NATURALISMO E VERISMO Il naturalismo francese – vedi pag. 132. Il verismo in Italia All’inizio degli anni ’70 alcuni romanzi di Zola vengono tradotti in italiano e sulla scia del naturalismo si sviluppa il movimento del Verismo, che prende il nome dall’attenzione al “vero”. Gli esponenti di punta sono Giovanni Verga, Luigi Capuana, e Federico de Roberto che condividono la volontà di recuperare il modello del romanzo naturalista. L’ambiente ritratto dai veristi è ben diverso dalle metropoli industriali popolate dal ceto operaio della Francia contemporanea. In italia, i veristi scelgono di rappresentare nelle loro opere la realtà del sud d’Italia e parlare della “questione meridionale”. Diversamente dal Naturalismo, rappresentava una società urbana e industriale. Esso si incentra sul mondo rurale e marinaresco pervaso da una tensione conflittuale tra antico e moderno. Le opere dei veristi non sono animate da alcuna speranza riformista e rivoluzionaria. non nutrono alcuna speranza nel progresso, ma essi rappresentano una società condannata a un destino tragico e immodificabile. I veristi deducono dal naturalismo alcuni importanti principi di poetica: l’interesse per la realtà sociale e per i ceti meno abbienti; la tendenza a un realismo OGGETTIVO. La voce narrante non esprime la visione del mondo propria dell’autore né il suo giudizio morale sugli eventi, ma si fa portatrice di una visione interna al mondo rappresentato con il punto di vista collettivo e corale dei personaggi. Questo comporta l’uso del discorso indiretto libero.
GIUSEPPE VERGA La formazione nasce a Catania nel 1840 da una famiglia agiata. Nel 1851 viene affidato all’insegnamento di Antonio Abate, che fa nascere in Verga il culto per i valori nazionali e unitari. Le letture di Verga spaziano dalla poesia civile alla letteratura di consumo, il cui influsso è evidente nei primi tre romanzi d’esordio, di gusto romantico e incentrati su temi storico – patriottici: Amore e patria, I carbonari della montagna e Sulle lagune. Sono questi gli anni della disperaione garibaldina in sicilia e dell’istituzione della Guardia Nazionale, corpo volontario finalizzato a prevenire le agitazioni contro il nuovo regime unitario. Compie vari viaggi sia a Firenze che a Milano. La conversione al verismo la svolta verso una poetica verista nei temi e nelle forme avviene solo alla fine degli anni ’70, favorita dalla presenza dell’amico Luigi Capuana, dalla conoscenza delle opere di Zola e dall’interesse per la questione meridionale. L’approdo di Verga alla nuova poetica è sancito dalla stesura della novella Rosso Malpelo.
L’interesse per il teatro a partire dal 1884 si dedica anche al teatro: in questo stesso anno viene rappresentata la Cavalleria rusticana. Nel 1893 lascia Milano e torna nella città natale. Nominato senatore del regno nel 1920, trascorre gli anni in solitudine nella gelosa difesa dei propri beni. Muore a Catania nel 1922. Il pensiero un crescente pessimismo. La conversione al verismo determina un profondo mutamento sia nelle forme narrative sia nella visione del mondo. Alla base del pensiero di Verga si pone la riflessione sul progresso, individuato come movente fondamentale della storia umana e come spinta al miglioramento. Quando agisce sugli umili e sui ceti bassi della società porta a un peggioramento delle loro condizioni di vita. Sugli umili, travolti dal progresso e sconfitti nelle loro speranze di riscatto, si incentra l’attenzione del Verga verista. Egli pone l’accento sulla feroce lotta per la vita che determina la sconfitta dei più deboli e il trionfo dei più forti. L’unica salvezza per gli umili consisterebbe nell’accettare la propria condizione, restando fedeli ai valori della famiglia e della tradizione, e rifuggendo da ogni tentativo di miglioramento. Profondamente ateo e materialista, Verga guarda alla realtà sociale come a un mondo dominato dalla violenza e dalla sopraffazione reciproca, cui manca anche il confronto di una speranza religiosa e di un superiore disegno provvidenziale. Egli ha una visione cupamente conservatrice. Ne deriva un atteggiamento ambiguo, in cui la denuncia sociale delle condizioni di vita dei ceti più bassi dell’Italia meridionale non porta ad alcuna proposta alternativa, ma solo a una fatalistica e rassegnata accettazione dell’angustia sociale che domina la realtà. La poetica Il criterio dell’impersonalità. Le novità principali della produzione verista di Verga vanno ricercate nell’originalità tradizionale ottocentesca, in genere basata sulla presenza del narratore onnisciente. Per raggiungere questo scopo egli afferma il principio dell’impersonalità, secondo cui il narratore deve eclissarsi nei fatti narrati, senza lasciar trasparire le sue opinioni. La mediazione del narratore deve restare “assolutamente invisibile agli occhi”, per accentuare l’impressione di realismo. L’autore rinuncia ad esprimere giudizi e a manifestare il proprio punto di vista e regredisce a livello di un narratore anonimo popolare, interno ai fatti narrati. Verga rinuncia alla tradizionale presentazione descrittiva di ambienti e personaggi, calando subito il lettore nel mezzo di fatti rappresentati. Egli alterna la voce del narratore a quella di molti personaggi rappresentati, ottenendo una narrazione polifonica e corale. La lingua usata consiste in una simulazione della lingua parlata dei ceti bassi della Sicilia. Verga tuttavia non adotta il dialetto siciliano perché vuole che la sua opera sia fruibile da un pubblico vasto e nazionale. Le opere vedi pag. 176 – 177 Le opere veriste Vita dei campi E’ una raccolta che contiene 8 novelle, tra cui Rosso Malpelo. L’ambientazione delle novelle è quella della campagna siciliana, mentre le tecniche espressive prevedono l’adozione dell’artificio della regressione.
Il ciclo dei vinti Verga intende scrivere cinque romanzi in cui mostra come agisce la spinta al miglioramento e al progresso sui diversi ceti sociali, a partire dai più umili fino ai più elevati. Egli applica il principio darwiniano della “lotta per la vita”, che vede i più forti prevalere sui più umili. Il primo testo, I Malavoglia, intendeva analizzare la lotta per i bisogni materiali. Mastro – don Gesualdo, l’attenzione si spostava sull’aspirazione alla ricchezza. La duchessa di Leyra si incentra sull’ambizione aristocratica, L’onorevole Scipioni sulla brama di successo in ambito politico. L’uomo di lusso sul desiderio di affermazione dell’artista. In realtà furono realizzati solo i primi due romanzi, il terso venne iniziato e poi abbandonato per l’esaurimento della creatività dell’autore e per il cmplicarsi dei meccanismi sociali. Novelle rusticane l’ambientazione è siciliana e contadina, lo scenario ampio e articolato. Esponenti del ceto medio.
LA SCAPIGLIATURA Un movimento composito La Scapigliatura è un movimento letterario artistico sviluppatosi a Milano e in area Piemontese intorno agli anni Sessanta dell’Ottocento. Si tratta in realtà di una tendenza che unisce autori tra loro anche molto diversi per ideologia, opinioni politiche e scelte stilistiche, accomunati però da un atteggiamento di ribellione e nei confronti della società borghese e del suo conformismo. All’interno della società rivolta all’utile e al profitto, l’artista vede la sua stessa opera ridotta a merce e condizionata dai gusti di un pubblico sempre più ampio e variegato. Alle regole di mercato, gli scapigliati si oppongono con decisione, assumendo atteggiamenti provocatori e anticonformistici. Nati da famiglie borghesi, essi prendono le distanze dal ceto di origine e ostentano un tormentato disadattamento, che si traduce in problemi di alcolismo, alla miseria e al suicidio. Il violento ribellismo degli scapigliati si traduce nel rifiuto della tradizione letteraria e in particolare per gli autori di area lombarda, nella rivolta contro il modello fornito da Manzoni. Essi contrappongono quindi tematiche irrazionalistiche, fantastiche e “nere”: la malattia, la follia, il contrasto tra realtà e illusione, atmosfere oniriche e situazioni surreali talora macabre. Gli scapigliati recepiscono nella loro poetica anche un intento realistico, che li accomuna in parte alle correnti del Naturalismo e di quello che sarà poi il Verismo. Il rifiuto dell’idealizzazione romantica li induce al desiderio di rappresentare il vero, manca tuttavia nelle loro opere ogni rigore scientifico e l’intento realista si incentra soprattutto sugli aspetti patologici abnormi della società nella volonta di scandalizzare il perbenismo del pubblico borghese. Il generico ribellismo che anima questi autori solo raramente si concretizza in testi dotati di un reale valore artistico, limitandosi più spesso a esprimere in forme insolite ed esasperate il disagio di un’inter generazione nei confronti della modernità. Gli autori Emilio Praga, Igino Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Giovanni Camerana, Giovanni Faldella.
La scapigliatura democratica La Scapigliatura prende in seguito anche altre direzioni, più impegnate in senso sociale.
