prendimi • free press
settembre - ottobre 2015
anno
03
n • diaciassette
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 - Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario Fabrizio Marco Provinciali • Realizzazione grafica Ilaria Marchi
In questo numero:
Aiku
La Trattoria del Pesce Florence Biennale
Blues Barber Shop impact hub firenze
Nicola Giannini EcoMato
VolumeSick Liberi di scrivere POMO
Ottavia Piccolo il guardaroba autunnale
1.
Stile e Moda
riflessioni semiserie sul guardaroba autunnale
P
are che l’incipit per un #articoloGiusto sul complicato mondo del Fashion debba per forza essere una citazione famosa, molto meglio se di Coco Chanel. Qualcosa insomma tipo quell’aforisma ridondante, usato molte volte – troppe volte – dalla qualunque: �La Moda passa, lo Stile resta...� Moda e Stile: ma siamo così certi di conoscerne la differenza? Anche se potremmo stare qua a disquisirne all’infinito, in realtà basta ben poco per arrivare al cuore della questione, ossia: punta il tuo armadio e spalancalo sulla verità. Ecco, ti piaccia o no, stai guardando dritto in faccia il tuo Stile. Adesso ti manca all’appello lei, Sua Maestà la Moda. Esci di casa e percorri le vie del centro. Lì, in quelle vetrine più o meno illuminate, ammiriamo (fotografiamo ed instagrammiamo), ogni giorno, la Moda. E allora guardiamoci intorno e cerchiamo di capire cosa propone quest’autunno per arricchire il tuo Stile. Partiamo dal concetto che la moda autunnale ha sempre quel che di malinconico; con il cadere delle foglie cadono anche le nostre speranze di rimanere abbronzati e di vedere il sole delle 20, et voilà che parte il mood nostalgico. Con l'autunno arrivano le prime brezze, il rientro a scuola e l’estratto conto della carta di credito di agosto.
Un periodo di inevitabile passaggio, nel quale cerchiamo di rientrare nella routine di sempre e, magari, anche di ritrovare qualcosa di vagamente simile ad un equilibrio Fortunatamente per questa stagione la Moda ci dona piccoli e insperati spiragli di luce. Se il tuo stile è quello un po’ caotico, quello insomma che più che essere tu a decidere cosa mettere, è il ciclo di lavaggio della lavatrice a farlo, non puoi non inserire nel tuo guardaroba le felpe in neoprene che già lo scorso anno facevano capolino tra gli scaffali dei negozi. Il neoprene è un tessuto “tecnico”, regala comodità, ti copre dalle prime brezze e sopratutto, gioia delle gioie, non si stira. La felpa, capo sportivo per eccellenza, acquisisce una nuova valenza che la rende adatta a molteplici occasioni: da quella lavorativa alla più conviviale. Se da una parte ci sono novità per i tessuti, dall’altra il colore farà da padrone. Una tavolozza decisamente allegra che include tutta la palette dei gialli: senape, ocra, canarino, fino ad arrivare al giallo intenso quasi fluo. Una gamma troppo allettante per chi ha nel DNA lo stile “Rothko, l’artista del colore”. Prendi i colori e fanne un personale mix and match che parli davvero di te. Unico avvertimento: mai unire il giallo al nero, il rischio di sembrare un’Ape Maia in trasferta in città è veramente troppo alto. Dal colore più sfrenato arriviamo allo stile “Billy Ikea”, cioè al basico nordico, per quelli che il massimo dello slancio è una camicia bianca su un pullover nero. Anche in questo caso non c’è da temere. La gamma dei colori neutri e scuri ha già preso possesso delle vetrine. Primo acquisto fondamentale: il cappottino minimal nei toni del nero più nero, fino ad arrivare al grigio più grigio. Ne troverai molti, da corti a lunghi, militareggianti e anche con grandi cinture di design, è il must have di stagione : il cappotto diventerà il tuo compagno di viaggio nei lunghi mesi autunnali e invernali, e magari abbandonerai quel piumino che ti sta chiedendo pietà da qualche tempo, forse troppo.Se invece sei dello stile “Pane e Vogue” e non riesci proprio a fare a meno dei nuovi stilisti e delle loro collezioni, il parco designer è davvero folto. Da Rick Owens che ha fatto innamorare New York e tutto il mondo, fino alla spiritosa Vivetta che ha calcato recentemente le passerelle milanesi. Troverai le loro collezioni nei concept store più esclusivi della città.Insomma ce n’è per tutti gusti e per tutte le tasche, come sempre il fashion business cerca di accontentare tutti. Quello che rimane un sacrosanto diritto però è usare “tutta questa moda” a nostro vantaggio e mai subirla. Il tuo stile è unico. Non importa se bello o brutto ma è straordinario perché è tuo. Sii capace di scegliere tra quegli scaffali, scegli per quello che sei. Il tuo Stile, quello che sei, lo decidi solo tu. • Editoriale a cura di N5 Communication Abiti e Accessori: Andy Richardson, D.A.T.E., Mania Vintage Forte dei Marmi, Luciano Gelisio, My Fair Lady Viareggio
3.
Pronti per tornare all'università, in ufficio, in palestra? Se non lo siete ci sono ancora tante belle giornate da trascorrere in compagnia di FUL, dei suoi personaggi e delle sue storie. Settembre ci vedrà impegnati nell'edizione zero del Festival Firenze RiVista. Un festival che raccoglie tutte le principali free press fiorentine con i loro diversi modi di fare cultura e raccontare la città. Il programma degli eventi comincerà l'11 settembre all'OFF Bar (Lago dei Cigni, Fortezza da Basso) con un evento tutto FUL: il nostro redattore Jacopo Aiazzi modererà un incontro dal titolo “Liberi di scrivere - La scrittura in cella e il mondo delle riviste carcerarie”. Leggete anche il suo articolo in apertura di rivista. Il clou del festival si svolgerà il 25 e 26 settembre da ZAP – Zona Aromatica Protetta (Piazza Santa Maria Maggiore). Il 25 alle ore 18.00 ci sarà l'inaugurazione della mostra del nostro amico Jonathan Tegelaars. Nel pomeriggio del 26 invece workshop di collage con Jonathan e incontro con FUL, The Florentine e Florence is You per parlare dell'importanza del pubblico di lingua inglese e subito dopo un incontro di presentazione di tutte le riviste aderenti al progetto. La stessa sera alle Murate concerto di chiusura con i Fantasia Pura Italiana. È un'occasione per incontrarci, conoscerci e stare insieme. Vi aspettiamo numerosi. Annalisa Lottini P.s. Veniteci a trovare anche nel sito FUL e nella pagina facebook.
