Tree tenant - Progetti d'architettura intorno all'Albero

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TREE TENANT Progetti intorno all’Albero Politecnico di Milano Scuola di Architettura, Urbanistica, Ingegneria delle Costruzioni Corso di laurea in Progettazione dell’Architettura Relatore: Paolo Vitali Tesi di: Fiorenza Giometti 831400 Anno accademico 2016/2017 sessione Settembre 2017


Immagine in copertina originale di Giada Giovinazzi


TREE TENANT Progetti intorno all’Albero

ABSTRACT Scelsi di fare architettura all’età di sei anni. Volevo costruire una casa sull’albero per me ed i miei amici, e all’epoca pensai fosse quindi necessario diventare un architetto. Purtroppo nel mio giardino non c’era un albero, così mi accontentai della casa. Passavo ore a costruire e disegnare i rifugi delle nostre avventure. Col tempo il desiderio della casa sull’albero svanì, ma restò quello di essere architetto. Nel mio percorso in facoltà ho sempre trovato spontaneo, nei progetti del triennio, ragionare sul contesto naturale, sulle preesistenze arboree, e sul rapporto natura e artificio. Ho scelto di mettere in campo quindi le competenze acquisite, negli ambiti di storia dell’architettura, urbanistica e progettazione, per indagare questo atteggiamento progettuale, che a mio avviso va oltre le moderne eco-mode. L’Albero non è un elemento di decoro, né di mimetismo. Sono sicura che Architettura e Albero abbiano da dire molto sulla scienza della progettazione nell’ottica di un’indagine concreta, che sarà approfondita nelle pagine successive.

When I was six I chose to be an architect because I wanted to build a tree house for me and my friends, and at that time It seemed the only solution. Unfortunately, in my garden there was no tree, although I’m satisfied with the house. I spent hours building and drawing the shelters of our adventures. Over time, the desire of the tree house vanished, but that one to be an architect remained. During my courses in university, I have always found spontaneous, in the three-year’s projects, to think about the natural context, the tree pre-existences, and the relationship between nature and artifice. I chose to put in place the acquired skills in the fields of history of architecture, urban planning and design, to investigate this attitude, which in my opinion goes beyond modern eco-modes. The Tree is not an element of decorum or mimicry. I’m sure that Architecture and Tree have a lot to say about design science in the perspective of a concrete investigation, that will be deepened in the next pages. 3


Immagine originale dell’autrice


INDICE 1. Introduzione 1.1. Iconografia

2. Albero, generatore di geometrie. 2.1. Plywood house 2.2. Casa Levene

3. Albero, tramite di una dimensione. 3.1. Too-high Tea House 3.2. Mirrorcube

4. Albero, preesistenza. 4.1. Padiglione dei Paesi Nordici. 4.2. Ring around a Tree

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5. Albero, elemento dell’arredo.

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5.1. Casa de Vidro 5.2. Venice Japanese Pavillon

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6. Albero, metafora progettuale.

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6.1. Casa-Albero 6.2. Hexenhaus

7. Albero, confine spaziale. 7.1. Cabanon 7.2. Paula Rego Museum

7. Regestro generale delle immagini.

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1. INTRODUZIONE

Intenzione della tesi è di approfondire il rapporto fra edificio ed albero all’interno della dimensione del progetto architettonico, escludendo da questa analisi operazioni quali camouflage ambientale o riqualificazione estetica. Dal punto di vista metodologico, ho lavorato alla definizione di alcune categorie, attraverso la selezione di progetti particolarmente significativi, dei quali ho fatto una lettura specifica. Il rimando all’Albero nella riflessione progettuale è spesso posto in chiave nostalgica, rispecchia la ricerca di una sorta di vivere ancestrale forse mai esistito. Il valore dell’Albero nel progetto è concreto nei casi in cui esso si fa sintesi dell’essere vivente, e come tale è rispettato. “La natura (…) offre la grazia della crescita e della fioritura. Nell’immagine dell’albero, terra e cielo sono unificati e divengono un mondo”.1 L’albero di cui si parla è un elemento significante, una parte per il tutto. Il concetto di raduno implica che i significati naturali vengono radunati in maniera nuova, in rapporto alle finalità umane. I significati naturali sono così astratti dal loro contesto naturale, e in quanto elementi di un linguaggio, si compongono a formare un “nuovo” significato complesso, che illumina sia la natura che il ruolo dell’uomo entro

la totalità.2

Possiamo quindi affermare che l’Albero raduni il significato dell’ambiente naturale; tuttavia si fa spesso connotato anche di un luogo particolare, specifico e non più solo generale: un genius loci.3 Nel corso tempo si sono sviluppate diverse correnti di approccio architettonico al naturale, e conseguentemente anche al progetto intorno all’Albero. La scelta di circoscrivere la ricerca in un arco temporale dagli anni cinquanta a oggi, nasce dalla volontà di trattare il rapporto edificio-albero dalle sue prime elaborazioni dal Dopoguerra, fino all’attualità. Come vedremo, infatti, è proprio dagli anni cinquanta che la cultura architettonica anglo-europea comincerà a portare alla luce il tema dell’ambiente naturale da un punto di vista non solo esteticamente qualitativo, ma anche di significato del luogo, rispetto progettuale e qualità del vivere. Riferimento imprescindibile è la capanna primitiva di Laugier (1753) che influenzò i successivi ragionamenti del XX secolo. Essa propose un’elaborazione del mito vitruviano dell’origine silvestre dell’architettura4, come archetipo riferibile al concetto di tipo5. Non si trattava di un disegno architettonico preciso ma piuttosto uno

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schema mentale, una figura dell’immaginazione. “In quest’ipotetico antecedente del tempio greco, alberi vivi fungevano da colonne liberamente disposte, rami si intrecciavano tra gli alberi e costituivano le travi mimando l’origine lignea dei templi greci”.6 Non mimesi rispetto alla natura, ma piuttosto rispetto al procédés7 naturale. Per quanto Laugier propose una rilettura dell’arte classica greca, il suo primitivismo puntava alla riscoperta di un’autenticità8 persa nel corso dei secoli precedenti, caratterizzati da elaborazioni più artificiali9. La sua idea quindi comunicava la necessità di semplificazione strutturale e di ispirarsi al mondo naturale in una chiave razionale ed essenziale. “Un’architettura ideale sarebbe stata tutta colonne e travi, senza pareti, e qualora presenti, trattate nel più scarno dei modi. Persino i tre ordini canonici potevano venir lasciati completamente da parte e sostituiti da un metodo compositivo basato solamente su griglie modulari”10. “Questa dottrina, chiamata razionalista, sarebbe riemersa in varie forme nel XIX e nel XX secolo. Si aprirono così nuovi processi astrattivi. Laugier fu ispirazione per gli esponenti del Movimento Moderno”11 creatori di uno stile senza alcun precedente storico, come appunto l’abate aveva professato. Se delle sue intuizioni fu tramandata la volontà di semplificazione razionale, non fu così per le indagini rispetto all’elemento naturale professate dalla capanna primitiva.

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L’albero gioca un ruolo ambiguo, già modificato rispetto allo stato di natura e tuttavia non ancora del tutto artificio. Avviene uno spostamento di senso, di entità apparentemente irrilevante rispetto la naturalità dell’albero, eppure di enorme peso nella

direzione di un’artificialità grazie dell’elemento naturale stesso13.

“Questo è il processo della pura natura (…) la piccola capanna rustica che ho appena descritto è il modello sul quale sono state immaginate tutte le magnificenze dell’architettura”.13 Ragionamenti sullo stato di natura non trovarono terreno fertile nei due secoli successivi. L’uomo industrializzato della seconda metà del diciannovesimo secolo fu caratterizzato da un’entusiastica ed incondizionata fiducia nella macchina, a cui corrispose per molto tempo un “disprezzo” per la natura ben rappresentato dallo sfruttamento esasperato e indiscriminato delle sue risorse, come suggerì Ludovico Quaroni. “Un guasto all’armonia tra lavoro, socialità, natura ed istituzioni umane che va ingrandendosi che di pari passo col progredire dei mezzi tecnici, dei traffici commerciali, dei trasporti rapidi, con il passaggio dall’artigianato alla produzione industriale”.14 L’inquinamento, la contaminazione ambientale 15 e le pessime condizioni abitative dell’Ottocento portarono a studi d’igiene e salute pubblica, senza però entrare ancora nell’ambito dell’ecologia. Di Laugier non furono tanto le premesse sull’imitazione dei processi della natura, ma piuttosto quelle razionaliste a farsi strada fra i primi esempi di Art Nouveau. Personalità come Victor Horta, cominciarono un processo di semplificazione strutturale, ponendo elementi puntuali in facciata. Questo fu l’inizio di un’atrofizzazione16 della sostituzione della parete, fino alla sua eliminazione in favore di un’architettura trasparente. Il passaggio dalla massività alla leggerezza architettonica è


rilevante nel rapporto artificio-natura per la conseguente necessità di ridefinire interno ed esterno, e quindi anche il rapporto fra contesto e ambiente. Negli anni venti con la nascita e la diffusione del Movimento Moderno, il razionalismo laugieriano si trasformò in funzionalismo, e il controllo artificiale, in un’ottica di assoluta tecnologizzazione, subentrò agli elementi naturali.6 Nell’ambito dell’architettura funzionalista non ci fu particolare spazio per ragionamenti in chiave ambientale, se non rari casi, essendo il punto focale della ricerca architettonica sostanzialmente differente. Una svolta interessante furono le ricerche di Frank Lloyd Wright e altri progettisti che operavano in America. Essi contribuirono all’emergere di una nuova concezione (controcorrente rispetto ai colleghi europei) dell’architettura rispetto all’ambiente naturale. “Principio essenziale di ogni crescita è che la cosa cresciuta non sia mera aggregazione. L’integrazione come entità è primaria, e significa che nessuna parte ha gran valore in sé stessa, a meno che non sia un elemento integrato in un insieme armonico”.17 L’architettura organica considera quindi l’edificio una parte del tutto, vi entra in simbiosi, formando un insieme inscindibile fra contesto naturale e uomo. “Se l’uomo ha un diritto di nascita, esso consiste in ciò: che egli stesso è un fattore del paesaggio, non meno delle rocce, degli alberi, degli orsi e delle api, di quella natura cui deve la propria esistenza… Il mutamento è l’unica caratteristica immutabile del paesaggio”.18 Wright fu uno dei pochi ad affrontare il tema, che

tuttavia è sempre stato presente nella realtà nordica (dove però il connubio fra artificio e natura è più introspettivo) come in quello orientale. Non a caso fra le varie sperimentazioni dell’architetto, vi fu anche il suo periodo in Giappone,19 della cui cultura fu esportatore nel campo anglo-europeo. Non è sorprendente, che fra i vari Congressi Internazionali di Architettura Moderna (CIAM), iniziati nel 1928, si arrivò a discutere di paesaggio solo nel secondo Dopoguerra. Il trauma del conflitto mondiale spinse a una rivalutazione delle tematiche architettoniche, e riflessioni sulla violenza indicibile, non solo verso l’umanità, ma anche verso il territorio e l’ambiente. Nel CIAM del 1953 in Aix-en-Provence, si prese quindi in considerazione l’abitare, in relazione alle necessità biologiche, sociali e spirituali. I giovani architetti del congresso, in opposizione alla vecchia guardia,20 professavano il bisogno dell’uomo di abitare il contesto urbano da un punto di vista più sociale che funzionalista, la necessità di sense of neighbourliness,21 per una maggiore correlazione fra forma urbana e sociale. Fu così stipulata l’innovativa “Carta dell’Habitat”,22 in particolare da Alison e Peter Smithson, intorno ai quali si coagulò un gruppo di giovani architetti che, sotto la sigla Team X, si sarebbero dovuti occupare dell’organizzazione del X CIAM.23 “Ci conoscevamo appena ma nel corso di due settimane scoprimmo e accettammo che avevamo un atteggiamento comune, che stavamo tutti cercando di trovare i significati tramite i quali questo atteggiamento potesse divenire un approccio e, di conseguenza una forza positiva in urbanistica”.24 La carta non trattava principalmente 9


dell’ambiente verde, ma proponeva nuove visioni per un’urbanistica innovativa. Al tempo stesso, anche nell’ambito italiano si sentiva la necessità di aprirsi al contesto, ma mentre i modernisti anglosassoni reputavano l’ambiente sociale e naturale la giusta strada di ricerca, i modernisti della Penisola si focalizzarono sul contesto inteso come linguaggio architettonico e paesaggio urbano storico.25 Furono queste istanze, le divergenze fra gli Italiani, gli Inglesi e i vecchi fondatori, che segnarono la fine dei congressi, nel 1959. 26 Proprio ad opera del Team X nacque, un anno dopo i ragionamenti del 1953, il Doorn Manifesto,27documento pioniere delle istanze ecologiste che avrebbero influenzato i progettisti degli anni futuri nonché premessa teorica necessaria per sviluppare il tema artificio-natura. “L’habitat dovrebbe essere integrato nel paesaggio piuttosto che isolato al suo interno come un oggetto”.28 Esso fu uno dei primi approcci architettonici all’ecologia intesa come ricerca d’interazione fra ambiente e costruito (che sarà portata avanti per i successivi decenni), piuttosto che materia di tutela paesaggistica. In particolare negli anni Sessanta si cercò una spiegazione dei fatti urbani che potesse essere storica, geografica, e socio-economica, proprio dalla descrizione apparentemente frammentaria dei comportamenti privati e collettivi di fronte alle opportunità della natura,29 in un’ottica quindi ecologista. Tuttavia, non sempre questa volontà si espresse al meglio. Innumerevoli furono gli esempi di architetture, soprattutto in America, apparentemente integrate nella natura (spesso 10

risultati meramente estetici), ma anzi impattanti nell’ambiente. Solo negli anni Settanta si diffuse un vero pensiero ecologista, con riflessioni sull’integrazione e il rispetto dell’elemento naturale. Nel 1975, ad esempio, si diffuse il pensiero fuzzy, descritto da Andrea Branzi. Questo Naturalismo scientifico e tecnologico, che considera la natura non più uno stadio primitivo da modificare, ma un modello evolutivo da imitare nei processi costruttivi del nuovo, appartiene pienamente a questo regime di una modernità diversa, impegnata ad elaborare strumenti progettuali più ricchi e meno rigidi per realizzare trasformazioni diffuse che sfruttano energie ambientali e sociali un tempo sconosciute.30

In questi anni nacquero inoltre le idee di metropoli genetica31, e di modificazione elastica32 dell’urbano. “Secondo queste concezioni l’architettura non costituisce che un debole sistema connettivo ma un coacervo di presenze umane, di relazioni, di interessi e di scambi che riempiono totalmente lo spazio”.33 La città comincia quindi a essere configurata come un sistema ecologico di un ambiente artificiale,34 complesso ed equilibrato. Nel 1973, venti anni dopo i ragionamenti degli Smithson su habitat e paesaggio, Friedensreich Hundertwasser approfondì, nel suo manifesto “Tree-tenant”,35 il tema natura-artificio, ed in particolare edificio-albero. Il pittore e architetto viennese, veicolò una poetica ecologista di convivenza e rispetto fra elemento naturale e uomo, considerati esseri viventi di pari valore. La realizzazione pratica avvenne in via Manzoni a Milano, in occasione della Triennale, dove furono installati dodici alberi-inquilini36 su alcune


finestre degli edifici affacciati sulla strada.37 Nell’ambito italiano architetto innovatore nel campo ecologico-paesaggistico fu Cesare Leonardi, inventore della struttura reticolare acentrata.38 Un metodo che permette l’organizzazione e la gestione del territorio a partire dalla suddivisione in ambiti di appartenenza, con l’obiettivo – prima di tutto- di distinguere lo spazio degli alberi da quello degli uomini. La struttura, costituita da poligoni irregolari delimitati da aste e nodi, apparentemente rigida, ha in sé regole di flessibilità e trasformazione che ne consentono l’applicazione in diversi contesti urbani e territoriali.39

A partire dagli anni Novanta fino ad oggi preponderante nei progetti con un approccio ecologico, fu la tendenza a una sorta di mimetismo e ibridazione40 più che integrazione. Ancora Andrea Branzi nel 2006 analizzò la realtà contemporanea, in particolare il rapporto naturaartificio, come premessa per un’architettura non figurativa. Definì l’epoca attuale dei “Funzionoidi”41 e, fra le altre sentenze, ne descrisse l’architettura evolutiva (dove la variabile tempo è un elemento strutturale e dinamico) integrata e simbiotica con la natura.42 In linea generale sembra che gradualmente ci si stia avvicinando a un’architettura sempre più fluida e diluita con il contesto verde, talvolta indeterminata in sé stessa, che affida il suo significato alla presenza della vegetazione. Tuttavia le architetture analizzate nelle pagine successive non si focalizzano su questa tendenza. Non si parla genericamente di flora, ma per ogni progetto vi è un elemento specifico: Albero, che raduna intorno a sé un preciso significato, con cui l’architetto ha dovuto rapportarsi.