GIOSUE’ CARDUCCI La vita nasce a Valdicastello, in Versilia nel 1835. Il paesaggio maremmano influenza profondamente l’indole ribelle del giovane poeta, che più tardi lo descriverà nelle sue liriche raffigurandolo come un Eden perduto. Nel 1860 viene nominato professore di eloquenza italiana all’Università di Bologna dove rimarrà fino alla morte. In questo periodo Carducci, elabora le idee giacobine e repubblicane unito ad un violento spirito anticlericale. L’adesione alla politica aggressiva di Crispi e il successo letterario sanciscono la sua fama come “poeta – vate”, celebratore dell’Italia umbertina. Nominato senatore del Regno nel 1890, egli lavora a liriche che celebrano in senso nazionalistico la storia italiana. La sua fama di poeta viene consacrata dal premio Nobel per la letteratura, il primo assegnato ad uno scrittore itaiano, ricevuto nel 1906, un anno prima della morte. Il pensiero e la poetica Carducci mantiene sempre una concezione della poesia e del ruolo del poeta orientata in senso civile, legata all’analis critica della situazione politica contemporanea. Il poeta resta profondamente deluso dal trasformismo e dalla corruzione dominanti della Destra storica. Matura quindi un violento ribellismo giacobino anticlericale. La sua evoluzione ideologica riflette l’involuzione politica di un’intera generazione borghese. Nella poetica carducciana sono nutrite la polemica verso la decadenza e l’esaltazione della grandezza dell’Italia. Il confronto con il passato classico, spesso rievocato come un’epoca di vigore morale e pienezza artistica. Il recupero dei classici latini è evidente. Carducci sperimenta nelle Odi barbare una soluzione innovativa: la trasposizione nelle forme della metrica accentuativa italiana, di schemi ritmici che imitano gli antichi metri latini, basati sulla quantità delle sillabe. Il risultato è imperfetto e parziale. Nascono dei componimenti definiti “barbari”, poiché tali suonerebbero agli orecchi e al gusto dei greci e dei romani. Anche da questo punto di vista, pur nel solco del classicismo, si dimostra estremamente moderno, in quanto crea nuovi ritmi che aprono la strada al verso LIBERO degli autori simbolisti e decadenti. La migliore poesia carducciana si esprime nelle tematiche più intime e personali, legate al paesaggio maremmano o connesse al sentimento della morte e del distacco. Le opere pag. 277 – 278.
Il romanzo decadente La letteratura del decadentismo nell’ultimo ventennio dell’800 la crisi del razionalismo positivista e il mutamento del rapporto tra artista e società determinano radicali innovazioni in ambito culturale e letterario, che favoriscono il passaggio da Naturalismo al Decadentismo. Il romanzo di impianto realistico viene
via via abbandonato perché non riesce a far luce sulle problematiche psicologiche dell’uomo contemporaneo, e si affermano anche opere nuove in cui l’analisi oggettiva della realtà sociale è sostituita dalla riflessione sull’interiorità dei singoli personaggi e dallo studio della loro psicologia. In Italia il romanzo decadente si afferma tra il 1880 e il 1890 con le opere di D’Annunzio, Fogazzaro e Deledda. L’estetismo il romanzo decadente presenta alcune caratteristiche e tematiche ricorrenti. Gli autori privilegiano l’analisi dell’interiorità dei personaggi e della loro psiche profonda, spesso percorsa da pulsioni torbide e morbose. I protagonisti sono preda di nevrosi, follia, innescate da rapporti sentimentali perturbanti con donne fatali di intensa sensualità. Il motivo che più accomuna i romanzi decadenti è l’Estetismo, ossia l’esaltazione della bellezza come valore supremo. In questo modo il letterato reagisce alla propria emarginazione rivendicando polemicamente l’importanza dei valori estetici di un’arte fine a se stessa, che la massa non può comprendere né apprezzare. I protagonisti dei romanzi incarnano la figura dell’esteta, del dandy raffinato e anticonformista che si isola dalla società, involgarita dal perbenismo borghese, per rifugiarsi sdegnosamente in un solitario sogno di bellezza. Nel piacere, l’esteta si sottrae all’impegno e all’azione per circondarsi di oggetti preziosi e ricercare sensazioni languide e raffinate, spinto dalla volontà di “fare la propria vita come un’opera d’arte”. Il romanzo decadente presenta importanti novità anche dal punto di vista delle tecniche narrative. La centralità dell’analisi psicologica fa sì che l’intreccio perda importanza, poiché la narrazione dei fatti è sostituita dalla registrazione di impressioni, moti interiori e stati d’animo spesso contraddittori. L’attenzione si concentra su un singolo personaggio, la cui vita interiore viene analizzata a prescindere dal contesto sociale. Il tempo narrativo non procede in modo lineare, ma asseconda il libero vagare di fantasie, ricordi, e l’intera vicenda è orientata secondo il punto di vista soggettivo del protagonista, abbandonando l’uso del narratore onnisciente. LEGGERE PAG. 354 – 355. GABRIELE D’ANNUNZIO La Vita Fin dagli anni giovanili, fu convinto che “bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte”, e costruisce il suo personaggio secondo precisi criteri estetici, attraverso la ricerca di quella “vita inimitabile”. La sua figura lascia dunque il segno non solo nel campo della letteratura, ma anche in quello più vaso della società italiana, ponendosi all’origine del “dannunzianesimo”. Nato a Pescara nel 1863 da Gabriele Rapagnetta, modifica il suo cognome, con quello di un facoltoso zio adottivo. Nel 1881 si trasferisce a Roma per frequentare l’università. Si iscrive alla facoltà di lettere ma non la termina, preferendo frequentare la società dei salotti e farsi conoscere nell’ambiente letterario, pubblicando liriche, cronache mondane e resoconti di esposizione d’arte su molti giornali. Al successo letterario si accompagna quello mondano, raggiunto attraverso una vita di lusso, scandali, duelli e amori. Nel 1888, si dedica intensamente alla stesura del suo primo romanzo, Il piacere. Il suo successo è tale da mettere in ombra quello di un altro grande
romanzo, il Mastro don Gesualdo di Verga. Assediato dai creditori si reca a Napoli, dove collabora con “Il Mattino”. Nel settembre del 1895, si stabilisce a Firenze. La poetica “superomistica” induce D’annunzio nella produzione di opere teatrali. Gli anni a cavallo tra i due secoli cominciano con una febbrile attività letteraria, che si esprime in particolare attraverso la prosa e le opere teatrali. Il desiderio di intervento attivo, porta lo scrittore ad impegnarsi anche in politica, facendosi eleggere come deputato della destra nel collegio di Ortona. Nel 1910, per sfuggire ai creditori, si reca in Francia dove rimarrà per cinque anni. Tornato in italia nel 1915, si distingue per la sua posizione interventista. I suoi violenti discorsi a favore dell’entrata in guerra suscitarono il plauso delle masse. Allo scoppio della guerra, si arruola volontario nell’esercito. Ferito all’occhio destro, è costretto a partire nel 1916. Al sopraggiungere della pace, agita lo spettro della “vittoria mutilata”, rivendicando per l’Italia il possesso delle terre di Fiune e della Dalmazia. Conclusa l’impresa fiumana, si ritira in una sorta di volontaria clausura nella villa di Gardone Riviera. Il pensiero e la poetica L’estetismo L’opera dannunziana è costituita da numerosissimi testi, caratterizzati da un’estrema varietà di forme, temi e generi: poesie liriche, novelle, romanzi, prose d’arte e autobiografiche, opere teatrali in versi ed in prosa. L’arte di D’Annunzio risulta sorretta da due elementi costanti: la ricerca di uno stile elevato e letterario; una visione del mondo dominata da un’accesa sensualità, dal desiderio di possedere la vita nei suoi aspetti gioiosi attraverso i sensi e la magia della parola. In una prima fase questi atteggiamenti trovano espressione nell’estetismo, che si inserisce nella più vasta corrente del decadentismo. Egli si impegna a incentrare