quindi limitati ad una breve sintesi incentrata sull’evoluzione edilizia del complesso, raccogliendo dati utili che potessero influenzare le scelte progettuali.

2.4.1 Villa Arconati Crivelli Pusterla

La villa sorge su un promontorio che domina la pianura sottostante. L’impianto strutturale segue la consueta conformazione con pianta ad U chiusa da un portico che collega le due estremità laterali creando una piccola corte. Il prospetto che si affaccia verso valle è contraddistinto dall’imponente balconata a gradoni che un tempo metteva in comunicazione la villa con il giardino. L’edificio si è sviluppato attorno ad un originario nucleo fortilizio risalente probabilmente all’alto medioevo, che divenne nella prima metà del cinquecento proprietà dei Carcano. La famiglia lo trasformò in un palazzo signorile che, secondo fonti bibliografiche, aveva una struttura quadrangolare con una corte interna e torrette angolari derivanti probabilmente dalle preesistenze di epoca medioevale. Nel 1543 il palazzo passò agli Arconati, che lo fecero diventare un’elegante dimora di campagna, soprattutto per volontà di Anna Visconti, che fece eseguire verso gli anni ottanta imponenti lavori, su progetto di Martino Bassi. Nel 1719 la villa passò ai Crivelli. “Essi fecero da gran signori tutto quello che ai tempi era possibile per dar lustro e comodità al loro soggiorno di campagna” 7. Fu il conte Stefano Gaetano Crivelli il committente dei lavori che trasformarono l’edificio in una splendida villa, disegnata dall’architetto Francesco Croce. Nel 1754 vi edificarono un oratorio dedicato a S. Francesco d’Assisi, com’era costume per le famiglie principesche. Nella seconda metà del settecento la dimora conobbe il suo periodo di massimo splendore: ospitò Ferdinando IV, re delle Due Sicilie, vi soggiornò Luigi Castiglioni, figura di rilievo nella cultura illuministica lombarda e, scelta da Napoleone Bonaparte, divenne il quartier generale e la corte del grande Còrso. In questo periodo acquistò notevole importanza e notorietà anche il parco della villa, che sotto la supervisione dell’Abate Crivelli assunse le forme di un ricco giardino botanico, dotato della prima serra lombarda che, con successi di coltivazione e riproduzione di specie esotiche, “portò il gusto della curiosità botanica” 8 a Mombello. Nel 1818 il conte Ferdinando Crivelli vendette la villa ad una famiglia di ricchi borghesi, i Catena. Da qui la dimora iniziò un periodo di degrado e abbandono e, nel 1865, la proprietà passo alla provincia di Milano che 20

Sopra: Vista dello scalone settecentesco e decorazione a soffitto di Villa Crivelli Arconati, fino a pochi anni fa sede dell’istituto agrario Castiglioni.


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

la destinò a succursale, e poi sede, dell’ospedale psichiatrico. Dal 1978 la villa ospita l’Istituto Agrario L. Castiglioni. Alla costruzione e trasformazione della villa hanno partecipato: - Arch. Martino Bassi (Anna Visconti, 1850 e Luigi Arconati in seguito): riedificazione del palazzo, in particolare costruzione di un portico formato da cinque campate con volte a crociera aperto sulla facciata ovest e sostenuto da colonne doriche in granito bianco; creazione di un secondo colonnato con terrazzo soprastante; caratteristiche morfologiche e strutturali che denotano una particolare ricerca nei rapporti proporzionali e nella simmetria delle varie parti; costruzione nel giardino di un’ampia balconata che si affaccia verso il giardino attraverso terrazze digradanti che fungono da cornice scenografica così come gli apparati effimeri costituiti da esedre. - Arch. Francesco Croce (Stefano Crivelli, 1750): rifacimento dell’ala nord (facciate secondo lo stile barocchetto lombardo)e realizzazione dello scalone d’onore; ridimensionamento delle due torrette laterali; disegno di un nuovo assetto all’italiana del giardino con l’installazione di una fontana scenografica e giochi d’acqua; ridisegno del muraglione a terrazza con scale e balaustre; progetto del viale e degli spazi davanti alla corte nobile a ovest; trasformazione dell’oratorio mantenendo l’originale corpo rettangolare e inserendo all’interno una pianta circolare. La villa è stata soggetta recentemente ad interventi di restauro delle facciate e sostituzione delle coperture programmata dall’Amministrazione Provinciale, sotto la direzione dell’arch. Pierluigi Scomparin.

A lato: Una delle prime mappature dell’area del Manicomio Antonini (1890).

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.4.2 Insediamento del manicomio Antonini

Nell’area milanese i folli, fatui, mentecapti, furiosi, sacro morbo affecti et similes, venivano raccolti nell’hospitale di San Vincenzo, in Milano, aggregato con altri al celebre Ospedale Maggiore filaretiano a metà del XV secolo. Il sovraffollamento e lo squallore di questo ricovero spinsero il governo austriaco, nel 1781, a spostare l’istituto nel grande palazzo della Senavra, ex proprietà dei Gesuiti, allora ai margini di Milano 9. La nuova struttura per gli alienati raggiunse nell’Ottocento un primato organizzativo grazie agli interventi e rinnovamenti del direttore Andrea Verga (1848-1852) e l’alienista Cesare Castiglioni (1871). Nonostante ciò l’ubicazione e la disposizione dei locali risultava igienicamente inadeguata per la cura e la custodia dei matti, in continuo aumento. L’ipotesi di realizzare nell’area milanese un nuovo grande manicomio si fece sempre più forte e nel 1855 il governo austriaco acquistò un vasto appezzamento a Desio e affidò l’incarico del progetto generale per un nuovo manicomio all’architetto G. Pestagalli, col supporto di Castiglioni. La proposta, con pianta a corti chiuse rimase su carta; parve a tutti troppo costosa. Si puntò invece a individuare una sede provvisoria, con edifici preesistenti da utilizzare subito. Piacque la settecentesca Villa Pusterla Crivelli a Mombello. “La Commissione Provinciale, che nell’estate del 1863 visitò il Palazzo di Mombello, fu colpita dall’incanto della natura e dall’imponenza del fabbricato. [...] Di fronte, oltre ai cancelli e il parco, dominava la facciata occidentale della villa, mentre a nord spiccavano due fabbricati paralleli l’uno all’altro” 10. All’alienista Castiglioni, insieme ad un gruppo di ingegneri funzionari fu affidato il compito di adattare la villa alle nuove necessità. Nell’agosto del 1865 Mombello accolse i primi ricoverati e il 12 novembre cominciò ufficialmente la sua attività come succursale della Senavra. Castiglioni la concepì come stabilimento sanitario per circa 300 alienati tranquilli, sistemati nella villa e nelle sue ristrutturate scuderie (150 donne ricoverate nel palazzo e 150 uomini nel fabbricato). Tuttavia nell’anno successivo un’epidemia di colera mise in apprensione l’autorità provinciale, alla ricerca di nuovi spazi per ricoverare gli infetti e, di pari passo, per allontanare gli alienati da condizioni ambientali insalubri, pericolose per il contagio, come quelle della Senavra. La succursale agricola di Mombello iniziò così ad ospitare sempre più malati provenienti da Milano e la sua storia prese un orientamento del tutto diverso rispetto alle aspettative iniziali. Nel 1872 fu deciso infatti dalla Deputazione provinciale l’ampliamento di Mombello, destinandolo a diventare unico manicomio della provincia di Milano. La crescita dei ricoverati iniziò un costante andamento esponenziale e nel 1873 iniziarono a costruirsi nuovi padiglioni per un’aggiunta di 400 posti letto e, per pressioni economico-sanitarie, si abbandonò definitivamente l’idea di una nuova struttura a Desio. Nel 1878, anno di chiusura definitiva della Senavra, il manicomio di Mombello ospitava 1121 ricoverati (559 uomini e 562 donne). Si costruì un impianto ben schematico con divisione uomini – donne e padiglioni per tipologie di malattie. Accedendo dall’ampio piazzale di ingresso, incorniciato dai due edifici della portineria e farmacia, il primo padiglione del complesso ospitava gli uffici della direzione e gli appartamenti dei direttori e cappellano. Dietro di esso il fabbricato per cucina e dispensa, con cantina, costituiva il “centro del manicomio” e segnava la 22


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linea divisoria dei due comparti, maschile e femminile. I nuovi corpi di fabbrica distavano tutti tra loro 25 m e comunicavano con la cucina tramite percorsi coperti con tettoie in ghisa, sotto le quali correva un binario per trasporto di vivande. Il tutto era immerso nel verde e allettato da giardini. In ogni padiglione al pian terreno vi erano sale per incontri e lavoro, refettori, bagni, latrine; al primo piano invece, i dormitori e lavatoi. Come luogo di culto veniva utilizzata la settecentesca chiesa della villa. I pavimenti erano tutti in cotto, tranne quelli nei padiglioni per epilettici, in asfalto. Le finestre avevano persiane chiuse con chiave; vi erano leggere inferriate solo in quelle dei padiglioni per agitati e semi agitati. Il muro che cingeva l’area manicomiale era lungo 2 Km, ai piedi della collina si sviluppava un’area coltivata di 200 pertiche milanesi con stalle e all’esterno si estendevano prati e boschi per 500 ettari.

2.4.3 Evoluzione edilizia dell’ospedale psichiatrico

Ora ripercorriamo la crescita ed evoluzione dell’ospedale psichiatrico per fasi corrispondenti alla successione dei suoi direttori: - Direttore Rinaldini (1874–1881). Venne molto potenziata la cosiddetta ‘cura morale’ dei malati di mente, tramite attività ludiche, di teatro e canto, ma soprattutto lavori agricoli e artigianali: si crearono spazi per calzoleria, falegnameria, edilizia, costruzione di stuoie, scope, cappelli di paglia, vestiti per uomini. Furono costruiti il teatro e ampliata l’azienda agricola. Erano stati inoltre organizzati, nella villa, un gabinetto patologico e una biblioteca con un’ampia raccolta internazionale di libri e riviste di settore. - Direttore Edoardo Gonzales (1881–1903). Nuovi interventi di costruzione: un reparto di isolamento per malattie infettive, detto Beduschi, una lavanderia a vapore e una moderna centrale termoelettrica, e l’ampliamento delle cucine con il panificio. Nel 1890 la villa napoleonica fu modificata: i due brevi tronchi di torre, sulla facciata orientale, coperti da tetto spiovente con tegole rosse, furono sopraelevati di due piani per ospitare moderni serbatoi per l’acqua potabile. Nel 1897 venne realizzato l’impianto di illuminazione elettrica che serviva, insieme all’acqua potabile, quasi tutti i padiglioni. Nel 1882 fu attivato un padiglione per la cura dei fanciulli, all’interno dell’isolata struttura a meridione, l’ex cascina Mombellino di sotto, prima adibita a malati contagiosi. Venne costruito il gabinetto anatomo-patologico e nel 1900, si aggiunsero ulteriori posti letto per i malati cronici con due nuovi padiglioni Lombroso-Perusini e Lurago-Tanzi, ciascuno dei quali ospitavano 250 persone. - Direttore Gian Battista Verga (1903–1911). Il numero dei ricoverati era cresciuto esponenzialmente fino a quasi 2000 pazienti. Nel 1908 venne deciso un ulteriore ingrandimento di Mombello con la costruzione di quattro “padiglioni aperti” fuori dal recinto, all’interno della pineta posta ad ovest rispetto al complesso. Nel 1910 venne costruito inoltre il padiglione ‘Cura e osservazione donne’ in seguito alla demolizione del reparto 23


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

Fanciulli. - Direttore Giuseppe Antonini (1911–1931). Di fronte ai 3504 pazienti raggiunti nel 1918 il professore fece costruire tre nuovi padiglioni sulla spianata dell’ortaglia ai piedi della villa Crivelli, i reparti Rossi, Ronzoni e Forlanini, il primo per ospitare la colonia agricola, i restanti per i malati tubercolotici. Questi padiglioni finirono però per diventare ospedali militari per i numerosi alienati generati dalla Grande guerra. Il dott. Antonini mantenne la direzione del manicomio per oltre 32 anni con “rara competenza tecnica nella costruzione”, la “poliedrica personalità del Direttore Antonini [che] accanto all’artista, [...] seppe dare una produzione scientifica e svolgere un’azione sanitaria rivelatrice dell’alto ingegno e della larga cultura del medico umanista”. Per questo nel 1966 l’ospedale venne dedicato alla sua memoria. All’Antonini si devono iniziative come l’istituzione di un completo servizio che abbracciava i campi chirurgico, ginecologico, odontoiatrico, oculistico e radiologico, egli promosse inoltre attività sportive e di dopolavoro in campo artistico e musicale. L’ergoterapia assunse carattere di attività industriale, organizzata in un vero e proprio quartiere di fabbriche costruito a nord del complesso. Il direttore si occupò inoltre della costruzione del campo sportivo nella pineta a est e di nuovi laboratori. Nel 1929 fu costruito il serbatoio d’acqua, ampliate le lavanderie e la centrale, riqualificate le strade e ristrutturati una buona parte dei padiglioni. Si abbatterono i muri di recinzione di ogni singolo reparto, si aggiunsero nuove vetrate e verande all’interno dei portici, si inserirono nuovi servizi igienici ed una nuova rete fognaria. Istituì, inoltre, i dispensari psichiatrici in tutta Milano e provincia, ovvero delle strutture che potessero assistere i malati dimessi e potessero consentire dimissioni precoci al fine di diminuire il sovraffollamento degli ospedali psichiatrici. - Direttore Lugiato(1931–1945). Portò a termine il progetto del comparto industriale, iniziato dall’Antonini, costituito da dodici padiglioni, che ospitavano attività come la tipografia, la tessitoria, i fabbri, i falegnami, i calzolai, i laboratori per la lavorazione di stuoie e materassi, mulino e pastificio, autorimessa, officine, meccanici. - Direttore Riccardo Bozzi (1946). Il direttore inserì le nuove cucine generali e una nuova accettazione, rinnovò i viali ed il parco, ricostituì laboratori ed edifici per svago. Nel 1963 spostò i fanciulli, allora insediati nei padiglioni Forlanini e Ronzoni, al di fuori del recinto, all’interno della pineta dei padiglioni aperti e vi costruì nuovi servizi come lo zoo e la scuola materna; nasceva così l’Istituto Corberi. Vennero demolite le ottocentesche scuderie dell’architetto Croce per inserirvi un villaggio sociale con al suo interno negozi, bar, ristoranti; un luogo che promuoveva la comunicazione tra mondo ospedaliero e mondo esterno e rappresentava un punto d’appoggio per i parenti dei malati. Nato come succursale provvisoria della Senavra, Mombello è così cresciuto a dismisura per ospitare l’enorme mole dei malati mentali prodotta dalla città di Milano, nonostante l’ubicazione decentrata ed inadatta. Solo nel 1950, quando l’Astanteria di Affori, aperta nel 1921 alle porte di Milano, divenne l’Istituto centrale per la cura dei malati di mente – poi O.P. Paolo Pini – Mombello fu declassato a ruolo complementare, con la succursale di Parabiago. Da allora fu possibile contenere il numero di malati, limitando i nuovi ingressi, ma non si riuscì a salvaguardare in modo adeguato l’immenso patrimonio costituitosi nel tempo. 24


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

Sopra: vista di Villa Arconati con le torriserbatoio per la raccolta delle acque. A lato: Inquadramento territoriale dell’abitato di Limbiate e sviluppo dell’area di Mombello nel Catasto Teresiano (1760)

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.4.4 Legge Basaglia e dismissione

Con la legge Basaglia nel 1978 e la conseguente de-istituzionalizzazione degli ospedali psichiatrici la dismissione dell’ospedale Antonini fu lenta e graduale. Nel 1995 fu nominato direttore il dottor Angelo Barbato che, fin da subito, si occupò della completa chiusura dell’ospedale e redasse un progetto di cinque anni consistente nell’organizzazione e spostamento del personale e dei pazienti ancora presenti nell’ospedale. Il dottore e la su equipe, appoggiati dalla Regione e dalla Azienda Ospedaliera Salvini, si occuparono di trasferire i malati in apposite nuove strutture distribuite sul territorio. La scelta fu quella di riconvertire tutto al di fuori delle mura dell’ospedale, promuovendo qualcosa di nuovo che si staccasse fortemente dal passato e dall’era manicomiale. Il progetto si concentrava solo su servizi esterni che superavano il concetto manicomiale istituzionale di assistenza. L’ultimo gruppo di pazienti lasciò la struttura a dicembre del 1999. Alla chiusura delle attività e alla dismissione delle strutture non ha fatto seguito, un piano di riconversione complessiva dell’intero presidio e il territorio è dunque venuto via via a perdere il proprio ruolo, cadendo in un diffuso stato di abbandono e degrado, che oggi caratterizzano l’area. Tuttavia, negli ultimi anni sono state attivate alcune iniziative volte a rilanciare l’intero complesso, recuperando le strutture esistenti per nuovi usi inerenti il settore socio-sanitario e l’istruzione di livello superiore o, ancora, per alcuni uffici decentrati della Provincia di Monza e Brianza. A lato: Immagine evocativa della condizione di degrado in cui versano le strutture manicomiali in Italia. Sotto: Franco Basaglia, medico psichiatra e ideatore della legge 180/1978

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.4.5 Strategie di sviluppo dell’area

Definita dal PGT “grande risorsa latente” 11 l’area di progetto è uno dei tre ambiti di trasformazione individuati dallo strumento di pianificazione territoriale comunale. L’Amministrazione ha individuato infatti possibili ambiti di trasformazione all’interno del tessuto urbano inseguendo i principi del recupero e della rifunzionalizzazione dell’esistente e del patrimonio edilizio compromesso, trasformando le emergenze in occasioni per rilanciare la matrice urbana e accrescere l’identità di Limbiate. Il complesso dell’ex ospedale Antonini viene definito Ambito Strategico (AS) dell’innovazione sociale ed economica, ha una estensione di 83 ha (830.000 m2) e le disposizione attuative del Documento di Piano sono le seguenti: - il rilancio del Mombello quale occasione per creare una porta nord, per risolvere uno snodo delicato dal punto di vista estetico, funzionale e viabilistico e per rivedere il rapporto tra Mombello e Limbiate anche mediante il ripensamento del ruolo e della funzione di piazza Tobagi. Modalità d’intervento: - Redazione di Masterplan a carico del soggetto attuatore per l’intero Ambito strategico e successiva stipula di Accordo di programma (o altra procedura di programmazione negoziata) con Regione Lombardia, Provincia di Monza e Brianza e/o ente equivalente, Parco Regionale delle Groane e Asl. - Parametri di edificabilità: Mantenimento delle volumetrie esistenti senza incremento - Destinazioni d’usoammesse: Servizi e funzioni complementari prevalentemente orientati alla sanità, all’istruzione e alla cultura È richiesta quindi la conservazione delle volumetrie esistenti, tenendo presente che l’ambito mal si presta a nuove edificazioni, stante la sua peculiare caratteristica insediativa di città giardino basata sulla presenza di padiglioni; fatta salva la sostituzione delle superfetazioni recenti, gli interventi devono essere basati sul restauro e il risanamento conservativo. L’Antonini è considerato patrimonio collettivo che va al di là dei confini comunali: le sue ipotesi di riuso devono necessariamente passare da un accordo di programma che coinvolga gli enti proprietari (Asl e Provincia), il Comune di Limbiate e la Regione Lombardia, volto alla definizione di un masterplan che disciplini gli interventi e che abbia i seguenti contenuti: a) conservazione dei caratteri insediativi b) salvaguardia e valorizzazione del patrimonio arboreo monumentale c) previsione di funzioni pubbliche, tendenzialmente orientate alla sanità, istruzione e cultura. In tal contesto potranno essere previste funzioni accessorie e di servizio (quali alberghi, ristoranti, laboratori di artigianato a servizio delle persone, residenze per utenze determinate) da affidare a operatori privati e del privato sociale previo convenzionamento. 27


2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

2.5 STATO DI CONSERVAZIONE E VINCOLI DI TUTELA

L’ex ospedale Psichiatrico si presenta oggi nel suo complesso in una condizione di degrado, a tutte le scale, sia esso architettonico, sociale e funzionale. L’attuale frammentazione delle proprietà, la presenza di funzioni tra loro non connesse e la mancanza di un progetto unitario che si ponga come vera ipotesi di riqualificazione futura determina l’odierna decadenza delle strutture storiche del manicomio. La percezione generale che si può avere dell’area di progetto sia semplicemente percorrendone il perimetro, che attraversandola lungo i suoi viali alberati, è sicuramente quella di uno stato di abbandono e incuria. Gli spazi verdi, l’arredo urbano ed i percorsi mancano di manutenzione e sono deturpati dal deterioramento antropico, come l’abbandono di rifiuti ed il vandalismo. Per quanto riguarda invece lo stato di conservazione dei fabbricati è necessario fare una distinzione, coincidente in gran parte con la divisione stessa delle proprietà. Alcuni fabbricati sono in totale stato di abbandono e fatiscenza, sia delle finiture che delle strutture e, talvolta, anche oggetto di vandalismo o sottrazione di materiale edile; tali edifici sono tutti di proprietà dell’A.O. Salvini. La restante parte dei fabbricati, agibili ed in uso, appartenenti principalmente alla Provincia di Monza Brianza, si presenta in buono stato di conservazione e, in alcuni casi, è stata oggetto di recente recupero o risanamento conservativo. Lo stato di degrado degli edifici può essere facilmente correlato alla tecnica costruttiva impiegata: il maggiore stato di degrado è riscontrabile negli edifici edificati prima del 1910 la cui struttura portante è in muratura di laterizi con solai lignei; per gli edifici successivi subentra invece l’uso di solai misti in acciaio e laterizio e poi del calcestruzzo armato, cui corrisponde un differente tipo di degrado meno invasivo. Da un’analisi del piano delle regole del PGT, l’ex ospedale psichiatrico è classificato come area a medio-alta sensibilità paesaggistica. All’interno del PTCP della provincia di Monza e Brianza sono segnalati come ambiti di interesse paesaggistico il parco storico della villa, le aree boschive ed i filari alberati presenti nell’area; il piano ne promuove il rispetto, soprattutto con finalità di barriera visuale ed acustica, e la connessione con i parchi e le reti ciclopedonali esistenti 12. A loro volta risultano oggetto di interesse e tutela le architetture civili e religiose del complesso manicomiale e la villa storica. Il piano promuove la conservazione dell’unità culturali costituite da ville, giardini, cappelle e pertinenze agricole, tutelandone le vedute e gli assi prospettici che conducono a questi complessi.

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2. L’AREA DELL’EX-ANTONINI

Stato di conservazione del Padiglione Biffi in uso (sopra) e dopo 20 anni di abbandono agli agenti esterni e agli atti vandalici (sotto).

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NOTE BIBLIOGRAFICHE

1. Comune di Limbiate - popolazione residente al 30-06-2013 2. L’analisi delle gerarchie territoriali e dei flussi è tratta da Piano dei servizi, PGT Comune di Limbiate, 2011/2014 3. L’analisi delle gerarchie territoriali e dei flussi è tratta da Piano dei servizi, PGT Comune di Limbiate, 2011/2014 4. L’analisi del sistema del verde è tratta da Piano dei servizi, PGT Comune di Limbiate, 2011/2014) 5. Le strategie di sviluppo sono tratte da Le determinazioni di Piano, in Documento di Piano, PGT Comune di Limbiate, 2011/2014 6. La geomorfologia della frazione di Mombello è tratta da Documento di Piano, PGT Comune di Limbiate, 2011/2014 7. Paris A.M., La storia di Limbiate, Scuola grafica P. L. M. Monti e Pontificia arcivescovile S. Giuseppe, Saronno, 1972 8. P. Verri, lettera ad A.Verri del 20 agosto 1777, cit. in E. Greppi (a cura di), Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, Milano 1923-1942, p.109 9. Cfr. G. Capsoni, Ricerche statistiche sui pazzi in Europa con una appendice sul gran manicomio di Milano detto La Senavra presso questa Regia Città, Milano 1844 10. Cfr. A.M. Paris, La storia di Limbiate, Scuola grafica P. L. M. Monti e Pontificia arcivescovile S. Giuseppe, Saronno, 1972 11. Gli intenti del PGT sull’area dell’Antonini sono tratti da “Le determinazioni di Piano”, in Documento di Piano, PGT Comune di Limbiate, 2011/2014 12. Cfr. PTCP Provincia di Monza e Brianza 2011/2013, Sezione III, Paragrafo II

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

RIFUNZIONALIZZAZIONE E RIQUALIFICAZIONE URBANA - G. Cullen, Il paesaggio urbano. Morfologia e progettazione, Bologna 1976 o Centri urbani: conservazione e innovazione, Numero monografico di - “Casabella”, XLI, 428, 1977 - G. Cavalazzi, G. Falchi, La storia di Milano, Bologna 1989 - A. Piva, P. Galliani (a cura di), Il progetto come modifica, Milano 1992 - M. Russo, Aree dismesse. Forma e risorsa della “città esistente”, Napoli 1997 o G. Virgilio La costruzione della fattibilità strategica: programmi, attori e processi della riqualificazione urbana, Firenze 2003 - P. Ceccarelli. C. Monti, Riqualificazione urbana in Emilia-Romagna. Esperienze e linee di azione futura, Firenze 2003 - P. Elli, E. Mussinelli, Spazio pubblico e infrastrutture per la riqualificazione urbana, Milano 2004 - D.Pini e F.Boschi (a cura di), Stazioni ferroviarie e riqualificazione urbana, Bologna 2004 - F. Alberti, Processi di riqualificazione urbana, metodologie innovative per il recupero dei tessuti urbani esistenti, Firenze 2006 - V. Lingua, Riqualificazione urbana alla prova, Firenze 2007 - M. Bolocan Goldstein, Degrado urbanistico tra lemma e dilemma, in “Arcipelago Milano”, 4 Maggio 2009 - M. Luppi, Coesione sociale nella città. Azioni e relazioni nell’esperienza di due quartieri di Milano, Milano 2009 - AA.VV, Città pubbliche, linee guida per la riqualificazione urbana, Milano – Torino 2009 - L.Fonti, Città e parchi. Idee e percorsi critici nella riqualificazione urbana e ambientale, Roma

VILLA PUSTERLA CRIVELLI - L. Castiglioni, Storia delle piante forastiere: le più importanti nell’uso medico, od economico, Milano s.d. - P. Ferrario, Nobili dimore. Le residenze storiche a Limbiate e Mombello, Limbiate 2001 32


TESI DI LAUREA - G. Corbetta, F. Colombo, L. Chiara. Nuove urbanità: progetto di riconversione dell’ex ospedale psichiatrico di Mombello. Politecnico di Milano, a.a. 1997/98 - S. GhezzI, S. Sala, C. Ranci. I luoghi della follia: ricostruzione storica dello spazio per la malattia mentale e analisi della qualità abitativa in tre strutture residenziali psichiatriche, Politecnico di Milano, a.a. 1997/98 - M. Pistidda, M. Pratissoli, B. Ramundo, M. Boriani, C. Ferrario. Introduzione di contenuti paesistici nella pianificazione comunale. Il comune di Limbiate, Politecnico di Milano, a.a. 1998/1999 - M. Lorini, G. Mariani, La città della mente. Progetto di conservazione e riuso dell’ex ospedale psichiatrico di Mombello (Limbiate), Politecnico di Milano, a.a. 2009/10 - D. G. Longhin, Progettare nel costruito. Recupero e riqualificazione di un ‘ex area industriale per il centro civico di Baranzate (MI), Politecnico di Milano, a.a. 2011/12 STRUMENTI URBANISTICI - PTCP–PianoTerritorialediCoordinamentoProvincialedellaProvinciadi Monza e Brianza 2011/2013 - PGT -Piano di Governo del Territorio del Comune di Limbiate, 2011/2014

SITOGRAFIA www.arcipelagomilano.org/archives/2413 (Rifunzionalizzazione e riqualificazione urbana) www.regione.lombardia.it (Rifunzionalizzazione e riqualificazione urbana) www.triestesalutementale.it/letteratura/testi/35distr.htm (Storia psichiatrica) www.spazidellafollia.eu/ (Storia psichiatrica) http://www.fr.fnac.be/a28077/Pierre-Pinon-L-Hospice-de-Charenton (Storia psichiatrica) http://santagostino.modena.it/sago/un-nuovo-polo-culturale.html (Casi studio) www.wwoof.net (Organizzazioni ambientali) http://www.carrarosimiarchitetti.com/?projects=r-s-a-santa-maria-dei-battuti-e-centro-anziani-carmeladaminato (Documentazione R.S.A.) http://www.salute.gov.it/ (Documentazione assistenza sanitaria)

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VOLUME II

IL GENIUS LOCI: LA VOCAZIONE OSPEDALIERA


TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA POLITECNICO DI MILANO a.a. 2016/2017 relatore di tesi di laurea: EMILIO FAROLDI studenti: PIETRO AMATO FILIPPO GEROSA SOFIA PAROLINI PIER PAOLO PALAZZETTI


INDICE VOLUME II - IL GENIUS LOCI: LA VOCAZIONE OSPEDALIERA

1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

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1.1 IL GENIUS LOCI DEL “MOMBELLO” 1.2 SITUAZIONE ITALIANA NEL XX SECOLO

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1.3 I COMPLESSI MANICOMIALI SUL TERRITORIO ITALIANO 1.3.1 La legge Lanza e la sanità mentale: proposta medica e soluzione architettonica 1.3.2 Il sito, l’igiene e l’ambiente 1.3.3 Manicomi e crescita urbana

9 9 11 12

1.4 CASI STUDIO DI RIQUALIFICAZIONE

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2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

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3.1 PERCHÉ UN OSPEDALE DI TRAUMATOLOGIA DELLO SPORT? 3.2 IL MODELLO U.S.A. 3.2.1 The Loyola Medicine Health Center 3.2.2 Isokinetic Fifa Medical Centre of Excellence

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI - EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE 4.1 L’ospedale a padiglioni 4.2 L’ospedale monoblocco 4.3 L’ospedale poliblocco 4.4 La ricerca di tipologie dedicate alla salute dell’uomo 4.5 L’ospedale contemporaneo 4.6 Il metaprogetto Piano – Veronesi

39 39 40 41 43 45 52

NOTE BIBLIOGRAFICHE BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

1.1 IL GENIUS LOCI DEL “MOMBELLO”

« Il carattere è determinato da come le cose sono, ed offre alla nostra indagine una base per lo studio dei fenomeni concreti della nostra vita quotidiana. Solo in questo modo possiamo afferrare completamente il Genius Loci, lo “spirito del luogo” che gli antichi riconobbero come quell’ “opposto” con cui l’uomo deve scendere a patti per acquisire la possibilità di abitare. » Christian Norberg-Schulz Come istituto psichiatrico, il Mombello si è configurato nel tempo come luogo di reclusione e cura della follia, trovando giustificazione storica nelle correnti psichiatriche che attuavano la segregazione di ogni comportamento ritenuto anomalo rispetto alle usuali convenzioni sociali, senza distinzioni di causa o provenienza. Anche nel suo periodo di massimo splendore, quando, sotto la direzione del dr. Antonini, si costituiva come una vera macchina organizzativa, il Mombello mantenne i tratti distintivi di ospedale manicomiale: i padiglioni di ricovero, i mezzi di contenzione, le pratiche correttive, un vero luogo di esercitazione e concretizzazione della follia. Nonostante i nostri approfondimenti progettuali abbiano verso una destinazione differente, sebbene di natura ospedaliera, dovuta alla vocazione storica e urbanistica dell’area, ci è parso doveroso considerare la storia delle strutture manicomiali e delle problematiche dovute alla disattivazione della legge 180, predisponendo quindi da Masterplan un’area dedicata alla cura delle persone con disabilità mentale.

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

1.2 SITUAZIONE ITALIANA NEL XX SECOLO

In Italia il sistema organizzativo dei luoghi di cura1 era mutato con l’unificazione politica della penisola nel 1861: spettava alle Province la responsabilità amministrativa e la cura degli alienati del loro territorio di competenza. Venne promulgata in seguito dal governo giolittiano la prima legge nazionale sulla malattia mentale, di cui si sentiva l’esigenza sin dalla nascita del Regno d’ Italia: Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. La legge 36 del 1904, rimasta in vigore fino al 1978, si poneva più che altro come strumento di protezione per la società, non rispettando i bisogni e i diritti del malato. Essa risultava innovativa rispetto al passato ma non teneva in considerazione né la durata di permanenza nella struttura psichiatrica né il malato, che perdeva ogni diritto dopo il ricovero. Con l’inizio del Novecento nelle università europee invece si intraprese una nuova sistematizzazione clinica, seguendo le linee del trattato di psichiatria del 1899 di Emil Kraepelin. Dalla semplice descrizione dei sintomi si passava all’interpretazione di un processo comune tra le malattie mentali. Alla sola diagnosi finalmente seguiva la prognosi: nasceva la psichiatria clinica. Ma la vera rivoluzione del XX secolo fu il tentativo di Sigmund Freud di affrontare in altro modo il disturbo mentale, prestando attenzione al funzionamento della psiche del paziente: la psicoterapia 2. Nel libro di Freud e Breuer Studi sull’Isteria, edito nel 1895 e diffuso in Italia solo quindici anni dopo, si delineava questa nuova tecnica terapeutica: il malato non era più un oggetto sul quale lo psichiatra poneva la propria attenzione, per definirlo, descriverlo e prescrivergli poi il trattamento più adeguato, bensì diventava un interlocutore attivo. La tecnica era sostanzialmente la parola ed anche il suo risultato dipendeva da essa. Come diceva Freud: “un’immagine che sia stata sfogata a parole non si rivede più [...] solo con l’ultima parola dell’analisi scompare l’intero quadro morboso” 3. Nel crescente clima nazionalista italiano però né la psicoterapia, né le teoria di Kraepelin 4 vennero seriamente recepite ed applicate. La forte tradizione di ricerca scientifica su base anatomo-patologica delle università italiane dominò fino al secondo dopoguerra i manicomi italiani, in un paese dove la riforma Gentile del 1923 univa la clinica psichiatrica e quella neuropatologica in un unico insegnamento, sempre più orientato verso la ricerca delle cause organiche e biologiche della malattia. Sotto l’impulso della politica assistenziale ed igienista del Fascismo, che appoggiava la teoria fisiognomica dell’alienista criminologo Cesare Lombroso, i manicomi italiani si caricarono in modo esasperato della valenza di protezione sociale. I ricoverati erano in continuo aumento, così come i tempi di dimissione: il numero dei pazienti giudicati cronici continuava a crescere. All’interno degli istituti si moltiplicavano i cronicari; mutavano anche le aree riservate agli spazi per le terapie: alle tradizionali clinoterapia, idroterapia, utilizzo di sedativi, sorveglianza e contenzione vennero accostate sperimentazioni di malarioterapia ed uso di tubercolina, per arrivare poi alle più moderne terapie di shock quali insulinoterapia ed elettroshock, introdotto nel 1938 dall’italiano Ugo Cerletti. Nel secondo dopoguerra i media iniziarono ad interessarsi riguardo la questione manicomiale e all’estero vennero effettuate le prime sperimentazioni di comunità terapeutiche al di fuori delle mura ospedaliere. Venne

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

per la prima volta messo realmente in discussione lo spazio manicomiale dove la privazione di libertà, socialità e promiscuità ricordavano fortemente le esperienze traumatiche dei lager. Fu però la scoperta degli psicofarmaci negli anni Cinquanta a mutare radicalmente l’atmosfera all’interno dei manicomi e a modificare le mansioni dei medici e degli infermieri che, da custodi, diventarono educatori. Iniziava ad essere sperimentata la cura con il dialogo: nascevano la psicoterapia di gruppo e la socioterapia, evoluzione dell’ergoterapia. Furono introdotti così nuovi laboratori di arte-terapia, dove l’attività artistica aveva la doppia valenza di momento terapeutico e di momento diagnostico. Veniva finalmente riscoperta l’umanità del malato e di conseguenza andavano trasformandosi anche le leggi che ne governavano l’assistenza. Tra il 1955 e il 1963 la riforma degli ospedali psichiatrici fu protagonista in tutto il mondo Occidentale: Francia, Inghilterra (New mental act,1959), Belgio, Stati Uniti (Action for mental health, 1961) e Canada rinnovarono la loro legislatura nel campo della malattia mentale. Sull’onda delle battaglie antistituzionali degli anni Sessanta aumentavano anche le sperimentazioni nel campo socio- sanitario, in particolare in Francia germinava la cosiddetta politica di settore, ovvero un servizio assistenziale diffuso sul territorio, basato su piccole realtà comunitarie. Nel panorama Italiano invece, ormai statico da troppi anni, si respirava una realtà di ricerca e protesta diffusa e ci si interrogava sul motivo per cui perdurasse il biologismo psichiatrico e non fosse accolto il riformismo. “E’ anche comprensibile che là dove il riformismo psichiatrico è più armoniosamente inserito in un pacifico evolversi della vita civile di un paese a antiche tradizioni democratiche, esso tende ad assumere aspetti di riformismo graduale, mentre al contrario è giusto attendersi una radicalizzazione della punta più avanzata del rinnovamento istituzionale laddove esista un forte contrasto fra questo ultimo e il prevalente ritardo politico e “civile” del paese” 5. I media si concentrarono sull’eclatante esperienza dello psichiatra Franco Basaglia, nella sua battaglia contro le cause sociali della malattia. Direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, egli fondò nel 1964 la prima comunità terapeutica italiana, puntando alla democraticizzazione della vita manicomiale su modello anglosassone. Conscio della mancanza di mezzi operativi, smise di lavorare sul problema per iniziare dal suo “contenitore”: dalla malattia al matto. Basaglia applicava una moderna terapia di libertà e di umanizzazione: il malato mentale non era più considerato alla stregua di un individuo pericoloso ma, al contrario, un essere del quale dovevano essere sottolineate, anziché represse, le qualità umane. Il malato era di conseguenza in continui rapporti con il mondo esterno, in quanto gli era permesso di dedicarsi al lavoro e al mantenimento dei rapporti umani. Lo psichiatra sembra, infatti, riscoprire solo oggi che il primo passo verso la cura del malato è il ritorno alla libertà di cui finora egli stesso lo aveva privato. La necessità di un regime, di un sistema nella complessa organizzazione dello spazio chiuso nel quale il malato mentale è stato isolato per secoli, richiedeva al medico il solo ruolo di sorvegliante, di tutore interno, di moderatore degli eccessi cui la malattia poteva portare: il

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

valore del sistema superava quello dell’oggetto delle sue cure. Ma oggi lo psichiatra si rende conto che i primi passi verso l’apertura del manicomio producono nel malato una graduale trasformazione del suo porsi, del suo rapporto con la malattia e col mondo, della sua prospettiva delle cose, ristretta e rimpicciolita non solo dalla condizione morbosa ma dalla lunga ospedalizzazione 6. Su questa scia, a seconda della realtà politico-geografica, ciascun ospedale psichiatrico iniziò il suo personale percorso di deistituzionalizzazione e di sperimentazioni terapeutiche in un crescente ed alimentato dibattito pro e contro manicomio. Esperienza pilota di tale processo fu sicuramente quella dell’ospedale di Trieste, dove Basaglia arrivò nel 1971 con l’espressa intenzione di chiudere il manicomio ed aprirne le porte verso la società, obbligandola ad accettare il folle. Nel 1975 si diede lentamente il via alla territorializzazione dell’assistenza psichiatrica con l’apertura dei primi centri di salute mentale nelle città; iniziarono grandi dibattiti sul ricovero volontario e si presentò il primo disegno di legge “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Esso fu esaminato, discusso, modificato e approvato il 13 Maggio 1978 come Legge n.180. Con l’istituzione del T.S.O. (Trattamento Sanitario Obbligatorio) veniva definitivamente abbandonato il concetto di pericolosità del malato mentale, e l’oggetto della tutela viene spostato dalla società alla persona malata. Tale legge Nazionale “fece dell’ospedale psichiatrico un’istituzione negata, ne sancì di colpo il definitivo superamento ‘determinando’ uno stato di abbandono e di inaccettabile degrado delle condizioni di vita dei ricoverati” 7. L’eco delle Legge 180 fu enorme, anche e soprattutto a livello internazionale, perché erano stati smantellati i capisaldi su cui si era costituita la psichiatria moderna: manicomi e pericolosità sociale.

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

1.3 I COMPLESSI MANICOMIALI SUL TERRITORIO ITALIANO

Con riferimento agli istituti per il ricovero e la cura degli alienati costruiti negli ultimi due secoli nei maggiori centri della nazione, si cerca ora di indagare da un lato, la storia delle idee che presiedono alla costruzione e organizzazione dei manicomi 8 e, dall’altro, la più generale storia del loro rapporto con la città, puntando l’attenzione sulle strategie localizzative, sull’influenza delle teorie igieniste, sulle fasi di espansione urbana in rapporto a quelle di consolidamento e stratificazione dei manicomi, sul destino degli ospedali psichiatrici di fronte al mutamento del contesto sociale e dei modi d’uso delle città nel secondo Novecento.

1.3.1 La legge Lanza e la sanità mentale: proposta medica e soluzione architettonica

La legge del Regno d’Italia del 20 Marzo 1865 con l’istituzione delle Provincie assegnò ad esse l’onere del mantenimento dei “mentecatti poveri”: un progetto che auspicava la dotazione, per ciascuna provincia, di un proprio manicomio di competenza. Le strutture manicomiali già esistenti derivavano in gran parte da antiche istituzioni confraternali di carità, la cui gestione e amministrazione non era ben definita da alcuna legge. Il 1° giugno 1881 in Italia i manicomi provinciali erano diventati 39 e contenevano 16.655 folli 9. Nel corso di un secolo le strutture si sono moltiplicate fino a raggiungere il numero di 70 manicomi provinciali, terminando la loro crescita solo nel 1978 con la legge n.180, conosciuta anche con il nome di legge Basaglia. Alla nascita del manicomio come istituzione provinciale, come precedentemente detto, la neonata psichiatria italiana credeva nelle proprietà terapeutiche degli spazi manicomiali, affidando ad essi un ruolo considerevole nella riabilitazione fisico-morale dei folli, sulla linea tracciata dal Chiarugi nel San Bonifazio a Firenze. Esempio primo di tale teoria era stato l’Hospice de Charenton, tappa costante dei molti viaggi di studio degli alienisti italiani per conoscere la gestione manicomiale estera. Elaborato nel 1834 in piena sintonia dall’alienista Esquirol e dall’architetto Gilbert, come sostiene Pinon, era espressione del pieno accordo tra orientamento psichiatrico e qualità architettonica, che diveniva piena affermazione e insieme compimento figurativo del primo. Il legame tra proposta medica e soluzione architettonica si è manifestato nella prima realizzazione di moderni manicomi francesi nella dicotomia isolamento- internamento, non più messa in discussione fino alla negazione del manicomio negli anni settanta del Novecento. Il primo termine era principio fondativo che individuava nel manicomio isolato il luogo in sé propiziatorio di possibile guarigione; il secondo invece, garanzia di sicurezza per la società intera che respingeva fuori dal proprio mondo il pericolo rappresentato dalla follia. La scelta

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

del sito e l’organizzazione interna finalizzata alla cura, dipendevano da questi due valori, in una stretta collaborazione tra alienista e ingegnere o architetto progettista. Questa razionalità programmatoria di invenzione francese, fu applicata con notevole ritardo in Italia rispetto al resto d’Europa. Tra fine Settecento e prima metà dell’Ottocento il ricovero Italiano dei folli consisteva di inadeguate strutture sovraffollate in complessi monumentali preesistenti, come complessi monastici (Astino a Bergamo, isola di San Servolo a Venezia) e palazzi antichi (la Senavra a Milano). A seguito della legge del 1865, il ricovero manicomiale di massa risultava solo agli esordi: la nuova generazione di alienisti si preoccupò quindi di raggiungere standard che altrove erano già andati in crisi. Si impegnarono in un progetto nazionale di grande respiro, avviato a costruire la rete nazionale dei manicomi, in un percorso istituzionale affidato alla gestione delle province. Affrontavano enormi spese di costruzione e gestione di nuove strutture, senza considerare le più aggiornate teorie psichiatriche di altri paesi come la Francia che, precorritrice dei tempi, accusava già le strutture di ricovero di essere causa di cronicizzazione della follia. Gli stabilimenti manicomiali in Europa avevano tratto gradualmente da metà Settecento una loro singolarità organizzativa e formale all’interno del cosiddetto “ospedale onnicomprensivo”. Di grandi dimensioni, sovraffollato, malsano e promiscuo, per tipo di cura e utenza, tale modello tramontò a favore del sistema tipo-morfologico a padiglioni. Questa nuova struttura razionale di organizzazione gerarchica delle singole attività nello spazio fu applicata quindi in Italia, con successivi perfezionamenti fino alla metà del Novecento. Il sistema a padiglioni risultò utile a definire livelli ed ordini, interpretando criteri e procedure di relazione e interazione fondate su nuovi presupposti scientifici di osservazione, diagnosi e trattamento 10. In generale i manicomi Italiani erano luoghi di sorveglianza gerarchizzata, strutturati secondo logica simmetrica, ordinata da un asse distributivo centrale, occupato e sottolineato da edifici per funzioni direttive, gestionali, e amministrative. Principali caratteri pressoché costanti di tali strutture furono: la recinzione dell’intero complesso con muri mai troppo escludenti; la separazione fra i sessi e una scarsa distinzione tra malati curabili e non; l’ordinata strutturazione in edifici isolati, per ogni grado o tipo di follia,(epilettici e suicidi, tranquilli, semiagitati, agiati furiosi e conclamati) collegati o no tra loro e con gli edifici amministrativi, tramite percorsi coperti; la presenza di una sala per osservazione e di un’infermeria per le malattie comuni e temporanee dei ricoverati; la prevalenza di dormitori su celle individuali; la presenza di ampi spazi a verde e di aree consistenti per coltivazioni agricole, destinate all’ergoterapia. Le varianti del tipo, a padiglioni riuniti, o distanziati ed a villaggio, risultarono tutt’altro che pedissequamente ripetitive di modelli stranieri: anche i pochi manicomi, in origine a sistema chiuso o a corridoio, vennero rapidamente riarticolati in padiglioni. “Da un punto di vista architettonico tale sistema distributivo concretizzava l’istanza meccanicista di massimo controllo, rispondendo alle esigenze di ordine che nell’Ottocento si erano tradotte anche nella pianificazione della città attraverso criteri di regolarità, ripetizione, gerarchia, isolamento, separazione, portando alla definizione di ambiti e strutture specialistiche quali caserme, macelli, scuole e, appunto, ospedali” 11.

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

1.3.2 Il sito, l’igiene e l’ambiente

Gli studiosi che si sono occupati di architettura manicomiale alla fine del Settecento fanno solo un rapido cenno alla posizione di strutture di ricovero degli alienati nello spazio urbano. Il più delle volte si tratta di un breve richiamo alla perifericità di tali complessi rispetto al cuore della città, quasi che la localizzazione a debita distanza o sul limite dell’abitato, talvolta dirimpetto alle mura e nei pressi di un’antica porta urbica, sia di per sé un carattere distintivo e perfino logico delle architetture della segregazione. La scarsa attenzione riservata al tema dei rapporti tra il manicomio e la città sembra il riflesso stesso della concezione totalizzante di un’istituzione asservita a un centro di autorità, impersonificato del medico direttore e rappresentato spazialmente dal suo alloggio. Da Esquirol in poi la rinuncia al contatto sociale si ripercosse sulle concezioni spaziali della cura degli alienati. Era il principio dell’isolamento del folle, in effetti, a dettare la scelta del sito e a imporre un confronto a distanza tra manicomio e città che, tanto nella precettistica dei medici quanto nella manualistica tecnica ad uso di ingegneri e architetti, finiva sempre per restare sullo sfondo, recitando un ruolo in apparenza marginale. Su quest’onda manicomi come quelli di Verona, il sant’Onofrio di Roma o quello di Udine, dominando la città ed il paesaggio da una posizione privilegiata, permettevano al malato di sentire ancora il contatto con il suo paese: “non è più la sequestrazione, il distacco completo dalla vita” 12. Il trattamento morale dell’alienato da parte dell’alienista era considerato tanto più efficace quanto più il luogo era isolato. Perfino nel caso di manicomi urbani era privilegiata la posizione appartata, rivolta verso la campagna, sul margine della città. E’ il caso di Torino, Piacenza, Bologna, Ferrara, Pesaro. La scelta del sito era dettata anche dall’ ampia disponibilità di terreni periferici edificabili privi di vincoli, che così bene si prestavano agli impianti spaziali ricercati. Si privilegiavano aree con una notevole disponibilità d’acqua di falda, con un’ampia superficie dove era possibile dividere comodamente i pazienti in base al tipo e all’entità della loro malattia, predisponendo appositi spazi per la ricreazione e il passeggio. Philippe Pinel auspicava nel suo trattato un’ampia superficie disponibile, poiché solo in questo caso i malati potevano sentirsi liberi di muoversi a proprio piacimento. L’illustre alienista francese non nascondeva tuttavia che si trattava di una pura illusione. Non certo per l’assenza di muri, recinzioni o di inferiate, ma proprio per la notevole estensione degli spazi aperti, in forza dei quali il manicomio finiva per essere nei fatti un insediamento dai limiti virtualmente invalicabili. L’estensione della superficie quindi, oltre che un mezzo per risolvere artificiosamente la dicotomia isolamento–libertà, era una delle condizioni prime nella scelta del sito già nelle teorizzazione dell‘inizio Ottocento. I criteri progettuali per la scelta di un sito da destinarsi alla realizzazione di un moderno ospizio di cura dei folli erano già chiari e largamente condivisi agli albori della scienza psichiatrica. Un’ esposizione delle stanze a sud, ampie corti, lunghe passeggiate fiancheggiate da alberi che diano tutta l’ombra che desideri in ogni luogo, vasti giardini, una natura varia e ricca e, naturalmente, superficie a sufficienza per distanziare i corpi

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

di fabbrica, facilitare l’innovamento dell’aria e procurare ai malati una maggiore quantità di luce: è tutto quanto si richiedeva a un sito perché fosse perfetto ma, soprattutto, è tutto ciò che la città non poteva offrire. E’ sempre nelle riflessioni di Pinel e, successivamente, in quelle del suo allievo prediletto Esquirol che la campagna diventa soprattutto il luogo di lavoro per gli alienati: “Sarà in un sito piacevole e in un luogo specificamente dedicato alla coltura delle piante che saranno sistemati gli oscuri malinconici” e continua affermando che “si tratta di riempire l’oggetto in tutta la sua estensione, aggiungendo ad ogni manicomio un vasto recinto o meglio trasformandolo in una specie di fattoria in cui i lavori agricoli sarebbero a carico dei convalescenti folli” 13.

1.3.3 Manicomi e crescita urbana

La scelta di un’area vasta 14, tuttavia, si rendeva necessaria anche in vista di futuri ampliamenti. Le tendenze in continua crescita dei ricoveri, già dei primi anni di esercizio degli istituti e la realizzazione della colonia orto-agricola, da farsi in una fase successiva a quella del primo insediamento, erano quasi sempre assunti dalle amministrazioni provinciali come dati di programma ineludibili. La prossimità ai principali assi viari e alle linee di collegamento su ferro con la città era una condizione che poteva orientare la scelta di un’area da destinare ad un nuovo manicomio. Altro requisito, nonostante scetticismi e riserve, era la prossimità ai luoghi di sepoltura e al centro urbano, come nel caso di Grugliasco a Torino. La vicinanza dell’ospedale psichiatrico alla città consentiva infatti un’ampia e adeguata offerta di alloggi per i familiari del personale medico e tecnico-amministrativo, mentre la vicinanza con il cimitero era accolta, con molto cinismo, come un vantaggio perché si riteneva potesse minimizzare le spese di trasporto per le salme dall’istituto al cimitero stesso. Una perfetta localizzazione quindi realizzava la convergenza di interessi di natura terapeutica, custodialistica, ricettiva, produttiva, economica e logistica. La concezione antiurbana del manicomio, tuttavia, ha aspetti contraddittori. Il progetto del moderno asilo per alienati assumeva, soprattutto negli impianti a padiglioni distanziati, asserviti ad un asse di servizi centrale, la forma di un piano urbanistico. Molti progetti di manicomi costruiti ex novo prefigurano infatti un processo edificatorio articolato in fasi diverse, cui corrispondono assetti e dotazioni altrettanto articolati. Gli impianti a padiglioni distanziati, per esempio, erano realizzati sulla base di un preventiva divisione del suolo in lotti, serviti da una rete elementare di infrastrutture, orientata secondo l’asse eliotermico e nel rispetto dei più elementari requisiti di salubrità dell’aria e di illuminazione degli ambienti. I padiglioni di degenza, singolarmente assegnati a ciascun lotto, erano realizzati per fasi successive, cominciando con quelli di pronto utilizzo e finendo con edifici di completamento, secondo una prassi consolidata nel processo di crescita delle

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città di nuova formazione. Le fasi di espansione urbana e le fasi di consolidamento e stratificazione del manicomio non furono sempre sincroniche. L’annessione di piazze, slarghi o strade pubbliche e residenze ai primitivi impianti, come accadde per esempio a Pesaro nell’ospedale San Benedetto, si realizzò con largo anticipo rispetto allo stesso processo di trasformazione e crescita della città. In altri casi invece i manicomi, costituitisi in origine come avamposti urbani al limite tra città e campagna, inaugurarono il processo di trasformazione urbana e territoriale. A Torino il primo ospedale dei Pazzerelli istituito nel 1828, da iniziale avamposto dell’espansione juvarriana, finì per essere inglobato nel tessuto edilizio di espansione, impedendo ulteriori ampliamenti. Stessa sorte, ma in un arco temporale maggiore, ebbe il manicomio Pietro Pisani di Palermo: fondato nel 1898 in un’area esterna alle mura occidentali della città, si trova oggi soffocato nel tessuto edilizio, investito da un forte aumento della densità edilizia e dalla distruzione del patrimonio storico esistente 15. I manicomi assunsero, fin dalla costituzione iniziale, una dimensione, una volumetria e un peso nella struttura urbanistica della città pari o perfino maggiore dei grandi edifici pubblici presenti all’interno del tessuto urbano, come il duomo o il palazzo municipale. Le caratteristiche formali e le dimensioni dei fronti variavano in funzione del tipo di affaccio sullo spazio pubblico. Ad esempio il San Benedetto di Pesaro esibisce un prospetto principale imponente, limitandosi invece a dimensioni più contenute dei corpi di profondità, con semplici aperture di facciata prive di cornici e membrature in aggetto, adottando un linguaggio assai prossimo a quello dell’edilizia minore. Al contrario il lessico scelto per i manicomi Torinesi arricchisce le facciate con timpani e lesene, in accordo con le nuove fabbriche civili erette nei quartieri di espansione juvarriani. In entrambi i casi, l’anonima caratterizzazione della destinazione manicomiale, scandalosa per gli abitanti delle case limitrofe, era una scelta deliberata, tesa a celare l’incomoda fabbrica nel tessuto residenziale. Nella generalità dei casi, gli ex ospedali psichiatrici sono stati e sono ancora delle presenze monumentali ben riconoscibili ed identificabili nel territorio. Assorbiti dalle prime espansioni periferiche otto-novecentesche, si sono via via trasformati in enclaves circondate o mimetizzate dal verde, irretite da una concezione fondata sul principio dell’esclusione. Negli anni sessanta, con l’apertura di un servizio ambulatoriale presso molti ospedali psichiatrici, si è tentato, forse per la prima volta, di aprire i manicomi all’esterno, favorendone gli iniziali contatti con l’ambiente sociale del contesto urbano e territoriale di pertinenza. Si è trattato di un primo significativo cambiamento nel rapporto tra manicomio, città e territorio, anche se ciò non è stato preceduto da analisi e valutazioni rigorose né, tantomeno, da interventi ad hoc. La storia delle diverse istituzioni psichiatriche della nostra nazione, con riferimento ai vent’anni che precedono l’uscita della legge 180, restituisce le stesse contraddizioni e gli stessi problemi delle città, al centro di una difficile contesa tra progetto politico e progetto edilizio. La frammentazione della proprietà, la fragilità del sistema dei trasporti pubblici, le possibilità speculative offerte dalla pianificazione urbanistica proprio in quello spazio della periferia, dove erano stati eretti i moderni complessi psichiatrici, sono solo alcuni dei tratti più evidenti di quella debolezza culturale e politica di molte amministrazioni locali, che non ha consentito grandi interventi di respiro strategico. E’ venuta anche a mancare proprio in quegli anni una riflessione più

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

generale circa le interferenze ed i condizionamenti reciproci tra tessuto urbano e ospedale psichiatrico, il sistema dei percorsi da e verso il manicomio, il ruolo ed il significato degli spazi liberi limitrofi, come piazze, giardini, parchi, slarghi, aree libere incolte ed aree coltivate. Si è così offuscata la memoria del ruolo e del significato che quei complessi hanno avuto nella storia urbana. Con l’approvazione della legge Basaglia i complessi psichiatrici si sono avviati ad una lunga fase di abbandono che, per quelli già in condizioni fatiscenti, si è trasformata in una vera e propria agonia. L’effetto di degrado che la loro immagine produce, ne compromette la polarità e l’integrazione nel contesto funzionale e sociale della città. Raggiunti dalle direttrici di crescita urbana e assorbiti nei tessuti edilizi di espansione, gli ex manicomi hanno tuttavia finito per trasformarsi in episodi conclusivi di una o più sequenze di edifici pubblici rappresentativi. Trattandosi di spazi architettonici ed urbani fatti di misurate corrispondenze, di traguardi visivi di fondali prospettici, di quinte orizzontali e verticali diversamente caratterizzate, talvolta in posizione appartata, in altri casi all’interno del corpo vivo della città storica, sono oggi messi in crisi da una mobilità che non ne favorisce il godimento. Nell’insieme possono però costituire dei raggruppamenti architettonicamente qualificati e solenni che la città può eleggere a sistemi di assoluto valore storico-ambientale. L’interdipendenza tra città storica trasformatasi in polo di servizi e territorio di pertinenza, la numerosa popolazione studentesca, che in molti casi costituisce una città nella città, il ruolo e la presenza del turismo nelle città d’arte, possono oggi suggerire nuove strategie di tutela e valorizzazione dei complessi psichiatrici dismessi.

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1.4 CASI STUDIO DI RIQUALIFICAZIONE

O.P. PAOLO PINI (AFFORI,MILANO 1990) Ospedale psichiatrico (Destinazione d’uso attuale: Centro di assistenza sociosanitaria e Ospedale psichiatrico provinciale polo culturale e artistico/ Posizione: Margine della città/ Dimensioni intervento: 300.000 m2/ Attori coinvolti: Pubblico e privato) Sorto alle porte della città di Milano, l’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini nacque nel 1943 come succursale del manicomio di Mombello con l’obiettivo di sfollare l’Antonini e indirizzare nel nuovo plesso i casi più urgenti. Da struttura contenitiva isolata nella cintura della città, l’ospedale è stato inglobato nell’espansione del capoluogo lombardo e si configura tutt’oggi come una cittadella nella città, caratterizzata da imponenti mura di cinta e folta vegetazione. In seguito alla sua dismissione, la Regione Lombardia ha approvato il programma di riconversione dell’ex struttura manicomiale, completatosi nel 1990, per rendere l’ex O.P. Paolo Pini una cittadella psichiatrica aperta, ospitante numerose attività che spaziano da servizi ospedalieri e sociosanitari a spazi museali e culturali, da strutture di ristorazione e di foresteria a strutture scolastiche e ludiche. Nonostante tale intervento di riqualificazione il verde in cui sono immersi i padiglioni risulta poco valorizzato e l’area è di difficile, se non impossibile, attraversamento. Ciò è principalmente dovuto alla difficile convivenza delle proprietà presenti e alla loro mal organizzata gestione degli spazi collettivi. Nonostante la sua apertura funzionale nei confronti del quartiere limitrofo infatti l’area è frammentata al suo interno da recinzioni che delimitano le proprietà.

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O.P. SAN GIOVANNI (TRIESTE, ITALIA, 2008) Ospedale Psichiatrico (Destinazione d’uso attuale: Polo universitario, sociosanitario e centro culturale/ Posizione: Centro città/ Dimensioni intervento: 220.000 m2/ Attori coinvolti: Pubblico e privato) Il comprensorio dell’ex Ospedale Psichiatrico San Giovanni di Trieste ha un’estensione di circa 22 ettari ed ospita al suo interno quaranta padiglioni immersi nel verde. Una rete viaria interna, sia pedonale che veicolare, attraversando interamente il parco, permette un buona interazione dell’area con il contesto, rendendo il complesso parte integrante del tessuto urbano, nonostante siano state conservate le mura di recinzione. Luogo dove nacque la rivoluzione di Basaglia, il manicomio, in seguito alla sua chiusura con la legge 180, ha visto il recupero funzionale e la ristrutturazione della maggior parte degli edifici che lo compongono. Oggi ospita una sede dell’Università di Trieste composta da otto palazzine, importanti attività sociali ed assistenziali, un bar, un ristorante ed un teatro, il tutto immerso nel grande parco con orti botanici e roseti. Simbolo di innovazione e cambiamento il parco e il comprensorio sono un giardino aperto e ospitano numerosi eventi come la mostra mercato di piante e arredi per il giardino, esposizioni artistiche, presentazioni di libri, conferenze e altri eventi sul tema del verde.

O.P. DELL’OSSERVANZA (IMOLA, ITALIA, 2011) Ospedale Psichiatrico Gae Aulenti Architetti Associati (Destinazione d’uso attuale: Polo universitario, culturale e residenziale/ Posizione: Centro città/ Dimensioni intervento: 114.000 m2/ Attori coinvolti: Pubblico e privato/ Costo dell’intervento 15.000.000 euro)

A sinistra: Ex-Ospedale psichiatrico Paolo Pini a Milano, ora sede di Olinda, cooperativa sociale di recupero. Sopra: a Trieste l’area del manicomio in cui operò Basaglia è ora un parco pubblico all’interno del quale trova spazio una sede distaccata dell’Università di Trieste.

Il complesso manicomiale comprendeva una dozzina di padiglioni di inizio Novecento ed una colonia agricola immersi nel verde di un parco secolare. Il Programma di riqualificazione urbana si è concentrato su tre principali interventi: il recupero degli edifici storici nei quali sono state inserite attività di rilevanza pubblica, di sostegno ed innovazione per le imprese ed un polo universitario; il progetto di restauro e manutenzione del parco, seguito dalla facoltà di agraria dell’Università di Bologna, che oltre agli interventi sul verde, ha previsto la realizzazione di nuovi sottoservizi, arredi urbani, percorsi ciclabili e pedonali, e lo studio di un’illuminazione pubblica strategica; ed infine nuovi insediamenti residenziali, un teatro e attività terziarie con opere di urbanizzazione e nuovi parcheggi interrati. A livello di inserimento nel contesto, una vasta piazza commerciale e percorsi ciclopedonali che attraversano il parco hanno permesso una ben riuscita ricucitura dell’area dell’ex manicomio con il confinante centro storico di Imola.

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

SANT’AGOSTINO (MODENA, ITALIA) Ospedale Gae Aulenti Architetti Associati (Destinazione d’uso attuale: Centro culturale - progetto/ Posizione: Centro città/ Dimensioni intervento: 23.000 m2/ Attori coinvolti: Pubblico e privato/ Importo previsto: 36.400.000 euro (architettura) e 6.150.000 euro (arredamento)) L’intervento previsto per l’ospedale Sant’Agostino di Modena consiste nella trasformazione della struttura settecentesca rimasta in funzione fino al 2004 in un grande polo culturale di 23.000 m2; la fine dei lavori, iniziati nel 2009, è prevista per il 2017. Obiettivo del progetto è la conservazione, il restauro e la trasformazione, con nuovi inserti architettonici, di una parte importante del centro storico di Modena che potrà così essere restituita alla città. L’intervento garantirà l’adeguamento tecnico e normativo, il consolidamento statico, il recupero delle aree esterne e la realizzazione di un complesso che prevede un polo bibliotecario, un polo espositivo, un centro per la fotografia e l’immagine, un centro linguistico e per l’internazionalizzazione, un auditorium di 180 posti, oltre ad attività commerciali, bar, ristoranti, spazi all’aperto e locali adibiti a foresteria. Il progetto prevede inoltre la realizzazione di una piazza coperta, futuro atrio del complesso e la costruzione di due slanciate torri meccanizzate, dove troveranno posto gli oltre 800 mila volumi di due importanti biblioteche modenesi. Attraverso le vetrate delle due “lame” sarà visibile il meccanismo robotizzato che trasporterà i libri dall’archivio delle torri alle sale di lettura adiacenti.

ZONNESTRAAL (HILVERSUM, OLANDA, 2000) Sanatorio Wessel De Jonge, Hubert-Jan Henket (Destinazione d’uso attuale: Centro ospedaliero policlinico privato/ Posizione: Isolato, immerso nel verde/ Dimensioni intervento: 1.200.000 m2/ Attori coinvolti: Privato) Straordinario episodio del funzionalismo olandese, opera di Johannes Duiker, il sanatorio di Sonnestraal (1925) è l’esito di una rigorosa interpretazione architettonica delle richieste della ANDB, associazione danese dei lavoratori di diamante. Nato dalla stretta collaborazione tra l’architetto ed una commissione medica, il sanatorio prevedeva un corpo centrale a servizi, padiglioni indipendenti per elioterapia e degenza dei lavoratori, spazi per il graduale reinserimento dei malati nell’attività produttiva e per favorire una corretta vita di società anche un albergo, una scuola e gli alloggi del personale. Caduto in disuso per l’introduzione delle moderne cure farmacologiche, è stato progressivamente deturpato dai successivi usi della struttura, fino al totale abbandono degli anni ’80. A seguito di un restauro filologico condotto da Wessel De Jonge il complesso è stato adattato a policlinico privato ed ospita una clinica per l’obesità, una clinica dentaria, una clinica chirurgica, una struttura geriatrica ed un centro congressi con ristorante, il tutto immerso in 12 ettari di verde.

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1. EX-OSPEDALI PSICHIATRICI: UN PATRIMONIO ARCHITETTONICO DA SFRUTTARE

Riqualificazione dell’Ex-Ospedale psichiatrico Sant’Agostino di Modena 19


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2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

Avendo intercettato la valenza storica e urbanistica attribuita al sistema manicomiale italiano e all’area dell’ex Antonini di Limbiate, abbiamo intervistato il sig. Maurizio Munda, cittadino limbiatese e professore in uno dei due istituti scolastici dell’area, che da alcuni anni sta portando avanti delle proposte di spazi per l’assistenza ai malati psichiatrici dopo la legge 180.

“ Limbiate - Malati psichici: «Una riforma fatta in casa», raccolte 1800 firme ” di Gabriele Bassani da Il Giorno, 9 luglio 2006

LIMBIATE — Mentre da anni in Parlamento si rincorrono proposte di riforma e di integrazione alla celeberrima «Legge Basaglia», la 180 del 1978, quella che per la mentalità comune ha semplicemente «aperto i manicomi», c’è chi, incapace di sopportare ancora la sostanziale indifferenza delle istituzioni verso i disabili psichici e le loro famiglie, ha deciso di muoversi in prima persona per far partire dal basso ciò che di norma dovrebbe partire dall’alto. È la storia di Maurizio Munda, limbiatese di 49 anni, laureato in Giurisprudenza e docente di discipline giuridico economiche in un istituto tecnico. Tre anni fa si è messo al lavoro per elaborare una serie di indicazioni che potrebbero sfociare in una nuova legge per la cura e la tutela dei malati di mente e per andare incontro, finalmente, al dramma vissuto da migliaia di famiglie. Lo ha fatto partendo dalla sua esperienza personale: da quando è nato vive, con la madre, e fino a quattro anni fa con il padre, accanto al fratello maggiore, che oggi ha 53 anni e da 52 è affetto da una grave malattia psichica. Quelle del professor Munda sono proposte sulle quali ha raccolto 1.800 firme di suoi 21


2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

concittadini, amici e conoscenti in meno di tre settimane. Ha confezionato il plico e l’ha spedito al presidente della Camera dei Deputati, Pierferdinando Casini. La sua petizione è stata letta durante il dibattito in aula alla Camera nella seduta del 3 marzo 2005 e dal 7 marzo è entrata a far parte degli atti ufficiali della XII Commissione permanente della Camera, quella dedicata agli «Affari sociali». Ma Munda non si è fermato qui: ha elaborato altre proposte di principio destinate all’Unione Europea, con l’obiettivo di ottenere un riconoscimento di diritti uniforme in tutti i paesi europei per i malati di mente, ha tradotto i documenti in francese e in inglese e li ha spediti a Bruxelles. « Il mio - spiega Munga - è un lavoro umanitario, nato dall’esperienza diretta, con l’obiettivo di dare voce a chi non può chiedere aiuto e per dire basta alla sofferenza. Io non sono un tecnico, non sono uno specialista e non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno. I politici, gli esperti della psichiatria e della psicologia, le associazioni di volontariato non si devono sentire scavalcati ma chiedo che ascoltino chi vive in prima persona gravissimi drammi umani, perché solo chi vive certe esperienze sulla propria pelle può capire ». L’idea guida di Munda è quella di « andare oltre la legge 180. È stata una legge importante ma non ha avuto un seguito, è rimasta incompiuta, oggi bisogna andare avanti, pensare a nuovi strumenti, nuovi servizi per dare risposte concrete ai problemi dei disabili psichici totali e permanenti al 100% e alle loro famiglie ». Nel concreto, le proposte del professor Munda, che sono molto articolate, riguardano sette aree di intervento: famiglia, assistenza medica, tutela legale, tutela giudiziaria, tutela economico-previdenziale e garanzie legilastive ed esecutive. Per le famiglie si chiedono trattamenti economici più adeguati ma non certo fini a se stessi: « Prevederei la possibilità per le famiglie di scegliere tra i contributi economici diretti e il pagamento della retta per case di riposo e strutture protette, fermi restando i diritti alle indennità di invalidità e l’accompagnamento che devono essere esenti da ogni imposizione fiscale. Sul fronte delle cure bisogna stabilire diversi livelli di gravità del disagio 22


2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

mentale e di conseguenza diversi livelli di trattamento, da quello domiciliare, all’inserimento sociale nella scuola o nel lavoro fino al ricovero definitivo in mini comunità-alloggio per patologie gravi e irreversibili ». Spunti di riflessione, idee che possono aiutare, chi ne ha il dovere, a dare risposte efficace a problemi rimasti irrisolti da troppo tempo. « Una vita difficile fra enormi sacrifici e tanto amore » LIMBIATE — « Vivere con un malato psichico grave significa di fatto rinunciare alla propria libertà. Non c’è differenza tra il giorno feriale e la domenica, come non c’è tra il giorno e la notte: lui ha bisogno e tu devi esserci, sempre. La mia famiglia ha fatto sacrifici enormi per fare una cosa in fondo, semplicissima: far sentire mio fratello una persona, uno di noi ». Quando racconta queste cose Maurizio Munda per un attimo cede all’emozione, si commuove e poi subito si scusa, come se ci fosse qualcosa di cui scusarsi. « Ho iniziato questo lavoro e lo sto portando avanti pensando ad una frase che mi ripete sempre mio fratello: “e io ?” Dietro questa frase c’è tutto. Mi sembra di sentire queste persone che vogliono dirci questo: “Non posso esprimere il mio pensiero come voi, ma comunico, ho i miei sentimenti, le mie esigenze. La mia famiglia deve aiutarmi ma, a sua volta, deve essere aiutata dallo Stato. Le istituzioni recepiscano la mia richiesta di aiuto ». Da qui nasce l’esperienza unica del professor Munda, che fino ad oggi ha voluto tenere la sua vicenda personale al di fuori del suo lavoro e del suo impegno anche nel volontariato, che pure non manca. « Il coraggio di propormi direttamente alle più alte istituzioni mi è venuto proprio pensando che la mia storia è uguale a quella di tanti altri altri che vivono un’esperienza analoga e che hanno diritto a delle risposte concrete ». La legge 180, che Munda non critica, ha però un difetto grave: è vecchia. Sono passati 27 anni e da allora i passi compiuti sono stati veramente pochi e il sostegno concreto alle famiglie assai limitato se si arriva a poter dire ancora oggi che «siamo sostanzialmente soli». « Io ho i piedi per terra e non mi illudo, sono un comune 23


2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

mortale, so che la strada è molto lunga e piena di ostacoli, ma intanto muovo i primi passi », dice Munda. Al Parlamento europeo ha chiesto di varare al più presto una carta dei diritti per i malati di mente, che sia unica e comune a tutti gli Stati membri, ha proposto anche un logo per definire gli interventi che vanno in direzione di questa categoria: c’è un uomo che indica le 25 stelle dei Paesi dell’Unione, disposte non a cerchio ma a formare un cuore. Per dare risposta alla stessa domanda, tradotta in inglese e in francese: «And I?», «Et moi?». E io?

Lo psichiatra Gianluca Camozzi: « Le famiglie vivono un dramma ». Abolire i manicomi non è stata la soluzione LIMBIATE — « I manicomi sono stati inventati a fine Settecento, è indubbio che fossero da migliorare, da aggiornare e da riformare ma io non sono per niente convinto, al contrario della stragrande maggioranza degli psichiatri italiani, che abolirli sia stata la soluzione migliore del mondo. Anche perché siamo l’unico Paese in Europa che ha abolito i manicomi ». A parlare è il dottor Gianluca Camozzi, dirigente medico dell’Istituto Corberi di Limbiate, Centro di studi e ospedale riabilitativo per patologie neuropsichiatriche e ritardo mentale grave, una delle pochissime strutture in Italia di questo genere. « Occorre ragionare su un doppio livello: ci sono casi recuperabili per cui è giusto provare strade alternative e ci sono casi gravissimi e irreversibili per cui dei centri di cura, cioè un modo nuovo di pensare ai vecchi manicomi, credo che sia ancora una soluzione valida. Il vero dramma è quando la scienza deve scontrarsi con l’ideologia. Non si possono affrontare questioni mediche e scienfitiche partendo da preconcetti ideologici. Pochi sanno che la legge 180 attende ancora oggi, dopo 27 anni, un regolamento attuativo: c’è un vuoto da colmare. Oggi le famiglie dei malati psichici vivono un dramma, aggravato dalle difficoltà che hanno nell’esporsi e nel condividere la loro situazione ».

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2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

“ Recupero in vista coi fondi della Regione “ di Gabriele Bassani da il Giorno del 24/08

LIMBIATE — Potrebbe essere questione di mesi per veder tornare all’interno dell’ex ospedale Antonini i malati psichici colpiti da provvedimenti restrittivi: è di maggio la delibera della Regione che individua in quest’area la localizzazione di due strutture di accoglienza da 20 posti ciascuna, in sostituzione dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, destinato a chiudere entro il 31 marzo 2014. I padiglioni individuati sono il Ronzoni e il Forlanini, per la cui ristrutturazione sono stati stanziati 5.625.157 euro. Potrebbe essere il primo passo verso il recupero del grande patrimonio oggi ancora suddiviso tra tre proprietà: la Provincia di Monza e Brianza, che lo ha ereditato dalla Provincia di Milano, l’Asl di Monza e l’Azienda ospedaliera Salvini di Garbagnate. All’interno del grande parco di Mombello è attivo l’Istituto agrario Luigi Castiglioni, in attesa dell’ultimazione della nuova sede che consentirà di liberare Villa Crivelli Pusterla, così come sono attive le serre, il magazzino e gli uffici della cooperativa «I sommozzatori della terra» e, sul lato opposto, il centro diurno per anziani Karol Wojtyla del Comune di Limbiate. Ma gli immobili liberi non mancano così come il patrimonio verde. Negli anni non sono mancati gli appelli al recupero, seguendo la vocazione dell’assistenza ai malati psichici, come più volte richiamato da Maurizio Munda, docente limbiatese promotore di raccolte firme e appelli. O come quello di Luisella Brugnatelli, figlia e nipote di funzionari della struttura, che qui ha concluso tre anni fa la sua carriera lavorativa, come dirigente. « Fatene quel che volete ma non fatelo morire nel degrado. Tremo all’idea che quell’area venga lasciata al totale abbandono, che vada perduto quell’immenso patrimonio, un’esperienza unica: in nessun altro luogo è stata data nel corso degli anni l’assistenza ai malati psichici che è stata data qui ».

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2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

“ Limbiate - Munda: ora il centro per malati psichici ” di Gabriele Bassani da Il Giorno, 2 ottobre 2015

LIMBIATE — « Solo chi vive sulla propria pelle può capire, servono risposte mirate e aiuto alle famiglie”. La testimonianza di Maurizio Munda, per anni ha accudito il fratello con disagio mentale ». « Continuerò a combattere nel ricordo di mio fratello, al quale ho donato tutta la vita per assisterlo ». È una promessa forte quella di Maurizio Munda, il docente limbiatese che da anni si batte per i diritti dei malati psichici, sulla scorta della sua esperienza personale, accanto al fratello Fulvio, morto qualche giorno fa a 60 anni, dopo averne trascorsi 59 con la brutta compagnia di una grave malattia psichica, sempre assistito dalla famiglia. « Caro fratello, mi hai insegnato il significato della vita. Grazie a te, ho imparato ad occuparmi del prossimo, di chi ha bisogno », scrive Maurizio Munda annunciando l’intenzione di non rinunciare all’impegno in favore dei malati di mente e delle loro famiglie, oggi spesso lasciate sole ad affrontare problemi enormi. « Assistenza continua 24 ore su 24, rinunce, sacrifici, dedizione totale, non esisteva la differenza tra il giorno e la notte, tra il festivo e il feriale, tra le stagioni... tutto uguale », ricorda Munda. Sono anni che l’insegnante limbiatese scrive e invia documentazione alle più importanti istituzioni nazionali e anche europee, per chiedere che si faccia qualcosa di concreto per dare finalmente piena attuazione alla Legge Basaglia del 1978, che certo non si limitava a « chiudere i manicomi », ma prevedeva e prevede una serie di servizi ed impegni alternativi ad oggi in gran parte disattesi. A sostegno di Munda ci sono moltissime famiglie di malati di mente di tutta Italia ma, a livello locale, sul progetto di recuperare l’ex Ospedale Antonini di Mombello e destinarlo a centro per la salute mentale, ci sono anche 470 firme 26


2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

di limbiatesi, protocollate in Comune. « È paradossale e allarmante - dice Munda - il ritardo nel rispettare la normativa sulle ex aree in cui sorgevano i manicomi: la legge afferma che la tutela della salute mentale ha la precedenza nell’uso dei beni mobili e immobili degli ex ospedali psichiatrici già assegnati o da destinare alle aziende sanitarie locali, ma è sorprendente anche il disinteresse che circonda questo tema, che riguarda migliaia di famiglie in Italia ». Munda porta testimonianze, storie, prove documentate che i disabili psichici e le loro famiglie sono stati abbandonati. Il professore limbiatese ha posto in essere quello che lui stesso definisce « un cantiere aperto, democratico, trasparente con lo scopo di sollecitare le istituzioni a considerare e a prendere seria posizione sulla salute mentale e di sensibilizzare l’opinione pubblica ». « I cittadini che hanno firmato - conclude Munda - hanno evidenziato una nobile sensibilità e vicinanza a chi soffre di disagio psichico e alle loro famiglie e per questo li ringrazio, ora attendo il segnale della politica ». È da una decina di anni che il professor Munda si è messo al lavoro per elaborare una serie di indicazioni che potrebbero sfociare in una nuova legge per la cura e la tutela dei malati di mente e andare incontro al dramma vissuto dalle loro famiglie. Un impegno che parte dalla sua esperienza personale: suo fratello maggiore, deceduto recentemente, fin da piccolissimo soffriva di una grave malattia psichica. Nel concreto, le proposte del professor Munda riguardano sette aree di intervento: famiglia, assistenza medica, tutela legale, tutela giudiziaria, tutela economico-previdenziale e garanzie legislative ed esecutive. Queste proposte, insieme alle firme raccolte dal professore, sono state spedite alla Camera dei Deputati, mentre altre sono state sottoposte all’Unione Europea, con l’obiettivo di ottenere un riconoscimento di diritti uniforme in tutti i paesi europei per i malati di mente, ha tradotto i documenti in francese e in inglese e li ha spediti a Bruxelles. 27


2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

Munda ha ricevuto una nuova lettera di ringraziamento dal Parlamento Europeo, che indica il suo progetto di legge come “contributo costruttivo” in vista della prossima elaborazione della Carta verde dei diritti dei disabili psichici. « Le Onorificenze sono importanti, ma più importante è continuare il mio impegno sociale al fine di dare il mio modesto contributo a chi soffre. Il mio DNA mi spinge sempre in favore degli ultimi ».

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2. PROBLEMATICHE SOCIALI DELLA LEGGE BASAGLIA

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

3.1 PERCHÉ UN OSPEDALE DI TRAUMATOLOGIA DELLO SPORT?

Lo sport è diventato ormai componente effettiva della vita di una grande percentuale di uomini e donne di qualunque età: la pratica delle più diverse discipline porta con sé anche la possibilità da parte degli atleti di incorrere in eventi patologici, sia acuti sia da sovraccarico. La medicina traumatologica è suddivisa secondo i diversi distretti corporei (colonna vertebrale; spalla; gomito; polso e mano; bacino, anca e coscia; ginocchio, gamba, caviglia e piede), esaminando di ognuno la patologia specifica da sport, il meccanismo eziopatogenetico proprio delle varie specialità sportive, la diagnosi immediata sul campo e la diagnosi strumentale da effettuare in fase di ricovero, la terapia istantanea e definitiva, la riabilitazione e i criteri di ripresa dell’attività sportiva. La traumatologia sportiva ha un ruolo preminente nella medicina dello sport e diversi sono gli studi e le ricerche che si occupano di questa disciplina medica. Le recenti acquisizioni confermano la necessità di considerare l’atleta infortunato diversamente da come viene considerato il paziente normale. Tuttavia il trattamento della lesione “sportiva” è diverso, infatti gestire un atleta comporta problematiche diverse; lo sportivo chiede il tipo di lesione di cui è affetto, la causa che lo ha determinato, i tempi di guarigione e di ripresa della attività sportiva, la possibilità di tornare alle capacità agonistiche precedenti il trauma, la possibilità di una recidiva, in sintesi chiede al medico un completo recupero funzionale in tempi più brevi possibili; il paziente non sportivo invece in genere chiede la guarigione della lesione indipendentemente dalla metodica terapeutica e dai tempi richiesti. La conoscenza delle ricerche sulla prevenzione della traumatologia sportiva è molto importante, esistono studi sulle scarpe da calcio in relazione alla prevenzione di infortuni del ginocchio e caviglia, sui meccanismi lesivi della colonna vertebrale nei giocatori di football americano, sull’uso del casco e della visiere protettive negli sport motoristici, sull’importanza degli attrezzi nella prevenzione delle lesioni traumatiche nello sci. Importante è comunque anche l’esperienza nel trattamento delle lesioni più frequenti nella pratica sportiva quali: le distorsioni di caviglia e ginocchio con o senza lesioni legamentose, le tendiniti, i disturbi degli appoggi, le rachialgia. In ultimo ma non meno inportante deve essere la conoscenza da parte del traumatologo sportivo dei protocolli riabilitativi e delle metodiche fisiatriche atte al veloce recupero dell’atleta infortunato.

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

3.2 IL MODELLO U.S.A.

Le politiche sociali statunitensi hanno da sempre favorito qualsiasi tipo di attività sportiva, quale allenamento alla competizione. Non desta dunque stupore il numero di cliniche di traumatologia dello sport disseminate su tutto il territorio americano, spesso e volentieri in prossimità delle strutture sportive dei college liceali e universitari. Il modello tipologico a cui fanno riferimento tali strutture presenta il campo di allenamento come centralità del sistema, a cui si vanno ad aggregare gli spazi della clinica traumatologica, della fisioterapia, un laboratorio di biomeccanica e infine spazi ristoro e commerciali. Analizzando il NY Hospital for Special Surgery si può notare come ogni livello dell’edificio sia destinato a una precisa area di intervento (spalla&gomitomano-anca&colonna vertebrale-piede), ponendo le sale operatorie come spazio di destinazione comune. La ragione per cui tale modello tipologico risulterebbe “rivoluzionario” in Italia non è dovuto alla mancanza di cliniche per operazioni ortopediche, centri di riabilitazione o laboratori di biomeccanica, quanto l’assenza sul territorio italiano di un centro che condensi tutte queste funzioni nel medesimo sistema, a distanza ridotta se non inesistente una dall’altra. Vengono di seguito considerati gli esempi dell’ospedale di traumatologia della Loyola University of Chicago, ente per cui il dr. Porcellini collabora nella sede distaccata di Roma, che associa alla pratica medica la ricerca universitaria, e il centro Isokinetic, con sedi a Londra, Bologna e in altre città della penisola.

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

3.2.1 The Loyola Medicine Health Center

The Loyola Medicine Health Center 16 offre servizi di supporto e risorse per chiunque si stia riprendendo da un infortunio, attraverso la riabilitazione post-intervento chirurgico e il recupero. Gli specialisti ortopedici della Loyola forniscono assistenza avanzata in state-of-the-art, con una rete di servizi di supporto, tra cui infermieri consapevoli e specialisti della riabilitazione, fisioterapisti, terapisti occupazionali, assistenti sociali ed esperti di controllo del dolore. I programmi di sostegno ortopedico al Loyola Medicine includono: - La terapia acquatica: con una terapia acquatica ambulatoriale, la galleggiabilità, la resistenza all’acqua aiuta a ritrovare la forza e le possibilità di movimento compromesse da una serie di condizioni muscoloscheletriche. In piscina si è in grado di camminare e correre senza dover sopportare tutto il peso proprio, consentendo di avviare la pre-riabilitazione. Gli esercizi in piscina sono anche più facili per le articolazioni e consentono diversi livelli di resistenza. - La terapia occupazionale: la squadra di terapisti certificati fornisce servizi di valutazione e terapia focalizzata sui compiti e movimenti associati alla vita quotidiana. Prendiamo un approccio multidisciplinare per fornire terapia ambulatoriale occupazionale e vi aiuta a ritrovare indipendenza nei movimenti. Inoltre vengono offerti servizi per gli adulti che cercano di tornare sul posto di lavoro dopo un incidente o lesioni. - Servizi di chirurgia plastica e ricostruttiva: I chirurghi plastici eseguono operazioni di chirurgia ricostruttiva per correggere problemi congeniti e aiutare i pazienti che hanno subito lesioni traumatiche. - Servizi di riabilitazione: Loyola offre una gamma completa di servizi di riabilitazione ortopedica per i pazienti che stanno recuperando da un infortunio o un intervento chirurgico. - Sport prevenzione e prestazioni lesioni: Loyola è leader nella promozione di gioco sicuro nella zona di Chicago ed educare atleti, allenatori, formatori e comunità e gruppi scolastici. In proiezioni faccia a faccia, usufruiscono della tecnologia motion state-of-the-art per analizzare i lanci o i movimenti che costituiscono la meccanica di un atleta. Conducono programmi di prevenzione per le scuole superiori e le squadre collegiali nella zona. Loyola lavora anche con i corridori, ballerini, giocatori di golf e atleti lancio in testa, come giocatori di baseball e basket.

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

- Riabilitazione sportiva: team di riabilitazione sportiva forniscono servizi di terapia su misura per gli atleti. Se si ha avuto un infortunio, lavorano per tornare all’attività sportiva in modo rapido e sicuro. Offrono trattamenti di terapia assistita come strumento per aiutare nella mobilitazione dei tessuti molli.

Gli specialisti ortopedici a Loyola Medicina forniscono riabilitazione sportiva per gli atleti e le persone attive. Loyola adotta un approccio integrato alla cura, che riunisce fisiatri, infermieri, terapisti fisici e occupazionali, gli specialisti per la cura della colonna vertebrale, specialisti di gestione del dolore e nutrizionisti. La squadra di riabilitazione sportiva svilupperà un programma di terapia su misura per aiutare a tornare al vostro sport il più presto possibile. Sono impegnati a fornire il trattamento più avanzato per i pazienti con lesioni atletiche e offre i seguenti programmi specializzati per il beneficio dei pazienti: - Programma atleta Overhand : Loyola aiuta i giocatori di tennis, baseball e pallavolo nella prevenzione e recupero da una serie di infortuni. Con una nuova tecnologia con sensori 3D, Loyola fornisce analisi per valutare il movimento di un giocatore. I giocatori ricevono una terapia continuativa per aiutare lo sportivo a sviluppare la forma migliore e gli strumenti meccanici per prevenire gli infortuni e proteggere il braccio, così come viene guarito da un intervento chirurgico. - Programma di Medicina per concussioni sportive: gli esperti in concussioni del centro Loyola aiutano gli atleti a tutti i livelli di attività nel recupero da traumi. Forniscono assistenza collaborativa tra neurologi, neuropsicologi, preparatori atletici e fisioterapisti per creare un piano di gestione personalizzato permettendo di tornare all’attività sportiva in modo sicuro.

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

3.2.2 Isokinetic Fifa Medical Centre of Excellence

Isokinetic Fifa Medical Centre of Excellence 17 è un gruppo medico di riferimento internazionale nel settore della riabilitazione ortopedica e sportiva. Il gruppo medico, che pone al centro della sua attività un intenso lavoro di ricerca e aggiornamento, segue oltre diecimila pazienti all’anno e si basa sul lavoro di squadra di oltre cento persone fra medici e rieducatori. L’autorevolezza e la forza dell’innovazione si ritrova nella scelta strategica di aver posto al centro del sistema Isokinetic il proprio “Centro Studi Isokinetic”. È costituito da un complesso di palestre, ambulatori, campi sportivi coperti e scoperti, una piscina riabilitativa con altezza variabile ed acqua calda e altre vasche per idromassaggio per una estensione di quasi 2000 mq. Una prestigiosa ed elegante reception con relativa sala d’aspetto accoglie il paziente in questo centro all’avanguardia.

RIABILITAZIONE IN PALESTRA La palestra rappresenta lo spazio riabilitativo per eccellenza dove avviene mediamente il 60% delle sedute e dove si utilizzano le terapie fisiche, le terapie manuali e gli esercizi specifici delle prime fasi. Nel centro si trova un ampia palestra in cui, in base agli esercizi prescritti dal medico gestore e seguendo le indicazioni dei rieducatori competenti, si trascorre gran parte del percorso in Isokinetic. Si svolgono esercizi riabilitativi in luminosi open-space, provvisti di ogni tipo di attrezzatura utile al massimo recupero funzionale possibile. Sono due le palestre presenti all’Isokinetic Bologna. Ogni palestra ha un suo team di rieducatori e una serie di macchinari TechnoGym per gli esercizi fisici.

Riabilitazione in piscina L’acqua dà a tutti i pazienti numerosi benefici, primo tra tutti quello di recuperare precocemente le attività funzionali, evitando che il peso del corpo gravi sulle articolazioni infortunate. In caso di intervento chirurgico il paziente inizia la riabilitazione in piscina, che copre circa il 20% delle sedute solo dopo la desutura. I vantaggi dell’acqua sono dati dalla possibilità di lavorare in assenza di gravità che permette di recuperare precocemente lo schema del passo, l’articolarità e la flessibilità dell’arto. Isokinetic Bologna è dotata di una piscina 18,5 metri x 7,60 metri. La profondità varia dal primo tratto di

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

ingresso in vasca dove l’acqua è profonda 1 metro e 05 centimetri fino all’ultimo tratto profondo 1 metro e 95 centimetri. Si passa dalla zona meno profonda a quella maggiormente profonda attraverso dolci pendenze e non con improvvisi gradini. La temperatura della vasca grande si aggira intorno ai 32 gradi. La temperatura dell’aria esterna invece è di circa 28 gradi. È presente anche una vasca idromassaggio di 4 x 3 metri. La temperatura dell’acqua al suo interno è decisamente più alta ed è dotata di un rialzo sul lato interno che consente al paziente di sedersi o sdraiarsi. Entrambe le vasche sono dotate di scala di accesso in muratura e corrimano laterale per agevolare la discesa e la salita del paziente. Esiste inoltre una piccola terza vasca 1 x 4 metri con acqua bassa e con fondo irregolare, che viene utilizzata come percorso propriocettivo. Gli ambienti in cui sono inserite le nostre piscine e le calde temperature dell’acqua, aiutano nel rilassamento completo e ad affidarsi alle cure del rieducatore.

Riabilitazione sul campo La possibilità di accedere alla riabilitazione in campo rappresenta l’arrivo al traguardo, la fine prossima del percorso verso la guarigione. I campi (all’aperto o al chiuso) non sono semplici campi da calcio ma luoghi aperti, grandi e profondi, che permettono a chiunque il recupero delle attività fisiche, dalle più semplici e quotidiane agli specifici atti sportivi. Isokinetic Bologna è dotata di tre impianti: uno da calcetto in erba sintetica coperto e uno all’aperto nonché un campo da calcio con fondo naturale. Anche l’attività sul campo è seguita dai rieducatori competenti e tutti i pazienti possono accedervi, indipendentemente dall’età o dal livello sportivo, previa la visita specifica del medico in palestra.

Training Neuromotorio - Green Room La Green Room - Patent Pending - è una struttura indoor, che si aggiunge agli ordinari luoghi della riabilitazione durante il programma di recupero. Solitamente viene inserita nelle ultime fasi del programma riabilitativo e nella prevenzione del re-infortunio. Si tratta di un laboratorio di biomeccanica all’interno di una stanza di vetro con soffitto a piramide trasparente, un megaschermo di 4 x 2 metri, un manto d’erba sintetica di ultima generazione nel quale è inserito un sistema di analisi del movimento, che viene utilizzato sia per il Test di Analisi del Movimento, sia per le sedute di riabilitazione.

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3. OSPEDALI DI MEDICINA DELLO SPORT: RICERCA TIPOLOGICA

Il sistema consta di una pedana di forza, tre telecamere ad alta velocità e un software dedicato. Tutto il sistema è gestito da una stazione di controllo che permette all’operatore di effettuare valutazioni specifiche in slow motion utilizzando anche il feedback della pedana di forza. L’obiettivo del lavoro specifico nella Green Room - Patent Pending - è quello di ottimizzare il recupero funzionale curando l’equilibrio neuromotorio e ristabilendo i corretti schemi di movimento del paziente attraverso sedute di training neuromotorio con l’uso del megaschermo. All’interno di questo spazio, come precedentemente accennato, viene anche effettuato il Test di Analisi del Movimento che permette di individuare schemi di movimento alterati, spesso causa di infortuni, e di correggerli con sedute di training neuromotorio appositamente dedicate prima di ritornare ad effettuare movimenti sportspecifici. In base ai risultati ottenuti dal Test di Analisi del Movimento il medico specialista stabilisce un programma personalizzato di rieducazione biomeccanica, con l’obiettivo di correggere la disfunzione del movimento e di riallenare la coordinazione motoria, ma anche di accelerare la riabilitazione e ridurre il rischio di re-infortunio dopo il ritorno allo sport.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

4.1 L’OSPEDALE A PADIGLIONI

Un primo riferimento 18 per la descrizione dei vari organismi ospedalieri succeduti in epoca moderna è l’Ospedale a padiglioni, nato alla fine del XVIII secolo, i cui principi formatori sono stati applicati seppur con qualche modifica fino alla metà del nostro secolo. In questo tipo di ospedale l’articolazione planivolumetrica risponde ai requisiti di salubrità e igienicità degli spazi per le degenze e per le cure dei malati; di conseguenza nasce nelle aree disponibili, la realizzazione dei vari corpi di fabbrica, i Padiglioni appunto, con grandi spazi verdi e con una grande concentrazione dei servizi generali. Il padiglione prevede quindi tutto il necessario per le cure del malato e le degenze; attenzione particolare viene rivolta all’organizzazione delle corsie, con una dimensione di circa 30 letti ognuna e con servizi igienici per gli stessi malati. Il progettista pone dunque grandissima attenzione al soddisfacimento dei requisiti inerenti al comfort ambientale, con riferimento alla ventilazione e illuminazione naturale, nonché all’orientamento dei corpi di fabbrica. I vari padiglioni sono aggregati in maniera “lineare”, a “T” o “H”, o circolare con sistemi di percorso a pettine, semplice o doppio. Gli edifici presentano modeste altezze, di solito 2-3 piani, intervallati da ampi spazi aperti di frequente a corte. Progressivamente l’articolazione funzionale dell’ospedale si fa più complessa: i reparti specializzati come le sale operatorie, i laboratori di analisi o i reparti di isolamento, si rendono autonomi dalla struttura ripetitiva a padiglioni. Un’altra tendenza evolutiva è quella che vede la formazione di padiglioni specializzati per tipo di malattie e cure, che si distacca dal modello originario fino all’arrivo d’intere strutture ospedaliere di tipo specialistico. Le corsie si articolano in camere pluriletto fino a prevedere camere singole per particolari esigenze. Il difetto principale però dell’ospedale a padiglioni è la sua configurazione diffusa rispetto all’area: ciò comporta grande occupazione del suolo rispetto alle cubature edificate, maggiori costi di costruzione e gestione, disagi a pazienti e addetti a causa della lunghezza dei percorsi.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

4.2 L’OSPEDALE MONOBLOCCO

Si arriva così agli anni 20 negli USA, dove nascono i primi ospedali a monoblocco, in cui le attività di degenza, diagnosi, cura e gestione-amministrazione sono collocate in edifici pluri-piano, dotati di notevole consistenza volumetrica rispetto all’area edificabile. Nel piano tipo dell’edificio sono ospitate le degenze e i relativi servizi di diagnosi e cura. Questa nuova tipizzazione 19 prevede dunque un’utilizzazione ottimale delle aree urbane in termini di massima edificazione, il contenimento dei costi di costruzione e gestione, la riduzione della lunghezza dei percorsi di pazienti e addetti. Inoltre un passo avanti rispetto alle precedenti realizzazioni a Padiglioni è dovuto alla possibilità di controllare artificialmente le condizioni ambientali degli spazi interni dell’ospedale, l’adozione di procedimenti costruttivi particolarmente idonei alla costruzione di edifici di notevole altezza, con strutture portanti in acciaio e l’efficienza dei sistemi di movimentazione meccanica verticale di uomini e cose. Entrando nel particolare si riducono i posti letto nelle corsie, fino a impiegare camere a uno - due letti, si potenziano le attività di assistenza medica, sulla base delle accresciute possibilità date dagli strumenti di diagnosi e cura nonché dal potenziamento delle analisi svolte in laboratorio. L’articolazione complessiva dell’ospedale a Monoblocco si riferisce a forme planimetriche a “T”, a “U” o doppio “T”; i corpi di fabbrica sono articolati in fasce funzionali distinte e sono classificabili come corpi multipli (in Italia sono tripli, negli USA sono quintupli) (Sono edifici caratterizzati da tre fasce di ambienti intervallati da un doppio percorso di distribuzione orizzontale. La spina centrale priva di illuminazione naturale viene favorevolmente adibita a locali di deposito e di servizio, collocando le camere di degenza e in generale i locali necessitanti di illuminazione sul perimetro.) ; l’altezza degli edifici invece oscilla tra i 12 e 30 piani, per gli Stati Uniti ci si orienta verso le maggiori, per l’Europa verso le minori. In Italia la normativa impone il rispetto di un massimo di 7 piani di altezza. Questo tipo di ospedale nato come “fabbrica della salute”, dimostrandosi comunque efficiente, almeno fino a una dimensione di 400-500 posti letto, comporta tuttavia una trasformazione profonda nel rapporto medico/ paziente, nel senso di una progressiva estraneità dell’uno rispetto all’altro e di una conseguente meccanicità nella prassi operativa quotidiana.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

4.3 L’OSPEDALE POLIBLOCCO

Una variante significativa dell’ospedale a monoblocco è quello poliblocco, interessante per lo sviluppo del tipo edilizio in Italia. Esso è costituito da un numero limitato di edifici collegati tra loro che hanno un’altezza di 5-7 piani; in ogni edificio si collocano le degenze e gli spazi di cura e servizi. Tale soluzione si presenta utile per e obbligata per ospedali di grandi dimensioni e si colloca a metà fra l’ospedale a Padiglioni e quello a Monoblocco, in quanto crea la possibilità di recuperare rapporto tra edificato e spazi esterni aperti. Sono edifici caratterizzati da tre fasce di ambienti intervallati da un doppio percorso di distribuzione orizzontale. La spina centrale priva di illuminazione naturale viene favorevolmente adibita a locali di deposito e di servizio, collocando le camere di degenza e in generale i locali necessitanti di illuminazione sul perimetro. In quest’ambito si possono collocare anche gli ospedali detti a raggiera, caratterizzati da una speciale disposizione polarizzata dei corpi edilizi rispetto al baricentro del modello e da un accentuato controllo sulla rete dei percorsi che collegano le diverse parti. Negli anni 40-50 si passa all’ospedale piastra-torre, dove la zona delle degenze viene collocata nella parte dell’organismo a forte sviluppo verticale, mentre gli spazi destinati a cure e servizi occupano la parte basamentale, la piastra, dell’intera struttura ospedaliera. Il modello presenta quindi grande qualità organizzativa in quanto concentra la complessità delle operazioni e relazioni funzionali nella parte bassa, dotandola di maggiori impianti, mentre sviluppa in altezza la parte con attività più ripetitive e con minore impegno. Il tipo ospedale ha subito quindi nel corso degli anni diverse evoluzioni che possono essere enucleate in maniera schematica, soprattutto per quanto riguarda le ultime evoluzioni. Si possono dunque distinguere tre tipi o opzioni progettuali 20 che sono state identificate nel corso degli anni e sono: 1. L’opzione megastrutturale, per la quale l’ospedale può assumere differenti configurazioni in quanto altamente complesso, nell’ambito di una particolare struttura di relazione tra le parti. Tale struttura è completamente metaprogettuale e tuttavia si può associare a numerose alternative contestualizzate nelle fasi di progetto e costruzione. Gli edifici ospedalieri scontano un principio d’indeterminatezza per quanto riguarda il rapporto tra programmazione e realizzazione costruttiva; essi sono definibili come edifici multi - strategia nel senso che permettono un’ampia gamma di soluzioni e configurazioni finali, dotate a loro volta di flessibilità ed elasticità. Il processo edilizio quindi si estende fino alla fase di gestione oltre che alla programmazione degli interventi e alla loro utilizzazione. 2. La modellizzazione del processo progettuale, che porta alle configurazioni finali degli organismi ospedalieri: in questo caso si collocano numerosi casi di “sistemi” realizzativi e progettuali derivati dalle esperienze

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

inglesi degli anni ’60 e ’70. Si tratta di opere complesse realizzate attraverso modelli aggregativi basati sull’identificazione di “Unità funzionali elementari” e sulla loro relazione plano- altimetrica. Procedure di progettazione integrata che danno origine a procedimenti costruttivi correlati all’uso di tecnologie precise e per i quali i singoli interventi assumono la veste di sperimentazioni di un apparato concettuale e operativo di tipo generale. I sistemi inglesi Harness, Nucleus e Oxford sono i più noti. In questa modellizzazione è rilevante il fatto che le parti che costituiscono l’organismo architettonico devono interagire; tali regole assumono a volte il senso di “Invarianti strutturali” che caratterizzano in modo univoco una precisa configurazione finale. Ne è un esempio la “hospital street” intesa come linea strutturante il modello organizzativo dell’ospedale. 3. Lo studio della similitudine con la città; dove l’ospedale per integrarsi con essa, pur mantenendo una sua natura, tende a inglobare alcune attività prettamente urbane: la residenza, il commercio, il terziario. In tale ambito si collocano gli ospedali ad atrio e a galleria. La struttura ospedaliera si arricchisce così di spazi semipubblici (piazza o centro commerciale) che sono usufruibili da pazienti, addetti, visitatori e pubblico. In questo modo la vita dei degenti e degli addetti ma anche di chi utilizza l’ospedale solo per le attività diagnostiche, terapeutiche e riabilitative di breve durata o programmate, può svolgersi in un’atmosfera meno emarginata rispetto a un contesto sociale più ampio.

Tutte queste esperienze si collocano in una tendenza realizzativa che prevede edifici a bassa altezza integrati con la città, nei quali l’aspetto alberghiero-ricettivo e quello direzionale-terziario tendono sempre più a omologarsi con strutture esterne al mondo della sanità, certe volte portandosi fuori dell’ospedale stesso. La tendenza odierna dunque è quella di ridurre gli spazi destinati a degenze con il parallelo ampliamento di prestazioni di tipo terapeutico e riabilitativo posti all’esterno dell’organismo ospedaliero. Le degenze vengono qualificate in senso trasversale rispetto a reparti e divisioni, in modo da renderne più flessibile ed economico l’impiego. I servizi diagnostici e terapeutici vengono svolti in regime di day-hospital, così come i servizi generali vengono portati all’esterno grazie a operatori specializzati (lavanderie, cucine e contabilità per esempio). I blocchi operatori agiranno in regime di ospedalizzazione diurna e le tecnologie mediche saranno potenziate grazie anche al settore informatico, in modo da capillarizzare il servizio sanitario sul territorio ma anche per rendere “intelligente” l’ edificio-ospedale. Queste scelte implicano dunque nella progettazione una ridefinizione degli standard dimensionali e funzionali dovute al rapporto tra attività di diagnosi/terapia/riabilitazione, una definizione e diretto rapporto tra articolazione funzionale dei diversi moduli attività e aggregazione dei medesimi in griglie strutturali planoaltimetriche e gestionali, una integrazione edificio - impianti con riferimento al campo informatico, energetico e della sicurezza, infine flessibilità d’uso e di progetto degli spazi elementari e aggregati.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

4.4 LA RICERCA DI TIPOLOGIE DEDICATE ALLA SALUTE DELL’UOMO

Da queste regole 21 sono poi tratti spunti per la realizzazione degli ospedali contemporanei oltre che dal senso di confine e confinamento che essi suggerivano. È così che oggi la tendenza è quella di avvicinarsi sempre più a trasformazioni che interessano soprattutto gli spazi per lo svolgimento delle funzioni umane. Queste riflessioni portano alla creazione di ambienti che passano da una ristrettezza dell’immaginario comune a un edificio capace di modificare la sua spazialità, intervenendo per esempio nelle sale d’attesa o su quel senso di chiusura verso l’esterno attraverso soluzioni ibride dove per esempio gli spazi pubblici dell’ospedale vengono movimentati da servizi supplementari come quelli presenti negli shopping-mall americani. Si tende quindi alla ricerca di ospedali shopping-mall come già nacquero in America negli anni 60-70. Questi oltre alle zone pubbliche di attraversamento si presentano come centri commerciali che offrono differenti servizi. In più si possono trovare anche ambulatori medici capaci di integrare problemi di salute al quotidiano. Si crea perciò un passaggio meno traumatico dalla città all’interno dell’ospedale stesso attraverso una sorta di sospensione a livello percettivo per ingannare l’attesa o la preoccupazione per un parente malato. Il problema dell’ospedale in questi ultimi anni è dunque la ricerca del benessere psicofisico del paziente attraverso spazi interni dell’ospedale nei quali il paziente stesso possa trovare la propria individualità per provare conforto. Il progettista deve quindi cercare di creare una continuità tra gli spazi esterni e quelli interni dell’ospedale, deve creare una mediazione tra città e ospedale per non arrecare traumi al paziente in arrivo alla struttura. Ad esempio si possono creare spazi interni che portano al raccoglimento e spazi esterni che tendono al raggruppamento di molte persone in modo da alleggerire quel senso d’isolamento che si trova molto spesso all’interno dell’ospedale stesso. Così facendo si crea una continuità con il normale flusso di vita cittadino. Vengono quindi prese in esame quelle zone che fungono da collante esterno - interno come le hall d’ingresso e le zone d’attesa e di ritrovo. La stessa cosa vale anche per gli spazi pubblici che devono essere creati in maniera più fluida possibile, poco pressante, e che faccia percepire un sistema di accoglienza all’interno dell’ospedale. Questa tendenza come accennato prima fa riferimento alle strutture create negli Stati Uniti: strutture miste a metà tra ospedale e centro acquisti. Queste strutture devono il loro sviluppo alla concorrenza tra ospedali pubblici e privati. Si è cominciato a un certo punto a pensare a luoghi più accoglienti per pazienti e per il personale e quindi si è cominciato a progettare gli ospedali come degli shopping mall. L’idea fu quella di creare posti dove non ci si sente intrappolati all’interno. Ecco perché si pensò ai centri commerciali, posti frenetici capaci di ingannare l’attesa. Il paziente quindi si ritrova a mantenere un contatto con l’esterno nel suo immaginario, anche perché lo sviluppo di questi luoghi porta alla creazione di parti pubbliche tendenzialmente ambulatoriali o di emergenza con una capacità d’impianti e attrezzature per effettuare piccoli interventi anche di un solo giorno.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

L’ospedale diventa uno spazio dove si entra e si esce con facilità così come lo shopping mall. Si tratta quindi di ospedali/shopping mall, dove il paziente può soddisfare tutti i propri bisogni. Questa soluzione porta quindi alla creazione di luoghi, dove il paziente si sente a proprio agio senza paura della malattia. Un’altra tendenza è quella di creare ospedali come fossero aeroporti e quindi solo di passaggio attraverso la rottura della fissità d’immagine che gli stessi ospedali portano con sé. Si rompe dunque la chiusura strutturale a favore di una praticità di contenuti, sollievo dell’impatto visivo e miglioramento delle prestazioni. Il fine è quello di creare indipendenza fisica dal luogo proprio come succede in aeroporto ma considerando comunque la complessa fisicità dell’ospedale stesso (una struttura ospedaliera presenta molte più funzioni di un aeroporto). Oggi è difficile fissare principi concettuali per la creazione di un ospedale a causa del tempo e dei cambiamenti molto rapidi che si hanno nello stesso. Si creano pertanto degli ospedali capaci di trasformare i propri luoghi in maniera flessibile per agevolare la necessità della cura; attraverso questo espediente si rompe quindi la fissità d’immagine e tristezza che si ha del luogo. Si tratta d’ipotesi abitative, di valutazione di alcuni aspetti progettuali per raggiungere maggior confidenza visiva al suo interno, di mediazione con il resto della città e di praticità d’uso. L’architettura serve dunque per accompagnare il paziente nel suo percorso all’interno dell’ospedale in maniera più serena possibile. Il dibattito sulla progettazione ospedaliera rimane comunque aperto, per via dell’estetica esterna ma anche e soprattutto per l’organizzazione interna, che è in continua elaborazione ed evoluzione in funzione alla necessità della cura e dei progressi in campo medico. Il problema che si pone è quello di realizzare delle strutture che siano al passo con le evoluzioni mediche molto rapide. Non si possono prevedere queste evoluzioni e farle coincidere con la progettazione che in questi casi impiega una decina d’anni per la realizzazione. Le domande che si pongono dunque sono inerenti alla relazione tra la progettazione e l’evoluzione delle tecniche ospedaliere. La discussione quindi verte sulla fase di programmazione dei progetti stessi. Il progettista si ritrova a creare dei luoghi che non dovranno rispondere più a un programma funzionale ma coinvolgere diversi punti, dall’immagine esterna all’organizzazione interna. Dovrà occuparsi dell’interpretare qualcosa che mostra nuove espressività, data la rigidità che hanno molte realizzazioni in ambito sanitario.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

4.5 L’OSPEDALE CONTEMPORANEO

L’evoluzione molto rapida delle tecnologie ospedaliere 22 ha fatto sì che gli ospedali costruiti negli anni 60-70 abbiano subito una pesante obsolescenza, così come quelli degli anni 80 una notevole ristrutturazione, mentre quelli degli anni 90 non sono riusciti a tenere il passo delle nuove tecniche di day hospital e day surgery. La tendenza attuale consiste nel risistemare gli spazi interni dei volumi esistenti con una doppia azione: potenziamento e ingrandimento degli spazi tecnici e impiantistici e rifacimento completo delle camere. L’umanizzazione degli ospedali porta quindi a un ingrandimento delle camere, a una riduzione delle stesse e all’utilizzo di tecnologie più avanzate e arredamenti meno freddi e più personalizzati. L’ospedale diventa perciò uno spazio completamente atomizzato, diviso in diverse parti. La committenza deve quindi preoccuparsi di una complessità del programma, dove la prassi medica, le tecniche e il comportamento sono in continua evoluzione. La stessa organizzazione medica richiede una maggior frammentazione degli spazi, gli uni isolati dagli altri, ma con una sola gestione. Questi luoghi così separati poi dovranno offrire la più grande flessibilità possibile nel tempo per adattarsi ai progressi della medicina e delle tecnologie medicali, mentre le reti impiantistiche sfrutteranno tutto lo spazio possibile. S’interverrà infine sull’accoglienza e sulla camera di degenza che sarà sempre più vicina a una camera di albergo. In Italia il parco edilizio ospedaliero 23 presenta delle strutture obsolete in elevato numero. Queste strutture sono tipologicamente e tecnologicamente inadeguate per soddisfare le esigenze attuali dell’utenza in termini di funzionalità, comfort e sicurezza. Oltre a questo fenomeno va aggiunta la presenza di diverse strutture sanitarie ultimate da anni ma mai entrate in funzione. Sono poli ospedalieri che hanno visto un rapido invecchiamento con caratteristiche ormai non compatibili con lo standard odierno e che pongono problemi di reimpiego. Si è cercato dunque di formulare delle strategie in merito e interventi al fine di raggiungere due obiettivi primari: 1. Garantire prestazioni sanitarie adeguate sotto il profilo medico-clinico, in strutture che garantiscano livelli di prestazioni alberghiere. 2. Riqualificare funzionalmente un patrimonio edilizio vasto e diffuso perseguendo strategie di elevata qualità edilizia. Queste due scelte si confronteranno con la difficoltà di formulare ipotesi progettuali puntuali capaci di raffrontarsi con i singoli contesti ambientali e singoli presidi ospedalieri, inoltre devono tener conto dei vincoli di natura economica e funzionale. Diversi contributi 24 sul dibattito circa la creazione di presidi ospedalieri prevedono la realizzazione in zone periferiche dei centri abitati. Questa localizzazione:

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- garantisce una disponibilità di superfici territoriali sufficientemente ampie rispetto alle necessità implicite di un modello tipologico a bassa densità edilizia, con corpi bassi e basso impatto ambientale immerso in aree verdi e con ampie superfici destinate ai parcheggi; - consente l’inserimento in un contesto urbano generalmente non condizionato da problemi di congestionamento del traffico (con conseguente inquinamento acustico e ambientale); - offre la possibilità di valorizzare le aree periferiche dal punto di vista urbanistico e funzionale, tanto più significativa quanto maggiore sarà l’integrazione della struttura ospedaliera con funzioni aperte ad una fruizione sociale ampia e articolata (Lo stesso modello prevede una fitta rete di integrazioni tra le attività ospedaliere in senso stretto ed altre più aperte ad una fruizione quotidiana. Infatti è prevista la realizzazione all’interno del complesso di spazi e servizi destinati a limitarne l’isolamento funzionale).

Un simile modello ospedaliero risulterà di più facile realizzazione qualora il progetto sia un nuovo complesso completamente autonomo, procedendo alla dismissione completa di quello esistente. L’effettiva realizzabilità su ampia scala di questa strategia progettuale sarà necessariamente condizionata dalla permanenza di forti vincoli realizzativi direttamente connessi al reperimento di finanziamenti adeguati. La strada quindi seguita nella maggior parte dei casi è quella di integrare nuovi corpi edilizi con quelli già esistenti. Procedendo in questo modo si dovranno valutare alcuni fattori morfologico - localizzativi che si possono rinvenire in interventi su ospedali già in funzione e che si ritiene conservare, pur dopo la realizzazione di interventi di riqualificazione e ammodernamento. In molti casi invece la vetustità della struttura può essere vantaggiosa se gestita bene. Molti ospedali a padiglioni subiscono una grande integrazione ambientale con il paesaggio esistente e si integrano molto bene alla funzionalità e standard alberghieri attuali. Un po’ meno si integrano quelli multipiano di origine americana data la loro compattezza e per via delle caratteristiche intrinseche del progetto stesso, come prima descritto. In Italia anche la normativa che impedisce una altezza superiore ai sette piani nella tipologia a multipiano, ha fatto sì che si potesse costituire una più consistente articolazione planimetrica degli edifici, con conseguente costituzione del tipo edilizio a poliblocco. Ragionando in questo modo si creano diverse soluzioni miste con sviluppo sia verticale che orizzontale; ciò porta ad un più intimo collegamento tra edificio e spazi aperti circostanti con le aree trattate a verde. L’articolazione planimetrica sfrutterà poi le migliori condizioni di soleggiamento per le degenze e invece quelle meno avvantaggiate avranno la funzione di spazi di supporto. Il problema che si va ad affrontare è anche quello della localizzazione del comparto ospedaliero già esistente rispetto al tessuto urbano. Se le nuove realizzazioni infatti richiedono vaste aree non congestionate dal traffico e facilmente raggiungibili, la riqualificazione di comparti ospedalieri si confronta con localizzazioni penalizzanti.

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Si parla di ospedali costruiti un tempo in aree periferiche che però adesso sono state inglobate dalla città, anche se ai tempi soddisfavano le caratteristiche di comfort ambientale che si ritengono oggi importanti. In questi casi l’intervento di riqualificazione funzionale dovrà confrontarsi con la struttura ospedaliera stessa e con la sua relazione con la città intorno. Quello che si cerca in questo processo è la sistemazione delle aree verdi e aree destinate ai parcheggi per favorire una adeguata accessibilità. Se si pensa di poter progettare un singolo presidio bisogna anche confrontarsi col disagio dei pazienti stessi che sono costretti a convivere coi rumori e smog prodotti da accessi veicolari continui e non regolamentati. Parcheggi adeguati e anche sotterranei innalzano lo standard alberghiero che si cerca in questo momento. Tutti questi passaggi sono dettati da una tendenza europea che porta ad una radicale trasformazione dello schema dell’offerta di assistenza sanitaria. Si tende dunque a capillarizzare le funzioni ospedaliere per integrare il tutto nella città e creare una ricca articolazione di cure. Se parliamo di rapporto con la città dobbiamo risalire a dibattiti nati negli anni 80, focalizzati su due strategie fondamentali: 1. disseminazione di servizi sanitari sul territorio con funzione di filtro tra esigenze sociali di salute collettiva e la risposta sanitaria fornita nell’ospedale per acuti 2. progressiva integrazione di funzioni proprie della città entro un contenitore ospedaliero non ermetico rispetto all’esterno della città. Questi due elementi hanno portato allo sviluppo di una evoluzione formale e tipologica degli edifici ospedalieri e quindi una riduzione dei posti letto che determina una contrazione delle superfici richieste, il trasferimento di servizi non essenziali all’esterno dell’ospedale e una maggior attenzione architettonica dei presidi stessi con conseguente minor impatto ambientale. La rete sanitaria quindi è integrata con il tessuto edilizio e sociale della città. Nel Regno Unito 25 alcune ricerche si sono mosse nella direzione di una articolata strutturazione dei presidi medico - sanitari, assieme ad una articolazione maggiore dell’offerta fornita e della progressiva scomparsa degli ospedali per acuti quali unici distributori di prestazioni sanitarie e assistenziali. La proposta che viene fatta è quella di quattro livelli sanitari differenziati per intensità e specificità delle cure fornite, partendo dall’assistenza familiare a domicilio fino al ricovero intensivo in ospedale con alti standard alberghieri e pochi posti letto in ragione di due obiettivi di medio - lungo periodo. Partendo da queste valutazioni si arriva ad una rivoluzione nel sistema sanitario che comporta un generale ripensamento dell’assetto tipologico e distributivo dell’ospedale. È una ricerca sperimentale e anche un processo complesso che porta ad alcune contraddizioni ma che porta ad una evoluzione dell’ospedale sempre più formato di nuclei distribuiti nella città. Si tratta dunque anche in questo caso di un inserimento all’interno dell’ospedale di servizi e l’ospedale stesso diventa pezzo di città. 26

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Partendo da questo rapporto ospedale città si pone anche lo studio condotto da Renzo Piano per conto del Ministero della Sanità Italiano 27. Un punto in particolare è dedicato a ciò che viene definito “urbanità”, una sorta di decalogo di regole generale per la progettazione. Il nodo è che l’ospedale abbia una nuova valenza urbana, non tanto per la sua architettura ma per le dinamiche sociali all’interno. Facendo così si perde quel “carattere di recinto esclusivo, impermeabile e specialistico, storicamente nato per proteggere i nati dai malati” 28. L’ospedale assume allora delle funzioni più complesse con diversi gradi di protezione e accessibilità tali da filtrare categorie di utenti differenti, senza invadere la privacy. Questa capacità di integrazione tra città e ospedale garantisce alla stessa struttura sanitaria un ruolo nuovo nella riqualificazione dei comparti urbani altrimenti poveri di valori sociali di riferimento. Quindi più l’ospedale sarà capace di espandersi verso l’esterno, meno traumatico sarà anche il salto psicologico che il paziente dovrà affrontare al momento del ricovero. Anche in questo caso l’utilizzo degli spazi verdi aperti anche all’esterno riveste un ruolo importante nella progettazione per creare una fruizione urbana più flessibile e trasparente. Tutto questo per arrivare all’umanizzazione degli spazi, tendenza degli ultimi anni, con la creazione di livelli di permeabilità, controllo e selezione differenti per le varie esigenze di sicurezza dell’utente e della struttura. Allo stesso modo le degenze saranno più accessibili ai visitatori e accompagnatori in termini di orari per non creare eccessivo e ingiustificato isolamento del paziente, non senza trascurare tutti gli aspetti legati alla sicurezza e salubrità degli spazi e degli ambienti di degenza. Nella storia dell’architettura non possiamo non citare il progetto di Le Corbusier per l’Ospedale di Venezia. Questo progetto all’avanguardia anticipava i tempi per quanto riguarda la ricerca dell’ospedale inserito nel contesto urbano. La concezione di questo progetto nasce dall’impianto urbano veneziano, che ne diviene motivo tipologico e funzionale. Si tratta di un edificio misto a piastra e padiglioni, a corpo singolo, doppio o triplo. I padiglioni si diramano da un nucleo centrale non fisico creato da pieni e vuoti e da cortili e strade; la città si addentra nel progetto o comunque prosegue in essa. Questa disposizione permette l’espansione futura lasciando presagire delle direttrici di sviluppo. Le sale di degenza sono camere singole o in corsia, con la garanzia della privacy data da setti in testa e fianco del letto, ma lasciando lo spazio per percorrere e garantire ai passanti di non disturbare. I setti indirizzano ma non chiudono lo spazio, creando così una percezione di spazio aperto. Facendo così si crea una ottimizzazione dei costi e dei volumi murari; in più il paziente non si sentirà solo. Per quanto riguarda la percezione degli spazi, il progetto prevede la “multiformità” ovvero il potersi muovere liberamente e osservare scorci di città o di mare e giardini, portando il paziente verso una dimensione non distaccata della vita comune. Tutto ciò si può trovare anche per quanto riguarda la scelta illuminotecnica: la luce naturale filtra all’interno degli spazi per riflessione e dall’alto, ottimizzando la luce diffusa e quindi donando una piacevole sensazione che non affatica gli occhi. Il limite però sta nel fatto che non ci sono finestre nelle stanze e nei corridoi; un malato costretto a letto non potrà godere della vista dell’esterno e del paesaggio

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circostante. Ciò è dovuto alla scelta del corpo multiplo che non permette la visione alle corsie centrali. Per quanto riguarda la parte tecnica, i locali e gli spazi di gestione sono situati alla testa dei padiglioni che facilitano la creazione di asole e permettono una più facile dispersione delle sostanze chimiche e di eventuali fumi provocati da incendi. Il progetto come parte della città assume valore e risulta alla base di moderne esperienze progettuali in quanto riporta alcuni aspetti innovativi volti alla ricerca di nuove tipologie funzionale soprattutto per quanto riguarda gli spazi di degenza. Il problema però va ricercato in spazi non proprio vivibili per via della non ottimale gestione del rapporto fra interno ed esterno. Il progetto non è mai stato realizzato ma presenta un tentativo di innovazione nelle scelte spaziali dedicate alla degenza. Il concetto di salute è cambiato nel tempo così come sono cambiate le esigenze dei malati e le modalità di cura. La diagnostica si è rafforzata così come il concetto di prevenzione. L’ospedale si struttura quindi come polo scientifico e tecnologico per essere al tempo stesso centro di diagnosi e cura, di prevenzione e studio, di sperimentazione e ricerca. Lo si nota da come sono strutturati gli ospedali contemporanei con spazi più di degenza diminuiti e spazi di ricerca e terapie aumentati, ma soprattutto con la combinazione di tipologie piastra – monoblocco dove si collocano nella prima spazi che possono espandersi in base alle necessità funzionali future (come gli spazi diagnostici e di ricerca), mentre nel secondo si collocano soprattutto le degenze poi gestite in corpi doppi, tripli o quintupli. Nell’ospedale contemporaneo si collocano anche il day-hospital e il day-surgery che presuppongono, secondo la riorganizzazione ospedaliera (D.Lgs. 502/92) un diverso approccio alle modalità di cura e di degenza dei malati. Il day-hospital e il day-surgery nascono come proposte alternative al ricovero per quegli interventi dove la degenza ospedaliera non si rivela indispensabile. È una assistenza che si colloca secondo l’OMS a metà tra l’assistenza ospedaliera e quella ambulatoriale. La progettazione quindi dell’ospedale avrà un diverso approccio anche in termini di edificio ospedaliero. Si devono creare pertanto degli spazi altamente tecnologici e che rispettino le norme vigenti. Questi due sistemi sono ricoveri a tempi parziali e richiedono un servizio che presuppone l’integrità del paziente per il rientro in famiglia nelle ore notturne. Per quanto riguarda l’ospedalizzazione diurna le prestazioni erogate riguardano interventi a carattere diagnostico, riabilitativo e terapeutico. La classificazione dell’ospedale diurno può avvenire anche in funzione delle specialità trattate come la pediatria, l’oncologia, la nefrologia ecc. I due servizi possono essere inquadrati istituzionalmente all’interno delle strutture ospedaliere preesistenti in contiguità con le rispettive unità ordinarie di degenza. Queste formule assistenziali diurne possono comportare vantaggi sia a livello economico che sull’aspetto umano e sociale dei malati. Sul piano economico si possono ridurre i costi del 50% in quanto si eliminano le spese alberghiere ricettive. Altro vantaggio che si ha dai due servizi è l’aspetto umano: i malati possono effettuare le loro attività tranne che nei giorni dedicati alle cure. Inoltre le risposte agli esami sono immediate in quanto avvengono nell’arco della giornata di ricovero. Ciò comporta un impegno maggiore da parte del personale sanitario e non e in più la selezione dei pazienti avviene in base alle condizioni fisiche generali e sull’età.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

4.6 IL METAPROGETTO PIANO – VERONESI

Nel marzo 2001 il Ministero della Sanità ha divulgato uno studio sperimentale, relativo ad un sistema organizzativo e distributivo relativo alle finalità che devono caratterizzare un ospedale contemporaneo. Il risultato fu una collaborazione tra l’ex ministro della sanità Umberto Veronesi e l’architetto Renzo Piano. La ricerca verteva sulla descrizione di caratteri sociali e prestazionali che deve proporre oggi un ospedale per acuti oltre che all’alto contenuto tecnologico presente in esso. Tutto partiva dall’individuazione di un metaprogetto tipologico – distributivo che derivava dai vari dibattiti avuti in quegli anni relativi al tema della sanità. L’ospedale compie nei confronti della città una missione importante dato che si occupa di diagnosi prevenzioni e cure. Ricopre il luogo centrale della rete sanitaria ed è il nodo principale del sistema dei servizi sanitari e assistenziali territoriali. Il livello prestazionale è garantito dai servizi offerti e dall’effettivo livello prestazionale dell’organismo. Lo studio elaborato individua così dieci principi informatori e di indirizzo quali obiettivi e requisiti da considerare in fase progettuale. Fra questi è di rilevante importanza l’umanizzazione dell’ambiente ospedaliero ai fini del soddisfacimento dei diritti e delle necessità cognitive, percettive e di ergonomia del malato. Viene posta particolare attenzione alla privacy personale, al comfort e alla piacevolezza degli spazi in quanto il paziente ricopre la parte fondamentale e centrale nella sua complessità psico-fisica. L’ospedale supera anche gli aspetti strettamente legati ad esso diventando un luogo urbano grazie a strade, gallerie, negozi e centri commerciali. Questi spazi fanno sì che si superi quell’isolamento tipico che hanno i pazienti all’ interno delle strutture sanitarie. L’ umanizzazione diventa così terapeutica. Un ulteriore passo per superare l’ eterotropia tipica degli ospedali è dato dal principio dell’urbanità, ovvero il rapporto che ha la struttura con il contesto urbano nel quale si colloca. Oltre alle varie necessità di accessibilità proprie dell’ospedale, il concetto di urbanità si sofferma sulla possibilità di usufruire dell’ospedale anche attraverso l’urbano che lo circonda. Questa apertura comporta una connotazione di socialità all’azione ospedaliera. Questo accoglie attività dirette al pubblico di tipo culturale ricettivo con funzioni allargate e promiscue; tutto però deve avere una organizzazione funzionale, gestionale, settoriale e generale oltre che di elevata efficienza ed efficacia. In tal senso sono fondamentali le gestioni dei percorsi, del personale sanitario, del personale di servizio, lo smaltimento dei rifiuti e la funzione relazionale. Le funzioni telematiche fanno in modo che le comunicazioni tra i diversi ambiti e strutture sanitarie siano molto rapide e intense. Lo stesso vale per quanto riguarda le comunicazioni all’interno della struttura stessa, dove sono necessarie rapide comunicazioni tra i vari dipartimenti e le varie sezioni del complesso ospedaliero. La comunicazione deve essere diretta, caratterizzata da sale riunioni e terminali informatici. In termini di qualità e dotazioni l’appropriatezza delle cure viene definita come la commisurazione degli spazi, in base all’effettivo bisogno del tipo di terapia, dei tempi e delle modalità di degenza che ciascun caso richiede.

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4. FLESSIBILITÀ NEGLI OSPEDALI. EVOLUZIONE DELLE TIPOLOGIE EDILIZIE SANITARIE

L’affidabilità intesa come capacità diagnostico-terapeutica, impiantistica e igienica offerte dalle tecnologie e dal personale sanitario viene di conseguenza. Il continuo aggiornamento all’innovazione rende alta questa efficienza. Ogni struttura deve essere realizzata in modo tale da garantire questi repentini cambi. Già in fase meta progettuale si deve pensare a questa flessibilità tipologica e spaziale che consentono all’edificio di non irrigidirsi in caratteristiche destinate in tempi ristretti a datare un ospedale per inadeguatezza. Gli spazi ospedalieri devono essere il più possibile neutri e flessibili e adattabili al progredire della scienza medica, dell’innovazione tecnologica e delle istanze sociali. L’ospedale infatti deve anche fare ricerca e formazione del personale medico e paramedico interno ed esterno, ma anche dei cittadini in termini di educazione culturale sanitaria. Il Decreto Ministeriale 12 dicembre 2000 non dà linee progettuali strutturali, ma indica le azioni da seguire in linea di massima per quanto riguarda gli alzati e le planimetrie, al fine di favorire la comprensione attuativa delle linee guida proposte. Per gli ospedali si ipotizzano medie-piccole dimensioni con gran parte dei letti dedicati alle cure intensive e alle degenze brevi. Il sistema sanitario cambia così in breve tempo. L’ospedale avrà collegamenti telematici fitti e veloci tra i vari reparti, allo stesso tempo sarà il centro della rete sanitaria del territorio anche con i medici di famiglia e i diversi centri diagnostici territoriali. Gli stessi sistemi elettronici dedicati al paziente faranno in modo di avere a distanza un rapporto diretto con qualsiasi altra struttura sanitaria e fra il malato a domicilio e l’ospedale. Il sistema sanitario nel suo insieme è in fase di trasformazione per cui l’ospedale contemporaneo deve essere una struttura flessibile pronta ad adattarsi rapidamente a nuovi sistemi di organizzazione e di efficienza sanitaria.

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NOTE BIBLIOGRAFICHE

1. AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013; V. P. Babini, Liberi tutti: manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna 2009 2. Per la nascita della psicoterapia, C. Ganzerla, S. Arletti, Punti di follia, op. cit. p. 3 3. S. Freud, J. Breuer, Studi sull’isteria, Torino1895, Cfr. C. Ganzerla, S. Arletti, Punti di follia, op. cit. p. 38 4. V. P. Babini, Liberi tutti: manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna 2009, p. 20, 32 5. F. Basaglia al Convegno franco-italiano di Courchevel, Marzo 1968, in V. P. Babini, Liberi tutti, op. cit. p. 205 6. F. Basaglia, La distruzione dell’ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione. Mortificazione e libertà dello “spazio chiuso”, considerazioni sul sistema “open door”, Gorizia 1964 7. M.A. Crippa, I manicomi dell’area nordorientale italiana: da costruzione e negazione a gestione del vasto patrimonio pubblico, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013, p. 132 8. La sintesi sulla teoria dell’architettura manicomiale è tratta da M.A. Crippa, I manicomi dell’area nordorientale italiana: da costruzione e negazione a gestione del vasto patrimonio pubblico, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013 9. C. Ganzerla, S. Arletti, Punti di follia. Il folle, io folle, Politecnico di Milano, a.a 2009/10, p. 39 10. Per i principi tipo-morfologici degli ospedali psichiatrici moderni cfr. P. Galliani, Dalla storia al progetto: recupero e valorizzazione dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013 11. P. Galliani, Dalla storia al progetto: recupero e valorizzazione dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, in AA.VV, I complessi manicomiali op. cit. p. 360 12. A. Tamburini, G. Cesare Ferrari, G. Antonini, L’ assistenza degli alienati in Italia e nelle varie nazioni, Torino 1918, p. 93 13. G. Doti, Il manicomio, la città e il territorio: un campo di relazioni transitorie, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013, p.32 14. Tratto da: G. Doti, Il manicomio, la città e il territorio: un campo di relazioni transitorie, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013 15. Centri urbani: conservazione e innovazione, numero monografico di “Casabella”, XLI, 428, 1977 16. www.loyolamedicine.com 17. www.isokinetic.com 18. Dario Nachiero, La flessibilita’ nelle strutture sanitarie, relatore prof. Stefano Capolongo, correlatore prof. ssa Maddalena Buffoli, a.a. 2008/09, Politecnico di Milano 19. Dario Nachiero, La flessibilita’ nelle strutture sanitarie, relatore prof. Stefano Capolongo, correlatore prof.

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ssa Maddalena Buffoli, a.a. 2008/09, Politecnico di Milano 20. Dario Nachiero, La flessibilita’ nelle strutture sanitarie, relatore prof. Stefano Capolongo, correlatore prof. ssa Maddalena Buffoli, a.a. 2008/09, Politecnico di Milano 21. Dario Nachiero, La flessibilita’ nelle strutture sanitarie, relatore prof. Stefano Capolongo, correlatore prof. ssa Maddalena Buffoli, a.a. 2008/09, Politecnico di Milano 22. Dario Nachiero, La flessibilita’ nelle strutture sanitarie, relatore prof. Stefano Capolongo, correlatore prof. ssa Maddalena Buffoli, a.a. 2008/09, Politecnico di Milano 23. U. Veronesi, Relazione sullo stato sanitario del Paese, 3 luglio 2000 24. R Piano, Nuovo modello di ospedale, Ministero della Sanità, Roma, 21 marzo 2001 25. R. Glanville, MARU (Medical Architecture Research Unit), Scanning the spectrum of healthcare from hospital to home in the UK, London, 1996 26 (Cfr. F. Rossi Prodi, A. Stocchetti, op.cit., p.263.) 27(R. Piano, Nuovo modello di Ospedale, Ministero della Sanità, Roma, 21 marzo 2001.) 28(R. Piano, op. cit., p.3)

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

- “L’ospedale del futuro”, a cura di Nicola Falcitelli, Marco Trabucchi e Francesca Vanara, Bologna, Il mulino, 2000. - S. Capolongo; prefazione di Cesare Stevan; introduzione di Gaetano Maria Fara, Edilizia ospedaliera : approcci metodologici e progettuali, Milano, Hoepli, 2006. - L. Malighetti, Progettare la flessibilità : tipologie e tecnologie per la residenza, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2008. - E. Paoli, Gli edifici ospedalieri : ospedali, cliniche, case di cura, sanatori, Milano, Tip. E. Sormani, 1960. - G. Rebecchini, Considerazioni sul problema della flessibilità per le strutture edilizie universitarie, Roma, ISES, 1970. - Dario Nachiero, La flessibilita’ nelle strutture sanitarie, relatore: prof. S. Capolongo, correlatore prof.ssa M. Buffoli - V. P. Babini, Liberi tutti: manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna 2009 - F. Basaglia, La distruzione dell’ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione. Mortificazione e libertà dello “spazio chiuso”, considerazioni sul sistema “open door”, Gorizia 1964 - M.A. Crippa, I manicomi dell’area nordorientale italiana: da costruzione e negazione a gestione del vasto patrimonio pubblico, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013 - C. Ganzerla, S. Arletti, Punti di follia. Il folle, io folle, Politecnico di Milano, a.a 2009/10 - P. Galliani, Dalla storia al progetto: recupero e valorizzazione dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013 - G. Doti, Il manicomio, la città e il territorio: un campo di relazioni transitorie, in AA.VV, I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento, Milano 2013 - “Centri urbani: conservazione e innovazione”, numero monografico di “Casabella”, XLI, 428, 1977 - A. Ferrario, G. B. Monti, G. P. Jelmoni, Traumatologia dello sport. Clinica e terapia - S. Capolongo, Edilizia ospedaliera ed evoluzione sociale, in Edilizia ospedaliera. Approcci metodologici e progettuali, Milano 2006

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VOLUME III

L.O.W. CONNETTERE LA MEMORIA


TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA POLITECNICO DI MILANO a.a. 2016/2017 relatore di tesi di laurea: EMILIO FAROLDI studenti: PIETRO AMATO FILIPPO GEROSA 2


INDICE VOLUME III - L.O.W. CONNETTERE LA MEMORIA

1. STRATEGIE DI SVILUPPO DEL PGT

7

2. PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DI MOMBELLO

9

2.1 SCALA TERRITORIALE

9

2.1.1 Il tema storico-paesaggistico 2.1.2 Il tema ambientale 2.1.3 Il tema urbanistico: la ricucitura

9 12 13

2.2 FULCRI DEL SISTEMA

15

2.2.1 Il Corberi: la cittadella della fragilità 2.2.2 Villa Crivelli Pusterla: il Museo della Follia 2.2.3 Il nuovo centro di Traumatologia dello Sport 2.2.4 Istruzione 2.2.5 Sociale

15 15 16 18 18

3. HEALING ARCHITECTURE

21

3.1 OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO DI MILANO

21

3.2 IL RAPPORTO TRA SPAZI INTERNI ED ESTERNI NEL L.O.W.

28

3.2.1 La piazza di accesso e il parco dei colori 3.2.2 Il giardino della quiete 3.2.3 I chiostri dei profumi 3.2.4 Il giardino del ristoro e la piazza di Villa Arconati

28 29 30 30

3


4. TEORIE E METODO DI INTERVENTO

33

4.1 RAFAEL MONEO: COSTRUIRE NEL COSTRUITO

33

5. LIMBIATE ORTHOPEDIC WIRE - CONNETTERE LA MEMORIA

37

5.1 ACCESSO E ACCETTAZIONE 5.2 CLINICA DI TRAUMATOLOGIA SPORTIVA 5.3 LA HALL-PIAZZA COPERTA

37 39 41

NOTE BIBLIOGRAFICHE

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

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RINGRAZIAMENTI

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LAZZATE

PROVINCIA DI MONZA E BRIANZA

LENTATE SUL SEVESO MEDA

MISINTO ROVELLO PORRO

PROVINCIA DI VARESE

SARONNO

BARLASSINA COGLIATE

SEREGNO SEVESO

CERIANO LAGHETTO

CESANO MADERNO DESIO

SOLARO

BOVISO MASCIAGO LIMBIATE

ORIGGIO

VAREDO

CESATE CARONNO PERTUSELLA

LAINATE

NOVA MILANESE GARBAGNATE MILANESE

ARESE

PADERNO DUGNANO

SENAGO

CUSANO MILANINO

BOLLATE

BARANZATE

NOVATE MILANESE

PROVINCIA DI MILANO


1. STRATEGIE DI SVILUPPO DEL PGT

LIMBIATE

12 km2 superficie 35 258 abitanti 2 868 ab/km2 181 km2 superficie 1 350 387 abitanti 7 433 ab/km2 densità

MILANO

MONZA

33 km2 superficie 122 723 abitanti 3 708 ab/km2 densità

Da Garbagnate M.se: 9 km, 16 min Da Malpensa: 45 km, 40 min Da Milano: 30 km, 40 min Da Monza HS San Gerardo: 14 km, 25 min Da Milano Cadorna: 1 h Da Monza: 50 min Da Saronno: 40 min Autobus CTNM: linee Monza-Saronno, Milano-Cantù, Limbiate-Lissone, Limbiate-Lazzate Da Milano: ATM linea tram Limbiate-Milano Affori Da Bollate: servizio scuola GTM Da Ospedale di Desio: autobus linea CARONTE Da Seregno e Arese: autobus linea RESTELLI

MOMBELLO STRADA STATALE DEI GIOVI l'urbanizzazione compatta

PARCO DELLE GROANE l'urbanizzazione discontinua

PINZANO

Relazioni, dimensioni, distanze e poli attrattori nel rapporto tra Limbiate e i centri limitrofi.

Definita dal PGT “grande risorsa latente” 1 l’area di progetto è uno dei tre ambiti di trasformazione individuati dallo strumento di pianificazione territoriale comunale. L’Amministrazione ha individuato infatti possibili ambiti di trasformazione all’interno del tessuto urbano inseguendo i principi del recupero e della rifunzionalizzazione dell’esistente e del patrimonio edilizio compromesso, trasformando le emergenze in occasioni per rilanciare la matrice urbana e accrescere l’identità di Limbiate. Il complesso dell’ex ospedale Antonini viene definito Ambito Strategico dell’innovazione sociale ed economica, ha una estensione di 83 ha (830.000 m2) e le disposizione attuative del Documento di Piano sono le seguenti: il rilancio del Mombello quale occasione per creare una porta nord, per risolvere uno snodo delicato dal punto di vista estetico, funzionale e viabilistico e per rivedere il rapporto tra Mombello e Limbiate anche mediante il ripensamento del ruolo e della funzione di piazza Tobagi. Modalità d’intervento: - redazione di Masterplan a carico del soggetto attuatore per l’intero Ambito strategico e successiva stipula di Accordo di programma (o altra procedura di programmazione negoziata) con Regione Lombardia, Provincia di Monza e Brianza e/o ente equivalente, Parco Regionale delle Groane e Asl. - Parametri di edificabilità: mantenimento delle volumetrie esistenti senza incremento. - Destinazioni d’uso ammesse: servizi e funzioni complementari prevalentemente orientati alla sanità, all’istruzione e alla cultura. È richiesta quindi la conservazione delle volumetrie esistenti, tenendo presente che l’ambito mal si presta a nuove edificazioni, stante la sua peculiare caratteristica insediativa di città giardino basata sulla presenza di padiglioni; fatta salva la sostituzione delle superfetazioni recenti, gli interventi devono essere basati sul restauro e il risanamento conservativo. L’Antonini è considerato patrimonio collettivo che va al di là dei confini comunali: le sue ipotesi di riuso devono necessariamente passare da un accordo di programma che coinvolga gli enti proprietari (Asl e Provincia), il Comune di Limbiate e la Regione Lombardia, volto alla definizione di un masterplan che disciplini gli interventi e che abbia i seguenti contenuti: a) conservazione dei caratteri insediativi b) salvaguardia e valorizzazione del patrimonio arboreo monumentale c) previsione di funzioni pubbliche, tendenzialmente orientate alla sanità, istruzione e cultura. In tal contesto potranno essere previste funzioni accessorie e di servizio (quali alberghi, ristoranti, laboratori di artigianato a servizio delle persone, residenze per utenze determinate) da affidare a operatori privati e del privato sociale previo convenzionamento. 7


Palazzo Arese Borromeo

Ospedale di Saronno SARONNO

Parco delle Groane

DESIO MOMBELLO

Impianto Sportivo di Saronno

GARBAGNATE M.SE

VIMERCATE

Ospedale di Vimercate

Ospedale San Gerardo Università degli Studi Bicocca

MONZA

Villa Borromeo

Azienda Ospedaliera Salvini Palazzo Visconti

Ospedale di Desio Parco della Villa Reale

Villa Bagatti Valsecchi

LIMBIATE

Villa Settala

Autodromo di Monza

Clinica Zucchi Centro SportivoPozzo

Villa Arconati

Villa Fassi

Piscina Comunale di Arese

AS Lombardia Sport Club

Clinica San Carlo Centro Sportivo Lombardia 1

Ospedale Niguarda

Centro Sportivo Ospedale Palauno dei Bambini

Pronto Soccorso Ospedale Bassini Villa Clerici

Facoltà di Medicina e Veterinaria

Facoltà di Medicina e Chirurgia MILANO

Istituto di Medicina dello Sport Parco Agricolo Sud

San Raffaele Università Vita-Salute San Raffaele


2. PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DI MOMBELLO

A seguito della lunga analisi e contatto con le preesistenze del complesso manicomiale, lo studio si è orientato verso la ricucitura dell’area dismessa con il tessuto urbano circostante; l’elaborato vista la grande estensione e complessità del caso in esame, da un iniziale intento di sperimentazione spaziale e tecnologica per il recupero dei fabbricati, si è dovuto indirizzare, quindi, verso una proposta di riuso e rifunzionalizzazione dell’area, rispettosa dei principi di conservazione. Il fine del masterplan è quello di definire un nuovo futuro possibile per l’ex manicomio, restituendogli quel ruolo centrale nei confronti del Comune di Limbiate e del territorio, che lo ha contraddistinto in passato, conservandone l’identità. Lo sviluppo del progetto si può articolare in tre temi principali: storico- paesaggistico, ambientale ed urbanistico, che affrontano questioni, già inquadrate nella fase di diagnosi, come la memoria del luogo, la valorizzazione ed il contatto sostenibile con l’ambiente e la ricucitura urbana.

2.1.1 Il tema storico-paesaggistico

I complessi manicomiali vengono oggi identificati come Beni Culturali, riconoscendo il loro valore antropologico e paesaggistico a livello nazionale. Il complesso manicomiale di Mombello conferma a pieno questa attribuzione di valore, non solo per la sua storia psichiatrica, ma anche per le preesistenze legate alla residenza nobiliare della villa Pusterla. Nonostante lo stato di degrado, l’edificato dell’ex ospedale è ancora in grado di trasmettere l’organicità della vita manicomiale. La posizione isolata, la complessa e precisa articolazione e suddivisione interna dei comparti, la sobria e dignitosa forma delle più antiche costruzioni e la presenza di ampie aree verdi rispecchiano i canoni dell’architettura manicomiale ed esprimono l’importanza data dagli alienisti di fine Ottocento al ruolo che l’edificio e l’ambiente dovevano svolgere nel trattamento morale e organico del malato. Le mura perimetrali e le recinzioni degli spazi pertinenti ai singoli padiglioni testimoniano il trattamento di isolamento e segregazione destinato ai folli. Sia la dimensione, sia la recente edificazione di edifici destinati a singole funzioni di servizio, come la lavanderia, la cucina o il guardaroba, sono in grado di comunicare, inoltre, l’imponente dimensione della macchina manicomiale di Mombello e la sua continua evoluzione sino agli anni settanta. Infine la presenza

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di servizi tecnologici indipendenti e di edifici dedicati a funzioni agricole, produttive e terziarie oltre a quella medica, testimoniano l’autosufficienza dell’Antonini in merito a urbanizzazioni primarie e secondarie ed il quantitativo di personale che gravitava all’interno dell’area. Parallelamente l’edificio di villa Pusterla, unitamente al suo passato di dimora storica degli Arconati e dei Crivelli, alle sue glorie Napoleoniche e all’importanza botanica del suo giardino storico, attribuisce ulteriore valore al caso di studio e costituisce motivo di orgoglio locale. Tutte queste testimonianze, aventi valore di civiltà, devono essere trasmesse in quanto da una parte costituiscono l’identità del luogo e dall’altra raccontano il comportamento dell’uomo nei confronti della malattia mentale e la sua condizione all’interno di essa. È responsabilità del progettista valutare criticamente queste testimonianze e scegliere cosa rivelare, per poi tradurlo in scelte progettuali che ne facilitino la comprensione. Nel masterplan si decide dunque di conservare il paesaggio manicomiale, caratterizzato dalla simmetrica disposizione ed organicità degli edifici e viali, dalla diversificazione dei percorsi carrabili e pedonali. Stessa attenzione viene riservata per il parco storico della villa ed il suo belvedere, conservati nelle essenze arboree, nelle forme e nei percorsi; ma anche per le vedute d’insieme sulla dimora e sulle sue pertinenze, che vengono conservate o ricostituite con nuovi assi prospettici, caratteristici dello schema tipo delle ville lombarde. La realizzazione di un adatto e funzionale spazio per la conservazione e consultazione a richiesta del materiale di archivio clinico e storico del complesso manicomiale, deve essere contestuale a tale spazio museale, concorrendo così a creare un unico polo culturale all’interno dell’Antonini. A nostro parere l’edificio che maggiormente si presta ad ospitare tali funzioni è la villa Pusterla. La dimora infatti è fortemente evocativa non solo dell’epoca manicomiale, ma anche dei precedenti fasti di Mombello, ed è occasione per integrare all’interno degli spazi museali la storia del luogo con la storia della malattia mentale. Riferendoci poi agli effettivi interventi edilizi di progetto, coesisteranno nel masterplan interventi2 di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, di demolizione e nuova costruzione, che dovranno dialogare secondo una logica di sensibilità paesaggistica riconosciuta per ogni edificio o comparto. - L’intervento di restauro è previsto, in primo luogo, per il complesso di villa Crivelli-Pusterla e l’oratorio annesso riconosciuti come beni di interesse storico e artistico per le loro forme e per il documentato contributo architettonico di Borroni, Croce e Bassi. - Gli interventi di risanamento conservativo si destinano invece ai restanti padiglioni del complesso, oggi in stato di abbandono. L’intervento deve preservare le facciate nelle sue forme e le diverse tipologie architettoniche, caratteristiche dell’architettura manicomiale. E’ bene quindi che si conservino i caratteri comuni ad ogni comparto, distinguendoli in: il comparto dei padiglioni di degenza, il più rappresentativo del classico impianto manicomiale, il comparto dei cronicari, il comparto industriale, dalla riconoscibile architettura produttiva e realizzato con materiali prodotti in loco, il comparto della villa e le sue pertinenze, il comparto delle lavanderie,

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il comparto agricolo, il comparto d’isolamento ed il comparto sportivo-ricreativo. Per quanto riguarda gli spazi interni, si consente la risistemazione con tecnologie differenti dalle originali, che meglio si prestino alle destinazioni di progetto e siano facilmente riconoscibili, preservando la leggibilità dell’originario assetto. L’intervento sarà tanto meno invasivo, quanto più alto è il valore architettonico formale dell’edificio: esempio di facile comprensione è la differenza tra il risanamento di un padiglione ottocentesco ad U ed un più moderno edificio di servizio degli anni sessanta. - Interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sono destinati agli edifici attualmente in uso dove verrà confermata la funzione, o dove ne verrà inserita una sostitutiva. Anche in questo caso vale quanto sopra indicato riguardo il rispetto delle caratteristiche dei comparti. - Come consentito dal PGT, si prevede anche la demolizione e nuova costruzione senza l’aumento delle volumetrie. Si è scelto di abbattere gli edifici di scarso interesse formale e storico ed in stato di abbandono, qualora potessero essere sostituiti da volumi più funzionali e potenziali promotori di un miglioramento della percezione spaziale e paesaggistica dell’area. Argomento che non prevede uno specifico intervento edilizio, ma di grande valenza storica e paesaggistica è quello del recinto3 manicomiale. Oltre a rappresentare la duplice valenza di isolamento ed internamento delle strutture manicomiali, il recinto di Mombello è diventato tratto caratteristico del paesaggio dell’abitato radicato attorno ai tre recinti. “La funzione e il significato del recinto dipendono dal modo con cui si evoca e concretizza la sua presenza: concepito, da un lato, come dispositivo di inclusione di un insieme di elementi aggregabili, dall’altro come cesura, barriera che esclude il diverso, esso interdice e recide la libera fruizione, lo scambio, la visibilità”4. Il ruolo di isolamento del muro di cinta dei manicomi ne ha sempre condizionato le caratteristiche materiche, rendendolo impermeabile alle persone ed anche alla vista. Nella fase progettuale, tale aspetto va quindi opportunatamente gestito per evitare un’estremizzazione della pratica dell’esclusività ed aumentare il senso di sicurezza. A tal fine ne andranno verificate e calibrate le caratteristiche dimensionali, localizzative, formali, valutando la possibile permeabilità visiva, funzionale e sociale. Si prevedono quindi l’inserimento di punti di permeabilità visiva in corrispondenza di vedute strategiche, la riapertura degli accessi inutilizzati e la creazione di nuovi accessi, assecondando i principi di ricucitura urbana. In questi casi, per preservare il valore culturale e storico del recinto, si decide di mantenerne il tracciato, utilizzando elementi sostitutivi, come la pavimentazione, l’arredo urbano e l’illuminazione, che ne evochino le forme.

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2. PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DI MOMBELLO

2.1.2 Il tema ambientale

“[...] debbo insistere sulla non coincidenza di paesaggio e di ambiente, essendo il paesaggio il costituirsi di un luogo come individualità estetica, mentre ambiente è l’insieme delle caratteristiche che rendono un luogo più o meno vivibile fisicamente.”5 In accordo con la distinzione di Assunto, presentiamo ora il tema ambientale del progetto che delinea la valorizzazione ed il contatto sostenibile con il territorio. Fu proprio per le sue risorse ambientali che la località di Mombello fu scelta dalla Commissione Provinciale per l’insediamento della succursale della Senavra di Milano. L’ampio parco, i campi coltivati e l’abbondanza d’acqua erano e costituiscono tutt’ora una ricchezza per l’area. Tali risorse ambientali sono oggi ampiamente valorizzate dal contesto in cui sono inserite, ovvero l’ampio ambito naturalistico tutelato del Parco delle Groane: l’area è infatti compresa in un più vasto corridoio verde che si dirama fino al capoluogo lombardo. Alla divisione geomorfologica dell’altopiano e a quella paesaggistico-territoriale del PTCP corrisponde una divisione tipologica ambientale dell’area: da un lato, sul terrazzo, il parco storico della villa e poi dell’ospedale psichiatrico, caratterizzato da lunghi e simmetrici filari alberati di tigli, platani ed da parterre erbosi circondati da cedri, querce, magnolie, faggi, gelsi ed aceri, valorizzati da un percorso botanico recentemente realizzato dall’istituto ITA Castiglioni; dall’altro, nella parte pianeggiante, si estendo ampi campi coltivati ed il giardino botanico curato dall’istituto Castiglioni. Le risorse di Mombello sono state sfruttate nei secoli assecondando le necessità di chi vi era insediato: i giochi d’acqua del giardino nobiliare, le coltivazioni gestite dalle foresterie agricole della villa, il giardino botanico curato dall’abate Crivelli, le colonie agricole dell’ospedale psichiatrico, fino alle attuali strutture agricole zootecniche insediate nell’area. Intento dal masterplan è quello di valorizzare e mantenere le distinte vocazioni delle due unità ambientali presenti all’interno dell’Antonini, sfruttando le eccellenze già esistenti. Per l’ambito pianeggiante si prevede il disegno di un percorso ciclopedonale, che crei una “porta del parco” con la messa in rete delle spazi già presenti di contatto sostenibile con l’ambiente e l’inserimento di strutture che ospitino funzioni sociali e di avvicinamento al tema ambientale. Ad aumentare la forza di questa funzione di filtro tra verde e città si propende, ove possibile, verso la ricostituzione dell’unità territoriale dei campi coltivati, spesso interrotti da costruzioni accessorie all’ospedale. Se queste risorse verranno maggiormente destinate ad un’utenza locale, per l’area superiore si prevede invece una connotazione più accessoria alle funzioni che verranno inserite. I percorsi e le riqualificazioni degli spazi verdi fruibili saranno funzionali alle categorie di utenza, seguendo le delimitazioni delle aree pertinenziali di ciascun padiglione. Le operazioni di riqualificazione verteranno nella maggior parte dei casi verso un intervento di bonifica del verde incolto o deturpato che ne conservi le forme e la piantumazione esistente. Ad unione di queste due distinte zone si pone il sistema ambientale della villa che, aiutato dalla sua morfologia e funzione, costituisce un collegamento sia fisico che tematico. Per gli spazi verdi superiori antistanti il portico

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di ingresso, in buono stato di manutenzione, si mantiene il disegno ottocentesco dei viali. Per la parte inferiore invece si prevede un riordino che risponda ad esigenze di estetica, simmetria, prospettiva e fruibilità e renda il giardino consono al suo uso storico, al sistema delle terrazze e alle forme imponenti della dimora. Si ridisegna quindi un percorso prospettico che parta dalla villa e organizzi un nuovo orto botanico di tipo didattico e divulgativo, composto da percorsi, serre e frutteti.

2.1.3 Il tema urbanistico: la ricucitura

Per quanto riguarda la questione urbanistica, come evidenziato nella fase di analisi, le principali problematiche riguardano la condizione di vuoto urbano dell’area: l’ospedale psichiatrico, privo del suo contenuto funzionale, ha visto decadere il suo ruolo sociale e simbolico nei confronti del contesto urbano circostante, parallelamente al deterioramento delle sue strutture. Tale processo di degrado è sicuramente stato catalizzato dalla vastità dell’area, dalla mancanza di sorveglianza e dal doppio ostacolo fisico rappresentato dal muro di cinta e dall’ impervio dislivello geologico. Se la rifunzionalizzazione degli edifici è il primo passo per la rivitalizzazione del complesso, contestualmente bisogna valutare la corretta connessione e permeabilità dell’area attraverso lo studio e la progettazione dei percorsi. Vista la conformazione del lotto, profondamente disgiunto dalle due unità paesaggistiche in due settori spaziali con accessi indipendenti, possiamo distinguere due forme di percorsi: - I percorsi di accesso, che dall’esterno del recinto conducono ai servizi insediati nelle strutture. - I percorsi di attraversamento, che permettono di transitare nell’area superando l’ostacolo del dislivello, connettendosi alla viabilità esterna nei punti di ingresso ed uscita del recinto. Se la prima forma di percorso è quella destinata ai fruitori dei servizi inseriti, la seconda interessa principalmente la cittadinanza locale, cui è offerta un’alternativa protetta e sostenibile alla viabilità esistente. Facilitando il flusso di attraversamento, oltre ad aumentare i fruitori dell’area e la condizione di sicurezza, si promuovono la conoscenza e la conseguente appropriazione del luogo da parte dei locali. Si prevedono spazi di parcheggio per la viabilità leggera all’interno della piazza e il riordino e l’ampliamento del parcheggio automobilistico esistente, il tutto munito di accesso indipendente da via Monte Grappa. Si evita così la sosta impropria nel piazzale d’ingresso, limitando gli accessi carrabili ai soli autorizzati. La scelta di elevazione di questa area a spazio pubblico nasce non solo dalla presenza del capolinea tramviario, ma anche dall’intersecarsi al suo intorno dei principali assi della viabilità interna. Per quanto riguarda gli altri accessi puntuali al recinto dell’Antonini si considera necessaria, per una corretta

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CENTRO SPORTIVO

permeabilità, la riapertura di tutti gli ingressi storici, oggi in parte murati, serviti da percorsi pedonali, ciclabili o veicolari, il cui utilizzo potrà essere pubblico o riservato, a seconda delle destinazioni d’uso degli edifici adiacenti e delle loro eventuali zone di rispetto. Per completare il sistema degli accessi si ritiene opportuno aggiungere due ulteriori varchi, uno pedonale ad est, di collegamento con le strutture del presidio ospedaliero Corberi ed uno a sud, che sostituisca l’accesso storico rivolto verso il centro di Limbiate, oggi ad uso esclusivo del centro di addestramento per cani guida. Per quanto riguarda l’accesso al recinto del C.R.A.L. si mantengono i due ingressi attuali su via Monte Grappa e si riqualifica il sottopasso di collegamento con l’Antonini. Si prevede un percorso ciclopedonale longitudinale parallelo all’andamento del terrazzo che, percorrendo gradualmente il verde agricolo e le diverse strutture agricole e zootecniche, costituisca una nuova porta per il Parco ed offra un’alternativa ai percorsi esistenti. L’ultimo sistema di attraversamento prevede un accesso esclusivamente pedonale in corrispondenza dell’asse prospettico su villa Pusterla e si dirama nell’area agricola per poi superare il dislivello in corrispondenza della villa e del comparto delle ex lavanderie. Qui, accanto alla messa in sicurezza e risanamento delle gradinate storiche, si progetta l’inserimento di due sistemi automatici di risalita verticale, che garantiscano la corretta accessibilità verso il terrazzo e viceversa. I numerosi accessi previsti nel recinto saranno chiusi nelle ore notturne, ad eccezione della piazza principale, custodita dal personale di sicurezza e degli ingressi di servizio ad edifici con costante utilizzo nelle 24 ore. L’installazione di una corretta illuminazione pubblica e di videosorveglianza, oggi totalmente inesistente, va a completare il sistema di sicurezza.

ISTRUZIONE

SANITA’

CAMPI AGRICOLI

L.O.W. - il progetto di masterplan prevede la riconnessione tra aree a diversa destinazione d’uso e finora separate anche per ragioni di proprietà. La villa Crivelli-Arconati viene posta al centro delle connessioni e relazioni, pur mantenedo la sua autonomia.

SOCIALE

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2.2 FULCRI DEL SISTEMA

2.2.1 Il Corberi: la cittadella della fragilità

Considerando le proposte funzionali suggerite dall’incontro con il professor Munda si è deciso di mantenere l’area del Presidio di Riabilitazione Mentale Corberi secondo la destinazione d’uso attuale. Il Corberi nacque infatti come sistema di edifici atti all’accoglienza e riabilitazione mentale dei pazienti più giovani. Dalla chiusura delle strutture manicomiali nel 1978 a seguito della legge 180 è però conseguito che i giovani pazienti allora ricoverati siano oggigiorno adulti e ancora ospiti della struttura. Attenendoci alle richieste del P.G.T., l’area sarà da destinarsi alla cosiddetta “Cittadella della Fragilità”, ove la cittadinanza possa recarsi per scopi di prevenzione da disabilità mentali, assistenza socio-sanitaria, assistenza legale e luogo di incontro tra i cittadini e i pazienti della struttura. La malattia mentale è in molte manifestazioni causata da un disagio sociale e fisico, e al cune categorie come adolescenti, anoressici o bulimici, tossicodipendenti o disoccupati sono particolarmente esposte al rischio. D’altra parte le famiglie con un paziente con disagio mentale a carico hanno delle difficoltà economiche e faticano a vedere i propri diritti riconosciuti: da questa necessità nascerebbe uno sportello di assistenza legale. In ultima analisi la possibilità di ricucire la struttura psichiatrica alla città di Limbiate, sia attraverso progetti di riqualificazione architettonica e rigenerazione urbana, sia sotto l’aspetto sociale, sarebbe di grande beneficio sia per la cittadinanza, così nuovamente riappropriatasi di un’icona storica di città, che per i pazienti del Corberi, non più segregati in un recinto di mura ma resi partecipi di un confronto con la realtà cittadina anche attraverso possibili spazi commerciali e di lavoro.

2.2.2 Villa Crivelli Pusterla: il Museo della Follia

Villa Crivelli Pusterla è il centro strategico-funzionale dell’intero progetto di riqualificazione dell’area. Diversamente dalle altre macro-funzioni, a ciascuna delle quali è stata destinata una superficie di pertinenza, la villa si caratterizza come centro puntuale della cultura, raggiunta da assi viari e di percorrenza provenienti dal resto dei centri funzionali dell’area. A ragione della sua posizione strategica si è deciso di valorizzare il patrimonio artistico, culturale e architettonico dell’edificio, andando a salvaguardare i fronti, le decorazioni e

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2. PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DI MOMBELLO

strutture interne, e il belvedere del terrazzo prospiciente su un giardino botanico. La nuova destinazione d’uso prevede spazi per convention e concerti, ambienti adatti a ospitare mostre temporanee, sale per catering ed eventi (che potrebbero essere organizzati dal ristorante in gestione alla cooperativa Alba di Bacco) e da ultimo locali bibliotecari e di archivio storico dell’Azienda Ospedaliera “Guido Salvini” di Garbagnate M.se, tutt’oggi in possesso dei documenti storici dell’ex manicomio Antonini. Una funzione complementare a quelle ospitate nella villa storica consiste nel Museo della Follia, sviluppabile nell’edificio che ospitava le cucine al tempo del manicomio. Il Museo della Follia nasce da un’intuizione di Vittorio Sgarbi, generatore di una mostra itinerante per tutte le strutture manicomiali dismesse in Italia, capace di spiegare ai molti visitatori la malattia mentale attraverso la storia, le legislazioni inerenti, e la produzione letteraria e artistica a riguardo. Tuttavia riteniamo che la conservazione di queste strutture e spazi non basti per la comprensione del loro valore ma, visto lo stigma e l’ignoranza ancora esistente nei riguardi dell’istituzione manicomiale, sia necessario allo stesso tempo aiutare il fruitore ad una contestualizzazione delle pratiche mediche inerenti alla salute mentale. Questo può avvenire promuovendo il contatto con documenti storici che ne permettano una conoscenza critica: prevediamo quindi un luogo di esposizione e divulgazione di materiale artistico e storico inerente la follia, un luogo di consultazione degli archivi clinici e la realizzazione di una trama di percorsi tematici tra i padiglioni. Si progetta pertanto l’inserimento di un museo della storia della psichiatria, efficace mezzo di promozione e conoscenza, che possa combattere questo stigma che ancora oggi circonda la malattia mentale, operando un’azione di promozione tramite l’informazione, sia essa storica, riguardante cioè la dimensione medica e psichiatrica delle pratiche coercitive, sia essa sociale, nel testimoniare al moderno visitatore la vera essenza delle strutture manicomiali 6.

2.2.3 Il nuovo centro di Traumatologia dello Sport

Per quanto concerne l’elemento rigeneratore dell’intera struttura, il L.O.W. (Limbiate Orthopedic Wire) si pone come elemento principale, forte della sua spiccata longitudinalità. L’intervento di ricucitura ha condotto in questo caso a connettere gli edifici a corte esistenti per mezzo di un percorso, una spina, che partendo dalla clinica raggiungesse l’edificio della Biomeccanica. Le due centralità che riguardano i fabbricati di nuova costruzione sono la piazza coperta e le strutture riabilitative: la prima consiste in un ampio spazio coperto, definito dagli allineamenti degli edifici a corte esistenti, ambiente semi-pubblico di interazione tra le due corti contenenti la clinica ortopedica; le seconde consistono in un foyer dalla quale copertura fuoriescono i volumi della palestra e della piscina riabilitative. Percorrendo la spina ci si imbatte in particolari situazioni di verde esterne, studiate all’interno delle corti e negli spazi interstiziali tra un corpo di fabbrica esistente e quelli aggiunti da progetto, in modo tale che la

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2. PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DI MOMBELLO

MODALITA’ DI CONNESSIONE E COLLEGAMENTO

percorrenza non risulti e che il paziente possa giovare del beneficio attribuito a fiori e piante i cui colori PIASTRAnoiosa DI INCASTRI DI VOLUMI Stores COLLEGAMENTO e profumi sono considerati terapeutici. Istituo Agrario e Commerciale

PIASTRA DI COLLEGAMENTO Istituo Agrario e Commerciale

PIASTRA DI COLLEGAMENTO COLLEGAMENTO A TERRA INCASTRI DI VOLUMI

IstituoeAgrario e Commerciale Parco centro sportivo Stores

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Commerciale

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La spina del percorso è l’elemento paradigmatico del progetto. Le ragioni che ci hanno portato ad una tale scelta progettuale sono: da una parte il superamento della tipologia a padiglioni per una struttura ospedaliera, e la riqualificazione e connessione tra gli stessi pareva l’unica via per la rigenerazione; d’altra parte, secondo il concetto di compattezza nei saggi di Moneo, abbiamo preferito ridare unità e forza agli edifici connettendoli piuttosto che operare frammentariamente su ciascuno. Lungo la spina varie situazioni di arredo rendono il INCASTRI DI VOLUMI Storesnoioso, percorso meno quali librerie, e viste DIsulle corti interne, fioriere. Nel nodo tra percorso COLLEGAMENTO A TERRA divanetti, apertureINCASTRI VOLUMI Parco e centro sportivo Clinica ortopedica LOW e teste degli edifici esistenti si creano ambienti di attesa, caratterizzati da uno studio più approfondito della luce artificiale, rispetto alle parti esterne agli edifici sostentate solo dalla luce naturale. All’interno del percorso sono inserite delle vasche di vegetazione che vanno a coprire delle fasce di sedute per mezzo di grandi cespugli, veicolando una sensazione di privacy altrimenti mancanti.

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«…Un repertorio, senza proclami, senza manifesti, senza denunce. Uomini e donne come noi, sfortunati, Stores INCASTRI DI VOLUMI Clinica ortopedica LOW vivi nella incredula disperazione dei loro sguardi. Condannati senza colpa, incriminati umiliati, isolati. E ancora senza reati per il solo destino di essere diversi, cioè individui. Inzerillo dà la traccia, evoca inevitabilmente Sigmund Freud e Michel Foucault, e apre la strada a un inedito riconoscimento, a una poesia della follia che muove i giovani in questa impresa. Sara Pallavicini, Giovanni Lettini e Stefano Morelli. Determinati, liberi, folli. Ed ecco il loro museo. Nella storia dell’arte, anche prima dei casi clamorosi di Van Gogh e di Ligabue, molti sono gli artisti la cui mente è attraversata dal turbamento, che si esprimono in una lingua visionaria e allucinata. Ognuno di loro ha una storia, una dimensione che non si misura con la realtà, ma con il sogno. E INCASTRI DI VOLUMI quel sogno,Clinica conortopedica piena LOW soddisfazione, oltre ogni tormento, rappresenta.» Vittorio Sgarbi

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Dall’idea di Vittorio Sgarbi riguardo un museo della follia itinerante in tutte le strutture italiane che ospitavano manicomi, ci è parso necessario predisporre un edificio esistente, che in passato ospitava le cucine e la dispensa dell’Antonini, ad accogliere una tale manifestazione di cultura. Non si tratta di un museo del terrore quali quelli in prossimità dei campi di concentramento nazisti, ma di spazi che mostrino immagini, documenti, oggetti narratori delle condizioni umilianti e dolenti dell’alienazione. I ritratti ritrovati nelle cartelle cliniche di alcuni ex-manicomi compongono una griglia di oltre cinque metri. Un neon luminoso dona luce e rumore ai pensieri di ciascun volto. Come funzione necessaria ad accogliere parenti e visitatori, studenti e ricercatori, e chiunque sia interessato a visitare L.O.W. ma non fosse residente nelle vicinanze, abbiamo progettato la rifunzionizzazione a residenza di due edifici esistenti collocati all’incrocio tra via Monte Grappa e via Napoleone Bonaparte. Tali edificati sono infatti quelli a più stretto contatto con l’abitato di Mombello, e ricercano quindi i flussi non

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2. PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DI MOMBELLO

unicamente interni ma anche quelli dell’abitato. Tra le ali di ciascuna residenza sono previste attività commerciali per la vendita di tutori e abbigliamento sportivo ma anche bar e tipologie comuni alla struttura e alla città all’esterno.

2.2.4 Istruzione

L’area posta all’estremo nord del complesso comprende gli edifici che ospitano l’Istituto tecnico commerciale P.A.C.L.E. Elsa Morante e quelli che, a conclusione della ristrutturazione in corso, ospiteranno l’Istituto tecnico agrario Luigi Castiglioni. L’area situata in posizione marginale con accesso indipendente, dotata di una buona superfice pertinenziale destinata a verde, ben si presta alla sua funzione scolastica. Per questa ragione si intende mantenere la sua attuale conformazione. Visto il grande flusso di persone che comportano i due istituti si è posta un’attenzione particolare nel disegno dei percorsi di accesso all’area. Per gli edifici dell’ITC, visto il buono stato di conservazione ed utilizzo, non si prevede altro intervento all’infuori dell’ordinaria manutenzione. Gli edifici destinati ad ospitare l’ITA invece sono oggi oggetto di risanamento conservativo e nuova costruzione, con chiusura di cantiere prevista per fine anno 2014.

2.2.5 Sociale

I campi agricoli che si trovano al di sotto del declivio verranno disposti ad usufrutto della comunità Alba di Bacco per il recupero da dipendenze croniche. La produzione agricola sfocerà in uno spazio di vendita dei prodotti agroalimentari e il loro utilizzo nel ristorante ivi accostato. La Comunità Alba di Bacco si rivolge a soggetti che presentano una diagnosi tossicologica d’abuso o dipendenza da alcol associata o meno a poliabuso di altre sostanze psicotrope (cannabis, cocaina e psicofarmaci) e comorbili per disturbi psichici in particolare BPD. Il progetto struttura piani d’intervento in forma modulare che coinvolge la famiglia e i servizi territoriali con particolare attenzione alla continuità assistenziale. La comunità Alba di Bacco fornisce gratuitamente prestazioni se e per quanto previsto nei livelli di assistenza garantiti dal Servizio Sanitario Regionale. La finalità della struttura è orientata alla ricerca di un possibile equilibrio sia fisico sia psicologico che consente alla persona di contrastare la dipendenza patologica e di condurre una vita socialmente integrata.

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2. PROGETTO DI RIGENERAZIONE URBANA DI MOMBELLO

Le aree con funzione agricola e zootecnica, presenti all’interno del complesso e disposte in maniera diffusa nell’area pianeggiante, sono oggi attive ed aperte al cittadino. Questa fruibilità le eleva ad essere un filtro tra l’abitato ed il parco delle Groane, creando un contatto sostenibile con l’ambiente, ovvero le cosiddette “porte del parco”, luoghi di contatto e di incontro con il verde, auspicate nel PGT. Il percorso di attraversamento ciclopedonale sud-nord, previsto nel settore agricolo di Mombello, il diventa così un passaggio graduale che, partendo dal centro di Limbiate, passa per le strutture di addestramento, lo spazio di coltivazione e vendita botanica della cooperativa di reinserimento sociale, il giardino botanico, le serre, l’azienda agricola dell’istituto di agraria, per poi sfociare nel parco delle Groane. Tutti gli edifici menzionati sono in buono stato di conservazione ed utilizzo e non si prevede altro intervento all’infuori dell’ordinaria manutenzione.

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3. HEALING ARCHITECTURE

3.1 OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO DI MILANO

Nel progetto del sistema delle aree verdi del Policlinico di Milano si è inteso dare forte riconoscibilità visiva a tutto l’intervento - dall’alto e lungo tutti i sistemi di percorrenza che si relazionano al principale sistema di flussi e attraversamenti, in modo da consentire a ciascun fruitore di orientarsi facilmente anche attraverso il sistema del verde che si concentra appositamente in determinate isole - andando a realizzare giardini tematici in cui sia possibile passeggiare, sostare, fare delle attività e godere degli stimoli sensoriali che la natura offre. L’idea che si è privilegiata all’interno del progetto degli spazi aperti7 è la visione del giardino come una sorta di contenitore in cui possa crearsi un rapporto diretto con le piante e con i fiori attraverso tutti i cinque sensi: un contatto benefico in grado di agire attivamente anche solo con la propria presenza, con la propria capacità di trasformare e vivificare la percezione in ogni sua manifestazione. Tuttavia la vista è stata interpretata come senso sintetico delle altre percezioni: ciascuna macroarea di intervento è stata infatti connotata con alberature che presentassero determinate tipologie di chiome colorate. Per la realizzazione di questo sistema di giardini sono stati considerati gli studi inerenti all’Health Outcomes, che indagano gli influssi positivi del paesaggio terapeutico sui processi di guarigione dei pazienti anche attraverso le visioni dall’alto, che traspaiono dalle grandi finestrate delle degenze, degli ambulatori e della futura università in affaccio su questi spazi. Si è impostato quindi un sistema di isole tematiche che consentono la fruizione e la percezione degli spazi verdi rispetto ai punti di vista generati dai vari edifici del sistema ospedaliero. Secondo una strategia di “dispersione-diffusione” di interventi vegetali, come le “bolle” energetiche di alberi e arbusti, si è in grado di ridare vita alle parti degradate comprese all’interno del recinto del Policlinico e di inventare nuovi spazi e/o nuove situazioni inaspettate. Il sistema dei giardini prevede una successione di ambiti che si snodano dall’Università Statale al Policlinico: - il nuovo giardino dell’Università: il giardino dei profumi che si costruisce attraverso la creazione di ambiti più raccolti e meditativi; - il giardino dei colori: il giardino delle alberature e degli arbusti colorati, fulcro del Policlinico; - i giardini sonori, che ospitano il “giardino dei giochi”, playground per bambini, “il giardino del vento” per la lettura, “il giardino delle voci” per le passeggiate di anziani, ambito più appartato, e la zona bar-relax di servizio all’ospedale. Infine si è proposto un giardino verticale, o meglio un “tessuto vegetale”, in grado di avvolgere come pelle

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3. HEALING ARCHITECTURE

parte dell’edificio della ex Mangiagalli e parte dei giardini in quota realizzati. La struttura e la successione dei giardini proposti potranno ricostruire atmosfere solitarie o di relazione consentendo così la riduzione dello stress per chi lavora nell’area ospedaliera, l’allontanamento dall’area sterile dell’ospedale e il reinserimento nella quotidianità con il movimento, reso possibile attraverso i numerosi e differenti percorsi presenti nell’area. I fattori urbani urbani negativi (rumore, smog, luce artificiale) verranno quindi minimizzati nei giardini attraverso il privilegio della luce naturale, l’uso di essenze profumate e colorate, la creazione di ambiti in cui si possa apprezzare componenti sonore favorite dal vento e dalla presenza di avifauna: elementi che possono avere di fatto effetti positivi sull’uomo. Gli studi inerenti all’Health Outcomes prevedono la progettazione di Healing Gardens, ossia di aree verdi annesse alle strutture di cura e assistenza il cui scopo principale è il raggiungimento del benessere psicofisico di coloro che ne usufruiscono: pazienti, visitatori e staff medico. Mentre la cura è una questione fisica data da fattori esterni, la guarigione è un processo con cui si ristabilisce l’equilibrio generale della persona malata. La creazione di “giardini terapeutici” attribuisce agli spazi verdi lo stesso valore curativo dato dalla struttura ospedaliera. Il giardino può curare agendo sull’individuo in modo passivo come interazione tra uomo e natura, attraverso la semplice osservazione - che si trasforma in momento di fuga e di estraniazione dalla realtà contingente regalando attimi di pace e serenità (vista dei giardini dalle finestre, da punti di vista lontani) - o attraverso una interazione attiva. In quest’ultimo caso si intende un giardino in cui il malato, ma anche il visitatore e lo staff medico, vive attivamente cercando un contatto diretto con il verde: passeggiando, toccando le piante in ogni loro fase di crescita o cambiamento, mangiando all’aria aperta, socializzando. Il giardino può quindi curare attivamente esercitando un’azione di sollievo e di distrazione data dalla semplice vista del verde, in grado di innescare, in primo luogo, nei degenti ma anche nei cittadini che frequentano l’area, una sorta di allontanamento da ciò che li circonda; in secondo luogo, la natura conduce il malato all’accettazione del suo stato, che si traduce in un miglioramento dello stato di salute e in una diminuzione della somministrazione di farmaci, abbreviando anche il periodo di degenza. Un paesaggio “terapeutico” è un paesaggio che svolge quindi un servizio di appoggio, è un paesaggio che aiuta a recuperare una sanità alterata, un equilibrio perso. Attraverso l’abitare, l’esplorare, il contemplare il paesaggio si ricostruisce quindi anche l’equilibrio interiore. Il primo sito di intervento comprende lo spazio precedentemente occupato dalla camera mortuaria che in un ottica futuribile potrebbe contenere, abbattuto l’edificio, un giardino dei profumi raccolto ospitato tra la fermata della metropolitana e la chiesa, che corre parallelo all’università e che si pone come nuovo elemento di valorizzazione urbana e ambientale in un’area che oggi risulta essere degradata e adibita a parcheggio. Il filare esistente di bagolari (Celtis australis) viene potenziato da un giardino in testata composto da erbe

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aromatiche e officinali che intende ricreare un’ambientazione meditativa e di concentrazione. Si intende evocare il clima di raccoglimento e la “divisione dello spazio” dei chiostri antichi, riconfigurandoli in un’ottica contemporanea come stanze a livello -1 e +1, spostandone quindi il piano di percorrenza e di approccio. Si individuano quindi i chiostri esterni dell’Università, spazi di studio, socialità e sosta attrezzati con panchine, ombreggiati da alberature spoglianti di paulonia (Paulownia tomentosa) che ne permettano la fruizione durante l’estate, godendone l’ombra, e durante l’inverno. In questo giardino è il profumo delle piante officinali e della terra ad accompagnare il visitatore. In questa “isola” il colore è trattato come piacere energetico che disegna bolle di giardini cromatici che segnano l’entrata del Policlinico a partire da Porta Sforza. Il percorso di ingresso è segnalato da un filare di magnolie (Magnolia grandiflora) che culmina nella prima bolla di magnolie (Magnolia x solangeana) per poi proseguire in una successione di giardini che comprendono gli esemplari di alberature preesistenti e che sono completati da esemplari di aceri (Acer rubrum) e di alberi di giuda (Cercis siliquastrum), alberature che costituiscono macchie colorate di riferimento. In particolare modo i Cercis siliquastrum accompagnano il visitatore lungo il percorso trasversale che collega il nuovo Policlinico al Giardino della Guastalla. Il percorso in quota al piano +2 si snoda tra le chiome degli alberi, di coloriture e forme diverse durante le varie stagioni. L’idea di una piazza sopraelevata offre l’opportunità di realizzare un innovativo spazio urbano in quota che assecondi l’immagine storica di “giardino pensile” con aree e funzioni tematiche concentrate. Questo grande piano sopraelevato, popolato da piante e arbusti raggruppati per isole di attività, suggerisce l’idea di realizzare unità di giardini sonori in cui sia possibile percepire i rumori dei piccoli boschetti grazie all’utilizzo di specie arboree in grado di attirare avifauna o facilmente flessibili al vento. Lungo i percorsi e nelle zone di sosta sono comunque stati disposti elementi vegetali che per colore, profumo e consistenza risultano essere biostimolatori importanti, oltre a costituire un paesaggio variegato e composito. Si è privilegiato però il tema del suono in quanto offre un interessante campo di indagine e sperimentazione vegetale: se il colore e il profumo rappresentano soglie percettive quasi automatiche, il rumore della natura e dei “materiali” che la compongono è più difficile da riconoscere. Le piante sono state raggruppate, in relazione agli aspetti decorativi, secondo il fogliame, i fiori, i frutti, l’architettura dei rami, l’aspetto della corteccia, la forma e il portamento. Il fogliame rappresenta di fatto l’elemento più evidente, soprattutto dai piani delle degenze che sovrastano il bosco sospeso, per per questo si è scelto di ricreare ambiti boschivi che cambiano colore e forma nell’alternarsi delle stagioni e dei mesi. Sono previste specie a fogliame sempreverde da contrapporre ad alberi spoglianti che mettano in mostra rami e tronchi nella stagione invernale, permettendo di riconoscere i cicli della natura.

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Le piante a fogliame persistente, come il bamboo che presenta le foglie lungo tutta l’altezza, rappresentano le perfette quinte schermanti. Gli aceri sono stati utilizzati per il colore del fogliame che varia in autunno passando per le sfumature del rosso e del giallo. La componente fiorita viene apportata dall’Osmanthus fragrans, pianta sempreverde profumatissima. Il giardino della quiete è stato pensato per favorire le passeggiate degli anziani, accompagnati meno dai visitatori o personale ospedaliero. Per connotare questo giardino si sono utilizzate specie alberate spoglianti quali aceri (Acer cappadocicum “Aureum”), le cui foglie dai vivaci colori giallo e arancione ben si prestano a costituire un letto che crepita al calpestio dei visitatori. Inoltre sono stati pensati percorsi che favoriscono il contatto con la natura, disegnati con arbusti rustici di biancospino (Crataegus monogyna), rosa canina (Rosa canina) e Cornus sanguinea, che rappresentano un habitat adatto per volatili e avifauna, rendendo così il percorso sonoro e stimolatore. Il giardino del vento ospita l”isola del relax”, pensata per le pause e le letture dei visitatori e degli operatori dell’ospedale. Si tratta di un ambito raccolto, impenetrabile alla vista, dove la presenza del bamboo (Phyllostachys bissetii), con la caratteristica consistenza di foresta lineare verde, offre un luogo ovattato in cui sia possibile fermarsi, leggere, rimanere seduti e apprezzare l’isolamento dal rumore in alternanza al fruscio del vento che ne fa vibrare le flessibili canne, componendo così un paesaggio sonoro per eccellenza, poetico e meditativo. Il giardino del ristoro ospita il ristoro-café dell’ospedale. Si sono previste installazioni musicali tra gli alberi che possano accompagnare l’utente durante una pausa o un momento di relax, privilegiando la natura “più artificiale” e più urbana del suono, modificabile rapidamente nei diversi momenti della giornata secondo il flusso dei visitatori. Una corona di aceri (Acer japonicum), il cui fogliame assume vivaci colorazioni autunnali giallo-aranciorossastre prima di perdere le foglie, costituisce la struttura naturale del giardino musicale, abbinando al suono la percezione del rito delle stagioni.

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ABDA architetti / Boeri Studio, Policlinico di Milano, vista aerea. Riqualificazione dei padiglioni esistenti e del sistema delle aree verdi a scopi terapeutici. 25


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Giardini pensili di Babilonia, serigrafia 26


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3.2 IL RAPPORTO TRA SPAZI INTERNI ED ESTERNI NEL L.O.W.

Per gli spazi esterni agli edifici del L.O.W. si è deciso di creare un sistema di aree pubbliche e verdi che possano servire da “sfogo” ed assumere funzioni terapeutiche per i pazienti ricoverati. Analogamente all’azione di connettere gli edifici, nello studio degli spazi aperti si è scelta l’acqua, sotto la forma di un canale largo 90 cm e profondo 45, quale elemento di connessione tra gli elementi di progetto del verde. La continuità delle vasche d’acqua, del percorso ad esse parallelo, le lievi pendenze e le essenze terapeutiche sono tutti fattori che concorrono al benessere e alla guarigione del degente, che osservando i miglioramenti della propria condizione fisica parallelamente all’avanzare delle stagioni, riesce a non smarrire la concezione del tempo e ad apprezzarne il valore.

3.2.1 La piazza di accesso e il parco dei colori

I monumenti a Giuseppe Antonini e S. Raffaele sono il primo elemento dello spazio aperto che si incontra dopo aver superato la porta d’ingresso. Esse poggiano su un basamento in ottone brunito inserito all’interno di una fontana a sfioro. L’elemento di filtro tra il parcheggio e gli edifici è un’ampio specchio d’acqua dove gli stessi possono specchiarsi, delimitato da un pergolato che sostiene piante di glicine che vanno a riposare sull’acqua. A sinistra del fronte d’ingresso e delle statue si apre il parco dei colori che giunge a inglobare la torre, che in passato fungeva da serbatoio delle acque e che ora viene utilizzata come parete d’arrampicata e punto di partenza del sistema di percorsi d’acqua. Dalla piazza di ingresso i profili che definiscono le aree a parco sono leggermente in pendenza, fino a un’altezza massima di 1.5 m nella rotonda dove è situata la torre, accompagnando chi ne usufruisce ad abbandonarsi sempre più all’elemento naturale. Le alberature che arricchiscono la percezione visiva di quest’area verde si rifanno al ceppo degli acer, come ad esempio Acer rubrum, Acer cappadocicum “Aureum”, Acer japonicum, Liquidambar. Gli aceri sono stati utilizzati per il colore del fogliame che varia in autunno passando per le sfumature del rosso e del giallo. La componente fiorita viene apportata dall’Osmanthus fragrans, pianta sempreverde profumatissima. Le essenze delle alberature sono organizzate in diverse aree e differenti macchie, così che siano ben definibili le diverse tempistiche di caduta e cambiamento del colore delle foglie. Sono previste specie a fogliame sempreverde da contrapporre ad alberi spoglianti che mettano in mostra rami e tronchi nella stagione invernale, permettendo di riconoscere i cicli della natura. Come piante sempreverdi

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si è optato per macchie di querceti poiché rappresentano il tipo di soprassuolo forestale più evoluto e in equilibrio con l’ambiente all’interno del sistema ambientale del Parco delle Groane. I querceti sono costituiti prevalentemente da farnie, ma sono presenti anche roveri.

3.2.2 Il giardino della quiete

La condizione necessaria affinché le funzioni terapeutiche del giardino della quiete possano ottenere la loro efficacia risiede in una schermatura dalla strada e dal vento per mezzo di un filare di pioppi e cipressi a nord, e un lungo traliccio di gelsomino ad ovest. In prossimità dell’edificio della Biomeccanica e del percorso coperto che parte da esso si sono disposti due filari di alberi da frutto, uno di pero e uno di pesco, e appena ci si palesa al di fuori della spina ci si imbatte in una quercia secolare, che getta la sua grande ombra su un ampio prato tagliato a raso. Al percorso che fuoriesce dalla spina si affianca un rivolo d’acqua ad esso parallelo, dal quale si diramano degli specchi d’acqua in mezzo ai quali vengono ospitati dei padiglioni scoperti in calcestruzzo trattato a vista. L’idea archetipica di questo recinto d’acqua proviene dal concetto di “connettere” gli spazi aperti, secondo la quale il flusso acque che proviene dalla torre serbatoio defluisce nel giardino della quiete e rinasce nella fontana a sfioro ivi inserita. La funzionalità apportata da un flusso continuo agirebbe quale elemento di collegamento, sfruttando la grande disponibilità di acqua di falda, veicolando la sensazione di tranquillità a tutto il sistema. Si individuano quindi i percorsi esterni alla palestra ombreggiati da alberature spoglianti di paulonia (Paulownia tomentosa) che ne permettano la fruizione durante l’estate, godendone l’ombra, e durante l’inverno. 29


3. HEALING ARCHITECTURE

3.2.3 I chiostri dei profumi

All’interno delle corti degli edifici esistenti sono previste delle lunghe vasche di erbe aromatiche e officinali, che intendono ricreare un’ambientazione meditativa e di concentrazione. Si intende evocare il clima di raccoglimento e la “divisione dello spazio” dei chiostri antichi, riconfigurandoli in un’ottica contemporanea come stanze a livello terra. Ognuna delle corti è caratterizzata da diversi tipi di erbe officinali: 1. Erbe officinali da cucina: Menta (Mentha x piperita), Rosmarino (Rosmarinus officinalis), Salvia (Salvia officinalis), Timo (Thymus vulgaris);

2. Erbe aromatiche angiosperme (agrumi): Bergamotto (Citrus bergamia); Cedro (Citrus medica); Chinotto (Citrus myrtifolia); Limone (Citrus limon); Mandarino (Citrus reticulata); 3. Erbe aromatiche rilassanti: Arnica (Arnica montana), Camomilla romana (Chamaemelum nobile), Lavanda (Lavanda angustifolia), Melissa (Melissa officinalis). Le vasche che contengono le essenze di ogni corte sono a raso con la pavimentazione e si interrompono a 1.8 m dalla preesistenza, limite dal quale ha inizio la pavimentazione perimetrale. La presenza di essenze di questo genere permette la deodorazione delle camere di degenza durante le fasi di ricambio d’aria.

3.2.4 Il giardino del ristoro e la piazza di Villa Arconati

Piazza Giuseppe Arconati si relaziona allo spazio coperto della clinica attraverso delle piattaforme a gradoni che vengono tagliate da un percorso secondo le medesime inclinazioni che definivano i recinti interni all’edificio. Il rapporto con la strada che passa a nord è schermato da un filare di alberi posti al di sopra della piattaforma più alta. I gradoni a verde prevedono delle essenze che vadano decrescendo gradualmente fino ad arrivare al livello meno rialzato dal livello di pavimentazione della piazza. In quest’ultima sezione trovano spazio delle installazioni artistiche collocate al di sopra di un manto erboso tagliato a raso. Analogamente alle piattaforme a verde, le vasche d’acqua hanno altezze decrescenti e nel livello più basso sono ospitati giochi d’acqua che partano dal livello della pavimentazione. 30


3. HEALING ARCHITECTURE

Arnica Longifolia

Lavandula

Matricaria chamomilla

Melissa Officinalis

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4. TEORIE E METODO DI INTERVENTO

Il tema ed il luogo scelto per un possibile progetto di Architettura sono stati determinanti nella definizione dello stesso; la condizione attuale dell’ex complesso psichiatrico del Mombello, che si presenta in stato di abbandono per la maggior parte delle sue strutture, impone di ripensare l’intero complesso all’interno di un cosciente progetto di conservazione e riuso che sappia definire, tramite la ricerca di un’unità d’insieme a livello funzionale, un nuovo futuro possibile per l’ex manicomio, in modo che lo stesso riacquisti il ruolo centrale, che ha contraddistinto l’area nelle sue fasi di evoluzione storica, per il Comune di Limbiate ed il territorio. L’approccio progettuale nasce dall’unione di un approccio di lettura critica delle preesistenze e del tentativo di riutilizzo dell’edificio, attraverso l’ideazione di un progetto di Architettura concreto e consapevole. L’intervento di conservazione proposto si pone quindi in stretto rapporto con la preesistenza, con i suoi caratteri ambientali, architettonici e funzionali, in modo che la stessa non risulti un oggetto passivo ma, depositaria di una stratificazione di codici che nel tempo l’hanno arricchita e resa più complessa, venga riconsegnata alla popolazione, nel tentativo di restituire a tutti gli edifici del complesso nuova vita e fruibilità.

4.1 RAFAEL MONEO: COSTRUIRE NEL COSTRUITO

“L’architettura, invece, la presenza fisica di un edificio, può riscattare un luogo dal suo “ovunque”. L’analogia fra edifici e oggetti ignora completamente la natura dell’architettura che cerca, invece, di integrarsi con il contesto, amplificare e creare identità. Il che significa che chi disegna edifici e città ha il privilegio, e l’impegno, di considerare l’insieme per progettare. Gli edifici sono frammenti di città, episodi che difficilmente possono essere considerati isolatamente, ma come sostanza di quella che denominiamo città.”8 Rafael Moneo

Moneo cerca di analizzare l’architettura degli anni Novanta, dominata dalla frammentazione, asserendo come questo concetto sia diventato una metafora che in termini formali aiuta a descrivere la realtà e il mondo esterno, che appare sempre più eterogeneo e spezzettato. Si reclama un mondo privo di forma, in continuo

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4. TEORIE E METODO DI INTERVENTO

cambiamento dove l’azione è deificata; di conseguenza l’architettura contemporanea si interessa a forme spezzate, frammentate o ad artifici quali textures e riflessi, che esaltano le superfici annullando la forma. Prevale la pelle, l’architettura esalta le superfici e i riflessi, negando identità formale al volume costruito. La forma diventa quasi un anacronismo in questa concezione dinamica della realtà. La compattezza. Questo concetto, presente fin dall’architettura romana e musulmana, e ben delineato da Scamozzi e Terragni in tempi più recenti, permette una saturazione degli spazi che risponde alla realtà su due fronti: il tessuto urbano da una parte e un mondo interno autonomo dall’altra. Moneo, partendo dal lavoro di alcuni architetti contemporanei, afferma come l’architettura di oggi sembri aver dimenticato la città, il costruito, alla ricerca di un individualismo sempre più estremo. Un altro aspetto di diversità tra tradizione moderna e attuale è costituito dall’uso dei materiali come alternativa al linguaggio: l’architettura contemporanea non ha infatti inventato un linguaggio universale e condiviso, come quello della modernità classica. Oggi si è sostituita la ricerca di un linguaggio con la scoperta e l’esplorazione dei valori espressivi dei materiali, come traspare nell’opera di Herzog & de Meuron. L’architettura moderna, inoltre, ha ereditato dalla storia e dall’architettura antica la condizione di oggettualità degli edifici, mentre a partire dagli anni Ottanta e Novanta l’idea di oggetto è andata sfumando fino a trasformare l’edificio in paesaggio. Anche il rapporto tra forma e funzione ha subito negli ultimi anni un brusco distacco: nell’attualità infatti si costruiscono icone architettoniche capaci di assumere nella loro disponibilità astratta qualunque funzione possibile. Oggi, in virtù della libertà di espressione individuale, l’architetto può assumere inoltre un atteggiamento di indifferenza nei confronti del luogo e del contesto, come si osserva ad esempio nei progetti di Will Aslop. Infine anche il valore attribuito alla costruzione, alla struttura vera e propria, evidenziato con forza dai moderni, ha perso la sua essenza, tanto che la volontà di far coincidere struttura e programma, che ispirò tanti architetti del secolo scorso, è ormai priva di senso e la struttura stessa tende a scomparire. La conversazione si sposta poi sul tema di appartenenza al luogo dell’architettura, già affrontato nei precedenti saggi, che viene ulteriormente approfondito: l’intervento in un luogo non consiste nel completarlo dal punto di vista del contesto ma invece di ampliare la comprensione del contesto stesso. Ripercorrendo e indagando i progetti che Rafael Moneo è stato incaricato di realizzare negli ultimi venti anni è impossibile non notare quanto molte di queste occasioni abbiano comportanto una sfida con contesti delicati e “esigenti”. Nello stesso periodo, negli anni a cavallo con il terzo millennio, le archistar gareggiavano troppo spesso ad una monumentalità atopica e non di rado autistica. Moneo ha tentato, all’opposto, di ricondurre il problema del progetto ad una dimensione di radicamento con il topos. Al contrario, il leit motiv di Moneo è stato sempre chiaro: lo studio e la conseguente dimostrazione della imprescindibile esistenza di una ratio urbis ineludibile e cogente, di quanto gli edifici siano “indissolubilmente legati alla città e solo pensando ad essa abbia senso fare architettura”. Nelle sue opere è facilmente riscontrabile una tensione costante dell’oggetto architettonico ad incorporare e/o farsi assorbire dal contesto pur mantenendo la sua autonomia e il suo carattere come opera nuova.

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4. TEORIE E METODO DI INTERVENTO

La questione contesto è quindi strategica per Moneo che rintraccia già nelle esperienze del Team X la necessità di approfondire la relazione paesaggio fisico e umano con il tema del progetto. E’ la ricerca di un equilibrio espressivo tra due opposti atteggiamenti su cui si è focalizzata la riflessione architettonica degli ultimi cinquanta anni rispetto al tema della preesistenza: da un lato un atteggiamento prossimo ad una “sottomissione stilistica” dall’altro la rivendicazione di una completa libertà di intervento “ignorando le circostanze concrete”. Il Museo del Teatro romano a Cartagena è emblematico nell’esprimere il senso dell’approccio di Moneo al contesto, in un luogo dove la presenza si un imponente sito archeologico sembra rappresentare più un vincolo che una risorsa, a patto di trovare un nuovo dialogo tra il presente e il passato. Il progetto infatti opera un’azione di recupero di quest’ultimo innestandosi strategicamente in soli due punti del tessuto consolidato e capace di catalizzare e generare nuovi itinerari di conoscenza e di utilizzazione del luogo città antica-contemporanea, riuscendo nell’obiettivo di metabolizzare il grande sito archeologico con la città. Per il Municipio di Murcia (1997-1998) Moneo si è trovato di fronte alla sfida di completare la parte terminale di una spina edilizia che approda nella piazza barocca della cittadina su cui si fronteggiano due importanti edifici storici: la cattedrale del XVI secolo e il palazzo vescovile del XVIII. L’elemento critico e più importante da risolvere è stato la facciata, dispositivo principale del dialogo con l’ambiente circostante. L’architetto struttura un sdoppiamento tra il corpo terminale della spina e il fronte sulla piazza creando una sorta di facciatatralicco con una partitura ritmica in funzione dell’altezza. Il risultato è quello di un frame che nuovamente mette in campo una mediazione delicata tra un linguaggio contemporaneo e un’importante preesistenza. Una ulteriore occasione per dimostrare un possibile esito positivo del dialogo tra contesto e progetto contemporaneo gli viene offerto per il Northwest Corner Building della Columbia University a Manhattan, New York. Il contesto è diverso, più recente e rigidamente regolato dalla grid newyorkese, costituito dal Campus progettato da McKim, Mead and White alla fine dell’ottocento. Il nuovo edificio, si colloca in uno degli angoli dei regolari isolati del Campus e il primo problema che si trova a risolvere è quello di doversi innalzare al di sopra di una grande palestra già presente nell’area di progetto. La torre, che funge da nuova porta al Campus una volta che la sua estensione a nord sarà terminata, trova il suo rapporto con il contesto attraverso la metabolizzazione di una ortogonalità che Moneo rintraccia nella storia stessa dell’impianto del Campus, parlando di “figure primarie” del progetto. Da questa logica discende anche la stereometria del volume che in un alternasi di membrature piene e semipiene genera una mutevole compattezza rafforzata dal massivo basamento lapideo che racconta l’esistenza di un ingrediente antecedente al progetto stesso ma ibridato nel linguaggio complessivo.

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5. LIMBIATE ORTHOPEDIC WIRE - CONNETTERE LA MEMORIA di Pietro Amato e Filippo Gerosa

5.1 Accesso e accettazione

L’accesso principale a tutto il sistema del L.O.W. avviene da via Monte Grappa, passando i due fabbricati che in passato ospitavano l’archivio dell’ospedale “Guido Salvini” di Garbagnate M.se. Tali strutture vengono ora riconvertite rispettivamente ad appartamento del custode e a magazzino per i giardinieri, addetti al notevole incarico di cura del verde terapeutico e degli spazi pubblici. Davanti alla clinica si apre la piazza istituzionale, contornata da esperienze di spazi verdi che andremo poi a descrivere. Al centro della piazza, sopra di un parterre si colloca un monumento in memoria di Giuseppe Antonini, direttore del manicomio dal 1911 al 1931, ricordato per i suoi studi innovativi per il trattamento dei pazienti. Lo spazio di accettazione al L.O.W. sporge dalla serialità dei portali della copertura quale recinto in cemento, e va ad intercettare i flussi anche grazie alla sua inclinazione, ricavata dalle direttrici principali del tessuto di Mombello. La sua geometria è trasversalmente interrotta dall’innesto con il percorso spina di portali in acciaio, parallelamente al fronte del blocco operatorio dal quale si è volutamente staccato.

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5.2 Clinica di traumatologia sportiva

La clinica si compone di due edifici quadrati a corte e uno in linea posto al centro, tutti caratterizzati dal tetto a falde. Le due corti comprendono gli ambulatori e l’ambito direzionale ai piani terra e le degenze ai piani primi, mentre il fabbricato centrale costituisce il blocco operatorio e di analisi. Nello spazio inframmezzale si articolano dei recinti scoperti di setti in cemento, che ospitano la sala d’aspetto, la mensa e la caffetteria della piazza coperta all’interno della quale sono inseriti. La copertura della piazza è articolata in profili di acciaio verniciati di bianco, tamponati da lastre di pannelli solari trasparenti, così che alla qualità luminosa e alla serialità delle ombre gettate dai portali venga affiancata la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico, senza che vada perduta la capacità illuminante. La mensa, definita dal recinto di setti in calcestruzzo trattato a vista, è allineata alle direttrici dello spazio di accettazione e analogamente fuoriesce dal profilo della facciata di portali. Tutti i recinti che definiscono lo spazio percorribile della piazza vedono un’interruzione della propria volumetria parallelamente alla preesistenza a cui si accostano, definendo il proprio ingresso in quella fascia interstiziale che li separa ai fabbricati esistenti loro prossimi. Il nodo di intersezione tra la copertura, con colmo a 10 m, e il percorso, con sezione a doppia falda e colmo a 5 m, è definito da una linea di passaggio filtrata da una serie di pilastri ai lati del blocco operatorio, che altro non sono che lo scarico a terra dei portali della copertura e del percorso, che ivi hanno la loro giuntura.

Remix Studio Shunyi house, Beijing 2015 39


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5.3 La hall-piazza coperta

Nato da un’operazione di recupero di archeologia manicomiale nell’area dell’ex Antonini, il L.O.W. reinterpreta gli spazi in cui si inserisce con recinti inclinati di setti in calcestruzzo e con una copertura in acciaio e vetro - illuminata 24 ore su 24 – che “irrompe” geometricamente tra gli edifici a cui si accosta o che ingloba. La copertura della piazza è articolata in profili di acciaio verniciati di bianco, tamponati da lastre di pannelli solari trasparenti, così che alla qualità luminosa e alla serialità delle ombre gettate dai portali venga affiancata la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico, senza che vada perduta la capacità illuminante. La mensa, definita dal recinto di setti in calcestruzzo trattato a vista, è allineata alle direttrici dello spazio di accettazione e analogamente fuoriesce dal profilo della facciata di portali. Il nuovo spazio si distingue per la sua hall centrale di forma prismica, che genera una piazza coperta, luogo d’incontro fra i pazienti e i visitatori. All’interno della piazza si sviluppano diversi spazi che offrono ai lavoratori, ai visitatori e ai pazienti una molteplicità di attività e di servizi: L.O.W. reception, sale di aspetto, L.O.W. Bistrot, L.O.W. Restaurant, spazi di socializzazione. Lo spazio di accettazione al L.O.W. sporge dalla serialità dei portali della copertura quale recinto in cemento, e va ad intercettare i flussi anche grazie alla sua inclinazione, ricavata dalle direttrici principali del tessuto di Mombello. La sua geometria è trasversalmente interrotta dall’innesto con il percorso spina di portali in acciaio, parallelamente al fronte del blocco operatorio dal quale si è volutamente staccato. Tutti i recinti che definiscono lo spazio percorribile della piazza vedono un’interruzione della propria volumetria parallelamente alla preesistenza a cui si accostano, definendo il proprio ingresso in quella fascia interstiziale che li separa ai fabbricati esistenti loro prossimi. Il nodo di intersezione tra la copertura, con colmo a 10 m, e il percorso, con sezione a doppia falda e colmo a 5 m, è definito da una linea di passaggio filtrata da una serie di pilastri ai lati del blocco operatorio, che altro non sono che lo scarico a terra dei portali della copertura e del percorso, che ivi hanno la loro giuntura. Seguendo le direttive del concept, le due corti esistenti si prestavano ad essere connesse, creando un luogo di socialità con funzioni pubbliche e semi-pubbliche esattamente all’ingresso del L.O.W. . Osservando le direttrici dell’abitato circostante, è stato spontaneo portare tali allineamenti all’interno per generare un ambito più urbano. Tali allineamenti definiscono dei recinti di setti al fine di creare spazi più ombreggiati e riservati. La struttura portante della copertura non si attacca alla struttura esistente se non in maniera minima per generare una diversa situazione di luminosità tra esistente e nuovo. La struttura del blocco operatorio assume un ruolo di centralità, centro funzionale del progetto e della piazza, nonostante i tamponamenti in facciata che la schermano acusticamente e visivamente. Tra la copertura del percorso e quella della piazza sussiste una differenziazione dell’ordine architettonico, creando una scansione tra ordine minore e ordine maggiore.

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foster + partners The great court at the British Museum, London 2000 42


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C.F. Møller architects Second phase of the Darwin Centre, London 2011 43


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Höller & Klotzner architekten Ampliamento chiesa parrocchiale Laives, particolare dell’attacco con l’esistente Laives, Italia, 2004 44


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HÜller & Klotzner architekten Ampliamento chiesa parrocchiale Laives, particolare dello spazio di filtro con l’esistente Laives, Italia, 2004 45


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NOTE BIBLIOGRAFICHE

1. Gli intenti del PGT sull’area dell’Antonini sono tratti da Le determinazioni di Piano, in Documento di Piano, PGT Comune di Limbiate, 2011/2014 2. Gli interventi sul patrimonio edilizio esistente sono classificati dalla legge n. 457, art. 31 del 5 agosto 1978 3. AA.VV, Città pubbliche, linee guida per la riqualificazione urbana, Milano – Torino 2009, p. 209-210 4. AA.VV, Città pubbliche, linee guida per la riqualificazione urbana, Milano – Torino 2009, p. 218-221 5. R. Assunto, La progettazione e il paesaggio, in A. Piva, P. Galliani (a cura di), Il progetto come modifica, Milano 1992, p.164) 6. Cfr. M. Lorini, G. Mariani, La città della mente. Progetto di conservazione e riuso dell’ex ospedale psichiatrico di Mombello di Limbiate, Politecnico di Milano, a.a. 2009/10, p. 42) 7. I. Masciadri, OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO DI MILANO - SISTEMA AREE VERDI tratto da Ospedali in Italia. Progetti e realizzazioni, Tecniche nuove, 2011, Milano, pag. 371-378 8. R. Moneo, Costruire nel Costruito, a cura di Michele Bonino, Allemandi, Torino 2007

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

- AA.VV, Città pubbliche, linee guida per la riqualificazione urbana, Milano – Torino 2009 - I. Masciadri, Ospedali in Italia. Progetti e realizzazioni, Tecniche nuove, 2011, Milano - R. Moneo, Costruire nel Costruito, a cura di Michele Bonino, Allemandi, Torino 2007

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RINGRAZIAMENTI E DEDICHE

Al professor Faroldi, nostro relatore in questo ultimo passo universitario, e al professor Capolongo a tutti i nostri genitori, perchè come diceva Totò “ E io pago! “ al dottor Giuseppe Porcellini e al suo assistente dottor Carlo Augusti al signor Maurizio Munda, perchè perseveri nella sua battaglia a Mario, per l’aiuto a considerare fattori a noi ignoti allo Zar, per averci ospitato nel suo Palazzo dei Cristalli ai monaci amanuensi, perché tanto ho imparato da loro nella redazione di questo testo di tesi ad Hagrid, perchè di erbe se ne intende al compagno Uedro, per essere un bravo progettista (cit.) a Pier Paolo, per aver sacrificato la matita, stupida e obsoleta, a favore delle nuove tecnologie alla Sofi, per la sua visione positiva sulla realtà al mio pallone da calcio, perchè è stato garante della pace alla sosia della Sofi, per aver voluto bene a Piè anche nei momenti (progettuali) più difficili a Cecilia, perchè senza di lei Uedro non avrebbe raggiunto la giusta concentrazione a FF, per essere stata presente, sempre, a mr. X, perchè prima o poi arriverai, lo so a miss PH, per aver aggiunto dolcezza ai nostri caffè al CLS studio, per aver sempre avuto pronta una sedia del disagio alla tazza del cesso di S. Pio, piano primo, in fondo al corridoio, grazie! a “ I drughi di Milano “, per la loro umiltà a tutti i ragazzi di “ Agorà dei Leoni “, perchè l’IO milanista è rinato in una compagnia a Manuel, per aver tolto quelle ragnatele al Leicester F.C., all’Islanda del 2016, all’Atletico Madrid del 2014, all’Italia del 2006, alla Grecia del 2004, alla Danimarca del 1992, perchè ci hanno insegnato che nulla è impossibile a tutti i nostri amici, veramente tutti, in particolare Agnese, Andrea, Anna, Antonio, Carlo, Cristiana, Federica, i Giacomo, Jacopo, Luca, i Matteo, Mattia, Pietro, i Simone, gli Stefano e l’unico e inimitabile Vincenzo

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