LETTERE DALLA KIRGHISIA di Silvano Agosti
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Prima lettera …basta saper immaginare un’isola, perché quest’isola incominci realmente ad esistere. Kirghisia, 3 luglio Cari amici, non sono venuto in Kirghisia per mia volontà o per trascorrere le ferie, ma per caso. Improvvisamente ho assistito al miracolo di una società nascente, a misura d’uomo, dove ognuno sembra poter gestire il proprio destino e la serenità permanente non è utopia, ma un bene reale e comune. Qui sembra essere accaduto tutto ciò che negli altri Paesi del mondo, da secoli, non riesce ad accadere. Arrivando in Kirghisia ho avuto la sensazione di “tornare” in un luogo nel quale in realtà non ero mai stato. Forse perché da sempre sognavo che esistesse. Il mio strano “ritorno” in questo meraviglioso Paese, è accaduto dunque casualmente. Per ragioni tecniche, l’aereo sul quale viaggiavo ha dovuto fare scalo due giorni nella capitale. Qui in Kirghisia, in ogni settore pubblico e privato non si lavora più di tre ore al giorno, a pieno stipendio, con la riserva di un’eventuale ora di straordinario. Le rimanenti 20 o 21 ore della giornata vengono dedicate al sonno, al cibo, alla creatività, all’amore, alla vita, a se stessi, ai propri figli e ai propri simili. La produttività si è così triplicata, dato che una persona felice sembra essere in grado di produrre, in un giorno, più di quanto un essere sottomesso e frustrato riesce a produrre in una settimana. In questo contesto, il concetto di “ferie” appare goffo e perfino insensato, qui dove tutto sembra organizzato per festeggiare ogni giorno la vita.
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L’attuale concetto occidentale di ferie, invece, risulta feroce, quanto la concezione stessa del lavoro, non soltanto perché interferisce in modo profondo con il senso della libertà, ma perché ne trasforma e deforma il significato. Nel periodo di ferie, milioni di persone sono obbligate a divertirsi, così come nel resto dell’anno sono obbligate a lavorare senza tregua, a sognare di trovare un lavoro o a guarire dai guasti e dalle malattie, causate da un’attività lavorativa coatta e quotidiana. Questo meccanismo delle otto ore di lavoro ogni giorno, produce da sempre tensioni sociali, nevrosi, depressioni, malattie e soprattutto la sensazione precisa di perdere per sempre l’occasione della vita. La proposta risanatrice di questi invisibili orrori, si è risolta nello Stato della Kirghisia, dove sono state realizzate una serie di riforme che in pochi anni hanno modificato le abitudini e i comportamenti dei suoi cittadini. La corruzione politica si è azzerata perché in questo Paese, chi appartiene all’apparato governativo, esercita il proprio ruolo in forma di “volontariato”, semplicemente continuando a mantenere per tutta la durata del mandato politico lo stesso stipendio che percepiva nela sua precedente attività. Quando ho saputo che ogni realtà politica nasce da una forma di volontariato, ho finalmente capito perché, ogni volta che vedo un rappresentante del parlamento italiano parlare alla televisione, c’è qualcosa sul suo volto che rivela un’incolmabile lontananza da ciò che sta dicendo. Ecco, ora mi è chiaro che chiunque abbia, come i nostri deputati occidentali, uno stipendio minimo di quaranta milioni di lire ( circa 20.000 euro) al mese, non può in alcun modo essere convincente, in ciò che dice, pensa o fa. Qui in Kirghisia, la possibilità di dedicare quotidianamente alla vita almeno mezza giornata ha consentito la realizzazione di rapporti completamente nuovi tra padri e figli, tra colleghi di lavoro e vicini di casa. Finalmente i genitori hanno il tempo di conoscersi veramente tra loro e di frequentare i propri figli. I parchi sono ogni giorno ricolmi di persone e il traffico stradale è oltre quattro volte inferiore, dato il variare degli orari di lavoro. Le fabbriche sono in attività produttiva continua, ma chi fa i turni di notte lavora solo due ore.
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Già al terzo anno di questa singolare esperienza è stato rilevato un fenomeno molto importante. Il consumo di droghe, sigarette, alcolici è diminuito in modo quasi totale e i farmaci rimangono in gran parte invenduti. Certo, tutto ciò può sembrare incredibile a chi, come voi cari amici, è costretto a credere che l’attuale organizzazione dell’esistenza in occidente sia la sola possibile. In Kirghisia, la gestione dello Stato, oltre a essere una forma di volontariato, si esprime in due governi, uno si occupa della gestione quotidiana della cosa pubblica, l’altro si dedica esclusivamente al miglioramento delle strutture. Ho incontrato il Ministro per il Miglioramento delle Attività lavorative che ha in progetto, nel prossimo quinquennio, di ridurre ulteriormente per tutti il lavoro obbligatorio a due ore al giorno invece delle attuali tre. Il Ministro è convinto che solo una umanità liberata dal lavoro possa essere veramente produttiva. È anche certo che si possa scoprire l’operosità del fare, solo realizzando, nel tempo libero, ciò che si desidera. Ho fatto bene a decidere di rimanere in Kirghisia, e non me ne andrò finché continuerò ad avere la strana sensazione di vivere, qui, all’interno di un sogno comune. Un abbraccio a tutti.
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Seconda lettera Kirghisia, 20 luglio Cari amici, la descrizione di questo mio viaggio in Kirghisia ha suscitato in voi singolari reazioni. Mi avete inviato messaggi pieni di entusiasmo e di incredulità, soprattutto rispetto al fatto che in questo delizioso Paese l’economia va a gonfie vele e ognuno, qualsiasi sia la sua attività, lavora a pieno stipendio un massimo di tre ore al giorno. Mi dovete credere, è difficile immaginare la serenità delle persone che sanno di avere garantiti non solo il necessario, ma anche il tempo per vivere. Oggi ho chiesto di visitare le scuole. Pensavo di entrare, come da noi, in grandi edifici, suddivisi in aule, invece mi hanno portato in una decina di parchi, colmi di bambini e di giovani intenti a giocare. Ogni parco viene denominato “la valle della vita”. La valle della vita numero uno, numero due, etc. Qui i bambini dai cinque anni in su e i ragazzi fino ai sedici anni, giocano, tutto il giorno, alla presenza di persone adulte disponibili a risolvere qualsiasi problema. Ogni adulti si prende cura ed è responsabile di venti tra bambini o ragazzi. È prevista un’interruzione a metà giornata, quando i genitori, finite le tre ore di lavoro al mattino, raggiungono i figli e pranzano con loro, spesso trattenendosi a giocare nel pomeriggio. L’immagine di questi due o tremila ragazzi, ragazzini e bambini che si divertono inventando ogni sorta di giochi, mi ricorda le evoluzioni misteriose e spettacolari, le danze geometriche degli storni nel cielo di Roma in autunno. Cosa desiderano il novantanove per cento dei bambini, ragazzi o giovani del mondo? Desiderano giocare, e infatti qui in Kirghisia semplicemente giocano, qui, dove tutto viene relazionato ai desideri degli essere umani.