la propria esistenza e la propria opera sulla ricerca di sensazioni raffinate ed esaltanti, all’insegna del culto della Bellezza intesa come unico valore. Negli anni ’80 egli consoce il pensiero di Nietzsche, reinterpretandolo con grande libertà. Fa propria la teoria del “superuomo”, inteso come individuo di superiore sensibilità chiamato a opporsi alle convenzioni borghesi per realizzare il proprio desiderio di dominio sulla realtà. Questo individuo eccezionale si identifica nel pensiero dannunziano con l’artista, legittimato a imporre la propria volontà sulla potenza del mondo. Rispetto alla scelta dell’esteta, che si appartava dalle masse, il superuomo si pone alla guida del popolo, trasformandosi in “poeta – vate” e assumendo atteggiamenti aggressivi e antidemocratici. Alla luce dell’ideologia dei superomisti e di un esasperato protagonista si comprendono le scelte politiche di D’Annunzio. Sottolineando la sua funzione di poeta – vate, reagisce anche alla pedita di importanza dell’intellettuale all’interno della società moderna riaffermando in modi imperiosi la missione del poeta come guida civile e morale della collettività. I testi dannunziani più significativi sono quelli in cui il superuomo cerca la propria affermazione nel contatto profondo con la natura. La sensualità della poetica dannunziana diviene aspirazione alla fusione totale dell’io con il cosmo, secondo il principio del panismo (da Pan, dio greco della natura e dei boschi). Questo sentimento decadente si
accompagna alla ripresa dei miti della Grecia classica. Strumento privilegiato per la fusione dell’io con la natura è la parola poetica. Verso libero. Le opere pag. 370 – 371 GIOVANNI PASCOLI La vita Nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna. Il padre viene assassinato da ignoti mentre torna a casa in calesse da Cesena. L’assassinio del padre ritornerà ossessivamente nelle liriche di Pascoli, facendosi simbolo di un mondo ingiusto e minaccioso, capace di distruggere senza motivo quel nido familiare che il poeta non smetterà di rimpiangere. A questo evento si sommarono altri gravi lutti: la sorella maggiore e la madre, i fratelli Luigi e Giacomo. Compiuti gli studi liceali, nel 1873 Pascoli vince una borsa di studio a Bologna che gli permette di iscriversi alla facoltà di lettere. Negli anni universitari, Pascoli entra in contatto con ambienti anarchici e viene privato dei sussidi agli studi per aver partecipato ad una manifestazione studentesca contro il Minsitro dell’Istruzione. Nominato professore di latino e greco al liceo classico di Matera, nel 1887 va a Livorno dove tenta di ricostruire quel nido familiare. Nel 1891 pubblica Myricae, la sua prima raccolta di poesie recensita favorevolmente da D’Annunzio. Nel 1895, dopo il matrimonio della sorella Ida, che il poeta vede come un ulteriore abbandono, Pascoli prende in affitto una casa a Castelvecchio di Barga. In aprile conosce, a Roma, Gabriele D’Annunzio. Nominato professore di grammatica latina prima a Bologna e poi ordinario di letteratura latina a Messina e poi a Pisa. Sono del 1897 i Poemetti di cui fa parte Il Fanciullino. Le ultime raccolte hanno contenuto storico – patriottico. Un anno prima della morte, nel suo ultimo discors pubblico, Pascoli plaude all’impresa militare in Libia, a cui guarda come all’unica soluzione del malessere sociale dell’Italia. Malato di cancro al fegato, muore a Bologna nel 1912. Il pensiero e la poetica il punto di partenza per l’analisi della poetica è la prosa teorica intitolata Il fanciullino. In queste pagine Pascoli afferma che nell’animo di ogni uomo vive un “fanciullino”, un bambino capace di guardare al mondo con stupore, di provare emozioni intense e di scoprire le misteriose relazioni tra gli elementi naturali. Mentre la maggior parte degli uomini, crescendo, abbandona questa dimensione infantile, solo il poeta resta bambino nell’animo. Pascoli intende la poesia come una forma pre – logico intuitivo, che rifiuta ogni fiducia nella ragione come strumento di conoscenza. Questa concezione lo induce a privilegiare una poeatica semplice, incentrata sulle piccole cose, che si caricano però di valenze simboliche. Il punto di vista infantile è solo apparentemente umile. L’ottica del fanciullino spinge Pascoli a soffermarsi sui particolari della realtò naturale, descrivendo con precisione lessicale gli alberi, gli uccelli, i suoni della natura. Le liriche pascoliane sono fitte di immagini simboliche, attraverso le quali la realtà naturale rimanda ai traumi del poeta e ai suoi turbamenti. I fenomeni atmosferici alludono al male che sconvolge il mondo. Su questa base si capisce l’importanza del tema della natura e del vagheggiamento della semplicità della vita campestre. Ricorrono con frequenza le immagini della “siepe”, della “nebbia” e
soprattutto del “nido” che diviene simbolo del nucleo familiare per sempre perduto ma sempre ricercato. Il mondo naturale si fa specchio dello stato d’animo del poeta, si carica di un senso profondo di mistero, dietro al quale si cela una realtà dolorosa. Fondamentale è anche il tema della morte che pervade il paesaggio e i pensieri dell’autore. La metafora del “poeta – fanciullo” è legata alla complessa dimensione psicologica dell’autore, e risente del suo desiderio di fuga dalla realtà adulta, vista come inospitale e minacciosa. Le opere pag. 419 – 420 STUDIARE DAL LIBRO DA PAG. 478 IL FUTURISMO Un movimento d’avanguardia Nel panorama letterario del primo Novecento, dominato da una profonda esigenza di rinnovamento, anche in Italia si sviluppano correnti letterarie. In Italia è il Futurismo, un vasto movimento culturale che coinvolge tutte le arti. Il Futurismo viene fondato da Tommaso Marinetti il 20 febbraio 1909, con la pubblicazione sul quotidiano francese “Le Figaro”, del Manifesto del Futurismo. Il Futurismo è in aperta rottura verso la tradizione e si contrappone ai modelli canonici dell’arte del passato, considerati espressione di un anacronistico immobilismo culturale. I nuovi poeti si propongono di trarre ispirazione dalla realtà contemporanea e celebrano nelle loro opere i valori e i simboli della modernità e del progresso. La velocità, il dinamismo, le macchine, le grandi metropoli sono gli scenari su cui si esercita la nuova estetica. Il Futurismo celebra una sua corrente poetica, esposta da Marinetti nel Manifeste tecnico della letteratura futurista del 1912 “parole in libertà”, ossia l’accostamento libero di termini, inteso come unico strumento per trasporre sulla pagina il dinamismo e la frenesia della via moderna. Rinuncia alle regole della sintassi, abolizione della punteggiatura, eliminazione di aggettivi, avverbi e parti accessorie del linguaggio per stupire il lettore. Il Futurismo lascia trasparire le proprie componenti più intolleranti e violente che, sul piano politico, sfoceranno n un violento interventismo e, dopo la guerra, in un generico sbocco all’ideologia fascista. Tuttavia, gli stessi presupposti teorici del Futurismo non possono farne l’emblema di arte ufficiale del fascismo. FILIPPO TOMMASO MARINETTI Nato nel 1876 ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani. Si trasferisce diciottenne a Parigi dove entra in contatto con gli ambienti dell’avanguardia francese. Fonda a Milano la rivista “Poesia”. Il 20 febbraio del 1909 pubblica su “Le Figaro” il Manifesto del Futurismo, che costituisce l’atto di nascita del Futurismo italiano. Nel 1910 pubbliica il romanzo Mafarka il futurista. Favorevole alla guerra in Libia, esalta la violenza della guerra sia con prose giornalistiche, sia nel poemetto Zang Tumb Tumb. Aderisce al movimento fascista e nel 1929 viene nominato accademico d’Italia. Muore nel 1944 a Bellagio, sul lago di Como. Dal punto di vista contenutistico, i suoi testi esaltano i valori della modernità, il dinamismo e soprattutto l’ambigua bellezza della guerra, instesa come spettacolare occasione di sfogo di un esasperato vitalismo.