Si tratta quindi di architettura e non di giardinaggio. Dalle premesse storico-teoriche precedenti ho sviluppato la riflessione sul rapporto Architettura e Albero. Procedendo nella ricerca attraverso molteplici casi studio, ho escluso quelli che non veicolassero una particolare costruzione logica progettuale, non volevo infatti redigere una collezione di casi, ma piuttosto tentare, attraverso riferimenti significativi, di mostrare differenti modalità attraverso le quali si esplicita quella particolare relazione tra artificio e natura che è l’architettura strutturata intorno all’albero. L’intento è quello di analizzare ragionamenti prettamente progettuali, motivo per cui la maggior parte delle fonti sono interviste agli stessi architetti, piuttosto che monografie. Nel corso dell’approfondimento è stata una scelta critica consapevole trovare collegamenti fra i vari approcci al progetto, ciò giustifica la scelta di suddividere i riferimenti in sei categorie. Ogni categoria non vuole essere un sottoinsieme fisso del tema principale, ma una possibile griglia atta a produrre riflessioni. La prima categoria tratta l’elemento albero come generatore di geometrie, i progetti interessati sono Casa Levene di Eduardo Arroyo, e Plywood house di Herzog & de Meuron. I volumi dei due edifici devono i loro connotati alla presenza arborea. Il primo progetto è stato selezionato per la ricerca analitica minuziosa e complessa pre-progettazione, il secondo per la profonda delicatezza e rispetto dello spazio e della crescita dell’albero. La categoria successiva vede l’albero come tramite di una nuova dimensione, Mirrorcube di Tham 11


& Videgard e Too-high Teahouse di Terunobu Fujimori, sono edifici dalla singolare capacità di trasportare il fruitore in un mondo surreale. Il primo caso è stato scelto per una destabilizzante tridimensionalità nata dal bidimensionale, il secondo invece per un approccio anticonformista, un’estetica tutt’altro che minimal e un uso tradizionale e al contempo innovativo dei materiali. Nella terza categoria si tratta dell’albero come preesistenza, in Ring around a Tree di Tezuka Architects e nel Padiglione dei Paesi nordici di Sverre Fehn, l’albero è una sorta di testimone storico del luogo. Il primo progetto si distingue per i ragionamenti pedagogici in architettura e per la capacità di rispecchiare egregiamente la misura umana (o meglio dell’infanzia), mentre il secondo per la volontà di fare architettura pura, concreta e significante, d’indiscutibile qualità. Successivamente si è ragionato sull’albero come elemento dell’interno attraverso la Casa de Vidro di Lina Bo Bardi e il Padiglione del Giappone di Ishigami. Il progetto della Bo Bardi è stato inserito non solo per i ragionamenti sugli spazi del quotidiano, ma soprattutto per la sua capacità di mutare la giungla in elemento architettonico presente e dialogante con lo spazio abitativo. Ishigami invece è fondamentale per la sua ricerca fra interno ed esterno, in cui l’albero diventa arredo, il fuori dentro, l’ambiente architettura. Nella quinta categoria l’albero è metafora progettuale, la casa-albero di Giuseppe Perugini e Hexenhaus dei coniugi Smithson sono accumunate da una simile modalità di intervento, ovvero, pensare l’architettura per parti, l’edificio 12

per ramificazioni, e il percorso progettuale come una sorta di essere vivente, a cui apportare gradualmente modifiche, in un brillante gioco architettonico. L’edificio della famiglia Perugini è testimonianza del brutalismo italiano, oltre che uno dei primi tentativi di progettare con il calcolatore, mentre il secondo è la realizzazione del famoso paradigma degli Smithson dell’ordine conglomerato. L’ultima categoria tratta l’albero come confine spaziale, si differenzia dalla prima categoria perché il ragionamento non s’identifica più sui volumi ma piuttosto in campo bidimensionale. Si analizzano in questa sezione il Cabanon di Le Corbusier e il Museo Paula Rego di Eduardo Souto de Moura. Come già stato detto Le Corbusier non compie una vera e propria ricerca fra edificio e albero, tuttavia vivendo nella Tiny House (sperimentazione sullo spazio abitativo minimo) cominciò ad avere l’esigenza di delimitare uno spazio e di espandere il suo abitare. Fu così che integrò l’albero di Carrubo preesistente nel suo progetto, prima utilizzando lo spazio ombroso sotto la chioma come studio estivo, successivamente rendendolo delimitazione dello spazio privato, in un ragionamento planimetrico sul confine. Nel progetto di Souto de Moura invece vi è un ragionamento di sottrazione e addizione su piante e prospetti, gli alberi segnano il confine di ciò che sarà edificio, ma senza alterarne i volumi.


1.1. Iconografia.

La seguente è una selezione di immagini esplicative delle premesse storico-culturali affrontate nell’introduzione, necessaria per contestualizzare l’argomentazione del progetto architettonico intorno all’Albero. In ordine cronologico, le seguenti immagini vogliono essere icone dello spirito degli anni che rappresentano, secondo il tema del rapporto natura-artificio.

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Fig. 1 Capanna di Laugier, 1753 Primo passo verso una semplificazione del linguaggio architettonico ispirata ai processi della natura.



Fig. 2 Carta da parati Acanthus, William Morris, 1875 L’architettura muove i primi passi verso la semplificazione razionalista mentre l’elemento naturale è relegato all’estetica ornamentale.



Fig. 3 Geographic section, Patrick Geddes, 1909 Geddes è il padre dei primi ragionamenti sulla vita dell’uomo legata ad uno specifico contesto territoriale.



Fig. 4 Wood Church, Gunnar Asplund, 1918-1920 Negli anni della nascita del funzionalismo europeo si sviluppano realtà diverse nell’ambito nordico, dove l’architettura gode già di un forte rapporto col contesto naturale.



Fig. 5 Casa Schindler-Chase, R.M. Schindler, 1921 Wright insieme ad altri architetti scappati in America a causa del conflitto mondiale, inaugura un ideale abitativo a contatto con la natura, responsabile delle prime sperimentazioni di integrazione fra verde e costruito.



Fig. 6 Broadacre City, Frank Lloyd Wright, 1934 Emblema e manifesto dell’ideologia wrightiana, è l’utopia urbana promotrice della poetica dell’architettura organica.



Fig. 7- 7a Ciam grid principles, Le Corbusier 1949 / Urban Re-Identification grid, Allison e Peter Smithson, 1953 Nel Dopoguerra vengono messi in discussione i dogmi funzionalisti dei pionieri dell’architettura moderna in favore di un maggior interesse nel contesto urbano, habitat dell’uomo.



Fig. 8 Doorn Manifesto, Team Ten, 1954 Documento simbolo di svolta nel pensiero architettonico moderno, promotore dell’integrazione fra funzione e ambiente (biologico, sociale ed urbano), ispirato degli studi di Geddes.



Fig. 9 Villa Savoye, Le Corbusier, 1928-1930 Fotografia degli anni 60 testimonianza dello stato di degrado dell’opera icona del Movimento Moderno, negli stessi anni della la fine dei CIAM.



Fig. 10 Casa Chemosphere, John Lautner, 1960 Il sogno borghese americano del vivere a contatto con la natura degenera in architetture dannose per il territorio, senza alcun rispetto per le preesistenze ambientali.



Fig. 11 Carpinus Betulus, Cesare Leonardi, 1962 Studi sull’Albero, al variare nelle stagioni, della crescita, e della caducità. Cambia la concezione dell’albero, non più una cosa, ma un essere vivente.



Fig. 12 Bosco residenziale, Non-stop City, Archizoom Associati, 1969-1972 L’habitat dell’uomo si fa sempre più fluido e mutevole, libero da costrizioni rigide.



Fig. 13 F. Hundertwasser and his first tree-tenant, 1973 Hundertwasser con il primo tree-tenant trapiantato a Milano, l’albero umanizzato “passeggia” con l’artista come due vecchi amici.



Fig. 14 Forest buiding, SITE, 1980 La natura prorompente “lacera� e si impossessa dell’edificio, che ripropone a scala mastodontica le fessurazioni dovute alla vegetazione. Negli anni Ottanta si ha infatti il boom del nuovo pensiero ecologista.



Fig. 15 Cattedrale vegetale, Giuliano Mauri, 2001 Progetti e ragionamenti degli anni Ottanta realizzati solo nel 2001. Gli alberi crescono ingabbiati da strutture lignee artificiali, che tuttavia con il passare degli anni, decomponendosi, lasciano l’elemento arboreo indipendente.



Fig. 16-16a Wish Tree, Yoko Ono, 1981 L’albero invade il campo artistico-performativo. Si fa portatore di preghiere e desideri, subisce una sorta di “personificazione”.



Fig. 17 Vogue Paris, David Hockney, 1985 L’albero è elemento significante, finalmente simbolo ed oggetto di indagine più profonda.



Fig. 18 Cappella di St.Benedict, Peter e Annalisa Zumthor, 1985-1988 La pianta rimanda esplicitamente alla foglia di un albero, in una metafora architettonica di significato simbolico.



Fig. 19 Struttura reticolare acentrata, Cesare Leonardi, 1988 Indagini sull’albero rispetto al contesto. La vegetazione è sullo stesso piano dell’uomo, viene studiato uno spazio artificioso ma in cui il verde abbia la precedenza.



Fig. 20 Stazione Atocha, Rafael Moneo, 1992 In un ambito di restauro Moneo decide di inserire un giardino invernale per migliorare l’habitat dell’edificio. In questo caso la vegetazione risana l’architettura.



Fig. 21 Gilles Clément, Parc Matisse, 1996-2000 Uno spazio rialzato nel cuore della città visibile ma non accessibile all’uomo, dove la natura possa essere libera di crescere ed invadere lo spazio.



Fig. 22 Wrapped Trees, Christo and Jeanne-Claude, 1997 Secondo la poetica di Christo del “nascondere” per mettere in luce, il messaggio dell’artista è chiaro: l’Albero è significante e merita attenzione.



Fig. 23 Padiglione dell’Olanda Expo Hannover, 2000, MVRDV La proposta di una nuova modalità del vivere e di fare architettura, più ecologica.



Fig. 24 Ufficio nel bosco, studio Selgascano, 2008 L’integrazione dell’ambiente non si ferma solo all’abitazione ma esplora tutti gli ambiti della vita dell’uomo, compreso quello lavorativo.



Fig. 25 Kanagawa Institute of Technology Workshop, Junya Ishigami, 2008 Ishigami inserisce il verde nel progetto secondo schemi ispirati alla realtĂ del cosmo, in rimando ad un ordine piĂš grande, la sua ricerca punta alla scoperta di nuovi spazi borderline fra artificio e natura.



Fig. 26 A Forest of Lines, Pierre Huyghe, 2008 L’artista disorienta il fruitore portando la natura in un contesto inaspettato, stratagemma per una riflessione piÚ profonda fra urbano e naturale.



Fig. 27 Guggenheim of desires, Saunders Architecture, 2009 Non è un caso che con l’avvento delle nuove poetiche architettoniche di integrazione del verde, si immagini un nuovo volto per il museo opera del padre del pensiero organico.



Fig. 28 Clear Cut Mirrored Forest Illusion, Joakim Kaminsky and Maria Poll, 2011 L’albero diventa elemento di ricerca per una nuova spazialità disorientante. Ambiguità simile al progetto Mirrorcube dello stesso anno, di cui parleremo nelle pagine successive.



Fig. 29 Wald aus Wald, Takashi Kuribayashi, 2011 Contrario della tendenza di “integrare la natura”, in quest’opera è l’umano ad essere “integrato”. Il fruitore è immerso nello spazio abitativo dell’albero, il sottosuolo, che tuttavia si presenta bianco e surreale, onirico.



Fig. 30 Gilles ClĂŠment, Manifesto del Terzo Paesaggio, 2012 Ragionamento sugli spazi di risulta fra artificio e natura, che non essendo catalogabili in nessuno dei due luoghi, sono profughi del paesaggio.



Fig. 31 Marco Bay, Palme in piazza Duomo, 2017 Non per un giudizio progettuale, ma piuttosto per lo shock mediatico ed i commenti discordanti di critici come Sgarbi o Daverio, provocati da un innesto arboreo in un contesto tanto delicato.



NOTE 1. C. Norberg-Schulz, Genius Loci. Paesaggio Ambiente Architettura, Milano, Electa 1992. p. 9. 2. ivi, p.169. 3. ivi, p.166. 4. Laugier e la dimensione teorica dell’architettura, a cura di Vittorio Ugo, Bari, Dedalo 1993.p.54. 5. ivi, p.54. 6. ivi, p.61. 7. ivi, p.97. 8. W.J.R. Curtis, L’architettura moderna del Novecento, a cura di A. Barbara e C. Rodriquez, Milano, Mondadori 1999. pp. 26-27.

9. ibidem. 10. ibidem. 11. R.A. Stern, Classicismo moderno, Milano, Di Baio editore, 1990. p. 15. 12. Laugier e la dimensione teorica dell’architettura, op. cit., p.90. 13. E.Frank, Pensiero organico e architettura wrightiana, Bari, Dedalo, 1978. p.42. 14. R.Banham, Ambiente e tecnica nell’architettura moderna, Roma, Laterza, 1995. p.VI. 15. F.Engels, La questione delle Abitazioni, in Volksstaat, Luglio 1999 16. Ambiente e tecnica nell’architettura moderna, op. cit., p.XII. 17. F.Brunetti, Le matrici si un’architettura organica, Firenze, Teorema, 1974. p. 74 18. Pensiero organico e architettura wrightiana, op. cit., p.38. 19. G.Montanari - E.Dellapiana, Una storia dell’architettura contemporanea, Novara, Agostini, 2015 p. 410. 20. K.Frampton, Modern architecture: a critical history, Londra, Thames and Hudson, 1980. p.271. 21. ivi, p.272. 22. Una storia dell’architettura contemporanea, op. cit., p.411. 23. ibidem. 24. J.Voelcker, in Arena, Giugno 1965, p.12. 25. Una storia dell’architettura contemporanea, op. cit., p.410. 26. sull’incontro di Otterlo, cfr. Oscar Newman, a cura di, CIAM 59 in Otterlo, Kramer, Stuttgart 1961 27. https://evolutionaryurbanism.com/2017/03/24/the-doorn-manifesto/ consultato il 24.09.2017 28. Modern architecture: a critical history, op. cit., p.273. 29. R.Banham, Los Angeles. L’architettura di quattro ecologie, Genova, Costa and Nolan, 1983 pp. IV 30. A.Branzi, Modernità debole e diffusa, Milano, Skira, 2006, p.19. 31. ivi, p.24. 32. ivi, p.22. 76


33. ivi, p.55. 34. ivi, p.23. 35. F.Hundertwasser, For a more human architecture in harmony with nature HUNDERTWASSER ARCHITECTURE, Colonia, Taschen, 1997, p.80.

36. For a more human architecture in harmony with nature HUNDERTWASSER ARCHITECTURE, op. cit., p.82.

37. http://old.triennale.org/en/archivio-fotografico/esposizione/23091-15trn?filter_catphoto=23201&cat=23201& filter_type=image consultato il 1.09.2017 consultato il 1.09.2017 38. C.Leonardi, La città degli alberi, in Domus Green n. 972, settembre 2013, pp.14-21 39. ivi, p.23. 40. C.Pozzi, Ibridazioni architettura-natura, Milano, Meltemi, 2003. p.83. 41. Modernità debole e diffusa, op. cit., p.10.

42. ivi, p.11.

BIBLIOGRAFIA . C.Bertoni, in “Domus Green”, n.994, 2015. . M.Corrado, Il sentiero dell’architettura porta nella foresta, Milano, Franco Angeli s.r.l., 2012. . C.Dorigati, Pan, paesaggio architettura natura, Milano, Libreria Clup, 2009. . A.M.Ippolito, L’archinatura, Milano, Franco Angeli s.r.l., 2004.

. P.Jodidio, Tree houses. Fairy tale castles in the air, Colonia, Taschen, 2012. . C. Norberg-Schulz, Intenzioni in architettura, Roma, Officina, 1977. . J.G.Trulove, Tree Houses by Architets, New York, Harper Design, 2004. . A.Wenning, Treehouses - Small Spaces in Nature, Berlin, Dom Publishers, 2012. . M.Zardini, Un giardino in movimento, in “Lotus”, n.122, 2004, pp.112-117

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2. . ALBERO, GENERATORE DI GEOMETRIE

. Premessa Plywood House e Casa Levene sono accumunate dall’azione di piegatura dei volumi rispetto all’elemento arboreo. Ma mentre Eduardo Arroyo si rapporta all’intera foresta, e ne riconosce il valore come contesto, Herzog and de Meuron si focalizzano su un unico albero, “caro alla committente”, che quindi assume in primis un carattere di unicità, e in secondo luogo di elemento naturale. Inoltre il processo progettuale di queste due architetture si discosta profondamente: Casa Levene è frutto di un complesso studio analitico, una ricerca geometrica intricata, per una soluzione distributiva fuori dal comune senza precedenti tipologici; Plywood House è invece, agli antipodi, un impianto semplice, adatto ad esaltare ed integrare l’albero di Paulownia nell’edificio, non si rivela “anti-forest” come Arroyo definisce Casa Levene, ma piuttosto abbraccia l’elemento naturale. Il volume di Casa Levene nasce dal “negativo” della foresta, quello di Plywood House dall’accoglienza dell’architettura.

Immagine originale dell’autrice.

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2.1. Plywood house Herzon & de Meuron Bottmingen, Switzerland 1984-1985 Paulownia tomentosa Common name: princesstree Native to central and western China 10–25 m


Plywood house si innesta come ampliamento della residenza preesistente, al centro di un sito d’angolo, si presenta come un volume in compensato, rettangolare ed allungato, connesso sul lato est con la casa principale, offrendo così due accessi, uno pubblico visibile dalla strada ed uno privato. Il sito si presenta come un’ampia superficie verde, con sfondo di folti alberi a sud, e alcuni sul lato opposto, vicino alla prima casa, abitata da una sola occupante. La nuova struttura è anch’essa di piccole dimensioni, sufficienti però ad ospitare un teatro per le marionette. Per restare in tema, la casa è stata costruita così come uno strumento musicale o un pezzo d’arredo sarebbero progettati, è uno spazio minimo ma fluido e modificabile. La premessa con cui gli architetti lavorarono fu quella di produrre il minimo ingombro, preservando e conservando così il più possibile l’ambiente naturale. The decisive word is “target”. The oft-noted antithetical quality of Herzog & de Meuron’s work – minimalism and ornament, cosmetics and structure, image and body – seems to be based on an intentionally cultivated tension between intellectual enquiry and the pleasurable reception of physical data. There is a evidently method to the deployment of contingencies. The bend or fold in the Plywood House in Bottmingen proves to be an architectural curtsy, so to speak, to the full-grown princess tree (Paulownia tomentosa) standing next to it. They know the secret of genuine originality: it always responds to what is already there. However, this does not mean that the architecture of Herzog and de Meuron seeks its place among things with particular caution or even submission. Regardless

of whether they are dealing with residential housing or warehouses, production plants or public buildings, their designs always show a rigorous, conceptual treatment of space that takes its cue from American Minimalism and whose module is the container. The incisiveness with which this aesthetic is pitted against homespun traditions and the aura of coziness may hurt at times. But anhumanistic approach does not have to be in-human.1

L’approccio all’esistente si basa quindi su dati reali, evidenti nel sito, con cui i progettisti operano, ed altrettanto concretamente l’architettura risponde, interagendo con il contesto, che influenza quindi il progetto fino ad una completa integrazione. L’esistenza di un albero di Paulownia, caro alla cliente Eva Brunner-Sulzer, adiacente al punto stabilito per la realizzazione dell’edificio, genera una situazione complessa: il problema fu risolto piegando la facciata sud rivolta verso l’albero. The addition’s vicinity to a mature Paulownia tree elicits an embracing gesture in the south façade. Together with the double posts of the central bay and the three-sided enclosure, the re-entrance south façade recalls Le Corbusier’s Swiss Pavillion (Cité Universitaire) while the refined detailing with the large overhang of the roof and the smaller ledges above the windows are perhaps more reminiscent of Frank Lloyd Wright.2

Considerando al primo posto fra le necessità progettuali la conservazione dell’albero, esso è incluso con rispetto come parte dell’architettura. L’albero e l’edificio di compensato formano tutt’ora una singola entità indivisibile. È consuetudine associare i due architetti al concetto di “pelle architettonica”, un involucro che cela la verità strutturale dell’edificio e restituisce 81


un carattere sintetico all’architettura. Essa non è solo il medium tra l’interno e l’esterno, ma si fa portatrice di percezioni, di relazioni, dell’identità dell’edificio stesso, capace di evolvere nel tempo. Fra le varie fonti di ispirazione i due architetti prediligono l’artista Joseph Beuys, da cui infatti adottano le istanze nel trattamento dei materiali. “The nature of my sculpture is not fixed and finished. Processes continue in most of them: chemical reactions, fermentations, colour changes, decay, drying up. Everything is in a state of change”.3 Per questo motivo decisero di smaltare gran parte della superficie di Plywood house, rendendo la siluette dell’albero più evidente, nel contrasto fra tono chiaro della Paulownia e tono scuro del compensato smaltato. Chiudendo alle estremità il salone centrale, i nuclei umidi della cucina e del bagno sono da un lato e dall’altro del palco destinato agli spettacoli di burattini, a cui vi si accede da alcune piccole scale nascoste in una sorta di alcova-magazzino, che si estende lungo tutta la parete nord. Lo spazio centrale, polifunzionale, durante le messe in scena funge da platea, ed è quindi raggiungibile dalla casa attraversando il passaggio o esternamente dalla strada, seguendo un cammino che termina ai confini del lotto. L’edificio, quasi spartano, potrebbe essere considerato un’architettura temporanea, rimovibile e smontabile, per il suo carattere più vicino al padiglione che alla casa: è una costruzione in pannelli di compensato montati a secco, modulari e prefabbricati, okume per gli esterni e betulla per gli interni. I pannelli sono ancorati ad un sistema a Ballom frame indipendente dalla 82

struttura principale costituita da pilastri in legno composti da due parti unite meccanicamente con viti. La copertura è a due falde: una struttura semplice, rifinita con il medesimo rivestimento delle facciate. La volontà costruttiva di impatto minimo, motivò la scelta adottata per il l’isolamento dal suolo, per non invadere il dominio delle radici della paulownia infatti la casa poggia solamente su una tavola di legno, la struttura non invade quindi il terreno con scavi, ed anche in questo Herzog & de Meuron dimostrarono una forte coscienza verso l’evoluzione dell’ambiente. L’architettura, di forma semplice, rafforza il legame con il contesto, lasciando l’albero protagonista, in un incontro delicato, una danza intima fra artificio e natura. La casa fa spazio all’albero, in maniera spontanea e naturale, senza calcoli e analisi complesse, non cinge l’albero, non ne soffoca il tronco, non ne ruba lo spazio e non ne fa dipendere la sua intera geometria, ma vi si avvicina e discosta un poco, in maniera sì evidente, ma con la volontà di adattamento di una pacifica convivenza.

Fig. 32 Prospetto sud Plywood house.



Fig. 33 Maquette di studio.



Fig. 34 Planimetria.



Fig. 35 Vista interna lato ovest.



Fig. 36 Vista interna lato est.



2.2. Casa Levene Eduardo Arroyo – no.mad San Lorenzo de El Escorial 2006 Pinus subg. Ducampopinus Common name: pine Native to Northern Hemisphere 15–45 m


L’architettura di Arroyo si distingue per il forte legame con il contesto e per le soluzioni non convenzionali al rapporto contraddittorio di natura ed artificio. Ne scrisse William J.R. Curtis. The architecture of Eduardo Arroyo reveals another response to the elusive relationship between technology and nature, Arroyo insists that his work derives from an impersonal method of analysis taking into account social use, topography, surface area, proportions of diverse materials, access etc. In effect he attempts to “map” each site and circumstance so as to discover hidden potentials. The geometry of his buildings, landscapes and urban designers reveals the intention of reconciling the contrasting demands of each task in a complex configuration. This can be sensed in Arroyo’s design for the Levene House now under construction in the pinewoods behind San Lorenzo de El Escorial. Here the different territories of the dwelling have emerged through virtually an act of geomancy, taking into account individual trees, the irregular borders of cleanings, the varying intensities of light on the forest floor, the degrees of privacy on the interior. The angled facets of the plan thus respond to both internal and external pressures. Arroyo thinks of a building as a spatial field surrounded by layers.4

Arroyo affrontò il progetto partendo da una base analitica, come uno scienziato, studiò e classificò le preesistenze (con questo termine intendiamo non solo residui urbani ma anche e soprattutto il contesto naturale) partendo da un presupposto di base: “Everything that happens in nature is the fruit of chance and necessity”.5 Solitamente Arroyo si approccia al progetto in modo minuziosamente scientifico, prende in considerazione le varie possibili soluzioni,

sperimentando e deformando le geometrie. Nel suo approccio progettuale la materia edificata non è più solo forma e volumi ma componente energetica, variabile secondo le leggi di adattamento. The world is probable, not casual. Our projects are thus starting to be configured as fields of probabilities in which intentions can only represent a percentile approach to the final output, which is the endpoint of our responsibility for the future (…) architecture can no longer be defined as “the play of volumes in the light”: as we have seen, matter and energy are the same thing (…)When a complex atom with a certain internal geometry is bombarded, it tends to split and organize itself into smaller atoms with a readapted geometry, which releases energy. We now know that what is produced in this process is only a change in the spatial atomic structure of matter, and that this expulsion of energy is a direct consequence of geometric change, which thus appears to us as a different language to speak about the same thing: energy. Geometry is probably more important than is normally believed in architecture. It could be regarded not only as a component in the definition of form, but as something more complex that contains processes of adaptation to the environment and time which can produce diverse types of optimization of our intentions via pacetime discoveries that are the fruit of interaction with the world we operate in.6

Parlando di Casa Levene l’architetto spiega in questo modo il ragionamento applicato, con un appoccio concreto e analitico. For the concept of this home, we asked ourselves whether we were capable of building something while maintaining the utmost respect for the

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natural surroundings, avoiding speaking about sustainability, alternative energy or ecology as a veneer for modernity and political correctness. Perhaps it was ultimately a question of making the most of the qualities of the given natural environment, maintaining the utmost respect for the natural qualities afforded to us, and having a minimum impact on them. We thought that a good way to start might be to adapt the volumetric line of the building to existing forest, leaving the plantation to choose the way it would be experienced. As the starting point for this process, we identified the clusters of trees that work together in the forest while we dared to call everything that lies outside them the “anti-forest” or a construction-susceptible void, without having to remove any trees. We generated a flat geometry on top of this void to avoid the trunks and take the heights from the existing ground level and the slopes of roof planes permitted by the by-laws. This operation appeared to be an immensely complex part of the process, and forced us to numerous tests until we arrived at the solution that met all the parameters at every point of the final volumetric. What appeared was a non-Cartesian geometry with a faceted volume that adapted the topographic conditions and the planning requirements, inciting us to resolve the brief for this home in an exciting space. The geometry is what will define and discover the ways of experiencing the spaces and their relationship with the outside landscape, a surprising, fruitful relationship between a forest and strict regulations.7

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La geometria finale di Casa Levene esclude la possibilità di utilizzare qualsiasi tipo di distribuzione e tipologia tradizionale, fu quindi adottato un approccio per “specializzazione”. Ogni propaggine della casa assunse un suo particolare programma progettuale con specifiche

soluzioni. In particolare una parte della casa è dedicata allo spazio pubblico, per gli ospiti, mentre l’altra gradualmente sviluppa privacy e intimità. Questo approccio esclusivo ad ogni singola parte non impedì però la realizzazione dell’obbiettivo generale per ogni spazio della casa. “An interior response to the condition of a relationship with the forest and the necessary conditions of privacy and occlusion, with the revealed geometry presenting us with the gift of the spatial diversity of each one”.8 I materiali scelti dall’architetto esaltano le geometrie di progetto e filtrano l’essenza della foresta all’interno dell’edificio, rendendo ancora più esplicito come l’elemento arboreo non sia considerato mero oggetto di contesto, ma generatore di volumi e di energia vitale, presente all’esterno come all’interno. Once inside this fabulous landscape, we want to make the most of its features and open up to the maximum influence of its geometric, light and spatial conditions. From this perspective, the envelopment of the house has gradually transformed its glass and stone skins according to the proximity of the trees, their ability to provide shade, their presence and the type of programme in each specialized finger. So in order to bring all the rooms into direct, intimate contact with the exterior, the skins that define the broken volume have etched transparencies, opacities or screenprints with differing densities on its components, the influence of the forest on this strange object that has invaded the tranquilly of his territory. Inside the home, the floors, walls and flowing ceiling of amber resin absorb wooden slats that allow the abstract presence of the forest to enter and blur the outside/inside divisions as if our interior space were a fossil even before it existed.9


Fig. 37 Schemi analitici anteprogetto.


Fig. 38 La fotografia mostra un“dito” irregolare dell’edificio.



Fig. 39 Interni di Casa Levene, lo spazio comune centrale.



Fig. 40 Interni di Casa Levene, soggiorno.



Fig. 41 Interni di Casa Levene, cucina (ogni parte della casa ha un colore deteerminante del pavimento di resina e dei rivestimenti).



Fig. 42 Esterno di casa Levene.



NOTE 1. P. Ursprung, Herzog & de Meuron. Natural History, 2005, p. 283. 2. W.Wang, Herzog & de Meuron, University of California , Artemis, 1992 p.102 3. J.Beuys - V. Harlan, What is Art?: Conversation with Joseph Beuys, Sandy , Clairview Books, 2004 p.9. 4. W.J.R. Curtis, Territories of investigation, in El Croquis, 118, 2004 p. 4-26. 5. E.Arroyo, Principles of Uncertainty, in El Croquis, 118, 2004 p. 26. 6. ivi, p.54. 7. ivi, p.92. 8. ivi, p.85. 9. ivi, p.82.

BIBLIOGRAFIA . J.F.Chevrier, A conversation with Jacques Herzog and Pierre de Meuron, in El Croquis, n.152-153 . Herzog & De Meuron, a cura di Josè Luis Mateo, Michigan, G. Gili, 1989

SITOGRAFIA . https://www.herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/026-050/027-plywood-house.html consultato il 2.08.2017 . https://proyectos4etsa.wordpress.com/2016/06/24/casa-de-madera-contrachapada-1984-1985-bottmingensuiza-herzog-de-meuron-2/ consultato il 3.08.2017 . https://es.scribd.com/doc/47020052/Herzog-de-Meuron-Tate-Modern consultato il 1.08.2017 . http://www.revistaad.es/arquitectura/articulos/se-vende-mito-iv-casa-levene/17302 consultato il 2.08.2017 . http://www.elmundo.es/elmundo/2009/03/18/suvivienda/1237375844.html consultato il 1.08.2017 . http://www.nomad.as/matriz.php?l=0&m=0&go=0 consultato il 3.08.2017 . http://www.plataformaarquitectura.cl/cl/02-305860/casa-levene-en-el-escorial-no-mad consultato il 3.08.2017

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3. . ALBERO, TRAMITE DI UNA NUOVA DIMENSIONE

. Premessa Mirrorcube e Too-high Teahouse trasportano il fruitore in una realtà surreale, grazie alla loro capacità di creare un mondo ai limiti fra realtà e artificio. Si tratta di due case sull’albero, ma mentre Tham & Videgard si agganciano ad un abete vivente, Fujimori usa come elementi di supporto tronchi tagliati lasciati a grezzo. Mirrorcube crea una nuova spazialità percepibile dall’esterno, Teahouse compie la sua magia all’interno della soglia invece. Mentre l’architetto giapponese utilizza materiali naturali per armonizzare le case da tea alla natura, senza utilizzare nessun elemento vivo, i due scandinavi invece giocano forza sul riflesso vibrante della foresta.

Immagine originale dell’autrice.

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3.1. Takasugi-an (Too-high Teahouse) Terunobu Fujimori Chino, Nagano Prefecture, Japan 2004 Castanea Common name: Japanese chestnut tree Native to temperate regions of the Northern Hemisphere max. 10 m


Fujimori per molti anni si dedicò unicamente alla storia dell’architettura, tralasciando la progettazione. Solo quando, venti anni dopo la sua laurea, una famiglia del suo villaggio nativo lo pregò affinché potesse accettare un incarico per la realizzazione di un museo locale, finalmente si mise in gioco con la pratica del progetto. Nel corso degli anni l’architetto sviluppò una poetica di “intimate and surrealist architecture”,1 i suoi progetti trasportano il fruitore in un mondo surreale seppur mantenendo sempre un forte legame con il paesaggio. Particolarmente interessante è come il lavoro di Fujimori si distacchi così radicalmente da molti suoi coetanei compatrioti, lo stesso Toyo Ito, cresciuto nella medesima area del Giappone, seppur stilisticamente agli antipodi guarda al lavoro di Fujimori con ammirazione. At first glance, his houses look very traditional. Moreover, his works express a strong vertically. In contrast, my works are covered with aluminium and steel and express a strong horizontality. One could assume he grew up in mountains and forest, while I grew up gazing upon a lake (…) For an architect following modern trends, Fujimori’s architecture looks like the work of a maniac with unusual taste. However, he is a historian who has studied architecture dating from antiquity to the present day. Like an encyclopedia, his head seems to be packed full of different styles, both Eastern and Western, old and new. But his architecture is not a combination of “citations”. It is totally original.2

L’architettura di Fujimori è astratta, non secondo i principi geometrici di Euclide (non è composta da cubi bianchi) ma fluttua nell’aria, senza essere

trasparente e leggera. Differisce profondamente dagli spazi astratti che caratterizzano le opere di Sejima o Nishizawa First of all, there is the way in which he uses materials. The materials themselves can be wooden boards, soil, or mortar mixed with straw. They evoke a strong feeling of nature. They express something really pure. Paying close attention to details, Fujimori avoids showing anything that is not necessary, like door frames. Quite often, the floor, the walls and the ceiling are all covered with the same material like soil or wood. It is like an “organic” and “rough and uneven abstraction” in contrast to an “inorganic” and “smooth and shiny abstraction”, a concrete abstraction.3

L’architetto usa lunghi tronchi come pilastri, assorbiti dai bianchi soffitti, donano la verticalità di un albero cresciuto, piuttosto che semplici colonne. Nel lavoro di Fujimori è riscontrabile un forte richiamo all’altezza, la sospensione da terra, la volontà non di vertigine, ma di fluttuare. “Building are normally seen from the side or from above, and seldom seen from below. Looking up at a building from below gives me a new impression”.4 Spesso, a differenza della comune pratica di architettura, l’architetto organizza team-work con gli abitanti del luogo, ragazzi, bambini e amici, la maggior parte non professionisti, con cui insieme improvvisa e sviluppa idee per creare qualcosa di nuovo. Nella sua filosofia i prodotti della moderna tecnologia dovrebbero essere usati per la struttura e non essere visibili, mentre i materiali naturali, preferibilmente grezzi, dovrebbero essere gli unici evidenti. Gli alberi, incorporati nell’edificio 111


hanno il compito di armonizzarlo con la natura. Fujimori definisce la sua architettura greening architecture.5 Secondo Toyo Ito essa trasporta il fruitore in un mondo naturale e surreale. His architecture really looks like something that comes from far away or that is flying far away. That is why the interior of his works engender the impression of an “independent universe”. For Fujimori, architecture in perhaps a reminder of the existence of a “bigger nature beyond nature”.6

Fujimori predilige la progettazione delle Teahouse, da cui è ammaliato per il fascino particolare. Teahouse as minimal spaces, used exclusively for drinking tea, exist only in Japan and are generally extremely small. They are: minimal size, enclosed spaces with a very small entrance, windows trough which light enters the room but covered with paper (it is thus not possible to look outside), a fireplace, simple materials, buildings methods used for constructions by amateurs (…) I worked on the teahouse only because I, too, was searching for the essence of architecture. Today’s architecture follows the path of excessive growth and industrialization. Their dimensions and the boldness of their forms are surprising, but they do not touch the heart. I believe that only architecture that goes through this process will regain the ability to touch the souls of the people who visit it.7

Too-high Teahouse, ovvero la sua teahouse personale, costruita vicino alla casa nativa, è ancora più significativa delle altre perchè rispecchia la personalissima visione dell’architetto. Questi edifici rispecchiano l’interiorità del fruitore, che in questo caso ne è anche il progettista . Just one leg is dangerous, and three legs are too stable and boring, so I used two legs. I was not interested in making a tree house on top of a

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natural tree; I wanted to create a totally artificial tree house from top to bottom. The Teahouse is like a clothing in a sense. It is a compact space created as an extension of your body. Therefore, the teahouse is the ultimate personal architecture. In essence, you build your teahouse by yourself for yourself. This is a teahouse that I constructed for myself. I started by going into the mountains near my hometown to cut down two Japanese chestnut trees. I erected them on my site and I did all the construction work with the assistance of my friends. I referenced the traditional entrance of a teahouse, called nijiriguchi for which you have to crouch down to enter by making a small entrance. However, in this teahouse you enter after climbing up a six-and-a-half-meter ladder, so my entrance should be called nijiri-agari-guchi, which means you have to climb in from below. Nijiguchi has the effect of separating the interior space from the outside. Indeed, when you crawl into a teahouse through a nijiriguchi, you feel like you are in a different world. A hearth is located in the center. Bamboo lattice can be seen outside the window, on the left. Moonlight reflects on the surface of bamboo at night. The roof is covered with hand-rolled copper, sheets because a roof with cryptomeria bark or a roof with thatch is easily damaged. Later, since I am found of them, hand-rolled copper roofs became a standard feature in my architecture. I think that the weathering process of copper is quite beautiful.8

L’albero che sorregge l’edificio di Fujimori non è radicato a terra, tagliato ed utilizzato come struttura portante, non subisce grandi trasformazioni, non diventa “legname”, mantiene ancora intatta la sua entità di albero, non più elemento vivo, ma


mediatore responsabile di una natura “altra”, che non pretende di essere viva, ma di armonizzare l’artificio al contesto. Gran parte delle assi erano imbarcate e fessurate, e i falegnami locali le avrebbero probabilmente scartate o usate come legna da ardere. Per me, invece, quelle imperfezioni avevano una loro bellezza: erano la prova che l’albero aveva abitato la foresta pochi giorni prima. A differenza dei prodotti industriali, i materiali naturali hanno sempre questi ‘difetti’, che ai miei occhi sono tutt’altro che imperfezioni: questi imprevisti prodotti dalla natura possono anzi diventare particolari progettuali di qualità (…) Ma tutto questo può accadere solo quando si usano vecchi alberi, dai quali dalla notte dei tempi si sprigiona una forza primordiale: non succede con il ferro, il cemento o con il legname lavorato in maniera industriale.9

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Fig. 43 Maquette di studio.



Fig. 44 Esterno di Too-high Teahouse.



Fig. 45 Interno di Too-high Teahouse.



Fig. 46 Stampa della tradizionale tecnica giapponese di lavorazione del legno.



Fig. 47 La tecnica tradizionale giapponese di lavorazione del legno viene riutilizzata da Fujimori in epoca moderna.



3.2. Baumhotel in Harads - Mirrorcube Tham & Videgard Arkitekter Harads, northern Sweden 2010 Picea Common name: spruce Native to the northern temperate and boreal regions of the earth 20–60 m


Cabin, Bird’s Nest, Blue Cone, Ufo e Mirrorcube: cinque case sull’albero della foresta nella località di Harads, Svezia settentrionale, cui nei prossimi anni se ne aggiungeranno altre progettate da vari architetti scandinavi. Le insolite camere d’hotel hanno una dimensione da 15 a 30 mq, con dotazioni per due o quattro persone. Per garantire la vista sul fiume, i volumi sono sospesi a 6 m d’altezza. “The simple tree house is clad in a surface that is mirrored on the outside and transparent on the inside. From inside we can see out, but the reflective exterior causes little cabin to disappear among the trees”.10 Mirrorcube deve perciò il suo nome all’involucro a specchio che riflette cielo e foresta; una pelle estesa senza soluzione di continuità a pareti, porte e finestre. Tema presente in ogni architettura del duo nordico è il rapporto con il contesto ambientale. Il tema dell’abitazione con una coerente e continua ricerca di dialogo tra natura e architettura, uno scambio ininterrotto di dare e avere che si rinnova ogni volta. Il legame con il paesaggio si traduce perlopiù in figure architettoniche semplici e l’impiego di forme organiche non risponde ad un’intenzione mimetica, ma piuttosto astrattamente evocativa. Anche gli organismi più complessi nascono da ordinate aggregazioni di solidi elementari.11

Il volume cubico (di 4x4x4 metri) è agganciato intorno ad un albero grazie ad anelli metallici allargabili nel corso degli anni, per seguire la naturale crescita del tronco. Our basic ideas are formless. They have to do with a way of moving about, or a relationship to nature, or a method of construction. Then you have to

find a way of handling them, which can be a rectangle, a square, a circle or something else. It’s a question of efficiency more than anything else. When an idea works in a context we try to summarise it. No particular geometry is evaluated, but if a triangle does the job best, then OK.12

La casa sull’albero offre una vista sulla foresta a 360°. Lo scheletro della struttura è in alluminio mentre l’interno in compensato, seppur lo spazio sia minimo comprende un letto matrimoniale, un bagno, un salotto e una terrazza sul tetto (raggiungibile con una scala a pioli). Destinata per due persone la casa sull’albero è accessibile tramite un sottile ponte di legno e corda. Gestita da un piccolo hotel delle vicinanze chiamato the Brittas Pensionant, l’edificio fu pensato come un prototipo per altre 10 case sull’albero simili. Il progetto dell’hotel puntò non solo alla realizzazione di spazi non convenzionali, ma Mirrorcube fu inoltre realizzato nel pieno rispetto dell’ambiente, dai materiali, ai metodi di fissaggio a secco fino agli scarichi e l’impianto di riscaldamento, tutto ecocompatibile. “Gli ambienti, descritti attraverso pochi semplici segni e dotati di arredi essenziali, grazie all’impiego di un materiale naturale vivo come il legno - frassino e pino per pavimenti, mobili e infissi - sono accoglienti e dal sapore domestico”.13 Per evitare che gli uccelli collidano contro il vetro riflettente, un colore trasparente ultravioletto visibile solo ai volatili è stato applicato nei pannelli di vetro. Il progetto dello studio svedese è identificabile con l’archetipo di casa sull’albero, ovvero un elemento artificiale sospeso da terra, sorretto da un elemento naturale vivente.

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La casa sull’albero realizza un sogno infantile, il desiderio di evadere e rifugiarsi in un contesto nuovo, di riflessione, di contatto e permeabilità nei confronti della natura. Questa avventura simbiotica, quasi istintiva, che ogni bambino, e forse anche adulto, sognata almeno una volta nella vita, si fa però più significante. “A light ramp leads up to the mirrored cubic tree house. Depending on the angle of view, the structure almost disappears into its forest background, and seems to hang in space”.14 Il volume cubico, geometricamente puro e minimalista, grazie alle superfici vetrate mostra un nuovo mondo, riflette la foresta circostante e la restituisce distorta, aggiungendo una nuova dimensione surreale (visibile ma non accessibile) al piano della realtà. Mirrorcube non è meramente un’opera stante: si potrebbe definire un trompe-l’oeil moderno, quella che restituisce non è una copia dell’intorno, il cubo di specchio infatti non scompare nella foresta, ma ne mostra uno squarcio snaturato, la sua non è un’operazione di mimetismo ma di restituzione, attua a suscitare lo stesso primo smarrimento di un Magritte. Non si può dire che ciò che si vede non sia vero, ma piuttosto che non sia reale. Vi è un elemento artificiale, che produce il riflesso di un elemento naturale, si può dire quindi con certezza che: mirrorcube sia artificiale, che la foresta sia naturale, ma il riflesso sulla superficie? Non si potrebbe con sicurezza identificare né come naturale né come artificiale. Il rapporto fra architettura e albero si può considerare in quest’opera come la ricerca di un terzo essere, che gravita fra le due entità, cercandone l’equilibrio. 126

Fig. 48 Esterno di Mirrorcube.



Fig. 49-50 Disegni di progetto. Esploso assonometrico, con i pannelli esterni, la struttura e i montanti. Pianta coperture con contesto. Sezione. Pianta del primo piano.



Fig. 50-51 Pianta secondo piano e sezione. Dettaglio costruttivo dell’involucro.



Fig. 52 Esterno notturno di Mirrorcube.



Fig. 53 Montaggio fotografico di uno spaccato dell’interno su una vista esterna.



NOTE 1. Terunobu Fujimori architect, edited by M.Buhrs-H.Rössler, Munchen : Museum Villa Stuk, 2012. p.21.

2. ivi, p.53. 3. ivi, p.19. 4. T.Fujimori, Fujimori Terunobu Architecture, Tokyo : Toto, 2007. p.41 5. ivi, p. 45. 6. Terunobu Fujimori architect, op. cit., p.43. 7. ivi, p.13. 8. ivi, p.125. 9. T.Fujimori, La Casa delle cicogne, Raiding, Austria, in “Domus”, 985, 2014. p.84. 10. Tham & Videgard Arkitekter, edited by T.Lauri ; Stockholm : Arvinius, 2009. p.15. 11. Luoghi dell’abitare : Tham & Videgård Arkitekter, a cura di R.Butini,Melfi : Libria, 2012. p.11. 12. Tham & Videgard Arkitekter, op. cit., p.12. 13. Luoghi dell’abitare : Tham & Videgård Arkitekter, op. cit., p.8. 14. P.Jodidio, Tree houses. Fairy tale castles in the air, Colonia, Taschen, 2012. p.359.

BIBLIOGRAFIA . Tham & Videgard Arkitekter, Hotel sull’albero ad Harads, in “Detail”, n.12/2011 pp.1406-1409. . Out of the real: Tham & Videgard Arkitekter,edited by J.Linton,.Basel : Birkhauser, 2011.

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4. . ALBERO, PREESISTENZA

. Premessa Ring around a Tree e il Padiglione dei Paesi nordici dialogano con alberi colmi di significato. Nel primo caso l’albero ha senso in quanto testimone storico e compagno di giochi, per questo l’architettura vi si arrotola intorno, celebrandone l’esistenza. Nel caso di Sverre Fehn invece gli alberi assumono il ruolo di spirito del luogo, ingabbiati (in senso oppositivo) dalla marziale griglia della struttura architettonica, che li rende così non solo preesistenze, ma anche archetipi.

Immagine originale dell’autrice.

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4.1. Padiglione dei Paesi nordici ai Giardini della Biennale Sverre Fehn Venezia 1958-1962 Fagus sylvatica Common name: beech Native to southern Sweden to northwest Turkey Max. 35 m


Il lotto assegnato per l’edificazione del padiglione dei paesi nordici destinato ad accogliere le opere d’arte provenienti dalla Finlandia, dalla Norvegia dalla Svezia si trova in prossimità dell’ingresso principale dei giardini della biennale a Venezia, tra il padiglione americano e quello danese, a ridosso di un salto di quota del terreno. Fehn risolvere il problema della compresenza di opere provenienti da tre diversi paesi in modo radicale, la costruzione non è compromessa o confusa da sofisticati sistemi linguistici o da ridondanti dettagli costruttivi: l’essenzialità dei principi compositivi, il ricorso alla monomatericità della costruzione, la proporzione degli elementi e dello spazio, e infine la ripetizione ritmica di componenti strutturali sono i punti fermi del progetto. Nell’approccio di Fehn all’architettura vi è anzitutto l’adattamento al sito, che non consiste nel sottomettersi alle circostanze naturali, ma semmai contrapporvisi in maniera significativa. “un uomo che calpesta un prato per la prima volta lascia sull’erba una traccia e le sue impronte, modificando la natura del luogo, costituiscono già architettura”.1 I tronchi di alcuni alberi, di cui non è dato vedere il coronamento di foglie, vengono inclusi nell’edificio secondo questa logica inclusivooppositiva. L’albero è una pianta strana. Contiene per sua natura una struttura magnifica e forte; ciascuna specie ha acquisito una sua forma specifica. Esiste un intero mondo di differenze espressive tra una quercia e un abete. In comune hanno però il drammatico incontro fra la terra e il cielo. Il punto di intersezione, orizzonte, è quello in cui l’albero raccoglie tutta la sua forza e raggiunge la

sua grandezza costruttiva. A partire da quel punto la pianta si slancia in entrambe le direzioni, verso l’espressione minima, distendendo le radici in basso verso il buio e i rami in alto, verso la luce. Tra questi estremi troviamo le dimensioni dell’albero che hanno ispirato le costruzioni d’uso degli esseri umani. Al contrario della pietra, del ferro del vetro, si può vivere con l’albero vicino alla pelle. Il calore che emana, la tempra che contiene citando il privilegio della vicinanza. Se guardiamo al materiale nella dimensione del tempo, i muri appartengono alla storia, l’albero è effimero e appartiene all’eternità. La forma che l’albero ha dato alla nostra arte del costruire si basa sulla linea retta.2

Nelle sue opere Fehn tende a dissolvere gli elementi verticali, facciate comprese, e a porre i fruitori di fronte alla radicale opposizione dei due limiti orizzontali fondamentali, il piano ove le cose giacciono e quello da cui la luce discende. Per questa ragione è possibile interpretare la sua architettura come un sistema compositivo che si avvale essenzialmente di luce, diaframmi e ombre, come dimostra in maniera lampante il padiglione dei paesi nordici. Fehn trasforma la luce intensa della laguna in una luce omogenea, senza ombre, strisciante come quella dei paesi del Nord. L’idea si concretizza attraverso una particolare soluzione per la copertura costituita da una griglia quadrata sospesa su un unico spazio coperto. La copertura è costituita da un doppio ordine di travi sovrapposte in calcestruzzo a vista, dello spessore di soli 6 cm, e un’altezza pari a 1 m. Le travi principali corrono libere da un capo all’altro dello spazio e poggiano su un muro di contenimento a Nord e su un’enorme trave in calcestruzzo a sud. La fitta trama dell’orditura secondaria poggia 141


invece direttamente su quella principale e, grazie alla sua notevole altezza e al passo breve dei singoli elementi strutturali, impedisce ai raggi solari di penetrare in maniera diretta nello spazio sottostante, garantendo un’illuminazione uniforme e priva di ombre alle opere esposte. Per non complicare ulteriormente il sistema di copertura, dei semplici fogli in fibra di vetro sono adagiati sugli estradossi dell’orditura superiore, per impedire alla pioggia, che viene convogliata verso i margini, di penetrare nell’edificio. Non esistono all’interno del padiglione strutture verticali, e l’unico pilastro si trova all’esterno, nel punto di incontro dei due lati vetrati del padiglione. Questo poderoso elemento strutturale sostiene la coppia di lunghe e altre travi del fronte sud, che si biforcano a 45° in prossimità di un albero preesistente, simulando una sorta di natura pietrificata. La superficie espositiva risulta chiusa e solo su due dei quattro lati: a nord un muro contiene il terreno della piccola collina adiacente e a est un secondo muro marca la separazione dal padiglione degli Stati Uniti. Gli altri due lati, invece, sono completamente liberi e dotati di ampie vetrate scorrevoli, che permettono alla natura del giardino di entrare a far parte dello spazio espositivo. Uno spazio di deposito è realizzato sotto la scala esterna, posizionata lungo il fronte est, al secondo piano c’è una terrazza superiore prevista per accogliere l’esposizione all’aperto. All’architettura, secondo Fehn, spetta il compito di riscoprire e preservare le memorie del luogo, interpretandole e rendendole manifeste e comprensibili. 142

In questo caso l’elemento albero è permeato di significato: di tutta la naturale mortalità umana e dell’opposizione ad essa, come Fehn spiegò in un’intervista di Marja Riitta Norri. Ho detto ai miei studenti che se, guardando un edificio, notano un bellissimo albero, significa che l’edificio è un bellissimo pezzo di architettura, perché il dialogo tra natura e architettura rende l’albero molto bello. La natura è, di per sé, puro calcolo: è tutto e niente. Le costruzioni realizzate dagli animali sono precise e immutabili, giorno dopo giorno, anno dopo anno; sono sempre le stesse perché gli animali non hanno il pensiero della morte. Così almeno credo. Pensa che l’uccello creda di vivere per sempre: è per questo che la struttura del nido è sempre la stessa, non cambia mai. La tana di una volpe rimane sempre uguale: L’ingresso è della stessa larghezza della volpe. Quando si è consapevoli della morte, della vita dopo la morte, si combatte spiritualmente con un’altra dimensione; allo stesso modo, quando si realizza una costruzione si crea qualcosa che va oltre i numeri, oltre i calcoli. Le costruzioni degli animali si basano su calcoli, rispetto alla terra e all’ambiente circostante, sono molto tecnologiche e precise. La cupola di San Pietro invece non è stata calcolata; È stata realizzata sulla base di un sogno su uno spazio dedicato a un mondo dopo la morte.3

Fig. 54 Schizzo di Sverre Fehn per il Padiglione.



