IV NOMOS - BOLLETTINO DI STUDI E ANALISI LUGLIO 2012 WWW.MILLENNIVM.ORG
INDICE EDITORIALE
QUALE FUTURO PER L’EUROPA
OSSERVATORIO GLOBALE
EUROPA 2012 IL NUOVO PIANO ECONOMICO DI VIKTOR ORBAN IL METROPOLITAN HILARION INCONTRA GLI AMBASCIATORI EUROPEI GLI OBBIETTIVI REALI DEGLI USA IN AFRICA CENTRALE MOSCA NON È SODOMA ALEKSANDR DUGIN IN TURCHIA PRESIDENZIALI VENEZUELANE
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TECNOLOGIE
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POLEMOLOGIA
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OPERA DI ALTA INGEGNERIA E INTEGRAZIONE SOVRANAZIONALE
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LA BATTAGLIA DI LEPANTO, ULTIMA RISCOSSA EUROPEA
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STORIA
DANTE ALIGHIERI E LA CRISI EUROPEA DELLA LOTTA PER LE INVESTITURE 28 LE DUE SICILIE E LA GUERRA DI CRIMEA PARTE II 29 FILOSOFIA E TEOLOGIA
OSSERVATORIO ITALIA
AMERICANIZZAZIONE ECONOMICA E PROPAGANDA ANTITEDESCA
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GEOECONOMIA
CRISI DELL’UOVO O CRISI DELLA GALLINA
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GEOFILOSOFIA DELL’EUROPA 30 PER UNA RINASCITA POLITICA DELL’EUROPA 31 L’UNIVERSALITÀ DEL MONOTEISMO ABRAMITICO 33 DE-VIRILIZZARE L’UOMO 35 REALISMO CONSERVATORE 39
DIRITTO INTERNAZIONALE
IL KOSOVO E LO SPAZIO GEOPOLITICO DEI BALCANI
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ARTE
TEORIA GEOPOLITICA
L’ITALIA E LA SICILIA, BASE E RAMPA DI LANCIO ATLANTISTE DALL’EUROPA DELL’IDENTITÀ ALL’EUROPA DEL VUOTO GEOPOLITICO
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INSERTI INTERVISTA A ORAZIO MARIA GNERRE 41
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RECENSIONI
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DIRETTORE EDITORIALE:
Orazio Maria Gnerre CREATIVE DIRECTOR//DESIGN: Fabio D’Apote, wickedArt OSSERVATIORIO GLOBALE::
Fathi al-Ghaib, Vincenzo Giaccoli, Francesco Trichera, Daniele Ciolli OSSERVATORIO ITALIA:: Alessandro Gai TEORIA GEOPOLITICA: Gianluca Vevoto, Daniele Cocice DIRITTO INTERNAZIONALE: Mario Forgione TECNOLOGIE: Carmine Giangregorio POLEMOLOGIA: Giuseppe Esposito STORIA: Gianandrea De Antonellis (docente presso l’Università Europea di Roma), Ignatios Sotiriadis (Rappresentante della Chiesa di Grecia presso l’Unione Europea), Luca Bistolfi FILOSOFIA E TEOLOGIA: Giovanni Covino, Andrea Virga ARTE: Gianmarco Marotti COVER:
Orazio Maria Gnerre
NOMOS - Bollettino di Studi e Analisi ©2012 - è distribuito con licenza Creativa Commons. Non commerciale.
AUTÒ TÒ KALÒN - IL BELLO OLTRE IL VELO
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METAFISICA DELL'EROS 43
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QUALE FUTURO PER L’EUROPA? Di Orazio Maria Gnerre
Le profezie degli euroscettici sembrano essersi avverate. Nel disastroso scenario di un’Europa che rischia di perdere gli anelli più deboli della catena, mentre i paesi che ne hanno condotto fattivamente la politica per anni impongono dure linee di austerity per salvare l’Unione, mentre anche l’uso della moneta unica è messo al vaglio attraverso referendum ad Atene, pochi sembrano comprendere che, se non imposta una drastica svolta, soprattutto d’indirizzo geopolitico, il Vecchio Continente rischia di perdere definitivamente ogni seppur minima speranza di rivalsa, di reintroduzione del proprio interesse sullo scenario internazionale. Una delle critiche da sempre rivolte al progetto europeo era quello di aver creato sì un’area di commercio comune, ma di non aver incentivato una politica condivisa e, diremmo noi, una vera e propria integrazione strategica. È conclamato che la politica degli ultimi anni ha dimostrato quanto le pedine dello scacchiere europeo portassero avanti i propri interessi specifici, al di là di una legittima prospettiva di sviluppo nazionale, addirittura in un’ottica di competizione inter-regionale. Se questo non bastasse, una pessima politica economica ha reso la Banca Europea così distante dalle esigenze dei singoli membri, che gli stessi arrivavano ai suoi prestiti solo attraverso istituti bancari intermediari, favorendo l’incremento esponenziale del debito. L’Europa unita, per come la si è conosciuta, è risultata essere una hobbesiana guerra di tutti contro tutti o, per essere più eufemistici, quel grande mercato per la quale era stata progettata. L’Europa, insomma, è (ri)nata dalle ceneri del secondo conflitto mondiale sotto il nume tutelare del liberoscambismo e sotto l’egida del Patto Atlantico. Non si dice nulla di nuovo nell’obbiettare che, per padrini di questo tipo, considerati la buona fetta del macrocontinente che l’Europa comprende e lo sbocco al mare come balcone sul Mediterraneo, il controllo dell’Europa è essenziale per arginare la politica dell’Est del mondo e per controllare Africa e Medio Oriente. A dispetto di chi oggi parla di Magna Europa come sfera d’influenza culturale che comprende il Vecchio Continente e tutte le Americhe, possiamo parlare piuttosto di Grande Atlantico, esteso dalle coste est del Pacifico alla Polonia. L’Europa, più o meno dichiaratamente, è inserita in un ideale commonwealth statunitense. La crisi che il mondo sta pagando e che si è riversata sui mercati internazionali è a tutti gli effetti la crisi di un singolo paese: nascendo nel 2008 negli Stati Uniti, essa ha infettato la finanza europea. Ma ancor più essa rappresenta la crisi di un sistema economico. Gli scenari di sfiducia collettiva nella finanza e nei mercati sono di portata epocale. Se la crisi ci ha offerto un’opportunità, questa è quella di ripensare l’economia globale, a partire da quei paesi che non solo alla crisi hanno retto, ma che stanno operando quel necessario processo di overcoming (non solamente economico, quant’anche di sviluppo tecnico, sociale e – ne siamo convinti – ideologico) dell’Occidente per come lo conosciamo oggi: quel Grande Atlantico al quale abbiamo già fatto riferimento. La domanda necessaria da porsi, ora, è questa: quale futuro per l’Europa? Finché essa rimarrà confinata nelle sfera d’influenza atlantica, l’unica prospettiva che le si impone è il declino. Il futuro che essa sta costruendosi è quello del tramonto necessario. Eppure, lo sbocco mediterraneo le permetterebbe di ricoprire la propria funzione di mediatrice e polo di riferimento per gli altri paesi che vi si affacciano, consolidando lo spazio Eurafricano nella direttrice di comune sviluppo regionale ed intesa con i paesi dell’Africa Centrale ora in stretti rapporti con la Cina; a nord-est essa assumerebbe la funzione di ponte verso il polo Eurasiatico, riconfermando le politiche energetiche che alcuni paesi Europei stavano portando avanti. Paesi come l’Ungheria si sono fatti promotori di questo tipo di politica, confermando ottimi rapporti diplomatici con la Russia e commerciali con la Cina. MOL, la compagnia energetica nazionale magiara, ha ultimamente posto il proprio veto sul progetto del gasdotto Nabucco, volto ad aggirare la Russia e tagliarla fuori dal mercato dell’energia Europeo. Ultimo e più importante passo diviene l’importanza di relazionarsi apertamente con organismi intergovernativi come l’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione, e tavoli di discussione internazionali indetti dai BRICS. Sebbene questa possa essere considerata un’opzione fra tante, in realtà non lo è. Il multipolarismo non è di là da venire: il multipolarismo è già.
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Europa 2012:, uno sguardo sulla crisi Di Daniele Ciolli
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a circa due anni, come è ben noto, la crisi economica ha colpito pesantemente l’eurozona, incentrandosi sui debiti pubblici di alcuni stati specifici (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia) in forte crisi rispetto ad altri paesi dell’area europea. Ebbene, la linea imposta per risolvere tale situazione è quella dell’Austerity economica dettata dalla Banca Centrale Europea e dai due paesi più importanti della UE, Germania e Francia. La soluzione proposta per i paesi nell’occhio del ciclone (i cosiddetti Piigs) sarebbe quindi appianare i propri debiti tramite le politiche di Austerity, cioè tagliando la spesa sociale, il welfare, creando maggiore flessibilità sul lavoro, ottenendo pareggio in bilancio per via costituzionale e aumentando la tassazione fiscale. Una linea molto dura che sta mettendo in ginocchio questi paesi, in particolare le fasce del ceto medio-basso della popolazione (operai, dipendenti statali, pensionati, piccoli imprenditori, giovani, invalidi …) che stanno pagando il prezzo più alto. Si suppone che tali paesi abbiano vissuto per troppo tempo al di sopra delle proprie possibilità e che quindi ora tocchi a loro stringere la cinghia e pagare i conti, senza aiuti dai paesi più virtuosi come Germania, Francia, Olanda, Finlandia ecc. L’organo principe a proporre questa linea economica, che sta dettando l’agenda e le misure da adottare, la BCE guidata da Mario Draghi (ex consulente Goldman & Sachs ), è un istituto bancario con caratteristiche particolari rispetto ad una comune Banca Centrale come la Federal Reserve americana, la banca Cinese o la Banca d’Inghilterra. In breve analizzeremo queste particolarità: La Bce (che stampa l’Euro per conto degli stati europei) è l’unica Banca Centrale del mondo che presta denaro alle banche private (all’1,5% di interesse) e non direttamente agli stati in difficoltà, i quali devono così finanziarsi direttamente sul mercato, cioè farsi prestare il contante dai privati e dagli speculatori, i quali ricercano ovviamente il loro guadagno. È così che agli Stati bisognosi il denaro
oncretamente l’Europa sta optando per il suicidC io, nel nome degli interessi atlantici. Una remota possibilità di salvezza però potrebbe es-
sere attuata attraverso lo svolgimento di questi punti: 1. Riformare i Trattati e la Bce, rendendola una banca centrale vera ed autonoma che possa agire in prestiti di ultima istanza, sostenendo senza limiti i titoli di debito europei, se serve stampando anche moneta. Inoltre la Bce dovrebbe essere nazionalizzata e tolta dalle mani dei privati. 2. Lanciare gli eurobond (oggi l’emissione di titoli del debito sovrano è condotta singolarmente da ciascuno stato membro della UE), in modo che ci sia la condivisione di emissioni sovrane tra gli stati membri e la ripartizione dei relativi flussi di entrata e dei costi di gestione del debito. L’introduzione degli eurobond creerebbe nuovi strumenti per il finanziamento del debito governativo, offrendo opportunità di investimento sicure e liquide. Si allevierebbe rapidamente l’attuale crisi del debito sovrano, inoltre gli stati membri sottoposti ad alti
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tassi di rendimento dei loro titoli potrebbero avere grandi benefici della più forte affidabilità degli stati membri con titoli a bassi rendimenti. I mercati si adatterebbero per forza alla novità politica, ne conseguirebbe un’immediata riduzione dei costi medi e marginali del finanziamento, specie per gli stati membri più colpiti dalla crisi finanziaria. Il Sistema finanziario dell’eurozona diverrebbe più forte e resistente a futuri shock, rinforzando la stabilità finanziaria dell’intera UE. Diminuirebbe anche la vulnerabilità delle banche dell’eurozona rispetto al deterioramento dei rating creditizi di singoli stati membri, non avremmo più ogni stato con i suoi titoli statali ma un’Europa davvero unita con titoli di stato propri sul mercato che renderà gli istituti bancari europei una fonte di robuste garanzie. 3. Uscita di tutti i paesi UE dalla NATO e requisizione delle basi militari nordatlantiche in Europa. Formazione di un esercito Europeo unitario ed indipendente. In tal modo l’Europa sarebbe libera di agire solo esclusivamente nei suoi interessi, e non anche per quelli statunitensi.
4. Realizzare e intensificare accordi strategici con i paesi BRICS, con L’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO), con L’Alleanza Bolivariana per le Americhe (ALBA) in materia economica, commerciale, energetica, tecnologica e militare. Con queste quattro mosse, l’Europa potrebbe salvarsi dal crack e rilanciarsi da grande protagonista indipendente sullo scacchiere geopolitico mondiale, come ulteriore grande spazio del mosaico multipolare che sta sempre più emergendo nel mondo attuale.
è prestato ad interessi (come minimo del 4%) molto più alti di quelli che hanno pagare loro ( 1,5%). Tutto ciò ha favorito gli speculatori (banche e grandi istituzioni finanziarie) che hanno attaccato uno stato per volta, e per acquistare i titoli di stato di questi paesi si sono fatti pagare un tasso di interesse esasperato. Basterebbe che la Bce oltre a prestare i soldi alle banche li prestasse anche agli stati membri, e comprasse direttamente i titoli degli stati europei. In questo modo gli stati avrebbero il denaro anch’essi al 1,5% di tasso d’interesse e non sarebbero obbligati ad andare a chiedere i soldi agli istituti privati. La speculazione così si arresterebbe, in quanto non vi sarebbe più la possibilità di ricattare gli stati da parte degli speculatori. L’Unione Europea si è dotata di un Fondo “Salva Stati” L’Europa con tutto ciò per interventi di emergenza sta andando in una di circa 440 miliardi di direzione molto pericoeuro, che dal 2013 diventerà losa che potrebbe ripMeccanismo Europeo di Stabilità con una dotazione ercuotersi in condizioni di 500 miliardi di euro. Al sociali catastrofiche tali Fondo contribuiscono i da poter portare alla Paesi membri dell’Eurozona, fine della UE stessa. in proporzione alla quota di partecipazione alla Bce. Bisogna però ricordare delle condizioni che accompagnano i prestiti che verranno ricevuti dagli Stati da tale Fondo, cioè una forte riduzione della spesa pubblica e il riequilibrio dei propri conti con l’estero (migliorando la competitività sui mercati ecc.). Ma tale richiesta di ridurre la spesa pubblica comporta una conseguente riduzione della domanda interna se si taglia la spesa sociale, ed il peggioramento della competitività del sistema se si tagliano gli investimenti (in ricerca e sviluppo tecnologico, in formazione o in infrastrutture). Riequilibrare i conti con l’estero, tenendo conto che aumentare in breve le esportazioni e di molto è irrealistico, significa di fatto ridurre pesantemente le importazioni. Tutto ciò abbatterà, come già detto, la domanda interna e deprimerà l’economia, diminuiranno le entrate fiscali, aumentando ulteriormente così il deficit statale.
drastici parametri sono previste sanzioni imposte contro ogni volontà, e sarà la Corte di giustizia dell’Unione che stabilirà la sanzione pecuniaria che dovrà pagare il paese al centro della procedura d’infrazione. Tutto questo è un autentica follia: l’unità fiscale dei paesi UE semmai andava fatta sì, ma alla creazione della moneta unica. Farla ora e imporla a Paesi già in forte crisi significa che per realizzarla gli stessi dovranno per forza attuare ulteriori misure di Austerity, ancor più severe di oggi, con ulteriori tagli al Welfare, alla spesa sociale e privatizzando ogni servizio. Il prodotto di tale harakiri colpirà maggiormente i lavoratori e i ceti medio-bassi, impoverendoli economicamente, ma anche nei diritti lavorativi, sanitari ecc. Nessun paese potrà più decidere una propria linea economica, a quale settore destinare più risorse e a quale meno: la morte della sovranità e dell’indipendenza. Anche l’Italia ha approvato il pareggio in Bilancio nella Costituzione italiana. L’Europa con tutto ciò sta andando in una direzione molto pericolosa che potrebbe ripercuotersi in condizioni sociali catastrofiche tali da poter portare alla fine della UE stessa. La Germania e la Francia se continueranno ad imporre l’Austerity, la politica di non-aiuto ai paesi in difficoltà, e non riformeranno la Bce, rischiano anch’esse di essere travolte dall’implosione europea (non dimentichiamo che la maggioranza dell’Export teutonico-francese è rivolto ai mercati dei paesi membri della UE). Ad aggravare questo marasma vi è anche la NATO, che avendo basi sparse per tutta l’Europa, rappresenta un ostacolo enorme per chi volesse provare a smarcarsi dalla stessa politica atlantista della UE. Gli Stati Uniti hanno sì tutto l’interesse ad affossare l’euro in favore del dollaro, ma allo stesso tempo vogliono mantenere legata l’Europa Occidentale a loro, e in questa direzione è meglio che i paesi europei rimangano tutti legati dalle catene della Bce (che segue le politiche liberiste d’oltre oceano) e dell’Alleanza Nord Atlantica Militare. La stessa NATO che costringe tutti i paesi europei a investire miliardi e miliardi di euro nelle guerre d’aggressione imperialiste di Washington in Africa e Medio Oriente. Tagliare su tutto riducendo alla miseria i lavoratori dell’Europa va bene, ma guai a tagliare le costosissime spese militari e non partecipare alle azioni militari dell’Estremo Occidente!
Queste situazioni devono farvi intendere che la Bce sta agendo in modo sostanzialmente errato: la Grecia ci dice che l’Austerity non ha migliorato le cose, ma anzi sta affossando il paese ulteriormente (è passata dal 120% di Debito al 150%!). Quindi adottare le stesse misure per Italia e Spagna non sembra una buona idea, eppure proprio questo sta accadendo attualmente. Senza contare il recente accordo di 25 paesi su 27 della UE sul “Fiscal Compact” che introduce l’obbligo di pareggio in Bilancio a tutti i paesi membri, da introdurre nelle rispettive Costituzioni nazionali entro un anno da marzo 2012. È stato fissato un deficit strutturale per paese ad un livello massimo dello 0,5% del Pil, l’1% solo per chi ha un debito al di sotto del tetto del 60% del proprio Pil. Per chi non rispetterà tali
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Il nuovo piano economico di Viktor Orbaán Di Alessandro Viola
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on il piano Széll Kàlmàn 2.0, Orbán mira all’abbassamento del Deficit sotto il 3% del PIL, tetto massimo fissato dall’UE nel Patto di stabilità e crescita. Le oltre cinquecento pagine sono state già inviate a Bruxel dove verranno varate dalla Commissione europea. Il documento contiene l’aggiornata convergenza economica del paese, e rivede molte delle stime elaborate precedentemente, prime fra tutte quelle riguardanti Pil e debito pubblico. Per equilibrare il bilancio verranno contenute diverse spese e introdotte cinque nuove tasse. Tra i tagli spiccano le riduzioni al budget per i sussidi farmaceutici, una spesa che passerà dagli 83 miliardi di fiorini del 2012 a 37 miliardi nel 2013. Verranno completamente eliminate le sovvenzioni al Research and tecnological Innovation Fund, e vedranno piccoli tagli anche i sussidi ai trasporti pubblici.
Avevamo citato anche la rielaborazione di alcune stime. Infatti l’incremento previsto nel 2012 dello 0,5% è stato ribassato allo 0,1% e la contrazione dei consumi è stata stimata al -1,4%. Il 2013 dovrebbe portare un incremento pari a +1,6% e i consumi delle famiglie dovrebbero risalire ( è previsto un +0,7% ). Prospettive rosee, insomma. Staremo a vedere.
LE CINQUE NUOVE IMPOSTE:
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TASSA SUI SERVIZI DI TELECOMUNICAZIONE
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TASSA SULLE TRANSIZIONI FISCALI
IMPOSTA UNIFICATA SULLE COMPAGNIE DI ASSICURAZIONE
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TASSA SULLE ENTRATE DELLE COMPAGNIE ENERGETICHE (che si andrà ad aggiungere a quella già vigente)
INTRODUZIONE DELL’IVA INVERSA PER IL SETTORE AGRICOLO
Il Metropolita Hilarion incontra gli Ambasciatori Europei Di Daniele Cocice
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l Metropolita di Volokolamsk, Hilarion Alfeyev, è l’attuale presidente del Dipartimento per le Relazioni Esterne e membro permanente del Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca . La sua concezione della Chiesa Ortodossa non prevede alcuna struttura amministrativa o unificata quanto più una confederazione di chiese autocefale ove ogni membro è indipendente dall’altro. Egli continua a svolgere molte attività ecumeniche per promuovere la cooperazione tra la Chiesa Cattolica Romana e quella Ortodossa Russa, con particolare riguardo verso la protezione dell’intera comunità cristiana in vari paesi del mondo, incoraggiando il superamento della cristianofobia. In data 23 Aprile 2012, presso l’Ambasciata d’Irlanda moscovita si è tenuto un meeting del Metropolita insieme agli ambasciatori di diversi paesi dell’Unione europea. Il confronto si è svolto in un clima amichevole sotto forma di un pranzo di lavoro. Vi hanno partecipato: l’Ambasciatore d’Irlanda Philip McDonagh, l’Ambasciatore del Belgio Guy Trouveroy, l’Abasciatore d’Ungheria Istvan Iydyarto, l’Ambasciatore d’Italia Antonio Zanardi Landi, l’Ambasciatore dei Paesi Bassi Ron Keller, l’Ambasciatore di Francia Jean de Gliniasty, l’Ambasciatore della repubblica Ceca Peter Kolář, il consigliere della Rappresentanza dell’UE Gavin Evans. Il metropolita Hilarion era accompagnato da Miguel Palacio, membro del Segretariato per l’estero del Dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato. Particolare attenzione era riservata al tema dell’ecumenismo, al ruolo della Chiesa Ortodossa Russa in Europa, al dialogo inter-cristiano ed ai valori morali tradizionali nella società europea. Dopo aver risposto alle domande dei diplomatici stranieri il metropolita Hilarion ha distribuito loro vari doni.
Gli obbiettivi reali degli USA in Africa centrale Di Daniele Ciolli
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a qualche tempo viene diffuso online il famoso video “Kony 2012” sui crimini dell’Esercito della Resistenza del Signore (LRA), guidato da Joseph Kony, nel Nord dell’Uganda. Tale campagna mediatica è stata lanciata dalla ONG Invisible Children, la quale sostiene e richiede un’azione militare diretta per risolvere tale questione con il conseguimento dell’arresto di Kony. Addirittura il caso è stato portato di fronte al Congresso statunitense. Nel video, al quale partecipano personaggi famosi di Hollywood, viene mostrato un giovane ugandese, ex bambino soldato, che sarebbe riuscito a fuggire dall’arruolamento forzato dell’LRA di Kony, quest’ultimo descritto come un mostruoso criminale contro l’umanità. Da notare che la ONG Invisible Children non dimostra chiari finanziamenti e guadagnerebbe i suoi milioni dalla vendita di gadget (inerenti alla causa portata avanti) come spillette, t-shirt, adesivi, manifesti ecc. Il gruppo finora non ha mai rese pubbliche le donazioni né le modalità secondo le quali sono spesi i soldi ricevuti. Il Guardian di Londra ha affermato che i conti di Invisible Children sarebbero triplicati in quest’ultimo periodo ed
il suo reddito ammonterebbe a quasi 9 milioni di dollari, e che tutto ciò è stato speso negli Stati Uniti e non in Uganda. Infine l’agenzia del Dipartimento di Stato che coordina i suoi interventi all’estero con il Pentagono e la CIA, dichiara apertamente sul suo sito web di aver finanziato Invisible Children in passato. Quello che però il video non dice è che l’LRA, nato nel 1986, da circa 5-6 anni non opera più ed è ridotto a pochi uomini, che sarebbero persino sconfinati nel vicino Congo. Joseph Kony, per quel Non è difficile capire che il che si sa, potrebbe addirittura video made in USA Kony essere morto. Pur non negando 2012 ha un obbiettivo ben i crimini compiuti da questo più importante del salvare gruppo, ci chiediamo come mai proprio ora sia scoppiato questo fantomatici bambini in caso e mai prima … pericolo L’Uganda è una regione ricchissima di minerali e fa parte della famosa Great Rift Belt, che comprende oltre all’Uganda stessa alcune delle terre più ricche di minerali del pianeta come la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centrafricana e la Repubblica del Sud Sudan, sostenuta dagli USA. L’area della Great
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Rift Belt si trova nella congiuntura geografica che si estende dalla Siria a nord, verso sud attraverso il Sudan, l’Eritrea ed il Mar Rosso, e in profondità verso il Sud Africa, attraverso Congo orientale, Uganda, Kenya, Etiopia, Somalia e Mozambico. È uno dei luoghi più ricchi di minerali del sottosuolo, comprese grandi riserve non sfruttate di petrolio e gas. Nel 2009 la compagnia petrolifera britannica Tullow Oil ha scoperto proprio in Uganda circa 2 miliardi di barili di petrolio; a seguito di ciò l’importanza geopolitica dell’intera regione dell’Africa centrale ha improvvisamente subito un grande cambiamento. Infatti La CNOOC Ltd., il più grande esploratore di petrolio offshore della Cina, è in una joint venture con la Tullow Oil per sviluppare tre blocchi petroliferi del bacino del lago Alberto, proprio in Uganda. L’East African Rift è oggi uno degli ultimi grandi giacimenti di petrolio e gas naturale del pianeta, e vi sarebbe la presenza di enormi giacimenti petroliferi offshore. L’Africa del nord e occidentale negli ultimi decenni ha subito migliaia di trivellazioni di pozzi petroliferi, invece l’Africa centrale e orientale, tra Sudan, Ciad, Repubblica Centrafricana ed Uganda sono tutti territori intatti o quasi in termini di perforazioni petrolifere. Insomma, non è difficile capire che il video made in USA Kony 2012 ha un obbiettivo ben più importante del salvare fantomatici bambini in pericolo, considerando l’inattività di quasi un decennio dell’LRA. Invisible Children inoltre non dichiara che eserciti regolari di vari paesi africani dell’area utilizzano bambini soldato. La campagna di Invisible Children è plausibilmente una scusa perfetta che il governo statunitense utilizza per giustificare la sua espansione e presenza militare nell’ Africa centrale. Invisible Children è così abilmente utilizzata dagli Stati Uniti, che cercano di militarizzare l’Africa inviando sempre più armi e aiuti militari, così da rafforzare il potere degli stati africani alleati con Washington. La caccia a Joseph Kony è una brillante soluzione per raggiungere tale scopo. Oltretutto questa strategia non è certo una novità, anzi spesso il governo degli Stati Uniti ha utilizzato internet e la televisione per influenzare e commuovere milioni di cittadini, ai quali l’intervento militare “diritto-umanista” sembrerà “necessario”, così da permettere facile accesso alle multinazionali petrolifere ad obbiettivi strategici: in questo caso specifico, luoghi ricchi di petrolio ed altre risorse come l’Uganda e i paesi dell’Africa centro-orientale. Il presidente Obama ha inviato, in pieno stile Vietnam, 100 truppe delle forze speciali statunitensi in Africa centrale, per operare come “consiglieri” nella caccia a Kony. Tutto questo è un anticipo dell’enorme militarizzazione prevista dal Pentagono in Africa Centrale, tappa successiva all’attacco del 2011 alla Libia da parte della NATO, e il caos creato in Egitto ed in Sudan, conclusosi con l’indipendenza del Sud Sudan. Oltre all’accaparramento delle risorse, il dispiegamento di forze in Africa Centrale rientra nell’ottica del contrasto geoeconomico con la Cina. Questo tipo di azioni sono volte a minare la forte influenza cinese in Africa centrale. Già sono state scacciate con successo le compagnie petrolifere cinesi dalla Libia, ed è stata favorita la nuova repubblica filoUsa del Sud Sudan, che contiene la maggior parte del petrolio (70%), rispetto al Sudan di al Bashir, col quale ha accordi importanti proprio la Cina. L’Indipendenza del Sud Sudan e del suo petrolio è stata una conseguenza dell’invio delle forze La Cina è oggi il speciali degli Stati Uniti e della secondo più grande NATO per “bloccare il genocidio investitore estero in Darfur”. Questa volta è stato l’attore George Clooney in Uganda dopo la a prestare la propria faccia Gran Bretagna. per l’enfatizzazione mediatica dell’operazione. L’interesse improvviso degli Usa e delle ONG statunitensi sull’Africa centrale và quindi ben contestualizzato: d’altronde finché il mondo ignorava il Continente Africano, Washington lasciava tutto il lavoro ad istituzioni come l’Fmi, che sfiancavano i paesi come il Congo e permettevano alle imprese minerarie occidentali di estrarre il prezioso patrimonio minerale approssimativamente a costo zero. Tutto è iniziato a cambiare proprio quando la Cina rivolse le sue attenzioni verso l’Africa, e specialmente verso la Great Rift Belt. La Cina ha ospitato oltre 40 capi di Stato africani nel 2006, a Pechino, ed ha indetto molte visite di Stato in tutta l’Africa, conclusesi spesso con accordi importanti per le compagnie petrolifere ed industriali cinesi. La Cina è oggi il secondo più grande investitore estero in Uganda (ricordiamo nuovamente la già citata joint venture che la CNOOC ha firmato con la Tullow Oil nel 2011 per i giacimenti ugandesi) dopo la Gran Bretagna. È d’altronde anche il principale investitore nelle risorse petrolifere del Sudan. La compagnia petrolifera della Cina CNOOC ha firmato anche accordi con il governo somalo per la ricerca del petrolio nella regione di Mudug, dove si stimano riserve pari fino ai
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dieci miliardi di barili. Traendo le conclusioni possiamo certamente ipotizzare che dietro la diffusione della storia di Kony e dell’LRA ci siano grandi interessi economici e politici statunitensi. La tattica dell’intervento “umanitario” la conosciamo tutti fin troppo bene. L’Africa oggi è fondamentale per gli equilibri geopolitici mondiali. Gli USA lo sanno bene e stanno facendo di tutto per accaparrarsi più risorse possibili da sottrarre alla Cina ma anche agli altri paesi emergenti (India, Russia, Brasile …).