ALDO PALAZZESCHI Alla corrente futurista può essere ricondotta l’opera di Palazzeschi. Nasce a Firenze nel 1885, si appassiona dapprima alla recitazione e in seguito alla poesia. Le sue prime raccolte poetiche si avvicinano al gusto crepuscolare per i temi semplici e il tono ingenuo. Nei primi anni Dieci il poeta soggiorna a Parigi, dove si avvicina al Futurismo, pubblicando la raccolta di liriche L’incendiario e il romanzo allegrico Perelà uomo di fumo. Della corrente futurista apprezza l’originalità e la carica innovativa, ma non condivide l’aggressivo nazionalismo. Durante il fascismo non partecipa alla vita pubblica e conduce un’esistenza appartata, dedicandosi alla narrativa tradizionale di stampo ottocentesco. Nel 1934 pubblica Le sorelle materassi. Gli anni ’60 segnano il ritorno alla poesia di tono giocoso e paradossale. Il poeta come clown pur nel suo incessante sperimentalismo, l’opera di Palazzeschi mantiene una sua profonda coerenza, segnata da una costante carica ironica e giocosa che si manifesta appieno nell’adesione al Futurismo. Verso libero. Il controdolore si applica anche alla società del proprio tempo, divenendo un sottile strumento per denunciare e irridere il perbenismo borghese e le sue ipocrite convenzioni. Nella poesia di Palazzeschi è ricorrente la riflessione sul ruolo del poeta nella società moderna, di cui viene riconosciuta l’insignificanza e la scarsa considerazione. Alla svalutazione dell’arte nella società capitalistica Palazzeschi contrappone la consapevolezza dell’inutilità dell’artista, rappresentato come saltimbanco dotato solo dell’arma lieve ma potente della risata e dello sberleffo al buon senso comune. Approfondimento a pag. 529. I POETI VOCIANI: REBORA, SBARBARO, CAMPANA “La voce” Nata con un dichiarato intento di impegno civile e morale, nella volontà di occuparsi dei concreti problemi della società, la rivista si aprì in seguito a interessi più propriamente letterari, la diffusione di una nuova poetica, caratterizzata dalla tendenza espressionistica, da un’accesa tensione etica e dalla predilezione per il “frammento” . E’ questa concezione della letteratura che si ricollegano prosatori come Clemente Rebora, Camillo Sbarbaro e Dino Campana. Ciò che accomuna le opere dei “vociani” è il riferimento a una poetica di tipo espressionista. E’ viva la tendenza a stravolgere e deformare il linguaggio lirico tradizionale per esprimere una visione del mondo complessa e conflittuale, incentrata sui temi dell’alienazione, del degrado e della crisi dell’uomo moderno. Si traduce in un linguaggio estremo e violento. Rispetto alla tradizione poetica i vociani si pongono in un rapporto che è al tempo stesso di continuità e di frattura. Nei loro versi è presente l’eco della lezione dei simbolisti, come pure di Pascoli, ma è anche fermo il rifiuto della poesia altisonante. Le tematiche predilette sono i motivi quotidiani e comuni. Clemente Rebora L’influsso della poetica espressionistica di matrice vociana è visibile nell’opera di Rebora ed è segnata da una forte tensione etica. Nato a Milano
nel 1885, riceve un’educazione totalmente laica. Nel 1913 pubblica la sua raccolta poetica più importante, i Frammenti lirici. Partecipa alla prima guerra mondiale. Nel 1922 c’è la pubblicazione di una nuova raccolta, i Canti anonimi. La sua sofferta inquietudine esistenziale trova soluzione nel 1928 con la conversione alla fede cattolica, in seguito alla quale viene ordinato sacerdote nel 1936. Gli impegni pastorali lo inducono ad abbandonare la poesia, a cui tornerà con i Canti dell’infermità. Il lessico è duro e scabro, la sintassi franta e spesso costruita su frasi nominali. Anche l’esperienza drammatica della guerra viene rappresentata in modi estremi. Di fronte all’apparente assenza di significato della realtà, Rebora non si arrende, ma risponde con una tensione morale titanica. Camillo Sbarbaro Camillo Sbarbaro nasce a Margherita Ligure nel 1888. Dapprima impegnato nell’industria siderurgica, successivamente Sbarbaro si dedica all’insegnamento del greco e del latino. Conquista una certa notorietà con le poesia di Pianissimo. Nel primo decennio del ‘900 partecipa alla vita letteraria, ma durante il fascismo si chiude in totale silenzio letterario. Nel secondo dopoguerra pubblica nuovi volumetti di prose e si dedica all’attività di traduttore. La maggior parte delle sue liriche presenta tematica autobiografica, dedicata alla registrazione di uno stato d’animo dominato da un senso di aridità e passiva inerzia. L’io lirico è perduto nella massa anonima della città moderna. Al poeta, privato di ogni energia vitale e ridotto a fantoccio, resta solo il triste privilegio di guardarsi vivere come dall’esterno. Queste problematiche moderne sono calate in una forma espressiva volutamente quotidiana e dimessa, che evita ogni sperimentalismo. Dino Campana L’opera di Dino Campana è stata variamente valutata dai critici, che vi hanno visto ora una poesia fortemente innovativa e d’avanguardia, ora una ripresa di forme tardo – ottocentesche di matrice carducciana e dannunziana. La vita del poeta si svolge all’insegna di una consapevole marginalità, che ricorda gli atteggiamenti “maledetti” di Rimbaud e dei simbolisti francesi. Nato a Marradi nel 1885, già intorno ai 15 anni manifesta i primi segni di squilibrio mentale. Nel 1906 ha un primo ricovero nel manicomio di Imola. Dimesso per volere del padre, comincia a viaggiare, giungendo fino in Argentina e svolgendo per sopravvivere i mestieri più svariati. Arrestato per rissa o vagabondaggio, viene rinchiuso in carcere o in manicomio per brevi periodi. Nel 1913 consegna la sua raccolte di liriche intitolata Il giorno più lungo, pubblica i primi testi sul giornale “Lacerba”, ma il manoscritto va inspiegabilmente perduto. Con l’aiuto dei suoi appunti, il poeta riscrive l’intera opera ampliandola, e la pubblica a proprie spese nel 1914, con il titolo Canti onorifici. Le sue condizioni psichiche peggiorano rapidamente e i continui deliri di persecuzione lo conducono all’internamento nel manicomio di Castel Pulci, dove resterà fino alla sua morte avvenuta nel 1932. I Canti onorifici sono un’opera organica in cui si alternano testi lirici in versi e poemetti in prosa di ampiezza variabile. Il titolo rinvia da un lato alla tradizione lirica leopardiana dei Canti e dall’altro alla figura di Orfeo. A questa visione di matrice simbolista, si unisce una sensibilità inquieta e turbata, un senso di
esclusione e di disarmonia che rende impossibile rintracciare nella realtà un principio di ordine e di equilibrio. Da ciò nasce una poesia visionaria, dominata da atmosfere oniriche. Le tematiche più ricorrenti sono quelle del viaggio, della irrisolta ricerca esistenziale del rapporto conflittuale con la modernità. Anche dal punto di vista del linguaggio si deforma in senso violentemente espressionistico, cui si unisce un uso quasi ossessivo delle ripetizioni lessicali. VEDI SUL LIBRO PIRANDELLO ITALO SVEVO Svevo nasce nel 1861 a Triste, allora parte dell’impero austro – ungarico. La nascita in una città di confine colloca Svevo nel centro culturale della Mitteleuropa, permettendogli di assimilare con netto anticipo rispetto all’Italia le novità provenienti dall’area di lingua tedesca. Consapevole della duplicità delle sue radici culturali, l’autore stesso scriverà nel suo Profilo autobiografico di aver scelto lo pseudonimo Italo Svevo per “affratellare la razza italiana e quella germanica”. Il padre lo indirizza alla carriera commerciale. Il grigio lavoro di bancario occuperà l’autore per diciannove anni, durante i quali però matura anche interessi letterari, creandosi da autodidatta una vasta cultura. Inizia a comporre i primi testi teatrali e a collaborare con il quotidiano “L’indipendente”, su cui viene pubblicato il suo primo racconto, L’assassionio di via Belpoggio. Nel 1892 pubblica il primo romanzo, intitolato Una vita, che non riscuote alcun successo. L’insuccesso si ripete nel 1898 con il nuovo romanzo Senilità, e induce l’autore al proposito di rinunciare alla scrittura. Si apre così un periodo di apparente silenzio letterario che si protrae per 25 anni. In questo periodo Svevo è assorbito dalla sua attività di imprenditore, che lo spinge a viaggi d’affari all’estero e in particolare in Inghilterra. Proprio la necessità di migliorare la conoscenza dell’inglese lo induce a prendere lezioni private dal romanziere James Joyce. Dal 1910 comincia a interessarsi alla psicanalisi. L’incontro con Joyce e con le teorie freudiane influenzano profondamente l’evoluzione narrativa di Svevo che tra il 1919 e il 1922 compone La coscienza di Zeno. L’opera sembra inizialmente un insuccesso, ma l’apprezzamento di Joyce induce l’autore e inviarne una copia a due critici francesi che, entusiasti, dedicano al romanzo un intero numero dell’importante rivista letteraria “Navire d’argent”. Eugenio Montale aveva scritto sulla rivista milanese “L’esame” un saggio dal titolo Omaggio a Svevo. Scoppia così il “caso Svevo”, che lo porta a conoscere finalmente la notorietà. Questo lo porta alla scrittura di numerosi testi che verrà però interrotta dalla morte improvvisa causata da un incidente stradale nel 1928. Il pensiero Svevo è un intellettuale nuovo anche dal punto di vista sociale, pienamente inserito nel mondo borghese. Privo di una formazione strettamente umanistica, coltiva i suoi interessi letterari come una sorta di vizio nascosto. Grazie alla conoscenza del tedesco e agli studi condotti in Germania, Svevo si costruisce una formazione ampia e varia. Alla lezione positivistica dell’evoluzionismo di Darwin, si affianca il pensiero irrazionalista di Schopenauer e Nietzsche, cui unirà poi le teorie freudiane. Svevo, però, non aderisce appieno a nessuna di queste concezioni. Acuto interprete della “coscienza della crisi” dell’uomo moderno, Svevo
pone al centro della sua opera l’interesse per la soggettività dell’individuo e per la complessità della psiche. Da Schopenauer egli desume l’idea che la volontà del singolo non sia libera, ma rappresenti l’emanazione di una Volontà superiore, cieca e irrazionale, che domina il mondo. Dalla filosofia di Nietzsche riprende gli spunti polemici verso la società borghese e la teoria della pluralità dell’io. Attraverso la conoscenza di Freud giunge alla scoperta dell’inconscio e all’analisi dei meccanismi psicologici attraverso i quali ogni individuo inconsapevolmente maschera e giustifica le sue pulsioni più profonde. Ne La coscienza di Zeno Svevo riprende molte delle teorie freudiane e giunge alla conclusione che la nevrosi non è una condizione del tutto negativa, in quanto consente un’osservazione privilegiata della realtà. Giunge a portare al centro della sua opera la figura dell’inetto. Dalla teoria di Darwin riprende l’idea che il comportamento dei singoli sia il prodotto di leggi naturali non modificabili, prima fra tutte la “lotta per la vita”. Da Marx riprende la condanna della società industriale. In termini paradossali e ironici, egli identifica l’intellettuale moderno con l’inetto, in apparenza escluso dalla società. La Poetica secondo la sua poetica, soltanto la “letteraturizzazione” della vita, cioè la sua trasposizione nella pagina scritta attraverso il ricordo, permette di sottrarre parzialmente l’esistenza allo scorrere del tempo e di “arrivare al fondo del proprio essere”. Questa particolare poetica si traduce in strutture narrative decisamente nuove. Gli autori che più influenzano svevo sono Balzac, Stendhal, Flaubert, Dostoevskij, Swift, Sterne e Joyce. Le opere pag. 659 – 660.