www.firenzeurbanlifestyle.com
FUL *firenze urban lifestyle*
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario FMP Editore e realizzazione grafica Ilaria Marchi
Ideazione e coordinamento editoriale Marco Provinciali e Ilaria Marchi Se sei interessato all'acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com • tel. 392 08 57 675 Se vuoi comunicare con noi ci puoi scrivere ai seguenti indirizzi: ilaria@firenzeurbanlifestyle.com ufficiostampa@firenzeurbanlifestyle.com webmaster@firenzeurbanlifestyle.com redazione@firenzeurbanlifestyle.com commerciale@firenzeurbanlifestyle.com
ringraziamenti
Un grazie speciale: a Ottavia Piccolo, Impact Hub, Marco Ragaini
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17 p. 8/9
p. 10/11
Liberi di scrivere
Pomo: quando il digitale prende corpo
p. 12/14
p. 15/17
Impact Hub Firenze
Le trame nascoste dei suoni del ghiaccio
p. 18/19
p. 20/21
FLORENCE BIENNALE
Chianti e... pesce fresco!
p. 22/23
p. 25/27
BLUES BARBER: CURIAMO OGNI TIPO DI BARBA
Aiku: la grafia dell'anima
p. 28/29
p. 30/31
ECOMATO: La metempsicosi degli oggetti.
Vero, ispirato, pirata
p. 32
p. 33
A cena con Ottavia Piccolo
un fiorentino all'estero
p. 33
p. 34
uno straniero a Firenze
la pagina dell’artista
reportage
lavoro
arte
artigianato
design
riflessioni sul contemporaneo
rubrica
arte
musica
gusto
arte
musica
rubrica
rubrica
Ilaria marchi
niccolò brighella
Firenze è la mia città. La amo e la adoro. Mi piacciono i vicoli stretti, le realtà nascoste. Girarla con la mia vecchia bicicletta era una cosa fantastica, era, perché adesso me l’hanno rubata, mannaggia!!! Non vi dico l’età ma sono una giovane grafica a cui piace respirare la libertà, mangiare cose buone e ridere con gli amici. •
Nasco il 16 giugno del 1978 in un antico paese della periferia fiorentina. Scrivo il mio primo racconto da bambino, narrando le vicende di un cucciolo di coccodrillo che, per caso e per fortuna, con l’ausilio di una stufetta e delle nevi eterne del Kilimanjaro, genera il grande fiume Nilo. Da allora, in un certo senso, non sono mai più sceso da quella esotica montagna (e mi sono innamorato di stufe e termosifoni). •
Marco provinciali "Il gatto nella foto è Pandoro, il gatto della mia infanzia, periodo in cui alla domanda cosa vorrai fare da grande rispondevo sempre, il paninaio! Cotto e bel paese il mio preferito, anche ora che divido il mio tempo tra Ful e la realizzazione di guide ed eventi gastronomici.” •
Julian Biondi
Jacopo Aiazzi
Sono nato venticinque anni fa nelle “hills” fiorentine, sognando di conoscere in ogni suo angolo quella città che vedevo affacciandomi dal balcone. Cresciuto, mi sono messo di impegno nel mio progetto e sono contento di dire che, nonostante il parer comune, Firenze riesce sempre a stupirmi. Sono un laureando in “Media&Giornalaio”, amo leggere qualsiasi cosa e vorrei scrivere di qualsiasi cosa. Per ora non posso che definirmi: “studente per vocazione, barman per necessità e cazzeggiatore di professione”. •
Nasco a Fiesole alle 5:30 di mattina del 23 settembre 1985, con una mano sopra la testa e dal peso di 4kg e passa. Più fastidioso di così non potevo essere. Sono nato il giorno in cui è morto Giancarlo Siani, un giovane giornalista di ventisei anni ucciso dalla camorra a Napoli. Oggi ho la sua età e ancora non ho assimilato tutte le sfumature che il giornalismo può assumere. L'unica cosa di cui sono consapevole è il desiderio di coltivare questa conoscenza. Più appassionato della scrittura in quanto tale che dal giornalismo, apprezzo ogni forma di quest'arte. La cosa che più mi codifica come italiano è l'amore per la pastasciutta, con qualsiasi sugo. •
S i lv i a B r a n d i Nata a Firenze Torregalli il 28 settembre 1987 (Bilancia ascendente Sagittario), di residenza isolottiana ma scandiccese d'adozione, a 20 anni decide che ha voglia di farsi qualche giro e passa 3 anni fra Londra, l'Australia e Parigi. Adesso è a Firenze in pianta semi stabile perché nella vita non si può mai dire. Per FUL traduce gli articoli in inglese, vivendo così nella paura che gli articolisti sentano nella traduzione stravolto il significato delle loro parole e l'aspettino sotto casa. Il traduttore è un mestiere duro ma qualcuno deve pur farlo. •
redazione mobile .6
Annalisa Lottini Pisana di nascita e fiorentina di recente adozione, arriva a FUL tramite il tip tap. Ama i libri e il loro mondo, la danza in tutte le sue forme e stare in compagnia. Lavora nell'editoria barcamenandosi tra mille passioni e impegni. Nei ritagli di tempo corregge le bozze di FUL in una attenta e faticosa caccia al refuso. •
m a r ta p i n t u s Inizia a scrivere a 6 anni con una poesia che recitava: “Il mondo è fatato, fatto tutto di gelato, con tante caramelle fatte tutte di frittelle (…)”. Nel corso della vita abbandona la poesia per dedicarsi alla prosa, senza però mai rinnegare la visione infantile. Lavora un anno a Barcellona come giornalista di viaggi, scoprendo che la sua poesia altro non era che un reportage: una descrizione dell’essenziale che, come disse la volpe, è invisibile agli occhi. •
La nostra redazione è in completo movimento, composta da fiorentini autentici e da coloro che hanno trovato a Firenze la loro seconda casa. La centrale operativa è nella zona Sant'Ambrogio ma l’occasione di incontri e riunioni è sempre una
jacopo visani
m a rco fa l l a n i
"Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport." @JacopoVisani.•
Amo il cibo, il vino e il sole, odio quasi tutto il resto. Proprio in questo "bel paese", io ci trovo tutto questo. Per tre volte son scappato dalla piccola Firenze che alla fine ho sempre amato ma comunque torno sempre. •
Renzo Ruggi Nato ai piedi del Monte Amiata 24 anni fa. Studente di comunicazione all’Università di Firenze. Adoro scrivere, specialmente quando ho qualcosa da dire. Mi interesso di moda e costume, e amo l’artigianato in ogni sua declinazione. Per velocizzarmi, corro. Se rimane un po’ di tempo, realizzo oggetti in pelle e cuoio. •
to m m a s o pac i n i
g i a n lu c a pa r o d i
Nato a Firenze 31 anni fa. Fin da piccolo manifesta uno spiccato interesse nei confronti delle immagini offerte dal mondo che le circonda. Durante l'adolescenza inizia ad entrare in confidenza con l'apparecchio fotografico e al momento dell'iscrizione all'università, decide di approfondire la sua passione iscrivendosi al corso di laurea in Grafica e Fotografia sotto la facoltà di Architettura di Firenze. Laureatosi con il massimo dei voti che poteva permettersi, decide di emigrare a Londra dove vive per quattro anni tra foto, tavoli di ristoranti e clubs fino a quando non ha deciso di rimpatriare a Firenze pochi mesi fa. •
Nato il 13 gennaio 1986… coi piedi nell’acqua di mare e il libeccio in faccia. Una passione vera, sfrenata, carnale per la storia dell’uomo e dell’arte, l’ha portato a svolgere tutte le occupazioni possibili, tranne che quella per cui ha studiato una vita. Lavora nella moda senza capirla, mai! Innamorato dell’amore, romantico nel senso tedesco del termine, vive per raccontare.Friedrich Wilhelm Nietzsche scrisse: "L'autore ragionevole non scrive per nessun'altra posterità che per la propria, cioè per la propria vecchiaia, per potere, anche allora provar diletto di sé." •
M a r t i n a S c a p i g l i at i Quello della Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia Settentrionale a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Gli Scapigliati erano giovani tra i venti e i trentacinque anni, nutriti di ideali e amareggiati dalla realtà, propensi alla dissipazione delle proprie energie vitali. «…tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori » (in introduzione, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno, Milano, 1862). Martina nata nel 1985. Sa leggere la musica, ama scrivere e cantare, è Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza. Vive a Firenze col suo adorato Jack Russel Napoleone, di anni 8. •
riccardo sartori Ventitré anni, amante degli spostamenti, nasco ad Arzignano, cresco a Vicenza, studio a Ferrara ed ora Firenze. Compagna di viaggio la macchina fotografica o meglio, la Fotografia. Una passione nata da un regalo che desidero trasformare in lavoro. Mia caratteristica è non essere bravo in niente, ma impegnarmi in tutto per ottenere il miglior risultato. La foto più bella? La prossima... •
U n ot r e z e ro c i n q ueuno Nasco il 17. Di venerdì. Fino a 15 anni mi prendo sul serio, poi smetto. Passo la maggior parte del mio tempo in teatro, sul palcoscenico, in platea e in ufficio, a cercare un nesso convincente tra i dialoghi di Eduardo e il TFR. Vivo a Firenze da 10 anni e traslocando di casa in casa per circa 12 volte, ho imparato a conoscere tutte le vie. Anche quelle piccole, tipo Via d'Ardiglione. Nella vita avrei voluto fare la cantante, ma a 10 anni la maestra del coro mi disse TU LAGGIù, FAMO CHE MòVI SOLO LA BOCCA, SENZA SòNO. Non mi sono mai più ripresa e per questo profondo instancabile potente senso del continuo fallimento, faccio l'attrice.•
buona scusa per approfittare di una visita ai vari gestori di bar o locali che ormai da anni conosciamo. Una redazione mobile che trova nel supporto della rete il collante necessario per la realizzazione di ogni nuovo numero.
7.
FUL reportage
Liberi di scrivere Testo di Jacopo Aiazzi, foto di Marco Ragaini - Pochestorie
T
ra le attività che si svolgono all’interno delle mura carcerarie, una delle più conosciute e diffuse è la redazione dei giornali interni. Si tratta, però, di giornali dal carcere e non del carcere. La maggior parte del giornalismo penitenziario esistente si propone infatti l’obiettivo di rompere l’isolamento tra “interno” ed “esterno” per promuovere e favorire il dialogo tra i detenuti e la società libera. Di “scritti dal carcere” in Italia si parla già alla fine della prima metà dell’ottocento, in seguito alla stesura e pubblicazione da parte di Silvio Pellico de Le mie prigioni, diario-autobiografia che racconta il periodo di detenzione dell’autore. È solo dopo un secolo che troviamo l’altra grande opera carceraria italiana, i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, contenenti note, appunti e riflessioni scritti durante la prigionia. I libri realizzati in carcere, che ne testimoniano le condizioni di vita a partire dal vissuto soggettivo dei suoi ospiti, sono numerosi, ma la nascita di un giornale carcerario, con redazioni permanenti negli istituti è una conquista relativamente recente. Negli anni Settanta – solitamente su iniziativa di detenuti “politici” – nelle carceri italiane si costituiscono strutture spontanee con l’obiettivo di contrastare il binomio informazione-potere, dando luogo sia a forme di fruizione critica dei mass-media, sia a vere e proprie produzioni attive di cultura. In questo periodo le notizie escono dalle carceri tramite bollettini, opuscoli e comunicati ciclostilati dei Collettivi Interni. Il giornalismo carcerario fatto direttamente con i detenuti che ricoprono il ruolo di redattori è un modo di raccontare con un’immagine più realistica la situazione carceraria, oltre ad essere uno strumento capace di diventare punto di riferimento e aggregazione per tutte quelle figure in grado di produrre iniziative culturali, e a dare voce a persone che dopo il loro ingresso negli istituti vengono dimenticate e non “fanno più notizia” se non come numero complessivo o quando qualcuno di loro si suicida. .8
La volontà di trovare un terreno di incontro tra la realtà esterna e quella interna degli istituti di pena emerge spesso anche dal nome stesso della testata del giornale: Il Ponte della Casa di reclusione di Massa, Espressioni – dal dentro e dal fuori a cura della casa S. Francesco di Lucca e infine il giornale del carcere per antonomasia, ovvero La Grande Promessa del carcere elbano di Porto Azzurro, la rivista più antica, nata nel 1948 come bollettino interno alla struttura, sono soltanto i principali esempi. In Italia, tra attive e soppresse, risultano non più di 80 esperienze giornalistiche svolte all’interno di Istituti Penitenziari, Istituti Penali Minorili e Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Una decina sono le esperienze relative al giornalismo, riportate in tabella, iscritte alla Federazione Nazionale dell’Informazione dal e sul Carcere, che hanno Testate giornalistiche toscane iscritte alla Federazione Nazionale dal e sul Carcere. NOME DELLA TESTATA
ISTITUTO
Espressioni
C.C. Lucca
Gutenberg
C.C Sollicciano (Fi)
Idee Libere
C.R. San Gimignano (Si)
Il Panneggio
Sollicciano femminile (Fi)
Il Ponte
C.R. Massa
La Grande Promessa
C.R. Porto Azzurro (Li)
Ragazze Fuori
I.C.A.T.T. Femminile Empoli
Taita
C.C. Prato
Orti Oricellari 18
I.P.M. Firenze
Spiragli
O.P.G. Montelupo Fiorentino
Fonte: Federazione Nazionale dell’Informazione dal e sul Carcere www.ristretti.it/areestudio/informazione/federati/aderenti.htm
ENGLISH VERSION>>>>
There are plenty of books realized in jail that witness the conditions of his guests, but only recently we have assisted to the emergence of prison magazines with permanent editorial staff. Prison presses with inmates that work as copy editors are a way to give a more truthful representation of the prison situation and are also an aggregation tool for all those people who are able to produce cultural initiatives. The names of the magazines are proof of the will to conjugate the external reality with the internal one: The Bridge in Massa, Expressions – from the inside and the outis in Lucca, The Great Promise in Elba island prison. In Italy, between actual and suppressed ones, we count no more than 80 journalistic experiences in penitentiaries, youth detention centres and judicial psychiatric hospitals. It’s a type of journalism that is termed “gonzo” by the scientific community and refers to a style of journalism that is based more on narrative rather then accuracy and usually has a short lifespan. In fact, the magazines usually lack resources for being printed and are victims of censorship as often the director of the institute is also the editor in chief. Among all the Tuscan prison magazines, the only active one is Spiragli realized in the Judical Psychiatric Hospital of Montelupo Fiorentino. It’s one of the most rich in terms of contents, it contains poems, articles and illustrations. This has been possible thanks to the collaboration of the journalist and writer Riccardo Gatteschi, that follows the project since its inception fifteen years ago. He will discuss his experience at Spiragli with Silvia Pezzoli (Researcher of Sociology at the University of Florence) and Paolo Masetti (Mayor of Montelupo Fiorentino), on Friday 11th September at 6.30 pm at OFF Bar. The event is part of the program of the Festival Firenze RiVista. •
interessato nel tempo e che interessano tutt’oggi le diciotto strutture penitenziarie toscane. Un giornalismo di tipo “gonzo”, termine utilizzato all’interno della comunità scientifica per indicare uno stile di giornalismo basato più sulla narrazione che sulla precisione, raccontando esperienze personali, umori e sensazioni piuttosto che i fatti e caratterizzato da un breve ciclo vitale. Infatti, oltre a una mancanza cronica dei fondi necessari per la stampa, giornali e riviste dal carcere godono spesso di breve durata anche per via della censura imposta dall’amministrazione penitenziaria, in virtù del fatto che spesso il ruolo di direttore della testata viene ricoperto dallo stesso direttore d’istituto. Tra tutte le esperienze di giornalismo realizzate all’interno degli istituti toscani, l’unica ancora attiva è Spiragli, dell’O.P.G. di Montelupo Fiorentino, struttura di cui è prevista l’imminente chiusura per legge (Legge 30 maggio 2014, n. 81, recante disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari). Spiragli, oltre ad essere l’unico giornale ancora attivo nelle carceri toscane, è uno dei più ricchi a livello di contenuti, dove la sregolatezza di articoli e poesie, per via della tipologia dei detenuti che lo redigono, è perfettamente accompagnata dalle capacità creative dei disegnatori. Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione e all’esperienza del giornalista e scrittore Riccardo Gatteschi, che da ormai più di quindici anni segue e cura il progetto all’interno dell’Istituto. Venerdì 11 settembre alle ore 18.30 presso l’OFF Bar al lago dei Cigni, all’interno del programma del Festival Firenze RiVista, Riccardo Gatteschi ci racconterà la sua esperienza in dialogo con Silvia Pezzoli, ricercatrice di Sociologia all’Università degli Studi di Firenze e Paolo Masetti sindaco del Comune di Montelupo. Non mancate.•
9.
FUL arte
Pomo
quando il digitale prende corpo Testo di Niccolò Brighella
P
omo, nome d’arte di Andrea Pomini, è un artista digitale il cui mezzo espressivo è lo smartphone, nel suo caso tela, tavolozza e più ancora strumento intuitivo di rielaborazione visiva della realtà. Partito dall’espressione pittorica classica, Pomo se ne è discostato una volta entrato in contatto con il primo touch screen. «Per me è stato come trovare quello che cercavo, qualcosa che mi permettesse di scontentare sia i tradizionalisti, quelli del ma non è dipinto, che i puristi della grafica digitale che inorridiscono alla sola vista di un pixel. Ho subito capito che era quella la strada che volevo seguire». L’immaginario e il cromatismo di Pomo fanno eco sia alla pop art che alla street art dell’ultimo trentennio, e il suo dipingere con le applicazioni, spesso ritraendo personaggi
Natalie Imbruglia vs Romain de Tirtoff
ENGLISH VERSION>>>>
Pomo, pen name of Andrea Pomini, is a digital artist whose canvas, palette and tool for interpreting reality is his smartphone. He started painting but when he got in his hands his first touch screen: «it’s been like finding what I’ve always been looking for, something that allowed to discontent both the traditionalist of painting and the purist of the digital world». In terms of imagery and color Pomo echoes both the pop art and street art of the last thirty years but his “painting with the apps” is definitely contemporary. He mixes genres, symbols, colours. His vision emerges from his works with elegance and energy, with irony and lyricism. His tendency to create a personal language is well-represented by his refusal of the seriality of contemporary art. He creates unique pieces just by using his smartphone, revealing a romantic personality, eccentric and attached to the most genuine artistic tradition. «My works are realized digitally with collage and other ad hoc interventions, there are many layers before they are completed. When they are finished the first thing I do is delete every intermediate passage so that only the final work is left. They I print it and when the work has got a “body”, I delete the original file». Now busy with Ubqart, the new social media dedicated to art, Pomo will hold an exhibition in Florence on 15th October and is organizing one in London in 2016. • .10
antichi e contemporanei (come Natalie Imbruglia che da lui ha avuto un proprio ritratto) lo àncora fortemente al mondo contemporaneo. In The Meaning of Art, opera a sezione bipartita, il soggetto spicca un balzo da un universo concettuale inferiore, avvelenato dal mondo moderno, a un superiore orizzonte artistico in cui trovare una più ispirata visione della realtà. Pomo è prima di tutto un contaminatore, di generi, di simboli, di colori. La sua visione della realtà emerge dalle opere con un’eleganza viscerale nella sua energia quasi contestatoria, senza rinunciare da un lato all’ironia e dall’altro al lirismo. Lirismo che troviamo ad esempio in For a friend, ritratto di donna la cui figura appare indovinata come in uno schizzo o in un ricordo, seppure perfettamente definita, e la cui colorazione ricorda le opere cinematografiche di Bakshi e Linklater, in cui le riprese live action sono state poi ritoccate The Meaning of Art e colorate in animazione grafica, con la tecnica dell’interpolated rotoscopy. Fortemente ironici l’omaggio a Nicolas Poussin (Classic Car Crash) e YO! (sometime you are so far ahead…) in cui al registro pittorico pop contemporaneo si mescolano, confrontandosi in situazioni molto attuali, figure umane tratte dalle opere neoclassiche e barocche. La tendenza di Pomo a elaborare un proprio linguaggio emerge anche nel suo rifiuto della serialità tipica dell’arte contemporanea. L’artista crea opere uniche e irripetibili, usando semplicemente lo smartphone, rivelando una personalità romantica, anticonformista e in parte legata alla tradizione più genuina dell’arte. «Le mie opere vengono realizzate in digitale con tecniche di collage e interventi a mano, quindi necessitano di molti passaggi prima di essere portate a termine. Quando considero il lavoro finito la prima cosa che faccio è cancellare ogni salvataggio che mi ha portato a realizzarlo e resta il solo file dell’opera C.C.C. (Classic Car Crash) completata. Poi passo al processo di stampa e una volta che il lavoro ha preso “corpo” il file originale viene cancellato, per assurdo volendo riprodurlo occorrerebbe fotografarlo pur essendo realizzato in digitale. Con questo metodo l’opera è assolutamente unica e anche volendola fare nuovamente ci sarebbero delle differenze rispetto all’originale. Non è un caso che la mia prima mostra si chiamasse R3n41ss4nc3, una fusione tra digitale e tradizione anche nei metodi». Ora impegnato col gruppo di Ubqart, il nuovo social media espositivo e commerciale per l’arte italiana sviluppato a Roma, Pomo terrà una personale a Firenze il 15 ottobre, poi nel 2016 una mostra a Londra, dove potrà lavorare in modo più fisico e contaminare il digitale, il collage e la pittura tradizionale in modo da sorprenderci nuovamente. •
YO! (sometime you are so far ahead…) 11.
FUL lavoro
Impact Hub Firenze:
un nuovo spazio di lavoro per una diversa idea di imprenditoria
Testo di Jacopo Visani, foto di Impact Hub
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P
robabilmente a molti di noi non piace, ma già da un pezzo il mondo del lavoro sta radicalmente cambiando e la tendenza non sembra fermarsi. Le forme contrattuali sempre più extreme bondage e il fare volontariato per enti pro profit altrui diviene una condizione accettata tutt’al più con un sorriso fantozziano. Una buona parte degli abitanti dell’elitaria cittadella del mondo del lavoro (quello vero) difendono le loro mura con secchiate di olio bollente e si comportano in modo cinico, finalizzato esclusivamente al guadagno, senza considerare minimamente gli impatti del loro operato su ciò che li circonda. Per fortuna non mancano le eccezioni, modelli che provano a conciliare la sostenibilità di impresa con un impatto positivo soprattutto nei tre settori dei quali c’è più bisogno e verso i quali sembrerebbe più sensato attualmente investire: l’ambiente, la cultura e il sociale. Tra queste la rete internazionale di coworking di Impact Hub. Abbiamo incontrato Riccardo Luciani, 30 anni, tra i fondatori del nodo di Firenze per fare due chiacchiere a riguardo. Come nasce, cosa è e come lavora la rete di Impact Hub? È un network internazionale che attraverso
la gestione di spazi fisici ospita una comunità di persone che, con il loro lavoro, provano a rendere il mondo un posto migliore per tutti. Nasce 10 anni fa dall’incontro di 4 giovani londinesi che si chiedevano dov’è andassero a lavorare le persone desiderose di cambiare il mondo. La loro risposta si è trasformata in un modello di business, una comunità di 15.000 persone in 82 città del mondo che gestisce congiuntamente uno spazio fisico grande come 3 campi da calcio! Uno spazio fisico dunque, capace di adattarsi a un mondo del lavoro in costante trasformazione. Come funziona un coworking? L’idea di base è quella di condividere lo spazio di lavoro con altri, in modo da poter avere un ufficio più bello, grande e accogliente senza dover sostenere le altrimenti proibitive spese da affrontare se fossimo soli. Chiaramente questo comporta opportune attenzioni e un comportamento rispettoso nei confronti degli altri Questa è la base del significato del coworking, anche se a me piace pensare a Impact Hub più come un ecosistema. Un ecosistema che fa proprio, propone e utilizza un modello di imprenditoria virtuoso, la cosiddetta imprenditoria sociale. Di cosa si tratta? Quello che ci interessa veramente è il tema dell’impatto sociale più che dell’imprenditoria sociale di per sé. L’impresa sociale, nell’ordinamento giuridico italiano, identifica tutte quelle imprese in cui l’attività economica principale ha per oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale, ossia quelli che ricadono nei settori tassativamente indicati dal d.lgs. 155/2006. Non ci limitiamo a ospitare solo soggetti che rispettino questi requisiti, ma siamo più interessati all’effettivo impatto che le loro attività hanno sulla vita delle persone e sulla società. Al di là della forma, ci interessa la sostanza: chiunque può produrre un impatto sociale positivo e noi crediamo che persone ordinarie, lavorando insieme, possano produrre un impatto straordinario. Da dove nasce l’idea di portare Impact Hub anche a Firenze? Quattro anni fa abbiamo avuto la fortuna di assistere alla nascita di Impact Hub Milano e abbiamo immediatamente capito che volevamo portare lo stesso ambiente nella nostra città. L’idea di costruire un luogo radicato nel territorio ma connesso a livello globale rappresentava l’esito perfetto della nostra cultura personale, sociale e di impresa. Le sfide che volevamo affrontare erano e sono tuttora: rendere Firenze un luogo capace di incontrare l’altro e allo stesso tempo di rispondere ai bisogni che emergono dal territorio; coinvolgere professionisti di diversi settori per immaginare insieme soluzioni nuove a vecchi problemi e viceversa; adattare ciò che viene realizzato in altre parti del mondo al nostro contesto e viceversa;
ENGLISH VERSION>>>>
Even if we don’t like it, the job world is radically changing and the tendency seems not to stop. The contractual forms are always more severe and it’s more and more common to be underpaid. Luckily there are exceptions, one is the international coworking network Impact Hub. We have interviewed Riccardo Luciani, one of the founders of the Firenze hub. What’s the story of Impact Hub? It’s an international network that manages physical spaces and hosts a community of people that, with their jobs, are trying to make the world a better place for everybody. It was born 10 years ago thanks to four young Londoneers who were curious to know where the people who wanted to change the world worked. Their answer is now a business model, a community of more that 15.000 people in 82 cities all over the world. How does a coworking work? The idea is to share the working space with others, so to have a better place and lower expenses. How did you decide to open Impact Hub in Florence? After the opening of Impact Hub Milan we knew immediately that we wanted to have the same environment in our city. Our goal was to make Florence a place where you can exploit the international experience to answer the local needs, with the help of professionals belonging to different fields to generate new, hybrid solutions. Tell us about Impact Hub Florence. We are in Via Panciatichi, 10-14, next to Rifredi train station in a beautiful structure that dates back to the XXth century. As of today we have more than 100 members that operate in different sectors and collaborate together sharing their competences and network of contacts. What are your goals for the future? We want to enrich our ecosystem, make it even more fertile and dynamic. We are the first to be curious to understand what will come out of this mix of people, businesses, needs and ideas.•
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mettere insieme pubblico e privato, profit e no profit per generare soluzioni ibride ai bisogni e via dicendo. Parlaci un po’ del luogo che vi ospita. Il nostro spazio si trova in Via Panciatichi, 10-14, a due passi dalla stazione FS di Rifredi, ed è inserito all’interno di una grande struttura degli inizi del ‘900, la dogana di Firenze, dove passavano e venivano stoccate merci provenienti da tutto il mondo. Oggi il mondo è cambiato e il complesso si sta trasformando, così dal 7 febbraio 2014 hanno iniziato a circolare non solo merci, ma anche e soprattutto idee. Ci potresti descrivere qualche impresa ospite di Hub Firenze? A poco più di un anno dalla sua apertura, Impact Hub Firenze conta oltre 100 membri che lavorano in diversi settori. Tra questi: la cooperativa Limo che si occupa di mediazione linguistica per stranieri, Agrime.it un’impresa impegnata nel trovare nuovi canali di vendita per i produttori agricoli locali, Berta film che si interessa di produzione e distribuzione cinematografica e la Cooperativa Le Mele di Newton con il suo progetto di lotta allo spreco alimentare SenzaSpreco. Tante imprese, tutte accomunate da un’analoga vocazione sociale, una miscela potenzialmente rivoluzionaria. Questo è l’aspetto più bello, in un solo anno di vita sono nate nuove imprese, progetti e collaborazioni. Gli hubbers mettono a disposizione le proprie competenze e reti e per avviare
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concretamente i progetti di innovazione sociale. Gli effetti di questo processo oltrepassano i confini dello spazio e si riversano sul territorio: collaborazioni con soggetti istituzionali, con importanti imprese e con l’Università. Inoltre, la possibilità di entrare in contatto con le oltre 15.000 persone nel mondo che fanno parte di Impact Hub permette una diffusione di idee, esperienze e collaborazioni davvero stimolante. In un solo anno tanti traguardi già raggiunti! C’è ancora spazio per progetti e sogni per il futuro? Certo! L’innovazione sociale nasce dal contatto e dall’ibridazione. L’obiettivo per il prossimo futuro è arricchire il nostro ecosistema per renderlo ancora più fertile e dinamico: siamo i primi ad essere curiosi di capire cosa questo intreccio di persone, aziende, età, competenze, bisogni locali e idee possa generare. Insomma sembra proprio un’oasi ospitale nel deserto dell’attuale mondo del lavoro. Un’oasi che non vuole ridursi a nicchia ecologica protetta, ma si propone in modo programmatico di infestare rigogliosamente l’arido territorio che la circonda, attraverso uno scambio di linfa vitale con gli organismi e le altre realtà sorelle che la circondano. Dopo un pomeriggio a con i giovani che animano Impact Hub Firenze, direi proprio che dovremmo prepararci a un graduale cambiamento di habitat. Buon lavoro (in comune) a tutti! •
Le trame nascoste dei suoni del ghiaccio Testo di Marta Pintus, foto Marco Grassivaro / Michele Giovannini
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icola Giannini è un musicista e producer toscano che ha compiuto un viaggio all’interno del mondo dei micro-suoni del ghiaccio creando un suggestivo spettacolo che riporta alle origini del rapporto tra uomo e natura. Nicola, come ti sei avvicinato alla musica e cosa ti ha spinto alla ricerca dei suoni del ghiaccio? Ho iniziato a suonare a 14 anni. Già allora ero interessato ai suoni incidentali degli strumenti: mi attraeva tutto ciò che riguardava la parte più vicina alla produzione e alla timbrica. Negli anni successivi mi sono avvicinato alla musica elettronica e ho iniziato a mettere le mani sui computer, esplorando il mondo della tecno, della house e dei ritmi spezzati. Nel 2009 ho vinto un premio al Movie&Co. come Miglior Colonna Sonora e ho deciso di dare un senso alle conoscenze che nel tempo mi ero costruito per i fatti miei, iscrivendomi al corso di Composizione Elettroacustica del Conservatorio. L’esperienza è stata utile perché mi ha permesso di fare tabula rasa di tutti i miei concetti musicali precedenti: sono entrato in un modo e sono uscito completamente rinnovato, aprendomi a nuovi generi musicali e costruendomi una nuova poetica artistica. È proprio sull’onda di questo percorso che hai concepito e realizzato Inner Out, la tua tesi di laurea… Assolutamente sì. La mia tesi di laurea è un concerto in surround per ghiaccio ed elettronica dal vivo. In sostanza durante il live suono con alcuni blocchi di ghiaccio all’interno dei quali sono collocati degli idrofoni (microfoni impermeabili che possono essere sia congelati che messi a bollire). I quattro blocchi di ghiaccio hanno forme differenti (piramide, mezza sfera, cubo, parallelepipedo) e vengono trattati elettricamente in maniera diversa; quindi grazie al differente spessore del blocco di ghiaccio e alla posizione dell’idrofono, che cambia nei blocchi a seconda di dove si congela, e ai trattamenti elettroacustici sulle forme, ogni elemento è caratterizzato da sonorità particolari, uniche e irripetibili. Inner Out si ispira a quella che è la tradizione elettroacustica: esiste una parte fissa di musica pre-registrata e spazializzata su quattro canali e una parte live, dove io suono con strumenti convenzionali e non (plettro, grattugia, corde della chitarra, ecc...) i quattro blocchi di ghiaccio. La controparte elettronica, la parte pre-registrata, è ricavata da suoni realizzati con microfoni speciali che permettono di catturare le sonorità emesse dai .16
dispositivi elettronici, registrando il suono dell’attività del loro campo magnetico. Dunque l’elemento naturale per eccellenza, l’acqua, incontra l’uomo e la tecnologia… Il concetto di fondo di Inner Out è proprio questo: la relazione tra tecnologia e natura che si esprime nel tentativo dell’uomo di controllare l’incontrollabilità dell’elemento naturale. Quindi troviamo i suoni incontrollabili della natura, i blocchi di ghiaccio che si sciolgono e vengono percossi, e i suoni pre-registrati che provengono da sorgenti altamente tecnologiche. L’altro concetto fondamentale alla base dello spettacolo riguarda la fotografia macro. Mi spiego meglio: i suoni che vengono fuori dallo scioglimento del ghiaccio sono dei micro-suoni. Da sempre sono appassionato di fotografia macro che riesce a svelare strutture e trame inaspettate della realtà esistente, su cui l’uomo non ha controllo. Allo stesso modo amplificare i micro-suoni ha la stessa suggestione sia a livello estetico che concettuale. Perché hai scelto il ghiaccio come elemento naturale? Ho iniziato a fare sperimentazioni sul ghiaccio qualche anno fa per dei pezzi tecno, ma al tempo non avevo degli idrofoni: mi ero ingegnato chiudendo dei microfoni dentro un armadio al cui interno avevo messo un bicchiere con del ghiaccio. La prima suggestione verso questo elemento è stata molto semplice: è arrivata mentre bevevo un cocktail... il ghiaccio cominciava a sciogliersi e ho accostato l’orecchio al bicchiere, sono rimasto colpito dalla palette di micro-suoni che si potevano sentire. L’altra ragione che mi ha spinto verso il ghiaccio riguarda la curiosità di utilizzare un materiale effimero – alla fine del concerto i blocchi non ci sono più – che però abbia un fascino estetico sia visivo che timbrico. Infine mi ha attratto il fatto che ogni volta il microfono si congela in un punto diverso del blocco il che permette di avere sempre una performance unica. Questo inserisce un elemento random in un live elettroacustico che per tradizione invece ha strutture rigide e fisse. •
ENGLISH VERSION>>>>
Nicola is a Tuscan musician and producer who has made a journey into the ice micro-sounds world creating at the same time a suggestive show. Nicola, how did you approach music and how did you start the research of ice sounds? I started playing when I was 14. By then I was already curious about the incidental sounds of instruments. Over the years I drifted towards electronic music and started using my pc, exploring the worlds of house and techno. In 2009 I won an award at the Movie&Co for Best Soundtrack so I decided to join the classes of Electroacustic music at the Conservatory. That was a great experience for me. This is how you realized Inner Out, your graduation thesis... Indeed. My graduation thesis is a live concert for electronic and ice music. During the show I play some blocks of ice with idrophones inside. Ice blocks have different shapes and idrophones are placed at different depths, so each one has a peculiar sound. Inner Out is inspired by the electroacustic tradition: there are pre-registered bases on four channels and a live part, where I play conventional and non-conventional instruments, as well as the four ice blocks. So a natural element such as water meets mankind and technology... This is the basic concept of Inner Out: the relationship between technology and nature that is trying to control uncontrollable elements. The other important concept is macro-photography. The sounds coming out of the ice blocks are micro-sounds and I try to amplify them in the same way in which macro-photography can unveil unexpected themes and structures. Why did you choose ice as natural element? I started experimenting with ice a few years ago, but I didn’t have idrophones at the time. It all started while I was drinking a cocktail: ice begun to melt, I listened and heard the micro-sounds. The second reason why I chose ice is because it is an ephemeral material – it’s not going to be there at the end of the show – that also has both a visual and a tonal charm. Third, I was attracted by the fact that each time the microphones freeze in different parts of the block and create new sounds. This includes a random element in an electroacustic live performance which traditionally has rigid and fixed structures. •
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FUL arte
FLORENCE BIENNALE:
l'artista del nuovo millennio Testo di Unotrezerocinqueuno, foto Florence Biennale
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on avevo mai sentito parlare della Florence Biennale quando la mia caporedattrice mi ha chiesto di scriverne. Lo ammetto con non poca vergogna visto che si tratta di un evento che si svolge a Firenze da vent’anni e che tra gli altri ha premiato Marina Abramovich, Christo & Jeanne-Claude e Shu Yong. In una città come la nostra, in cui spesso si lamenta l’assenza di attenzione verso l’arte contemporanea a favore di una conservazione museale un po’ inerte, la Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea potrebbe
rappresentare un tentativo per dare la giusta visibilità ai giovani artisti. Questo evento, che si svolge sotto la direzione artistica del Professor Rolando Bellini e che quest’anno coordinerà le sue iniziative con EXPO 2015, si propone di essere occasione di confronto e di dialogo fra artisti internazionali impegnati nei vari campi della scultura, della pittura, della performance. La manifestazione che si terrà dal 15 al 21 ottobre alla Fortezza da Basso prevede una grande esposizione intesa come vetrina per i giovani artisti selezionati e l’assegnazione
ENGLISH VERSION>>>>
Before writing this article I had never heard of Florence Biennale. Shame on me because it’s been going on for twenty years now, awarding among others Marina Abramovich, Christo & Jeanne-Claude and Shu Yong. Under the artistic direction of Professor Rolando Bellini, this year it will take place in coordination with EXPO 2015 and wants to offer an occasion of dialogue and confrontation with international artists (sculptors, painters and performance artists). It will be held in Fortezza da Basso from 15th to 21st October and will showcase selected young artists that will be also awarded the “Lorenzo il Magnifico” Prize – one will be given to the best emerging artist and the other to the career of a personality renown in the cultural field. In the website www.florencebiennale.org, there is a page dedicated to the Ethic Chart of the New Millennium, a document that was presented during the XXXIII World Summit of the Unesco Clubs and that defines the role of the contemporary artist. Particularly interesting is the definition of planet earth strategic citizen by which the artist is seen as an active citizen, more active than the others, keeper of the past and creator of the future. So an artist that is not sheltered behind his ivory tower but that deals and worries with the res publica. Can a young artist do that today? Hopefully the Biennale will help answering this question. •
G.Talani, Notte del marinaio, 100x80 cm oil on board, 1995 .18
Et sic in infinitum – Site-specific performance by Beat Kuert for IX Florence Biennale 2013
di due premi “Lorenzo il Magnifico”, uno al miglior artista emergente e uno alla carriera di una personalità che si sia distinta a livello internazionale in ambito culturale. Navigando nel sito di questa iniziativa (www.florencebiennale. org), a cogliere l’attenzione è la pagina dedicata alla Carta Etica dell’Artista del Nuovo Millennio, un documento presentato in occasione del XXXIII Consiglio Mondiale dei Club Unesco e redatto con l’intenzione di definire le linee guida della figura dell’artista nel mondo contemporaneo. Particolarmente interessante è la definizione di planet earth strategic citizen coniata per la necessità di delineare il compito dell’artista a partire dal suo ruolo di
cittadino attivo, più attivo degli altri, custode del passato e artefice del futuro. Facendo quasi eco alle profezie del veltro dantesche e al superuomo nietzschiano, si configura un artista che invece di arroccarsi nella torre d’avorio, deve occuparsi della cosa pubblica, proteggerla e interpretarla. Ma può un giovane artista oggi fare questo sforzo in maniera profonda? O forse non può che farlo. Anche quando egli si allontana dalla società, continua a coglierne i sensi, a influenzarne il pensiero. Di quali strumenti ha bisogno? Chi può darglieli? Vedremo se la Florence Biennale sarà il giusto luogo per porre queste domande. • 19.
FUL gusto
Chianti e... pesce fresco! Intervista alla Trattoria del Pesce di Bargino a cura di Marco Provinciali
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a Trattoria Del Pesce si trova sulla via Cassia per Siena, all'altezza della piccola località di Bargino, frazione del comune di San Casciano Val di Pesa salita agli onori della cronaca negli ultimi anni grazie alla realizzazione della splendida cantina, nonché quartier generale, degli Antinori. Un ristorante che nasce nell'ottobre del 1984 con l'idea di portare i sapori del mare tra le colline del Chianti; idea bizzarra ma azzeccata quella che ebbero Stefano e Fabrizio che insieme a Milena e Miranda (le rispettive mogli) in tempi in cui la ristorazione non aveva il grande interesse mediatico di oggi, avviarono l’attività portandola ad essere una delle più rinomate per il pesce tra Firenze e dintorni. Negli ultimi anni il ristorante ha avuto un cambio generazionale nella sua gestione e i figli delle due famiglie hanno preso il posto dei genitori mantenendo inalterata la qualità e il servizio distintivi del locale. Come indicano dati relativi alle iscrizioni nelle scuole superiori, il numero di ragazzi che oggi sognano una vita tra i fornelli è sempre più elevato ma in pochi poi riescono ad emergere in questo mondo tanto invitante quanto duro e faticoso. Ne abbiamo parlato con i ragazzi della
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Trattoria del Pesce di Bargino, simbolo di originalità (servire del pesce fresco nel cuore del Chianti!) e longevità. Ha risposto alle nostre domande il più giovane dei soci Filippo Falugiani il quale ci ha dato spunti interessanti per approfondire l'affascinante mondo della ristorazione. Di fronte alla mediaticizzazione del cibo come si difende un ristorante? Forse non c ’è da difendersi troppo, basta accettare alcune regole e cercare il più possibile di ENGLISH VERSION>>>> sfruttarne l’influenza. Trattoria del Pesce is in Via Cassia towards Siena, nearby La mediaticizzazione ormai Bargino, a well known village for being Antinori winery’s comprende molte altre sfere headquarter. A fish restaurant born in October 1984 with the aim of bringdella nostra quotidianità. In ing the flavours of the sea among the hills of Chianti, a bicerti casi il cuoco ha dovuto zarre but lucky idea by Stefano and Fabrizio who managed, ripensare il proprio mestiere together with their wives Milena and Miranda, to build a sotto questo aspetto, ma fruitful business. In the past few years there was a generational takeover in the si tratta di casi isolati e restaurant management, Stefano’s and Fabrizio’s sons took spesso chi si lascia trascinare their places but still keeping the restaurant’s distinctive high della visibilità mediatica è quality standards. consapevole che sta svolgendo Nowadays there are a lot of young people dreaming of becoming chefs but only a few eventually do. We talked about it with un altro lavoro, non quello Filippo Falugiani of Trattoria Del Pesce. How can a restaurant stand up against food mediatizadell’executive chef. Sempre più persone si affidano tion? Maybe there’s not much to stand up for, you should accept some ai social per scegliere il posto of the rules and take advantage of its influence. Nowadays dove andare a mangiare, quanto many aspects of our lives are ruled by the media. Many people use social network to choose where to eat, is fidarsi? Direi sempre meno, purtroppo. it good to trust them? Not much, I’d say. Websites such as TripAdvisor started with Siti come TripAdvisor che very good intentions, but they’re not doing a fair job to mainsono partiti con buonissimi tain their credibility. propositi, non stanno facendo What’s Trattoria Del Pesce like, now?
I’ve seen a radical change in the clientele, staff, restoration and service. We are passionate as much as our parents were, and we feel this place belongs to us. We work all together: brothers, cousins, chefs and waiters who’ve been with us for 30 years helping us growing. We do hope this love and passion reach our clients too. A technical advice, what is a good dressing for a fish plate? A good extra virgin olive oil, on an excellet fish, is the perfect choice. We firmly believe this, that’s why AIRO project - Associazione Internazionale Ristoranti dell’Olio - started here, aiming to bring high quality oils to restaurant, the real extra virgin ones. •
il giusto lavoro per mantenere la credibilità. Bisogna sapersi districare e scegliere con criteri che non sempre coincidono con il punteggio generale. Cos’è la Trattoria del Pesce oggi? A distanza di più di trent'anni ho visto con i miei occhi un cambiamento radicale nella clientela, nel personale e nello stile di ristorazione da applicare. Oggi la Trattoria del Pesce è un ristorante a tutti gli effetti, ma che mantiene inalterate alcune caratteristiche della trattoria dei tempi passati. Con la stessa passione e lo stesso impegno di chi ci ha preceduto vogliamo mantenere e forse, accrescere il nome di questo ristorante nel quale tutti noi (figli) siamo cresciuti e che sentiamo come casa nostra. Lavoriamo insieme tra fratelli, cugini, cuochi e cameriere che sono con noi da 30 anni e che in un certo senso ci hanno aiutato a crescere. È davvero bellissimo e insostituibile, e spero che una parte di questo affetto che ci lega, si trasmetta anche ai nostri clienti.
Un consigli tecnico, in che modo si condisce un piatto di pesce? Archestrato di Gela, che visse nel 300 a.C. circa e fu uno dei primi cultori dell’Arte del Piacere, scriveva così: Ma quel che ha carne dilicata e pingue basta soltanto che di fino sale l'aspergi, e l'ungi d'olio, perché tutta tiene in sé la virtù di bel sapore. A distanza di 2.000 anni la pensiamo più o meno allo stesso modo. Grazie ad una giusta scelta dell’olio, su una materia prima eccellente e cotta al punto giusto (che per me vuol dire poco cotta!), si arricchisce il sapore di un pesce senza coprirne i sapori delicati. Per questo proprio da qui, dalla Trattoria del Pesce è partito il progetto di AIRO - