prendimi • free press
marzo - aprile 2016
anno
04
n• venti
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 - Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario Fabrizio Marco Provinciali • Realizzazione grafica Ilaria Marchi
In questo numero: Rasputin • Nian • Gli Omini Street Opera • Ditta Artigianale Oltrarno con.tempo libri • Le forbici di domani 1. Rmogrl8120 • ViaggiareInBici Lercio • Danilo Gitto Photography
«Arriva marzo pazzerello: esce il sole e prendi l’ombrello! Dietro a lui viene aprile: sbadiglia, sbadiglia, è dolce dormire» dice una filastrocca e sono marzo e aprile i mesi in cui vi teniamo compagnia con questo numero alla scoperta di nuovi locali, artisti e artigiani. Non servono buoni motivi per passeggiare in Oltrarno, ma se ne aveste bisogno ve ne forniamo ben due: 1) Ditta Artigianale (ma non era in via de’ Neri?) che ha aperto una nuova sede in via dello Sprone, 3. Ci vediamo lì il 17 aprile con tutta la redazione, prendete nota. 2) Rasputin (che poi alla fine dov’è?) il primo secret bar di Firenze. Siamo stati a teatro a vedere gli Omini e ci è piaciuto il loro metodo di lavoro e ancor più ciò che portano in scena: una comicità semplice, genuina, efficace. Fanno ridere, in modo diverso, quelli di Lercio, un sito di satira in cui tutti gli articoli sono dichiaratamente falsi (almeno finché non si avverano). Le giornate si allungano, pronta la bicicletta? C’è chi ci va in vacanza, quelli di ViaggiareInBici hanno cominciato così: storia di cicloturisti che diventano tour operator. Mestieri artigianali che non si tramandano più di padre in figlio ma ad apprendisti stranieri, come Hojun Choi e Qemal Selimi alla prestigiosa sartoria Liverano & Liverano. Omar e Haider Rashid hanno ricevuto la menzione speciale DOC ai Nastri d’Argento 2016 con Street Opera, un documentario sul rap italiano. E poi Nian, giovane pittrice il cui percorso artistico è dedicato all’indagine della femminilità. Il 5di5 ci porta in paesi lontani con le splendide foto di Danilo Gitto, la pagina dell’artista è a cura di RMOGRL8120 e infine un viaggio nella Firenze di Pratolini, grazie alla rubrica in collaborazione con la rivista con.tempo. Buona lettura! Annalisa Lottini
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario FMP Editore e realizzazione grafica Ilaria Marchi, Annalisa Lottini
Ideazione e coordinamento editoriale Marco Provinciali e Ilaria Marchi Immagine di copertina realizzata da Francesco Ripoli Se sei interessato all’acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com • tel. 392 08 57 675 Se vuoi comunicare con noi ci puoi scrivere ai seguenti indirizzi: ilaria@firenzeurbanlifestyle.com ufficiostampa@firenzeurbanlifestyle.com redazione@firenzeurbanlifestyle.com commerciale@firenzeurbanlifestyle.com
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ringraziamenti
Francesco Ripoli, Gabriele Romei, Lorenzo Masini, Jamie Mackay, Giulio Castelli e a tutti quelli che negli anni hanno collaborato con FUL e che, con il loro contributo, ci hanno permesso di arrivare al numero 20.
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FUL *firenze urban lifestyle*
20 p. 6/8
p. 23/24
nian
lercio
p. 9/10
p. 26/27
rasputin
viaggiare in bici
arte
nightlife
p.
11
con.tempo libri
societĂ
verde
p. 28 5di5
diquaddarno, diladdarno
danilo gitto photography
p. 12/14
p. 29
ditta artigianale oltrano
giulio castelli
p. 15/17
p. 29
le forbici di domani
Jamie Mackay
p. 18/20
p. 30
gli omini
rmogrl8120
gusto
artigianato
teatro
p. 21/22 cinema
street opera
un fiorentino all’estero
uno straniero a Firenze
pagina dell’artista
I l a r i a m a r c h i Firenze è la mia città. La amo e la adoro. Mi piacciono i vicoli stretti, le realtà nascoste. Girarla con la mia vecchia bicicletta era una cosa fantastica, era, perché adesso me l’hanno rubata, mannaggia!!! Non vi dico l’età ma sono una giovane grafica a cui piace respirare la libertà, mangiare cose buone e ridere con gli amici. •
Marco provinciali Il gatto nella foto è Pandoro, il gatto della mia infanzia, periodo in cui alla domanda «cosa vorrai fare da grande» rispondevo sempre: il paninaio! Cotto e bel paese il mio preferito, anche ora che divido il mio tempo tra FUL e la realizzazione di guide ed eventi gastronomici. •
daria derakhshan Classe '85, italiana di origini persiane, studi artistici e archeologici alle spalle, diplomata come grafica pubblicitaria presso la Scuola Internazionale di Comics. Sono Warhol dipendente. Adoro la moda, il cinema, la musica e ogni forma e tipo d'arte. •
niccolò brighella Nasco il 16 giugno del 1978 in un antico paese della periferia fiorentina. Scrivo il mio primo racconto da bambino, narrando le vicende di un cucciolo di coccodrillo che, per caso e per fortuna, con l’ausilio di una stufetta e delle nevi eterne del Kilimanjaro, genera il grande fiume Nilo. Da allora, in un certo senso, non sono mai più sceso da quella esotica montagna (e mi sono innamorato di stufe e termosifoni). •
S i lv i a B r a n d i Nata a Firenze Torregalli il 28 settembre 1987 (Bilancia ascendente Sagittario), di residenza isolottiana ma scandiccese d'adozione, a 20 anni decide che ha voglia di farsi qualche giro e passa 3 anni fra Londra, l’Australia e Parigi. Adesso è a Firenze in pianta semi stabile perché nella vita non si può mai dire. Per FUL traduce gli articoli in inglese, vivendo così nella paura che gli articolisti sentano nella traduzione stravolto il significato delle loro parole e l’aspettino sotto casa. Il traduttore è un mestiere duro ma qualcuno deve pur farlo. •
redazione mobile .4
Annalisa Lottini Pisana di nascita e fiorentina di recente adozione, arriva a FUL tramite il tip tap. Ama i libri e il loro mondo, la danza in tutte le sue forme e stare in compagnia. Lavora nell'editoria barcamenandosi tra mille passioni e impegni. Nei ritagli di tempo lavora per FUL in una attenta e faticosa caccia alla notizia e al refuso. •
J a c o p o A i a z z i Nasco a Fiesole alle 5:30 di mattina del 23 settembre 1985, con una mano sopra la testa e il peso di 4kg e passa. Più fastidioso di così non potevo essere. Sono nato il giorno in cui è morto Giancarlo Siani, un giovane giornalista di ventisei anni ucciso dalla camorra a Napoli. Oggi ho la sua età e ancora non ho assimilato tutte le sfumature che il giornalismo può assumere. L’unica cosa di cui sono consapevole è il desiderio di coltivare questa conoscenza. Più appassionato della scrittura in quanto tale che del giornalismo, apprezzo ogni forma di quest’arte. La cosa che più mi codifica come italiano è l’amore per la pastasciutta, con qualsiasi sugo. •
J u l i a n B i o n d i Sono nato venticinque anni fa nelle hills fiorentine, sognando di conoscere in ogni suo angolo quella città che vedevo affacciandomi dal balcone. Cresciuto, mi sono messo di impegno nel mio progetto e sono contento di dire che, nonostante il parer comune, Firenze riesce sempre a stupirmi. Sono un laureando in «Media&Giornalaio», amo leggere qualsiasi cosa e vorrei scrivere di qualsiasi cosa. Per ora non posso che definirmi: «studente per vocazione, barman per necessità e cazzeggiatore di professione». •
r ITA BARBIERI Fiorentina per nascita e per scelta: amo la mia città e lo stile di vita che essa offre, un mix di arte, cultura ed eventi che si rinnova sempre e non annoia mai. Sono una persona curiosa e creativa, mi piace scovare e sperimentare cose nuove e condividerle scrivendo: il miglior modo che conosco per ampliare orizzonti e prospettive. Ho una passione per le lingue, la letteratura, l’arte in genere, oltre che per la cucina e il vino. Mi piace stare a contatto con persone e ambienti di tutti i tipi: conoscere l’Altro significa infatti anche conoscere meglio sé stessi. •
La nostra redazione è in completo movimento, composta da fiorentini autentici e da coloro che hanno trovato a Firenze la loro seconda casa. La centrale operativa è nella zona Sant'Ambrogio ma l’occasione di incontri e riunioni è sempre una
j a c o p o v i s a n i «Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport.» @JacopoVisani •
r o b e rta p o g g i Venticinque anni, fiorentina. Ho girellato un bel po' all'estero per poi tornare – almeno temporaneamente – stabile a Firenze. Amo spostarmi per conoscere situazioni diverse in prima persona, anche se ogni volta che torno a casa le stradine di Firenze mi sembrano le più belle di tutte. •
marco castelli Fotografo, nasce scorpione nel 1991. Esattamente sedici anni prima, esce nelle sale americane Qualcuno volò sul nido del cuculo, uno degli unici tre film nella storia ad aver vinto tutti e cinque gli Oscar principali. Sa suonare dei jingle con le mani utilizzando la bocca come cassa di risonanza. Quando ha tempo, partecipa a mostre e festival di fotografia nazionali e internazionali. Vorrebbe fare il gigolò, ma si affeziona troppo. Diventerà attore o regista (o almeno così dice). •
R e n z o R u g g i Nato ai piedi del Monte Amiata 24 anni fa. Studente di comunicazione all’Università di Firenze. Adoro scrivere, specialmente quando ho qualcosa da dire. Mi interesso di moda e costume, e amo l’artigianato in ogni sua declinazione. Per velocizzarmi, corro. Se rimane un po’ di tempo, realizzo oggetti in pelle e cuoio. •
M a r t i n a S c a p i g l i at i Quello della Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia settentrionale a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Gli Scapigliati erano giovani tra i venti e i trentacinque anni, nutriti di ideali e amareggiati dalla realtà, propensi alla dissipazione delle proprie energie vitali, «… tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori» (in introduzione, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno 1862). Martina è nata nel 1985. Sa leggere la musica, ama scrivere e cantare, è Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza. Vive a Firenze col suo adorato Jack Russel Napoleone, di anni 8. •
marco fallani Amo il cibo, il vino e il sole, odio quasi tutto il resto. Proprio nel "bel paese", io ci trovo tutto questo. Per tre volte son scappato dalla piccola Firenze – che alla fine ho sempre amato – ma comunque torno sempre. •
gianluca parodi Nato il 13 gennaio 1986… coi piedi nell’acqua di mare e il libeccio in faccia. Una passione vera, sfrenata, carnale per la storia dell’uomo e dell’arte, l’ha portato a svolgere tutte le occupazioni possibili, tranne che quella per cui ha studiato una vita. Lavora nella moda senza capirla, mai! Innamorato dell’amore, romantico nel senso tedesco del termine, vive per raccontare. Friedrich Wilhelm Nietzsche scrisse: «L'autore ragionevole non scrive per nessun'altra posterità che per la propria, cioè per la propria vecchiaia, per potere, anche allora provar diletto di sé.» •
chiara mannocci Gemelli gemella, sono nata a Prato 27 anni fa. Da piccola volevo fare la parrucchiera, ma dopo aver sciolto i capelli di tutte le mie Barbie ho capito che non mi sarei più fatta fregare dalle apparenze, così ho cambiato. Mi sono laureata in lingue e letterature comparate, e da poco sono diventata professoressa di inglese. Adesso insegno ai ragazzi che i capelli delle Barbie non sono veri e nel tempo libero traduco gli articoli per FUL. •
Unotrezerocinqueuno Nasco il 17. Di venerdì. Fino a 15 anni mi prendo sul serio, poi smetto. Passo la maggior parte del mio tempo in teatro, sul palcoscenico, in platea e in ufficio, a cercare un nesso convincente tra i dialoghi di Eduardo e il TFR. Vivo a Firenze da 10 anni e traslocando di casa in casa per circa 12 volte, ho imparato a conoscere tutte le vie. Anche quelle piccole, tipo Via d'Ardiglione. Nella vita avrei voluto fare la cantante, ma a 10 anni la maestra del coro mi disse TU LAGGIù, FAMO CHE MòVI SOLO LA BOCCA, SENZA SòNO. Non mi sono mai più ripresa e per questo profondo instancabile potente senso del continuo fallimento, faccio l'attrice. •
buona scusa per approfittare di una visita ai vari gestori di bar o locali che ormai da anni conosciamo. Una redazione mobile che trova nel supporto della rete il collante necessario per la realizzazione di ogni nuovo numero.
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ful arte
nian la donna e l'arte Testo di Niccolò Brighella, foto di Jasmine Salley
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N
ian è una giovane artista fiorentina interessata, più per vocazione personale che per un preciso programma artistico, all’indagine sulla femminilità. I suoi primi lavori sono ritratti di donna, formali e figurativi: «Già allora indagavo il femminino, schiacciandolo in un realismo razionale che col tempo non mi ha più soddisfatta». Un esordio che la stessa artista sottovaluta, e che a noi invece dimostra tutta la sua sensibilità nell’aver individuato, istintivamente e fin dal principio, la prigionia razionale e maschilistica che ancora oggi costringe la dirompente potenza femminile. «Dipingevo con la testa, apprezzavo il risultato per la tecnica, ma se ero sincera con l’immagine non lo ero però con me stessa, con le mie emozioni. Quindi, dopo l’Accademia, ho abbandonato tutto il lavoro fatto. Per anni non ho più dipinto figure, invece mi sono buttata sul colore, in particolare sul rosso, il nero, il blu. Sviluppare un rapporto più intimo con la mia produzione mi ha spinto a comunicare con gli altri, ed è stato allora che ho fatto le prime mostre».
La capacità, generalmente umana, ma anche profondamente femminile, di armonizzare intense emozioni senza imporre su esse il controllo razionale della mente, prende il sopravvento nel linguaggio di Nian, che abbandona la figura per il colore.
Sarà un passaggio dal formale all’informale solo temporaneo, ma che ridefinirà profondamente il lavoro dell’artista, conferendogli quell’espressività cromatica che lo contraddistingue. Il rifiuto della figura, come ogni altro aspet-
to tecnico nell’arte di Nian, è solo un mezzo, non uno scopo. Lontana da qualsiasi obiettivo programmatico, l’artista si libera delle figure per entrare in contatto con il proprio universo interiore, e dopo aver appassionatamente rifiutato la lucida descrizione del reale per la più viscerale emotività cromatica, Nian torna al ritratto, all’immagine delineata di donna. Una seconda rivoluzione stilistica per un’artista che non sembra mai fermarsi, a dimostrazione di
un percorso di crescita personale che in parte armonizza e in parte critica il mondo circostante.
Nian giunge così al suo linguaggio odierno, mescolando il figurativo a forme di realismo magico, in cui la linearità del tratto e i colori intensi si inseriscono in una precisa visione prospettica. La loro natura però è profondamente mistica, sfaccettature di un femminino sacro comune a ogni essere vivente su questa Terra, e che proprio della Terra incarna lo spirito. Ad esempio in Melting City, ritratto di donna realizzato per Inseminazione Artistica, dove la figura femminile, dall’aspetto ieratico, è dominata dal verde e dal nero, figure animali la incorniciano, mentre, con gli occhi chiusi, volge le spalle al paesaggio in rovina del presente. Un rifiuto che l’artista e il suo soggetto oppongono alle contraddizioni dell’uomo, puntando invece il proprio sguardo su altre, più contemplative, scelte di vita. La ricerca artistica di Nian, in parte meditativa e in parte contemplativa, illumina il nocciolo di tutte le nostre contraddizioni: quel tragico conflitto tra potere e armonia, tra violenza e amore, tra parte umana e parte animale che riassume in sé tutto il tragico, intenso e drammatico destino dell’uomo. • 7.
ENGLISH VERSION>>>>
Nian is a young Florentine artist interested in inspecting femininity. Her first works are women portraits, both formal and figurative: «I was interested in exploring the feminine, forcing it in a rational realism, but later in time it didn’t satisfy me anymore». Even if the artist undervalues it, her début reveals all her ability in focusing, since the very beginning, on the rational and sexist imprisonment that still today oppresses the feminine power. «I painted with my head, I appreciated the result for its technique but if I was sincere with the image I wasn’t so with myself and my emotions. So, after the Accademia, I abandoned all the previous works. For years I stopped painting figures and I focused mainly on colours, in particular on red, black and blue. Establishing a closer relationship with my production has led me to communicate to the others. From that moment I started to exhibit my works». Nian’s language shows the typical feminine ability of harmonizing intense emotions without imposing on them the rational control of the mind. She has abandoned the shape for the colour. This passage from the formal to the informal was only temporary but it allowed Nian to redefine deeply her artistic work, reaching her current chromatic expression. Her refusal of the figures, as for other technical aspects of her work, is only a mean, not the aim. Nian releases from figures in order to enter in contact with her own interior universe and only then she comes back to the portrait, to the defined image of a woman. It’s a sort of second stylistic revolution for her. It’s a path of personal growth that from one side harmonizes and from the other criticises the surrounding world. Her present language is a mélange of figurative and magic realism where the linearity of the stroke and the intense colours integrate in a defined perspective vision. Their nature, yet, is deeply mystic since they show many facets of a sacred feminine, common to all human beings on Earth, and that embodies the spirit of the Earth itself. Nian’s artistic research, both meditative and contemplative, enlightens the core of all our contradictions: that tragic conflict between power and harmony, violence and love, human and animal side: it assumes all the tragic, intense and dramatic destiny of mankind. •
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ful nightlife
RasputiN IL PRIMO SECRET BAR DI FIRENZE All'inizio È solo un nome: Rasputin. Una voce che si sparge: c'È un nuovo locale in cittÀ. SÌ, ma dove? È proprio questo il punto: dove non si sa. Una geniale ed efficace idea di marketing che in realtÀ costituisce l'essenza di questo secret bar. Testo di Annalisa Lottini, foto di Niccolò Brighella
Marco Vinci e Ghermai Zerazion si conoscono nel
2003 durante una vacanza a Barcellona. Marco è di Cremona e fa il video operatore, Ghermai è di Arcore e fa il bartender. La loro amicizia cresce e si cementa nel tempo, nonostante la distanza e i percorsi lavorativi diversi. Poi quella vecchia idea buttata lì un po’ per scherzo un po’ sul serio torna a fare capolino nella mente di Marco. Da un po’ di anni si è trasferito a Firenze e comincia ad essere stufo della precarietà del suo lavoro. Forse, dopo tutto, mettersi in proprio e aprire un locale non è impossibile... Ghermai ha continuato la sua carriera di bartender lavorando in importanti locali prima di Milano e poi di Londra. Marco lo raggiunge lì per un periodo per scoprire la nightlife londinese e lavorare in vari club, tra cui uno speakeasy. A quel punto, convinto Ghermai, mancava solo il fondo adatto. Arriva voce di uno scantinato in Oltrarno, ha una bellissima volta in mattoni ma tutto il resto è da sistemare. C’è da rifare il pavimento, risuddividere gli ambienti, creare la sala, il bar, un ripostiglio. Ma è perfetto. Il progetto di Marco e Ghermai è da subito molto chiaro: ispirarsi agli speakeasy americani degli anni del proibizionismo e ai members' club londinesi, ma differenziandosene per un macroscopico particolare. Non è un locale con una zona segreta in cui si servono alcolici, ma un vero e proprio secret bar a cui si accede attraverso una finta parete. Da qualche parte in Santo Spirito, in una delle tante vie, ai primi di marzo è stato inaugurato il Rasputin. L’ingresso si mimetizza con il resto dell’arredo urbano, solo alcuni dettagli svelano l’esistenza del locale, tra cui una placca d’ottone con inciso il nome «Grigorij Efimovič Rasputin» e un campanello. Una volta oltrepassata la porta (con tanto di spioncino), si scende giù per una rampa di scale e si arriva direttamente in un’altra epoca. Lorenzo Masini è il designer che è stato incaricato di fare la magia, «di incanalare il Tigri e l'Eufrate in una bella foce» come dice Ghermai e di trasformare la cantina in un salotto fin de siècle. Allo stesso periodo storico appartengono anche la selezione dei cocktail e il personaggio che dà il nome al locale. Rasputin, come il mistico russo consigliere dei Romanov, come il personaggio del fumetto Corto Maltese, e anche come un gatto. 9.
Il salotto è arredato con tavoli e sedie antiche di varie forme e dimensioni, candele, candelabri, quadri dalle vistose cornici dorate. Tutte le lampade sono state fatte su misura per il locale. La carta da parati, di un rosso scuro, è la riproduzione di un disegno originale di Morris. Un teschio di cavallo spicca sul davanzale di una finestra, una teca contiene un’anatra, persino le bottiglie degli ingredienti di Ghermai sembrano arrivare direttamente dal 1900! La zona bar è il suo regno, con un bellissimo bancone e con una bottigliera disegnata su misura che nasconde l’ennesimo segreto, scorrendo apre il passaggio a un’altra stanza che in futuro sarà adibita a distilleria. Alcuni dei cocktail sono ricette originali di Ghermai (i primi
quattro del menù), create appositamente per il locale mentre le altre sono ricette originali di fine ’800-inizio ’900, epoca in cui ebbe inizio la storia del cocktail. La prima pubblicazione di una guida che contiene ricette di cocktail è infatti del 1862. Gli ingredienti sono tutti accuratamente selezionati, a partire dal gin e dal whisky fino ad arrivare al ghiaccio. Fateci attenzione, vedrete che non si liquefarà nel vostro bicchiere annacquando il vostro drink. Il locale contiene 40 persone sedute ed è obbligatoria la prenotazione. Da quando ha inaugurato c’è sempre stato il tutto esaurito. Per prenotare basta inviare un messaggio tramite la loro pagina facebook o telefonare allo 055 280399. E voi ci siete stati? Come, non sapete ancora dov’è? •
ENGLISH VERSION>>>> Marco Vinci and Ghermai Zerazion met in 2003 during a holiday in Barcelona. Marco a video operator from Cremona, Ghermai a bartender from Arcore (Milan). They talk about opening a bar together but it’s just a dream until Marco gets fed up of having a precarious job and asks Ghermai to become a business partner. They find a cellar in Oltrarno that needs to be completely renovated but that is perfect for what they have in mind. Drawing inspiration from speakeasy and London members’ club they want to open a secret bar, whose address will remain hidden as well as its entrance. Somewhere in Santo Spirito, at the beginning of March they opened Rasputin. Its entry is perfectly camouflaged with the street nearby. Only some details give away its existence, like a brass label with «Grigorij Efimovič Rasputin» on it. On the other side of the door, after descending a steep flight of stairs another epoque is awaiting you. Lorenzo Masini is the designer who made the magic, he transformed the cellar into a fin de siècle living room. To the same historical period belong the selection of cocktails and the character who lends the name to the bar, Rasputin, the Russian mystic and Romanov family’s counselor, but Rasputin is also a character of the comic Corto Maltese and a cat. Everything has been carefully selected: all the furniture pieces and decorations, the ingredients of the cocktails, the recipes (some are Ghermai’s originals, others are taken from old XIXth century recipes). The bar can host up to 40 seated people, it is necessary to book in advance especially because since the opening they have had always full nights. You can book by sending a message through their facebook page or calling at 055 280399. So have you already been there? What, you still don’t know where it is? •
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con.tempo libri
DIQUADDARNO, DILADDARNO Testo di Carlo Benedetti / con.tempo
I
Il mondo di Pratolini, ossia Firenze, è semplice. Un quartiere, al massimo un paio. Una città lenta, addormentata nell’interregno fra fascismo e dopoguerra, lontana dal boom economico. E semplici sono le vite dei personaggi che la popolano: giovani lavoratori e lavoratrici, muratori, impagliatrici di sedie. I loro amori, i loro intrighi, la fatica di trovare il proprio posto nel mondo. Questo è il fascino e il limite della scrittura di Pratolini. Ci cattura perché rende Firenze color seppia, con un dialetto ormai quasi scomparso, con i nomi delle vie che riconosciamo. E ci respinge perché forse siamo troppo distanti da quei personaggi, da quelle strade vuote, per crederci del tutto. La Firenze di Pratolini è quella dei quartieri e se Santa Croce, di qua d’Arno, è lo sfondo de Il quartiere, San Frediano, di là d’Arno, lo è de Le ragazze di San Frediano. Sono entrambi romanzi corali, in cui si raccontano le storie di ragazzi e ragazze che crescono fra guerra e pace. Ma sono anche due spicchi mirabili di una Firenze d’antan. Con un po’ di fortuna, passeggiando in alcuni vicoli, se ne coglie il ricordo. Santa Croce era la propaggine estrema di Firenze, quasi periferia, già campagna in Via Aretina. Da San Frediano si andava in centro solo di domenica, per passeggiare. Il quartiere era il mondo conosciuto. Sono strade povere, in cui arrivare a fine mese non è mai scontato e il banco dei pegni un’istituzione familiare a tutti. E allora perché girare oggi, con questi due libriccini in mano, per quelle stesse piazze ci riempie di malinconia? Cos’è che, alzando gli occhi dalla pagina, ci sembra che manchi? Forse, il sentirci a casa in questo centro storico sempre più vuoto e a misura di turismo. Sembra che il cuore di Firenze sia stato scavato via, senza peraltro togliere una pietra, anzi restaurando tutto con buongusto e decoro, e sostituito con vetrine di moda e scarpe. Della vita fatta di fabbri, falegnami, mosaicisti, di Pratolini non rimane quasi nulla. Firenze è diventata una città come tante altre, dove essere di San Frediano non significa più essere comunisti. E dove Santa Croce ospita solo studenti americani a chili e con scadenza trimestrale. Ma prima di abbandonarci ad un decadentismo di seconda mano, Pratolini ci avverte. Nel finale de Il quartiere, infatti, spiega: «Hai ritrovato diverso il Quartiere. Ma la gente c’è ancora tutta, lo sai». È gente diversa, venuta da lontano. E, nei quartieri appena fuori le mura, costruisce vite felici e tristi. Ancora non ha trovato, come la città, un nuovo Pratolini che ci racconti nuove storie, più complesse, ma non meno belle. Di qua e di là dall’Arno, Firenze rimane e cambia e cresce. E aspetta qualcuno che, raccontandola, ce la faccia vedere di nuovo. • I libri: Vasco Pratolini, Il quartiere, BUR Rizzoli, 2012 Vasco Pratolini, Le ragazze di San Frediano, BUR Rizzoli, 2011
con.tempo è una rivista di narrativa breve inedita. Nata a Firenze, pubblica autori esordienti da tutta Italia, scommettendo tutto sull’attenzione maniacale per il testo, l’editing, la riscrittura. Ogni numero esce in 999 copie numerate e in distribuzione gratuita con illustrazioni originali di giovani artisti e designer. Ogni uscita ha un tema comune che la trasforma in una piccola antologia. Se vi piace l’idea e voleste partecipare o per sostenere il progetto, visitate il sito www.contempo.cc
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ful gusto
DITTA ARTIGIANALE OLTRARNO
dove il caffÈ È un'arte Testo di Rita Barbieri, foto di Ditta Artigianale
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asseggiando in zona Oltrarno sulla rive gauche fiorentina si trova un posto del tutto nuovo nella forma e nel contenuto: Ditta Artigianale, un ambiente innovativo dove degustare caffè speciali e non solo. Recentemente inaugurato, è diretto da Francesco Sanapo (come il precedente Ditta Artigianale in Via de’ Neri) e Daniele Palladini e, proprio a loro, abbiamo chiesto: che cos’ha di unico rispetto agli altri locali del centro storico? «Ditta Artigianale è il posto dove mi piace andare, destinato a un target giovane, curioso e dinamico. Non
mi interessano quei locali che sembrano fatti in serie, semplici cloni l’uno dell’altro, che servono prodotti di bassa qualità e a basso costo. Io ricerco l’originalità e i clienti che vengono
da noi possono conoscere ogni dettaglio dei nostri prodotti. Possono scegliere anche come consumare il caffè, non solo espresso, ma con i vari metodi di caffè filtro. Da sempre, con Ditta Artigianale, cerchiamo di fornire le giuste risposte, perché il nostro primo obiettivo è far capire cosa si nasconda dietro la tazzina più amata» risponde Francesco. Centralità piena al caffè dunque, vero punto di forza e originalità: tante infatti, sono le varietà che qui si possono assaggiare, dall’espresso al metodo brew bar realizzato con sistemi come il V60, il Syphon, l’Aeropress, Cold brew, fino al nuo.12
vissimo Steampunk, che utilizza un’innovativa tecnica, molto scenografica ed estremamente versatile. Ma dove nasce tutta questa passione per il caffè? Risponde Francesco: «Il
caffè oltre che un piacere, è una vera e propria forma d’arte. Da apprezzare, conoscere e condividere, un’esperienza sensoriale a tutto tondo,
un percorso gustativo pari a quello, per esempio, della degustazione del vino. L’ho scoperto viaggiando in giro per il mondo e partecipando a varie competizioni nazionali e internazionali: il caffè non è un rito o un banale automatismo, ma un’artigianalità d’eccellenza tutta da ridisegnare in chiave moderna». Artigianalità che Francesco conosce davvero bene, dato che fin da piccolo trascorreva il tempo nel bar di famiglia a Lecce e poi, una volta trasferitosi a Firenze, ha affinato sempre più la sua formazione di barista in varie caffetterie, partecipando a numerose competizioni nazionali e internazionali di settore fino a raggiungere il massimo riconoscimento nel 2013 a Melbourne, quando si è classificato tra i primi sei nel campionato mondiale. Da questa svolta, nasce la voglia di approfondire ulteriormente le competenze e di puntare all’originalità. Inizia quindi a viaggiare in Centro America alla ricerca di piccoli produttori con cui stabilire un rapporto diretto e realizzare, una volta ri-
entrato in Italia, una microtorrefazione esclusiva per Ditta Artigianale che si avvale delle tecniche di lavorazione più moderne e dei macchinari più innovativi. Un caffè unico e speciale servito ad arte da veri maestri come Francesco Masciullo, arrivato terzo all’ultimo Campionato italiano, ma non solo: qui è anche possibile mangiare bene a un prezzo accessibile, grazie alla creatività dello chef Arturo Dori che propone sia piatti elaborati che panini gourmet, dolci, oltre a un vasto menu di mezze porzioni, studiate apposta per invitare all’assaggio. Una novità di quest’anno inoltre, è la selezione di tè e infusi, curata da Monica Meschini (tea cupper e assaggiatrice), in collaborazione con il Tea Institute. Tra questi, alcune essenze molto pregiate e rare, come il tè verde giapponese Shizuoka Igyokuro e il tè bianco Fujian white monkey, serviti sia con lo Steampunk che con metodi più tradizionali e classici. C’è poi un fornitissimo Gin&Cocktail Bar curato da due bartender di grande fama, quali Kareem Bennett e Natalia Mazzilli, che interpretano drink classici in chiave moderna seguendo la filosofia della mixology. Tutto questo in un ambiente dal sapore vintage, che si trova in un palazzo originariamente progettato da Michelucci, al quale gli architetti Luca e Marco Baldini, responsabili del progetto di rinnovo, si sono ispirati per la realizzazione, rispettando l’anima del luogo. Il locale si sviluppa su due piani, collegati da una scala a chiocciola: il primo è un open space dedicato alla zona caffetteria e al cocktail bar, mentre quello superiore è formato da una serie di ballatoi su cui sono disposti i tavoli per la cena o per il pranzo. Dominano materiali essenziali come il legno, il marmo, il cemento, e tutti gli arredi, sia quelli disegnati appositamente per il locale dai due architetti, sia quelli di recupero (come le sedie di Frattini), sono in linea con uno stile mini-
male ma raffinato. All’entrata, sempre in armonia con il resto, si trova una consolle per le serate con musica e, in estate, anche la piazzetta adiacente sarà arredata e utilizzata per eventi di vario tipo. Un ambiente affascinante, ricercato, unico e multifunzionale che si afferma come leader delle caffetterie italiane e che punta a espandersi e a cre-
«Esiste un fascino nascosto nei chicchi di caffè, nella loro lavorazione, nella tostatura. Esiste una professionalità nel modo di sceglierlo, coltivarlo, trattarlo, presentarlo. Come in tanti prodotti, anche nel caffè esiste scere sempre di più, per trasmettere che:
un’eccellenza che io vado personalmente a ricercare e a proporre ai miei clienti per promuovere uno stile di consumo che sia consapevole e piacevole al contempo. Un caffè può essere un’esperienza sensoriale ed è questo che, con il mio lavoro, vorrei comunicare e insegnare» conclude Francesco. Ditta Artigianale, insomma, è il luogo ideale per iniziare a vivere il caffè in modo nuovo e regalarsi una pausa piacevole in un posto altrettanto piacevole, a due passi dal centro storico: un posto originale con un concept originale. •
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ENGLISH VERSION>>>>
Ditta Artigianale,recently opened a new branch in Oltrarno under the management of Francesco Sanapo. The new Ditta Artigianale is THE place for coffee and has been designed for a young target. Customers may choose how they want their espressos because there are so many methods available. Francesco aims at originality and he firmly believes that it’s important to give customers the possibility to know exactly what they’re eating and drinking. Coffee is the real protagonist here: there are many varieties and many ways of preparing it, from the brew bar method to the Steampunk one – a very scenographic and innovative technique. When asked where his passion for coffee was born, Francesco replied: «Coffee is an art form, and may be tasted and appreciated in the same as we taste wine». He grew up in Lecce where his family ran a coffee bar; then moved to Florence, worked as a barista in many bars and participated to many competitions in the field. He classified sixth in the 2013 Melbourne worldwide championship. After that he travelled through Central America searching small coffee producers with which he could establish a business and create, once back in Italy, an exclusive coffee roasting. This unique coffee is served by masters like Francesco Masciullo, who reached the third position in the Italian championship, but the bar also offers good food to an affordable price, thanks to the creativity of chef Arturo Dori and his elaborate half portions’ to taste in one bite. The latest addition to the menu is a selection of teas and tisanes by tea cupper Monica Meschini, which includes some very rare products such as Shizuoka Igyokuro green tea and Fujian white monkey white tea. There’s also a very well equipped Gin&Cocktail bar. The place is decorated in vintage style, designed with minimal but very chic details. There are two floors connected by a spiral staircase: on the ground floor we find the cafeteria and cocktail bar, and on the first floor a gallery with the tables for eating. Ditta Artigianale has a very fascinating setting and an extremely interesting choice of products, which makes it the ideal place for a pleasant break in the city centre.•
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ful artigianato
Le forbici di domani Mestieri artigianali che non si tramandano più di padre in figlio ma ad apprendisti stranieri. Storia di Hojun Choi e Qemal Selimi presso la prestigiosa sartoria Liverano & Liverano. Testo e foto di Renzo Ruggi
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’ è stato un decennio davvero buio nel mondo dei mestieri artigianali: anni in cui nei centri storici le saracinesche dei laboratori si abbassavano per sempre, una dietro l’altra, per la cronica mancanza di giovani apprendisti in grado di garantire quella continuità maestro-allievo alla base di ogni mestiere. Attribuisco parte della responsabilità ad una visione distorta dei più giovani, abituati a pensare alle attività manuali come a qualcosa di molto sacrificante e poco remunerativo e alla laurea come alla panacea di ogni male in ambito lavorativo. Troppo a lungo, sulla scorta di quelle generazioni svezzate dall’agio degli ’80, abbiamo avuto cieca fiducia nell’illimitatezza dei «quadri intermedi in ambito pubblico» o delle posizioni di responsabilità all’interno di una multinazionale qualsiasi, sicuri che anche a noi, laurea in tasca, si sarebbe prospettato il più roseo tra i futuri possibili. Sta di fatto che intorno ai primi anni duemila gli unici a scegliere un mestiere artigianale, per passione o per necessità, erano in maggioranza stranieri, consci dei sacrifici fisici e talvolta economici che l’apprendimento di un mestiere comporta.
Hojun Choi, coreano di Seoul e Qemal Selimi albanese di Tirana, trentenni, sono paradigmatici a tal proposito: dopo anni di fatiche sono diventati due pilastri della storica sartoria Liverano & Liverano di via dei Fossi e due promesse assolute del panorama sartoriale europeo.
Il loro maestro e mentore, Antonio Liverano, oltre ad essere sarto di fama planetaria e oracolo di stile per ognuno dei suoi committenti sparsi in mezzo mondo, è anche uno di quegli imprenditori illuminati capaci di far fronte alle contingenze proprie di ogni epoca con una differente attitudine mentale: mentre i suoi colleghi continuavano a giustificare l’immobilismo stilistico con l’ossequio alla tradizione, Liverano ha creato uno stile proprio partendo ovviamente dalla giacca di scuola sartoriale fiorentina
giungendo però a qualcosa di completamente nuovo, per molti versi rivoluzionario. Proprio Hojun mi dice di essere rimasto folgorato dalla linea di una giacca Liverano, costituita da spalle leggermente estese e prive di imbottiture, fondo molto aperto, revers importanti e quella singola pence obliqua sul fianco che è un po’ la firma dell’atelier fiorentino. Questa fu la molla che nel 2010 lo portò a Firenze per imparare il mestiere di sarto, nonostante una laurea in ingegneria informatica già conseguita in patria. «I primi mesi sono i più difficili perché ti costringono a confrontarti con i tuoi limiti, prima fisici poi mentali. Una
volta che la mano si scioglie è possibile iniziare l’apprendimento vero e proprio, sia a livello tecnico che mnemonico, basato sulla ripetizione del gesto fino a quando non si riesca ad eseguire un lavoro senza sbavature. Ecco, è stato in questo periodo che Qemal mi ha molto aiutato: quando sono arrivato lui lavorava qui già da qualche anno ed essendo mio coetaneo riuscivo a confrontarmi alla pari su tutto, dal lavoro alle difficoltà della vita lontano da casa». Qemal è arrivato adolescente a Lucca, assieme alla sua famiglia e avendo già un minimo di dimestichezza con ago e filo decise di frequentare un istituto professionale per i mestieri della moda. «Grazie ad uno stage conobbi un sarto lucchese disponibile ad insegnarmi qualche rudimento nel pomeriggio dopo la scuola. Mi piacque fin da subito e così all’indomani del diploma decisi che doveva diventare il mio lavoro. Arrivai in via dei Fossi pochi mesi dopo e adesso dopo quasi otto anni mi ritengo un privilegiato: lavorare in un ambiente come questo ti permette di apprendere stando a stretto contatto con una clientela internazionale colta ed esigente capace di offrire continui spunti, che ti costringe ad alzare sempre di più l’asticella portandoti a sviluppare un tuo gusto personale. Senza questo corredo di competenze è senz’altro possibile diventare bravi sarti, ma la differenza la fanno i clienti:
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servire coloro che hanno bisogno di un abito da lavoro, grigio o blu che sia, ti consente di migliorare la tecnica e null’altro;
quelli che invece fanno dell’eleganza un esercizio quotidiano rimangono il miglior propulsore per l’artigiano che ambisca ad elevarsi a maestro».
L’ambizione non manca di certo a questa coppia così affiatata e improbabile da somigliare ai Jules e Jim descritti da Roché nell’omonimo romanzo: sentirli discutere ognuno col proprio accento della supremazia dei tessuti inglesi su quelli nazionali mentre attraversano ponte alla Carraia pare un omaggio al duo franco-tedesco intento a disquisire di letteratura sulle sponde della Senna ai primi del novecento: ciascuno con la propria identità culturale e stilistica ma entrambi innamorati delle mille sfaccettature di un lavoro che li vedrà protagonisti assoluti degli anni a venire. • .16
ENGLISH VERSION>>>>
Craftsmanship has passed through a very black decade: years in which the laboratories shut down in the city centre forever, one after another, because of the chronic lack of young apprentices. According to the prejudices of the young, these jobs are seen as not profitable and very tiring so they privilege a degree and aspire to be employed in multinational companies. As a consequence, in the first years of the 2000’s the only ones who looked for handcraft works, both for necessity or passion, were mainly strangers. Hojun Choi, Korean from Seoul, and Qemal Selimi, Albanian from Tirana, both 30 years old, are some of them: after years of fatigue they have become two pillars of the historical tailor’s shop Liverano & Liverano in Via dei Fossi. They are now two absolute promises in the European sartorial panorama. Their master, Antonio Liverano, is a very famous tailor and oracle of style for each of his customers all over the world. He is one of those enlightened entrepreneurs able to face all the challenges of their time with a different mental attitude. While his colleagues keep on justifying the stylist immobility with the respect of tradition, Liverano has created a personal style, starting from the traditional Florentine sartorial jacket up to something very new and somehow revolutionary. Hojun tells me that he was struck from the line of a Liverano jacket with extended shoulders without padding, a very large bottom, important lapels and a single oblique pence on the hip, the very sign of the Florentine atelier. That was the spur that, in 2010, brought Hojun in Florence to become tailor despite a degree in informatics. «The first months were the hardest ones because I had to face my physical and mental limits. Once the hand loosens up it’s possible to truly start learning, both on the technical and mnemonic levels. In this period Qemal helped me a lot: when I arrived, he already worked here and I could confront openly with him about work and life matters». Qemal arrived with his family to Lucca when he was a teenager. He was already able to sew and so he attended a vocational school for fashion: «During an internship I met a tailor from Lucca who taught me a lot and then I decided it would have become my job. After eight years here in Via dei Fossi I feel privileged: in such an environment you can work with international customers and that teaches you a lot and helps you creating your own taste. You can become a good tailor in different ways, but only through this kind of experience you can become a real expert: serving men who dress elegantly as a lifestyle is the best push for the artisan to become a true master». This close-knit couple has got ambition. Listening to them talking about the different fabrics while crossing Ponte alla Carraia looks like an homage to Jules and Jim: each of them with his own cultural and stylistic identity and both in love with the thousands facets of a work in which they will be absolute protagonists. •
Liverano & Liverano Sartoria Via dei Fossi 43/r 50123 Firenze Tel. 055 239 6436 info@liverano.com www.liverano.com
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ful teatro
Gli Omini si scusano per il "disagio" Testo di Annalisa Lottini, foto di Gabriele Acerboni e Omini
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i siamo spesso chiesti sulle pagine di FUL quale sia il ruolo dell’artista contemporaneo e che cosa possa fare per avvicinare il pubblico all’arte, per portarlo alle mostre, a teatro. Gli Omini sono una compagnia teatrale nata ormai nove anni fa che si è proposta come scopo proprio di «avvicinare le persone al teatro e di far nascere il teatro dalle persone». Intervistiamo uno dei membri stabili della compagnia, Francesca Sarteanesi, a poche settimane dal debutto del loro nuovo spettacolo Ci scusiamo per il disagio, al Teatro Cantiere Florida di Firenze. Francesca raccontaci come nasce la vostra compagnia... Gli Omini sono una compagnia teatrale nata nel 2006 dalle ceneri di un progetto dal nome Distilleria Teatrale Cecafumo. Nel 2004, infatti, Francesco aveva riunito una decina di giovanissimi artisti toscani con lo scopo di condividere le proprie esperienze e provare a fare teatro. Costruimmo insieme un solo spettacolo, nel quale abbiamo avuto la fortuna di poter fare quasi tutti gli errori possibili. Nel riconoscere e discutere di quegli errori sono nati gli Omini. Di una decina rimanemmo in quattro: Luca Zacchini, Francesco Rotelli, Riccardo Goretti e me. Ci siamo chiesti insistentemente perché facevamo teatro, per chi lo volevamo fare e come ci sarebbe piaciuto farlo. Le risposte a queste domande stanno tutte nel nostro metodo di lavoro. Gli anni sono passati e il gruppo adesso è cambiato, Riccardo è uscito ed è subentrata Giulia Zacchini. Adesso che abbiamo a bordo anche una coppia di fratelli veri e propri è sempre più evidente la «conduzione familiare» della nostra compagnia. Una condizione dalla quale non possiamo prescindere, che fa lavorare con un altro e alto trasporto. E poi ci piacciono le cose fatte in casa. Ci potresti raccontare in breve la genesi dei vostri progetti e qual è quello che vi ha dato più soddisfazioni? Il progetto Memoria del tempo presente è stato il nostro inizio. Già il titolo sottolinea la necessità di indagare il preciso momento in cui stiamo vivendo. L’importanza dell’adesso. Le nostre settimane d’indagine sono come un’istantanea e gli .18
spettacoli che nascono non hanno repliche perché sono fatti per quel luogo e per le persone che lo abitano. Tappa nasce da questo progetto, uno spettacolo senza canovaccio che si nutre delle idee e delle parole che incontriamo. Il progetto Casamatta è nato dall’esigenza di allargare i confini del nostro percorso artistico e dalla voglia di sviluppare e arricchire le nostre individualità. Migliorare singolarmente con uno scopo comune. Diffondere il miglioramento. All’interno e all’esterno del gruppo. La casamatta ha un tetto per
non far scappare le idee campate in aria. È un fortino, ma non ha porte per accogliere visite e vento. È un non luogo e di conseguenza entra in ogni spazio. Dalla testa di uno nasce l’idea, l’idea rimbalza e se trova complici s’ingrandisce. Da questo progetto sono nate tre produzioni: L’asta del santo, L’uovo e il pelo, Io non sono lei. Capolino invece è stato un progetto molto articolato che ha portato alla nascita dello spettacolo La famiglia Campione. La griglia iniziale prevedeva già molti dei personaggi e parallelamente abbiamo iniziato un lavoro di indagine e interviste in otto comuni nei dintorni di Firenze. Il nostro intervento in questo caso mirava ai giovani che passano le giornate nei bar, nelle piazze e in giro. Considerata la difficoltà di interloquire con loro abbiamo cercato un altro tipo di approccio. Per farli sentire parte integrante del lavoro li abbiamo portati in scena con noi. Una volta finito questo progetto abbiamo rielaborato tutto il materiale ed è nata la nostra Famiglia Campione. Infine il Progetto T, che è stato commissionato dall’Associazione Teatrale Pistoiese con il fine di valorizzare la tratta ferroviaria che collega Pistoia a Porretta. Un progetto triennale che prevede una complessa rete di attività: il primo anno ci siamo concentrati sulla stazione di Pistoia. È stata allestita una mostra fotografica di Gabriele Acerboni dentro la sta-
zione, sono state fatte delle performance sui binari ed è nato un breve documentario firmato John Snellinberg. Il secondo anno ci concentreremo sulla tratta e partiremo col treno per interviste a bordo. A luglio 2016 sarà realizzato un nuovo spettacolo, forse alla stazione del Castagno, o sul treno stesso. Ad oggi viste le complicazioni della macchina burocratica non abbiamo ancora la certezza del luogo preciso. Il terzo anno è quello più complesso e più fantasioso. L’obbiettivo è quello di far viaggiare un vagone treno sulla linea ferroviaria e usarlo come «teatro» itinerante per spettacoli, concerti ed eventi culturali. Per questa idea ci siamo ispirati al Vagón del Saber realizzato da un gruppo di architetti in Equador. Treno e Teatro. Proprio come da Progetto T. Non saprei dire quale di questi progetti ci ha dato più soddisfazione. Ognuno è nato con un perché preciso e sentito e ci ha fatto conoscere tante persone. Entrare un po’ più a fondo nelle vite della gente, e questa non è assolutamente una cosa da poco. Mi sembra un ottimo regalo da chiedere al proprio lavoro. Ci scusiamo per il disagio è il vostro ultimo spettacolo, che cosa lo distingue e che cosa lo accomuna alle precedenti produzioni? Ci scusiamo per il disagio è sempre nato da interviste, ma questa volta l’indagine è durata più di un mese ed è stata fatta nello stesso luogo. Un non luogo per meglio dire. Una stazione. Questa è la prima grande differenza. Non eravamo mai stati più di una settimana nello stesso posto. Invece nella stazione di Pistoia abbiamo vissuto per molti giorni dalla mattina alla sera. Questo ci ha permesso di osservare a lungo e con uno sguardo più attento quello che ci si presentava davanti. Il debutto è stato fatto dentro il deposito dei Rotabili Storici di Pistoia, un grande museo a cielo aperto di vecchie locomotive e vagoni. Ed è lì, proprio in mezzo a una carrozza Centoporte, un vagone Corbellini e una locomotiva a vapore che abbiamo dato vita ai personaggi di Ci scusiamo per il disagio. La versione da palco è stata ripulita totalmente, non ci sono più treni ma solo una panchina e un altoparlante. È un continuo passaggio di viaggiatori e di habitué che girano a vuoto e che aspettano un treno. Che probabilmente è passato già su di un altro binario. In pochi anni avete ideato e sviluppato molti progetti e spettacoli, vinto premi (l’ultimo il premio Rete Critica 2015), pubblicato persino un libro. Quanto è stato difficile e come ci siete riusciti? Non è stato difficile. È difficile. Diciamo che non smettiamo mai. Che questo lavoro è costante e continuo. Che liti, discussioni, riunioni infinite, idee da trovare e idee da buttare sono la linfa per poter rimanere in piedi. Siamo quattro e quattro diversi. Ogni parola, o frase, o pensiero, prima di diventare un fatto, deve essere discusso e sviscerato. Ogni cosa detta, prima di essere scritta viene sempre passata al vaglio 19.
di tutti. Spesso questa cosa è snervante, stancante, ma oggi posso dire che è quello che ci è servito, è quello che ci ha permesso di continuare, di trovare nuovi stimoli e che ci dà la sensazione di migliorare, di crescere. Nel frattempo ci è arrivato questo premio. È stato inaspettato e quindi ancor più bello da ricevere. Sogni nel cassetto, buoni propositi, impegni futuri? Non so se definirli sogni nel cassetto. In questo momento si sta per realizzare un fatto. Un fatto importante. È iniziata da poco una collaborazione con Armando Pirozzi che sta lavorando con noi alla stesura di un nuovo spettacolo che vedrà la luce a luglio. Siamo curiosi di vedere che cosa salterà fuori. L’idea ci piace e la voglia c’ è. Ripeto la voglia c’ è. Quindi posso dire che con questi due ingredienti possiamo ritenerci molto molto contenti. E poi proseguirà il progetto T, anche quello a luglio tra l’altro. Mese caldissimo. Cercheremo di arrivare in fondo a questa bizzarra e stravagante missione ancora vivi. Questo è il sogno forse. Viva. Se potessi esprimere un desiderio riguardo alla tua professione e alla situazione dei teatri in Italia, che cosa chiederesti? Non mi piace esprimere desideri. Mi piace realizzarli i desideri. O meglio... mi piace avere qualcosa da raggiungere, qualcosa che si vede in lontananza come un bagliore. E poi mi piace la tratta. La tratta che si percorre per raggiungere quel qualcosa. Se siete curiosi di vederli, nel sito www.gliomini.it troverete il calendario con le date di tutti i loro spettacoli. •
ENGLISH VERSION>>>>
Acting company Gli Omini was born nine years ago. We’re interviewing one of its members, Francesca Sarteanesi. Hello Francesca, tell us how the Omini were born... We are a theatre company since 2006 but we became the Omini only when we admitted every mistake we had made during the first show and started discussing about them. That’s how Omini was born: through acknowledgement and discussion of mistakes. We used to be ten, then we became a four people company. We’re still four, though someone has been replaced over the years: Luca and Giulia Zacchini, Francesco Rotelli and I. What are your projects and which one is the most satisfying for you? Memoria del tempo presente was our first project, focused on the importance of here and now, that’s why its shows have no replica: they are created for specific places and people. Casamatta project came from the need of widening our artistic path and enriching ourselves. We firmly believe that improving the singles improves the group as a whole. Capolino is a very complex project which gave birth to La famiglia Campione show. At the beginning we tried to interview young people who spend their days hanging around in bars and squares, but it was hard to approach them so we decided to take them on stage
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with us. Last but not least is Progetto T, created to enhance the railway route between Pistoia and Porretta. It’s a three-year-project and Ci scusiamo per il disagio was born inside this residency. Each one of these projects was satisfying in its own way because they’re all very different. Ci scusiamo per il disagio is your last show, what is his peculiarity? It was organized after gathering interviews for over a month in Pistoia railway station, before we had never stayed in the same place longer than a week. It was our chance to accurately observe what was there and take it back to the stage. A never-ending flow of travellers and habitué that wander around and wait for the train – which probably has already passed on another platform. You managed to create many projects and shows in a few years, you even published a book and won some awards. Was it hard? It wasn’t hard. It is hard. We never stop. We managed because we never give up discussing and examining, which is often draining but it’s what makes us strong and cohesive. If you could make a wish, what would it be? I don’t like making wishes, I like realizing them. I like having a goal, and I like the path towards it. •
ful cinema
STREET OPERA Documentario, quattro storie, testa e croce del rap italiano, vincitore della Menzione Speciale ai Nastri d’Argento 2016. Guè Pequeno, Tormento, Clementino, Danno. Tramite Elio Germano. La nostra intervista a Omar Rashid di Gold. Testo di Martina Scapigliati, foto tratte da Street Opera
Omar & Haider Rashid. Non sono fratelli
ma omonimi: padre iracheno e madre calabrese per entrambi, prima generazione di fiorentini, stesso cognome. Nel 2003 Omar (Firenze, 1979) fonda il marchio Gold, lo street dealer, pioniere fiorentino. Ha studiato al Polimoda ma piuttosto che disegnarli i vestiti preferisce comprarli, indossarli: preferisce il marketing. Poi stage a New York: Zoo York, Supreme, Anything i negozi di riferimento. Omar viene dal mondo dell’hip hop, quello dei graffiti in particolare, e a Firenze lavora in maniera brillante sulla comunicazione non convenzionale: guerrilla marketing, stickering. Così Gold invade la città, con i suoi adesivi è dappertutto, la città ne è piena. All’inizio il marchio si sviluppa in un progetto di abbigliamento. Poi, resta il brand. «Mi è sempre piaciuto disegnare, mi piaceva moltissimo l’idea del graffito. Il mondo dell’hip hop l’ho conosciuto a metà anni ’90 quando non era possibile che, come oggi, ogni disciplina potesse finire con il fare storia a sé… ad ogni modo, dopo 10 anni ho chiuso i negozi di abbigliamento, ma ho voluto mantenere il branding, il web: la comunicazione, mantenuta in un’accezione street. Ho conosciuto Haider quando era appena uscito con il suo film Sta per piovere». Haider Rashid (Firenze, 1985), è un regista fiorentino. Anche lui da ragazzo ascoltava molto rap: nasce la collaborazione.
I ragazzi lavorano per quasi tre anni a Street Opera: regia di Haider, co-prodotto e co-scritto insieme con Omar. «Inizialmente volevamo fare un documentario sulla storia del rap, ma Enrico Bisi di Torino stava già sviluppando un progetto del genere, il suo Numero Zero. Allora siamo passati a selezionare una lista di nomi da coinvolgere, circoscrivendo il rap in quattro rappresentanti, dando uno sguardo in presa diretta sulle varie sfaccettature di quel mondo, in modo che venisse fuori più l’essenza del rap, non tanto quella della figura del rapper o della storia del rap». Guè Pequeno, Tormento, Clementino, Danno dei Colle der Fomento. Le
tante sfaccettature raccontano la stessa realtà: che sia underground, mainstream, giocoso o cupo, è sempre la stessa espressione, il rap, un toccante cerimoniale condiviso col pubblico. C’ è la
testa, e la croce non manca, ma c’ è anche molto cuore: sono storie di pura passione, con tutto quello che ne consegue. C’ è il tramite di Elio Germano, che come un Virgilio accompagna, scandisce, contestualizza quello che raccontano gli altri (ma si vede anche sul palco col suo gruppo rap romano, le Bestie Rare): «Fare uno spettacolo con niente raccontando quello da cui si proviene è una dimensione politica in senso 21.
alto, non partitica… La qualità viene per forza da un canale di gente che vuole fare qualcosa per gli altri». Il film è stato selezionato tra i 40 finalisti dei Nastri d’Argento del documentario 2016. «Il logo del film è stato disegnato da Luca Barcellona, in arte Lord Bean, calligrafo, ex writer e rapper, autore del brano Street Opera. La canzone racconta la passione che c’ è per questo ambiente, ed è la perfetta chiusa del film». Info e saluti: «Il nostro sito: www.streetopera.it. Vogliamo proseguire con il lavoro che abbiamo iniziato, espandere nel tempo tutto il materiale che abbiamo raccolto. Le storie che abbiamo da raccontare sono veramente tante, ne vogliamo fare davvero un’Opera. Lentamente stiamo inserendo interviste a vari rapper, a breve faremo anche una mappa del rap, città per città, parliamo di nomi grossi, li intervistiamo e poi li mappiamo… tanti cari saluti agli amici di FUL!» •
ENGLISH VERSION>>>>
Street Opera is a documentary about Italian Rap – and this is our interview to Omar Rashid. Omar and Haider Rashid have the same last name but they’re not brothers. In 2003, Omar (Florence, 1979) founded the brand Gold. He studied at Polimoda, then went to New York for a internship. Omar comes from the hip hop and the graffiti world, and in Florence he did a great job with a non-conventional marketing for Gold, invading the city with its stickers. «I’ve always liked drawing and designing, I love graffiti. I got to know hip hop in the mid-90s. Anyway, I closed down Gold clothing shops after 10 years, but kept the brand. I met Haider right after his film Sta per piovere came out». Haider Rashid (Florence, 1985) is a Florentine director. He also listened to rap music, that’s how his cooperation with Omar was born. The two worked for almost three years to Street Opera’s realization: Haider is the director, Omar is co-producer and cowriter. «At the beginning we wanted to realize a documentary about the history of rap, but Enrico Bisi from Torino was already working on a similar project called Numero Zero. So we selected a few names and elected four representatives of rap, then looked into various aspects of this world, so to try and catch its essence instead of its history.» Guè Pequeno, Tormento, Clementino, Danno dei Colle der Fomento. They all share the same reality: they may be underground or mainstream or happy or sad but their manifestation is the same: rap. The movie was selected among 40 finalists of Nastri d’Argento 2016. «Our website is www.streetopera.it. We want to take this project forward, the stories we want to tell are so many, we want to make a real Opera. We’re adding more interviews and we’ll soon make a rap’s map, city by city. Bye bye to our FUL’s f riends!» •
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ful societa'
LO SPORCO CHE FA NOTIZIA La satira è una cosa seria: il falso con stile Testo di Rita Barbieri, foto Lercio
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ato a ottobre 2012 come spin-off del blog di Daniele Luttazzi, Lercio è diventato in breve tempo un fenomeno virale. La rubrica in cui si invitavano i lettori a trasformare in satira i titoli dei giornali è stata chiusa e i redattori, su istigazione di Michele Incollu, si sono ritrovati sui social, hanno fatto squadra e hanno creato un sito parodia di Leggo (quotidiano gratuito di informazione) in cui si pubblicano notizie e titoli tutti dichiaratamente fasulli, come si afferma candidamente nel claim: «Tutti gli articoli contenuti in questo sito sono falsi (almeno finché non si avverano) e sono stati redatti a scopo esclusivamente umoristico». Seguitissimi dal pubblico, armati di una redazione aperta a contributi esterni, sono stati definiti il nuovo modello di satira 2.0, in contrapposizione con il mock journalism: quel tipo di giornalismo che vende bufale come se fossero verità certificate. Per gentile concessione di Andrea Bonechi (in arte Chiorbaciov), abbiamo risalito la china redazionale per distinguere il Vero dal Lercio. Cos’è Lercio? Lercio è un sito-parodia che fa il verso a un certo tipo d’informazione acchiappaclick, ma che, con il contesto grottesco che si è creato, ha la possibilità di ribaltare satiricamente gli eventi attuali facendone uscire le deformità e le incongruenze. Questo ufficialmente. Ufficiosamente traffichiamo in organi. Perché questo nome? Abbiamo messo in un’urna dei fogliettini con i possibili nomi. È uscito Giornale di propaganda fascio-razzista. Quindi abbiamo ripiegato su un sinonimo più corto. Chi sono i redattori/responsabili? Persone con gravi disturbi della personalità, reietti della società o, nella peggiore delle ipotesi, sostenitori di Verdini. Chi sono i lettori? La tipologia di lettori presenta una forbice molto ampia: dai professori universitari agli studenti fuori corso. La satira è per tutti. In un’intervista hai detto che Lercio nasce dall’esigenza di ribellarsi a un certo tipo di potere e di giornalismo. Qual è l’esigenza che vi spinge a scrivere? L’arte nasce sempre da un’ingiustizia, da una costrizione. Scrivere con umorismo è comunque una forma di comunicazione, un modo per esprimere le proprie opinioni sul mondo che ci circonda. E, contingentemente, cazzeggiare. Cos’è la legge di Poe? Come e perché la usate nei vostri articoli? La legge di Poe sostiene che: «Senza qualche chiaro segno di intenti umoristici, non è possibile creare una parodia del fondamentalismo in modo tale che qualcuno non la confonda con il vero fondamentalismo». Noi mettiamo negli 23.
articoli tutti gli intenti paradossali per far capire a chi legge che si tratta di una parodia. Chi non lo fa, lo fa male o fa finta di farlo sta producendo solo delle gran bufale acchiappaclick. Fuggite quei siti e parlatene male come fate di Sanremo. La satira è una forma di aggressione o di difesa? Un autore bravino scrisse: «Se la morale non offendesse non verrebbe lesa». La satira è una reazione all’ordine precostituito delle cose, una specie di difesa immunitaria dalla totale sacralità con cui il potere circonda ogni aspetto della vita. Allora la satira è una cosa seria? A che serve? Serve a instillare il dubbio. Serve a non guardare la De Filippi credendo che sia una cosa giusta da fare. Quali sono la soddisfazione e l’insoddisfazione maggiore del tuo lavoro? La soddisfazione maggiore sta nel conoscere giornaliste tipo te che mi chiedono interviste e con le quali poi instauro rapporti di sesso selvaggio. L’insoddisfazione non c’ è. Una top ten delle notizie migliori? Le notizie da mandarti sarebbero troppe, ed è brutto fare una top ten. Ma ti posso dire quella che mi è rimasta più impressa: «Necrofilo si scopa Patty Pravo, poi si accorge che è ancora viva». Vi siete dati un limite da non superare o tutto è permesso? La satira è un mezzo per esprimere le proprie opinioni, quindi al massimo il problema è se le opinioni sono lecite. O comunque è questo che diremmo in un’aula di tribunale semmai venissimo arrestati. Insomma, come spieghereste Lercio a chi ha ancora dei dubbi? Un nostro lettore ci ha definiti «la cartina di tornasole inutil-
ENGLISH VERSION>>>>
Born in October 2012 as spin-off of Luttazzi’s blog, Lercio (filthy, TN) has become a real viral phenomenon in a short time. The column where readers were invited to transform the titles of newspapers satirically had been closed, so the authors moved to the socials and created a parody of Leggo (a free daily newspaper), where they publish only overtly false titles and news as reported frankly in the claim: «All the articles in this site are false (at least until they don’t become true) and have been written with a humoristic aim only». They have been defined as a model of 2.0 satire in contrast with mock journalism: that kind of journalism that sells hoaxes as if they were certificated. We interviewed Andrea Bonechi. What is Lercio? Officially Lercio is a parody-site that apes a certain kind of seizeclick information but thanks to a grotesque context, we face the issues showing their incongruity. Unofficially, we traffic in organs. Why did you choose this name? We put some options in an urn. The first slip of paper we picked was «Newspaper of nazi-fascism propaganda», so we decided to use a shorter synonym.
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mente sognata da Darwin per distinguere gli Homo Sapiens dagli anelli di congiunzione». La satira dunque, a differenza della semplice bufala, è un sottile lavoro di addizione, di esagerazione non solo linguistica ma soprattutto semantica: è prendere una gigantesca lente d’ingrandimento per cambiare l’ottica e rovesciare il punto di vista comune. La satira è lercia per natura e per intento: va a scovare lo sporco anche se ben nascosto, tira fuori la polvere da sotto il tappeto e le macchie d’umido da dietro i quadri. Il punto è che, quando è arte, lo fa divertendosi e facendoci divertire. •
Who are the authors/managers? People with a serious personality disorder, rejects of the society or, in the worst of cases, Verdini’s supporters. Who are the readers? There a lot of different kinds of readers: from the university teachers to the out-of-course students. Satire is for everyone. In an interview you said that Lercio was born from the need to rebel to a certain kind of power and journalism. What pushes you to write? Art always springs from injustice, from constraints. Writing with humour is a form of communication, a way to express our own opinions about the world around us. And, at the same time, shooting the shit. Is satire a form of aggression or defence? A quite good writer once wrote: «If morality didn’t offend it wouldn’t be damaged». Satire is a reaction the pre-established order, a sort of immunity defence against the sacredness with which power infects every aspect of our life. Is satire serious? What’s its aim? Its aim is lodging doubts and convincing people not to watch Maria De Filippi, believing that it’s right to do so.
What are the biggest satisfactions and delusions of your work? The biggest satisfaction is meeting journalist like you who ask me interviews and then establish with me a wild sex relationship. There are no delusions. A top ten of your best articles? There are too many of them and it’s unfair to choose a top ten. The one that impressed me the most is: «Necrophiliac fucks Patty Pravo but then realises that she is still alive». Did you impose some limits or is everything allowed? Satire is a way to express a personal opinion, so the main problem is if these opinions are licit. At least that’s what we would say in a tribunal if we got arrested. So, how would you explain Lercio to those who still have doubts? A reader defined us «the litmus test uselessly dreamed by Darwin to distinguish Homo Sapiens from the joining links». Satire is filthy for its own nature, it discovers the dirt even if it is very well hidden and brings it out. The point is that when satire becomes art it does everything having fun or making us have fun.•
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ful verde
ViaggiareInBici.it
Da avventurosi viaggi tra amici a tour operator, ma sempre in vacanza su due ruote! Testo di Jacopo Visani, foto di ViaggiareInBici
S
alire su una bici, macinare chilometri, sentire il sale del sudore sulle labbra, arrivare a sera con le gambe impallate, il didietro dolente, parzialmente ustionati e con l’amara consapevolezza che la mattina seguente bisogna ripartire! Solo chi ha provato a fare un viaggio in bici può capire quanta soddisfazione, gioia e fascino si nascondano dietro a queste atroci apparenze. Amsterdam, un’estate sul finire degli anni Novanta. Lorenzo, sedici anni, si innamora di una bici vintage esposta in un mercatino delle pulci e decide che sarà il mezzo che lo porterà a Londra. Quando torna a Firenze è ancora carico dall’entusiasmo di questa folle esperienza solitaria. Ne parla continuamente, cercando di contagiare con questa sua nuova passione anche i suoi amici ma, solo qualche anno dopo, Daniele viene folgorato dall’idea e decidono di andare in Sicilia in bici. Sono passati almeno dieci anni dall’ultima volta che Daniele era salito in sella. Riesuma dalla cantina la bici da corsa del padre, vi monta un portapacchi forando il telaio e vi lega due borse anni Ottanta parecchio scucite di sua zia. La partenza è fissata per una torrida mattina di agosto. I giorni a disposizione sono 15 e i due non hanno la minima idea dell’itinerario da percorrere né della fatica che li attende. Lorenzo si presenta all’appuntamento con due ore di ritardo, una cartina dell’Italia che sbuca dallo zaino Invicta e, per deliberata scelta tecnica, nessun portapacchi. Già al terzo giorno le sue spalle gli fanno rimpiangere quell’incauta scelta e i due sono costretti a ingegnarsi con un gioco di cavi elastici capace di contraddire qualsiasi legge della fisica per riuscire bloccare lo zaino al manubrio. Durante il viaggio sono tanti i momenti di crisi mistica (Fantozzi docet) e lo spettro del .26
ritiro – detta altrimenti di prendere un treno – spesso si affaccia alle loro menti annebbiate dalla fatica. Ma non si danno per vinti e proseguono, pedalata dopo pedalata, tappa dopo tappa, fino alla meta designata. A quel rocambolesco e indimenticabile primo viaggio ne seguono tanti altri, tra cui uno che da Firenze li porta a Dubrovnik via Trieste e un altro più breve nelle accessibili pianure olandesi. Divenuti ormai a tutti gli effetti dei cicloturisti iniziano a pensare a come poter condividere la loro passione con altre persone e così nel 2007 Lorenzo crea un rudimentale sito internet e insieme fondano l’Associazione Sportiva ViaggiareInBici. Con la mania di grandezza che spesso accompagna le prime volte, programmano un tour Firenze – Vetta dell’Etna, denominandolo «Giro d’Italia». In un’epoca nella quale i social emettevano ancora i primi gemiti, lo pubblicizzano sui forum in voga come vagabondo.net e studenti.it (sigh). I partecipanti reclutati sono tre e insieme partono da piazza della Signoria per un’epica traversata che sarebbe durata 20 giorni. ViaggiareInBici nasce così, per gioco e in modo genuino, ormai quasi 10 anni fa. Da allora sono cambiate tante cose, sia al loro interno che nella percezione sociale del cicloturismo. In Italia, fino a qualche anno fa, quei pochi che partivano per una vacanza in bici venivano scambiati per crucchi o considerati dei fricchettoni un po’ sfigati. Oggi sembra assurdo pensare che quei novelli backpackers che pedalavano faticosamente su bici cariche di bagagli, con tanto di pentole tintinnanti, fornellino a gas, tenda e sacchi a pelo a penzoloni erano in verità i pionieri di una nuova forma di turismo. Complici il diffuso gusto (e la moda) per tutto ciò che è slow e local, ma anche lo stato di crisi del turismo che ha visto nei viaggi in bici una possibilità di rilancio, in pochi anni sono nati tour operator, siti dedicati, e sempre più strutture si sono
organizzate per offrire servizi o nuove forme di ospitalità ad hoc. Il cicloturismo è una nicchia ormai ben definita e il mondo del turismo ha iniziato a corteggiare quelli che precedentemente erano considerati con un po’ di disprezzo dei barbuti e sporchi avventori. Da tre anni anche ViaggiareInBici si è trasformato a tutti gli effetti in un tour operator che ha iniziato a offrire sempre più itinerari e tipologie di vacanza. Ai numerosi viaggi di gruppo durante i quali Daniele pedala insieme ai partecipanti, si è aggiunto il supporto di Amita che guida un furgoncino che trasporta i bagagli e, a volte, anche chi ha bisogno di un po’ di riposo. In alternativa ci sono i «Viaggi in libertà», dove ViaggiareInBici si occupa solo di mettere a disposizione dei servizi per rendere la vacanza il più confortevole possibile, e i trekking. Molti degli itinerari si articolano nel territorio toscano, soprattutto nelle strade del senese e della Val d’Orcia, una tra le aree più piacevoli al mondo, non solo per l’aspetto paesaggistico, ma anche per quello enogastronomico. L’attenzione di Amita, infatti, è sempre rivolta non solo a pianificare itinerari affascinanti, ma anche a individuare luoghi dove i partecipanti possano riposare e mangiare e bere con gusto le delizie del territorio toscano. Uno dei nuovi percorsi è quello della via Francigena, una via di comunicazione storica che collegava Roma a nord con l’Europa e a sud con Gerusalemme e che, se sostenuta, potrebbe riscuotere un successo pari a quello del Cammino di Santiago. ViaggiareInBici è divenuta negli anni una grande famiglia, composta da tanti nuovi partecipanti e da alcuni veterani che sono arrivati anche al decimo tour. Stancarsi pedalando fianco a fianco sicuramente contribuisce a rompere tante barriere e rende possibile instaurare amicizie e legami inaspettati che continuano anche oltre il viaggio. Tour dopo tour, l’età degli organizzatori e dei
partecipanti è gradualmente aumentata, ma quello che è rimasto invariato è l’entusiasmo nel conoscere nuove persone e l’adrenalina che accompagna ogni nuova partenza, proprio come quella prima volta in piazza della Signoria. Insomma un’esperienza davvero completa, da provare con un gruppo organizzato o da soli. In un mondo in cui le vacanze seguono sempre più la logica consumistica del last minute, sembra proprio esserci bisogno di un diverso modo di viverle. Del resto, in bici si farà anche più fatica, ma sicuramente si torna a casa più ricchi e meno stressati! •
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Amsterdam, end of the ’90s. Lorenzo, who was sixteen by then, fell in love with a vintage bike. He came back to Florence full of enthusiasm, and after a few years he managed to organize a bike trip to Sicily with his friend Daniele. That was the very first bike tour they did. It was hard, but successful. It took them 15 days, a lot of strain and much laughter. Many other trips followed (Dubrovnik, the Netherlands and much more), this is how they became real cyclotourists. They loved it so much they started thinking about a way to share their passion. In 2007 Lorenzo created a website and together they founded Associazione Sportiva ViaggiareInBici, launching their first tour called «Giro d’Italia»: 20 days from Florence to Volcano Etna, which was advertised onto vagabondo.net and studenti.it and gathered only three participants. Since then, many things have changed. Thanks to the new trends and consequently to tourism crisis, cyclotourism is now a well-defined niche. ViaggiareInBici is now a proper tour operator which offers a wide choice of itineraries. Lorenzo and Daniele are currently supported by Amita and her van, who’s designated to baggage (and sometimes to tired bikers) transportation. In addition to proper cyclotours, they also provide special services for more comfortable holidays as well as trekking excursions. Most of the itineraries are set in Tuscany, mainly nearby Siena and in Val d’Orcia, and a special attention is given to the eno-gastronomic aspect of tours. ViaggiareInBici is now a big family, some of its veterans reached their tenth tour but the enthusiasm never decreases! A different and full experience. Give it a try! •
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ful 5di5
5di5
danilo gitto www.gitto.photography
Alba sul Mar Nero.
Pesca coi cormorani. Yangshou, Cina.
Baia di Funing. Fujian, Cina.
Sadu nel Gange. Varanasi, India.
Malgrado io sia un web designer la mia passione per la fotografia mi ha portato a viaggiare, anche se è altrettanto vero il contrario; diciamo che le due passioni hanno trovato un buon connubio. Vivo a Firenze, ma appena posso parto per l’Asia, soprattutto India e Cina, mie principali muse ispiratrici. Although I’m a web designer, the passion for photography has led me to travel, even though the opposite is true; let’s say these two passions have found a good match. I live in Florence but as soon as I can I leave for Asia, mainly India and China, my two biggest muses. https://www.facebook.com/gittophotography/
Ragazza di etnia Sui. Guizhou, Cina. .28
ful uno straniero a firenze /\ un fiorentino all'estero GIULIO CASTELLI Mi chiamo Giulio Castelli, ho 27 anni e mi trovo in Sudan dove lavoro come ingegnere idraulico per l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Lavoriamo nelle regioni dell’Est (lo stato di Kassala e quello del Red Sea), cercando di costruire reti idrauliche e sistemi irrigui insieme alla popolazione e alle istituzioni locali. Le giornate sono molto varie, si passa dal lavoro d’ufficio a quello di campo, che comprende discussioni con la popolazione, rilievi, test sui pozzi, installazione di sistemi idrici e alcuni cantieri. Il confronto con le persone è spesso fondamentale per capire le problematiche economiche e soprattutto climatiche della zona. Il lavoro è entusiasmante e formativo, a tratti molto difficile per un ingegnere della mia età. Si riescono a capire, da una prospettiva diversa, problematiche globali di cui in Italia sentiamo solo parlare. Capendole e vivendole da qua forse riusciremo ad avere nuove soluzioni per affrontarle, anche se torneremo a lavorare in Italia o in Europa. Cosa porteresti a Firenze dal Sudan? La gentilezza e l’ospitalità delle persone. È raro vedere un sudanese comportarsi in modo scortese o in maniera disonesta, oppure arrabbiarsi. Molto spesso, nei negozi o sul posto di lavoro, viene offerto il tè o addirittura il pranzo (fatur) anche a degli sconosciuti. Cosa porteresti in Sudan da Firenze? Forse non è la cosa più scontata o caratteristica, ma: la pioggia. Qui piove pochissimo, e quando piove spesso le precipitazioni sono violente e causano danni e problemi alla popolazione. Il Sudan è arido e le temperature arrivano sopra i 45 gradi per buona parte dell’anno. Il clima del paese è cambiato negli ultimi 5060 anni. Il fenomeno del Climate Change, che in Europa viene discusso e messo in dubbio, qui è visibile ed è stato all’origine della desertificazione di vaste zone del paese, come quella che ha dato origine alla migrazione che ha generato la crisi del Darfour. Come ingegneri, ma soprattutto come cittadini, siamo e saremo responsabili delle scelte che possono invertire o peggiorare questa tendenza, a cui, solo con la Cooperazione Internazionale, forse non è possibile far fronte. My name is Giulio Castelli, I’m 27 and I’m working in Sudan as an hydraulic engineer for Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. We work in East part (the Kassala and Red Sea states) trying to build a water supply network together with the local institutions. We do many things during the day, working at the desk as well as on the field. Communication with local people is extremely important as we do need to understand the economic situation and climatic conditions of the area we work in. What would you take to Florence from Sudan? People's kindness and hospitality. It’s very unusual to see a Sudanese being rude or dishonest and very common to be offered a tea or even an entire lunch (fatur) in shops or at work. What would you take from Florence to Sudan? I know it may sound ridiculous but: rain. It almost never rains here and when it does, rainfalls are extremely violent and cause problems. Sudan is very arid and for most part of the year the temperatures are over 45° Celsius degrees. The phenomenon of Climate Change is undeniable here and is the reason of the desertification of wide areas of the country, like the one which caused the massive migration from Darfour. •
JAmie mackay Mi chiamo Jamie Mackay, sono giornalista e scrittore e sono venuto in Italia quattro anni fa da Bristol con l’intenzione di restare per un anno e scrivere un libro. Mi sono innamorato del paese quasi subito, della gente, della cultura e del modo di vivere: invece di tornare in Inghilterra ho deciso di viaggiare per l’Italia. Dopo un periodo a Palermo, scrivendo sul tema dell’immigrazione, ho deciso di trasferirmi a Firenze per essere più vicino a Roma e Milano, per motivi di lavoro. Ora però sono felice di parlare di Firenze come della mia città. La sua storia è certamente un aspetto importante del mio attaccamento, ma Firenze ha anche una fiorente scena culturale che mi sto divertendo a scoprire. Che cosa porteresti a Firenze da Bristol? L’impegno per l’ambiente. L’anno scorso Bristol è stata eletta città più verde d’Europa, grazie all’impegno del governo e dei suoi abitanti a vivere in modo più sostenibile. La Toscana è una delle regioni più belle d’Italia, ma Firenze non fa abbastanza in tema ambientale. La maggior parte degli spazi verdi sono trascurati e mal gestiti, e lo smog di quest’inverno è stato uno spaventoso ricordo dell’impatto che le nostre macchine hanno sull’ecosistema. Sono felice di vedere nuovi progetti ambientali, come gli orti urbani, ma credo che ci sia molto da imparare da Bristol. Cosa porteresti a Bristol da Firenze? Le piazze. Sono una delle cose che amo di più di Firenze, perché consentono a persone di qualsiasi tipo di socializzare. Piazza Santo Spirito è la mia preferita e mi sembra diversa ogni volta che ci vado, c’è sempre un gran mix di persone – cittadini, migranti, turisti, giovani, anziani – in un continuo flusso di cambiamento. A Bristol la società è più segregata, forse proprio perché non abbiamo spazi pubblici così vivi e malleabili. La promiscuità sociale che si vive in Italia è sicuramente un buon punto per rafforzare la felicità e la salute delle persone e delle città in generale. I’m Jamie, a 26-year-old writer and journalist. I came to Italy four years ago to live in Venice with a vague plan to stay for one year and work on a book. Very quickly, though, I found myself falling in love with the country, the people, the culture and the rhythm of life. Soon I found I didn’t want to go back to Britain and have been travelling the country ever since. After a period in Palermo, working on the refugee crisis, I decided to move to Florence, at first due to its position for easily moving between the North and South of the country. The longer I stay here, though, the happier I feel about calling it home. The history of the city is of course a major appeal, but I’ve been surprised how vibrant the contemporary life here is, and I’m enjoying becoming a part of it. What would you take from Bristol to Florence? The concern for the environment. Bristol was voted the greenest city in Europe last year, thanks to the investment of the local government but also because many people have taken personal responsibility to live in a sustainable way. Tuscany is a wonderful region, and while many parts of it are well looked after, this is not particularly true in Florence. The traffic fumes and smog are a major issue here and the few green spaces that do exist are poorly maintained. I’m very pleased to see projects like the urban gardens but I think there’s a lot that Florence could learn from Bristol on this issue. What would you take from Florence to Bristol? I would bring piazza culture. One of the things I love most about living in Florence is the way in which these spaces enable people to socialize. Take Santo Spirito, for example, a space that seems to be in a state of perpetual flux, full of children, old people, locals, migrants, tourists. In the UK there is greater degree of segregation and spaces tend to be more functional. I think that mixing as in Florence is really beneficial for peoples’ health and happiness and helps keep the society together. • 29.
la pagina dell'artista* per il numero XX è a cura di RMOGRL8120 www.instagram.com/rmogrl8120 www.facebook.com/RMOGRL8120
Occhi neri e linee nere, tecnica mista su carta 30x40cm RMOGRL8120 è un pezzo del suo codice fiscale. Ha studiato fotografia e un anno all’accademia delle Belle Arti di Firenze. Si definisce un visual artist minimale. Usa la fotografia come mezzo per documentare i suoi lavori di streetart. Dipinge su qualsiasi tipo di supporto: carta, tela, legno e muro per lasciare traccia dei suoi segni astratti e minimali. Nato nel 1981, vive e lavora a Firenze. RMOGRL8120 is a part of his fiscal code. He studied photography and for a year attended Accademia delle Belle Arti in Florence. He defines himself as a minimalist visual artist. Photography is a mean to record his works of streetart. He paints on any type of media: paper, canvas, wood, and wall to leave a trace of his minimal and abstract signs. Born in 1981, he lives and works in Florence. .30
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