IL NOVECENTO Contesto storico e culturale da pag. 2 a pag. 12 La letteratura La poesia italiana tra Ermetismo e Antinovecentismo La poesia del ‘900 è anzitutto poesia lirica, legata cioè all’espressione di sentimenti e stati d’animo dell’individuo, tali però da esprimere una condizione esistenziale collettiva. L’ermetismo si sviluppa come un vero e proprio movimento organico. Esso comprende poeti come Quasimodo, Gatto, Bigongiari, che prendono a modello la raccolta poetica di Ungaretti Sentimento del tempo e sono attivi negli anni ’30 Firenze. La loro poesia recupera la tradizione simbolista e le potenzialità evocative della “parola pura”, in una scrittura astratta e complessa. Solo la parola poetica appare in grado di illuminare il senso profondo dell’esistenza e di comunicarlo in modi oracolari, attraverso analogie, ellissi e ardite sinstesie. Dalla poesia ermetica si differenzia la linea antinovecentista , che fa capo al Canzoniere di Umberto Saba e comprende poeti come Penna e Caproni. Questa tendenza poetica so fonda non sulle parole ma sulle cose. Il recupero di una forma colloquiale e di uno stile prosastico traduce un’esigenza di chiarezza e un’esplicita volontà comunicativa. Eugenio Montale, infine, si situa all’incrocio tra Simbolismo e Antinovecentismo, optando per una poesia che si in gradi di trascendere attraverso simboli e immagini allusive e il ricorso alla tecnica del correlativo oggettivo. Al centro della poesia
monta liana si colloca un paesaggio naturale che evoca nella sua scabra e asciutta desolazione la difficoltà esistenziale dell’uomo moderno, la cui salvezza può essere affidata solo a benefiche figure di donne, in un orizzonte che tuttavia raramente si apre alla speranza. VEDI DA PAG. 19 A PAG. 22 GIUSEPPE UNGARETTI La vita Nasce l’8 febbraio 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi emigrati per consentire al padre contadino di lavorare nel canale di Suez come sterratore. Compie gli studi ad Alessandria in una scuola di lingua francese. Nel 1912 si reca a Parigi dove si iscrive alla facoltà di lettere alla Sorbona. Parigi è per Ungaretti luogo di incontro e relazione con alcuni personaggi notevoli della cultura europea: Guillaume Apollinaire, di cui diviene amico, Pablo Picasso, De Chirico e il gruppo di futuristi italiani. Allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruola volontario come soldato semplice di fanteria e viene inviato al fronte sul Carso. La presa di coscienza dell’atrocità della guerra è immediata e l’interventismo di Ungaretti subisce un duro colpo. Le prime poesie vengono scritte in trincea, “coricato nel fango e di fronte al nemico che stava più in alto ed era cento volte meglio armato”. Il tenente Ettore Serra era proprietario dello Stabilimento Tipografico Friulano e si accorge di quel soldato e riesce ad avere le sue poesia che vengono pubblicate con il titolo Porto sepolto. Nel 1918 il regime di Ungaretti viene trasferito in Francia. Quando la guerra finisce egli si ferma a Parigi e lavora come corrispondente del giornale di Mussolini, “Il popolo d’Italia”. In seguito aderisce al fascismo e si trasferisce a Roma. Nel 1919 pubblica la raccolta Allegria di naufragi. Nel periodo in cui viaggia in Egitto come giornalista, ha una crisi religiosa che lo induce ad accostarsi al cattolicesimo: senso tragico della vita trova un possibile conforto nella ricerca di un rinnovato rapporto tra uomo e Dio, e questa riflessione si trova all’interno delle poesie di Sentimento del tempo. Nel 1936 accetta l’incarico come insegnante di lingua e letteratura italiana all’università di San Paolo in Brasile. Durante gli anni della seconda guerra mondiale torna in Italia: tragedia privata e pubblica diventano l’oggetto delle accorate poesia de Il dolore. Ungaretti ottiene “per chiara fama”, la cattedra di letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma. Le sue poesia vengono sempre più apprezzate dal grande pubblico e Ungaretti sfiora per due volte il Nobel. Nel 1969 Mondadori completa la pubblicazione di tutta la produzione ungarettiana in un volume dal titolo scelto dal poeta medesimo, Vita d’un uomo. L’anno seguente, nel 1970, il poeta viene colto da un malore durante un viaggio negli Stati Uniti; rientrato, muore nella notte tra 1 e 2 giugno. La poetica La poesia di Ungaretti nasce in stretto rapporto con un’ esperienza autobiografica traumatica. E’ a partire da qui che sente l’esigenza di una poesia nuova. L’elemento fondamentale su cui egli lavora per trovare una nuova forma di espressione è la parola. In un mondo lacerato dalla guerra, il poeta rinuncia a elaborare complessi discorso e si limita ad annotare pochi frammenti di
straordinaria intensità. Le sue poesie sono strettamente legate all’esperienza soggettiva, individuale, autobiografica. Egli va alla ricerca dell’essenziale, di ciò che, a partire dalla sua esperienza individuale, ha valore universale e riguarda tutti gli uomini. Ungaretti dichiara in un testo famoso che ogni parola scelta e scritta è “scavata nella mia vita/come un abisso”, per sottolineare appunto la sua ricerca di essenzialità e universalità. Ungaretti si serve di alcune tecniche che rappresentano una vera e propria rivoluzione nella poesia italiana. Si possono riassumere in quattro elementi: -
La brevità delle poesie, in cui si condensa il significato di un’esperienza complessa. La semplificazione della sintassi L’eliminazione della punteggiatura: in questo modo, ciascun elemento della frase acquista il massimo rilievo, nulla è secondario nel testo; L’uso sistematico del verso libero, spesso coincidente con una singola parola.
Il poeta sente il bisogno di recuperare almeno in parte la tradizione da cui si era allontanato – per esempio l’uso dell’endecasillabo – e di costruirsi nuove certezze dopo le devastazioni della guerra. Sentimento del tempo, si distingue da Allegria per il recupero parziale della metrica tradizionale e per una sintassi originale, spesso molto complessa. Sentimento del tempo è una raccolta fondamentale anche per un altro aspetto, e cioè per la presenza di numerosi testi giocati sulla tecnica dell’analogia. Il ricorso alle analogie porta Ungaretti a produrre testi spesso oscuri e ricchi di immagini difficili e ricercate. Si tratta di testi destinati a suscitare un vivace dibattito critico e numerose prese di posizione ostili. Le opere pag. 29 – 30. L’ERMETISMO Modelli e protagonisti Il termine “Ermetismo” è oggi usato per indicare un gruppo di poeti legati da una comune poetica, attivi tra gli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta soprattutto a Firenze intorno al Caffè delle Giubbe Rosse e alle riviste Solaria, Frontespizio e Campo di Marte. Le prime raccolte ascrivibili di questa corrente sono Oboe sommerso di Salvatore Quasimodo e L’isola di Alfonso Gatto. All’ambito ermetico si collega anche l’opera di Carlo Betocchi, di Pietro Bigongiari, di Leonardo Sinisgali e di Mario Luzi. Essi si ispirano ai simbolisti francesi e a Giuseppe Ungaretti. Alla vuota retorica propaganda, i poeti ermetici reagiscono con una sorta di resistenza passiva, rifiutando ogni concezione celebrativa dell’arte e affidando alla poesia la ricerca delle più profonde verità spirituali dell’esistenza. La poesia è per gli ermetici un’esperienza interiore e privata, che riguarda l’uomo nella sua essenza nel tentativo d cogliere il mistero della vita e di svelare il suo senso ultimo e segreto. Gli ermetici sono caratterizzati da un rifiuto dell’impegno politico e sociale e da una sostanziale indifferenza verso le vicende storiche contemporanee. L’amosfera delle liriche ermetiche è quella dell’attesa, rappresentata da uno stato d’animo sospeso, teso a cogliere una rivelazione di una natura trascendente. Questo tipo di poesia, per sua natura stessa tende a esprimersi in forme elaborate e complesse, che rinunciano a ogni volontà di comunicazione esplicita per rivolgersi ad un pubblico stretto ed elitario di iniziati. Gli ermetici, riprendono in parte la teoria della ‘parola pura’ elaborata da Ungaretti,