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“Ma se giocano tutto il giorno quando studiano?” obbietto al mio accompagnatore. Mi sorride. “Loro non studiano, imparano.” “Cioè?” Per tutta risposta fa cenno a un ragazzino di fermarsi. “Quanto fa tremilacinquecentoquarantatre per sessantotto?” Il ragazzo, col volto intriso di gioco e di vitalità, guarda di sbieco verso l’alto per alcuni secondi e risponde rapido: “Duecentoquarantamilanovecentoventiquattro.” Poi riprende a correre con i compagni. Ne ferma uno di forse otto anni. “A cosa serve la milza?” Chiede. “A produrre le piastrine che puliscono il sangue”. “E il fegato?” Con voce leggermente affannata ma ferma, guardandomi negli occhi, il ragazzino prosegue. “È una centralina energetica, un senatorio di glicogeno detto anche glucosio, inoltre produce la bile che serve per la digestione, e un sacco di altre cose…” Poi, sorridendo, torna a giocare. Ricordo una mia esperienza sulla via Tuscolana a Roma, in un liceo psicopedagogico, dove, durante un dibattito seguito alla proiezione del mio fim “D’amore si vive”, ho chiesto invano a circa trecento ragazze se una di loro sapesse cos’è l’Imene (membrana importante del corpo femminile). Per interrompere un silenzio smarrito e imbarazzato, ho proposto all’insegnante di rispondere alla domanda. Non sapendolo a sua volta, la professoressa ha invitato bruscamente la scolaresca a parlare del film. “Qui da noi in Kirghisia, i bambini crescono con la consapevolezza che il corpo umano, anche solo come macchina biologica, è un capolavoro della natura. Lo conoscono e ne ammirano la perfezione. Scoprendo che il corpo umano è un capolavoro, la persona si relaziona a se stessa con lo stesso rispetto e cautela che si ha per un opera d’arte e di conseguenza tratterà anche i suoi simili, chiunque essi siano, come dei capolavori”. “Posso fermarne uno io di questi “ giocatori”?” 6 -44
Chiedo avvicinandomi a una ragazzina che si sta sistemando una scarpa. “Do you speak english?” (Parli inglese?) Le chiedo. “I speak five languages” (Parlo cinque lingue ) dice graziosamente e sfugge a un gruppo di altre bambine che evidentemente la stanno inseguendo. “Ma come è possibile?” Chiedo al mio amico Kirghiso. “Ha frequentato la Casa delle lingue, dove proiettano in dieci diverse lingue i film che piaccioni ai ragazzi di ogni età. Comunque tutti i nostri ragazzi parlano almeno quattro lingue. Le parlano perché nessuno gliele ha insegnate, proprio come la lingua madre.” Mi accompagna ai margini del parco, spiegandomi che il meccanismo dell’imparare è permanente e più rapido di quello collegato allo studio, che, essendo quasi sempre obbligatorio, non penetra a fondo nella memoria conoscitiva e svanisce rapidamente con il trascorrere del tempo. Lo studio impone l’apprendimento e quindi non nasce da un interesse o da un desiderio, ma da un obbligo. Le nozioni che si apprendono con lo studio sono simili a fiori recisi che vengono immessi nel vaso della memoria e, pur rinnovandosi, le parole prima o poi appassiscono. Ciò che si impara invece, nasce dal desiderio di sapere ed è simile a un seme messo nella terra che poco a poco cresce, fruttifica, vive e si rinnova. Per questo, imparare è un piacere raro, mentre studiare è spesso fonte di oppressione, inquietudini e malattie. Si direbbe che lo studio abbia come scopo di creare negli esseri umani una repulsione definitiva per ogni forma di sapere. Ma quando e come imparano questi giovani? Tutt’intorno al perimetro del parco una serie di costruzioni a un piano, ognuna adibita a un diverso settore del sapere “Casa della filosofia”, “Casa della geografia”, “Casa del corpo umano”, “Casa degli animali”, “Casa della letteratura”, “Casa delle lingue”, “Casa della matematica”, “Casa dei cibi”, Casa della Storia”, “Casa della pittura”, “Casa dell’architettura”, “Casa della musica”, “Casa del teatro”, “Casa del cinema”, “Casa dei sogni”.
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In queste “Case” i ragazzi e i bambini si rifugiano quando piove o quando lo desiderano. In ogni Casa funzionano: un ristorante mensa, un salone a pianoterra con centinaia di computers programmati per offrire tutte le informazioni sulla materia ospitata nella Casa, dalle origini ai giorni nostri. Un salone al primo piano, con una magnifica vetrata che da’ sul parco, con altrettanti computer nei quali sono esposte le varie teorie sugli sviluppi futuri della materia trattata e sui quali ogni ragazzo può esprimere le proprie idee e dare il proprio contributo alla ricerca. “Con il denaro che prima si spendeva per pagare gli ispettori scolastici, gli insegnanti, i presidi, i bidelli, i testi scolastici, possiamo nutrire tutti i giorni gratuitamente i nostri ragazzi e rinnovare le attrezzature ogni tre anni. Non esistono né compiti, né interrogazioni, né diplomi. I nostri ragazzi imparano, ma non solo attraverso i giochi. Le conversazioni e le visite nelle varie Casa, comunicano loro una serie molto vasta di informazioni. Ho notato che nessuno fuma. Inserire fumo nei polmoni è altrettanto insensato come mettere nel serbatoio di un’automobile una bottiglia di acqua o di aceto. E qui nessuno ci tiene a compiere azioni prive di senso. Ma come farò a riferirvi tutte queste importanti conquiste, le prime di questo paese che ha iniziato la sua evoluzione solo da dieci anni. Sembra proprio che l’essere umano, trovando in sé una diversa dignità, e intorno a sé un rispetto reale per il diritto alla vita, veda svanire una serie di problemi e di crimini che, qui da noi, nel nostro Occidente, vengono ormai vissuti come inevitabili. “Ma dopo sedici anni di gioco cosa accade a questi ragazzi?” “Ognuno di loro pratica nel lavoro la maturità che ha raggiunto visitando le varie case, in diverse regioni del nostro Paese. Soprattutto, ovunque si trovi, dopo un contributo di tre ore di lavoro al giorno, viene messo nelle condizioni di avere il necessario per vivere, dunque semplicemente vive.” È notte fonda, ma la luminosità di ciò che ho visto oggi, insieme al sonno mi riempie gli occhi.
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Vi saluto tutti, cari amici, a presto.
UNA PARENTESI NON PREVISTA Ho deciso di non trascrivere le risposte degli amici alle mie lettere dalla Kirghisia, ma questa di Stefano Boccatonda, che peraltro non conosco, mi pare particolarmente importante. Caro amico, un collega mi ha fatto leggere la tua lettera dalla Kirghisia di sabato, e sono rimasto sbalordito. Mi presento sono Stefano Boccatonda. Mi è sembrato strano leggere nella tua lettera qualcosa che ricorda il noto slogan di altri tempi “Lavorare meno. Lavorare tutti”. Voglio ringraziarti per avermi dato l’illusione, anche se solo per la durata di lettura della lettera, dell’esistenza di un nuovo modello di società, emanazione dell’emancipazione dell’uomo. Continuerò a chiedere all’amico di leggere le “lettere dalla Kirghisia” per affiggerle nella bacheca sindacale come mezzo di riflessione per i lavoratori, sperando in una contaminazione che faccia uscire dal conformismo e dall’omologazione le menti, per ribadire che un’altra società è possibile. Del resto l’avvento delle nuove tecnologie, riducendo vorticosamente i tempi produttivi aveva promesso di liberarci dall’oppressione del lavoro, purtroppo distribuito in orari che ci consentono appena la sopravvivenza e mai, proprio, mai di guastare i tempi vasti della vita se non in tarda vecchiaia, quando non ne siamo più capaci. Grazie, comunque, anche solo per il profumo dell’illusione. Cordiali saluti. Stefano Boccatonda
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Ho risposto con un telegramma Caro Stefano, il desiderio di una diversa società ormai è nel cuore di ognuno, forse anche di coloro che sembrano non volerla. Poco a poco, se tutto ciò che rende felice la gente è stato possibile in Kirghisia, lo sarà anche altrove. Forse anche da noi. Grazie.
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Terza lettera Kirghisia, 2 agosto Cari amici, alcune vostre lettere esprimono sempre più stupore e incredulità, nei confronti dell’esperimento sociale che vi vado raccontando. Chiedersi se sia o non sia reale, se esista davvero o no la Kirghisia, non deve in alcun modo sovrapporsi alla gioia che molti di voi hanno provato, anche solo di fronte a una descrizione esteriore e parziale di questa grande avventura sociale. La vostra difficoltà a credere che sia possibile organizzare la società a favorire degli esseri umani e non dei gruppi di potere, testimonia la sottomissione che vi imprigiona, impedendovi di vivere. Spesso anch’io, pur constatando di persona le straordinarie conquiste di questo Paese, feccioso fatica a convincermi che possano essere reali e permanenti. C’è, qui in Kirghisia, la stessa atmosfera che si respira a volte sui set cinematografici. Si direbbe che qualcuno stia realizzando un film sulla società ideale e che, una volta filmate le varie realtà tutto possa essere smantellato e tornare nel grigiore di una società come la nostra fintamente efficace, fintamente a favore dei cittadini, fintamente legata alla vita e, soprattutto, fintamente felice di esistere. Molti, in occidente, sembrano non accorgersi o aver dimenticato che le nuove tecnologie hanno diminuito enormemente i tempi di produzione, mentre gli orari di lavoro sono rimasti immutati. Ancor meno ci si accorge che da oltre mezzo secolo i bambini, i ragazzi e i giovani vengono obbligati a starsene seduti, tra scuola e compiti, circa otto ore al giorno, e che, alla fine dei loro corsi di studi, a qualsiasi domanda culturale, il loro sguardo vaga smarrito o si esprime in un “boh!” Chi rifiuterebbe di avere ogni giorno più tempo per “fare” finalmente ciò che desidera, o per ampliare e gestire il proprio territorio di conoscenza o di amore?