Fig. 55 Particolare strutturale: griglia delle travi.



Fig. 56 Esterno, la trave portante si biforca in due ramificazioni oblique in prossimità dell’albero.



Fig. 57 Interno del padiglione con gli alberi preesistenti.



Fig. 58 Esterno, l’orizzontalità dell’architettura si contrappone alla verticalità arborea.



4.2. Ring around a Tree Tezuka Architects Tachikawa, Tokyo, Japan 2007 Ulmaceae Common name: zelkova Native to Boreal Emisphere max. 35 m


Obbiettivo primo dello studio Tezuka è la realizzazione di edifici a misura umana, respond to human life,4 progettando senza sprechi energetici e nel rispetto dell’ambiente. “I always say we became human when we started making Architecture. Before we were not. I think it has not changed in 21 centuries. We are just more aware of global environment”.5 Ring around a Tree è portavoce emblematico della poetica dello studio dei coniugi Tezuka. L’opera si presenta come un’appendice del Fuji Kindergarten, un loro progetto di qualche anno precedente. La nuova opera, realizzata tra il corpo principale esistente e una strada a traffico veicolare, comprende spazi adibiti al gioco, alle lezioni di lingua straniera e all’attesa dell’autobus. Pur non essendolo nella forma, di fatto Ring around a Tree diventa una sorta di ingresso casuale che collega l’entrata Sud del Fuji Kindergarten con lo spazio centrale ellittico interno alla scuola stessa, playground sul quale si affacciano tutte le aule. Il progetto è composto da un unico volume trasparente costruito in legno e vetro che si sviluppa a spirale verso l’alto, avvinghiandosi attorno a una zelkova giapponese, da considerare la vera protagonista del progetto. Piantata più di 50 anni fa, per via di un tifone era stata quasi sradicata, ma essa si riprese fra l’incredulità generale. Come ricordano i più anziani, questa zelkova veniva usata dai bambini per giocare quando ancora non vi era la scuola materna. Non da ultimo, prima che venissero avviati i lavori per Ring around a Tree, sull’albero vi era costruita una capanna di piccole dimensioni. È una sorta di luogo compagno di giochi da

generazioni, nonché temporaneo rifugio da pioggia e sole per i bambini in attesa di tornare a casa. It is my philosophy. I am very accustomed to the idea that we are part of all aspects of existence. Architecture is not making something against nature, we don’t need to protect ourselves from it. So we try to find a way to appreciate nature. In Europe, nature is something to overcome, but in Japan it is quite different. We try to bring nature into the room.6

I bambini piccoli non avendo ancora una capacità di linguaggio sviluppata, conoscono il mondo attraverso i sensi e il corpo, per questo per loro non è efficace la tradizionale lezione ex-catedra. Per dare quindi ai piccoli fruitori assoluta libertà di movimento, Ring around a Tree è sprovvisto di mobilio, niente misure di costrizione spaziale, niente banchi, sedie o cattedre, cosicchè i bambini possano giocare e sprigionare la propria creatività liberamente. Children are strong and capable enough to stay outdoors. Of course they need protection in extreme weather, though not all the time. When we think of old settlements, these buildings are comfortable enough for most of the seasons. Comfort cannot be measured simply by temperature or humidity (…) In the past, humans found comfort through timing and location instead of controlling our living environment with technology. Human behavior is full of contradictions. We go to the beach in summer. The sand is 50 Celsius. We go to ski in winter. The ski slope is -20 Celsius. This is telling us that the comfort is about the level of pleasure, not temperature.7

Lo spazio interno si erge su due piani, che tuttavia diventano sei, a causa delle partizioni orizzontali 153


di appena un metro, pensate a misura di bambino. Vi sono spazi complessi in volumi trasparenti percorribili soltanto gattonando. Le parole chiave sono: libertà di movimento e corpo come mezzo di apprendimento. Tutti gli elementi quali ringhiere e passamano sono sottilissimi, per essere il meno possibile impattanti visivamente: essi quasi scompaiono in un rapporto fra grandezza, altezza e spessore di 1:40. I’m trying to abolish the boundary between the classrooms and playground, between the roof and the ground. Actually, the situation is close to the existence of jungle, where there is no clear boundary between the forest and the field, everything changes gradually. So you can choose something in between. You make a shelter as Architecture. The wall defines the inside and the outside. I realized that something “in the between” is very important. We are use to finding environment comfortable. I think this idea came from Chinese, Malaysian, and maybe Italian Architecture too. From a certain moment on, we decided to define the inside and the outside, but human beings desire to live in nature. In summer we go to the beach, in winter we go skiing, when you want to get some rest look for the shadow, it’s a kind of blurred existence, that is what I believe for Architecture.8

Il pavimento interno è in legno, mentre tutti gli spazi esterni sono ricoperti da tappeti di gomma morbidi, utili per attutire eventuali cadute. L’utilizzo del legno non è una scelta meramente estetica, ma rappresenta un punto fondamentale della poetica dello studio. The great thing about timber is that you can keep the continuation from the structure to the small details. Of course there are some great Japanese

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architects making things with concrete, but I am not the person to fight against comfort — my architecture is not the fighting type. Architecture is about fun, and how we can enjoy life. Timber is quite a useful and capable material for this. For example, you can change timber. It can be adjusted on site with a carpenter, but when you do a steel structure, you have to plan everything ahead because most of the products are made in factories. Concrete is the same. Once you cast it, it is very hard to change it. Often kids touch timber, as they feel it is natural, but they don’t do this with concrete. Because wood is alive. You can’t sit on steel, you can’t sit on concrete, you feel more comfortable sitting on wood. Yes, you can design again everything with concrete, but I think I can’t sleep on concrete. Because we are alive, wood is the key to connect some kind of artificial existence, and living tissue”.9

Alla base del lavoro dei Tezuka vi è quindi la ricerca di un punto di contatto fra natura e architettura, ricerca nata fin dai primi anni di professione. A great influence was Richard Rogers, who I worked for in london. Some people think he is just about high-tech style and high-tech details, but I don’t think so. He always talked about the lifestyle of people. One day I went to the top of his old office I told him ‘it’s hot today’, and Richard Rogers said, ‘this is contact with nature!’. He always made a joke about these kinds of things, but that kind of feeling became the base of my thinking.10

La Zelkova racchiude il segreto di un trascorso di gioia e giochi, non è solo una preesistenza, ma piuttosto una sorella maggiore, compagna di vita e avventura. Architettura e Albero si uniscono senza opposizioni, a favore del benessere dell’uomo.


Fig. 59 Esterno, vista notturna.


Fig. 60 Spaccato assonometrico della spirale intorno all’albero.



Fig. 61 Schizzo progettuale, l’albero è elemento preponderante all’interno del progetto.



Fig. 62 Bambini all’interno dell’architettura. Degli infrapiani di un metro compongono un percorso a spirale a misura di infante, dove poter giocare e correre in libertà in una dimensione adattata.



Fig. 63 Esterno, l’edificio si sviluppa intorno all’albero.



NOTE 1. C.Norberg-Schulz - G.Postiglione, Sverre Fehn opera completa, Milano, Electa, 1997. p.53. 2. ivi, p.31. 3. ivi, p.280. 4.https://medium.com/%C3%A8-il-peso-della-qualit%C3%A0/continuity-in-architecture-aconversation-with-takaharu-tezuka-e1cdc7113ca1 5. ivi. 6.https://www.designboom.com/architecture/takaharu-tezuka-architects-interview-studiovisit-02-12-2017/ 7. . http://www.tezuka-arch.com/japanese/whatsnew/img/Celebrating%20Childhood%20Final%20Version%E6%89%8B%E5%A1%9A%E8%B2%B4%E6%99%B4.pdf consultato il 15.08.2017

8. https://medium.com/%C3%A8-il-peso-della-qualit%C3%A0/continuity-in-architecture-aconversation-with-takaharu-tezuka-e1cdc7113ca1 9. ivi. 10. ivi.

BIBLIOGRAFIA . L.De Cauter - D.Lesage, Project Heracles, in “Domus”, n. 949, 2008. . S.Fehn, Sverre Fehn: architetto del paese dalle ombre lunghe, Napoli, Fratelli Fiorentino, 1993. . M.Norri- M.Kärkkäinen, Sverre Fehn: The Poetry of the Straight Line, Museum of Finnish Architecture, 1992.

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5. . ALBERO, ELEMENTO DELL’INTERNO

. Premessa La casa de Vidro e il padiglione di Ishigami instaurano un particolare rapporto di compenetrazione fra natura e artificio, in entrambi i casi l’ambiente interno si fonde e confonde con l’esterno, grazie all’integrazione della vegetazione. Mentre Lina Bo Bardi tratta la flora come una sorta di sfondo onnipresente, personalizzato da arredi carichi di significato quotidiano, nel padiglione del Giappone gli elementi naturali sono veri e propri arredi. In entrambi i casi natura e architettura si fondono allo scopo di abbattere le barriere della soglia.

Immagine originale dell’autrice.

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5.1. Casa de Vidro Lina Bo Bardi Morumbi, Sao Paulo, Brazil, 1951 Jardim MorumbĂŹ Tropical vegetation 82% of biodiversity


Nel 1946 Lina Bo, all’epoca collaboratrice di Domus, migrò in Brasile insieme al marito, Pietro Maria Bardi. Trovò proprio nella cultura brasiliana, così semplice e legata alla natura, una nuova fonte d’ispirazione per il suo lavoro che tradusse in un approccio creativo e in un continuo sforzo per un’architettura povera (ovvero di materiali locali e a basso costo). Si prodigò con impegno nel creare edifici innovativi, sempre con l’obiettivo di essere accettati dalla popolazione locale, e una particolare attenzione alle esigenze pratiche e funzionali dell’opera. Cinque anni dopo il suo arrivo, acquisì la cittadinanza brasiliana e portò a termine la sua prima opera di architettura, una casa a San Paolo, in un quartiere distante dal centro. La coincidenza temporale di questi due eventi è degna di nota. Lina diventò sudamericana senza smettere di essere europea, la sua Casa de Vidro (“Casa di vetro”) si erge come un’opera al contempo internazionale e tropicale. Le sue pareti in calcestruzzo decorate con ciottoli, mostrano più un’affinità con l’architettura di Antoni Gaudí, piuttosto che con lo stile del cemento liscio del modernismo radicale. Nello stile di Lina Bo Bardi, che unì elementi moderni con la tradizione artigianale del Brasile, emerge il contesto storicoculturale locale. In un’ottica di umanizzazione del Modernismo compì un processo di semplicità e chiarezza, una lotta contro l’espressività stereotipata e di routine e contro la “svalutazione dello spirito dell’architettura moderna che è costante e plasmato da un amore per l’umanità, e non ha nulla a che fare con le forme esteriori e con le acrobazie formaliste”1.

La formazione razionalista e l’acuta sensibilità di Lina verso la bellezza del vernacolare, creano un progetto articolato. “Like a closed house that shies away from the storms and the rain”.2 Radicata a terra tramite i massicci volumi delle stanze che si aprono verso il panorama, e staccata dal terreno con il suo grande salone vetrato posto su undici delicati pilastri. La casa si sviluppa così su un unico piano, chiusa verso la strada ed immersa nella foresta. Il grande salotto di 140 mq, raggiungibile da terra attraverso leggere scale esterne rivestite di granito brasiliano. Nel centro della stanza Bo Bardi ubica una sorta di cortile senza pavimento, un’apertura dove crescono gli alberi e le liane del giardino tropicale, così da integrare architettura e vegetazione. Grande importanza hanno le vetrate, che permettono, con la loro ampiezza, la partecipazione del mondo esterno e della natura, all’ambiente interno. La luce del giorno può essere controllata mediante l’uso di tende o scuri. L’architettura della Bo Bardi si focalizza sulla vita quotidiana, sull’abitare. L’architetto predilesse gli interni, il loro confort e la loro funzionalità, senza indulgere in frivolezze, in sprechi, ma elevando a ragionamento architettonico la qualità del vivere. L’ambiente esterno, il giardino fitto di alberature, è presente all’interno della casa, sempre visibile attraverso le vetrate, diventa elemento caratteristico nello spazio quotidiano. No decorative or compositional effect was sought in this house, as the aim was to intensify its connection with nature, using the simplest possible

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means, in order to have the minimum impact on the landscape. The problem was to create an environment that was ‘physically’ sheltered, is, that offered protection from the wind and the rain, but at the same time remained open to everything that is poetic and ethical, even the wildest of storms.‌ This house represents an attempt to achieve a communion between nature and the natural order of things.3

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Fig. 64 Esterno, vista dal giardino tropicale.



Fig. 65 Interno, salone principale. Il verde penetra nello spazio della quotidianitĂ .



Fig. 66 Fotografia d’epoca, Lina Bo Bardi sulla scala di accesso alla residenza.



Fig. 67 L’albero si insinua nell’architettura trasparente.



Fig. 68 Schizzi di Lina Bo Bardi per lo studio della conformazione dell’interno.



5.2. Biennale Pavillion Junya Ishigami + Associates Venezia 2008 Giardini Napoleonici Common name:Giardini della Biennale Since 1807 60.000 mq, over 100 tree species


Chiamato a curare il padiglione giapponese per la XI Biennale di architettura di Venezia, Junya Ishigami riempì le pareti del padiglione di minuziosi disegni a matita di progetti a tema “Extreme Nature: Landscape of Ambiguous Spaces”. Bypassando le modalità espositive più tradizionali, dove i progetti vengono riprodotti attraverso modelli, immagini e disegni, l’architetto presentò i suoi lavori in scala 1:1. Riprogettò l’esterno del padiglione con una serie di leggere serre di diverse proporzioni (la scelta di un volume di tal fatta non è una casualità, ma è in omaggio al Crystal Palace, prima sede dell’Esposizione Internazionale, e alla portata rivoluzionaria dei lavori che in esso erano esposti, perché “per pensare all’architettura del futuro è necessario guardare indietro”4). Le serre furono arredate con essenze vegetali mai cresciute a Venezia, una sorta di elemento di disturbo rispetto alla flora del resto del parco, e allestite con arredi tradizionali da interno in legno massiccio. “Il mio obiettivo è quello di creare una natura “altra” e ogni lavoro è un caso studio per continuare a evolvere la mia ricerca in questa direzione”.5 Ogni serra fu composta da una griglia irregolare e variabile di sottili colonne, disposte in modo da creare ambienti differenti, mentre il vetro, particolarmente sottile e trasparente, creò effetti ottici in grado di dilatare e comprimere gli spazi. Le proporzioni e il numero di colonne variarono per bilanciare lo spazio creato dall’architettura e lo spazio creato dalle piante, per ottenere l’addizione dei due in un landscape equivalente. Anche se di norma il concetto architettura-epaesaggio fa pensare ad edifici situati all’interno di un contesto più ampio che li racchiude,

personalmente ho scelto di considerare sullo stesso piano entrambi gli elementi che lo compongono. Qui le piante offrono un ambiente di dimensioni e valore pari quasi a quelli di strutture costruite; un nuovo modo di riassumere l’architettura, o così mi piace credere, in cui non si progetta partendo dalle piante o da soggetti naturali, né si dispongono rigide costruzioni artificiali come in un formale giardino geometrico in stile europeo. Nessun elemento ne rifiuta un altro o lo mette in ombra, il rapporto è invece non gerarchico ma più astratto, anche se rifugge dei valori relativi nati dal paragone tra ciò che è naturale e ciò che è opera dell’uomo per poter arrivare a una maggiore essenzialità in architettura. Invece di considerare i laghi, i fiumi, le colline e le foreste come lontani dall’ambiente costruito, io cerco di progettare in modo che la natura sia abbastanza vicino da essere indistinguibile dall’architettura; l’idea è dedicare la stessa cura e attenzione nella creazione nell’architettura e degli spazi naturali. Rendere vaghi questi confini ci consente di vivere senza divisioni la vicinanza con qualsiasi altra cosa presente nell’ambiente: una nuova idea di architettura più complessiva che trascende una concezione rigida della città. Spazi sottili e flessibili che impercettibilmente creano un ponte tra l’architettura e ciò che ci circonda (…) Da sempre sono estremamente interessato alle serre. Ciascuna è in parte uno spazio interno, in parte uno spazio esterno: è proprio la relazione tra i due che sto esplorando da anni, alla ricerca di un rapporto il più possibile sfumato e continuo. Non voglio soltanto portare il paesaggio all’interno degli edifici, ma anche estendere lo spirito, lo stile di vita e i materiali degli interni nel paesaggio. In un’epoca come la nostra, in cui l’azione dell’uomo ha colonizzato direttamente o indirettamente

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l’intero pianeta in cui viviamo, non può esistere una soluzione di continuità tra interno ed esterno. Sono interessato a ricreare nell’ambiente interno le stesse, sottili variazioni che caratterizzano gli esterni. Molto spesso ci sentiamo molto bene all’aperto, anche perché possiamo sperimentarvi continue, leggere e naturali modifiche nei diversi parametri che definiscono il nostro comfort fisico e psicologico; la temperatura e l’umidità, ad esempio. Oltre a questo, dall’ambiente esterno i miei progetti ereditano anche la varietà e la molteplicità delle configurazioni spaziali, perché anche questa caratteristica è in grado di modificare in maniera positiva le modalità con cui abitiamo gli spazi della nostra quotidianità.6 Il padiglione fu progettato privo di barriere fisiche o sbalzi climatici che potessero in qualche modo differenziare l’interno dall’esterno della mostra, evitando così che le sale venissero immediatamente percepite come ambiente artificiale. L’interno del Padiglione, quasi vuoto, mise a nudo la struttura originaria dell’area espositiva, sottolineando l’ambiguità tra interno ed esterno, tra architettura e landscape, creando uno spazio doppio, ibrido, emozionale ed ossimorico, di coesistenza degli opposti. “where one could relax anywhere”.7 Per me, tutto è paesaggio. Non credo in una delle visioni più tradizionali dell’architettura, che vuole legare il suo ruolo primario alla delimitazione di un interno rispetto al continuum dello spazio esterno. Questa interpretazione si basa sulla convinzione, errata, che l’architettura sia necessariamente in grado di creare nei suoi interni un “environment” più confortevole e adatto a ospitare la vita. Al contrario, mi ispiro al paesaggio per creare nuovi ambienti esterni dentro gli edifici.8

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Fig. 69 Disegno di progetto dell’esterno, la vegetazione è elemento di studio, mentre le serre rendono ambigua la soglia fra dentro e fuori.


Fig. 70 La vegetazione si fa elemento di arredo, nel tentativo di integrare ed armonizzare natura e quotidianitĂ del vivere.



Fig. 71 Interno delle serre leggere nel giardino del padiglione.



Fig. 72 Planimetria di progetto. Mentre l’esterno è ricco di elementi, l’interno del padiglione si presenta scarno, occupato unicamente dell’esposizione dei disegni dell’architetto.



Fig. 73 Gli arredi retrò suscitano una sensazione di malinconica accoglienza, di quotidiana intimità . Tuttavia le specie arboree, rigogliosamente preponderanti, provocano una sorta di smarrimento, mosse alla conquista di interno ed esterno, dissolvono la definizione degli spazi.



NOTE 1. L.Bo Bardi, Beautiful Child, in “Habitat”, n.2, January–March 1951. 2. L.Bo Bardi, House in Morumbi, in “Habitat”, n.10, January–March 1953. p.43. 3. ivi. p.44. 4. https://www.designboom.com/interviews/junya-ishigami-interview/ consultato il 13.08.2017 5. http://www.artribune.com/attualita/2016/10/intervista-junya-ishigami-architettura/ consultato il 13.08.2017 6. ivi. 7. op. cit., https://www.designboom.com/interviews/junya-ishigami-interview/ consultato il 13.08.2017 8. op. cit., http://www.artribune.com/attualita/2016/10/intervista-junya-ishigami-architettura/ consultato il 13.08.2017

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6. . ALBERO, METAFORA PROGETTUALE

. Premessa La Casa-albero e Hexenhaus senza dubbio sono accomunate da un contesto arboreo preponderante, ma la vera chiave di lettura simile nei due casi è il percorso progettuale. Si tratta d’interventi per parti, con l’aggiunta nel corso degli anni di sempre nuovi spazi satelliti, anche all’esterno delle abitazioni. Come se il progetto stesso fosse un essere vivente, esso è in grado di crescere e ramificare. Nel caso degli Smithson la ricerca puntò al connubio delle varie parti con la natura, nell’ottica di migliorare la quotidianità del committente, mentre nel caso della famiglia Perugini l’opera si fece laboratorio sperimentale, a tema la casa sull’albero razionalista. Un altro punto comune fra i due processi, è la dimensione del “gioco” logico progettuale, con cui gli architetti affrontarono i progetti, in un clima stimolante e vulcanico.

Immagine originale dell’autrice.

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6.1. Casa Albero Giuseppe Perugini Fregene, Roma, 1968-1971 Pinus pinaster Common: name maritime pine Native to Mediterranean Basin 20-35 m


Giuseppe Perugini subito dopo l’università iniziò un’intensa attività didattica e di ricerca, espressione diretta di un credo architettonico, improntato al rispetto del rigore formale e dimensionale di natura classica unito ad una matrice razionalista, che troviamo costantemente ribadito in tutta la sua produzione. In campo progettuale però dimostrò fin dalle prime opere il desiderio di sperimentare, non a caso fu tra i primi studiosi a proporre, negli anni ‘60, l’utilizzo del computer come strumento ordinatore di elementi modulari. Sebbene la sua sia stata evidentemente una poetica razionalista, dove la funzione fu privilegiata attraverso la scomposizione e la ricomposizione di cellule elementari aggregate secondo le effettive necessità, eliminando ogni tipo di dispersione dell’oggetto architettonico tradizionale, in tutti i suoi progetti fu però leggibile la volontà di esprimere un messaggio. Anche quando non sia presupposto un simile ideale culturale ma la natura sia assunta semplicemente come termine di partenza e di costante riferimento per la costruzione di tutti i suoi elementi, non si sfugge dal descrittivismo e quindi dalla staticità della costruzione, che coglie e fissa solo un instante del processo, assunto arbitrariamente come momento essenziale, ed evitando così il problema fondamentale del linguaggio architettonico moderno che vuole accogliere al contrario la dinamicità, cioè il carattere del movimento, appunto costruendo un movimento e non descrivendolo (che significa sempre tradurlo in una statica).1

I suoi progetti quindi si tinsero di valenze simboliche e psicologiche, arricchite dal desiderio di approfondire il dialogo tra

architettura e processo tecnico-scientifico. La casa albero o casa sperimentale, costruita a Fregene alla fine degli anni ’60, fu progettata da Giuseppe Perugini, Raynaldo Perugini e Uga De Plaisant, essa doveva essere sintesi di tutte le intenzionalità progettuali della famiglia Perugini come ricorda il figlio Raynaldo. Essendo tutti e tre architetti era un po’ il giocattolo di famiglia, nel momento della realizzazione ognuno di noi proponeva soluzioni e nascevano discussioni…era una sorta di grande laboratorio… immaginatevi un plastico in scala reale! Questa era la casa di Fregene, un plastico al vero in cui ognuno metteva del suo. Una sorta di bottega globale nella quale lavoravamo tutti e per ogni problema c’erano un’infinità di soluzioni possibili. Infatti la cura dei dettagli e la messa a punto di tutte quelle soluzioni che hanno portato alla casa com’è oggi sono stati affrontati nella messa in opera. La particolare caratteristica costruttiva la rende un grande gioco di costruzioni.2

La casa-albero fu realizzata in cemento armato, acciaio e vetro, pochi materiali ma significanti. All’esterno del lotto è quasi celata dalle chiome degli alberi del giardino, recintato da un muro in calcestruzzo dall’insolita forma semicircolare coronata da elementi metallici. Nel giardino giacciono diversi gusci, satelliti della casa, di particolare suggestione è la sfera, “la stanza della meditazione” marcata lungo tutto il diametro da una lama vetrata. Essa contiene all’interno una sorta di meridiana, accessibile attraverso una porta tonda. Sempre all’esterno vi è uno specchio d’acqua, la piscina, ora immobile e stagnante al di sotto della casa in cui si immergono alcuni pilastri. Il calcestruzzo grezzo in facciata, scelta alquanto 197


brutalista, si deforma in volumi geometrici incastrati e appesi ad una struttura esterna di travi principali e secondarie. La struttura si insinua sopra e sotto i moduli abitativi, supportandone il peso attraverso elementi cruciformi in acciaio verniciato di rosso, così come tutti gli elementi in acciaio presenti nel progetto, dal cancello agli infissi. Le travi principali hanno altezze variabili ed in alcuni punti giocano a sbalzo, sorrette da una trave soprastante con degli agganci custom, anch’essi in acciaio, per un disegno complessivo particolarmente intricato. Del resto, è noto come Perugini sia stato un forte sostenitore, dell’utilizzo del computer per il disegno architettonico ed è possibile che l’estetica particolare dell’abitazione derivi in parte da questa ricerca all’epoca innovativa. L’interno è uno spazio unico e caleidoscopico, dove i piani si moltiplicano e, grazie al peculiare sistema strutturale, il vetro può insinuarsi prepotente tra le superfici in calcestruzzo, fino a negare la connessione tra orizzontale e verticale. Lo sfalsamento e il dislivello tra i diversi moduli garantiscono la privacy della zona notte senza bisogno di pareti divisorie, mentre i bagni sono capsule arrotondate che emergono a sbalzo dal corpo principale, esse hanno il compito di ospitare i servizi e sono l’unica eccezione nella composizione cartesiana dell’edifico, si trovano a quote diverse e prevedono quindi gradini per superare i leggeri dislivelli interni. La scala/passerella che conduce all’ingresso della casa dal giardino al primo piano, sembra un elemento estraneo. Fu concepita come “ponte levatoio” così che si potesse alzare ed 198

abbassare in base all’occorrenza, isolando completamente gli abitanti dal mondo esterno. Dalla passerella mobile si accede ad un salone open-space altimetricamente eterogeneo, i vari salti di quota sono compensati fra loro da scalini. Lo spazio è scandito da pareti sporgenti e rientranti che diventano scaffalature o finestre, in un gioco di volumi e di incastri. Una scala a chiocciola, ancorata a pilastri, conduce sul tetto partendo dal livello rialzato degli alloggi, anche in copertura si hanno diversi piani sfalsati immersi fra le chiome alberate. La villa è una ricerca spinta alle estreme conseguenze: la contrapposizione tra leggerezza e massività, i giochi di pieni e vuoti, la ripetizione ossessiva del modulo quadrato, espressa anche nei pannelli prefabbricati dei tamponamenti nonché nei solai, sono le manifestazioni più visibili di una ricerca ossessiva sul linguaggio. Sono evidenti le suggestioni delle architetture degli anni ’60. Perugini con la sua casa, divenne un emblema dell’ambiente culturale architettonico dell’epoca, in particolare quello romano: l’utopia, il rinnovo della società attraverso l’architettura, l’esercizio di stile e la riflessione dell’abitare. La casa-albero tuttavia, nulla concede alla forma fine a sé stessa, alla occasionalità compositiva. Traspare una continuità stilistica ed un metodo rigoroso di interpretazioni dello spazio espressi, sotto l’egida della geometria, con materiali puri. Si considerano certi fattori ambientali come prodotto di una tradizione culturale da preservare a cui adeguarsi. Anche in questo caso è evidente come il descrittivismo sia il presupposto di fondo (…) con questa essenziale differenza però allo storicismo: che quei fattori


considerati in quanto natura , sono assimilati alla natura. Essi vengono infatti visti solo nella loro cristallizzazione, cioè nella loro sostanziale estraneità alle situazioni presenti, e se è vero che l’estraneità è una delle condizioni concettuali del naturalismo, sono visti come reinterpretazione il più possibile fedele dell’ambiente storico in quanto natura (filologismo architettonico).3

La casa-albero deve il suo nome all’immagine di rifugio richiamata dal distacco da terra, in quanto i diversi volumi sembrano sospesi a rami di cemento, l’architettura stessa diviene quindi simbolo dell’albero, come elemento vivente, diramato, in crescita. Gli architetti affrontarono il progetto come fosse un laboratorio sperimentale in continua opera. La casa-albero non prende il nome né dal contesto alberato (è custodita fra le folte fronde del giardino di pertinenza) e neppure dalla canonica idea che abbiamo di casa sull’albero, ma piuttosto si propone come simbolo e metafora dell’elemento arboreo, che in questo caso è figurato in una artificiosa costruzione geometrica.

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Fig. 74 Esterno della Casa-Albero. Accesso da un “ponte levatoio” in acciaio.



Fig. 75 Interno. I volumi eterogenei provocano sbalzi di quota. Il carattere dello spazio è dato dalla matericità del calcestruzzo a cui si addizionano vetro e acciaio. Le parti trasparenti esplicitano la volontà di integrare l’ambiente naturale circostante.



Fig. 76 Esterno. La struttura portante regge i volumi abitativi, che paiono “appesi�.



Fig. 77 All’esterno dell’edificio sono distribuite delle celllule in calcestruzzo dalle diverse funzioni. In particolare il volume in fotografia contiene la stanza della meditazione.



Fig. 78-78a-78b-78c Ridisegni architettonici. In alto a sinistra il carattere delle partizioni verticali in planimetria, mentre a destra lo studio dell’esterno. In basso a sinistra lo schema strutturale in planimetria, e la sezione longitudinale sulla destra.


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6.2. Hexenhaus Alison e Peter Smithson Bad Karlshafen, Deutschland 1986-2002 Quercus Common name oak Native to northern hemisphere 20-30 m


Il progetto nacque come ampliamento della casa dell’imprenditore tedesco Bruchhauser. La dimora preesistente si presentava su due piani con falde spioventi, poggiate su un basamento in pietra tamponata al piano superiore dalla tipica trama del Fachwerk. Malgrado fosse una costruzione ordinaria, la sua posizione la rendeva eccezionale: il terreno su cui sorgeva era circondato da un fitto bosco di alberi secolari che la celavano agli occhi dei passanti e ai raggi del sole. Per l’aspetto fiabesco e la posizione, era definita la casa della strega. Il primo intervento degli architetti fu la costruzione di Axel’s Porch, una veranda sul retro della casa, successivamente, al piano terra, fu progettata una seconda appendice, in corrispondenza di una finestra preesistente sul prospetto meridionale, la Riverbank Window, ovvero una bay-window completamente trasparente e dalle proporzioni organiche. Due anni più tardi furono realizzati gli Hexenhaus Holes per portare luce nella casa. Prima di morire Alison lasciò il progetto esecutivo del padiglione Hexenbesenraum, il rifugio della scopa della strega”, che si prestò perfettamente a rifugio intimo e privato del committente: esterno alla casa, accessibile da una passerella in legno sopraelevata a undici metri da terra, che intensifica il carattere teatrale, ambiguo ed evocativo dell’abitazione. In quest’ultima la luce naturale entra dal tetto, a campate alternate trasparenti, e dal pavimento, completamente in vetro. Successivamente Bruchhauser decise di costruire la Teahouse e il Lantern Pavillion. Il padiglione fu il primo progetto autonomo di Peter, distribuito su un piano di pianta quadrata, collocato nella parte più alta e più nascosta del

giardino. La copertura è un unico fronte di vetro, il suo inserimento nel bosco si basa sulla trasparenza integrale del volume, ottenuta con utilizzo omogeneo dei materiali costruttivi. La progettazione della casa durò più di vent’anni in cui gli Smithson, instaurarono un rapporto di singolare sensibilità con il committente. “Fin dalle prime proposte gioco e natura, progetto e incantesimo si sono intrecciati nella storia della Hexenhaus, producendo all’interno e all’esterno un insieme di satelliti gravitanti dentro e intorno alla casa”.4 Gli architetti applicarono e sperimentarono il nuovo processo progettuale cui erano giunti in una fase ormai avanzata della loro attività e che essi stessi avevano definito dell’ordine conglomerato. L’ordine conglomerato ha la capacità di assorbire spontaneamente addizioni, sottrazioni, modifiche tecniche senza ripercussioni sul suo senso di ordine, anzi proprio alterazioni di questo tipo lo rinforzano. La casa è una collezione in sé stessa, plurale, non gerarchica (…) l’ordine conglomerato ha presenza spaziale: più maestosa di qualunque altra presenza fisica di un oggetto, qualcosa di non riducibile neanche lontanamente a un semplice schema geometrico o comunicabile attraverso un’immagine bidimensionale.5

Malgrado l’aspetto eterogeneo dei diversi interventi, ciascuno di essi ha rispettato l’ordine conglomerato della casa. Nel modificare la Hexenhaus gli Smithson seguirono una strategia strettamente consequenziale, da una figura bidimensionale per ottenere una forma tridimensionale. La figura in questione è la rappresentazione di un albero, ottenuta tracciando la sagoma semplificata di un tronco. Questa sagoma astratta di matrice naturale – the 211


branching lattice- viene adottata come frame per separare interno ed esterno in tutte le aperture della casa, creando un’ambiguità nella distinzione tra spazio chiuso e spazio aperto. Applicarono a ogni dispositivo una sagoma astratta di matrice naturale ricavata dal disegno dei rami degli alberi: dopo aver estratto la forma la resero diaframma, griglia, reticolo ramificato in legno, interposto in ogni spazio progettato. Esso mise così in relazione ciò che in realtà separava, ovvero la casa con i suoi abitanti e il bosco. Agli occhi di un osservatore la sagoma artificiale ad albero si sovrappone così al profilo degli alberi veri posti in piani più lontani. L’ordine conglomerato genera dunque una sorta di instabilità percettiva alla quale collabora l’azione di fattori naturali come la luce del sole: la stessa ombra dei frame proiettata all’interno non lascia distinguere i rami veri dai reticoli ramificati e le loro sagome scure si confondono, disegnando trame cangianti con il trascorrere delle ore e con il passare delle stagioni. “Alla casa di Bruchhauser sono cresciuti rami e radici dove prima erano porte e finestre, quasi fosse una creatura vivente della foresta che la circonda”.6 L’architettura diventò così uno spazio capace di vivere il cambiamento delle stagioni senza rimanerne esente ma al contrario potendo parteciparvi.