fanno uso di analogie, di sinestesie e metafore. La loro ricerca espressiva si concentra sul singolo termine, isolato attraverso l’uso sapiente degli spazi grafici, l’abolizione degli articoli e la disarticolazione della sintassi e l’elisione dei nessi temporali logici. Salvatore Quasimodo Nato a Modica (Ragusa) nel 1901. Dopo l’istituto tecnico, si iscrive alla facoltà di ingegneria a Roma, ma le difficoltà economiche lo costringono a interrompere gli studi e a cercare lavoro come impiegato del genio civile in Calabria. Nel frattempo studia da autodidatta greco e latino. Nel 1930 viene inviato dal cognato Elio Vittorini a Firenze dove entra in contatto con i poeti ermetici. Qui vengono pubblicate le prime raccolte di Quasimodo Acque e terre, Oboe sommerso e Erato e Apòllion. La sua attività di produzione poetica viene accompagnata da quella di traduttore di autori greci e latini. Nel 1942 esce una nuova edizione dei suoi versi con il titolo Ed è subito sera. L’esperienza della guerra provoca nel poeta un profondo cambiamento che lo induce a prendere le distanze dell’ermetismo e ad assumere posizioni impegnate in campo politico e letterario. Le raccolte successive sono Giorno dopo giorno, La vita non è un sogno, Il falso e vero verde, La terra impareggiabile, Dare e avere. Nel 1959 Quasimodo ottiene il premio Nobel per la letteratura. Muore a Napoli nel 1968. La fase ermetica la prima fase della poetica di Quasimodo si svolge nell’ambito della corrente dell’Ermetismo. Fin dal suo esordio si differenzia in parte dagli altri poeti ermetici per la centralità che assume nei suoi versi il ricordo della terra natale, una Sicilia mitizzata dagli echi delle letture classiche. Sul piano formale, la ricerca di uno stile prezioso e aulico è ottenuta dalla ripresa dei classici greci e latini, la cui lezione emerge soprattutto nella scelta delle immagini, realistiche ma come sospese fuori dal tempo. Quasimodo sviluppa un linguaggio originale ma sempre limpido grazie alla ‘parola pura’. Utilizza il verso libero. La drammatica esperienza della seconda guerra mondiale distoglie Quasimodo dai toni preziosi della sua poesia precedente per indurlo ad una nuova forma di impegno. La contemplazione del dolore si estende alla società degli uomini e la condizione di esiliato diventa paradigma della condizione umana. Nella descrizione degli eventi della guerra e nella struttura narrativa delle raccolte seguenti si coglie lo sforzo del poeta di uscire dall’aristocratico isolamento della “lirica pura”. L’urgenza del momento e la drammaticità dei temi inducono l’artista a una riflessione sulla poesia, a cui ora egli affida il compito di dare voce alla sofferenza collettiva. ALTRI POETI ERMETICI A PAG. 98 – 99 Alberto Moravia e la rinascita del romanzo Il periodo compreso tra la seconda metà degli anni venti e il decennio seguente è caratterizzato dalla volontà di molti letterati di rilanciare il romanzo come genere distesamente narrativo, che superi la poetica del ‘frammento’ di ascendenza vociana. La rinascita del romanzo assume forme diverse, che vanno dal ‘realismo magico’ della narrativa fantastica alle prime prove di autori come Moravia e Gadda. Mentre i romanzieri solariani restano legati a una dimensione intimistica, a partire dagli anni Trenta si afferma anche una tendenza narrativa più marcatamente realistica, che recupera i modelli veristi per confrontarsi con la realtà sociale contemporanea. Il giovane
Moravia pubblica nel 1929 Gli indifferenti, scandaloso romanzo di critica alla società borghese, in cui è implicita la volontà di denuncia del perbenismo morale propagandato dal regime fascista. Una precisa volontà polemica di denuncia sociale sorregge anche Tre operai di Claudio Bernari. All’interno di questo realismo particolare interesse riveste la narrativa meridionalistica che si concentra sull’analisi delle difficili condizioni di vita del Sud dell’Italia. Alberto Moravia nasce a roma nel 1907 da una ricca famiglia borghese. La sua adolescenza è segnata dalla tubercolosi ossea, che lo costringe a lunghi soggiorni in sanatorio per una decina d’anni. A soli 22 anni pubblica Gli indifferenti, un romanzo destinato a diventare uno dei maggiori successi di pubblico e critica della narrativa italiana del Novecento. Nel corso del ‘900 pubblica alcune raccolte di racconti che confluiranno poi nel volume Racconti del 1952. Alla fine degli anni ’30 c’è l’incontro con Elsa Morante che diventerà sua moglie. Nel 1944 esce Agostino, un romanzo breve che è considerato uno dei capolavori dello scrittore, incentrato sulle traumatiche esperienze attraverso cui un adolescente borghese scopre le realtà della vita. Gli anni di guerra sono particolarmente difficili: Moravia rischia di essere deportato in quanto figlio di madre ebrea e deve trascorrere parecchi mesi in attesa della Liberazione. A tali esperienze si riferiscono La ciociara e La romana. La produzione dagli anni ’60 in poi è prettamente saggistica. Il tempo dominante delle opere di Moravia è la decadenza dei costumi e dei valori della società borghese. Lo scrittore individua e rappresenta le grandi motivazioni profonde che generano il comportamento dei membri della classe a cui egli stesso appartiene, e che possono essere ricondotte al sesso e al denaro. A questo scopo adotta uno stile freddo, referenziale, aderente alle cose, lontanissimo dalle raffinatezze solariane che dominavano negli anni Trenta. Dal punto di vista stilistico quanto dei contenuti, Moravia prosegue sulla strada già tracciata dalle voci più originali del primo Novecento narrativo italiano: Pirandello, Tozzi, Borgese, Svevo. Spiegazione degli indifferenti a pag. 119. UMBERTO SABA Nasce a Trieste nel 1883. L’assenza del padre, la separazione dall’amata balia e la severità della madre contribuiscono al precoce manifestarsi di una crisi interiore, che sarà materia per Ernesto , romanzo di formazione nella Trieste di fine Ottocento. Dopo gli studi ginnasiali, Saba frequenta per alcuni mesi l’Accademia di commercio. Comincia intanto a scrivere sotto diversi pseudonimi. Agli inizi del ‘900 si manifesta la sindrome depressiva che lo affliggerà tutta la vita e che lo porterà a intraprendere tutta la vita e che lo porterà a intraprendere una terapia psicanalitica con un allievo di Freud. All’inizio del 1905 si trasferisce a Firenze. In questo periodo scrive i Versi militari . Nel 1910 nasce la figlia Linuccia ed esce la raccolta Poesie, nella quale si firma per la prima volta con il suo nuovo pseudonimo Umberto Saba, forse in omaggio alla nutrice Gioseffa “Peppa” Sabaz o in riferimento alla parola ebraica “saba” che significa “pane”. Nel 1912 esce la raccolta Coi miei occhi che diventerà Trieste e una donna, una delle opere maggiori. Allo scoppio della guerra si dichiara decisamente interventista. Richiamato, svolge con delusione compiti amministrativi. Nel 1919 acquista una libreria antiquaria. Nel 1921 esce la prima edizione del Canzoniere. Dopo l’8 settembre 1943 il poeta è costretto dalle persecuzioni razziali ad abbandonare Trieste e rifugiarsi a Firenze. Nel 1945 pubblica la
seconda edizione del Canzoniere con l’editore Einaudi. Nel 1946 pubblica con Mondadori le prose Scorciatoie e raccontini, seguite dalle poesie Mediterranee. Nel 1948 esce una terza edizione del Canzoniere, e il volume autocritico Storia e cronistoria del Canzoniere, in cui parla di sé e della propria poesia in terza persona. Nel 1951 esce un altro volume di versi, Uccelli. Quasi un racconto. Nel 1957 muore a Gorizia in una clinica. La poetica Saba si mantiene fedele ad una propria idea di poesia. Egli è profondamente legato alla tradizione italiana sette – ottocentesca, da Parini a Foscolo a Leopardi. Rispetto ai modernismi si presenta come del tutto inattuale. Al pari di Svevo Saba intesse un rapporto speciale con la scienza psicanalitica, il cui fulcro è rappresentato dai tre anni di analisi condotti. Per Saba tutta la psicanalisi è qualcosa in più di una disciplina curativa, è anzi un “incentivo poetico; nelle sue mani si trasforma in uno strumento per avvicinarsi meglio alla sua idea della poesia intesa come amore, memoria, incanto, verità esatta”. L’idea sottesa a tutta la sua produzione è quella di “poesia onesta”. Una poesia che esprima il sentimento della vita radicandosi nelle cose, nella realtà e nell’ esperienza, dando voce lirica a situazioni concrete, quotidiane. La poesia di Saba celebra il quotidiano, fin nei suoi aspetti più dimessi e inusuali. Rispetto al distacco ironico di Gozzano, Saba mostra un’adesione sentimentale , una partecipazione umana a tutto quanto lo circonda: gli oggetti più semplici, come il vino e il pane; i luoghi in cui si anima la vita di tutti i giorni; gli animali domestici più trascurati dalla letteratura come la gallina, la capra e il canarino; le persone che popolano il mondo dei suoi affetti. Saba adotta un linguaggio tradizionale. Le opere a pag. 139 – 140. Eugenio Montale Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896. Iniziato l’istituto tecnico, lo interrompe a causa dei problemi di salute e continua a studiare da autodidatta. Le ampie letture, dai romantici inglesi a Leopardi si affiancano alla passione per la musica e il canto operistico e alla stesura dei primi testi poetici. Nel 1917, chiamato alle armi, frequenta il corso per allievi ufficiali a Parma. Divenuto sottoteennte, combatte come volontario in Vallarsa e in Trentino. Congedato nel 1919, torna in famiglia. Lo scabroso paesaggio ligure, divenuto “emblema del male di vivere”, sarà al centro di molte sue liriche. Negli anni ’20 compone i testi che andranno a formare Ossi di seppia. Nel 1925, Montale firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, segno della sua ostilità nei confronti del regime. Nel 1927 si trasferisce a Firenze, dove lavora come redattore per la casa editrice Bemporad. Nel 1929 viene nominato direttore di un’importante istituzione fiorentina, il Gabinetto letterario Viesseux. Il poeta approfondisce lo studio della poesia dantesca, anche inn occasione della conoscenza di una studiosa americana Irma Brandeis. Alla donna dedica Le occasioni, pubblicata nel 1939 da Einaudi. Durante la seconda guerra mondiale, Mondale ospita nella sua casa Carlo Levi e Umberto Saba, perseguitati perché ebrei. Nel 1948 il poeta si trasferisce a Milano, dove diventa redattore del Corriere della Sera, Traduce intanto opere di poeti inglesi antichi e moderni, da Shakespeare a Butler a Eliot. La sua fama di poeta letterato cresce rapidamente e si susseguono i riconoscimenti pubblici come le lauree ad honorem da parte delle università di Roma, Milano e Cambridge. Nel 1967 Montale sarà nominato senatore a vita.
Negli anni del boom economico, Montale sembra diventare scettico sulla possibilità della sopravvivenza stessa della poesia in una società dominata dal potere dei media. A questo scetticismo si accompagna un lungo periodo di silenzio poetico, interrotto alla fine degli anni ’60. Nel 1971 Montale pubblica un nuovo volume di liriche dal titolo Satura che segna un’importante svolta nella sua poetica. Il carattere diaristico, assunto dalla sua nuova poesia abbrevia i tempi di composizione delle sue ultime tre raccolte. Intanto nel 1975, la fama di Montale raggiunge una vasta diffusione internazionale grazie al conferimento del premio Nobel, che precede di sei anni la morte avvenuta nel 1981. Il pensiero e la poetica “il male di vivere” L’atteggiamento di Montale nei confronti della realtà è caratterizzato da un lucido disincanto, che si traduce in un radicale pessimismo. Il poeta guarda al mondo come a un insieme di eventi causali e insensati, non sorretti da alcun principio unificante e dominati da una sofferenza di matrice quasi leopardiana. Di fronte a questa realtà l’uomo percepisce una sensazione di profonda inadeguatezza e disarmonia, un angoscioso “male di vivere” che nasce dalla consapevolezza di un’esistenza priva di senso e finalità. A questa visione negativa si accompagna una nuova interpretazione del compito della poesia. Al poeta non è più possibile offrire soluzioni positive, né dissimulare il disagio individuale e collettivo; egli assume il compito di registrare il “male di vivere” e di farsi testimone della dignità umana nel suo sforzo di sopravvivere al caos dell’universo. Montale infatti rifiuta la concezione del poeta – vate portatore di certezze assolute. All’interno di questa visione pessimistica, Montale non aprroda mai a un vero e proprio nichilismo. Al di là dell’apparente insensatezza dell’esistenza, resiste una fiducia residua nella possibilità di cogliere il senso vero della realtà e di attingere l’autenticità della vita. Eppure, ogni volta la fiducia rinasce. Lo sviluppo della poesia di Montale può essere interpretato alla luce di questo apparente paradosso, come costante ricerca di un senso destinato a restare inattingibile. Negli Ossi di seppia il senso ultimo del mondo e della vita sembra trasparire da elementi del paesaggio (i limoni, il mare…), mentre nelle Occasioni l’accento si sposta sull’attesa degli “stati di grazia” offerti dalla salvifica presenza della figura femminile. Montale esprime la sua visione esistenziale attraversi una poetica che si basa sull’importanza centrale attribuita agli oggetti e agli elementi concreti e quotidiani. Montale intende rappresentare il “male di vivere” attraverso oggetti emblematici. Montale sceglie un linguaggio scabro e incisivo. il registro è quello quotidiano, ma di una quotidianità ricercata ed essenziale. Le opere pag. 169 – 170 – 172 – 189 – 200 IL NEOREALISMO Nel secondo dopoguerra, la riconquistata libertà politica sollecita gli intellettuali italiani all’assunzione di un nuovo impegno civile e sociale e li induce all’elaborazione di una cultura nuova, capace di misurarsi con i problemi concreti della ricostruzione. Molti scrittori prendono le distanze dalla letteratura degli anni ’30 accusata di non essersi opposta al fascismo, e teorizzano una nuova figura intellettuale, attenta ai problemi concreti della società e dei ceti popolari. Il nuovo orientamento culturale trova
espressione soprattutto nella rivista “Il Politecnico”, fondata da Elio Vittorini nel 1945 e animata dalla volontà di un più ristretto legame dei letterati con le esigenze concrete della popolazione. In questo clima si sviluppa il movimento del Neorealismo che, privilegiando la forma del romanzo, comprende un insieme di opere fra loro anche molto diverse e accomunate dal desiderio di ritrarre criticamente la realtà per modificarla. In realtà non fu, però, un vero e proprio movimento organico e riconosciuto, ma espressione di uno stato d’animo diffuso. Il Neorealismo si sviluppa tra il 1942 e il 1955. La narrativa neorealista privilegia alcuni ambienti specifici, legati da un lato al desiderio di testimoniare l’esperienza recente della guerra e della Resistenza e, dall’altro, di documentare le problematiche sociali relative alle diverse realtà regionali dell’Italia. Schematizzando, si possono individuare tre aree tematiche: -
Il dramma della guerra, l’orrore dei campi di sterminio nazisti e la stagione della Resistenza; La rappresentazione delle varietà regionali dell’Italia, con particolare attenzione al Meridione; L’analisi della vita del popolo, nella sua genuinità ma anche nella sua miseria materiale.
Alla novità dei contenuti non si accompagna in genere una particolare innovazione nel campo delle tecniche narrative: i neorealisti recuperano strutture di stampo ottocentesco, caratterizzata dalla linearità d’intreccio e dall’utilizzo di un narratore spesso onnisciente. Il linguaggio è volutamente semplice e antiletterario, tale da risultare comprensibile a un vasto pubblico popolare. Sebbene non sia semplice tracciare i confini e le linee evolutive del movimento neorealista, la critica è oggi concorde nell’individuare all’interno della corrente due fasi distinte. Nella prima, tra il 1943 e il 1948, il Neorealismo si sviluppa in maniera piuttosto spontanea, legata al desiderio collettivo di raccontare le drammatiche esperienze belliche. Un secondo momento è contrassegnato da un vivace dibattito sul problema dei rapporti fra letteratura e politica. Essi cercavano di educare le masse e preparare l’avvento della rivoluzione socialista con opere impegnate anche in senso politico. ELIO VITTORINI Nato a Siracusa nel 1908, interrompe gli studi e abbandona la Sicilia. Dopo aver lavorato per qualche anno come operaio, si stabilisce a Firenze, dove si avvicina al gruppo della rivista “Solaria”. Nel 1939 si trasferisce a Milano, dove intraprende l’attività di traduttore e svolge un ruolo importante come promotore culturale. Incarcerato nel 1943 per la sua attività clandestina nel Partito Comunista, appena uscito di prigione partecipa alla Resistenza e scrive su “L’Unità”, che dirige poi per alcuni mesi nel 1945. Nello stesso anno esce il romanzo Uomini e no. Dal novembre del 1945 Vittorini dirige per Einaudi la rivista “Il Politecnico”. Nel 1951 Vittorini lascia il PCI. Negli anni seguenti dirige sempre per Einaudi la collana di narrativa “I Gettoni”, mentre nel 1959 fonda con Calvino la rivista “Il menabò”. La commistione di impegno civile e lirismo che caratterizza le sue opere trova
piena espressione nel suo romanzo più noto, Conversazione in Sicilia. spiegazione a pag. 253 – 254. CESARE PAVESE Pavese è forse la figura più significativa della letteratura postbellica. La sua esistenza, così come la sua opera, è segnata da un profondo disagio esistenziale e da una sensazione di esclusione dai rapporti umani. Pavese nasce a Cuneo nel 1908 nella dolcezza di quel paesaggio che ricorrerà nei suoi romanzi come immagine – simbolo dell’infanzia perduta. Entra in contatto con gli ambienti intellettuali antifascisti. Nel 1935 viene arrestato per attività antifasciste. Dopo pochi mesi rientra a Torino dove lavora per l’editore Einaudi e pubblica il suo primo volume di poesie, Lavorare stanca. L’esordio nella narrativa avviene nel 1941 con il romanzo Paesi tuoi, che costituirà uno dei punti di riferimento della narrativa neorealista. Pavese non partecipa attivamente alla Resistenza, si rifugia nel Monferrato e dopo la Liberazione si iscrive al Partito comunista. Nel 1949 escono Prima che il gallo canti, Il carcere e La casa in collina. Con La bella estate vince il premio strega nel 1950. Il suo successo letterario e intellettuale non compensa il senso di disperata solitudine che opprime Pavese, legato anche all’amore non ricambiato per Costance Dowling: il 27 agosto del 1950 si uccide in una stanza d’albergo di Torino con una dose massiccia di sonniferi. Al centro della maggior parte dei romanzi si pongono personaggi segnati dalla solitudine e dal disadattamento. A questo senso di dolorosa estraneità ed inadeguatezza il desiderio di sfuggire alle responsabilità della via adulta attraverso il recupero della dimensione infantile, ancora libera dal peso della scelta. All’opposizione tra infanzia e maturità si contrappone quella tra campagna e città. La campagna è senza dubbio il luogo dell’innocenza infantile, ma è anche il mondo di istinti primitivi e selvaggi, come è evidente in Paesi tuoi. Analogamente, la città dovrebbe configurarsi come il luogo della maturazione del soggetto e del suo inserimento nella società, ma in genere si configura come terra di solitudine e isolamento. L’unica illusoria salvezza è allora la speranza in un ritorno al “paese” mitico dell’infanzia che si rivela però impossibile o deludente. Sebbene le vicende narrate siano sempre collocate in un contesto geografico e storico – sociale ben determinato, esse tendono a divenire simboli di portata universale. Anche sul piano stilistico, il linguaggio di Pavese nasce dall’originale accostamento di un registro realistico e di un registro lirico. Opere pag. 261 – 261 Levi e Morante pag 284 – 285 Contesto storico da 314 a 322 SPERIMENTALISMO E NEOAVANGUARDIA Negli anni Sessanta lo sviluppo economico si affianca all’affermarsi del consumismo e di una tendenza a ridurre anche l’arte a merce, soggetta alle leggi della domanda e dell’offerta. Numerosi intellettuali si fanno interpreti nelle loro opere di un polemico rifiuto dell’omologazione delle coscienze ai modelli proposti dall’industria culturale. Essi denunciano l’uso del linguaggio corrente, logoro e banalizzato dai media, e si impegnano
nella ricerca di una nuova lingua che sia in grado di riprodurre il caos e il disordine della modernità. In ambito italiano, al filone sperimentale si collega il gruppo di intellettuali che ruota attorno alla rivista “Officina”, fondata da Pier Paolo Pasolini e animata da uno spirito di denuncia sociale. Più innovative sul piano formale sono le soluzioni portate avanti dal “Gruppo ‘63”, che fa capo alla rivista “Il Verri”, fondata da Luciano Anceschi. A questo movimento, che prende il nome di neoavanguardia, si collegano poeti come Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti. Sul versante della narrativa , lo sperimentalismo si manifesta nella tendenza a sovvertire le strutture narrative tradizionali per far emergere l’incomunicabilità e la solitudine dell’uomo moderno. La vasta corrente culturale del Postmoderno, che si sviluppa a partire dalla metà degli anni ’70, influenza in profondità la letteratura e in particolare la narrativa. La poetica postmoderna si fonda sull’idea dell’opera d’arte come libera ricombinazione di elementi contaminati fra loro e portati a costruire strutture nuove. La citazione, il pastiche linguistico , la mescolanza di elementi diversi sono tratti tipici della narrativa postmoderna, che spesso si configura come meta – narrazione, ossia come narrazione che discute su se stessa e sulle regole compositive. Viene meno anche ogni rigida distinzione tra cultura alta e cultura bassa, mentre gli autori ricercano i loro modelli nella cultura ‘trash’ della televisione o dei fumetti. GADDA (?) PAG. 362 PIER PAOLO PASOLINI La vita e l’opera di Pasolini si svolgono all’insegna di una profonda coerenza e di un costante impegno letterario e civile, ma anche di una polemica contrapposizione alla morale borghese. Omosessuale dichiarato e autore di opere che scandalizzarono il pubblico perbenista per il loro realismo, Pasolini subì oltre trenta processi per reati contro la morale e morì in circostanze oscure sul litorale di Ostia, assassinato da un diciassettenne. Intellettuale ‘scomodo’ anche per i suoi rapporti con il partito comunista, portò avanti una lucida critica alla civiltà dei consumi anche attraverso dei saggi critici. Nato a Bologna nel 1922. Terminata la guerra aderisce al PCI e inizia la carriera di insegnante. Nel 1950 si trasferisce a Roma dove inizia a scrivere opere di narrativa e sceneggiature per il cinema, senza però abbandonare la poesia (nel 1954 pubblica La meglio gioventù). Esordisce come romanziere con Ragazzi di vita, cui segue Una vita violenta. Nel 1957 pubblica Le ceneri di Gramsci. A partire dagli anni ’60 si dedica con pieno coinvolgimento all’attività di regista cinematografico. Gli interventi sul “Corriere della Sera” e altri quotidiani vengono riuniti nel volume Scritti corsari. Pasolini viene assassinato nella notte tra 1 e 2 novembre 1975. Un elemento ricorrente nella sua opera è senza dubbio l’interesse per il popolo, e in particolare, per la vita del sottoproletariato delle borgate di Roma. L’autore privilegia la rappresentazione di un mondo popolare, di cui mette in luce il degrado materiale e le difficili condizioni di vita. Nella sua adesione al PCI, Pasolini non condivide il presupposto marxista della ‘lotta di classe’, che vorrebbe fare del popolo il protagonista di un riscatto sociale consapevole e programmatico. Al tempo stesso, però, la fiducia nella vitalità
istintuale di questa classe sociale lo induce a sfiorare il populismo , ossia l’idealizzazione acritica del popolo, portatore di un fascino primitivo e un po’ torbido. ITALO CALVINO Italo Calvino nasce nel 1923 a Santiago de Las Vegas, nell’isola di Cuba, dove il padre, dirige una stazione sperimentale di agricoltura. L’atteggiamento culturale dei genitori, entrambi scienziati, laici e di sentimenti antifascisti, influenza la personalità dello scrittore, che guarderà al mondo della scrittura sempre con lucido razionalismo. Nel 1926 torna in Italia, a Sanremo. Dopo il liceo si iscrive alla facoltà di agraria, ma deve interrompere gli studi a causa della guerra. Partecipa alla Resistenza. Dopo la Liberazione, Calvino risiede a Torino, dove si laurea in lettere. Nel 1947 pubblica Il sentiero dei nidi di ragno, suo romanzo d’esordio di argomento resistenziale e di impostazione neorealista, seguito dalla raccolta Ultimo viene il corvo. A partire dagli anni ’50, Calvino abbandona la poetica del Neorealismo per dedicarsi a due versanti, l’uno fantastico, l’altro realistico. Il tono fantastico e allegorico caratterizza i tre romanzi che andranno a formare la trilogia dei Nostri antenati: Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente. Negli stessi anni si dedica anche alla stesura di testi realistici, tra cui La giornata di uno scrutatore. L’invasione dell’Ungheria da parte dell truppe sovietiche fa maturare nello scrittore il distacco dal PCI. Nel 1964, dopo aver pubblicato i racconti di Marcovaldo ovvero Le stagioni in città, sposa a Cuba Ester Singer con la quale si trasferisce poi a Parigi. Gli anni ’60 segnano un mutamento nella produzione letteraria, i cui primi frutti sono presenti nelle raccolte di racconti fantascientifici Le Cosmicomiche e Ti con zero. Nell’ambiente culturale parigino si accosta allo strutturalismo e sviluppa interesse per la scrittura intesa come ‘gioco combinatorio’ di rigorose strutture narrative. Questo porta alla stesura di nuovi romanzi tra cui Il castello dei destini incrociati e Le città invisibili. Intanto il suo successo diventa internazionale. Colpito da ictus nella sia casa di Siena, muore nel settembre del 1985. Il pensiero e la poetica l’itinerario fantastico di Calvino è estremamente vario, segnato dal succedersi di temi e forme narrative differenti che portano lo scrittore ad accostarsi nel tempo alle principali tendenze letterarie e culturali del Novecento, pur senza aderire in modo esclusivo a nessuna di esse. A questa varietà fa riscontro una sostanziale organicità, un’unità di fondo determinata da alcune costanti tematiche e stilistiche comuni a tutta la sua opera che resta fedele a un’idea della scrittura come strumento privilegiato di indagine della realtà. Analisi e ricerca del senso profondo di una realtà sempre più labirintica, in cui lo scrittore non cessa però di ricercare la presenza di un principio ordinatore. I romanzi di Calvino testimoniano le fasi di questa ricerca che giunge ad una sostanziale sfiducia nelle possibilità conoscitive della scrittura, che non comporta l’approdo al nichilismo. Questo percorso è testimoniato anche dai testi saggistici e in particolare da La sfida al labirinto in cui lo scrittore utilizza la metafora del labirinto per indicare la complessità dell’esistenza, sottolineando l’importanza di non arrendersi a essa, ma di assumere un ruolo critico e attivo di “sfida”.
In linea con la tensione critico – conoscitiva che anima la sua scrittura, Calvino mostra nei confronti della realtà un atteggiamento di tipo ‘esplorativo’. In modi diversi sono accomunati dalla curiosità e spinti dal desiderio di confrontarsi con il mondo. L’opera di Calvino è mossa da un preciso intento morale che deriva dalla coscienza della responsabilità intellettuale nel guidare, attraverso la razionalità, a un tentativo di comprensione del mondo. Egli utilizza modalità espressive semplici e chiare, finalizzate ad una comunicazione efficace ed essenziale. Desidera rivolgersi ad un pubblico ampio. Le opere 383 – 384 – 385 – 386.