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Oggi, durante il pranzo, che abbiamo consumato insieme a un migliaio di giovani nel parco principale della Capitale, il mio accompagnatore si è lasciato andare a una serie di riflessioni. “Ognuno di noi è un capo di Stato, se non altro dello Stato che confina con se stessi. In fondo, la vera cultura sono i comportamenti e di questi ognuno di noi è autore, garante e responsabile. Ogni essere che viene al mondo cresce nella libertà e si atrofizza nella dipendenza. La Kirghisia è soprattutto il territorio in cui il cuore umano può battere senza paure, perché si è cercato e si cerca di eliminare ogni forma di dipendenza. In questo piccolo paese, sperduto nel cuore dell’Asia, si tenta di portare al primo posto i desideri e le necessità degli esseri umani. Ogni settore del sociale viene organizzato a misura d’uomo, nella consapevolezza che il soggiorno sul pianeta sia, per ognuno, un’occasione unica e irripetibile nell’arco intero dell’eternità, e che quindi debba essere concepito nel modo più favorevole alla vita. Così, oltre a limitare il tempo di lavoro e ad offrire un’esperienza formativa basata sul gioco e sull’informazione certa, qui si va disegnando un percorso esistenziale, dalla nascita fino al termine dell’energia vitale, capace di offrire a ognuno una serenità quotidiana priva di turbamenti”. Ho trascritto per voi, cari amici, il senso del discorso che mi ha avvinto nel profondo del cuore, tanto che alla fine siamo rimasti a lungo in silenzio e abbiamo comunicato solo con qualche sorriso. “Chi sono quelli vestiti di giallo?” Chiedo al mio accompagnatore. “Sono persone che hanno rubato. A loro viene richiesto di vestire completamente di giallo per un periodo equivalente a quello che, altrimenti, dovrebbero trascorrere chiusi in una cella. Qui siamo tutti convinti che la sola condanna possibile sia la consapevolezza del delitto. Per questo devono spiegare, a chi glielo chiede, le ragioni che li hanno spinti a infrangere una norma comunemente stabilita, quella appunto di 12 -44
non rubare. Tanto più che le porte delle case qui da noi sono ormai quasi sempre aperte.” Provo il desiderio di avvicinarmi a uno di loro, un uomo sulla quarantina con un minuscolo pizzetto bianco e i baffi neri. “Chiedigli perché ha dovuto rubare.” Il mio accompagnatore traduce lentamente. “Io facevo il ladro, ho imparato da ragazzo e non sapevo fare altro. Prima che qui cambiasse tutto, entravo e uscivo di prigione. La prigione è brutta, ti senti soffocare, minuto per minuto ti sembra di morire. Per fortuna dopo qualche mese che ero richiuso tutto è cambiato qui in Kirghisia. Mi hanno fatto uscire subito dal carcere e posso vivere come tutti gli altri, devo solo finire i miei dodici anni vestito di giallo. Mi manca ancora un anno.” “E per mangiare?” Chiedo. “Come fai per mangiare?” “Vado al ristorante. Nel nostro Paese tutti mangiamo gratuitamente un buon pasto al giorno. Con i soldi che si spendevano per le armi, le prigioni, i tribunali, le guardie del corpo, i poliziotti, gli insegnanti, le sigarette, l’alcool, le prostitute, i ministri e i deputati, si possono nutrire gratuitamente, con un abbondante pasto quotidiano, tutti gli abitanti del Paese!” L’uomo sorride al mio stupore e mentre si allontana vedo che un ragazzino lo avvicina e ha l’aria di chiedergli perché è vestito di giallo. “E quelli vestiti di viola?” “Quelli hanno ucciso e devono vestire così fino a sessant’anni, spiegando a loro volta a chi lo chiede, le circostanze che li hanno portati a compiere un delitto.” Il mio accompagnatore fa un cenno a una donna abbastanza anziana completamente vestita di viola. La sua storia è emblematica, sotto il precedente regime ha ucciso il marito che era disoccupato e alcoolista e la tormentava. Il tribunale l’aveva condannata all’ergastolo, ora da dieci anni gira tra la gente vestita di viola. “Ho raccontato migliaia di volte la mia storia e ora tutto sta per finire, perché tra poco compirò sessant’anni.” “Cara Lidia, faremo una grande festa quando compirai gli anni.” Poi mi si avvicina. 13 -44
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“Ogni anziano è nominato ad Honorem “insegnante di vita” e viene invitato nei parchi e alle televisioni a raccontare la propria esperienza e la propria visione del mondo. Ognuno, quando compie sessant’anni ha diritto a mangiare gratuitamente anche di sera in tutti i ristoranti e a circolare, sempre liberamente, su autobus, metropolitane, treni e aerei, nonché a frequentare cinema, teatri, mostre e concerti senza alcuna spesa. Ma degli anziani parleremo un’altra volta, qui in Kirghisia non abbiamo fretta.” Amici cari, vi abbraccio.
In Kirghisia la notte è un incanto e appartiene a tutti.
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Quarta lettera Kirghisia, 8 agosto Carissimi amici, vi sono grato per avere attenuato nelle vostre risposte lo stupore e l’incredulità. Sono anche contento che vogliate saper tutto nei minimi dettagli. Proverò ad accontentarvi e concluderò questa lettera parlandovi dei delicati fiori azzurri che parlano d’amore. Ma prima devo proseguire a descrivervi, come promesso nell’ultima lettera, la condizione degli anziani. “Cosa significa dunque essere anziani qui in Kirghisia?” Chiedo a una coppia, che all’apparenza non sembra superare i cinquant’anni. “Per noi che ne abbiamo quasi settanta e abbiamo vissuto gran parte della nostra esistenza prima di tutte queste riforme, significa poter godere della vita nella sua massima estensione e pienezza. Ogni nostra giornata ha ritrovato il sapore dell’infanzia, con tempi e spazi privi di confini. Ce ne andiamo a visitare le case dell’Arte dove vengono custoditi non soltanto i capolavori, ma anche i disegni dei bambini e in questa festa di colori perdiamo i nostri sguardi, poi incontriamo altri anziani venuti da lontano e ci scambiamo i ricordi. Oppure frequentiamo liberamente la sala della Musica o i Cinematografi. In ogni Cinema ci sono almeno due sale, in una vengono proiettati i grandi film del passato, i capolavori, e nell’altra o nelle altre i bei film del presente. In ogni piazza ci sono i gruppi di lettura, dove i nostri attori, a turno, leggono brani di letteratura. Andiamo a visitare quei pochi di noi che sono malati e facciamo il possibile per rendere meno pesante la loro condizione. Prima delle riforme avevamo moltissimi ospedali: erano tutti pieni di malati. Ora abbiamo in solo ospedale per ogni città. Quando la gente è libera di vivere non si ammala e se per caso subentra qualche malessere, non c’è migliore ospedale di un corpo felice.
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La donna improvvisamente smette di parlare e indica con la mano un corteo che avanza danzando nel grande viale del parco. La delicata musica di un trio ambulante: violino, percussioni e fisarmonica, avvolge il corteo. L’uomo sorride al mio stupore. “Abbiamo riscoperto le abitudini lontane dei nostri padri. Quando qualcuno cade in depressione, una gran quantità di gente si raduna intorno a lui e tutti ballano, finché anche il depresso esce dalla sua immobilità e si unisce agli altri, incominciando anche lui a ballare. Vedi, il depresso è quello al centro di quel grande cerchio di gente e i suoi movimenti sono ancora un po’ lenti ma tra poco ballerà come tutti gli altri e allora sarà guarito.” È un’immagine difficile da dimenticare, questa nube di corpi ondeggianti in armonia che avanza al suono di una delicata musica ritmica. Gli strumenti musicali sono sparsi tra la gente e tutti quelli che sanno suonare partecipano, muovendosi con gli altri e sembra quasi che la musica esca dalla terra stessa. Non c’è angolo della Kirghisia dove qualcuno non stia giocando e lo spettacolo della vita si svolge incessantemente sotto gli occhi di tutti. “Ho notato, dico al mio accompagnatore, che molti uomini e donne hanno un piccolo fiore azzurro al centro del petto.” “Ah, il fiore azzurro. È semplice. Chiunque provi il desiderio di fare l’amore lo segnala agli altri, mettendosi un piccolo fiore azzurro sul petto in modo che sia più agevole avviare il corteggiamento. Un nostro studioso ha scoperto che gran parte dei guasti e dei tormenti che opprimevano la gente nella gestione dei sentimenti, derivavano dalla divisione delle tre componenti del mondo affettivo: la tenerezza, la sessualità e l’amore. Infatti la tenerezza vissuta senza sessualità e amore produce ipocrisia, la sessualità priva di tenerezza e amore produce pornografia e l’amore, privo di sessualità e tenerezza produce misticismo. Fino a pochi anni fa anche noi vivevamo in una società oppressa da questi mali.
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Ora che la tenerezza, la sessualità e l’amore fanno parte dei naturali comportamenti umani è scomparso tra noi ogni fenomeno di ipocrisia, di pornografia e di misticismo. Da voi in occidente come si vive l’amore?” “Lasciamo perdere.” Dico chinando il capo un po’ vergognoso. “Ho notato piuttosto che nelle vie delle vostre città ci sono poche automobili e nessun mezzo pesante o furgone.” “Qui da noi le consegne delle merci ai negozi e ai ristoranti, avvengono a notte fonda, quando le strade sono deserte. I veicoli da trasporto sono elettrici e non fanno alcun rumore”. Il mio accompagnatore d’improvviso si allontana, apre una sorta di piccolo armadio dipinto di arancione, estrae una scopa e un minuscolo raccoglitore e spazza una parte del marciapiede. Mi rendo conto che all’esterno di ogni palazzo o abitazione c’è questo minuscolo armadio arancione. “Fa parte della ginnastica quotidiana, indispensabile per sciogliere i muscoli. Chiunque noti per terra una qualche sporcizia, apre l’armadio e dà il suo contributo.” Ecco come si spiega l’incredibile nitore di queste strade e di queste piazze. “Esiste da voi la pubblicità?” “Esisteva. Poi i nostri esperti di economia hanno scoperto che eliminando la pubblicità tutto veniva a costare metà prezzo e allora…” “E allora?” “Il nostro ministero per il miglioramento della vita ha proposto di sostituire alla pubblicità l’informazione e per qualsiasi nostra necessità veniamo informati da un piccolo programma nel computer che ci indica dove si può trovare questo o quel prodotto, il più vicino possibile alla nostra abitazione.” Vedo seduta su una panchina una donna sorridente e serena. Mi attrae in modo particolare quel suo sorriso permanente. Ha un piccolo fiore azzurro sul petto. Ecco, vuol comunicare a me e agli altri che ha il desiderio di fare l’amore. 17 -44
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Il mio accompagnatore toglie dal taschino un mazzetto di fiori azzurri e me ne porge uno. Mi avvicino e siedo accanto a lei. Cerco in modo maldestro di posare il piccolo fiore azzurro sulla mia giacca. La donna nota le mie manovre imbarazzate, prende dalle mie dita il fiore e lo infila nell’occhiello della mia camicia. Cari amici, mi accorgo che è notte fonda e la mia lettera questa volta non finirebbe mai. Ci sentiamo presto, riflettete sulla soavità degli incontri di chi porta su di sé un minuscolo fiore azzurro. Un abbraccio a tutti voi.
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Quinta lettera Kirghisia, 14 agosto Miei carissimi amici, molti di voi sono sempre più increduli sull’esistenza di questa società che, con il massimo entusiasmo, sia pure in modo frammentario, vado descrivendo nelle mie lettere. Vi prego, in nome della nostra amicizia, di non cadere nell’inganno, definendo la Kirghisia un’utopia. Riflettete solo sul fatto che gran parte di ciò che vi circonda e appartiene alla vostra vita, un tempo neppure tanto lontano veniva considerato un’utopia. Quando Leonardo da Vinci progettava le sue macchine volanti, così simili agli elicotteri di oggi, o si ipotizzavano le prime ferrovie o perfino quando si incominciò a parlare della pittura in movimento proiettata su grandi teli bianchi ( il cinema), sempre si frenava ogni entusiasmo affermando che era impossibile, che si trattava di Utopie. Del resto nel 1800 i grandi utopisti francesi teorizzavano, tra lo scherno dei contemporanei, un pranzo caldo al giorno per ogni cittadino. Certamente sareste anche più increduli se vi dicessi che, per incontrare il primo ministro qui in Kirghisia, è bastata una semplice telefonata e dopo meno di venti minuti parlavo con lui. Dunque non è stato difficile farmi ricevere dal Primo Ministro del governo in carica, anzi, come segno di cortesia verso uno straniero, sono stato invitato a pranzo con lui dal Primo Ministro del Governo per il Miglioramento della Qualità della vita. Del resto anche Indira Gandhi fece lo stesso e con analoga spontaneità. Ricordo che durante l’intervista filmata le dissi: “Ho una domanda delicata da fare.” E lei “Prego.” “Ho saputo che Le spareranno.” Indira annunciando la risposta con un sorriso indimenticabile ha sussurrato “Che c’è di delicato nel fatto che mi uccideranno?” Dopo qualche tempo, qualcuno le ha sparato. 19 -44
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Qui in Kirghisia invece, le probabilità che qualcuno spari al primo ministro sono nulle. Non solo perché le armi sono state seppellite con riti analoghi alla sepoltura dei defunti, ma perché nessuno ha una qualsiasi ragione per uccidere un proprio simile. “Invece di continuare a seppellire i morti per arma da fuoco come si fa ogni giorno in altri Paesi, noi abbiamo seppellito le armi. Esistono ormai veri e propri cimiteri dove abbiamo accatastato armi e veicoli da guerra, monumenti di un’epoca che speriamo non torni più. Qui essere Primo Ministro è una professione volontaria. Ognuno può iscriversi alle liste del volontariato politico. Ogni tre anni si forma un nuovo governo, mentre quelli che hanno gestito il paese entrano a far parte del nostro secondo governo, che si occupa di migliorare le condizioni di vita e di perfezionare l’organizzazione dello Stato”. Sono affascinanti questi cimiteri delle armi, dove strumenti micidiali di morte semisepolti, sembrano sprofondati nella terra. Abbiamo visitato, su mia richiesta, uno di questi cosiddetti cimiteri delle armi. Si tratta di grandi spazi, nei quali ogni genere di arma è semi sepolta e stupendamente ricoperta di ruggine come scriveva un antico poeta Kirghiso: “Vestite di ruggine le armi e i vostri aratri di riflessi lucenti” Sotto vetro vicino ad ogni arma un piccolo cartello informa Questo mitragliatore ha ucciso 850 esseri umani Questo carro armato ha abbattuto 2300 abitazioni civili
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Questo tipo di bomba era in grado di uccidere 300.000 persone in pochi secondi In alcune nicchie c’erano perfino alcune fotografie con titolo a eterno biasimo: Costui ha inventato le mine antiuomo, responsabili della morte e della mutilazione di milioni di esseri umani. “ Ma se una potenza straniera invade il vostro Paese?” Domando con acume tutto occidentale. “Grecia capta, coepit victories. La Grecia catturata, catturò i suoi vincitori. Come? Con la cultura. Qualsiasi popolo venendo a contatto con noi, si convincerebbe di quanto è semplice vivere in uno stato di permanente serenità. Li aspettiamo.” Il Primo Ministro è un ometto sulla cinquantina, vestito sobriamente, con un ciuffo di capelli bianchi che gli schiarisce la fronte. “Sono Primo Ministro solo da un anno e anch’io, come tutti in Kirghisia, lavoro tre ore al giorno.” “Com’è possibile che uno Stato funzioni quasi da solo?” “Il nostro principio motore è l’autogestione, a tutti i livelli. Ogni abitante è in pratica Autore del proprio destino. Tutti hanno familiarità con tutti.” “Prima i ricchi vivevano isolati nelle loro ville. Erano prigionieri del loro benessere e, direttamente o indirettamente, determinavano una società non serena, forse per rendere tollerabile il loro isolamento. Anche dopo le riforme, hanno tentato di proseguire nella condizione di ricchi, isolandosi dagli altri, poi anche loro hanno dovuto aprire le porte e gli animi per partecipare al grande gioco della vita.
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I loro parchi e i loro giardini sono stati aperti a tutti e finalmente le voci dei bambini riempiono quella che un tempo era solo una dorata solitudine.” Mi accompagna lui stesso dall’altro Primo Ministro e suo collega, il capo del Governo per il Miglioramento, dal quale siamo invitati a pranzo. Camminiamo a piedi in queste strade ampie, soleggiate e bonificate, perché libere dal traffico. La gente affacciata alle finestre saluta il Primo Ministro. Si direbbe non solo che tutti lo conoscono, ma che anche lui conosce tutti. Mi vergogno al solo pensiero di chiedergli se non ha paura ad andarsene in giro senza guardia del corpo o senza la macchina blindata. Intervisterò anche il capo del Governo per il Miglioramento. Chi amministra, raramente ha la possibilità di migliorare le strutture operative, mentre un governo che si occupa solo di osservare il funzionamento delle istituzioni può migliorarle sempre più. Il Primo Ministro del Governo per il Miglioramento è una donna. Ci riceve mentre sta annaffiando il giardino. Posa con grazia la canna dell’acqua, poi sorridendo “Volete accomodarvi? Il pranzo è pronto, ho cucinato io stessa.” Ci fa strada fino a una deliziosa piccola veranda, dove sediamo a una tavola accuratamente preparata. Al centro un ampio vassoio con gli antipasti tipici della Kirghisia. “Polpa di granchio du tartine imburrate al mais.” Segue un delizioso fritto di pesce con insalate appena colte. Durante il pranzo l’attenzione dei due ministri è concentrata sulle mie domande. “Dunque volete che spieghi la funzione specifica del Governo per il Miglioramento del Paese? Il Governo per il Miglioramento ha il compito di individuare e proporre soluzioni migliorative in ogni settore della vita pubblica. Proprio oggi ho esaminato un progetto particolare che forse riusciremo a realizzare. Si tratta di una cappa termica che interessa un centinaio di chilometri quadri, capace di mantenere la temperatura della capitale al livello costante di 25 gradi.
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In pratica queste nuove tecnologie consentirebbero di determinare una primavera permanente, permettendo ai nostri cittadini di vivere, se lo desiderano, sempre all’aria aperta, giorno e notte.” “E le stagioni e i cicli naturali del tempo?” Chiedo stupito. “Le stagioni le andremo a vedere ai confini della città. Ma ci vorrà ancora qualche decina d’anni, il progetto va prima sottoposto a tutti i cittadini. Senza l’unanimità da noi nessuna proposta viene attuata. Abbiamo calcolato col Ministro per il miglioramento delle finanze, che questo nuovo modo di vivere abbasserebbe il costo pro capite di ogni cittadino, consentendo di diminuire l’orario di lavoro a un’ora al giorno o, a scelta, a un giorno la settimana.” Questa mia nuova giornata in Kirghisia termina con una visita all’ospedale, completamente autogestito dai malati. I meno gravi o i convalescenti si occupano di cucinare o di riordinare le stanze. I medici non hanno camici, ma sono vestiti della loro competenza. Torna alla mente Franco Basaglia, che, dopo aver vinto la sua battaglia per mettere fuorilegge i manicomi e dopo aver liberato diecine di migliaia di malati dai letti di contenzione e dagli elettroshock, diceva ai giovani medici “Non indossate il camice, la gente deve riconoscere cho è medico dal comportamento e non dalla divisa.” Franco Basaglia, cittadino onorario della Kirghisia. Amici cari, per ora vi saluto e vi abbraccio.
In Kirghisia, quando compi 18 anni ti viene regalata una casa.
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Sesta lettera Kirghisia, 18 agosto Cari amici, come potrete immaginare sono molto cambiato, da quando ho iniziato questo viaggio in Kirghisia. Poco a poco mi ha abbandonato quel senso di incredulità, suscitata dagli eventi in un Paese tanto semplice e felice. Non c’è più traccia del dilemma sogno o realtà, che nei primi giorni impediva di vivere con gioia le scoperte che andavo facendo. La gente dunque qui in Kirghisia lavora tre ore al giorno, i bambini imparano giocando, i deputati e i ministri fanno del volontariato. Chi ha il desiderio di fare l’amore lo segnala mettendosi un fiore azzurro sul petto, l’assenza dell’esercito e delle armi sta procurando a tutti i cittadini un buon pranzo caldo e gratuito al giorno, gli anziani vengono venerati e tutto ciò senza particolari investimenti economici. Semplicemente spostando, da parte di ognuno, il centro dell’attenzione sull’essere umano e i suoi naturali desideri. Il mio accompagnatore racconta che non si è voluta fare una costituzione scritta, ma che tutti la sanno a memoria perché è brevissima e contiene quelle poche parole che consentono a ogni persona di vivere in uno stato di serenità. La costituzione Kirghisa è dunque composta da un solo articolo, facile da ricordare e quindi non scritto. “Al centro di ogni iniziativa, l’attenzione dello Stato e dei cittadini va innanzitutto all’essere umano.” Potete fermare un qualsiasi cittadino kirghiso che vi passa accanto e vi dirà in pochi minuti quelle informazioni essenziali che consentono alla macchina umana e sociale di funzionare bene.
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L’ho fatto e un buon kirghiso si è seduto accanto a noi e ha elencato i fonda,mentali bisogni e desideri di un essere umano, sotto ogni latitudine, a tutte le età, indipendentemente dalla sua estrazione sociale. “Per funzionare bene il corpo umano deve innanzitutto saper dormire, il che non significa solo andarsene a letto e chiudere gli occhi. Esiste una vera e propria cultura del sonno. Dopo aver dormito bene, ogni essere umano deve saper mangiare, evitando di introdurre nell’organismo qualsiasi sostanza estranea ai suoi reali bisogni. Poi deve saper lavorare, ma, come ormai qui da noi tutti fanno, lavorare il meno possibile, non più di tre ore al giorno. Ogni giorno deve saper imparare, qualsiasi cosa, ma sempre collegata al desiderio di conoscere, semplicemente come nutrimento della personalità. Deve saper dare, perché dare non è solo uno dei massimi piaceri ma anche un meccanismo di rinnovamento del pensiero e della personalità. Poi deve saper creare, lasciando una traccia di sé e della propria unicità, come dice un nostro poeta Kirghiso: “C’è qualcosa di più sottile e profondo che voltarsi continuamente a contemplare il cammino sul quale, se non si sono lasciate tracce, si è persa per sempre la vita.” Poi deve saper amare e saper fare l’amore, arte qui da noi prima affidata ala caso e conosciuta solo superficialmente, ora divenuta materia di dialogo e di conoscenza. Infine è fondamentale saper vedere quel velo di mistero che copre ogni cosa. Ovvero saper guardare gli oggetti e le persone che ci circondano ogni giorno, come se li vedessimo per la prima volta.” Questi sono dunque gli otto bisogni e desideri naturali che, una volta soddisfatti, garantiscono a chiunque una stabile serenità. In Kirghisia è dovere principale di tutti non dimenticare mai che si vive una sola volta soltanto e ogni persona considera se stessa un capolavoro della natura e come tale concepisce i propri simili.
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Nessuno, se non immerso in un’ignoranza totale, si sognerebbe di usare un quadro di Van Gogh come vassoio per il thè o la Pietà di Michelangelo come attaccapanni. “Qui da noi è chiaro a tutti che anche il più sprovveduto degli esseri umani, messo a confronto con qualsiasi opera d’arte, anche la più eccelsa, rivela qualità insuperabili e sublimi L’essere umano vede, ode, sa muoversi, pensa, sogna, desidera, crea. I nostri studiosi hanno formulato un’etica, una morale molto semplice: le leggi morali scritte riguardano solo individui disperati o infelici. Nessuna persona serena e rispettata come capolavoro vivente, si sognerebbe mai di rubare, mentire o uccidere. Qui da noi circola la convinzione che ognuno è premiato o punito per ciò che è. Se qualcuno ruba è già punito dal fatto di essere ladro. Se qualcuno mente è già punito dall’essere un bugiardo” dice l’accompagnatore, mentre sorseggiamo una bibita in uno dei mille posti di ristoro gratuiti istituiti nel paese, con le paghe che prima venivano date a deputati e ministri. Mi porta a casa sua, dove propone di vedere la televisione. In Kirghisia la televisione rende onore al proprio nome: televisione, vedere lontano. Ogni televisore è collegato ad un piccolo computer, col quale è possibile allestire infiniti programmi, perché i tecnici kirghisi hanno disseminato migliaia di telecamere in tutto il Paese. Così, ognuno può organizzare la sua trasmissione chiedendo al computer di vedere in sequenza le persone che stanno sorridendo, o collegarsi con le telecamere che stanno riprendendo giochi d’ogni sorte o punti d’incontro dove chiunque può esprimere alla televisione il proprio pensiero o la propria creatività. “Quando il mondo vivrà come noi, si potranno finalmente vedere, in diretta, oltre alla vita stessa, spettacolo inimmaginabile e sempre nuovo, le centinaia di tramonti che avvengono sul pianeta ad ogni istante, le migrazioni degli uccelli, e gli immensi silenzi dei deserti”. Vedremo ogni giorno in diretta centinaia di tramonti, sempre diversi, sempre magnifici. 26 -44
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Vi lascio, amici, con questo progetto sublime. Un saluto emozionato.