MOSCA NON È SODOMAè CRISTIANI ORTODOSSI INTERROMPONO LA DIMOSTRAZIONE ILLEGALE DEL GAY PRIDE DI FRONTE AL CONSIGLIO COMUNALE
Di Matthew Cullinam Hoffman Mosca, Russia, 30 maggio 2012-06-02 Tratto da LifeSiteNews.com
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Cristiani Ortodossi hanno bloccato un tentativo da parte degli omosessuali di dimostrare davanti al Consiglio Comunale di Mosca in risposta al continuo rifiuto della città di consentire attraverso la sua giurisdizione una parata del Gay Pride. Chiamando la manifestazione “Gay Pride 2012”, nonostante il divieto, i manifestanti impugnavano bandiere arcobaleno e cartelli, e hanno reso dichiarazioni ai media. Almeno uno indossava un simbolo Wicca al collo. Secondo un video pubblicato su Youtube dai sostenitori della marcia, gli attivisti Ortodossi hanno interrotto l’evento strappando i cartelli ai manifestanti, e spruzzando su di loro acqua santa. Alcuni hanno iniziato a spintonare i manifestanti, anche se non ci sono notizie di ferimenti. Successivamente la polizia di Mosca ha arrestato i manifestanti omosessuali, ma sono stati arrestati anche alcuni Ortodossi. L’attivista per i diritti della famiglia Dmitry Tsarionov ha detto ai giornalisti: “Non permetterò ai pervertiti di portare l’ira di Dio sulla nostra città”, ed ha aggiunto: “Voglio che i nostri figli vivano in un paese dove un peccato che distorce così gravemente la natura umana non sia predicato nelle scuole”, secondo l’Associated Press. Durante la manifestazione, alzava un cartello che recitava “Mosca non è Sodoma”. Il leader omosessuale Nikolai Alexeyev è stato uno degli arrestati, affermando che la Russia è uno “stato totalitario” a causa del suo rifiuto di permettergli di parlare con i giornalisti durante la manifestazione. All’arresto di Alexeyev alla manifestazione segue un altro arresto ad aprile in San Pietroburgo, dove ha violato la legge contro l’esposizione dei minori alla propaganda omosessuale esponendo un cartello su una strada pubblica che diceva “L’omosessualità non è una perversione”. Recenti sondaggi indicano che la popolazione è in forte accordo con l’opposizione del Governo all’agenda politica omosessuale. Un sondaggio nazionale condotto dall’agenzia statale VTsIOM nel mese di aprile ha mostrato che l’86% dei 1.600 intervistati a livello nazionale hanno detto di sostenere il divieto sulla promozione delle relazioni omosessuali. Un sondaggio del 2010 ha rilevato che il 74% dei Russi ha detto che gli omosessuali sono “moralmente dissoluti o carenti” e credono che l’omosessualità sia “una deviazione mentale amorale”. Anche se la sodomia è legale in Russia dal 1993, i governi delle città hanno agito per prevenire che gli omosessuali sostengano i loro stili di vita in pubblico, vietando le “parate gay” ed approvando leggi contro la propaganda a favore dell’omosessualità in presenza di minori. I legislatori a livello nazionale si stanno preparando per discutere un disegno di legge che renda illegale questo tipo di propaganda in tutto il Paese.
Aleksandr Dugin in Turchia Di Orazio Maria Gnerre
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leksandr Dugin ha incontrato e stretto rapporti, a nome del Movimento Internazionale Eurasiatista, con la compagine politica turca İşçi Partisi (Partito dei Lavoratori) e con il suo segretario Doğu Perinçek. Il partito pone una linea di salvaguardia degli interessi nazionali, specialmente sulla questione cipriota (per la quale ha trovato appoggio già precedentemente nelle posizioni di Dugin) e la sua importanza, più che per i suoi risultati elettorali, è tale perché esso trae il suo appoggio da membri dell’esercito, dalla burocrazia e dal mondo accademico. Altri punti fondamentali dell’orientamento del partito sono l’affiancamento di operai e contadini nelle loro proteste e l’opposizione all’ingerenza atlantica nella politica turca, alla politica egemonica statunitense ed al modello occidentale di globalizzazione sfrenata. Il partito, staccatosi dal Partito Socialista, è stato fondato nel 1992 dallo stesso Perinçek, precedentemente a capo del Türkiye İhtilalcı İşçi ve Köylü Partisi (Partito degli operai rivoluzionari e degli agricoltori della Turchia), ed ancor prima leader degli studenti maoisti. I rapporti con Dugin sono stati stretti in un’ottica di mutua opposizione agli interessi degli Stati Uniti sulla Turchia, porta d’accesso all’heartland eurasiatico, e sulle comuni basi del “subordinare l’individuo alla collettività e non poter immaginare qualcosa di più orribile di una Turchia culturalmente eterogenea”. Aleksandr Dugin e Doğu Perinçek
Presidenziali venezuelane: fi Di Alessio Mattolini
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uova sfida alle porte per il presidente del Venezuela Hugo Chavez: stavolta ad attenderlo non ci sono solo le consuete elezioni presidenziali, che si terranno il 7 ottobre, ma gli intrighi delle forze avversarie supportate dall’imperialismo atlantico, delle quali i socialisti Felipe Gonzales e Riccardo Lagos sono parte attiva. Tutti i sondaggi danno per vincitrici le forze chaviste, eccetto uno che parla apertamente di un piano escogitato per portare nuovamente al governo Hugo Chavez. Questo sondaggio è evidentemente una testa di ponte lanciata dalle opposizioni per poter contestare l’ormai scontato risultato elettorale. L’opposizione chiaramente non accetterà la vittoria di Chavez senza battere ciglio, dato che la stessa non riconosce ancora la sconfitta al referendum del 2004 che fu vinto dal Presidente con il 60% dei voti. In uno degli ultimi interventi pubblici Chavez ha messo in guardia sui possibili piani violenti dell’opposizione
filo-atlantista, che si sente già sconfitta. Il Presidente ha dichiarato: “Non perdete la testa.. Voi [l’opposizione] avrete i vostri deputati, camere e governatori. È necessario rispettare le regole del gioco. È la democrazia. Qui non ci sarà nessuna frode.” ha poi continuato “La cosa più probabile è che questi dirigenti dell’opposizione che non credono nella democrazia, non riconoscano la nostra vittoria.” detto questo si è scagliato contro i banchieri dicendo “Una cosa è che appoggino movimenti democratici e un’altra cosa è che appoggino con il loro denaro movimenti destabilizzatori”. Uno degli istituti bancari più attivi nel supportare queste forze è Banesco, il cui proprietario è passato ad essere da ignoto agente di cambio ad una delle eminenze del Paese. Poco tempo fa ha organizzato un seminario internazionale, e gli ospiti più in vista erano Henrique Cardoso, Ricardo Lagos e Felipe Gonzales, ex governanti di Brasile, Cile e Spagna. Incontro supportato ed enfatizzato dai media borghesi, con il titolo “Parole per il Venezuela”. Gli ospiti si sono cimentati in lezioni sulla democrazia e sulla tolleranza, enunciando una lista di buone intenzioni politiche (mai messe in pratica quand’erano in carica). D’altronde loro stessi hanno ipotecato le rispettive Nazioni alla borghesia, alle
multinazionali ed a Washington. Felipe Gonzales è colui che con Carlos Andrés Péres (destituito per corruzione) ha portato al fallimento Viasa, la compagnia aerea venezuelana, lo stesso che ha aperto le porte della Spagna alle basi militari americane. Durante il suo mandato la disoccupazione ha raggiunto le stelle arrivando al 21,4% e le pensioni sono state ridotte del 5,1%. Inoltre ha finanziato i GAL (Gruppi Antiterrorismo di Liberazione), veri e propri commando della morte. Anche Riccardo Lagos non è proprio un vanto per la democrazia, considerata la fretta con la quale riconobbe il governo cileno di Carlos Carmona, prodotto da un colpo di stato nel 2002. Carmona aveva scavalcato tutti i poteri costituzionali auto-proclamandosi presidente della Repubblica, ma venne scalzato in 48 ore. Dal 2000 al 2006 Lagos è riuscito a far sottomettere il Cile alle politiche del Fondo Monetario Internazionale, ed il debito pubblico Cileno con lui è salito al 60% del prodotto lordo nazionale. Con lui la differenza tra i redditi del 5% più povero della popolazione e quelli del 5% più ricco era di 209 volte, dalle 130 volte prima che lui salisse al potere. Cardoso invece è riuscito ad aumentare il tasso di disoccupazione dal 6 al 10%. Con lui al governo il Brasile è cresciuto ad un ritmo dell’1%. È stato lui a definire Lula “minaccia per la patria”, Lula che ha portato il tasso di povertà dal 34% (durante il governo di Cardoso) al 26%.
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AMERICANIZZAZIONE ECONOMICA E PROPAGANDA ANTITEDESCA Di Alessandro Gai In data 2 marzo è stato siglato il tanto discusso “Fiscal compact”, trattato europeo che vincola i paesi membri a rispettare una serie di regole stringenti in tema di bilancio. Più in particolare si tratta dell’obbligo “ad avere un deficit strutturale che non deve superare lo 0,5% del Pil e, per i Paesi il cui debito è inferiore al 60% del Pil, l’1%”. In caso di mancato rispetto dei parametri, gli stati rei di tali violazioni incapperanno in sanzioni. L’iter prevede, inoltre, l’introduzione della regola che impone il pareggio di bilancio nella varie costituzioni nazionali, in modo da sancire come inviolabile a tutti i livelli il principio secondo il quale la politica economica di uno stato è interamente subordinata al pagamento del debito, rendendo impossibile qualsiasi manovra di deficit spending dello stesso. Gli investimenti pubblici vengono quindi banditi, ciò corrisponde all’autoprivazione da parte dello stato della possibilità di intervenire direttamente nell’economia reale al fine di rivitalizzarla. Non è difficile immaginare quali effetti disastrosi avranno questi provvedimenti su un paese in piena recessione come il nostro (-2/2,5% del PIL nelle più rosee previsioni per il 2012) e già oberato da un debito pubblico enorme. La catastrofica spirale depressiva è stata avviata e non ci vuole alcuna preparazione accademica per comprenderlo. L’Italia per ottemperare agli obblighi sanciti dai trattati sarebbe chiamata a varare manovre annuali di austerity per circa 45 miliardi di euro, nel vano tentativo di saldare un debito insaldabile, visto il peso gigantesco degli interessi (72 miliardi euro nel 2012) e il PIL in caduta libera. L’Unione Europea si conferma sempre più un’entità sovranazionale di ispirazione ultraliberista, funzionale agli interessi del grande capitale finanziario privato, che attenta alla sovranità dei paesi membri e soprattutto agli interessi collettivi dei popoli europei. La dogmatica rigidità nell’affrontare la crisi del debito non può essere valutata come strategia risolutiva, ma come tecnica finalizzata al far gravare sui cittadini il costo della speculazione, al trasferire indiscriminatamente fondi dai lavoratori agli operatori finanziari privati. Tutto ciò risulta ancora più lampante con la prossima entrata in vigore del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), che prevede l’istituzione di un nuovo fondo salva stati a gestione privata con capitale sociale di 700 miliardi di euro, verso cui è richiesta obbligatoriamente la partecipazione agli stessi stati indebitati. Inutile dire che anche in questo caso sono previste sanzioni in caso di inadempienze o ritardi, senz’altro un buon metodo per accelerare la cessione di asset pubblici di ogni genere e tipo. Dopo il fallimentare prestito di 530 miliardi da parte della BCE agli istituti di credito privati, i quali hanno potuto lucrare indisturbatamente reinvestendo il denaro ottenuto in titoli di stato ad alto rendimento, la governace europea continua a garantire piena libertà di manovra all’alta finanza, a costo di generare immani drammi sociali su scala continentale. Mentre il paese sprofonda grazie a un debito pubblico in crescita e alla disoccupazione dilagante, la classe politica che appoggia l’ “autorevole” governo tecnico, dopo averne decantato per mesi le presunte doti salvifiche, attribuisce all’eminenza grigia della Germania la causa della nefasta situazione nell’eurozona. Un atteggiamento quantomeno ridicolo se si pensa che i vari germanofobi sono proprio gli europeisti della prima ora, quelli che da sempre dipingono l’UE come istituzione imprescindibile, che negli anni si sono resi colpevoli
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della progressiva cessione della sovranità economico-monetaria e che adesso appoggiano devastanti piani di riforme dall’esisto anticipatamente improbo. È perspicuo, in un quadro di competizione capitalista, che sia il paese con il maggior peso economico e con il maggior tasso di sviluppo a dettare la linea all’interno dell’Unione garantendo i proprio specifici interessi. D’altronde che interesse dovrebbe avere la Germania nel sobbarcarsi l’onere del salvataggio di un’intera area economica, quando le potenze emergenti del BRICS, per loro vocazione, intendono sostituirsi come partner commerciali privilegiati in sostituzione dei claudicanti paesi europei. I dati a tal proposito parlano chiaro. È notizia recente la volontà della Cina di raddoppiare a 280 miliardi entro il 2015, il volume degli scambi commerciali con Berlino. Se con la Russia il partenariato è già consolidato, è invece una novità l’avvio delle relazioni con l’India, decisa a perseguire l’obiettivo di venti miliardi di intercambio entro fine anno e l’intrapresa di una collaborazione del settore dell’alta tecnologia. Gli strali indirizzati alla cancelliera Angela Merkel sono all’ordine del giorno, mentre invece non si rilevano critiche organiche nei confronti dell’entità geopolitica che la crisi l’ha generata, a partire dalla bolla speculativa del 2007 nata nel settore immobiliare, poi riverberatasi in Europa. Le regole della finanza internazionale, la presenza dei gruppi bancari più importanti, l’esistenza delle agenzie di rating più influenti, nonché più in generale l’egemonia economica e militare su scala globale, riguardano nello specifico gli Stati Uniti. Fa specie che i principali partiti nostrani ed europei eludano volontariamente questi aspetti fondamentali, dimostrando apertamente la funzione pretestuosa della campagna antitedesca. La difesa malcelata delle direttrici strategiche del capitalismo mondializzato a conduzione USA si tinge oggi di progressismo in salsa europeista. La mutazione degli equilibri globali in senso multipolare smaschererà queste menzogne: speriamo che ciò avvenga il prima possibile per il bene del nostro paese.
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Crisi dell’uovo o crisi della gallina?
L’EUROPA DI FRONTE ALLA CRISI ECONOMICA Di Alfonso Arpaia
L
a classica domanda su chi sia nato prima tra uovo e gallina, potrebbe riflettersi nella crisi economica che da ormai due anni e mezzo viviamo: è una crisi dell’Euro o dell’Europa? Ad ascoltare la maggioranza della popolazione e dei media, la crisi è dell’Euro. La mia idea è diversa, ed un po’ più complessa. Anche se c’è chi addita come responsabile lo stato sociale maturato nei decenni, non mi avventurerò nell’analisi comparata dei modelli di welfare. Analogamente il populismo indica come responsabile la casta politica – il suo costo in particolare – ma per quanto possa essere responsabile, credo inutile anche avventurarsi sul tema delle spese distorte a causa di comportamenti fraudolenti per motivazioni private o per favorire il proprio partito, o dei trasferimenti strumentali alla raccolta del consenso in prossimità delle elezioni. Io credo che la responsabilità del protrarsi della nostra crisi non sia dell’Euro ma dell’Europa (intesa come Unione) e dei suoi meccanismi di governance – o meglio della loro assenza – che impediscono di attuare, o anche solo di proporre, la soluzione che più probabilmente darebbe un esito positivo. Ma non è tutta colpa dell’Europa di oggi. L’Unione non è nata con gli impedimenti decisionali che si ritrova: se li è forgiati nel tempo a causa della troppa voglia (o necessità?) di crescere in fretta per diventare un player di peso globale, e contemporaneamente di una mentalità particolaristica dei singoli governi che a parole hanno voluto partecipare, ma nei fatti temevano di perdere il proprio potere molto più di quanto cercassero di fare il bene dei loro governati. Montanelli una volta disse: un popolo che dimentica la propria Storia è condannato a riviverne gli errori; diamo quindi un’occhiata al recente passato per cercare di capire meglio la crisi presente. All’inizio (seconda metà del 2008) la Sterlina
crollò. La Bank of England fede poco o niente, Blair pagò il difficile momento venendo sostituito da Brown, che con il voto dei Conservatori approvò un piano che prevedeva il pareggio di bilancio dopo 7 anni. Da allora, grazie a cospicue iniezioni di liquidità per salvare le banche, la situazione è andata migliorando e la Sterlina è già forte rispetto all’Euro come prima della crisi. Non ne sono fuori, ma di certo non sono più nella tempesta. “Un popolo che dimentica la propria Storia è condannato a riviverne gli errori.” Montanelli
Negli USA è stata immessa una quantità spaventosa di valuta nel circuito finanziario, con un duplice risultato: da una parte si è puntellata l’economia, mentre dall’altro l’eccesso di valuta sui mercati ha provocato un deprezzamento del Dollaro sui mercati finanziari (nella sostanza una svalutazione) che dapprima è crollato, ed ora sta lentamente recuperando. È importante evidenziare che è vero che la svalutazione provoca inflazione, ma anche svaluta il debito pubblico e favorisce l’export. L’economia americana oggi non è ancora a posto e non cresce quanto previsto e voluto, ma anche loro sembrano fuori dalla bufera più violenta. Facciamo ancora un ultimo passo indietro prima di tornare al presente. Il 2 luglio 1997 inizia ad Hong Kong la crisi delle economie asiatiche che da oltre un decennio erano portate come esempio di espansione economica bilanciata ed efficace. In un suo libro bellissimo, Paul Krugman spiega la sua visione sulle cause, sui motivi della propagazione, illustra quali, come e perché le azioni dei governi furono inadeguate e spiega la sua soluzione, che dove/quando attuata ha risolto i problemi nel breve trasferendoli in una più facile gestione di lungo periodo. Se trovate il libro vi suggerisco di leggere anche solo il Cap.9: impossibile non riconoscere l’attuale crisi economica. Attenzione però: il testo è del 1999. E veniamo al qui ed adesso. Se chi propone l’uscita dall’Euro ed il ritorno alla Lira ha una visione economica e politica quantomeno miope, è anche vero che con buona pace dei più convinti europeisti, Europa e Euro sono –
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solo – un mercato comune e la valuta usata in questo mercato. Potremmo usare valute diverse come prima dell’Euro: con la complicazione dei tassi di cambio fluttuanti ed i rischi in caso di crisi di essere sostanzialmente soli; ma la situazione sarebbe assolutamente identica. Nel 2011 Bini Smaghi scriveva a difesa dell’Euro, reputandolo sotto attacco nella visione generale dei cittadini europei. Un libro con un target sbagliato: non è l’Euro da difendere ma l’Unione Europea, anzi, peggio, è da costruire. Perché al momento non c’è. Molti vedono nelle politiche coordinate tra Stati per la soluzione della crisi una spinta all’integrazione, ma tale spinta, se c’è, purtroppo non si sta concretizzando. C’è chi dice che la BCE sta facendo il suo dovere: vero, sta contenendo l’inflazione, perché questo è il suo unico mandato. Ingabbiato tra le esigenze degli Stati membri, il Governatore (Trichet prima, ora Draghi) sta facendo quello che può per filtrare tra le maglie di regolamenti strutturati per fare in modo che la BCE non interferisca con le politiche dei singoli Paesi. La proposta di alcuni di dare vita agli Eurobond è un palliativo per consentire alla BCE di fare quello che non può: immettere moneta nel circuito finanziario e spostare il problema della crisi attuale alla inflazione futura. Draghi in particolare ha cercato di fare questo, ed in una recente dichiarazione non solo lo ha ammesso, ma anche indirettamente avvallato due idee: la prima è che la soluzione della crisi passi da una strada se non uguale almeno molto simile a quella già percorsa da UK ed USA; la seconda è che la BCE è effettivamente strangolata nella sua attività da regolamenti orientati ad impedirne l’azione indipendente. E pensare che l’indipendenza della Banca Centrale è considerato un indice importante del livello di democratizzazione di un Paese. Ed a chi dice che inflazionare l’Euro sarebbe peggio della crisi, suggerisco di tenere conto non solo degli aumenti di prezzi, ma anche di altri due effetti tutt’altro che collaterali: riequilibrio del rapporto $/€ con conseguenti vantaggi commerciali reciproci; rivalutazione relativa della valuta cinese, cioè ciò che tutti da anni chiedono e che il Governo cinese concede con il contagocce. Inghilterra e Usa hanno accettato di gestire il problema inflazione nel lungo periodo, ed ora da loro il grosso della bufera sembra passata; da noi le borse crollano un giorno si ed uno no per l’attacco ai debiti sovrani dei singoli Paesi mentre Draghi cerca di iniziare quello che gli anglosassoni hanno già finito. Ma cosa impedisce di attuare la soluzione? Perché non si cambiano i regolamenti per dare alla BCE le stesse prerogative delle banche centrali? Perché non si può! L’Europa (come unione) era nata come idea tra 6, ma si è estesa a troppi altri prima che l’idea si trasformasse in progetto. Mano a mano che ciascuno si aggiungeva, ciascuno cercava di salvaguardare i propri interessi presenti e quelli futuri attraverso i meccanismi di voto. Oggi siamo in 27: alzi la mano chi davvero pensa che possano mettersi tutti d’accordo rinunciando ciascuno ad un pezzetto del proprio orticello. Uno splendido esempio dell’impossibilità di accordarsi sono i famigerati Eurobond di cui da mesi si parla – soluzione che personalmente reputo errata: avrebbe senso solo se la BCE potesse stampare valuta come la FED, ma nella nostra situazione sarebbero effettivamente un vantaggio per i molti Stati deboli ed una croce per i pochi Stati forti. Non sono ancora stati emessi perché chi non li reputa convenienti per sé vota contro, e tutto resta in stallo. La modi-
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manifestanti in terra di Grecia.
fica del mandato della BCE è uguale, e soggiace agli stessi meccanismi di voto e particolaristici. Nel breve periodo e per la crisi contingente, potrebbe quindi essere sufficiente “liberare” la BCE lasciandogli più ampia possibilità di gestire la politica monetaria, ma nel lungo periodo, o si cambiano i meccanismi dell’Unione oppure continueremo in modo miope a guardare all’Euro invece all’Europa, ci terremo le crisi ed aspetteremo più degli altri per uscirne; perché ad essere andata in crisi è stata la gallina, ed una gallina in crisi, non riprende tanto presto a fare buone uova.
Bibliografia:
A.
Bini Smaghi Lorenzo, Il paradosso dell’Euro, Ed. Rizzoli 2008, isbn 9788817024853.
B. Draghi: l’iniezione di liquidità è stata un successo, da IlSole24Ore online del 8 marzo 2012, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-08/draghi-iniezione-liquidita-stata-145950. shtml?uuid=Abq03a4E&fromSearch C.
Krugman Paul, Il ritorno dell’economia della depressione. Stiamo andando verso un nuovo ’29?, Ed. Gar zanti 1999, isbn 9788811738756.
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Lijphart Arend, Le democrazie contemporanee, Ed. Il Mulino 2001, isbn 9788815081513.
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Natali David, Vincitori e perdenti, Come cambiano le pensioni in Italia e in Europa, Ed. Il Mulino, isbn 9788815116079.
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Tremonti Giulio, La paura e la speranza, Ed. Mondadori 2008, isbn 9788804580669.
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Vassallo Salvatore, Il governo di partito in Italia (1943-1993), Ricerca/Il Mulino, Ed. Il Mulino 1994, isbn 9788815045898.
IL KOSOVO E LO SPAZIO GEOPOLITICO DEI BALCANI
Di Mario Forgione Siamo a poco più di qualche mese dal tredicesimo anniversario dell’operazione “Determinate Force” guidata dal generale USA Wesley Clark; Si tratta dell’operazione militare in Serbia e Kosovo del 24 marzo 1999 decisa dai vertici NATO senza attendere l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (il c.d. “Activation Order”). Questo il bilancio: in 78 giorni hanno luogo 34 mila attacchi compiuti da mille aerei, sono lanciati 10.000 missili con 79.000 tonnellate di esplosivo, 152 contenitori di bombe a frammentazione, oltre a bombe alla grafite e all’uranio impoverito. Gli aerei partono da 47 basi aeree in Europa occidentale (Germania, Francia e Italia), Europa orientale (Ungheria), e i bombardieri B2 e B52 strategici dalla base Whiteman in USA1. Per spiegare le motivazioni politiche e militari di una operazione militare così imponente è necessario fare un salto indietro nel tempo. Sì, per comprendere i contrasti etnico-religiosi che hanno contraddistinto il Kosovo bisogna andare indietro sino all’anno 1389: il 28 giugno, a pochi chilometri da Priština (attualmente sede dell’UNMIK, la Missione Provvisoria in Kosovo delle Nazioni Unite), si scontrano
La Battaglia della Piana dei Merli, di Adam Stefanovic.
gli eserciti del Duca Lazar (Principe di Serbia
ottomana e i tentavi di islamizzazione forzata
e alleato di Bosnia e Valachia) e del Sultano
di albanesi e serbi, il Kosovo, durante tutto il
Murad.
XVII secolo, continua a rappresentare il centro
Si tratta, in particolare, della storica battaglia
nevralgico della cultura e della religiosità
di Kosovo Polje2 che vede la distruzione
serba. Successivamente, durante le guerre
della coalizione serba da parte delle truppe
austro-turche (1683 – 1690 e 1717 – 1737) i
turche guidate proprio da Murad. Tuttavia,
serbi si oppongono al dominio turco insieme
la battaglia in questione ha un particolare
agli albanesi di fede cattolica. La sconfitta
valore simbolico per il popolo serbo perché il
degli austriaci da parte dei turchi determina
nobile Miloš Obilić, prima di venire a sua volta
una massiccia fuga dei serbi verso l’Austria
ucciso, uccide in battaglia il Sultano Murad.
(circa 200.000), che produce una significativa
Successivamente Bayezid I, figlio di Murad,
riduzione della loro presenza in Kosovo.
riporta la vittoria che permette agli ottomani
Proprio a seguito della fuga dei serbi verso
di sottomettere definitivamente la Serbia.
l’Austria, si assiste ad una profonda
La sconfitta subita dal Duca Lazar viene
emigrazione degli albanesi verso le regioni
celebrata ogni anno come festa del coraggio
slave: Serbia, Macedonia e Bosnia vengono
e dell’onore dimostrato dall’esercito serbo
rapidamente occupate determinando un
sul campo di battaglia. Infatti, il 28 giugno
forte cambiamento nelle dinamiche politiche
1989 Slobodan Milošević, nel seicentesimo
e religiose di tutta l’area balcanica. Nel XIX
anniversario della battaglia di Kosovo Polje,
secolo però, l’impero ottomano inizia a
pronuncia un discorso destinato a suscitare le
indebolirsi segnando la nascita di un forte
future ostilità in tutto il territorio balcanico:
movimento di liberazione e unificazione della Serbia. Tuttavia, il tentativo serbo di liberarsi
“Sei secoli fà, la Serbia si è eroicamente difesa
dal dominio turco viene represso con grande
sul campo del Kosovo, ma ha anche difeso
veemenza dai turchi (con l’ausilio degli
l’Europa. A quel tempo la Serbia era il bastione
albanesi – coinvolti nel processo di
a difesa della cultura, e della società europea
islamizzazione della regione). Nel decennio
in generale. Perciò oggi ci sembra non solo
1850 – 1860 si verificano scontri intensi e
ingiusto, ma persino antistorico e del tutto
sanguinosi tra serbi e albanesi che creano
assurdo parlare dell’appartenenza della
contrasti insanabili, destinati a condizionare
Serbia all’Europa. La Serbia è stata una parte
le dinamiche geopolitiche del XX secolo.
dell’Europa incessantemente, ed ora quanto
Infatti, nel 1878, con la nascita della Lega di
nel passato, ovviamente nella sua maniera
Prizern si consolida il sogno della costruzione
specifica, ma in una maniera che non l’ha mai
di una “Grande Albania4". Dopo la Conferenza
privata di dignità in senso storico […] Che la memoria dell’eroismo del Kosovo viva in eterno.”
Il Kosovo è stato il centro nevralgico della cultura serba, sede di importanti monasteri e monumenti cristiano-ortodossi. Proprio la presenza di monasteri e monumenti bizantini, rende il Kosovo un luogo sacro per il popolo serbo. Tuttavia, oltre all’aspetto politicoreligioso, è importante tener conto che il territorio in questione è ricco di materie prime: carbone, cromo, piombo, zinco, tungsteno, oro e argento3. La presenza ottomana in Kosovo è stata causa di dissidi e contrasti etnico-religiosi; la caduta di Smederevo (distante circa 60 chilometri da Belgrado), nel 1459, segna il definitivo assorbimento del territorio balcanico da parte dei turchi. Tuttavia, nonostante l’occupazione
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"I bombardamenti cessarono dopo 78 giorni, il 10 giugno 1999. I diplomatici erano riusciti dove i militari avevano fallito. Sulle forze Nato pesava la responsabilità degli obiettivi civili colpiti. È bene ricordare alcuni dei più gravi, non solo per le vittime: il villaggio di Gračanica fu inspiegabilmente bombardato dal 24 marzo al 6 aprile; il Monastero di Gračanica con la sua Chiesa a cinque cupole, meraviglia dell’architettura ortodossa del 1300 e della straordinaria arte pittorica sviluppatasi in quel secolo, fu colpito dallo spostamento d’aria provocato dai missili, ed i particolare, il 5 aprile, da una bomba caduta all’interno delle mura di cinta del convento, a cinquanta metri da una delle porte della basilica […] Il primo aprile durante un bombardamento […] un missile scoppiò nel giardino del Patriarcato di Peć. E poi il Monastero della Chiesa di S. Juraj del 1714 in Petrovaradin; il 4 aprile il Monastero della Santa Madre del XII secolo e il Monastero si S. Nicola nel territorio di Kursumlija: il quartiere operaio di Aleksinac; il treno Salonicco – Belgrado colpito da due missili mentre passava su un ponte nel canyon vicino a Leskovac il 10 aprile; la Chiesa del Monastero di S. Arcangelo Michele il 16 aprile […] La lista degli ospedali, dei monumenti e dei monasteri medievali colpiti in Kosovo e in Serbia suona come un tragico bollettino di morte. Unito al disastro dei fiumi inquinati dal petrolio delle raffinerie ripetutamente bombardate, ed oltre all’inquinamento causato dall’uso di proiettili di uranio impoverito e delle bombe a frammentazione, disegnava un panorama inquietante del risultato delle bombe intelligenti e dei relativi danni collaterali. Ma sono stati poi davvero involontari?” Cit. Il Corridoio, Viaggio nella Jugoslavia in guerra, Jean Toschi Marazzani Visconti, ed. La Città del Sole 2005, p. 218 e 219.
di Londra del 1912, l’impero Austro-ungarico, l’Inghilterra, la Francia, l’Italia e la Russia approvano la creazione de jure e de facto dell’odierno stato albanese. La seconda guerra mondiale incide nuovamente sulla fisionomia politica del territorio balcanico: negli anni 1941 – 1943 i governi dell’Asse espellono serbi e montenegrini dal Kosovo con lo scopo di favorire l’espansione dell’Albania. Tuttavia, con la fine della seconda guerra mondiale e nonostante il tentativo, attraverso la seconda Lega di Prizren (16 settembre 1943), di evitare che i serbi si appropriassero nuovamente del Kosovo, il sogno della Grande Albania naufraga nuovamente sotto il peso del nuovo corso geopolitico inaugurato a Jalta nel febbraio 1945. Fino al 1974, anno della nuova costituzione jugoslava, il Kosovo vede il continuo riacutizzarsi degli ormai endemici
problemi etnico-
leader politici, con
da Madeline Albright e da Richard Holbrooke
religiosi. Infatti,
l’eccezione di Rugova,
degli Stati Uniti) non riesce a raggiungere
cercano fino all’ultimo
un’intesa equilibrata tra serbi e membri dell’UCK
di portare il Kosovo ad
per una soluzione pacifica del conflitto. La
ottenere
conferenza di pace organizzata al Castello di
l’indipendenza
Rambouillet dal 6 febbraio al 20 febbraio 1999,
attraverso metodi
da parte dei Ministeri degli Esteri di Francia e
radicali. In questo
Inghilterra, fallisce miseramente per la forte
scenario, nella
ingerenza del segretario di Stato degli USA
primavera del 1998,
Madeline Albright7.La conferenza di Rambouillet
appare un nuovo
vede la partecipazione, oltre che di Rugova, di
gruppo separatista
cinque appartenenti all’UCK, tra cui Ashim
denominato UCK
Thaqui e Veton Surroi (esponenti di spicco del
(Ushtria Clirimitare e
movimento separatista). La diplomazia
Kosoves) o KLA
internazionale, quindi, riconosce l’UCK come
(Kosovo Liberation
vero e proprio attore politico (suscettibile, in
concede ampia
Army – Esercito di
questo senso, di essere destinatario degli effetti
libertà politico
liberazione del
di ipotetici accordi internazionali), un segnale
proprio con la nuova Costituzione concessa dal Maresciallo Tito, al Kosovo viene garantita l’autonomia amministrativa all’interno della Repubblica di Serbia. La Costituzione del 1974, infatti,
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La presenza di importanti materie prime rendono il Kosovo un territorio importante dal punto di vista geopolitico e geostrategico. Anzi, proprio la presenza di materie prime è da considerare un fattore essenziale per spiegare le forti ingerenze politiche (culminate con l’attacco del 24 marzo 1999) del blocco NATO all’interno del territorio balcanico: “La geografia, o piuttosto la geologia, forniscono una ragione della perdurante importanza storica del Kosovo – in particolare della sua metà orientale. Quest’ultima contiene infatti la più alta concentrazione di ricchezze minerali nell’Europa sud-orientale. La miniera di Trepca ( vicino a Mitrovica, a una cinquantina di chilometri a nord di Pristina), sfruttata da una società britannica negli anni ’20, divenne nel periodo del dopoguerra una delle maggiori fornitrici europee di piombo e zinco; l’area mineraria, compresa un’altra importante miniera a sud-est di Pristina, negli anni ’60 si stimò che contenesse il 56% delle riserve jugoslave di nichel.” Storia del Kosovo, cit. p. 35. A tal proposito, non è certamente una caso che l’esercito di Hitler, nel 1941, occupò la miniera di Trepca e le fabbriche vicine. La zona sud-orientale del Kosovo, quindi, forniva importanti quantità di materie prime alle industrie del Terzo Reich.
– amministrativa al Kosovo e alla Vojvodina
Kosovo). La nascita di questo gruppo separatista
che insospettisce fin da subito i vertici politici e
trasformandole in vere e proprie regioni
è avvolta nell’ombra, esistono fonti poco note
militari del governo serbo. Il negoziato di pace,
autonome. Negli anni successivi, nonostante i
sui finanziamenti di cui ha goduto parte di
nonostante la disponibilità del governo serbo a
tentativi di pacificazione della regione, la forte
alcune delle potenze del blocco atlantico nel
negoziare accordi direttamente con l’UCK,
presenza albanese (92% contro il 5,3% dei serbi
corso della guerra civile 1998 – 19996. L’UCK,
fallisce perché nel testo dell’accordo preparato
su una popolazione di circa 1.804. 838 abitanti)5
forte del sostegno transnazionale, acquisisce
da Madeline Albright vengono inserite clausole
crea contrasti così forti e violenti da condurre il
sempre più forza militare e spazio politico
inaccettabili per la Serbia. Vediamone
Kosovo direttamente alla guerra civile. Alla
attaccando violentemente, con una serie di
brevemente alcune. Il personale della NATO
vigilia della guerra civile del 1998 – 1999, tre
attentati, la popolazione e le forze di sicurezza
risponde solamente ai propri governi ed ha
sono gli uomini politici destinati ad incidere in
serbe. La reazione di Milosevic è altrettanto
diritto di portare le armi (su tutto il territorio
maniera indelebile sugli sviluppi politici dei
dura: l’UCK viene colpita dall’esercito serbo e
della Repubblica Federale Jugoslava); la NATO
balcani: Ibrahim Rugova (intellettuale Presidente
dalla milizie fedeli a Zeljko Raznatovic (le c.d.
avrà immunità totale. Il personale della NATO
della Lega Democratica); Adem Demaqi (fautore
“Tigri di Arkan”), vengono attaccati numerosi
non dovrà rispondere davanti ai tribunali
dell’indipendenza del Kosovo attraverso metodi
villaggi per eliminare i terroristi nascosti tra la
jugoslavi di nessun reato né civile né penale; il
radicali); Mahmut Bakali (vicino a Fatos Nano,
popolazione civile. Tuttavia, nonostante la
personale NATO non può essere arrestato,
successore a Berisha come Presidente
recrudescenza degli avvenimenti, la diplomazia
oppure successivamente deve essere
dell’Albania); Bujar Bukoshi (primo ministro del
internazionale (guidata dal segretario generale
consegnato immediatamente alla NATO; la
governo ombra esiliato in Germania). Questi
della NATO Javier Solana, dal Presidente Clinton,
NATO non paga tasse, né i diritti doganali e non
sia legata alla proprietà terriera degli ortodossi
sultano. Nel giro di pochi mesi, tuttavia, si
PER APPROFONDIRE
serbi.” Cit. Storia del Kosovo, Noel Malcom, ed .
intensificano le tendenze autonomistiche,
2
Bompiani ,1998, p. 33. Tuttavia, con l’unificazione
mentre la Lega si struttura anche militarmente
territorio
del territorio balcanico ad opera del Maresciallo
e nel 1880 ottiene un controllo di fatto
in questione come Kosovo o Metohija
Tito, il Kosovo viene indicato con la parola
dell’intero territorio del Kosovo. La reazione
vanno fatte delle precisazioni: “Le due
Kosmet (contrazione di Kos – merlo nelle lingue
di Costantinopoli è stata allora durissima e
metà del Kosovo hanno i loro nomi tradizionali,
slave – e metoh, proprietà della Chiesa). Nella
dopo l’invio dell’esercito ottomano nel 1881
che per diverse ragioni, politiche e geografiche,
lingua albanese, viene usato il termine slavo con
e le devastazioni compiutevi vi è stato un
sono state causa di attriti e confusione. La metà
il solo cambio della desinenza – quindi Kosova.
periodo di più di 20 anni di continue rivolte e
ovest del Kosovo è nota ai serbi con il nome di
ricevettero ricchi lasciti (terreni agricoli, frutteti
4
repressioni. Ai primi del ‘900 si intensificano
"Sulla
denominazione
del
Methoija, derivato da metochia, parola greco –
La Lega di Prizren viene creata su
le mire delle grandi potenze verso i Balcani
iniziativa di Abdyl Frasheri, originario del
e la Lega di Prizren adotta nuovamente una
sud dell’Albania. Nell’intenzione del suo
posizione di appoggio condizionato (e nei fatti
promotore la Lega doveva lottare per l’autonomia
ampiamente conflittuale) al sultano, nel timore
e vigneti di qualità rinomata) dai governanti serbi
territoriale degli albanesi, ma che inizialmente,
di vedere le terre albanesi oggetto di nuove
medievali. Gli albanesi del Kosovo, d’altronde,
visti i timori delle ali più conservatrici, si
conquiste da parte degli occidentali e dei vicini
non gradiscono l’uso di questo nome, poiché
impegna solo a impedire l’occupazione da
stati balcanici. È in questo contesto che nel
sembra avallare il fatto che l’identità del territorio
parte di eserciti stranieri e dichiara fedeltà al
1912 si ha una massiccia insurrezione da parte
bizantina che significa proprietà monastiche e riflette il fatto che qui molti monasteri ortodossi
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loro amministrazione autonoma e della creazione
6
un significato specifico fin dall’inizio, secondo la
illecito all’UCK, si veda l’articolo apparso sul
di un sistema educativo in albanese. Ma nel 1912,
caratterizzazione degli sponsor europei o USA.
Corriere della Sera del 10/8/1998 dal titolo:
infatti, scoppia la Prima Guerra Balcanica, con la
L’origine di questa organizzazione è ambigua:
“Italia – Albania: traffici di armi e droga nella
quale Serbia, Bulgaria e Grecia mirano a spartirsi
sembra fosse nata nel 1992 per iniziativa del
trama integralista che porta in Africa” a firma di
i territori europei dell’impero ottomano ormai
Movimento Popolare del Kosovo (LPK). Dal
Guido Olimpio e Carlo Bonini.
agonizzante, con il sostegno delle varie potenze
1996, aveva raggiunto una certa popolarità
europee. L’intenzione della Serbia era quella di
compiendo attentati contro poliziotti serbi e
estendersi militarmente fino alla costa adriatica,
collaborazionisti albanesi, ma restava comunque
a Durazzo, ma l’opposizione di Austria e Italia
un
porterà nel dicembre del 1912 alla creazione di
Inizialmente, la stampa internazionale li aveva
uno stato albanese corrispondente all’incirca a
definiti terroristi, in seguito guerriglieri ed infine
quello odierno.
esercito di liberazione”, op cit. p. 180. Inoltre, un
degli albanesi, che arrivano a conquistare Skopje e avanzano la richiesta di una unificazione dei territori albanesi dell’impero ottomano, di una
Infatti,
come
Jean
Toschi
che Bujar Bukoshi, capo politico dell’UCK, aveva
“La
doppia
potuto installare il governo in esilio a Bonn.” Per
denominazione (UCK o KLA) assumeva
ulteriori elementi sul presunto finanziamento
Marazzani
elemento
afferma
Visconti:
senza
importanza
politica.
reportage diffuso il 27 febbraio 1997 sulla prima
5
rete tedesca ARD nell’ascoltata emissione politica
Dati del censimento effettuato nel 2007.
Monitor rivela che: “i servizi segreti tedeschi BND e i servizi segreti militari MAD presiedevano traffici clandestini d’armi con la collaborazione dei servizi segreti albanesi (SHIK). Infatti, fin dal 1996, Hansjorg Geiger, nuovo direttore del BND, aveva dato il via alla missione di supporto logistico e di preparazione dell’UCK, al punto
8
ad aprile, in un’intervista
concessa a
Maiz, il Generale Pierre Marie Gallois
(consigliere di numerosi Presidenti francesi, tra cui Charles De Gaulle) dichiarava: “A Belgrado la crisi del Kosovo è considerata come un affare di politica interna. Se il leader nero Farrakhan avesse strappato negli USA l’indipendenza di due o tre stati, popolati in maggioranza da neri, e Washington avesse tentato con la forza di ripristinare l’ordine, le Nazioni Unite avrebbero deciso di far bombardare la guardia nazionale degli Stati Uniti?”
può essere oggetto di controlli di nessun genere in
di una delegazione dell’ONU. Queste condizioni
occasione di transiti sul territorio jugoslavo durante
segnano l’uscita della Serbia dal conflitto e
le operazioni; L’economia del Kosovo funzionerà
vengono rese vincolanti dalla risoluzione 1244
secondo i principi del libero mercato. Non vi sarà
delle Nazioni Unite (con l’astensione della Cina).
alcuna restrizione alla libera circolazione di persone,
Con la risoluzione 1244, adottata il 10 giugno
beni, servizi e capitali, ivi compresi quelli d’origine
1999, fermo restando “il principio di sovranità ed
internazionale8. Il rifiuto, da parte serba, di aderire al
integrità territoriale della Repubblica Federale
negoziato di pace predisposto dal Segretario di Stato
Jugoslava” il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Ho elencato le clausole che, a mio avviso, sono esemplificative della volontà da parte USA di far fallire i negoziati di pace. Risulta evidente che, al di là del pregiudizio ideologico con cui vengono lette certe vicende, nessuno stato che voglia dirsi “sovrano” accetterebbe mai questo genere di restrizioni. L’elenco completo dell’accordo è consultabile nel libro di Jean Toschi Marazzani Visconti, il Corridoio, p. 212 – 214. Il libro però, rimanda ad una pubblicazione del Metropolita del Monastero di Pec.
19
7
Proprio qualche mese dopo, precisamente
USA costituisce il placet
Unite autorizza l’implementazione di una
internazionale per l’inizio
missione ONU in Kosovo composta da due
dei bombardamenti sulla
presenze internazionali distinte, una civile
Serbia e sul Kosovo.
(UNMIK) e l’altra di sicurezza (KFOR), ma
Dopo, 78 giorni di
operanti in concerto sotto l’egida del
bombardamenti, che
Rappresentante Speciale del Segretario
vedono l’esercito
Generale dell’ONU. Attualmente, dopo le
jugoslavo guidato da
sommosse dei Kosovari albanesi degli anni 2004
Nebojsa Pavkovic
– 2007 e dopo le missioni dell’UNOSEK
resistere con grande
(finanziata dall’ONU per risolvere il problema
fermezza all’attacco militare della NATO, il 10 giugno
istituzionale del Kosovo) e dell’EULEX (finanziata
1999 cessano definitivamente gli attacchi militari
dall’Unione Europea per lo stesso scopo
sulla Serbia e sul Kosovo. Infatti, grazie
perseguito dall’UNOSEK), la situazione è lungi
all’intermediazione dell’ex primo ministro russo di
dall’essere definita. Infatti, soprattutto a seguito
Viktor Chernomdyn, la NATO rinuncia alle condizioni
della proclamazione dell’indipendenza del
più umilianti predisposte nel testo dell’accordo di
Kosovo da parte del Parlamento della regione (9
Rambouillet ai danni della Serbia: referendum
aprile 2008 – indipendenza non riconosciuta nei
sull’indipendenza del Kosovo e accesso in Jugoslavia
distretti serbi della regione), il conflitto tra serbi
delle truppe NATO. Inoltre, viene riconosciuta la
e albanesi ricalca lo stile di quello relativo agli
sovranità della Jugoslavia sul Kosovo con il controllo
anni 1998 – 1999. Gli Stati che hanno
riconosciuto il nuovo Kosovo indipendente sono soltanto 62, mentre quelli che hanno dichiarato che non lo faranno sono 32. La procedura con la quale il Kosovo ha acquisito l’indipendenza è stata sottoposta, con l’avallo dell’ONU (Risoluzione dell’8 ottobre 2008), alla Corte Internazionale di Giustizia da parte del ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic. La Corte di Giustizia, con una decisione discutibilissima sul piano della comune logica giuridica, ha affermato che l’indipendenza del Kosovo è stata raggiunta senza violare “le regole del diritto internazionale” (decisione del 22 luglio 2010). Sul piano geopolitico, l’operazione Determinate Force del 24 marzo 1999, intrapresa unilateralmente dalla NATO (azione replicata in Libia nell’anno appena trascorso) in Serbia e Kosovo, ha mutato definitivamente il volto dei Balcani. Risulta evidente che, allo stato degli atti, lo spazio geopolitico costituito dall’area balcanica è un fortino che il blocco NATO, in ossequio alla vecchia locuzione latina dìvide et ìmpera, ha reso proprio con un vero e proprio blitzgrieg.
L’ITALIA E LA SICILIA, BASE E RAMPA DI LANCIO ATLANTISTE COME LA TUTELA AMIERICANA DEMOLISCA OGNI PROGETTO DI EMANCIPAZIONE ITALIANA
Di Daniele Cocice
Q
uando il secondo conflitto mondiale giunse al termine, il Presidente del consiglio italiano Alcide de Gasperi, nella città di Parigi nel lontano 1947 firmava il Trattato di Pace insieme alle grandi potenze vincitrici, nonostante inizialmente vi fosse l’opposizione di esponenti politici di destra e del mondo liberale prefascista, e benché in un primo momento egli intese il documento non come adesione, ma come “solo un impegno ad eseguire lealmente “. Tale elaborato per De Gasperi e per il Ministro degli Esteri, Carlo Sforza, esprimeva un passaggio necessario per far acquistare al paese un significativo ruolo nei contesti mediterraneo ed europeo. Il proposito nel tempo si dimostrò un miraggio e pose l’Italia in una posizione di servaggio assoluto. Il Documento proponeva la smilitarizzazione delle isole italiane e lo smantellamento di tutti i siti che avessero capacità belliche offensive, comprese le basi aeree: una soluzione studiata ed approvata dai paesi occidentali dominanti contro una nazione che aveva perso la guerra. Dal 25 giugno del 1957 la base militare statunitense su suolo italiano Naval Air Station Sigonella cominciò ad essere edificata, e dal 1959 fu operativa sotto il comando del primo ufficiale capo, Walter J. Frazier. La costruzione della base si rese necessaria quando la U.S. Navy di Hal Far, nell’isola di Malta, non aveva più lo spazio per ospitare gli aerei antisommergibile P2-Neptune. I provvedimenti stabiliti una volta per tutte all’interno del Trattato di Parigi furono in realtà ampiamente interpretati a seconda delle esigenze politiche e militari dei principali poli del potere euro-americano. Eppure le sezioni II, III, IV e V del Trattato, che riguardano le limitazioni delle forze armate italiane, non lasciavano spazio ad equivoci. Nel 4 Aprile del 1949 l’Italia aderiva al Patto Atlantico e le potenze occidentali composte da Francia, USA e Regno Unito, due anni dopo, derogarono di comune accordo il Trattato firmato da De Gasperi, consentendo allo Stato italiano di tornare ad impiantare basi militari sul territorio siciliano, ma sotto la supervisione della NATO. In altre parole l’Italia divenne una base atlantista e la Sicilia la sua rampa di decollo sul Mediterraneo, e ciò impedì agli italiani di sfruttare la naturale posizione strategica della Trinacria, poiché la relazionalità con gli altri paesi mediterranei veniva definitivamente ostacolata e contemporaneamente svaniva la capacità di Ad oggi l’Italia, che vede sviluppo di un’economia equilibrata. Invece gli impiantate più di cento basi uomini di Washington sfruttarono la posizione americane nel proprio terstrategica della Sicilia per tenere sotto controllo ritorio, non possiede una vera i paesi del Medio Oriente e dell’URSS. e propria dottrina geopolitica Ad oggi l’Italia, che vede impiantate più di a causa della sua appartenenza cento basi americane nel proprio territorio, non alla sfera d’influenza statupossiede una vera e propria dottrina geopolitica nitense... a causa della sua appartenenza alla sfera d’influenza statunitense, per non parlare della scarna cultura geopolitica delle classi dirigenti, o dell’identità nazionale praticamente assente. Che lo Stato italiano non goda pienamente della sua legittima sovranità è solo uno dei sintomi dell’influenza del potere esercitato dagli USA e ciò, unitamente all’ambigua ideologia della costituzione italiana, la quale dichiara che il popolo è sovrano, si ripercuote ampiamente sulla politica e sull’economia interne. Infatti la sovranità del popolo non rappresenta un soggetto politico strutturalmente definito come lo è lo Stato. Ma in Italia si è piuttosto seguita la regola aurea del “realismo collaborazionista o claudicante”, ovvero si è rinunciato per imposizioni esterne e indeterminatezze interne alla direzione del proprio futuro. In tal modo l’Italia è imbastita all’asservimento passivo, e la sua libera volontà e la sua espressione non si concretizzano oltre quei confini ben definiti e pericolosi da oltrepassare, ma al loro interno, relativizzando il concetto stesso di libertà. Ostacolati sono il progresso, le decisioni strategiche in termini di energia, la realizzazione di grandi infrastrutture e le politiche nazionali di contrasto alla criminalità organizzata. Le tematiche socio-politiche, economiche e idealistiche derivate dai grandi rivolgimenti politici degli anni ‘40, all’epoca, rappresentarono un problema del tutto nuovo che andava compreso e che doveva ancora articolarsi nei suoi possibili e futuri sviluppi; ogni schieramento politico poteva agire e quindi plasmare come un vero e proprio demiurgo, limitato dai soli due grandi cardini euro-statunitensi e sovietici, la forma del proprio governo e dello Stato. Oggi, in cui settant’anni di storia hanno avuto il loro seguito e la bipolarità sovietico-statunitense ha cessato di esistere, gli USA hanno stabilito la loro egemonia sul predominio finanziario per mezzo della nuova economia basata sul rapporto petrolio/dollaro. Sempre gli USA sono riusciti a creare una forte industria culturale, definita soft power, che opera nelle menti dei popoli attirandoli a sé. Di conseguenza un potere egemone, distante dalle società più disparate sia geograficamente sia culturalmente,
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una volta che si è trasfigurato nell’unica sorgente di simboli, rischia di cancellare la storicità delle lontane popolazioni e con essa la tradizione, mettendo a repentaglio il significato dell’esistenza dell’uomo sulla terra. Il progresso positivo raggiunto dalla post-modernità rischia dunque di sfociare in una forma di nichilismo molto pericoloso per l’intera umanità, la quale, smarrendo la propria identità, potrebbe trovare enormi difficoltà ad entrare in armonia con la propria realtà e con la comunità. Oggi, in cui il dibattito intorno alle questioni geopolitiche potrebbe essersi tramutato in un mero meccanicismo, dal momento che il potere è tutto concentrato nelle mani di un’unica autorità, parrebbe non esservi più alcuna possibilità di passare dalla potenza all’atto senza il rischio di scatenare un terzo conflitto mondiale. Il dibattito assumerebbe pertanto la sola sembianza del dibattito, e resterebbe dunque svuotato da ogni possibile significato; in tal modo esso offrirebbe l’illusoria sensazione che i cambiamenti possano avvenire, mentre ciò che accade realmente è il quotidiano avvicendarsi dei bisogni umani all’interno di un mondo ripiegato su sé stesso, inclinato, cioè, verso quell’unico polo che non permette la spartizione equa del potere e dal quale emanerebbe ogni forma di competenza sia in campo politico che culturale. La vera soluzione sembra invece presentarsi dall’esterno con l’assestarsi della nuova disposizione multipolare globale, in particolar modo con la riaffermazione economica della Russia e della Cina, stati che potrebbero dar valore anche alla posizione geograficamente strategica dell’Italia e che potrebbero irrorarla di nuova linfa. A rendere difficile il divincolarsi dalle brame occidentali della penisola è anche la crisi dell’identità nazionale italiana, la quale rappresenta un fenomeno ben
complesso che risale alla non riuscita combinazione delle ideologie nazionali nucleari. Con la fine della guerra fredda il NAS Sigonella ha dovuto cambiare che vigevano in modo frastagliato e confuso ancor prima dell’unificazione e nettamente missione, fatto che ebbe ripercussioni sull’organizzazione del dell’edificazione dello Stato italiano. Ogni ideologia cattolica, monarchica, personale interno. Ad esempio fu sciolto lo squadrone elicotteri HC-4, furono laico-massonica, socialista, liberale era la tessera di un puzzle, ma non del chiusi molti reparti antisom e furono troncate le attività nel distaccamento medesimo, e tentare di farle coincidere entro un disegno unitario richiedeva di Pachino RTS (il Target Radar Site), vi fu la partenza di molti Seabees e oltre che uno sforzo fisico, sicuramente una buona dose di la riduzione dell’attività dei bonificatori degli EODMU, immaginazione o di gusto per l’astrattismo. Se a ciò si aggiunge prossimi anche loro alla definitiva partenza. Contrariamente il trauma della perdita della guerra non è difficile cominciare a queste avvenute perdite oggi si stanno avendo innovazioni I cambiamenti riguardano ad immaginare su quali traballanti basi, ancora oggi, si appoggi dal punto di vista tecnologico che muterebbero la funzione anche la parte meridionale l’idea nazionale italiana. strategica delle basi americane dislocate nel Mediterraneo e dell’emisfero occidentale: della Sicilia in particolar modo. Si tratta del pattugliamento Brasile, Argentina e Venezuela Fu l’ex presidente americano Harry S. Truman, nel 1947, ad aver e della ricognizione a largo raggio con aerei senza piloti dimostrano la capacità di conproposto una dottrina geopolitica per gli italiani, approvata dal (droni – UAV, UCAV) controllati attraverso un sistema a solidare un’unità continentale teorico del contenimento dell’URSS, George F. Kennan, con connessione criptata con onde ad alta frequenza di tipo radio, sudamericana. la quale si arrogava il diritto di disporre a proprio vantaggio video e telematiche che prende il nome di MUOS (Mobile delle impostazioni geopolitiche del Mediterraneo allo scopo di User Objective System). difendere l’indipendenza e la sovranità dei “popoli liberi” dalle Ma questo è solo uno dei molti esempi, forse il più importante, minacce sia interne che esterne, e di aiutarli a resistere a qualsiasi che mostra come l’espansionismo imperiale americano si forma di assoggettamento da parte delle minoranze armate, perpetui e si evolva tecnologicamente e che in nome della scaturigini dell’asse sovietico. La Sicilia, base madre americana, sicurezza indirizza l’Italia verso la rinuncia delle sue naturali per operare in funzione della nuova dottrina, nel corso degli anni ha subito direttrici, costituite dalla posizione geografica favorevole che ben comunica delle implementazioni, sono stati aggiunti nuovi impianti per il controllo e con l’area adriatico-balcanico-danubiana, impedendo il consolidamento di per la logistica, come ad esempio il terminale petrolifero di Siracusa, che un’economia positiva per i popoli dell’area stessa. serve a rifornire le navi della VI Flotta americana, o la base missilistica di In realtà sono in atto grandi mutamenti sullo scenario mondiale multipolare, Comiso, che negli anni ‘80 poteva ospitare 112 missili Cruise con testate come già accennato, determinati in particolar modo dai così chiamati BRICS,
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nuove potenze in continua ascesa economica che potrebbero esaltare la funzione strategica dell’Italia, crocevia tra Occidente ed Oriente. L’America, che sembra aver compreso questi movimenti interni, non tarda a perlustrare e appostarsi con le portaerei nei punti nevralgici del Mediterraneo, occupa ed attacca l’Afghanistan, l’Iraq o la Libia, e pone gli occhi sull’Iran e la Siria, e non consente, con rigida imposizione, alcun mutamento esterno al proprio disegno politico e militare. I cambiamenti riguardano anche la parte meridionale dell’emisfero occidentale: Brasile, Argentina e Venezuela dimostrano la capacità di consolidare un’unità continentale sudamericana. Sottratti agli Stati Uniti Ankara e Tel Aviv, due dei loro avamposti, vi sarebbe un ulteriore progresso nel disegno geopolitico eurasiatico. Se l’Italia volesse realmente emanciparsi dalla tutela nordamericana dovrebbe rivolgersi ai nuovi poli del potere emergenti in tutto il mondo, almeno per rinegoziare il proprio ruolo in seno all’Alleanza e convertire le basi presidiate dalla NATO in basi utili alla sicurezza del Mediterraneo. In tale “exit strategy” l’Italia troverebbe sostegno in Damasco, Teheran e Mosca.
FONTI:
A. www.degasperi.net B.
Eurasia – Rivista di studi geopolitici a. Alessandro Lattanzio, "La Sicilia diventa sempre più importante per la strategia USA" b. Tiberio Graziani "La geopolitica nell'Italia Repubbli cana" c. Alessandro Lattanzio "La Sicilia, da Parigi a Parigi"
C. www.globalsecurity.org D. www.public.navy.mil/spawar/Pages/default.aspx
DALL’EUROPA COME IDENTITÀ ALL’EUROPA DEL VUOTO GEOPOLITICO
S
e volessimo decrivere la storia dell’Europa, dalla caduta dell’Impero Romano fino ai giorni nostri, non potremmo non notare che il leit motiv che ha guidato, anche se con sfumature diverse, le ambizioni politiche di ogni entità statale formatasi sul suo suolo, sin dai tempi dell’Impero Carolingio, sia stato quello di definire una necessaria unità politica. Il sogno di una unità europea infatti, matura nei confusi secoli di decadenza dell’Impero d’Occidente; esso fu portato avanti dalla Chiesa di Roma che raccolse l’eredità e l’autorevolezza politica degli imperatori romanooccidentali. Dal V al IX secolo l’intera Europa attraversa una fase di grande instabilità Di Gianluca Vevoto politica dovute a forti ondate migratorie di popoli di stirpe germanica. Questa situazione portò ad una grave crisi economica ed al collasso delle vecchie strutture sociali che solo la Chiesa, grazie alla sua autorevolezza e alla sua forte influenza tra i vari strati sociali (soprattuto tra quelli meno abbienti), attenuò. In questa ottica possiamo quindi constatare che la Chiesa di Roma rappresentò un solido punto di riferimento in quei secoli di transizione che videro la nascita della moderna civiltà europea. Essa assunse anche un ruolo fondamentale di supplenza politica e potè fornire la basi per le ripresa e la ristrutturazione politica del continente. Inoltre, non possiamo non negare il ruolo avuto dalla Chiesa nell’appoggiare l’ascesa di Carlo Magno e nel fornire, con la sua influenza, la base di legittimazione al re franco come successore dell’antico Impero dei Cesari, con la sua incoranazione ad Imperatore del Sacro Romano Impero. In quella lontana notte di Natale dell’800 sembrava prendere corpo il futuro di una unità nel segno di una sorta di continuità con il passato. Con il Sacro Romano Impero, infatti, si volle unire il passato, cioè la tradizione imperiale
23
romana, con il presente, cioè l’elemento germanico, saldato insieme dalla forza trascendente e metafisica della religione cristiana. In questo modo, si voleva costruire il futuro di un’area, un tempo fulcro di civiltà e attore centrale della storia antica, dilaniata da troppi secoli di instabilità politica e crisi economica. Il Sacro Romano Impero ebbe lunghissima vita. Il Sacro Romano Impero finì Esso doveva rappresentare un’unica patria per ufficialmente il 6 agosto 1806, genti diverse, anche se fornì una cornice entro con l’abdicazione di Francesco la quale i vari popoli d’europa svilupparono una II, dopo che fu costretto ad civiltà originale e variegata, frutto del fecondo accettare l’inglobamento della incrocio di popoli che si venne a determinare maggior parte dell’Impero all’indomani della caduta dell’Impero Romano, il nella Confederazone del cui elemento fondamentale era il riconoscimento Reno creata da Napoleone nell’impianto politico della religione e cultura Bonaparte come satellite della cristiana. Francia. Durante i secoli si videro fiorire, intorno al costrutto imperiale, embrioni di stati nazionali e regionali, portatori di una loro peculiarità territoriale. Le varie peculiarità, dovute anche al forte mescolamento di popoli (che si ebbe fino alla fine del IX secolo), portò ad una civiltà nella quale convivevano più culture affini che, come in ogni struttura sociale, trovarono quelle sintesi che produssero nuove culture che, da romani, franchi, longobardi, visigoti ecc. hanno dato alla luce gli attuali popoli europei: gli italiani, i francesi, i tedeschi, gli spagnoli … Da allora la Storia d’Europa fu un continuo conflitto tra unità e diversita: tra la volonta Imperiale di affermare la propria autorità sull’intero continente e la volontà dei nascenti stati nazionali di affrancarsi da questa egemonia. Questa oscillazione tra unità e diversità ebbe il suo culmine durante la “guerra dei trent’anni” che termino con la Pace di Westfalia del 1648, dalla quale ha avuto orgine l’Europa moderna. Da quel momento in poi, gli stati nazionali divennero gli elementi cardini della politica europea, mentre l’Impero e soprattutto la Chiesa Cattolica di Roma, fino a quel momento il cuore pulsante della civiltà europea, persero il loro ruolo di centralità. Vogliamo soffermarci ora su questo aspetto. In questo fatto storico possiamo vedere come l’unità europea abbia perso la sua più grande occasione di diventare un attore geopolitico primario nel futuro. La sua mancata unità, la sua forte diversità, la possiamo far risalire a questo evento storico. In questo momento vediamo la frattura dell’Europa meditteranea da quella continentale, con quest’ultima che si avviava a diventare il centro dei nuovi equilibri geopolititi ed ecomici, mentre l’altra ad una fase di decadenza e di marginalizzazione. Con La Pace di Westfalia, l’intero sistema europeo subì un profondo riassetto. L’ambizione imperiale di vedere una Europa unita sotto un solo sovrano e sotto una sola fede (Cristiana Cattolica di Roma) fu definitvamente accantonata. Al posto del progetto di una unica entità politica e religiosa fu stabilito il pluralismo politico e religioso, con il riconoscimento della fede luterana, nonostante la ferma opposizione della Chiesa di Roma che in quel periodo cominciò il suo eclissamento come potenza internazionale riconosciuta. Westfalia segna la nascita degli stati nazionali europei, della sua diversificazione strutturale interna e del suo definitivo abbandono del sogno di unità nazionale. Nei secoli successivi ci furono altri tentativi di unità europea, più o meno legittimi: basti pensare a Napoleone Bonaparte oppure o ai tentativi del II e III Reich tedeschi, ma si trattava di imporre una egemonia di un paese sugli altri, e non di creare una vera unità spirituale, come invece sarebbe possibile considerare il Sacro Romano Impero.
L’Europa oggi e la Framania L’esigenza di una rinnovata unità europea nasce negli anni ‘50, su iniziativa dei tre maggiori paesi del continente (Francia, Germania e Italia). All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, il continente che per secoli era stato il soggetto politico mondiale per eccellenza si trovava in uno stadio di marginalizzazione politica, sia perchè si avviava verso una fase di decolonizzazione che avrebbe portato ad una perdita di mercati e di materie prime a basso costo e sia perchè si trovava dilaniato e diviso nei nuovi equilibri imposti dalla guerra fredda da parte delle potenza vincitrici della Seconda Guerra Mondiale (USA ed URSS). L’unita europea nella prima fase nasce con il nome di CEE (mercato comune europeo). Nonostante i padri1 dell’Europa probabilmente sognassero un’integrazione maggiore, la CEE, nata nel 1957, con il trattato di Roma firmato da Francia, Germania, Italia e Benelux, nacque con lo scopo sostanziale di mettere in comune risorse e mercati in modo da creare un spazio economico interdipendente che potesse: 1.
Contribuire in maniere forte al decollo dell’Economia Europea, prostrata dalle due guerre mondiali.
2.
Eliminare ogni forma di conflittualità tra i vari paesi europei grazie alle interdipendenze delle economie continentali.
Quindi, più che dalla riscoperta delle radici o di un destino comune, l’Europa nacque per necessità, per far fronte alle quali nessun paese aveva le capacità autonome. La nascita della CEE fu vista dai due maggiori attori geopolitici mondiali dell’epoca in maniera contrastata. Gli USA, nella cui sfera d’influenza entravano i paese CEE1 salutarono con favore l’iniziativa, sia perchè venivano sgravati dell’impegno economico del piano Marshall e sia perchè la CEE rappresentava un pedina fondamentale nella strategia di contenimento dell’espansionismo sovietico verso l’Europa. L’Unione Sovietica invece cercò di ostacolare il processo, usando soprattutto i contatti che aveva nei vari partiti comunisti occidentali, dato che una unione di stati europei, con economie sviluppate e fortemente integrate nella Nato, rappresentava una minaccia non di poco conto, soprattuto perchè impediva all’URSS un accesso facilitato al Mediterraneo (storico obiettivo dei russi fin dai tempi dello zarismo1), e quindi agli oceani. La Comunità Economica Europea nel corso degli anni crebbe fino ad inglobare quasi tutti i paesi dell’Europa Occidentale (eccetto Norvegia,
Islanda e la sempre neutrale Svizzera) e, ben presto, essa si cristalizzò attorno all’asse franco-tedesco: la cosidetta Framania. L’Italia, nonostante fosse la terza economia del continente, fu relegata in un ruolo minore che si è accentuato negli anni soprattuto con l’espansione dell’Europa verso est ed i Balcani, e anche a causa della sua instabilità politica e della conseguente mancanza di una linea estera precisa (che si barcamenava tra adesione acritica al blocco occidentale e tentativi di intesa con i paesi arabi della sponda sud del Mediterraneo2). A partire dagli anni ‘90 la comunità si espanse veso est inglobando anche alcuni paesi del ex blocco sovietico (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Ungheria e Bulgaria). L’espansione verso est, a cui ha corrisposto il completo disinteressamento verso l’area mediterranea, è dettata dalla profonda egemonia sull’Unione Europea della Framania, di cui la Germania è ormai socio di maggioranza. L’espansionismo verso est, ricorda le teorie delle aree d’influenza e delle panregioni continentali proprie della geopolitica di Haushofer. L’est europeo, ancora oggi, usando un termine non proprio appartenente al politicamente corretto, rappresenta il lebensraum tedesco e, nell’ottica attuale, non è inteso come spazio territoriale da colonizzare fisicamente, ma come spazio economico da dominare e organizzare secondo le esigenze delle multinazionli teutoniche. Nel 1992, con il Trattato di Maastricht, si voleva accelerare l’unione politica del vecchio continente, il cui primo passo doveva essere l’istituzione di una unione monetaria che avrebbe visto la nascita dell’Euro nel 1999 (e che invece entrò in circolazione solo nel 2002) e, successivamente, anche la nascita di una forza di difesa e di una politica estera comuni. A distanza di dieci anni possiamo vedere come tutte le speranze della costruzione di una Europa quale soggetto geopolitico siano state completamente disattese! Solo l’Unione Monetaria ha retto, anche se, nel momento più acuto della crisi, anch’essa è stata messa fortemente in discussione, tanto che è stata avanzata anche l’ipotesi di una creazione di due aree monetarie differenti: una meditteranea e l’altra nordica3 (con gli stessi ruoli stabiliti secoli addietro implicitamente con la Pace di Westfalia). Per quanto riguarda la politica estera comune e la politica difesa comune, i risultati sono alquanto deludenti e vogliamo citare due casi: 1.
Il mancato accordo per un seggio permanente nel consiglio di sicurezza dell’ONU all’Unione Europea.
2.
La Guerra in Libia.
Al consiglio di sicurezza dell’ONU siedono come membri permanenti due soli paesi europei, la Francia e la Gran Bretagna, frutto della loro vittoria dell’ultima guerra europea, laSeconda Guerra Mondiale. Entrambi i paesi fanno parte, anche se a due livelli diversi di partecipazione, dell’Unione Europea. Escludendo la Gran Bretagna che è storicamente quanto di più lontano possa esistere dall’essere un paese “spiritualmente” europeo1, la Francia invece di essere favorevole ad un seggio permanente per l’Unione Europea (che avrebbe contribuito finalmente alla nascita di quella poltica estera ancora vacante, fondamentale per la trasformazione dell’Europa in attore geopolitico
planetario), e ha sempre sostenuto la richiesta tedesca di un seggio permanente, giustificando questa sua azione in termini di consolidamento dell’Europa, spacciando in maniera quasi irritante gli interessi della Framania come l’interesse dell’intera Europa. Per quanto concerne la guerra in Libia invece, sembra essere tornati all’ ‘8001: ogni paese ha fatto la scelta che più conveniva ai propri interessi, tralasciando gli accordi per un’azione comune. La Francia, insieme alla Gran Bretagna, è intervenuta per riaffermare la sua egemonia nel Mediterraneo, la Germania si è completamente disinteressata dell’evento poiché considera il Mediterraneo lontano dai suoi interessi, mentre l’Italia, come al solito, ancora molto confusa sulle proprie priorità. si e si è distinta per uno scialbo tergiversare che si è conlcuso poi con la scelta controproducente del supporto al contingente Nato, buttando alle ortiche i pochi frutti positivi di una politica estera sempre più inconsistente. In linea teorica quindi, si parla di unità europea, ma quando questa unità deve essere palesata, esplodono i particolarismi dei vari paesi. In particolar modo, dai diversi esempi su citati, si evince che l’Europa è solo un paravento da usare nei momenti di difficoltà ma, nei momenti veramente cruciali, ci si libera di questo involucro e si continua la solita politica degli interessi nazionali mirante a perseguire obiettivi sul breve periodo.
dirigente, che in questi anni cruciali, invece di elaborare un progetto organico per il Paese, si è divisa in beghe di poco conto che vanno da un giustizialismo di facciata ad un secessionismo deleterio, e che hanno prostrato il paese, lasciandolo senza una strategia ed ambizioni. La sfida dei prossimi anni e quella della stabilità politica costruita su una classe dirigente che riesca ad andare oltre alle partigianerie elettorali. Solo cosi l’Italia può cominciare a contare davvero e ad essere presa sul serio sullo scenario internazionale, il che è ben diverso dal “rispetto internazionale” di questi giorni, rispetto che ci siamo guadagnati solo per aver sistemato gli uomini di fiducia della Banca Centrale Europea sul Ponte di Comando nazionale.
L’Italia e L’Europa L’Italia può essere considerata a pieno titolo come uno dei grandi paesi fondatori della CEE e, quindi, dell’Unione Europea. Negli anni è stata decisiva nella costruzione dell’edificio europeo, soprattutto per la sua forte capacità di mediatore tra le richieste contraddittorie dei grandi Stati e dei piccoli Stati che formano l’Unione. Nonostante questi indubbi successi l’Italia non ha un giusto peso e spessore nell’Europa, soprattutto se confrontata con gli altri due grandi paesi fondatori, Germania e Francia, che hanno consolidato l’Europa attorno allo zoccolo duro della Framania, lasciando al nostro paese il ruolo di elettrone fluttuante nel Mediterraneo. Dire che l’Italia non conti niente in Europa è falso, dire che non ha una poltica estera precisa in grado di parlare senza inibizione del cosiddetto “interesse nazionale” (parola che in altri paesi si pronuncia senza alcun tabù), è vero! Vorrei riportare una frase del presidente Francesco Cossiga il quale ha definito la politica italiana in questo modo: “La nostra poltica militare era quella della Nato, la nostra poltica economica era quella della Comunità Europea, la nostra politica ideologica era quella della Chiesa.” In pratica, l’Italia ha delegato molto, salvo prendersi qualche piccola libertà ogni tanto (vedi l’episodio di Sigonella) ma, nei fatti, ha sempre cercato di far coincidere il proprio interesse con quello delle entità sovranazionali, come nel caso dell’Unione Europea. Questo atteggiamento di certo non è condiviso dalla maggior parte dei nostri partner europei. A tal proposito riporto una frase del presidente polacco Kaczynski per il quale in Europa:
NOTE 1.
Il Sacro Romano Impero finì ufficialmente il 6 agosto 1806, con l'abdicazione di Francesco II, dopo che fu costretto ad accettare l'inglobamento della mag gior parte dell'Impero nella Confederazone del Reno creata da Napoleone Bonaparte come satellite della Francia.
2.
Il tedesco Adenauer, il francese Schumann e l'italiano Alcide de Gasperi.
3.
Nonostane la Francia, abbia sempre cercato di mantenere una sua autonomia, soprattutto per merito del Generale Charles De Gaulle.
4.
In lineaa con le teorie di MacKinder che ha profondamente influenzata l'azione politica degli Stati Uniti soprattutto durante la guerra fredda.
5.
Vedi “Le Due Sicilie e la Guerra di Crimea – Parte II” di Angelo D’Ambra, su questo numero (Nomos – Bollettino di studi e analisi, IV).
6.
All'epoca nelle cancelleliere europee si diceva che l'Italia avesse “la moglie americana, ma l'amante araba”.
7.
Limes n.6, 2011 “La guerra dell'Euro”: articolo “Cosa Succederebbe se l'Italia tornasse alla lira”.
8.
L'influenza del Sacro Romano Impero nella costituzione dello stato Inglese è stata molto trascurabile.
9.
Per non parlare della condotta dei paesi europei durante la Guerra del 1999 contro la Serbia.
10.
Tratto da Limes n.2 del 2006 “Esiste l'Italia?”, che a sua volta riprende l'articolo L.Kaczynski “Le traité européean n'a aucunce chance d'etre adopté chez nous”, Le Figaro 24/02/2006. Kaczynski morì nel tragico incidente aereo di Smolensk il 10 Aprile 2010, mentre ricopriva l'incarico di presidente della repubblica polacca.
“Bisogna tenere conto della realtà, cioè della differenza tra i paesi membri per quel che concerne sia i livelli di sviluppo sia le tradizioni e le aspettative. Ciò che interessa i polacchi e ciò che accadrà alla Polonia e non il futuro dell’Unione nel suo complesso.” Questa frase, detta ad alta voce da Kaczynski, potrebbe essere tranquillamente stata pensata da altri statisti profondamente “europeisti”, Per non parlare della condotta come la Merkel e Sarkozy. Quindi possiamo dei paesi europei durante la capire come possa essere lontana la costituzione Guerra del 1999 contro la di una Europa davvero integrata, e come non Serbia. si deva farsi suggestionare da considerazioni idealistiche nel momento in cui ci confrontiamo con i nostri partner europei. L’origine della debolezza italiana ha visto la sua nascita con la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, che ha frustrato le nostre ambizioni di grande potenza. Da allora in poi l’Italia ha delegato sempre più quote di sovranità a vari organismi internazionali, soprattutto in tema di difesa militare, riconescendosi a pieno nella citazione del pensatore Julius Evola, tratta da “Gli Uomini e le Rovine”: “L’Italia è tornata a essere sé stessa, cioè ad essere l’Italietta dei mandolini, dei musei, di “Sole Mio” e dell’industria turistica, essendo stata “liberata”: liberata dal duro compito di darsi una forma.” Questa frase, che ben descrive lo stereotipo italiano più duro a morire, prima che essere riconosciuta dagli altri, è riconosciuta innanzitutto anche da noi stessi. Su queste basi come possiamo mai pensare di poter contare qualcosa se prima non sappiamo quali possono essere i nostri veri interessi? L’Europa dei Popoli, della quale l’Italia fa parte, deve prendere atto dell’empasse che regna a Bruxelles e che l’unità politica europea stia diventando una chimera, ribadita solo da buoni propositi ma poi sistematicamente smentità dai fatti! La situazione va salvata in calcio d’angolo: l’interazione economica tra i paesei UE è necessaria per competere sui grossi mercati e relazionarsi in maniera vincente a quelle strutture in ascesa, come i paesi BRICS, e deve essere vista oltremodo come un mezzo importante della nostra poltica estera. L’Italia, nello specifico, deve saper individuare i suoi interessi, considerando il suo spazio geopolitico naturale: l’area del Meditteraneo, dei Balcani, ed il loro raccordo con la Mittleuropa. Anche le partecipazioni alle varie iniziative di peacekeeping deve essere centellinata, soprattutto in periodo di crisi economica come quello che stiamo attraversando in questi ultimi anni, in base i nostri interessi che, più che essere in Asia Centrale, debbono essere ricercati sulla sponda Sud del Mediterraneo e, soprattutto, non devono essere imposti da altri! In quest’ottica sarebbe utile considerare la creazione di un Ministero per le Politiche Mediterranee, oltre a quello per le Poltiche Comunitarie, visto che già eleggiamo dei nostri rappresentanti al Parlamento Europeo che dovrebbero tutelare i nostri interessi in seno all’Unione. Inoltre dobbiamo riflettere seriamente sulla qualità della nostra classe
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FONTI:
A.
Adriano Prosperi, Paolo Viola “Dalla Rivoluzione Inglese alla Rivoluzione Francese”, Edizioni Mondadori.
B.
Pamela Preschern “La riforma del consiglio di sicurezza dagli anni 90 ad oggi: problemi e prospettive” documento IAI reperibile all'url: www.iai.it/pdf/DocIAI/iai0911.pdf
TECNOLOGIE
OPERE DI ALTA INGEGNERIA E INTEGRAZIONE SOVRANAZIONALE Di Carmine Giangregorio
C
on lo sviluppo tecnologico, ed in particolar modo nella storia recente, si sono andate a presentare situazioni in cui opere di ingegneria molto complesse superano gli scopi di un singolo stato. Ci si è, così, ritrovati a pensare in un’ottica ben diversa, dove non si guarda più al benessere e all’utilità di uno stato isolato, ma ai benefici che il tutto può portare a livello sovranazionale, se non intercontinentale. Sono sotto gli occhi di tutti le opere di importanza civile che hanno lo scopo di permettere collegamenti tra più stati, scambi di risorse, di informazioni, e via discorrendo. A tal proposito, si potrebbero citare i grandi trafori stradali e ferroviari, gli oleodotti e i gasdotti, per arrivare ai moderni cavi sottomarini per le telecomunicazioni. Ciò che cambia, infatti, non è cosa si va a dover scambiare o collegare, ma il modo in cui questo viene fatto. Non si ha più un canale condiviso (si pensi al trasporto di petrolio via mare o via terra con autocisterne), ma un canale specifico e realizzato unicamente per quello scopo. Questo rende l’opera come un blocco unico, non più scollegato in diversi settori, ma un qualcosa da progettare e pianificare nei minimi dettagli, con costi elevatissimi (a titolo di esempio la progettazione e la costruzione di un oleodotto può costare decine di miliardi di euro). La realizzazione (e la conseguente manutenzione) di tali opere richiede, naturalmente, uno sforzo congiunto da parte più stati, enti o imprese private; e a tal proposito, è facile immaginare come non sia sempre facile giungere ad accordi immediati. Si pensi, tra l’altro, ad opere che non hanno scopo unicamente civile, ma hanno anche possibili ripercussioni sulla politica estera degli stati attraversati. Finché ci si riferisce unicamente a situazioni in cui vi sono da collegare una coppia di stati, ad esempio per valichi di frontiera (civili e militari), o brevi attraversamenti, ciò non sempre va a creare grandi problemi a livello internazionale, ed in questi casi le alleanze militari già in atto sono sufficienti a rendere possibile la pianificazione e la realizzazione dell’opera senza doversi preoccupare d’altro. Al contrario, con opere di portata molto più vasta,
si vengono a creare situazioni non facilmente gestibili. L’esempio più celebre, come già visto, è quello degli oleodotti, che si estendono anche per migliaia di chilometri attraversando più stati diversi, e ponendo ognuno di essi in condizione di avere il controllo dell’intero troncone da cui sono attraversati. Belligeranze interne, o alleanze improvvisamente annullate, possono mettere a rischio l’intera struttura, per il fatto stesso che non esiste modo di poter controllare direttamente ogni singolo chilometro dell’opera. Naturalmente, l’oleodotto è solo un esempio, e questo discorso si potrebbe estendere a molte altre forme di comunicazione di questo tipo, per arrivare anche alle stesse autostrade definite come “corridoi europei”, che potrebbero essere improvvisamente chiuse o il loro traffico limitato, in tempi di guerra, bloccando di fatto l’attraversamento di interi stati. Ciò fa pensare a quanto resti importante il controllo del territorio da parte di ogni nazione e, conseguentemente, l’importanza di una qualsiasi alleanza, o singolo accordo, per la regolamentazione dello stesso territorio. Si ricordano i casi storici dove si sono resi necessari ponti aerei o navali per arrivare in territori rimasti isolati o, in epoca contemporanea, la difficoltà ad attraversare paesi con situazioni di tensione al loro interno (si pensi all’est Europa, ad esempio). Si tratta, sostanzialmente, di evitare sia l’isolamento, sia la possibilità di lasciare il controllo nelle mani di un unico paese. La trattazione di ogni singolo caso esula dagli scopi di questo articolo, anche per il fatto stesso che è difficile fornire una lista completa, soprattutto per i casi più recenti. È facile, comunque, ricercare casi di tensioni geopolitiche relative al controllo di territori, o di progetti bloccati per anni per mancanza di accordi tra le parti.
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LA BATTAGLIA DI LEPANTO ULTIMA RISCOSSA EUROPEA
Di Pasqualina Nives Gnerre
La Battaglia di Lepanto, che vide lo scontro nel 7 ottobre dell’anno del Signore 1571 tra la flotta ottomana e la Lega Santa, rappresenta indubbiamente uno degli ultimi tentativi di consolidare uno schieramento paneuropeo, in questo caso in un blocco militare coeso dalla necessità di difendersi da un nemico esterno. Esito della crisi militare per la quale la città veneziana di Cipro, Famagosta, era sotto assedio da parte dell’esercito ottomano, la battaglia portò alla vittoria la fronte Europea, nella quale si scorsero i barlumi di quello che fu un grande impero il cui potere, a causa delle divisione religiose e territoriali, volgeva inesorabilmente al declino.
Pio V e la Lega Santa 20 giugno 1571: il Santo Padre Pio V benedì il sacro vessillo raffigurante Gesù crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo, con la scritta in lettere d’oro “In hoc signo vinces”, consegnandolo all’ammiraglio Marcantonio Colonna. Quest’ultimo, quattro giorni dopo, salpò da Gaeta per congiungersi con il resto della flotta cristiana a Messina. La Lega Santa, costituita il 25 maggio dello stesso anno, si mobilitò in difesa della Cristianità assediata a Cipro. Pio V, però, era cosciente che la Cristianità era minacciata davvero non dall’esterno, ma dall’interno: già al tempo un forte processo di decadenza degradava la civiltà Europea, di cui il pontefice si fece strenuo restauratore. L’obiettivo del Papa era, infatti, unire nuovamente le forze politiche e militari della Cristianità, al tempo divise e frammentate, per poter saldamente difendere il continente dall’incombenza turca e ricostituire un nuovo e unito polo Europeo.
La battaglia Con la notizia della caduta di Famagosta, avvenuta nel mese di agosto, le forze militari della Lega Santa salparono il 16 settembre alla volta del golfo di Patrasso, intendendo intercettare la potente flotta ottomana. Era la domenica del 7 ottobre quando il giovanissimo don Juan d’Austria, valente condottiero e ammiraglio della flotta europea, fece schierare le navi dell’Alleanza in formazione serrata: era decisamente minima la distanza con la flotta ottomana.
La flotta turca constava circa 170-180 galere e 20-30 galeotte, a cui si aggiungeva un numero imprecisato di brigantini corsari e fuste. La forza combattente ammontava invece a 20-25.000 uomini. Gli ottomani, però, erano muniti di minore artiglieria rispetto alla flotta cristiana. Il comandante supremo era Müezzinzade Alì Pascià, schierato al centro della formazione turca, mentre all’ala destra era disposto l’ammiraglio Mehmet Shoraq, e all’ala sinistra Uluch Alì, un ammiraglio di origini calabresi convertitosi all’Islam. La flotta cristiana, invece, era forte di 204 galere e 6 galeazze, con 1.815 cannoni totali. La forza combattente ammontava a 36.000 uomini, comprendenti soldati, venturieri e marinai, tutti armati di archibugio. Il corno destro era comandato da Gianandrea Doria, mentre il corno sinistro da Agostino Barbarigo. L’inizio dello scontro avvenne quando le 6 galeazze veneziane, isolate volontariamente come esca, aprirono il fuoco. I Turchi, però, non tentarono l’abbordaggio e decisero di superarle, scagliando le proprie forze in uno scontro frontale contro la nave di Don Juan. Il loro obiettivo era, infatti, di uccidere il comandante della Lega Santa, per demoralizzare il nemico. Mentre gli scontri infuriavano nel corno sinistro della flotta cristiana, una grave mancanza di Gianandrea Doria, capo del corno destro, provocò diversi danni: nonostante avesse avuto l’ordine di difendere il fianco della flotta di Don Juan, puntò verso il mare aperto, spaccando il lato destro della flotta cristiana e lasciando aperto un varco. Il fianco destro della flotta di Don Juan fu così attaccato da Uluch Alì, provocando gravi perdite. Decisiva fu la morte del capo ottomano Müezzinzade Alì Pascià, sebbene Don Juan avesse ordinato di catturarlo vivo. Decapitato, la sua testa fu esposta sull’albero maestro dell’ammiraglia spagnola, contribuendo ad abbattere il morale degli avversari. Alle quattro del pomeriggio, infatti, le navi ottomane rimaste abbandonavano definitivamente il campo. La Lega Santa aveva vinto la battaglia.
La riconquista del Mediterraneo “Fuit homo missus a Deo cui nomen erat Johannes”. Furono queste le parole, riprese dalla Sacra Scrittura, che pronunciò il pontefice quando ricevette la notizia della vittoria, attribuendo grande importanza alla decisione presa in precedenza di affidare il comando della Lega Santa al valoroso Don Juan d’Austria. La battaglia di Lepanto, che fu la prima grande vittoria di un’armata cristiana contro l’Impero Ottomano, si mostrò come uno scontro decisivo per il controllo del mare: le forze ottomane, infatti, non avrebbero più minacciato gravemente le isole veneziane del Mar Mediterraneo e l’intera Europa. La vittoria fu accompagnata da solenni Te Deum di ringraziamento e dal vittorioso 7 ottobre 1571 la ricorrenza della battaglia fu consacrata, per volere di Pio V, alla Madonna della Vittoria, anche ricordata come la Madonna del Rosario. I cristiani, infatti, attribuirono il merito della vittoria alla protezione di Maria, che avevano invocato prima della battaglia. Il senato veneto affermò a tal punto: “Non il valore, non le armi, non i condottieri, ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori”.
STORIA DANTE ALIGHIERI E LA CRISI EUROPEA DELLA LOTTA PER LE INVESTITURE Di Marco Giorgi Negli anni prossimi al 1150 d.C., quando la lotta per le investiture movimentava la politica italiana ed europea, i poteri in lizza erano due: il Papa di Roma e l’Imperatore del Sacro Romano Impero. La questione essenzialmente era la seguente: la concessione dell’investitura imperiale dei regalia (i diritti pertinenti al regno o pubblici) agli ecclesiastici. L’Imperatore reclamava il diritto, quindi, di scegliere i vescovi-conte, privilegio richiesto anche dal Pontefice. La lotta fra Papato e Impero trova genesi nel 962, quando Ottone I di Sassonia si fa incoronare Imperatore dal pontefice Giovanni XII. Il “privilegium Othonis” fu siglato in un momento di difficoltà del Pontefice, il quale accettò, con questo documento, una condizione di inferiorità: l’elezione dei pontefici necessitava del consenso imperiale. Il fatto condusse ad una crisi che nel 1075 si acuì. Gregorio VII col suo Dictatus Papae ribadì con forza il diritto dello Stato Ecclesiastico di possedere la massima libertà politica. L’Italia per la sua posizione intermedia fra lo Stato della Chiesa e il fulcro dell’Impero si ritrovò in breve tempo ad essere teatro di feroci scontri sia miliDante Alighieri, figlio del suo tempo, si inserì nella contesa che dilaniava la sua tari che ideologici, anche se l’eziologia del nome degli città ed espose le sue teorie nell’opera del De Monarchia, un trattato in latino schieramenti è da ricercarsi in tutt’altro luogo. Erano diviso in tre libri nei quali espose l’apprezzabilità del potere imperiale detti infatti Guelfi coloro che appoggiavano il Papato, come garante della giustizia e la legittimità di un dominio universale. Ghibellini coloro i quali erano favorevoli all’Imperatore Infatti per il Sommo Poeta l’Imperatore, in accordo con la sapienza tedesco. I nomi derivano da due casate tedesche, Weltradizionale e con le Scritture, possedeva un potere derivato direttafren (italianizzato in Guelfi) e Waiblingen (Ghibellini), mente da Dio. che dopo la morte di Enrico V nel 1125 lottarono per il trono dell’Impero. I due cognomi non esprimono affatto condizioni ideologiche in sé, ma per gli italiani appoggiare una fazione piuttosto che un’altra aveva un significato politico preciso: mentre i Waiblingen Hohenstaufen non erano affatto disposti a tollerare l’ingerenza della Chiesa nella politica, i Welfren erano sensibili ad un avallo morale del Papato sulle questioni secolari. La vittoria spettò al casato degli Hohenstaufen: venne eletto Imperatore Federico I di Svevia. Nell’arco dell’XI secolo le città del nord Italia, bramose di liberarsi dai vincoli feudali della Germania, scelsero di appoggiare il Papa per ottenere l’indipedenza. Si può dire generalmente che divennero ghibelline quelle città che speravano in una vittoria imperiale per assicurarsi il posto che si erano conquistate, mentre optarono per lo schieramento guelfo quegli insediamenti che aspiravano all’indipendenza e ai privilegi comunali. Nel 1250 le lotte internazionali si espansero alle fazioni cittadine e alle famiglie aristocratiche. Aderire ai Ghibellini significò dunque aspirare ad un dominio universale, mentre i Guelfi erano gelosi delle proprie autonomie e vedevano il Papa come garante delle specifiche autonomie locali. A cavallo fra i secoli XII e XIII assistiamo al fenomeno delle Leghe politiche di parte Guelfa o Ghibellina; nelle città le fazioni espulse tentarono sempre di riconquistare il proprio ruolo o almeno le proprie case. Nella fine del 1200 lo schieramento ideologico si arricchì anche di pretese sociali: i Guelfi miravano a combattere le eresie, i ghibellini i privilegi del clero. Nel 1268 la parte Ghibellina entrò in crisi con la morte della dinastia Sveva, e i Guelfi ne approfittarono prendendo così le redini della politica italiana, appoggiati dal re di Napoli e ovviamente dal Pontefice. Ma il conflitto è tutt’altro che finito, perché in Toscana nacquero altre due fazioni all’interno della parte Guelfa, destinate a perdurare: i Bianchi e i Neri. Il tutto ha origine nella Pistoia del 1295 fra i Bianchi, che non escludevano un ritorno dell’Imperatore, e i Neri, papalini fino in fondo. Gli schieramenti nacquero all’interno della famiglia Cancellieri fra i figli di primo letto – “I Bianchi” perché più anziani – e quelli di seconde nozze, “i Neri”. I membri più litigiosi dei due gruppi vennero esiliati in Firenze, dove i Bianchi furono accolti dai Cerchi, mentre i Neri dai Donati. Ecco che anche a Firenze assistiamo ad un riassestamento ideologico. Dopo un inizio promettente per i Bianchi, favoriti dalla borghesia cittadina e dai nouveaux riches, i Neri presero il sopravvento grazie all’intromissione del re di Francia Filippo il Bello. Su sollecitazione papale il francese spedì un esercito a capo del quale designò il fratello Carlo di Valois. I francesi entrarono in città senza che i Bianchi opponessero resistenza: era l’anno 1301. Nell’anno successivo i Bianchi furono esiliati come di consuetudine, e fra loro vi era anche Dante, che ricopriva allora la carica di Priore. TNel trattato Dante espose la doppia natura dell’Uomo, diviso fra corruttibilità (corpo) e incorruttibilità (anima), e quindi fra felicità terrena e felicità ultraterrena: secondo l’Alighieri il Papa si sarebbe dovuto occupare di garantire la felicità ultraterrena, mentre all’Imperatore spettava di elargire la felicità terrena. Il primo libro (capitoli I-XVI) trattava essenzialmente della questione della felicità umana, della necessità dell’ufficio del potere imperiale e della perfezione che l’umanità conseguirebbe nel seguire i dettami divini. Sempre nel primo libro Dante affrontò il tema del libero arbitrio e del peccato: egli dimostrò che il bene è essere nell’Uno (richiamandosi alla tradizione platonica), e che il peccato è l’allontanarsi dall’Uno per gettarsi nel molteplice. Nell’ultimo capitolo del primo libro Dante esprisse l’idea secondo la quale l’unica Monarchia perfetta fu quella di Ottaviano Augusto, dal momento che il popolo sotto di lui visse un’era di pace. Il secondo libro invece (capitoli I-XI) trattava del ruolo dell’Impero Romano nella Storia, e di come questa sua autorità sulle genti fosse legittima. In particolare nell’ultima parte Dante asserì che Cristo, essendo nato sotto l’Impero Romano, ne confermò il diritto a governare il mondo. Infine nel terzo libro (capitoli I-XV) il Poeta, interrogandosi sulla questione dell’autorità imperiale, chiedendosi se essa derivi dal Pontefice o direttamente da Dio, concluse che
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il Pontefice non avesse affatto diritto ad un’autorità assoluta sull’Imperatore; egli dichiarò infatti che il potere imperiale derivava direttamente da Dio, quindi i due poteri, temporale e spirituale, erano indipendenti e sovrani, ed entrambi legittimi. Pur tuttavia l’Imperatore avrebbe dovuto essere subordinato al Papa in taluni aspetti, di natura dottrinale, così come la felicità terrena è subordinata a quella ultraterrena. “Cesare dunque si rivolga a Pietro con quel rispetto che un figlio primogenito deve al padre, affinché, irradiato dalla luce del padre, possa illuminare egli stesso con più efficacia il mondo.” Dante asserì con questo che, essendo il Pontefice il Vicario di Pietro sulla Terra, egli ha una legittima autorità spirituale in materia di fede sull’Imperatore, in accordo con quanto scritto nelle riflessioni politiche di San Tommaso. Il Sommo Poeta, con le argomentazioni che riprenderà poi nel Canto VI del Paradiso, prese le distanze da ogni schieramento che, nella sua travagliata epoca, divise il campo della civiltà Europea: nessuna legittimità temporale poteva essere legittima senza l’accordo con la verità della Rivelazione, così come l’autorità spirituale non avrebbe potuto negare i fondamenti provvidenziali, sacrali e metafisici che si incarnavano nell’Impero.
Gli imbarazzi di Francesco Giuseppe si sciolsero solo il 27 dicembre del 1855, quando le sorti del conflitto, caduta Sebastopoli l’8 settembre, erano ormai decise; quella dell’imperatore austriaco fu una scelta tardiva che ruppe indecorosamente la vecchia alleanza con la Cancelleria di San Pietroburgo in difesa dell’ordine assolutistico e che, al contempo, non permetteva al governo asburgico di intervenire al tavolo delle trattative di pace in una posizione tale da circoscrivere i piani dei vincitori. La guerra sconquassò così gli assetti continentali sanciti dal Congresso di Vienna, ridimensionò di gran lunga l’influenza internazionale degli imperi delle aquile bicipiti e rovesciò l’isolamento francese in una temporanea quanto labile convergenza con Londra che rifletteva la sua ombra di inquietudini sulla penisola italiana. Il giudizio di Cavour sul Congresso ci appare senz’altro obiettivo nel valutare quale unico risultato incassato dal governo sabaudo, alla stregua di un impegno militare drammatico, la condanna del governo delle Due Sicilie: “Il risultato della seduta di ieri è ben lungi dall’essere soddisfacente. Non abbiamo ottenuto alcun risultato pratico. Tuttavia, due fatti restano, che non sono senza importanza: 1) la condanna inferta alla condotta del re di Napoli dalla Francia e dall’Inghilterra dinnanzi all’Europa riunita; 2) la condanna inferta dall’Inghilterra al governo clericale in termini tanto precisi ed energici, che il più caldo patriota italiano non avrebbe potuto sognar di meglio. Infine, un’ultima considerazione deve diminuire i rimpianti che la sterilità della nostra azione ci costringe a provare. Noi non potevamo sperare da un Congresso, dove l’Austria ha recitato la parte di mediatrice, che sortisse qualcosa di realmente utile per l’Italia, un rimedio efficace ai mali che la affliggono”. Fu un esito che avrebbe pesato molto sull’evoluzione degli assetti politici della Penisola. Ferdinando II aveva declinato l’invito a fornire 40.000 uomini e tre navi da guerra agli Inglesi ed escluso anche l’aperta alleanza con lo Zar per timore che la Gran Bretagna potesse scatenare delle sollevazioni in Sicilia per rappresaglia; tuttavia l’unico governo che aveva continuato a tessere una fitta rete di relazioni diplomatiche e commerciali con la Russia era stato il suo. La neutralità delle Due Sicilie durante la guerra si palesò essere solo apparente, infatti il traffico di materiali strategici verso Francia e Inghilterra arenatosi col pretesto della non belligeranza, continuò, invece, immutato verso la Russia e si rafforzò con l’adesione di Napoli al Trattato di navigazione stipulato il 22 luglio del 1854 tra Washington e San Pietroburgo. La corte napoletana era consapevole del fatto che una più robusta presenza russa nel Mediterraneo avrebbe ridotto le minacce inglesi sulla Sicilia e amplificato gli affari dei porti del Regno, fondamentale viatico per il commercio del grano di Odessa. Ferdinando II finì subissato dalle note di protesta francesi e Lord Palmerston denunciò alla Camera dei Comuni che “il Regno borbonico aveva dimostrato sfrontatamente la sua ostilità alla Francia e all’Inghilterra vietando l’esportazione di merci che il suo stato di neutrale gli avrebbe consentito tranquillamente di continuare a trafficare”. L’escalation di polemiche e lamentele costò il congedo, a lungo contrastato, del Direttore di Polizia Orazio Mazza, accusato di aver offeso il segretario della Legazione inglese George Fagan, e l’ostilità manifesta di Francia e Inghilterra. Al Congresso di Parigi le due potenze tennero dunque ben conto delle scelte operate dal Regno delle Due Sicilie e, sollecitate dalla Legazione piemontese, avviarono una serrata manovra diplomatica guidata dal parigino Temple per costringere Ferdinando II a concedere una riforma dell’ordinamento assolutistico e la liberazione dei rivoluzionari quarantottini. Dal canto suo il sovrano napoletano rispose che ogni assenso “alle condizioni fatte dal Governo francese sarebbe un atto di debolezza compiuto a danno dell’indipendenza della mia corona e a vantaggio del partito rivoluzionario”. Il Foreign Secretary senza mezze misure scrisse che “se il principio del non intervento negli affari degli Stati sovrani costituisce un principio degno di rispetto per l’intera comunità internazionale, tuttavia l’eccezione a questa regola, in alcuni casi determinati, rappresenta un dovere e un diritto”. Il dado era tratto: la marina inglese pianificò un intervento come quello del 1836, Ferdinando II senza tirarsi indietro provvide a disporre la mobilitazione della sua flotta poi, scongiurata l’evenienza di un nuovo conflitto, l’ostilità dei vincitori si espresse col ritiro degli ambasciatori. Nel frattempo Russia e Due Sicilie ampliarono i loro rapporti commerciali con la convenzione del 3 ottobre. “Il Borbone – commenta Hubner – uscì da questa vicenda diplomatica con accresciuto prestigio. Come scrive l’Omodeo, per aver con fierezza difeso l’indipendenza del suo regno, riuscì quasi simpatico ai liberali antimurattiani”.
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FONTI "Le due Sicilie":
A.
F. Valsecchi, Il problema italiano nella politica europea (1849-1859) in Atti del XXXV Congresso di storia del Risorgimento, Roma 1957
B.
E. Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee 1830-1861, Catanzaro 2012
C.
J.A. Von Hubner, Nove anni di ricordi di un ambasciatore austriaco a Parigi sotto il Secondo Impero, Milano 1944
D.
L. Del Pozzo, Cronaca civile e militare delle Due Sicilie sotto la dinastia borbonica, Napoli 1857, ristampa Battipaglia 2011
LE DUE SICILIE E LA GUERRA DI CRIMEA - II PARTE Di Angelo D’Ambra
GEOFILOSOFIA DELL’EUROPA Di Andrea Virga
L
a geofilosofia è una branca del pensiero filosofico che assume la Terra, e più in generale gli spazi e i luoghi, come oggetto di filosofia. Questo termine è piuttosto recente, poiché datato al secolo scorso, ma riflessioni di questo tipo si trovano anche in opere ben precedenti. In Italia, un vero e proprio gruppo geofilosofico1 è al momento animato da Luisa Bonesio e Caterina Resta. Lo stesso tema di quest’articolo è già stato affrontato da Massimo Cacciari nel suo omonimo libro2. Qui adotteremo una prospettiva diversa, cercando di tracciare un quadro generale ma conciso. Prima di tutto, occorre definire bene cosa sia l’Europa, di contro alle varie interpretazioni occidentaliste, che vedono un unico Occidente europeo dipanarsi dalle Guerre Persiane alle Guerre del Golfo, con una translatio imperii da Atene a Roma, a Londra, a Washington. Il termine Europa deriva probabilmente dal fenicio, ed è usato già da Erodoto per definire la massa di terra a nord del Mediterraneo, del Mar Nero e del Caspio. Il fatto è che, però, per tutta l’antichità, il continente europeo non costituisce affatto un’unità geopolitica e culturale, ma resta segnato dalla divisione tra il Mediterraneo, sede della civiltà classica, e gli ampi spazi selvaggi del nord, abitati da tribù di Celti, Germani, Balti, Finni e Slavi. La classicità, la Kultur della polis, tra cui emergeranno di volta in volta metropoli come Tiro, Atene, Cartagine, Roma, Sparta, Alessandria, Antiochia, forma un tutt’uno su entrambe le sponde del mare interno, mentre all’esterno risiedono i “barbari”, ossia coloro esclusi dalla koiné linguistica ellenica, siano essi Parti o Germani, Arabi o Sciti. Questa unità permane per tutto il periodo tardo antico: anche i primi invasori barbarici, come i Goti di Teodorico, infatti, si romanizzano abbastanza facilmente. Il momento di svolta avviene tra la fine del VI e la metà del VII secolo d.C., con la frammentazione dell’Ecumene classico e la separazione violenta delle due sponde del Mediterraneo. La rapida avanzata dell’Islam, sotto i primi Califfi, porta alla nascita di una nuova Kultur islamica nei territori che vanno dalla Spagna all’Egitto, e dal Levante all’Asia Centrale. Più o meno contemporaneamente, la predominanza dei regni barbarici, e l’espansione del cristianesimo verso nord, danno origine ad una Kultur europea, del tutto nuova, fondata sulla sintesi tra l’eredità classica, le culture tribali nordeuropee e il cristianesimo. Il Mediterraneo è divenuto così non più area centrale, ma periferia, al di là del quale, la civiltà islamica, gemella dell’Europa, date le comuni radici classica e abramitica, ha storicamente rappresentato quasi un alter ego, con cui sono state condotte terribili guerre, ma anche scambi commerciali, culturali e diplomatici. Il nucleo dell’Europa, termine che ricorre spesso negli scritti d’epoca carolingia, che nell’800 coincide con i due imperi romani, nel giro di due secoli si espanse rapidamente, con la conversione religiosoculturale e inclusione di Scandinavi, Slavi, Ungari, Bulgari. Ad est, il confine con il mondo delle grandi pianure e steppe eurasiatiche è ancora più labile, ma si può identificare con il fiume Volga, piuttosto che con gli Urali. Lo stesso mondo russo, per lunghi secoli, fino ad Ivan il Terribile, ne resta confinato al di qua, trattenuto dai popoli extraeuropei del Caucaso e della Siberia. La conquista dei grandi spazi eurasiatici da parte dei Russi avviene, infatti, in contemporanea con le grandi esplorazioni e colonizzazioni transatlantiche. Al suo interno, l’Europa resta segnata dall’importante divisione tra Occidente e Oriente, che riprende quella presente nel mondo classico, tra lingua latina e lingua greca, ed è resa più profonda dallo scisma tra cattolici ed ortodossi. In ogni caso, questa scissione resta all’interno della sintesi poco sopra descritta, e non inficia l’unità europea, non più di quanto lo faccia la presenza di varie aree culturali, da quella oceanica legata ai mari nordici, a quella marittima mediterranea, a quella terrestre mitteleuropea e pangermanica, a quella delle grandi pianure orientali. Anzi, questa dialettica interna ha stimolato il conflitto per i ridotti spazi europei, accelerando lo sviluppo tecnologico e l’esplorazione geografica, alla ricerca di risorse nuove3. Questa competizione e l’accesso ai grandi spazi atlantici ed eurasiatici sono quindi alla base dell’espansione globale che ha portato gli Europei a stabilire il proprio dominio, un secolo fa, sulla maggior parte delle terre emerse e dei mari, e a fondare una Magna Europa nelle Americhe, in Siberia e in Oceania. Alla metafisica del limite della classicità conclusa nel suo Mediterraneo, si è così sostituita la metafisica dell’illimitatezza globale4, alla base del capitalismo, della scienza moderna, della globalizzazione e dell’ideologia faustiana5 della crescita infinita. Questo fenomeno, che nel bene e nel male ha plasmato l’intera modernità, è stato accentuato dalla vittoria, nel conflitto interno, della tendenza talassocratica atlantica sulle forze terrestri mitteleuropee ed eurasiatiche6, con una rottura dell’equilibrio geofilosofico, che potrà essere ricomposta solo da un nuovo ordine geopolitico multipolare.
NOTE: 1.
Cfr. http://www.geofilosofia.it/.
2.
M. Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 2003.
3.
Cfr. J. Diamond, Armi, acciaio e malattie, Einaudi, Torino 2006.
4.
Cfr. D. Fusaro, Minima mercatalia, Bompiani, Milano 2012.
5.
Cfr. O.Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 2008.
6.
Cfr. C. Schmitt, Il nomos della terra, Adelphi, Milano 1991.
PER UNA RINASCITA POLITICA DELL’EUROPA Sul discorso di Benedetto XVI al Parlamento tedesco
Di Giovanni Covino
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l 22 settembre del 2011, Benedetto XVI, durante il suo viaggio apostolico in Germania, tenne un discorso al Parlamento tedesco di grande spessore filosofico, ricco di preziosi suggerimenti per una seria riflessione sulla politica, soprattutto in questi tempi dove si è sempre più soggetti alle leggi della finanza e la politica stessa ha perduto il suo vero fine, la sua ragion d’essere. Il Romano Pontefice, con un riferimento scritturistico1 giunge subito al cuore della questione: per il politico «il criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo che di per sé gli apre la possibilità dell’azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto.»2 La posizione di Benedetto XVI è quella del filosofo che ha il compito di mostrare i principi primi dell’agire politico, e in base a questi dirigere le diverse azioni in direzione del fine che – come emerge chiaramente dal testo citato – è la realizzazione, nei limiti dell’uomo, di una società buona: al di là di tutte le seduzioni del potere, questo compito non deve essere mai messo da parte da ogni seria riflessione sul politico, perché «una filosofia politica che rinunci all’idea del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, tradisce se stessa e si condanna alla sterilità.»3. Tale sterilità, oggi facilmente avvertibile, è causata dalla separazione della scienza politica dall’etica, spesso relegata nell’ambito del privato: ma se si parla di un agire politico, di azione del politico si capisce facilmente l’assurdità di tale separazione, che, per esemplificare con una immagine, è la presunzione di far vivere il tralcio separato dalla vite. Questi brevi passaggi manifestano chiaramente l’impossibilità di tale divisione e allo stesso modo l’assurdità di edificare un discorso politico su tesi filosofiche infondate, come sono quelle – per fare un esempio – del positivismo. Proprio di quest’ultimo Benedetto XVI – nel discorso a cui stiamo facendo riferimento – ha mostrato chiaramente l’insufficienza in ambito politico, insufficienza causata dalla infondatezza di tale posizione filosofica e dalla conseguente corruzione di importanti concetti, come quello di “natura” e “ragione”, essenziali per una sana filosofia politica: «una concezione positivista di natura, - afferma il Pontefice – che comprende la natura in modo puramente funzionale, così come le scienze naturali la spiegano, non può creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto, ma suscitare nuovamente solo risposte funzionali. La stessa cosa, però, vale anche per la ragione in una visione positivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica. In essa, ciò che non è verificabile o falsificabile non rientra nell’ambito della ragione nel senso stretto. Per questo l’ethos e la religione devono essere assegnati all’ambito del soggettivo e cadono fuori dall’ambito della ragione nel senso stretto della parola. Dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran parte il caso nella nostra coscienza pubblica – le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco. Questa è una situazione drammatica che interessa tutti e su cui è necessaria una discussione pubblica; invitare urgentemente ad essa è un’intenzione essenziale di questo discorso.»4 Le parole di Benedetto XVI sono chiare, non lasciano spazio ad alcun fraintendimento e da qui bisogna partire per una possibile rinascita della politica in Italia e in Europa: abbiamo bisogno di una seria riflessione filosofica che possa costituirsi come la base necessaria su cui poter edificare e realizzare il fine a cui la politica è chiamata e che rinnovi il profondo legame tra ethos e diritto, al di là delle fallacie ideologiche. D’altra parte è impossibile prescindere da questo legame, richiamato dal Romano Pontefice: infatti essendoci un fine per la vita sociale che è il bene comune deve esserci una via al fine che è la legge, questa legge (lex humana) è quella che noi chiamiamo legge civile o diritto, e poiché il bene comune è il bene di tutti gli uomini e del singolo, la via per conseguire tale fine non può prescindere dalla via al bene umano in quanto tale, cioè dalla legge morale, dal diritto NOTE: 1. «Mi si consenta di cominciare le mie riflessioni sui fondamenti del diritto con una piccola narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento importante? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9).» 2. Discorso di Benedetto XVI al Parlamento tedesco 3. F. Viola, Introduzione alla filosofia politica, Roma 1980, pag. 10 4. Discorso di Benedetto XVI al Parlamento tedesco
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naturale5. Il richiamo all’unità è fondato sul più ampio ed essenziale richiamo alla recta ratio che si presenta come una esortazione, in questi tempi difficili, a non mettere da parte l’immenso patrimonio culturale dell’Europa: «Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza.»6 Vogliamo concludere col richiamare Tommaso d’Aquino, filosofo e teologo del XIII secolo, che anche in questo campo è illuminante: l’idea che lo guida è sempre quella dell’unità e dell’ordine. La moltitudine di uomini non è una massa amorfa, ma si costituisce, per naturale bisogno, in una società il cui criterio, come abbiamo più volte ripetuto, deve e non può non essere il bene comune: questo è l’unica norma del retto governare. Afferma l’Aquinate: «Quando si tratta di una società di uomini liberi, se colui che la governa la ordina al bene comune di tutti, avremo un governo retto e giusto, qual si addice a uomini liberi; al contrario se il governo è ordinato non al bene della società, ma agli interessi privati di colui che le comanda, si attuerà un regime ingiusto e corrotto.»7 5
Cfr. S. Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, vol. 3, pp. 189 ss., La Scuola, Brescia 2002 e B. Mondin, Manuale di
filosofia sistematica, vol.6: Etica e Politica, ESD, Bologna 2000
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Discorso di Benedetto XVI al Parlamento tedesco Tommaso d’Aquino, De regimine principum in Opuscoli politici, ESD, Bologna 1997, I, c.2
L’UNIVERSALITÀ DEL
MONOTEISMO ABRAMITICO Il seguente testo è la traduzione della relazione esposta al seminario internazionale “Against the post-modern world”, svoltosi a Mosca il 15 e il 16 ottobre del 2011. Traduzione a cura di Francesco Miolli. Di Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini Presidente del CO.RE.IS. (Comunità Religiosa Islamica – Italia)
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ersino in un’epoca come la nostra, che giustamente è stata definita irragionevole, scienza e religione potrebbero non essere considerati due termini di un’antitesi, se solo potessimo aggiungere un attributo a ciascuno di questi due termini: “sacra”, per la scienza, e “ortodossa”, per la religione, così che si possa parlare di “scienza sacra” e “religione ortodossa”. Allo stesso modo, la nostra epoca non sarebbe tanto irragionevole se solo potessimo ricordarci che la ragione umana non potrebbe considerarsi davvero “scienza sacra” se fosse indipendente indipendente da un un altro termine, non antitetico, che è l’”intelletto”. Quest’ultimo è il riflesso dell’Intelletto Divino, il quale ci ha creati ‘ala suratihi, a “Sua immagine e somiglianza”, come è detto in ogni religione ortodossa, rappresentando una Rivelazione data a tutti dal Solo ed Unico Dio del Monoteismo Abramitico. In un tempo in cui le parole hanno perso il loro significato, e non soltanto il loro senso etimologico, si prega di perdonare il pleonasmo nel titolo del mio intervento: nel parlare di “monoteismo” non si dovrebbe avere un significato differente da quello di “universalità”, sebbene essa si riferisca alla concezione dell’Unicità “di Dio”; Unicità che, come i nostri fedeli immigrati direbbero, nel tradurre il nome arabo Allah, è già contenuta nell’espressione “monoteismo”, ed è riaffermata in questo universalismo, o meglio Universalità, che si rivolge “verso l’Unico”, l’unico Dio di Abramo. È questa origine abramitica che ci avvicina ai nostri fratelli Ebrei, che non volevano concludere la Profezia con la venuta del profeta Mosè (‘as), attraverso il quale la Parola di Dio fu fatta Legge, e che continuò dopo di lui, per permettere a noi Musulmani, gli ultimi giunti, di essere ugualmente in grado di guardare alle venute profetiche, sino alla venuta finale della rivelazione Coranica, che ci fu consegnata per mezzo dell’ultimo dei profeti, l’ummi, letteralmente “illetterato”, Maometto (s’aws). Il carattere illetterato, riferendosi al Profeta Maometto (s’aws), ummi in arabo, è un termine che rappresenta non solo la comunità Islamica, ma anche “la Madre”, la quale è fonte della nostra esistenza, e può essere più facilmente accostata alla figura della Vergine Maria che, nella sua immacolata innocenza, rappresenta la vergine terrena nella quale Dio scrisse la sua Parola, nello stesso modo in cui Egli incise nel cuore del Profeta i versi del nostro Santo Corano, che rappresenta anche la Sua Parola non incarnata. Essa ci permette anche di includere nella successione profetica, che rispecchia fedelmente la successione temporale delle Rivelazioni monoteiste abramitiche, la figura dello ‘Isa Sayyidina (‘as), Nostro Signore Gesù Cristo, considerato dai musulmani come Ruh Allah, “Spirito di Dio”, e la cui Seconda Venuta è attesa, insieme ai nostri fratelli cristiani, quale “annuncio dell’Ora della fine”, un’escatologia che è presente anche nella forma dell’attesa messianica dei nostri fratelli Ebrei. Dovrebbe essere chiaro che questo “universalismo”, il fatto che siamo tutti diretti verso l’Unico Dio di Abramo, non comporta né sincretismo, né una miscela delle forme tradizionali, né, addirittura, relativismo, perché, effettivamente, tutto è relativo, di fronte all’Assoluto. Piuttosto, l’universalismo richiede il riconoscimento della pari dignità personale di un credente in qualsiasi fede ortodossa, la quale, in quanto tale, implica necessariamente il riconoscimento del valore salvifico dei suoi dogmi, sebbene essi possano differire tutti l’uno dall’altro. Per respingere questi punti di vista, ci siamo presi la libertà di inviare una lettera al Papa in occasione della sua visita alla Sinagoga di Roma nel gennaio 2010: « Sua Santità, in Italia, dove l’Islam non è presente da sette secoli, forse fin dai tempi di Federico II, potrebbe un vecchio musulmano italiano essere autorizzato a sentire un po’ di nostalgia per un periodo unico della storia, quando i saggi uomini delle tre rivelazioni monoteistiche, da Maimonide a S. Alberto Magno, a Muhyiddin Ibn Arabi ‘, si incoraggiarono a vicenda lungo il percorso verso Dio, entro le loro differenti fedi? Non potrebbe forse la vostra augusta presenza oggi, presso la Sinagoga di Roma, darci la speranza che, almeno a livello intellettuale, i rappresentanti delle diverse religioni possano ancora incontrarsi in questo mondo, che ha bisogno di un esempio di ritorno alla santità, in preparazione della venuta del Messia che tutti attendiamo, come prova del sacrificio che ci ha portato a dare un significato alla nostra vita su questa terra, dove Dio ci ha riuniti? » Senza voler allontanarci troppo dal tema proposto per questo incontro, vorrei estendere il concetto di “vittime di violenza” oltre che alle donne, a tutti gli uomini religiosi, in un mondo che sembra aver dimenticato il senso del Sacro, il quale, secondo le parole della Prima Lettera di San Pietro, fa di noi tutti “una nazione di sacerdoti consacrati a Dio”.
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In maniera particolare per noi, in Italia, dove una tale consacrazione sembra riservata solo a coloro che legittimamente la rappresentano, come nel caso di un membro di un clero, qualcosa di specifico per una singola confessione, ma esclude coloro che appartengono ad altre religioni, che non sembrano avere diritto ad una tale sacralità, anche se loro fossero nati in Italia. Come nota personale, sono appena tornato da un incontro con il Presidente della Repubblica Italiana Napolitano, presso il quale è stato ospite d’onore il re di Giordania. “Non giudicate dalle apparenze”, ho detto, “io sono italiano”. “Ma Dio non voglia che non lo si pensi”, ha detto, lasciando intendere che anche un italiano può essere musulmano in Italia. “Ma Dio non voglia”, avrei voluto rispondere, “che ci debba essere un riconoscimento ufficiale dell’Islam quale religione”. L’Italia è l’unico paese al mondo in cui l’Islam non è ufficialmente riconosciuto come uguale alle altre fedi monoteistiche. Ma ogni volta che segnaliamo questa assurdità ai nostri fratelli musulmani non italiani essi non vogliono mai crederci. Come emerge da alcuni recenti bilanci, il cristianesimo oggi non sembra essere una super-religione civile: interpretando erroneamente il proclamato incontro storico con Dio sulla terra, c’è il rischio di dimenticare il tanto atteso ritorno del Messia, riguardo cui noi musulmani abbiamo il dovere di richiamare alla memoria tutti, prima che sia troppo tardi. Ci stiamo, di fatto, avvicinando ad un tempo escatologico, previsto da tutte le fedi, per il quale dobbiamo prepararci e riscoprire il significato delle nostre vite, in cui Dio ci ha chiesto di operare una scelta: di stare con Lui o senza di Lui e, se rimaniamo con Lui, di accettare i messaggi profetici che ci sono stati tramandati sin dalla creazione dell’uomo. L’Islam non è la terza rivelazione del monoteismo abramitico, e questo monoteismo “abramitico” non risale ad Abramo, ma è sempre stato “monoteista”, anche prima di Abramo, perché Dio non ha mai cessato di essere “Uno” per tutti gli uomini sulla terra, o almeno per coloro che volessero obbedirgli. Questo è il significato della parola “Islam”, che significa “sottomissione al Dio Unico”, così come sono “musulmani” letteralmente tutti coloro che gli ubbidiscono, sebbene essi possano essere chiamati “ebrei” o “cristiani”, o addirittura appartenere ad una delle religioni ortodosse precedenti. “Io esistevo quando Adamo era ancora fra acqua e terra”, dice il Profeta, che riecheggia le parole di Gesù Cristo: “Prima che Abramo fosse, io sono” perché immortale “Spirito di Dio”, come noi musulmani chiamiamo Gesù, e che non potrebbe non essere stato presente ancor prima della creazione del mondo, per infondere negli uomini la coscienza che anche loro sono stati fatti “a immagine e somiglianza di Dio”. È proprio questa somiglianza che permette agli uomini di essere in grado di identificarsi con l’assoluta Presenza Divina attraverso i rituali richiesti dalle varie religioni che si sono susseguite con il passare del tempo, al fine di rinnovare la possibilità di sapere che la Conoscenza rimane l’unico scopo della vita umana su questa terra. Ma di quale conoscenza si tratta? Della Conoscenza di Dio! Perché “Se Dio si è fatto uomo”, come ci ricorda un detto del cristianesimo primitivo che è ancora conservato nella dottrina della Chiesa Ortodossa Orientale, è perché “... l’uomo diventasse Dio”, non attraverso l’affermazione dell’individualità umana, ma con la morte della sua natura egocentrica, come rispecchia l’esclusività della sua scelta di fede. Naturalmente, alcuni eventi storici non possono coincidere con quelli di altre teologie, ma il Logos che li ha generati è Dio Stesso, che è al di sopra della storia, vale “Se Dio si è fatto a dire meta-storico,come Esso è metafisico. È il punto di uomo è perchè vista divino al di sopra di ogni logica, anche teologica, l’uomo diventasse in cui si manifesta a seconda del tempo e del luogo che, Dio...” parafrasando René Guénon, di cui ho l’onore di portare il nome islamico, insieme rappresenta le dimensioni del simbolismo della Croce. In riferimento a questo stesso simbolismo, vorremmo considerare la croce ortodossa che, nella sua rappresentazione della verità presente in ogni rivelazione annunciata, e quindi “relativa”, non ha due, ma tre dimensioni, aggiungendo alle dimensioni di lunghezza e larghezza quella dell’altezza, o meglio, della profondità, ricordando così la Pax profunda, o “Grande Pace”, che “un santo sufi del Ventesimo Secolo” augurerebbe a chi volesse ancora, in questi ultimi giorni, comprendere il significato della triplice dimensione, che è ugualmente presente nell’universalità del monoteismo Abramitico. Per concludere, vorrei fare riferimento alla risposta che questo stesso santo musulmano rivolge a coloro i quali, tra i soliti “dottori della legge”, lo criticano per il fatto che il suo tasbih, il rosario, rassomigliava alla forma della croce: “E noi” ha detto, tenendo le braccia all’altezza delle spalle “a quale forma rassomigliamo?”
DE-VIRILIZZARE L’UOMO Il seguente testo è la traduzione della relazione esposta al seminario internazionale “Against the post-modern world”, svoltosi a Mosca il 15 e il 16 ottobre del 2011. Traduzione a cura di Luca Manelli. Di Israel Shamir, saggista e giornalista, esperto di cultura Ebraica e del conflitto Israeliano-Palestinese
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a crisi finanziaria è grave, ma l’uomo occidentale sta patendo una sorta di crisi esistenziale che mette in dubbio la sua precipua essenza virile. Analizzeremo tre uomini occidentali, Dominique Strauss-Kahn, Julian Assange e Anders Breivik, in modo tale da illustrare la tesi per cui l’uomo occidentale si stia estinguendo. Breivik è stato portatore di questo disagio. Nel suo libro, ci presenta il punto di vista del killer come un esempio di virilità norvegese frustrata e marginalizzata. Breivik afferma esplicitamente di sentirsi minacciato da: “...la televisione, in cui quasi ogni programma importante ha un “totem” femminile, e le trame e i personaggi enfatizzano l’inferiorità del maschio e la superiorità della femmina. Ciò accade anche nell’esercito, dove l’aumento di opportunità per le donne, persino nelle postazioni di combattimento, è stato accompagnato sia da una politica dei “due pesi e due misure”, che ha abbassato di conseguenza i requisiti minimi per entrare nell’esercito, sia da una diminuzione del numero di reclute maschili, mentre i soldati stanno abbandonando in massa l’esercito. Ciò accade nelle preferenze per impieghi di pubblica amministrazione e nelle pratiche che favoriscono le donne e usano le accuse di “molestie sessuali” per mettere in riga gli uomini. Ciò accade nelle università dove proliferano gli studi di genere e la “affirmative action” viene applicata nelle ammissioni e nel lavoro.” Il killer è un individuo psicotico la cui visione del mondo è difficilmente condivisibile, ma le sue parole illuminano alcuni punti oscuri. Senza questa minaccia di venir eliminato, probabilmente non avrebbe fatto questo crimine orribile. Mentre tutti provano disgusto per i suoi delitti, questa dichiarazione può essere compresa in tutto l’Occidente, sebbene in gradi diversi. Tutto ciò è decisivo per la Russia? Non proprio. Per il popolo russo, ciò è più che altro la spiegazione del pericolo che esiste nel seguire la via dell’Occidente verso l’oblio. Allo stesso modo, le caratteristiche e le conseguenze del capitalismo sono molto più chiare nell’Occidente che nella Russia prerivoluzionaria. Per la Russia di oggi, non c’è la base materiale per la de-virilizzazione: esiste ancora il duro lavoro fisico, esiste ancora il proletariato industriale, e soprattutto i preti russi sono esclusivamente uomini. In Occidente, la base materiale esiste in altra forma, in misura maggiore nel Nord protestante, minore nel Sud cattolico. Un’ulteriore qualità del Nord è la tradizione dei sacerdoti donna e delle regnanti esistiti nei tempi che precedono la diffusione del Cristianesimo in quei luoghi. DSK Mentre cade un altro capo d’accusa contro Dominique StraussKahn (DSK), il bilancio su quest’uomo è tutt’altro che confortante: è stato mostrato come un criminale, denigrato, il suo nome è stato insozzato, ha perso il suo lavoro e una buona probabilità di diventare il prossimo presidente della Francia. Tutto ciò non è rassicurante nemmeno per gli uomini in generale: a causa di accuse infondate e poco importanti fatte da due donne, i Francesi potranno scegliere tra cinque candidate alla Presidenza, a meno che non siano felici con Nicolas Sarkozy. Tutti noi abbiamo pregiudizi, e da nessuna parte appaiono così fondamentali come nel famigerato caso di Dominique StraussKahn (DSK). In un recente articolo apparso su Counterpunch, Pam Martins ha diffuso le storie personali di donne che si sono lamentate dell’ardore di DSK, una delle quali era una giornalista e scrittrice di 23 anni. Martins ci invita a “[fermarci] un attimo e riflettere su ciò che potreste fare se sapeste che un uomo di mezza età abbia “attaccato sessualmente” l’amica della vostra giovane figlia.” Di quale età e sesso preferite la persona tale da “attaccare sessualmente” l’amica della vostra giovane figlia, signora Martins? Avreste preferito una giovane lesbica? Più importante, nulla nella storia della scrittrice ventitreenne implica che sia stato DSK ad “attaccare”. Persino se prendiamo la sua versione come la Verità consegnata sul Sinai come le Tavole della Legge, la sua storia si basa su nulla di più minaccioso che l’esplicito desiderio di DSK per lei, qualcosa che non l’ha fatta sentire a suo agio. Ma come, signora Martins! Le ragazze a ventitré anni non sono così delicate! A quell’età, qualunque ragazza, a Parigi o in un remoto villaggio del Kashmir, avrà incontrato il desiderio di un uomo, a meno che non sia di una rara bruttezza. DSK deve essere un vero uomo, a giudicare dalla sua eccellente moglie, intelligente e di successo. Può anche essere una bestia sionista e capitalista, ma così lui come un altro non posso incolpare per averci provato con una “talentuosa giornalista e scrittrice francese” e neppure per aver flirtato con una “brillante economista ungherese”. Dopo tutto, DSK è un Francese. Entrambe ebbero l’opportunità di dire “non”, e così hanno fatto. In una società sana questo sarebbe bastato. Le avances di DSK costituiscono “molestie”? Forse sì, e allora? Io sono continuamente molestato da banche che mi mandano
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offerte di credito – queste sono per caso meno dannose per la mia psiche che le offerte amorose? Queste donne hanno rifiutato semplicemente le sue avances, così come io rifiuto le banche – e tuttavia non ricorro ai tribunali, mentre loro hanno trovato sia il risarcimento sia la vendetta. D’altra parte non possiamo solamente querelare tutte le Zuleika Dobson di questo mondo per il potere sessuale che esercitano sui loro involontari servi? Dobbiamo forse castrare i nostri uomini, coprire le nostre donne, o erigere pareti di separazione come quelle sui treni indiani? Assange Questo perseguimento dell’isolamento ci è costato troppo. In Inghilterra, l’Alta Corte ha a che fare con la saga di Julian Assange. I nostri governi non hanno abbastanza soldi per pagare scuole e sanità pubbliche, ma sono sempre pronti a spendere milioni per mettere un uomo dietro le sbarre per accuse ridicole. La forza attiva dietro la persecuzione di Assange è presentata da due persone, l’avvocato Borgstrom, il quale si è fatto il nome di essere un femminista radicale, e la sua vecchia compagna Marianne Ny. Insieme hanno preparato nuove leggi che allargano la definizione di stupro così tanto che “se una donna non ha orgasmi multipli durante un rapporto sessuale con un uomo, quest’ultimo può essere accusato di stupro”, nelle argute parole di una sorella femminista. La Ny conduce un “centro di sviluppo” specializzato in offese sessuali, e sta tentando di portare il femminismo su un altro livello (come Valerie Solanas). Il giudice Brita Sundberg-Wietman, oramai in pensione, scrive questo a riguardo di Marianne Ny: “È conosciuta per aver detto che quando una donna afferma di essere stata vittima di stupro da parte di un uomo, è una buona idea che venga incarcerato immediatamente, poiché finché l’uomo non è in prigione la donna non ha il tempo di pensare sulla sua vita tranquillamente e realizzare come sia stata trattata. Stando alla Ny, la detenzione ha un buon effetto di protezione per la donna “persino in casi in cui il perpetratore venga perseguito penalmente ma trovato non colpevole”. Marianne Ny è procuratore nella lontana Goteborg, ma le leggi svedesi le permettono di assumere qualsiasi caso fintanto che ci sono nuovi sviluppi. E sorprendentemente sotto la guida della Borgstrom sono apparse improvvisamente nuove prove: dieci giorni dopo l’arresto e il rilascio di Julian Assange, Anna Cardin portò un preservativo sporco in una stazione di polizia. Il preservativo fu controllato e dall’esame non risultò niente: il preservativo non recava segni di uso. Ma a Marianne Ny non serviva un risultato positivo, tutto ciò che le bastava era un “nuovo sviluppo”; e così riaprì il caso. In seguito, non fece niente. Di tanto in tanto chiamava testimoni da interrogare, ma Assange non veniva ancora chiamato. Fu solo molto tempo dopo, quando Assange era nel Regno Unito, che Marianne Ny decise di chiedere la sua estradizione. Fu una mossa intelligente. Se lo avesse convocato per fargli un interrogatorio mentre era in Svezia, il caso sarebbe crollato immediatamente. Finché Assange verrà portato in Svezia contro la sua volontà, la Ny e la Borgstrom potranno arrestarlo per mesi fino al processo, in quanto la legge svedese non permette la libertà dietro cauzione. Una volta in custodia, Julian potrà essere trasportato negli Stati Uniti o direttamente a Guantanamo senza nemmeno ritornare in Svezia; come detenuto straniero può venire deportato secondo il volere del governo svedese. Il caso di Assange non è un’eccezione isolata: recentemente, un uomo svedese è stato in carcere per diciotto mesi per aver non aver svegliato adeguatamente la sua compagna prima di iniziare ad avere un rapporto sessuale. Gli uomini svedesi hanno buone ragioni per temere il sistema giudiziario del loro Paese, e quotidianamente diventano sempre più impauriti dalle donne svedesi. Per reazione a ciò, hanno iniziato ad avere mogli straniere; inoltre cresce il numero di omosessuali e di adozioni di bambini dall’estero. Che vergogna! La Svezia è il Paese delle più incredibilmente stupende donne nel mondo: perfettamente formate, con le loro bionde criniere mosse dal vento; i loro occhi azzurri riflettono franchezza e coraggio. Anni fa, rimasi sbalordito dopo averle viste per la prima volta: danzavano su un prato attorno ad un palo decorato, si abbronzavano su di un basso ponte di legno che sporgeva in un lago blu come il cielo, e sedevano come sirene presso le rocce, poiché il suolo svedese non è troppo soffice ma pieno di grandi massi di ferro e rame. Queste rocce furono levigate dai muri di ghiaccio che si allontanavano, antichi di millenni, quando la Svezia venne liberata dalla sua lunga prigionia ghiacciata. Gli uomini di Svea lavorarono con impegno questi immensi monoliti attorno un’antica quercia per simulare una flotta. Lì ammassarono dei grandi cumuli sopra i resti bruciati dei potenti capotribù vichinghi. Secoli dopo, questi antichi luoghi sacri attrassero le chiese vicine, decorate dall’alto verso il basso da Albertus Pictor nel XV secolo. “Fu solo Le querce sono ancora maestose e ricche di foglie, i molto tempo dopo, quando laghi sono ancora puliti, la flotta di pietra sta ancora in Assange era nel Regno mezzo ai prati, ma le chiese sono vuote. Sono diventate Unito, che dei luoghi di ritrovo per vecchie signore, condotte da un Marianne Ny decise di pastore donna, come io stesso ho potuto testimoniare chiedere la sua estradizione. con i miei occhi domenica scorsa, in una bellissima Fu una mossa chiesa presso Vasteras. Gli uomini sono stati lentamente intelligente. Se lo avesse emarginati dalle posizioni di potere nella Chiesa, e ora i convocato per fargli un fedeli hanno perso entusiasmo. interrogatorio Non solo le chiese svedesi hanno perso i loro sacerdoti mentre era in Svezia, maschi, anche i giornali preferiscono assumere e il caso sarebbe crollato promuovere donne; sono rimasti ancora pochi direttori immediatamente.” maschi, eccetto quelli omosessuali. Gli editori svedesi ora pubblicano solo libri che piacciono al pubblico femminile; libri che glorificano le donne e dipingono gli uomini come mostri, come la terribile trilogia “Millennium” scritta dal fenomeno mediatico Stieg Larsson. I musei svedesi esibiscono il genere di arte fatto per attirare un pubblico new age e femminista. Le università sono dominate da professori donna. In Svezia, la tua carriera viene danneggiata se ti scoprono essere un maschio eterosessuale. Sembra che il Paese sia in guerra contro la sessualità naturale: i libri di scuola promuovo un modello di educazione che va bene per entrambi i sessi; ai bambini si riferisce con un pronome neutro, non
più “lui” o “lei”, e la più piccola trasgressione è stata punita. La guerra contro il genere maschile non ha portato ad una Svezia più compassionevole e solidale. Lo stato sociale è stato smantellato dai seguaci delle politiche di destra di Ronald Reagan; il neoconservatore Karl Rove sta mandando soldati svedesi a morire per la NATO in Afghanistan e a bombardare la Libia in nome dello Stato svedese. D’altra parte, nemmeno i civili svedesi stanno meglio sotto il nuovo regime. Mangiano più cibo spazzatura, e l’obesità, prima sconosciuta al Nord, ora sfigura i loro corpi una volta bellissimi. I loro pensieri sono controllati dai media, da poco uniti in un solo gruppo, e le loro libertà, conquistate duramente, sono state vendute in nome della compassione. Guardando indietro, sembra che le libertà della Svezia, così come le nostre, raggiunsero il loro massimo subito dopo il lontano anno del 1968. A quel tempo, la Svezia era il più implacabile nemico della guerra in Vietnam, guidata dagli Stati Uniti. I disertori statunitensi un tempo sognavano di scappare nella bella Svezia con lo stesso fervente desiderio del personaggio, creato da Joseph Heller, di John Yossarian. In quei giorni, le ragazze svedesi perseguivano avventure, non strategie legali. Gli uomini svedesi passavano i loro giorni costruendo chiese, modellando un grandioso stato sociale scandinavo, creando i film di Bergman e le automobili Volvo. Ora persino la Volvo è stata svenduta agli Americani, e questi la vendettero prontamente ai Cinesi. Il 1968 è stato un punto di svolta in America. In quell’anno, gli Americani più ricchi contribuivano al 90% delle entrate dello Stato, mentre ora pagano meno del 30%. Non importa che non paghino neppure quello per l’uso di scudi fiscali, depositi e altri inganni. Fu nel 1968 che il salario minimo dei lavoratori americani raggiunse il suo massimo storico in termini reali. Guardando indietro, il 1968 fu il momento della storia in cui l’umanità era più vicina alle stelle. I figli della sconfitta rivoluzione del ‘68 erano liberi di amarsi, fumare, pensare e agire. Noi potevamo viaggiare e volare senza essere spogliati all’aeroporto, e i nostri alcolici non venivano confiscati. Potevamo fare l’amore e fumare nei cafè. Da quel periodo in poi, le cose sono peggiorate progressivamente: il fumo è stato bandito, il libero pensiero è stato incarcerato dal Politicamente Corretto, e l’azione politica viene ridotta all’adesione di un gruppo su Facebook. L’amore è stato tramutato in un campo minato da leggi vittoriane. Siamo stati portati indietro ai tempi in cui Mr. Pickwick poteva essere processato dalla sua padrona di casa per la rottura della promessa di matrimonio. La Svezia non è la sola vittima di questo zelo rivoluzionario. Dovunque, in tutto il mondo, i maschi stanno perdendo il loro posto al sole, potrebbe essere più che una coincidenza che le nostre libertà stiano svanendo con esso. C’è metodo in questa pazzia? La grande mente cospiratoria e moderno profeta russo Alexander Dugin ha dichiarato che c’è un’antica cospirazione femminile che mira a farci ritornare ad una Matriarchia. Molti osservatori conservatori danno la colpa alle femministe. Tuttavia, nonostante i maschi abbiano chiaramente perso la guerra, la vittoria delle donne si indebolisce a mano a mano che la si analizza. Un tempo le donne avevano una scelta: potevano unirsi al mondo degli affari o stare a casa con i bambini. Un tempo le donne potevano tirare su una famiglia senza avere sensi di colpa. Un tempo le donne potevano godersi l’amore e i corteggiamenti. Ora non più. La de-virilizzazione dell’uomo è stata velocemente seguita dalla de-femminilizzazione della donna. Penso che la realtà sia peggiore della più tremenda cospirazione di Dugin. C’è un’idea comune tra i detentori del potere, cioè che gli uomini effeminati siano più semplici da controllare. La de-virilizzazione degli uomini è uno dei pilastri nella riprogrammazione dell’umanità in un gregge obbediente, poiché gli uomini forti sono imprevedibili. Gli uomini forti tendono alla ribellione, sono pronti al sacrificio e preparati all’azione. Non è una coincidenza che i nemici dell’Impero siano tutti uomini virili, come Gheddafi, Castro, Chavez, Lukashenko o Putin. Non è una coincidenza che i maschi attaccati alla propria terra siano stati dovunque assunti come bersaglio per l’eliminazione; i loro culti siano stati minati, soppressi e sostituiti. Gli attacchi contro DSK, Assange e Gheddafi fanno tutti parte integrante della campagna per l’eliminazione del carattere virile dell’uomo. L’Impero odia Lukashenko e Putin non solo perché non lasciano che esso si impadronisca dei beni dei loro Paesi, ma anche per la loro esplicita mascolinità. Eric Walberg, nel suo libro “Great Games”, parla della segreta strategia dietro le rivoluzioni colorate: i loro organizzatori “castrano gli Stati moderni” in modo tale da trasformarli in deboli Stati post-moderni. Questa “castrazione” è un piano importante di chi comanda, molto più profondo delle effimere lotte per le pipelines e le risorse naturali. La Sinistra La Sinistra è stata fuorviata lontano dalla lotta di classe e
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verso una dubbiosa politica di parità tra generi. A torto e in modo inquietante, la storia della Sinistra è stata riscritta come se fosse una forza di primo piano nella cospirazione per la de-virilizzazione dell’uomo. Non è vero! Mentre la Sinistra ha sempre spinto per l’uguaglianza tra i sessi, questa uguaglianza tendeva piuttosto verso la virilità. Che fosse un operaio che costruiva la barricata, che fossero i marinai che assaltavano il Palazzo d’Inverno o i Barbudos di Castro, erano tutti simboli virili della Sinistra. Il simbolo fondamentale della mascolinità era Iosif Stalin: il grande regista iugoslavo Dushan Mackaeev lo rappresentò in una forma fallica nel suo film “Misteri dell’orgasmo”. Certamente i comunisti russi hanno riconosciuto velocemente che la campagna orchestrata dalla CIA per denigrare il leader morto era un tentativo di de-virilizzarlo. Nessuno avrebbe mai potuto confondere Ernst Thalmann con gli effeminati guerrieri della Sinistra odierna. La nuova Sinistra antistalinista è descritta molto bene dalle parole di Owen Owens: “femminile, vecchia e piccola”; sicuramente queste signore sono stupende come esseri umani, ma non possono essere i modelli più forti per ispirare le masse di lavoratori. Questa effeminizzazione della giusta lotta ha portato ad un altro fallimento della Freedom Flotilla: ai virili e coraggiosi Turchi è stato impedito di partire, il baffuto Ken O’Keefe è stato emarginato, e dopo abbiamo visto alcune dolci donne anziane di origine ebraica ricevere una tazza di tè nel porto di Ashdod come ricompensa per aver promesso di essere brave. La Sinistra ha abbandonato i suoi caratteri virili; ora è troppo preoccupata per le problematiche di genere, troppo basata sulla difesa di qualsivoglia minoranza e troppo piccolo-borghese. Dovrebbe diventare virile, mascolina, cristiana e proletaria. E qui possiamo vedere la lotta dei Russi per Iosif Stalin come una lotta nel nome della virilità.
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REALISMO CONSERVATORE Di Otto Strasser, (1897-1974), socialista tedesco, oppositore del regime hitleriano, politico e pensatore
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rima della Rivoluzione Francese abbiamo già incontrato tracce di una nuova prospettiva sulla vita – la prospettiva di coloro che aspiravano a svincolarsi dalla loro fedeltà verso Dio ed a prendere le proprie posizioni esclusivamente sul piano logico di una conoscenza umana liberata dalle scintille del Divino. Il metodo razionalista di considerare le cose ha generato un grande numero di gravi errori. I razionalisti ed i materialisti credevano di essere in grado di spiegare la natura, ma non sono riusciti a cogliere la natura nella sua interezza, nei suoi rapporti con la vita. Essi non riconoscevano altri fenomeni che quelli che potessero essere numerati, pesati e misurati, e quindi soggetti a ciò che loro consideravano come “legge”. Tutto ciò che di non-razionale e quindi irragionevole si celava dietro queste cose, e tutto quello che era inaccessibile alla ragione, alla comprensione, venne deliberatamente escluso dall’osservazione, quindi hanno tentato di imporre le loro leggi razionali sul non-razionale. Lo sviluppo della scienza, che li ha convinti che sarebbero stati capaci di capire e spiegare ogni cosa, ha indotto una superbia che faceva considerare loro la comprensione dell’ego come misura di ogni cosa, e riconoscere come reale solo ciò che la comprensione (pertanto limitata) poteva cogliere. Materia e forza furono le fondamenta di tutto l’essere. I razionalisti, i materialisti, ritenevano di poter davvero capire la materia, ma la forza è rimasta inesplicabile. Tuttavia, questo non preoccupò questi aspiranti “delucidatori”. La contemplazione della materia morta, della sua struttura atomica, della giustapposizione di questi atomi e della loro relazione meccanica in un universo nel quale essi sono mossi da forze classificate ma inesplicabili, divenne il fondamento della loro concezione del mondo, la base della prospettiva materialista del materialismo. Per noi conservatori questo tentativo dei liberali di eludere i misteri della vita, le subordinazioni al destino, con i metodi di una logica senza anima, ci sembra tanto puerile quanto lo sarebbe il tentativo di accertare il profumo di un fiore con un metro o una macchina da pesatura. Con umiltà e con modestia noi riconosciamo che i decreti del destino esulano dal controllo umano, e che conviene all’uomo accettare questi decreti; in una parola, accettare la “volontà di Dio”. Noi conosciamo ed accettiamo la sua volontà come presupposto di tutto ciò che si abbatte sull’uomo e sull’azione umana, e risolviamo l’eterno enigma della libertà della volontà umana affermando che il “cosa” è posto fuori dalla sfera di questa volontà, ma il “come” vi è dentro. Noi troviamo così un nuovo significato alla vita nell’adempimento delle specifiche peculiarità del nostro popolo “volute da Dio”, nell’affermazione e nel perfezionamento dell’anima del popolo come rivelazione di Dio. Ma noi staremmo facendo solamente un errore come quello dei materialisti se fossimo noi, a nostra volta, a proclamare l’idealismo come un’esclusiva filosofia del mondo. Senza dubbio uno dei grandi servizi, che mai sarà dimenticato, del liberalismo in generale e del Marxismo in particolare, è stato il dimostrare quanto preziosi e importanti per la vita sono le forze materiali, le relazioni materiali e le funzioni materiali; un servizio che permane, anche se molti del liberali o dei Marxiani possono aver sottostimato il valore o l’importanza delle forze ideali, delle relazioni ideali e delle funzioni ideali. Sono stati i socialisti Tedeschi, invece, a sovrastimare il valore e l’importanza dell’idealismo, essi sarebbero falsi per la dottrina della nuova conservatrice filosofia organica, per la quale la vera ed omnicomprensiva realtà della vita è individuabile nelle relazioni e nelle funzioni delle forze necessariamente unite di corpo, mente ed anima. Siamo autorizzati quindi a parlare di realismo conservatore come la filosofia tipica del socialismo Tedesco.
Di Gianmarco Marotti
AUTÒ TÒ KALÒN IL BELLO OLTRE IL VELO
“Ma brillante appariva a noi la bellezza, quando con il coro dei beati godevamo di beata visione e contemplazione, intenti a quello che sopra a tutti i misteri si può dire essere il più beatifico, e lo celebravamo perfetti e liberi di tutti quei mali che ci aspettavano nell’avvenire.” Platone, “Fedro”
L’uomo contemporaneo ha da fare i conti con la propria incapacità di penetrare e di concepire il Bello. L’uomo, oggi, sembra essersi scisso in maniera inconciliabile con la Verità che proviene da piani superiori della propria esistenza. Quando il poeta romantico Keats conclude la sua “Ode on a Grecian Urn” con i versi “Beauty is truth, truth beauty, - that is all / Ye know on earth, and all ye need to know” (Bellezza è verità, la verità bellezza, - questo è tutto ciò che si conosce sulla terra, e tutto ciò che necessita sapere), intuisce con profetica chiarezza questo legame indissolubile tra Bellezza e Verità, esprimendo una concezione della Bellezza che trae in maniera oggettiva dalla contemplazione di un manufatto, un’antica urna greca. Da questa immersione totale nell’oggetto contemplato egli ne viene travolto, come da un dàimon, nella stesura della poesia, dando vita a versi poetici vigorosi, che giungono ad una decisa conclusione che identifica la Bellezza con la Verità stessa. La Bellezza di cui parliamo non va confusa in nessun modo con la “piacevolezza”, perso nale e mutevole secondo gli umori degli uomini, ma intesa invece come assoluta ed ideale, oggettiva ed impersonale. Una concezione del Bello, la cosiddetta “Idea del Bello”, a cui venga data la giusta dignità di fornire ed infondere il senso di Veritas, può solo provenire dall’eterna eredità greca. I pitagorici furono I primi ad accomunare l’Idea del Bello a contenuti oggettivi, essenzialmente geometrici e matematici, che consistevano nel gioco delle proporzioni e nella disposizione degli spazi. Per il maggiore e più autorevole teorico di questo concetto, Platone, il bello è καλος καὶ ἀγαθός (kalòs kai agathòs), la kalokagathia, un sostantivo astratto che esprime con un solo termine il concetto condensato nella coppia di aggettivi καλός (kalòs, bello) e αγαθός (agathòs, buono), letteralmente il “bello-e-buono”. Il Bene Supremo, che Platone intende come la Verità, l’Uno, il Vero, Dio, l’Essere, diventa l’unione tra la concezione del Bello e quella del Buono. Platone dirà: “Il bello è lo splendore del vero”; identica concezione l’avranno diversi filosofi successivi, tra cui Aristotele, Pseudo-Dionigi l’Areopagita e lo stesso San Tommaso, che sosterrà, parafrasando Platone, “Pulchritudo est splendor veritatis” (La bellezza è lo splendore della verità). L’etimologia della parola italiana “bello” non è facilmente rintracciabile all’interno dei termini latini, poiché non è direttamente collegata al termine “Pulchritudo, pulchrum”, ma è chiaramente derivante dal termine “bĕllus”, “bellum” (carino, grazioso), che deriva a sua volta da forme di latino più antiche: “due- nŭlus”, diminutivo di “duenos”, forma antica di “bonus” (buono). Il significato della parola attuale nel linguaggio europeo moderno è rimasto legato a questo ultimo significato, diviso essenzialmente in due aspetti fondamentali: bello nel senso di “gentile” o “nobile” e bello nel senso di “moralmente giusto”. Nell’espressione etimologica greca il discorso si fa più interessante, difatti il termine Greco καλός (kalòs, bello) può essere accomunato a diverse altre lingue, come per il sanscrito “kalya-h”, al gotico “hails”, all’antico slavo “celu”, termini che significano tutti “sano, integro”. L’etimologia di kalòs deriva dalle lingue antiche mesopotamiche: dal sumero “kal, kala” (pregevole, caro, meritevole, ma anche principe, eroe); dall’accadico “kalum” (intero, interezza), termine riferito anche all’animale sacrificale che veniva nutrito, quindi “perfetto, integro, bello”. L’aggettivo καλός (kalòs, bello) ha come significato originario “integro e perfetto”, il sostantivo derivato in greco é το καλον (tò kalòn), è il Bello, ciò che è bello, il Perfetto, la Perfezione, ciò che è perfetto, ciò che è integro, l’Interezza, l’Integrità, ma è anche il potere di attrarre e chiamare all’altrove, verso la Verità, verso la pienezza dell’Unità. (“L’arte chiarifica il mondo, aiuta lo spirito a distaccarsi dalla moltitudine inquietante delle cose per risalire verso l’unità infinita”.) È fin troppo chiaro, dopo questa breve diagnosi filologica, il profondo significato che Platone dava al principio dell’“autò tò kalòn – il Bello in sé”, ovvero la più alta realizzazione del filosofo, colui capace oltre ogni forma apparente di penetrare nell’Intero. Il Bello in sé appartiene alla realtà dell’Essere, e sebbene si distingue nettamente dal bello estetico, il bello sensibile, può essere percepito dalle persone comuni come una particolare attrazione verso alcune forme del mondo. A tal proposito Platone, nella Repubblica, afferma: “le belle forme e tutto ciò che viene prodotto con questi elementi, ma il loro animo è incapace di vedere e apprezzare la natura del bello in sé”. Solo al filosofo è consentito di scorgere al di là delle figure apparenti il Bello in Sé, di entrare nell’essenza delle cose distinguendo le une dalle altre. Questo può realizzarsi perché vi è una partecipazione tra le cose sensibili e quelle ideali, ed il bello del mondo sensibile non è che un riflesso dei piani superiori dell’Essere. Frithjof Schuon in totale sintonia con Platone scrive: “L’arte, appena non è più determinata, illuminata, guidata dalla spiritualità, cade in balia delle risorse individuali e meramente psichiche degli artisti, e queste risorse devono esaurirsi appunto per la piattezza del principio naturalistico che vuole solo un ricalco della natura visibile”. L’autore dell’opera d’arte dev’essere un filosofo o un iniziato per essere capace di trasmettere con la propria arte ciò che ha potuto scorgere oltre i filtri dell’apparenza. Solo in questo modo sarà capace di imprimere nella sua opera qualcosa che non dipenda dal tempo, che non sia individuale o soggettivo, ma che sia conoscenza esatta, esperienza diretta della Verità. “L’armonia, poi, avendo movimenti affini ai cicli dell’anima che sono in noi, a chi si giovi con intelligenza delle Muse non apparirà data per un piacere irrazionale, come ora si crede che sia la sua utilità, ma risulterà data come alleata per ridurre all’ordine e all’accordo con se stesso il ciclo dell’anima che in noi si fosse fatto discordante. E così, allo stesso scopo, quale aiuto per correggere quello stato privo di misura e senza garbo che è nella maggior parte di noi, dalle stesse Muse ci è stato dato il ritmo. [...] Ora, rispetto al divino che è in noi sono movimenti affini i pensieri dell’universo e i movimenti di rotazione circolare. Perciò ciascuno, in accordo con questi, operando la correzione di quei cicli che per la nascita risultano essere interrotti nel nostro capo, mediante l’apprendimento delle gioie dell’universo e i movimenti di rotazione circolare, bisogna che renda simile, secondo la natura originaria, il pensante e il pensato, e, dopo averli fatti simili, raggiunga il fine della vita più bella che gli dei hanno proposto agli uomini per il tempo presente e per l’avvenire.” Platone, “Timeo”