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Il desiderio era di far interagire l’ambiente con l’abitazione tramite un continuo movimento delle parti dall’esterno verso l’interno e dall’interno verso l’esterno: l’architettura aveva il compito di evocare immagini sentimenti odori sensazioni… di riportare in dimensioni incantate e perdute, di permettere di viaggiare stando semplicemente a guardare e ad ascoltare il luogo. L’ordine

L’ordine conglomerato convoglia tutti i sensi. Può felicemente manifestarsi con una certa rozzezza; può manifestarsi di notte; soprattutto può procurare altri piaceri oltre a quelli degli occhi… come forse i piaceri del territorio, che altri animali sentono così fortemente. Ovvero, possiamo non riuscire a vedere dove siamo, e tuttavia possiamo farci condurre dalla nostra capacità di sentire la luce il tepore sulla nostra pelle, in un certo senso possiamo percepire la densità della fabbrica, sapere che al di là del muro c’è della gente, “annusare” chi è stato qui, dove qualcun altro se né andato. (…) strati di tralicci sovrapposti, l’inclusione dei layers degli alberi, lo stratificarsi dei livelli: tutti parlano di connessione e separazione. L’edificio fa un balzo in avanti e uno indietro, performa come se stesse danzando con di alberi.7

Fig. 79 Interni della Hexenhaus.



Fig. 80 Assonometria per la progettazione del portico sul retro della casa.



Fig. 81 Esterno. La passerella in legno porta ai padiglioni che gli Smithson progettarono nella foresta intorno all’abitazione.



Fig. 82 Axel’s Porch. I serramenti in legno riprendono il tema della ramificazione degli alberi.



Fig. 83 Hexenbesenraum. Una “casa sull’albero” dal pavimento vetrato, permette la vista del bosco dall’alto di un rifugio intimo ed accogliente. Uno spazio privato in cui godere della natura.



NOTE 1. G.Perugini, Architettura : quantita, qualita, Roma : Istituto di disegno e rilievo dei monumenti-Universita di Roma, 1963 p.76

2. http://www.archidiap.com/opera/casa-sperimentale/ consultato il 22.08.2017 3. Architettura : quantita, qualita, op. cit., p.78 4. M.Scimemi, Un’opera aperta degli Smithson a Bad Karlshafen, in “Casabella”, n.726, 2004, p.8. 5. ivi, p.15. 6. ivi, p. 9. 7. ivi, p.20.

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il 22.08.2017

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7. . ALBERO, CONFINE SPAZIALE

. Premessa Il Cabanon e il Museo di Paula Rego, per quanto funzionalmente, esteticamente e distributivamente differenti, hanno però in comune l’elemento arboreo come cerniera dello spazio esterno, determinante dei confini dello spazio. Per Le Corbusier la pianta di Carrubo diventa nodo focale per l’appropriazione dello spazio esterno, secondo un ragionamento planimetrico, per Souto de Moura gli abeti sono invece elementi regolatori delle differenze altimetriche grazie ad un ragionamento di prospetti. Souto de Moura rende inoltre la propria architettura la controparte dell’elemento albero (ad esempio la scelta del colore rosso, complementare del verde – riferito al mondo naturale), mentre Le Corbusier rende l’albero parte del suo spazio abitativo (un luogo ombroso utilizzabile come studio e salone per gli ospiti).

Immagine originale dell’autrice.

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7.1. Cabanon Le Corbusier Cap MartĂŹn, 1951-1955 Ceratonia silique Common name: carob tree Native to the Mediterranean region max. 15 m


Le corbusier era solito andare in vacanza a Cap Martìn, dove frequentò abitualmente il ristorante di Thomas Rebutato, con cui negli anni instaurò un forte legame. Quest’ultimo diventò uno dei principali responsabili dei progetti Roq e Rob, una proposta di abitazione residenziale adatta ai versanti litorali della costa azzurra, per cui fornì i terreni. Proprio attorno alla sua trattoria Le Corbusier, nel 1951, avviò il progetto del suo Capanno. Questa rudimentale costruzione risultò in contrasto con l’ubicazione suggestiva tra gli acanti, le agavi e gli eucalipti, sul fianco scosceso di Cap-Martin, tra Mentone e Monaco, a un passo dall’acqua. Fu una soluzione, in linea di massima provvisoria, un alloggio a Cap Martìn, nato dal desiderio di avviare una sperimentazione sulle questioni tecniche relative alle sistemazioni interne di Roq e Rob (un edificio pensato come ordinato sistema di cellule abitative minime, che potessero garantire il massimo confort). Il 30 dicembre 1951, sull’angolo di un tavolo di un piccolo caffè della costa azzurra, ho disegnato, per fare un regalo a mia moglie per il suo compleanno, il progetto di un capanno che costruii l’anno seguente. Tale progetto è stato fatto in tre quarti d’ora. È definitivo; non vi viene apportata alcuna modifica; il capanno è stato realizzato sull’adattamento di tali disegni. Grazie al Modulor, la sicurezza dell’impresa fu totale.2

Così si manifestarono le capacità dell’architetto di sviluppare le problematiche nel modo più inatteso e di attribuire a ciascun progetto (ivi compreso quello della propria residenza per le vacanze) il carattere di una sperimentazione tipologica generale, ma soprattutto la rapidità e la sicurezza della progettazione (fondata sul Modulor).

I primi disegni permisero effettivamente di descrivere le caratteristiche essenziali del capanno: impianto, dimensionamento dell’esterno, accesso, organizzazioni d’insieme dell’interno. Tuttavia i tempi di progettazione andarono ben oltre i quarantacinque minuti, infatti l’elemento prefabbricato fu abitabile solo nel 1952. All’interno del Cabanon ogni arredo, è un organo complesso, non solo dal punto di vista funzionale, ma anche da quello dell’articolazione spaziale. Le Corbusier strutturò la pianta attraverso una figura geometrica di forma elicoidale, divisa in quattro rettangoli uguali e un quadrato, che delimitano le diverse zone funzionali, per un totale di 15 mq. L’arredamento fu disposto sui lati della stanza; il centro, libero, considerato il fulcro nevralgico della distribuzione. Tre piccole finestre e delle fessure verticali, poste in due angoli opposti del capanno, per la ventilazione e la vista sul panorama. Gli scuri a specchio portano porzioni di paesaggio all’interno della costruzione, come interiorizzazione dello spazio esterno. Bisognò aspettare tre anni dalla costruzione del capanno perché il suo stato fosse definitivo. In questi anni la costruzione, di per sé, non fu modificata, Le Corbusier portò a termine le pitture murali e concentrò la propria attenzione non tanto sugli spazi interni quanto su quelli esterni. Lo spazio abitativo per le vacanze concepito come un alloggio minimo, le specificità dell’ambiente mediterraneo, la vita all’aria aperta hanno un grande rilievo nel suo pensiero, eppure sono in contrasto con dei progetti di ampia scala come le Unités d’Habitation e Chandigarh, che appartengono allo stesso periodo.1

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Inaspettatamente, il dispositivo residenziale arrivò a coniugare gli spazi e le attività dell’interno con quelli appartenenti all’esterno, portando quindi involontariamente la ricerca anche su un altro piano. L’architetto amava vivere – o piuttosto lavorare- all’aria aperta; sino alla propria morte, egli non ebbe requie finché non furono predisposti i luoghi in cui, nelle diverse ore della giornata, seguendo il percorso del sole, avrebbe svolto le sue attività di pittore, di scrittore e di architetto. Ogni estate, poco prima delle vacanze, il terreno i del Cabanon divenne un piccolo cantiere, dove Rebutato e alcuni frequentatori dell’Etoile de Mer preparavano l’arrivo del celebre ospite costruendo le opere esterne immaginate l’estate precedente. Il 2 ottobre 1952 Le Corbusier eseguì un piccolo schizzo preliminare, la costruzione di una “stanza di lavoro” rivolta verso il mare sul limite della terrazza, a una dozzina di metri dal Cabanon. Fu eretta solo nel luglio del 1954 da Rebutato e nel frattempo Le Corbusier fece livellare il terreno intorno ad un albero di carrubo alla cui ombra installò il suo tavolo da lavoro. Le fronde dell’albero definirono così uno spazio vivibile che assunse molteplici funzioni. “La natura compresa nell’affitto: il sole dittatore e gli alberi amici e compagni dell’uomo (…) sotto alle loro fronde vivono come sotto l’egida della proporzione, il rapporto natura- uomo è ristabilito”.3 Gli spazi esterni del capanno assunsero la loro forma definitiva fra 1954 del 1955, dopo la costruzione del viale di collegamento fra i punti importanti della proprietà (il cabanon, il carruboe lo studio esterno). 228

Le ulteriori modifiche furono di minore importanza: piccole piantagioni e l’installazione di un piatto da doccia ai piedi di un rubinetto d’irrigazione –il bagno di Le Corbusier. Al di là del pittoresco, l’appropriazione dei dintorni del capanno sembrò nuovamente essere il pretesto per gli studi di portata più generale. Tramite la collocazione di due piccole costruzioni agli angoli opposti dell’unità, l’architetto delimitò una situazione spaziale, dando vita alla sperimentazione del rapporto fra natura, paesaggio, e fra modulo industriale ed interventi manuali (i suoi murali ad esempio). “Se per Le Corbusier una casa è un riparo contro il caldo, il freddo, la pioggia, i ladri, gli indiscreti, ricettacolo di sole e di luce, questo è il suo prolungamento esterno, dove l’esterno è sempre un interno, gli elementi del sito sono come i muri di una stanza”.4 L’albero di Carrubo ha un ruolo decisivo nella partizione dello spazio esterno, è una sorta di cerniera per la dislocazione di tutti i servizi nell’intorno. È evidente l’importanza domestica che assume il carrubo. Possiamo formulare l’ipotesi che i piaceri della vita all’aria aperta resi possibili dall’albero si associno ai piaceri dello spirito. (…) Vivere all’ombra di una simile unione di natura e misura doveva convenire perfettamente a Le Corbusier, cui stava altamente a cuore la razionalità della natura.5

L’elemento albero in questo caso non è considerato in termini simbolici, ma piuttosto in termini funzionali. “Le Corbusier dice poco o nulla sull’arredamento costituito in modo spontaneo all’esterno. Possiamo supporre che il modo di arredare questo spazio non dovesse iscriversi nell’insieme della sua dottrina, in


quanto esso riguardava la sfera della vita privata, del suo contesto e della sua poesia, tutte cose che non possono essere riprodotteâ€?.6 La ricerca non si basa su un rapporto fra natura e artificio, ma sul ragionamento degli spazi minimi, che quindi pur di restar tali si appropriano dell’elemento naturale, che non ha un connotato metaforico, ma piuttosto l’albero in sè diventa uno spazio.

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Fig. 84 Fotografia d’epoca di Le Corbusier nel Cabanon.



Fig. 85 Esterno del Cabanon con l’albero di Carrubo.



Fig. 86 Schizzi di studio per gli interni del Cabanon. Dal taccuino di Le Corbusier.



Fig. 87 Le Corbusier sotto l’ombra del Carrubo, uno spazio delimitato unicamente dalla chioma ombrosa.



Fig. 88 Maquette del Cabanon con il Carrubo.



7.2. Paula Rego Museum Eduardo Souto de Moura Cascais, Portugal, 2005-2009 Robinia pseudoacacia Common name: acacia Native to Australia 10-15 m


Eduardo Souto de Moura con questa sfida progettuale si fece carico del compito di trasporre in architettura l’anima della pittrice Paula Rego; spesso progetti del genere vengono realizzati dopo la morte degli artisti, ma non essendo questo il caso, l’architetto prima di conoscere il sito o di ipotizzare volumi attraverso vari schizzi, ebbe il dovere di adattarsi all’immaginario della committente. Then I had a chat with Paula Rego. We spoke in Portugal, and the in London, where she showed me her exhibition at the Tate Gallery. She likes big rooms, with space between the paintings. When we finisched wandering around the exhibition, she opened the door of a room that was closed off to the public and said, “Actually, what I like is this”, and we entered a room painted purple that only contained works by Francis Bacon in orange shades, beautiful. I think that was when I was able to het a glimpse of her imaginarium.7

L’opera si può definire, a primo impatto, eccezionale rispetto alla maggior parte della produzione dell’architetto, definito un “minimalista”. Tuttavia ciò è dettato non solo dalla funzione museale, l’esposizione di opere d’arte moderna, ma anche dal contesto, dalla particolarità del sito. Il Paula Rego Museum cancella quindi etichette e clichés. I’m not doing it with that purpose in mind, but for a long time now I have been irritated by the use of the term minimalism. People said that minimalism was quite appropriate for cleansing and mental health, to get away from post-modernism. But the truth is that they turned it into a style, a series of tics, something with no substance. Many architects produce a ‘box’, they paint it white and they say it is minimalist. And I find them exasperating. There are no universal languages,

just as there are no universal places; there are just ‘adaptation’. That is one of my favourite words, because architecture is a problem of adaptation.8

Questo incarico mette in discussione il percorso di Souto de Moura e più che un ritorno alle origini appare come una nuova prospettiva progettuale. To me, it is totally new project from a grammatical point of view, which is why I sense that it has spelling and calligraphic mistakes. When I visit the works site, the first thing I do it to review that things that are not right. I had never done plinths before, and now I have a plinth on the outside that is grey, in Cascais stone. And then the interior has a white plinth. So I have to go from black to white, which is not easy. As far as the details go, it is an unexpected project for me. And then there is an issue of scale. When architecture is completely abstract, made of walls, boxes or panes of glass, it is harder to say whether something is on or off the scale, because everything is based on a positive/negative relationship. But when I build a ‘chimney’, as in the case of this museum, I certainly can codify it with domestic spaces and I can measure and see whether I am mistaken. I am always asking myself “Has that thing ended up being too high, ridiculously monumental? Has it ended up being just wishful thinking?9

L’architetto tentò di instaurare un rapporto dialettico stimolante con il contesto naturale. I was lucky to be able to choose the site, which further heightened my responsibility after the painter Paula Rego chose me as her architect. The terrain was a fenced off forest with a gap in the middle, the courts owned by a tennis club that had closed during the Carnation Revolution. On the basis of the elevation of the trees, particularly the treetops, I proposed a set of volumes with different heights in response to the diversity of the brief. The

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arrangement of the boxes acts like a mineral positive to negative left over from the perimeter of the treetops. This ‘Yin-Yang’ plays between artefact and nature helps to define the exterior material, red concrete, a colour in opposition to the green forest, whose mass becomes less intense with the botanical prophylaxis. To prevent the building from being a neutral sum of boxes, I established a hierarchy by inserting two large pyramids (lanterns) along the entrance axis, the library and a cafè, for which we were by no means indifferent to the Santa Maria de Alcobaça monastery kitchen, some Raul Lino’s houses and some of Boullée’s engravings. We also strove to ensure that every exhibition room should have an outdoor exit into the garden, and we thought it never hurts to contrast the abstract, totally artificial reality of modern art with the harder, everyday evidence that surrounds us.10

Questo lavoro si distaccò tuttavia chiaramente dall’idea del puro edificio ermetico, innescando una dicotomia tra massività e rigore geometrico, rispetto alla leggerezza e irregolarità delle sagome arboree circostanti. La relazione fra condizione espositiva interna e percezione spaziale verso l’esterno scampa l’architettura dall’essere un’ opera fine a sé stessa.

guida da Souto de Moura in fase progettuale. I wanted the exterior to be in old pink, and I saw works in red concrete in Pakistan and India. I chose red because the concrete is going to fade, and it will end up being pink that I was seeking. As far as the stripes go, I was thinking of the painted tile pattern in Raul Lino’s manor houses. The two pyramid volumes are reminiscent of the big chimney in the Alobaça Monastery kitchen.12

Per Souto de Moura furono gli alberi a generare i confini spaziali della sua opera. Essi non producono un luogo sotto le fronde, come per il Cabanon, ma piuttosto un atteggiamento progettuale volto al rispetto del sito. Nelle tavole, soprattutto nei prospetti, è evidente questa volontà progettuale. Gli abeti sono riportati con spesse linee nere, gerarchicamente equivalenti al progetto artificiale, ed anzi appare evidente come essi siano gli elementi determinanti non tanto della geometria generale dell’edificio, ma piuttosto dei suoi contorni in alzato. Dove c’è foresta l’edificio si abbassa, dove invece non rischia di essere adombrato si innalzano maestosi i tronchi di cono in cemento, caratteristici dell’architettura.