… con noi o senza di noi verrà il tramonto e sarà magnifico… Poeta kirghiso
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Settima lettera Kirghisia, 22 agosto Cari tutti, nelle vie e nelle piazze della Kirghisia non ho visto un solo poliziotto o vigile urbano. “Ma la polizia? Esiste ancora in Kirghisia la polizia?” Il mio accompagnatore sembra sempre più preparato alle mie domande, del resto sono domande che chiunque di voi farebbe visitando questo Paese. “Ci sono i guardiani della pace incaricati di osservare che nessuno si comporti in modo scorretto. Fino a qualche tempo fa, gli ultimi poliziotti che abbiamo avuto, in casi estremi si servivano di armi che addormentavano. Invece di sparare pallottole mortali, l’arma era provvista di una capsula che iniettava nel corpo della persona da neutralizzare, una sostanza che addormenta. Quasi tutti, al risveglio, erano talmente felici di non essere morti che si prestavano subito a riparare gli eventuali torti commessi. Ma ormai le persone hanno imparato a rispettarsi, a trattarsi l’un l’altro come capolavori e allora non c’è più bisogno neppure delle pallottole che addormentano. Anche i poliziotti, come prima i militari, sono scomparsi dalla nostra società.” Mi stupisce sempre più questo paese dove la serenità si espande a macchia d’olio, per le strade, sui volti dei passanti, sui muri delle case, perfino nel muoversi armonico degli animali e dei bambini. “Ma non vi annoiate a essere sempre felici?” “Felici proprio non lo siamo ancora. Ci manca forse la vostra felicità. Comunque siamo sulla strada giusta. Ognuno ormai ha il necessario per vivere bene, senza dover dare in cambio del lavoro il tempo della vita stessa. Abbiamo ben presto capito che chi lavora meno produce di più e meglio. Come potremmo annoiarci, visto che abbiamo mille occasioni per scoprire sempre più la vastità della vita. 28 -44
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Al tempo in cui ognuno di noi separava continuamente il bene dal male e il male sembrava essere divenuto il prezzo indispensabile del bene, anch’io ero convinto che una vita serena, troppo serena, sempre serena, potesse portare la noia. Poi ho scoperto la creatività, emozione inestinguibile, che nessuno prima poteva provare, perché tutti avevano sempre da fare e il tempo dell’esistenza era ogni giorno esiguo e portava la maggior parte degli uomini alla depressione, spesso alla disperazione. Avevamo dimenticato, tutti, che sul pianeta si vive una volta soltanto e che l’occasione della vita è unica e non si ripete. Ci avevano costretti a credere che fosse necessario solo lavorare, lavorare e lavorare. Poi avevamo anche dimenticato l’inestimabile valore di ognuno di noi e ci svendevamo per poco denaro a datori di lavoro voraci, senza avere in cambio altro che l’ansia per il futuro e la depressione come traccia del passato. Inoltre eravamo talmente lontani da noi stessi che perfino ringraziavamo quelli che, dandoci un lavoro, ci toglievano il tempo indispensabile per vivere. Ma ora tutto questo è finito. In pochi anni abbiamo sconfitto la corruzione politica, le droghe, la prostituzione, la pubblicità, le malattie nervose e organiche da stress, l’ostilità degli uni verso gli altri, quasi sempre causata da una scarsa stima in se stessi. Le ricerche sulle cellule staminali si sono sviluppate rapidamente e siamo ormai in grado di guarire un numero elevatissimo di malattie.” Osservo anziani estasiati che salgono e scendono gratuitamente da autobus e treni, e la gente che ogni giorno conversa sulle panchine dei viali, come da noi accade raramente o solo nei giorni festivi. Mi avvicino per capire di cosa stiano parlando e prego il mio accompagnatore di tradurre “Parlano degli orti.”
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Un ragazzo di dieci anni sta mostrando a un gruppo di compagni che, attraverso una serie di lenti, è riuscito a catturare l’energia solare e ad arroventare una piastra, sulla quale ha cucinato una zuppa di verdura. “Questa è la zona degli orti. Li chiamano “gli orti della luna”, perché spesso gli anziani ballano fino al sorgere della luna. Ogni orto è stato affidato a una famiglia. In questa zona ce ne sono circa diecimila. Ogni famiglia qui da noi ha in dotazione un orto e, in genere, gli anziani lo coltivano procurando verdura fresca per tutto l’anno.” Per la prima volta ho la fierezza di un ricordo. Anche il mio amico Mario Tommasini, operaio del gas, divenuto assessore alla sanità di Parma, già vent’anni fa aveva occupato insieme agli anziani qualche chilometro quadrato di terra del comune alla periferia della città. Poi vennero distribuiti oltre duemilaquattrocento orti ad altrettanti anziani che, invece di starsene rintanati dietro le finestre o al bar, avevano incominciato a coltivarli. Anche i figli, che altrimenti li visitavano raramente, avevano ripreso a incontrarli, se non altro per portarsi a casa della buona verdura fresca. Poi pian piano erano sorte le prime balere e ogni giorno gli anziani ballavano quelle due orette dopo aver lavorato nell’orto e prima di innaffiarlo per la notte. E nascevano gli amori e una donna di ottant’anni si lamentava, dicendo che gli uomini preferivano corteggiare quelle più giovani, quelle di settant’anni. Insomma, anche lì, come ovunque qui in Kirghisia, avevo avvertito il profumo della vita e della gentilezza. “Vieni, ti faccio vedere qualcosa di particolare.” Il mio accompagnatore mi fa salire su una collinetta e di lì vediamo, al centro di un immenso prato, una tavola lunga almeno trecento metri, imbandita, intorno al quale sono sedute alcune centinaia di cittadini della Kirghisia. Mangiano felici e scambiano ricordi e progetti. Mi avvicino e qualcuno indica un posto vuoto.
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“Siedi, quel posto è riservato a te. A ogni tavola piccola o grande della Kirghisia c’è un piatto intatto, preparato per un eventuale ospite. Chi arriva deve avere la sensazione che gli altri, tutti gli altri, lo stavano aspettando.” Amici cari, come non abbracciarvi? … o amore, in quale abisso di infiniti mari, giace il tesoro del tuo ritorno? Poetessa kirghisa
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Ottava lettera Kirghisia, 26 agosto Cari amici miei, dopo le meraviglie viste nelle città, ho avuto il desiderio di visitare un villaggio della Kirghisia. Il mio sguardo si è spostato oltre le periferie, in un piccolo paese di circa tremila abitanti, proprio quello in cui è nato il mio interprete e accompagnatore. Ci arriviamo rapidamente perché, in Kirghisia, se chi guida ha uno o più posti liberi sulla macchina, espone un piccolo quadrato verde e chi va nella stessa direzione fa un cenno e viene trasportato. Ai bordi delle strade, di tutte le vie, strisce lunghe e strette di terra coltivate a erba e fiori, offrono a chi le percorre una visione gioiosa. Le porte delle case sono socchiuse, come si usava anche da noi nei villaggi fino a mezzo secolo fa. Sui muri esterni delle abitazioni sono appesi in bella mostra, quadri di pittori locali raffiguranti le attività agricole e i paesaggi che si vedono tutt’intorno al paese. Sui marciapiedi c’è chi suona, chi dipinge, chi balla da solo o in coppia, e a ogni angolo di strada è sistemato un piccolo chiosco dove chiunque può dissetarsi con bibite offerte dalla comunità. Di fronte a questo brulichìo di artisti e di bambini, di gente in vario modo allegra, chiedo che festa si sta celebrando. “Nessuna, qui da noi ogni giorno si festeggia la vita. La gente ormai ha riscoperto il miracolo di esserci e lo stare insieme è diventato per tutti lo scopo principale.” Cerco di immaginare questo strano sentimento che abbatte i recinti angusti delle porte chiuse e fa in modo che la famiglia si estenda a dimensioni sempre più vaste. È lo svanire progressivo e inarrestabile del concetto di estraneità. Mi emoziona poter valutare ogni nuova persona che incontro, come un ulteriore patrimonio che la vita mi offre.
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“Ogni estraneo è la parte sconosciuta di noi che il destino ci offre, ogni incontro è portatore di mistero scrive un altro poeta kirghiso. Al centro della piazzetta principale del villaggio è sistemato uno schermo cinematografico, molto ampio, dieci, dodici metri circa. Chiedo al mio accompagnatore il perché di quel gigantesco schermo. “Torneremo questa sera. Allora capirai” dice con aria misteriosa. Poi mi porta a visitare il consiglio comunale. I consiglieri comunali, come i deputati, prestano la loro opera in forma di volontariato, continuando semplicemente a percepire lo stesso stipendio che ottenevano dalla loro professione. Un primo consiglio si occupa della gestione del villaggio, il secondo consiglio comunale ha il compito di progettare e proporre il miglioramento delle strutture, proprio come accade per il governo di questo paese. “In questo momento stanno discutendo la possibilità di realizzare anche qui i marciapiedi mobili, che consentano alle persone di percorrere lunghi tratti si strada senza troppo affaticarsi” dice l’accompagnatore. Il sindaco interrompe il dibattito e dà il benvenuto a nome della cittadinanza. “Da dove vieni amico?” “Dall’Italia.” “E come si svolge da voi la vita?” “Beh, la gente lavora, guarda la televisione e se ne va in giro in macchina.” “E quante ore lavorano in generale?” “Sei, otto ore al giorno. Qualche volta anche di più.” I consiglieri si guardano stupiti e al sindaco sfugge la battuta. “Ma quando vivono?” “La domenica e un po’ la sera” rispondo timidamente. Un’amichevole risata, riempie la grande aula del consiglio. Il sindaco si avvicina e mi stringe la mano. L’interprete rinfrancato traduce. “Perdoni la risata, ma qui da noi tutti lavorano tre ore al giorno e stiamo studiando il modo per ridurle a due.” La sensazione di attraversare un grande sogno non mi abbandona. 34 33 -44
Sembra che tutto, in Kirghisia si semplifichi nella concordia comune. Verso sera raggiungiamo la piazza principale. Di fronte al grande schermo ci sono numerose persone in attesa. Al giunger del crepuscolo lo schermo si illumina e vi si legge il titolo “Memorie del sorriso”. Poi in primo piano, uno dopo l’altro appaiono i volti degli abitanti. Ognuno resta sullo schermo il tempo necessario per un sorriso e sotto il volto appare il suo nome. Bambini, donne, anziani, uomini di ogni età, uno dopo l’altro e ognuno ha un suo sorriso, unico e irripetibile. La gente viene qui, ogni sera per vedere il proprio viso sorridente, gigantesco e i volti di tutti coloro che abitano nel villaggio. Visto che il sorriso non porta in sé barriere della lingua mi emoziona entrare in contatto con tutti questi kirghisi, divenuti ormai veri esseri umani. “Quando appare il tuo viso?” “Alle dieci precise.” Risponde fiero l’accompagnatore. Nel villaggio abitano tremila persone e dato che l’immagine di ogni volto è di cinque secondi, il film di tutta la popolazione dura circa quattro ore.” “Ogni quanto tempo proiettate il film dei sorrisi?” “Tutte le sere e per sempre.” Amici, che ne dite? Un abbraccio particolare.
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Nona lettera Kirghisia, 28 agosto Carissimi, ormai molti di voi hanno smesso di credere che la Kirghisia esista veramente e tentano con ogni mezzo di smascherarmi o di confutare questa realtà. Sostengono che l’economia ha le sue leggi, che un paese non può inventarsi in pochi anni un’organizzazione della società veramente in grado di dare la felicità ad ognuno… Cari amici, vedete che vi è impossibile perfino concepire una comunità umana a misura d’uomo? Vuol dire, forse, che nei vostri cuori non c’è alcuna traccia di amore per voi stessi e conseguentemente per gli altri e per la vita. Altrimenti il primo pensiero sarebbe questo: “In fondo quello che ci viene descritto della Kirghisia è semplicemente un mondo senza paure, senza accumuli inutili di ricchezze, senza sprechi, senza poteri criminalizzati e criminalizzanti. Tutto ciò non ha nulla a che fare né con l’economia né con le vere necessità degli uomini. Ma per fortuna c’è qualcuno di voi che ha subito trasformato i contenuti delle mie lettere in una realtà vissuta. Per esempio Gigi che mi scrive: “Da alcune settimane nella mia famiglia abbiamo fondato una piccola Kirghisia. Io, la mia compagna e i nostri quattro figli, ci siamo distribuiti il lavoro domestico, ciascuno secondo le sue possibilità. È fantastico. Ognuno di noi a turno “dirige” l’andamento della casa per una settimana. Sembra un gioco, ma la nostra vita, una volta spezzati i ruoli è leggera come l’ala di una farfalla (è espressione di Cinzia, 6 anni, la più piccola). Ora che mi sono convinto a lavorare solo tre ore al giorno e ho tempo di stare con miei bambini, continuo a sorprendermi. O meglio, la vita che vedo attraverso di loro mi sorprende ogni giorno di più. Molti si stupiscono della nostra unione e della nostra serenità. 35 -44
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La sera i bambini mi portano i loro disegni, che, con una piccola ma ormai indispensabile cerimonia, appendiamo accanto al mio letto.” Un caro saluto. Gigi. Cari amici, non dovete pensare che con le mie lettere dalla Kirghisia abbia l’intenzione o l’illusione di cambiare il mondo. Voglio solo descrivere una società effettivamente capace di rinnovarsi. Prima di lasciarvi ho pensato di condividere con voi la conferenza cui ho assistito questa sera nel parco principale della città. Ho registrato il discorso e sono in grado di trascriverlo questa volta fedelmente. “Gentili amici Kirghisi, sono stato invitato a trattare il tema della coppia. Credo si tratti di uno dei temi fondamentali in qualsiasi cultura. Noi, gruppo di ricerca sull’argomento, abbiamo qui in Kirghisia raggiunto i seguenti risultati. Il naturale percorso di maturazione dell’essere umano è il seguente: per la donna: femmina>donna>persona. Per l’uomo: maschio>uomo>persona. Nelle altre società moderne, presumibilmente per ragioni di potere, un tale sviluppo viene sistematicamente negato e sostituito con altri percorsi. Per la donna: femmina>quasi donna>moglie>madre per sempre. Per l’uomo: maschio> quasi uomo>marito>lavoro per sempre. Questi esseri mal sviluppati, interrotti nella loro crescita naturale, vengono poi costretti a convivere in uno spazio comune e a trascorrere l’intera esistenza, dividendo spesso, in modo non equilibrato, difficoltà e frustrazioni. Si tratta invece di far sì che, sia gli uomini che le donne, raggiungano, prima di prendere qualsiasi decisione, il livelli di persone, vale a dire risultino autonomi economicamente, psicologicamente e affettivamente. Ambedue, in questa prospettiva, se decideranno di condividere la vita, si offriranno reciprocamente la loro libertà e non la loro dipendenza.”
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Un lungo applauso ha salutato quest’ultima frase del conferenziere e il resto della serata è trascorso discutendo con gentilezza un tema così importante. Va detto che in Kirghisia ormai, a ogni cittadino che raggiunge la maggiore età, viene attribuita un’abitazione. Cari amici, anche questa sera me ne vado a dormire col cuore gonfio di gioia e di serenità. Prima di prender sonno mando a voi tutti un saluto colmo di affetto.