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INTERVISTA A ORAZIO MARIA GNERRE Di Ronald Lasecki
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iportiamo l’intervista che “Geopolityka”, la rivista online dell’Istituto di Geopolitica polacco, ha sottoposto a Orazio Maria Gnerre, presidente e fondatore del progetto Millennivm e direttore editoriale di “Nomos – Bollettino di studi e analisi”. La seguente intervista è apparsa sul sito della rivista ( www.geopolityka.net ), le è stato dedicato il 15° numero del bollettino “Geopolityka” ed è stata pubblicata in inglese sul sito della Global Revolutionary Alliance ( granews.info). Ronald Lasecki Potrebbe dirci qualcosa di più sul progetto Millennivm e sulla rivista “Nomos”? Cosa sono e quali sono i loro scopi? Orazio Maria Gnerre Millennivm è un progetto politico che risponde all’esigenza di difendere i principi comunitari e tradizionali dei popoli in opposizione alle derive nichiliste del postmoderno. In tal senso, forma i suoi membri preparandoli sulle tematiche rilevanti del discorso geopolitico, geostrategico e delle relazioni internazionali (oltre che nell’analisi storica e nell’approfondimento filosofico). Il progetto, di entità internazionale, consta attualmente iscritti anche su territorio extra-italiano. Millennivm si propone altresì come pensatoio, attraverso convegni, conferenze, lezioni di formazione interne ed esterne, e la pubblicazione del proprio materiale. Il bollettino di studi e analisi Nomos rientra in questa prospettiva. I lavori scientifici in esso contenuti – che spaziano ampiamente dalla politica internazionale allo studio teologico – rientrano in un’ottica di formazione da un lato tecnico-strategica, dall’altro culturale ed ideale. L Quali sono i centri concettuali e le idee geopolitiche più rilevanti nell’Italia di oggi? Quanto fortemente è rappresentata l’idea di integrazione geopolitica di un’area compresa tra l’Oceano Atlantico e Valdivostok? G In tal senso posso rispondere dell’orientamento di Millennivm: la migliore prospettiva che si auspica per l’Italia è rappresentata sicuramente dalla riconquista della sovranità rispetto allo schieramento nordatlantico. In secondo luogo, sarebbe necessario rifondare l’Unione Europea su nuove basi, considerando che la struttura comunitaria dell’Europa occidentale oggi più che mai non corrisponde agli interessi delle nazioni che la compongono, e finisce per rappresentare la volontà di pochi stati membri o, peggio, quella della finanza internazionale. Millennivm in tal senso auspica che l’Europa sappia inserirsi in maniera vincente nella transizione al multipolarismo, adempiendo alla propria funzione naturale di “grande spazio”, al fianco di paesi (come Russia e Cina) che non solo stanno cavalcando nel modo migliore possibile questo processo, ma lo stanno riconvertendo in quell’alterglobalismo necessario allo smembramento del fenomeno mondialista ed alla rifondazione dell’identità delle formazioni geopolitiche su basi di sovranità innanzitutto culturale. Per quanto riguarda l’idea di integrazione geopolitica dell’Europa dall’Atlantico a Vladivostok, ci sarebbe da dire che, sebbene la zona centro-asiatica sia sicuramente culturalmente non dissimile da quella Europea, geopoliticamente questa corrisponde ad una propria identità specifica. Sebbene una prospettiva geopolitica “dalla Scozia alla Russia” risulti sicuramente affascinante, dobbiamo aspettarci più realisticamente un’integrazione Europa-Eurasia sulla base del fattore culturale e del partenariato economico. L Come considera la coerenza geopolitica dell’Italia di oggi? La sua legittimità è messa in discussione dai “padani” separatisti del nord da un lato, e dai legittimisti borbonici dall’altro…
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G Parlare di coerenza geopolitica per un paese che ha dimenticato tutti gli accordi di intesa strategica con la Libia della Jamahiriya mi sembra eccessivo. All’Italia urge saper individuare correttamente un proprio paradigma strategico, ed inserirlo possibilmente nel mondo che cambia. Il nostro precedente governo si è distinto per gli ottimi rapporti stretti con la Russia, con i paesi dell’ex blocco sovietico come la Bielorussia, con la Turchia, con l’Africa del Nord (prima dell’aggressione illegittima della Libia da parte della Nato), con la Cina… Attualmente invece abbiamo un governo di tecnici impostoci dalla linea europeista, composto da personalità che hanno lavorato per la Nato, la finanza e le multinazionali. Lo stesso nostro Presidente del Consiglio Mario Monti è stato definito “l’uomo della Goldman Sachs”. È evidente che tali condizioni non concedano la formulazione di una propria coerente linea geopolitica. Per quanto riguarda l’indipendentismo padano, esso aveva la sua rappresentanza politica nella Lega Nord, partito che era al governo col precedente esecutivo. Per quanto le sue prime istanze fossero da ascrivere al secessionismo, esso propone attualmente un meno improbabile federalismo. Ad ogni modo dalle dimissioni dell’ex premier Silvio Berlusconi la popolarità della Lega Nord è calante, ed in questi giorni si sono consumati una serie di scandali (il cui tempismo potrebbe sembrare “artificiale”) che ne hanno visto crollare la credibilità. Per quanto riguarda il fenomeno cosiddetto “neoborbonico” (ma si può dire lo stesso dei “neo-asburgici”…), questo non è affatto inserito nello scenario politico, ma deriva da un legittimo recupero dell’identità culturale regionale e da un confronto più sincero con le pecche del processo di unificazione della Nazione, fondato su basi ideologiche liberali, capitaliste ed anti-popolari (illuminanti a tal proposito le opinioni di Antonio Gramsci sulla “questione meridionale”). Abbiamo approfondito l’argomento in alcuni nostri seminari, analizzando il rapporto tra Risorgimento Italiano e geopolitica, sottolineando l’ingerenza anglosassone nella politica piemontese e l’influenza da essa esercitata sui gruppi ideologici che hanno avuto un ruolo fondamentale nel processo di unificazione, contestualizzando l’evento nello scenario globale che l’Impero Britannico stava plasmando in funzione dei propri interessi commerciali, a partire dalla Guerra di Crimea (vedi “Le Due Sicilie e la Guerra di Crimea”, di Angelo D’Ambra, Nomos III e Nomos IV). Sebbene ogni proposta indipendentista risulti inadeguata alla realtà dei fatti e sia sicuramente inattuale rispetto alla necessità di creazione dei grandi poli strategici funzionali alla transizione al multipolarismo, non si può non riconoscere che le sovranità locali siano state le prime a venire inghiottite dalla forza centripeta del processo mondialista, che nella politica commerciale britannica vedeva il precursore del successivo unipolarismo statunitense. Il giacobinismo napoleonico da una parte ed ogni derivato ideologico liberale dall’altra hanno svolto un ruolo preminente in questo processo, ora per conto della Francia, ora per conto dell’Inghilterra – in ogni caso per conto di una visione del mondo illuminista ed ideologica, fondata sui dogmi dello Stato di diritto, dell’economia avulsa da costrizioni organiche o statali, della necessità di creare un organismo sovrannazionale globale. Ad ogni modo ogni recupero dell’identità culturale locale è auspicato, sebbene debba essere sempre inquadrato in una corretta visione della politica internazionale, in una totale proposta alterglobalista e, non ultimo, in una sana lucidità d’analisi che si confronti obbiettivamente con la realtà, caratteristica che nella maggior parte dei casi in questi ambienti manca. L Il bacino del Mar Adriatico e i Balcani occidentali sono ancora validi per la geopolitica italiana? G Con l’ampliamento dei territori europei in seguito all’adesione all’UE di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia,
Slovenia ed Ungheria, nel 2004, l’Italia risente del rischio di marginalizzazione, considerando che il baricentro europeo è stato spostato per forza di cose a nord delle Alpi. La soluzione che si prospetta per l’Italia, per rimanere protagonista dello scenario comunitario, è favorire la stabilizzazione del territorio balcanico, attraverso la creazione di un “corridoio adriatico” che, attraverso l’integrazione favorita dal partenariato economico, le permetta di assumere il ruolo-guida di questo processo. Chiaramente i rapporti storici tra Italia e Balcani occidentali possono solo favorire il processo suddetto. Già nel 2000 venne indetta su territorio italiano, ad Ancona, la “Conferenza sullo sviluppo e la sicurezza nel mare Adriatico e nello Ionio”, con Italia, Grecia e Slovenia quali paesi membri dell’Unione Europea, Croazia, Bosnia Erzegovina, Albania e Montenegro come paesi al tempo extracomunitari. Sicuramente l’interazione tra territori più che tra stati è un importante passo avanti nella costruzione del multipolarismo. L’integrazione che ne consegue, infatti, deve tener conto dell’importanza del fattore geopolitico ancor più che dei rapporti internazionali. L Come vede la possibile organizzazione geopolitica del Mediterraneo? – Intendo un modello di relazioni tra l’Europa e i paesi islamici della regione. Qual è il significato geopolitico degli ultimi conflitti in Libia e Siria? Quale dovrebbe essere la soluzione per il conflitto di Cipro? G L’unica possibile organizzazione del Mediterraneo era in effettiva costruzione grazie a quella forza regionale stabilizzatrice che era la Libia della Jamahiriya. Gheddafi aveva evoluto una concezione “panafricanista” sul modello del panarabismo nasseriano del quale era erede che non solo avrebbe permesso la creazione di un polo nordafricano coerentemente orientato al partenariato strategico con i vicini dell’Europa meridionale (primo tra tutti, l’Italia), ma avrebbe anche coadiuvato la costruzione di un organismo africano unitario, grazie anche all’aiuto del Sud Africa. Ora qualsiasi tipo di confronto con la regione è impossibile: il paese che stabilizzava la regione stessa è nelle mani delle bande armate e di entità politiche illegittime. Non è possibile aprire rapporti diplomatici con queste fazioni. Se non fosse per quei paesi europei che hanno collaborato all’annientamento del governo legittimo libico, in cambio della partecipazione alla spartizione del bottino, l’Europa stessa avrebbe potuto coadiuvare la creazione di un nuovo assetto politico sovrano per il paese, in cambio di nuovi rapporti di partenariato privilegiati e sicurezza regionale sul Mediterraneo. Purtroppo, come dicevo, non esiste una politica unitaria europea, ed un’opzione che favorirebbe la Comunità tutta è sacrificata agli interessi economici di pochi stati membri. Per quanto riguarda i conflitti civili in Libia ed in Siria, l’unica chiave di lettura con la quale comprenderli risulta essere quel fenomeno di insurgency controllata di portata mondiale anche detto “Rivolte Arabe”. La Libia è stato un evidente fenomeno di destabilizzazione riuscita, ed ha pagato con un attacco Nato le conseguenze della sua rinuncia allo sviluppo di un piano nucleare militare. Gli interessi che alcuni stati membri dell’Unione Europea avevano sulla Libia, vale a dire principalmente risorse energetiche, erano sicuramente inferiori alla necessità nordatlantica di arginare la politica cinese sull’Africa, di spezzare i rapporti diplomatici che intercorrevano con i paesi BRICS e l’Italia e, non ultimo, di eliminare definitivamente uno stato non allineato dalla scacchiera. Quest’ultima ragione può coerentemente essere rapportata anche al caso siriano, ma c’è da aggiungere che lì entrano in gioco fattori più importanti: la caduta della Siria rappresenta il primo passo verso l’isolamento dell’Iran, che rimane l’obiettivo sul quale è focalizzata tutta l’attenzione statunitense. Per quanto riguarda Cipro, la problematica è lungi dall’essere risolvibile: il ruolo egemone che la Turchia vorrebbe assumere nel processo di integrazione dei territori appartenenti al trascorso Impero Ottomano non consente alcun cedimento. È evidente che comunque il risanamento del problema cipriota rientra nei nostri interessi diretti, considerando che Cipro rimane in ogni caso membro dell’Unione Europea. L L’Eritrea, la Somalia e l’Etiopia dovrebbero giocare ancora un ruolo importante per il pensiero geopolitico italiano? Cosa pensa del concetto di Eurafrica? G Tutti i paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo non possono prescindere dal rapportarsi con i paesi africani sull’altra sponda di quello che è, tutto sommato, un grande lago. L’Italia ha sempre avuto un rapporto privilegiato con i paesi del Nord Africa, dai tempi dell’Impero Romano per giungere fino al colonialismo dell’ultimo secolo trascorso. È chiaro che un modello coloniale non avrebbe più alcun senso di esistere, come però è altrettanto evidente che l’Italia stessa non può non relazionarsi con quei paesi coi quali, nel bene o nel male, ha sempre avuto rapporti strettissimi. Sarebbe opportuno sviluppare un organismo di cooperazione che rappresenti gli interessi comuni di Europa ed Africa, per approdare finalmente alla costruzione della zona geoeconomica eurafricana. Come ho detto prima, ribadisco che oggi le condizioni sono tutt’altro che favorevoli, ma dobbiamo sforzarci di forzarle in questa direzione. In questa struttura sovrannazionale, che preservi le identità comuni dei grandi spazi che la compongono, l’Italia non può che avere un ruolo preminente, per funzione storica e posizione geografica. L Qual è la sua opinione sull’idea dell’Alleanza d’Europa – una sorta di confederazione geopolitica tra l’Unione Europea e la Russia, che è stata proposta dal professor Sergei Karaganov nel luglio 2010, ed è supportata in Polonia dal presidente dell’Istituto di Geopolitica, il signor Leszek Sykulsi? Che rapporto dovrebbe avere con la Cina? G È fondamentale ribadire che Eurasia ed Europa sono poli geopolitici distinti. Con l’EurAsEc l’una, con una ancora deficitaria Unione Europea l’altra, dovrebbero spingere verso la realizzazione del grande progetto mondiale multipolare. Non ritengo appropriato integrare la Russia nella geopolitica europea, tanto più che essa sta già effettivamente edificando il suo grande spazio regionale, traendo spunto anche dal modello comunitario europeo. Anche la Cina deve spingersi in questa direzione, rafforzando la propria influenza nei settori geopolitici che le competono. Quello che però dobbiamo garantire è l’evolversi di un processo di avvicinamento culturale tra Russia ed Europa, che dovrebbe ricondurre ad una grande riconciliazione storica ed auspichiamo anche religiosa (della quale promise di farsi promotore il presidente Lukashenko durante la visita del 27 aprile 2009 al Santo Padre Benedetto XVI), per non dimenticare le nostre comuni radici culturali. Solo la Russia d’altronde può fare da mediatore per la creazione di un grande “ecumenismo” eurasiatico, nel quale la categoria spirituale della latinità e le radici profonde della cultura orientale si incontrino di nuovo.
di questo processo di cambiamento mondiale. L’Europa, lungi dall’imparare qualcosa dalla lezione sudamericana, perisce ora sotto i colpi della finanza e sotto il peso del debito pubblico. Ogni interazione internazionale che si ispiri ai principi comuni della giustizia sociale rappresenta un potenziale effettivo. Nel caso dell’Alleanza Bolivariana per le Americhe, abbiamo l’esempio di un progetto concreto di comune sviluppo territoriale latino-caraibico, promosso in maniera vincente dal Venezuela e da Cuba. Il ruolo-guida che questi due paesi assumono rappresenta con chiarezza la svolta alla quale la regione sta andando incontro, nonché lo scardinamento dell’influenza nordatlantica nel sud del mondo. Per quanto riguarda il Québec, il fenomeno dell’autonomismo non è liquidabile con una delegittimazione semplicistica: l’identità culturale francese è un fattore con il quale ci si deve rapportare, e che esige soluzioni concrete. L Quale ruolo dovrebbe giocare il fattore religioso, specialmente la Chiesa Cattolica e i paesi cattolici, nella formulazione dell’identità geopolitica dell’Europa? G Abbiamo già detto che l’Europa deve riedificarsi su nuove basi, e questo deve avvenire innanzitutto sul piano culturale. Non è più accettabile (semmai lo sia stato) adottare modelli socioculturali a noi storicamente estranei riassumibili nel dogma del Mondo quale grande supermercato. La cultura deve avere in questo senso il ruolo di costruzione di un’identità condivisa. Come per la zona eurasiatica l’unità delle componenti etniche è sempre ruotata attorno all’ecumene dell’Ortodossia, così i Popoli d’Europa hanno saputo edificare una civiltà sulla base del Cattolicesimo. La vera Europa Cattolica, mutuando il modello imperiale latino, ha saputo conservare e valorizzare tutte le diverse identità storiche, culturali ed etniche in un unico progetto politico, il Sacro Romano Impero. La grande frattura europea è successiva all’allontanamento dei regnanti dal principio di Roma, ed il consequenziale abbandono dell’orientamento etico che esso impartiva in campo sociale e politico. La più grande repressione di contadini in protesta avvenne ad opera dei principi tedeschi, legittimati da Lutero. Di contro, la Chiesa aveva saputo edificare un sistema organico di “previdenza sociale” ancora oggi senza alcun paragone storico. In questo senso non dobbiamo mai dimenticarci di sottolineare che il capitalismo occidentale è figlio del liberalismo anglosassone, e non della civiltà europea. Non a caso i più importanti teorici del comunitarismo europeo del XX secolo hanno tratto molto o dalla dottrina cattolica o dai suoi prodotti sociali. Due esempi possono essere il comunitarismo neotomista di MacIntyre (in ambito filosofico) e il socialismo feudale di Otto Strasser (in ambito economico). L Come vede l’idea dell’asse geopolitico Berlino-Varsavia-Mosca come fondamento della Grande Europa? Come considera la possibilità di stabilire la Sfera di Sicurezza di Kaliningrad (KSB) con Germania, Polonia e Russia come pilastri della stabilità regionale nel settore nord dell’Europa Centrale? Vede una possibilità di coordinamento dei paesi del KSB con l’Italia e la Turchia in una forma di pentarchia, per garantire stabilità regionale nella sfera tra il Mar Adriatico, il Mar Baltico e il Mar Nero? G Nel secondo conflitto mondiale sia la Germania che la Russia hanno rivendicato il proprio diritto a spartirsi la Polonia, contro i dictat territoriali stabiliti dal Trattato di Versailles. L’epoca del bipolarismo ha visto la Polonia divenire repubblica sovietica, schierata con il blocco est. Oggi è necessario che la Polonia, stabilita la propria identità culturale, erede comunque di tradizioni secolari e di una Fede millenaria, sappia dialogare saggiamente sia con i paesi europei occidentali che con l’Europa dell’Est. Da una parte l’opinione polacca, preservata per molto tempo dall’influenza occidentale dall’appartenenza all’Unione Sovietica, oggi si oppone alla secolarizzazione europeista, che si manifesta attraverso la negazione dei principi tradizionali e religiosi, l’imposizione della sudditanza finanziaria, le liberalizzazioni culturali; dall’altra, memore degli eventi storici trascorsi, volge le spalle all’Est, identificandolo col dispotismo e l’occupazione straniera, e sostiene la propria identità europea. Sono entrambe opinioni che, apparentemente discordi, nella sostanza dimostrano l’esistenza di una tendenza positiva, per la quale in Polonia è viva una profonda identità culturale, che negli anni del secolo trascorso si è radicata. Il problema è che da queste opinioni possono derivare due posizioni miopi: un antieuropeismo radicale per la prima, una ingiustificata russofobia per la seconda. L’esempio più coerente da seguire consiste, in questo caso, nell’Ungheria di Viktor Orban che, in aperta lotta contro la burocrazia di Bruxelles, comprende però quanto sia necessaria la struttura comunitaria europea per relazionarsi con i vicini dell’Est già correttamente avviati al multipolarismo, tanto da proporsi come ottimo interlocutore sia della Russia che della Cina. La precedente appartenenza al blocco est non ha fatto sì né che l’Ungheria dimenticasse le proprie radici puramente europee, né che essa obliasse i rapporti politici e culturali che intercorrevano con gli altri paesi ad est della Cortina di Ferro. Questo è il modello ungherese vincente: non un secessionismo euroscettico, ma un concreto mattone per la costruzione di una nuova Europa. Se la Polonia, come paese europeo orientale, emulasse questa opzione politica, sarebbe un ulteriore passo avanti sia per l’integrazione europea che per i rapporti euro-russi. In tal senso, ogni conglomerato politico atto a stabilizzare i rapporti strategici ed economici stretti sul continente non può che essere visto di buon occhio. L’Italia d’altronde batteva questo percorso attraverso i fitti rapporti economici che aveva intrecciato, tra gli altri, con Russia e Turchia, ed è evidente che, come estremo fisico del continente e sbocco diretto sul Mediterraneo, il suo ruolo nei rapporti con questi paesi è ineludibile quanto necessario, per qualsiasi tipo di politica di respiro macrocontinentale.
L Come dovrebbe essere la relazione tra l’Europa e i paesi dell’America Latina? Cosa ne pensa dell’ALBA? Come vede il ruolo ed il futuro del Québec? G L’Europa dovrebbe sapersi proporre come interlocutore del BRICS. Rapportarsi all’economia in ascesa non è più una scelta opzionale, ma diventa un’esigenza nell’attuale realtà mondiale. L’unica scelta che ci si pone davanti è integrarsi con i nuovi modelli economici, o perire con un sistema in declino. Il Brasile come membro del BRICS e l’America Latina tutta sono poli centrali
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RECENSIONI Di Antonio Livi
Massimiliano Del Grosso
“Metafisica dell’eros. La verità dell’amore umano nella sua dimensione personalistica e sociale” Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012
Questo originale e incisivo saggio di Massimiliano Del Grosso sulla sessualità affronta il problema del significato antropologico dei rapporti interpersonali derivanti dall’esercizio della sessualità (desiderio, amore, unione coniugale, procreazione, formazione della famiglia), discutendo le interpretazioni di diverso genere (scientifiche, filosofiche, teologiche, ideologiche) che ne sono state proposte negli ultimi tempi e che oggi dominano la scena della cultura occidentale. In modo particolare e con molta precisione epistemologica viene messa a confronto la dottrina morale della Chiesa cattolica con alcune teorie di “teologi del dissenso” (Bernhard Häring, Tullo Goffi, Marciano Vidal e altri ancora) e con le più note espressioni del pansessualismo ideologico (quelle che, a detta di Augusto del Noce, hanno determinato il fenomeno
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dell’«erotismo alla conquista della società»). Il testo di Massimiliano del Grosso, docente di Filosofia nello Studio teologico di Benevento, è pubblicato dalla Casa Editrice Leonardo da Vinci nella collana “Scienze umane e organizzazione sociale”, collana che è destinata a ospitare “Studi comparati di morale, economia, politica e diritto”. La ragione di questa collocazione è che il tema della sessualità esige un approccio scientifico non solo interdisciplinare ma anche propriamente “comparato”, nel senso che la logica aletica dà oggi a questo termine, volendo indicare la ricerca di fondamenti di verità (o “giustificazione epistemica”) che ogni disciplina scientifica possiede in proprio o in comune con altre discipline. La ricerca radicale dei fondamenti di verità porta ogni studio interdisciplinare a rilevare come premesse assolute di ogni sapere le verità del “senso comune”, le quali trovano una adeguata formalizzazione concettuale nelle varie espressioni storiche della filosofia, nel momento in cui questa raggiunge il più elevato livello di rigore scientifico, ossia quando si costituisce come metafisica. Questo livello - sempre necessario, di per sé, quando un discorso che pretende di dire qualcosa di vero (perché questo e non altro si intende quando si dice che un discorso è “scientifico”) – è richiesto in modo particolare quando si tratta di dire qualcosa di significativo e di vero su argomenti, come questo della sessualità umana, che impegnano ogni persona in ogni sua dimensione: quella naturale, sia individuale che sociale (ivi compresa l’economia, l’etica e la politica), e quella soprannaturale (la vocazione dell’uomo alla condivisione della vita d’amore della Trinità). Di conseguenza, nessun discorso sulla sessualità – sia che abbia una pretesa meramente descrittiva sia che ambisca a una funzione prescrittiva – può esibire una qualche giustificazione epistemica se non si rapporto ultimamente a delle verità fondamentali di ordine metafisico. In effetti, qualunque sia l’aspetto che una disciplina scientifica vuole prendere in considerazione, la sessualità umana dice sempre relazione alle due dimensione metafisiche essenziali dell’amore umano, ossia la dimensione personalistica e quella sociale. Non deve dunque sorprendere il fatto che questo saggio si intitoli Metafisica dell’eros e che tocchi argomenti apparentemente lontani gli uni dagli altri (il finalismo insito nella sessualità umana, la dignità del partner del rapporto
sessuale, l’essenza del matrimonio come elemento costitutivo della società civile e la necessità di un suo riconoscimento giuridico da parte delle istituzioni sociali), perché è appunto l’esatta individuazione del fondamento aletico ciò che permette all’autore di passare da un argomento all’altro in piena coerenza logica, evitando poi di presentare le sue tesi – sempre coraggiose e talora anche polemiche – come frutto di pregiudizi ideologici. Sono certo che i lettori sapranno apprezzare questo contributo del prof. Del Grosso alla comprensione dei motivi di verità sull’uomo e sulla società che hanno portato la sapientia christiana a formulare una dottrina sulla sessualità che fin dai primi secoli è stata “segno di contraddizione”: ma chi l’ha contraddetta – dagli gnostici dei primi secoli del cristianesimo ai propagandisti della “rivoluzione sessuale” del Novecento, fino ai contemporanei fautori dell’equiparazione giuridica delle unioni omosessuali al matrimonio – non lo hanno fatto e non lo fanno a partire da “ragioni” vere, bensì con gli strumenti della persuasione retorica, facendo leva sulla disponibilità, anche inconscia, che ogni uomo può avere nel suo intimo ad ascoltare e ad accogliere (a “prendere per vere”) quelle false ragioni che possono fornirgli l’alibi per ribellarsi alle leggi della natura, che sono in definitiva l’ordo amoris derivante dal dono gratuito che ci è stata fatto con l’esistenza e il conseguente inserimento (costituito di rapporti non solo fisici ma anche e soprattutto etico-politici) nella società umana. Lo diceva molto chiaramente il cardinale Carlo Caffara introducendo il 5 febbraio 2012 all’Istituto “Veritatis Splendor” di Bologna la presentazione del volume Il cambiamento demografico, a cura del Comitato per il Progetto culturale della Conferenza episcopale italiana: «Il paradigma della maternità e della paternità è stato dissestato da un progressivo passaggio a un paradigma individualista», ha detto l’arcivescovo, il quale ha poi osservato come sia stato “il senso del vissuto” della sessualità a cambiare radicalmente: «Questa – ha spiegato – è stata attraversata da due gravi separazioni: la separazione dall’amore e dalla procreazione. Ambedue vanno invece nella stessa direzione. Di una visione e di un uso della sessualità dominata dalla cifra individualista, che per sua stessa logica tende ad escludere dall’orizzonte della persona un ragionare in termini di relazioni a medio-lungo termine. Le conseguenze sul piano demografico sono evidenti». La necessaria e positiva riunificazione – anzitutto concettuale – della sessualità con l’amore e con la procreazione è l’assunto efficacemente illustrato da Massimiliano Del Grosso in questo suo saggio chiaro e rigoroso. Confrontandosi con alcuni autori contemporanei che hanno preteso di imporre in ambito cattolico una nuova morale sessuale, Del Grosso riporta correttamente il discorso teologico sulla sessualità alle esigenze di giustificazione epistemica che sono proprie della teologia come “scienza della fede”. Infatti, come ho inteso ricordare nel trattato su Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa” (Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012), un discorso è teologicamente valido se e solo se chi propone una sua teoria assume come primo presupposto logico la fede nella verità rivelata, e poi interpreta la Parola di Dio con gli strumenti razionali ad
essa adeguati, tra i quali, appunto, la filosofia in quanto espressione della recta ratio e quindi – è il caso della morale sessuale – è in grado di assicurare all’antropologia i necessari fondamenti metafisici, quelli che portano a rilevare scientificamente la verità dell’amore umano nella sua dimensione personalistica e sociale.
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