I think this building ‘talks’ more with what is outside. It does have that concern for telling a story. I know that there was a degree of empathy with what was going on around it, an empathy that is no longer perceived because they took away some trees that it was moulded to. In spite of everything, that is the project I am most interested in right now.11

Il risultato finale si presenta come un’architettura archetipica, innovativa ma allo stesso tempo remota. Questo forse in parte è dovuto ai numerosi riferimenti ispiratori utilizzati come 242

Fig. 89 Esterno del Paula Rego Museum. Evidente è la contrapposizione volontaria fra il rosso dell’architettura e il verde della vegetazione.



Fig. 90 Interno, pozzo di luce del lucernario in cima alla piramide del ristorante.



Fig. 91 Prospetti di progetto. Esplicitano il ragionamento di sottrazione e addizione dell’edificio rispetto all’altezza delle fronde degli alberi.



Fig. 92 Particolare della texture del cemento. Lo stampo in legno delle cassaforme imprime le sue fibrosità nel positivo in calcestruzzo, che appare così più “naturale” e caldo, più a misura umana.



Fig. 93 Esterno. Particolarmente evidente la contrapposizione di pieni e vuoti fra Albero ed Architettura.



NOTE 1. Le Corbusier: L’interno del Cabanon, a cura di F.Alison, Milano, Electa, 2006. p.49. 2. Le Corbusier enciclopedia, Milano, Electa, 1988. p.103. 3. Le Corbusier: L’interno del Cabanon, op. cit., p.41. 4. Le Corbusier, Vers une Architecture, Paris, Crès, 1923. p. 154. 5. Le Corbusier: L’interno del Cabanon, op. cit., p.51. 6. ivi, p.53. 7. N. Grande, Una conversaciòn con Eduardo Souto de Moura Regreso a casa, in “El Croquis”, n. 146, p.17. 8. ivi, p.19. 9. ivi, p.18. 10. ivi, p.20. 11. ivi, p.18. 12. ibidem.

BIBLIOGRAFIA . Le Corbusier, Modulor 2, Cambridge, MIT Press, 1968.

SITOGRAFIA . https://divisare.com/projects/115647-eduardo-souto-de-moura-luis-ferreira-alves-fernando-guerra-fg-sg-paula-regomuseum consultato il 16.08.2017 . https://www.architetti.com/premio-architettura-sostenibile-museo-paula-rgo-di-eduardo-souto-de-moura.html consultato il 16.08.2017

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REGESTO DELLE IMMAGINI Fig. 1 http://1.bp.blogspot.com/-KQRIlECyDY8/VXhSK_V8uXI/AAAAAAAAFyU/kTg2wPnlLME/s1600/hut.jpg Fig. 2 http://scuolesancarlo.org/restauro/files/2006al7151_morris-acanthus_wallpaper_18751.jpg Fig. 3 https://mfareview.files.wordpress.com/2012/10/geddes-section.jpeg Fig. 4 http://2.bp.blogspot.com/-WNi7XE3Pz4k/T5MvGyzQ-eI/AAAAAAAACFE/NAkOhUG5uH4/s1600/11.jpg Fig. 5 http://makcenter.org/wp-content/uploads/2014/02/schindler-house.jpg Fig. 6 https://i.pinimg.com/236x/16/b6/59/16b659a01e9d508a9d0a2c6cfd6a2bb2--museum-of-modern-art-franklloyd-wright.jpg Fig. 7 https://i.pinimg.com/736x/b6/fb/dd/b6fbdde47d3330209e1687bf9a2d997a.jpg Fig. 7a https://relationalthought.files.wordpress.com/2012/01/alison-and-peter-smithson-urban-re-identificationgrid-1953.jpg Fig. 8 https://cdn.filepicker.io/api/file/i5LYCoFTSoK4GqRBznco? Fig. 9 http://www.designcontext.net/wp-content/uploads/2013/06/Riab8-villaSavoy-2.jpg Fig. 10 http://images.adsttc.com/media/images/5037/e23a/28ba/0d59/9b00/0202/large_jpg/stringio. jpg?1414230824 Fig. 11 http://www.focus.it/site_stored/imgs/0004/017/carpinus.630x360.jpg Fig. 12 https://i.pinimg.com/236x/b7/a0/68/b7a0683f90a6f56912592775aec354ba--architectural-drawingsarchizoom.jpg Fig. 13 http://siteenvirodesign.com/sites/default/files/media_crop/451/public/201402/9-BEST-Forest-gen-overview. png 254


Fig. 14 https://www.ciriesco.it/Uploads/Custom/tree-cathedral-cattedrale-vegetale-giuliano-mauri-1.jpg Fig. 15 http://a.bimg.dk/node-images/135/7/800x600-u/7135428-saxo-photo.jpeg Fig. 16 https://d1lfxha3ugu3d4.cloudfront.net/assets/system-images/remote/https_d1lfxha3ugu3d4.cloudfront.net/ exhibitions/images/2012_Wish_Tree_wish-tree-text-2012_428W.jpg Fig. 16a http://www.incontemporanea.it/wp-content/uploads/2015/02/yoko-ono-wish-tree.jpg Fig. 17 https://i.pinimg.com/736x/ac/00/9b/ac009b5724dd3bcd0a41d85e7fb7a30b.jpg Fig. 18 http://farm5.static.flickr.com/4079/4782388213_38b1f3ddeb.jpg Fig. 19 http://www.archivioleonardi.it/wp-content/uploads/2010/11/sra.jpg Fig. 20 http://static.turistipercaso.it/image/m/madrid/madrid_vjsjh.T0.jpg Fig. 21 http://www.gillesclement.com/fichiers/_banqueimages-matisse_97855_parc-Matisse-Lille-L-ile-Derborenceparois-moulees-087.jpg Fig. 22 http://idaaf.com/wp-content/uploads/2014/09/001-christo-theredlist.jpg Fig. 23 http://www.olily.com/cblog/wp-content/uploads/2009/07/e59c96e789873.png Fig. 24 http://www.spaziodabitare.it/assets/images/to-make-an-office-studio-architettura-design-interni-ufficio-work-16. jpg Fig. 25 http://68.media.tumblr.com/tumblr_m78humeo9c1ryxo7go1_1280.jpg Fig. 26 https://i.pinimg.com/originals/ab/61/ee/ab61ee6153a9f0c5484347e0a05fc952.jpg Fig. 27 https://www.iconeye.com/images/2014/05/images/2014/137-image14_rt.jpg Fig. 28 http://jdcdn.wabisabiinvestme.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2013/10/Kjellgren-Kaminsky.jpg 255


Fig. 29 https://i.pinimg.com/736x/87/3f/8d/873f8d0aa4117355cd22675737d45a32.jpg Fig. 30 https://landscapingcustom.files.wordpress.com/2013/11/fauteuil-jardin-bsm-59web.jpg?w=700 Fig. 31 http://static.nanopress.it/nanopress/fotogallery/1200X0/232107/palme-in-piazza-duomo.jpg Fig. 32 https://static1.squarespace.com/static/52d3ddf6e4b0bbf31d3f45fd/t/56a5527efd5d084f324ed2 1e/1453675136634/ Fig. 33 https://i.pinimg.com/736x/3d/a8/f1/3da8f1db9c78bc201ec162176806610c--plywood-house-architecturalmodels.jpg Fig. 34 http://68.media.tumblr.com/fc7ca45b933263ce9bad2e3dfba72638/tumblr_o0gijjA6Go1qat99uo3_1280.jpg Fig. 35 http://68.media.tumblr.com/1e9455e5132011210fe1f37a2dd523ce/tumblr_o0gijjA6Go1qat99uo6_1280.jpg Fig. 36 https://i.pinimg.com/736x/20/d8/ab/20d8ab242bf1c0558443aa3f37912c8c.jpg Fig. 37 https://i.pinimg.com/736x/d9/19/95/d9199585192ef98bfe1664beeb4c0d05--creative-architecture-mad.jpg Fig. 38 http://2.bp.blogspot.com/-Zv-R8sZELIM/TyLZi9RijVI/AAAAAAAAASA/P-urShd4Yao/s1600/IMGP758747. JPG Fig. 39 http://cdn.pymesenlared.es/img/308/4004/8989/281945_402.jpg Fig. 40 http://cdn.pymesenlared.es/img/308/4004/8989/279715_402.jpg Fig. 41 https://www.ecestaticos.com/imagestatic/clipping/990/d38/990d3841e3c882a0233fd3e40a8379ff/cocinasabiertas-al-exterior-ocho-ideas-de-distribucion-y-diseno.jpg?mtime=1458636124 Fig. 42 http://www.luzestudio.es/wp-content/uploads/2015/11/Fotografia-de-Arquitectura-Madrid-Casa-Levene-10. jpg

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Fig. 43 https://i.pinimg.com/736x/93/17/72/9317728fb06c5bcd66e6d986f9750086--architecture-model-makingmodels-off-duty.jpg Fig. 44 https://www.busyboo.com/wp-content/uploads/terunobu-fujimori-architecture-5.jpg Fig. 45 http://ideasgn.com/wp-content/uploads/2013/10/fujimori-terunobu-coal-house-tea-room-portrait.jpg Fig. 46 https://i2.wp.com/tnp-kinki.com/wp-content/uploads/2017/04/The_Fuji_from_the_mountains_of_Totomi. jpg Fig. 47 https://d3df8ea8ea59eq.cloudfront.net/photos/6063391372700811264/6133479845192929280/large.jpg Fig. 48 https://www.kyvernitis.gr/wp-content/uploads/2014/11/img_8594-1.jpg Fig. 49 https://i.pinimg.com/736x/44/16/8b/44168b7fec697115f66009a99b663d0a--hotel-archi.jpg Fig. 50 http://prefab3.is-arquitectura.es/blog/wp-content/uploads/2011/01/planos-refugio-mirror-cube-treehotel. jpeg?iv=59 Fig. 51 https://i.pinimg.com/736x/72/7a/65/727a65d9445d44d8ea150909868814a3--architecture-details-treehouses.jpg Fig. 52 https://www.buildingcentre.co.uk/system/images/images/000/062/514/original/Tr%C3%A4dhotellsectionBA.jpg?1448299614 Fig. 53 http://www.theitaliantouch.com/wp-content/uploads/2017/02/mirror_cube_exterior_8-1.jpg Fig. 54 https://veredes.es/blog/wp-content/uploads/2014/04/NS-55-1024x855.jpg Fig. 55 http://images.adsttc.com/media/images/56fa/66a3/e58e/ce7e/1e00/0054/large_jpg/8353_019. jpg?1459250818 Fig. 56 http://images.adsttc.com/media/images/56fa/6843/e58e/ce7e/1e00/0059/large_jpg/8353_044. jpg?1459251239 257


Fig. 57 https://i.pinimg.com/originals/a1/28/6d/a1286dca0cd5e725b2d56e8800bcd62a.jpg Fig. 58 https://images.divisare.com/images/dpr_1.0,f_auto,q_auto,w_800/uva3fewmdhtmchp4yi96/sverre-fehn-ake-eson-lindman-nordic-pavilion-at-the-venice-biennale-1962.jpg Fig. 59 http://img.archilovers.com/projects/b84cb0c8673542dba0e276991ca2ac59.jpg Fig. 60 https://lh3.googleusercontent.com/ XqxI5eioc1dkXACZQmtPtYqKc7KRRwC7cJOwUsFQ3oouOCLuMwJaaITVPVirUcIFlWpfBKk=s170 Fig. 61 https://i.pinimg.com/236x/c2/3f/96/c23f965acb6ceaa33d84f3d70ac2553b.jpg Fig. 62 https://skfandra.files.wordpress.com/2011/10/dsc02272.jpg Fig. 63 http://img.archilovers.com/projects/a3d0d5e5367f4ddb8c4af9919a4de320.jpg Fig. 64 https://amuse-images.vice.com/wp_upload/2016/08/00504PR130308-030D.jpg Fig. 65 https://amuse-images.vice.com/wp_upload/2016/08/00504PR130308-041D.jpg Fig. 66 https://muenchenphoto.files.wordpress.com/2015/02/71405_107233.jpg Fig. 67 https://i0.wp.com/www.recreoviral.com/wp-content/uploads/2015/07/Dise%C3%B1os-de-casas-que-nosense%C3%B1an-a-convivir-con-la-naturaleza-16.jpg Fig. 68 https://i.pinimg.com/736x/4e/a1/38/4ea138f4bbecd4ce57dfdb78475ac573--bahia-brazil-urban-sketchers.jpg Fig. 69 https://i.pinimg.com/originals/4f/19/a0/4f19a0d23088c6bdaaa584db0ec54345.png Fig. 70 http://www.platform-ad.com/wp-content/uploads/2016/06/house_with_plants_image_1.jpeg Fig. 71 https://www.espazium.ch/uploads/57960faf9e5f1.jpg Fig. 72 http://www.ppan.it/gallerie/7800.jpg 258


Fig. 73 https://www.espazium.ch/uploads/MTQzODc4NzY2OC0zNjc1ODk1MTUwLTI2MDkwLTIz.jpg Fig. 74 http://images2.roma.corriereobjects.it/methode_image/2017/08/14/Roma/Foto%20Gallery/8652702.jpg Fig. 75 http://www.arquine.com/wp-content/uploads/2016/08/MG_5658.jpg Fig. 76 https://2qqce331qbpvuwhs03ipa6o4-wpengine.netdna-ssl.com/wp-content/uploads/2016/06/1.jpg Fig. 77 http://www.arquine.com/wp-content/uploads/2016/08/MG_5589.jpg Fig. 78 http://www.archidiap.com/beta/assets/uploads/2014/09/PIANTA.jpg Fig. 78a https://lh3.googleusercontent.com/YPr2GKZOoN9COATXV6nm65UCOL4Ss_Xjn-td9bfuTe16t9dUttjBDY KKXmM5tbJg8eLAjw=s121 Fig. 78b https://lh3.googleusercontent.com/ Wa8RSTnw5sZMg4KYBmpbcDNanptDbjpj8LJ2y8NbK39bSbBXpakZAgAZBHUiVk28VrI2=s121 Fig. 78c https://lh3.googleusercontent.com/kjkuin7RKl80IQb4ahTdMvq-FuFWuYDjMDpPVYeLBegY7xXavO4RIuU IIzCr78MaB9ae=s121 Fig. 79 http://hicarquitectura.com/wp-content/uploads/2014/02/Bach_5392_2.jpg Fig. 80 http://2.bp.blogspot.com/-8HIqZXsJCjs/Ua9iQUr_RPI/AAAAAAAAAgg/wWzUCwUu-qU/s1600/ axels+porch+esquema.jpg Fig. 81 https://elisavaee.files.wordpress.com/2009/10/la20vivienda20ideal2020alison20y20peter20smithson2. jpg?w=450 Fig. 82 https://fr.wikiarquitectura.com/wp-content/uploads/2017/01/SDOC6602.jpg Fig. 83 http://68.media.tumblr.com/3b56c2ad12fc40926dd9bb2faf7217de/tumblr_nwy6ghUfjC1s56w5po9_1280. png 259


Fig. 84 https://scontent-amt2-1.cdninstagram.com/t51.2885-15/e35/17438173_1138381902940174_80825448981604 59776_n.jpg Fig. 85 https://i.pinimg.com/736x/4d/53/31/4d533152e1f16d5f6fc3ca436ebdb0b0--roquebrune-cap-martin-lecorbusier.jpg Fig. 86 http://biber.co/assets/WORDS/ESSAYS/Le-Cabanon/Images/_1230xAUTO_crop_center-center_85/ lcsketches940.jpg Fig. 87 http://www.emerson.arch.ethz.ch/img/seminarweeks/103/f/lecabanonlecorbusier.jpg Fig. 88 https://i.pinimg.com/originals/1d/58/67/1d5867c5802bced110940020d35628a1.jpg Fig. 89 https://images.divisare.com/images/dpr_1.0,f_auto,q_auto,w_800/v1/project_images/1655200/1/eduardosouto-de-moura-luis-ferreira-alves-fernando-guerra-fg-sg-paula-rego-museum.jpg Fig. 90 https://lh3.googleusercontent.com/zLkQ9RPq3hzujMyIAWidLF-aFiF9CNsi5sQilLoip9fOn8gtcjyVGd73jO7v kL3lT29zxA=s170 Fig. 91 https://lh3.googleusercontent.com/B3xNs7vWqytiJLliOVCXuezTu8belvj4gF1uFGU5PnUlY8bKlJt7uMaTP7 BtWEoe-vQ6=s170 Fig. 92 https://lh3.googleusercontent.com/9RzV_ kM6QuTSwdmCrkFKwDRg1o4hXT34H9AnCGqdd0e9SKhCT322rqLDGrkmneMnTNrsOw=s170 Fig. 93 https://lh3.googleusercontent.com/V5S30gzYpHsN_ehF-swavjDFxlF4XNwWu6UlnBec99i068byyzesvNKBEV Ks852udlEpFw=s170

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Grazie al professore Paolo Vitali, relatore, senza il quale questa tesi sarebbe stata semplicemente una riflessione acerba.



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