… in Kirghisia un fiore azzurro è grande più del cielo… adolescente kirghiso
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Decima lettera Kirghisia, 30 agosto Cari amici questa è l’ultima lettera che invio dalla Kirghisia, almeno per ora. Ben presto dovrò rientrare e lasciare quest’angolo raro di serenità, quest’oasi di rinnovate certezze nella grandiosità della vita. BREVE RIASSUNTO Rientrando in Italia tornerò per così dire “indietro” nella Storia per ritrovare il caos del traffico, (qui in Kirghisia l’aria è tornata pura) verificherò la disperante quanto inutile organizzazione del lavoro (qui tutti lavorano tre ore al giorno che ben presto diventeranno due). Ritroverò il tormento dell’istituzione scolastica dove, come diceva già Shakespeare: “lo scolaro, come una lumaca, si trascina controvoglia verso la scuola” (in Kirghisia invece i bambini e i giovani giocano tutti i giorni fino a sedici anni nei parchi e, quando piove, imparano dai computer quello che hanno bisogno di conoscere in qualsiasi ambito dello scibile umano). Ritroverò “governanti” d’ogni genere con i volti ingessati dai privilegi, dallo stipendio mensile minimo di cinquanta milioni ( circa 25.000 euro) mentre qui in Kirghisia chi opera nella strutture di governo fa del volontariato. Tornerò a vedere gli anziani, barricati nelle loro case, seminascosti dagli stipiti delle finestre, spiare un mondo che li rifiuta, murati vivi nell’abbandono sociale e nella sopportazione dei familiari, attenti a non superare i margini esigui di una misera pensione (qui invece gli anziani, compiuti i sessant’anni, hanno diritto, come in occidente solo i deputati, al ristorante gratuito, a treni e aerei gratuiti, all’ingresso privilegiato e anch’esso gratuito nei cinema, nei teatri e nei musei e inoltre ad ogni
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anziano, qui in Kirghisia, viene attribuita una piccola porzione di terra dove, se vuole, può coltivare ortaggi e fiori da distribuire). Ritroverò nel nostro tormentato Paese i morti per conflitti a fuoco (qui le armi sono state dapprima sostituite con proiettili capaci di addormentare poi bandite e, oggi non c’è più bisogno di alcuna arma, dato che ognuno ha la certezza di poter vivere una vita serena). Rivedrò le lunghe file di prostitute nelle strade periferiche e centrali delle città (in Kirghisia chiunque desideri fare l’amore appunta un piccolo fiore azzurro al petto semplificando le relazioni amorose rendendole naturali, frequenti e articolate). Ritroverò le miriadi di ospedali e di pronto soccorso ( qui in tutto il paese ci sono solo tre magnifici ospedali, del resto semideserti, visto che pochissimi ormai si ammalano, avendo abbandonato la pratica perversa del fumo, della droga e dell’economismo a tutti i costi, perversioni dovute a esistenze intrise di nevrosi, di fretta e di frustrazioni). Rivedrò, tornando, i volti pasciuti e sazi (ma mai felici) dei ricchi e i volti stanchi, esausti e delusi che affollano le strade e le metropolitane (qui con quello che si spendeva pria per l’esercito, per la pubblicità, per i burocrati, per i governanti, si è procurato un buon pranzo gratuito a tutti i cittadini di questo benedetto Paese, questa kirghisia, che per prima, a quanto pare, ha scoperto che non occorre denaro per vivere una vita intensa e appassionante). Basta stabilire un reciproco, profondo rispetto tra queste opere d’arte preziose e uniche che sono gli esseri umani, liberandoli dalle ragnatele del lavoro coatto, dalla muffa dei sentimenti obbligatori, dagli inutili tormenti della realtà scolastica, dalla polvere fastidiosa della mediocrità culturale e televisiva, ma soprattutto dalla certezza che, se anche qualcuno ti spara, dopo poco ti risveglierai, o ancor meglio mettendo nel cuore di ognuno la convinzione che nessuno avrà mai più una qualsiasi ragione per eliminare un proprio simile.
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Tutto ciò in virtù del primo articolo di una costituzione non scritta, ma realizzata, che prevede e consente “l’amorosa autogestione” del proprio destino , nella consapevolezza che il bene di tutti è il bene di ognuno e che il bene di ognuno è il bene di tutti. Lascio questo paese con lo stesso sentimento che provano i bambini quando, immersi in un gioco appassionante, vengono chiamati e interrotti per questo o quel motivo. Interrompo, spero solo temporaneamente, questo gioco meraviglioso di una società in cammino verso la propria realizzazione, decisa a dimostrare che, una volta eliminati i conflitti, i litigi, le ipocrisie personali o istituzionali, le imposizioni pubblicitarie, le vacanze obbligate e di massa, e soprattutto l’obbligo di un lavoro coatto, un’immensa energia è disponibile per il bene di tutti. Solo con una tale energia è possibile avviare un processo di liberazione dall’angoscia di una sopravvivenza precaria, liberare tutti da un destino non voluto e forse, in ultima analisi, perfino liberarsi dall’ineluttabilità della morte. Ho abbracciato la mia guida e, mentre l’abbracciavo, mi sono accorto che infilava furtivamente nella tasca della mia giacca un minuscolo, grazioso mazzetto di fiori azzurri. A presto, cari amici.
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Post Scriptum Ero dunque già all’aeroporto e stavo per imbucare quest’ultima lettera, quando una forza misteriosa mi ha fermato e mi sono trovato immobile a osservare, dalla vetrata dell’atrio, il mio aereo che decollava, senza di me. Sono tornato nella città capitale della Kirghisia e ho chiesto di riavere il piccolo appartamento che mi avevano assegnato. Tutti i nuovi amici di qui, rivedendomi, hanno fatto gran festa. Insomma, ho capito che non ho il coraggio di tornare, vediamo se avete Voi il coraggio di venire in Kirghisia. Voglio vivere la seconda metà della vita tra questa gente serena, capace di ridare a ognuno il senso della sua preziosità. In fondo è l’unica vita che ho. Né ormai vi scriverò più. Sapete abbastanza della Kirghisia per informare chiunque che “esiste, nel mondo, il primo Paese in grado di offrire all’essere umano ogni attenzione e rispetto.” Ma, a chi dirlo? Al vento, forse, che porti ovunque queste riflessioni, quasi fossero la voce stessa della natura.
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Ho raccolto le numerose lettere ricevute in risposta alle mie e, scegliendone una a caso, è emersa la lettera di Fabio Volo, che qui trascrivo. Caro Silvano, dovrei iniziare questa lettera chiedendoti come stai ma, leggendo le tue lettere dalla Kirghisia, diventa una domanda superflua. Neanche a farlo apposta ho pochissimo tempo per scriverti, devo andare di corsa a fare un lavoro importante. Da quando però ho condiviso un po’ di Kirghisia con te, mi chiedo molte cose. Primo: perché sono sempre di fretta? Secondo parlando di questo appuntamento: è veramente importante? È successo qualcosa di strano con le tue lettere. All’inizio le ho lette come si legge una notizia curiosa su un quotidiano, poi invece mi sono accorto che sono cresciute dentro di me, come un sentimento di risveglio. Leggendo come si vive in Kirghisia, ho notato tante cose assurde qui, che prima nemmeno vedevo. Ho capito che, senza accorgermene, mi sono abituato a non vivere. Silvano, sono stanco, sono stanco fisicamente e mentalmente. I miei impegni sono così lontani dalla vita e dalle cose che realmente vorrei fare e spesso faccio fatica a trovare stimoli per andare avanti. Vivo nella speranza che arrivi presto il fine settimana per avere un po’ di tempo libero per me ma poi quando ce l’ho, spesso mi capita di non sapere come spenderlo. Non sono più abituato a stare con me stesso e ad ascoltarmi. Come sono potuto arrivare a questo? Come ho potuto permetterlo? I pensieri che ho fatto in questo periodo grazie a te mi stanno dando forza per concepire una nuova vita. Sto progettando una serie di cambiamenti e questi pensieri diverranno azioni. Sto già meglio. Queste tue lettere mi hanno dato speranza. Mi hanno fatto immaginare la mia vita in un altro modo. 42 -44
Verrò presto a trovarti e nell’attesa spero che il modo di vivere della Kirghisia arrivi fin qui, contagiando pezzo per pezzo tutto questo meraviglioso e tormentato pianeta. Ciao Silvano vado a fare finta di essere coinvolto in qualcosa‌ ma ancora per poco. Fabio Volo
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…per me giocare è come respirare i sogni… Bambino kirghiso
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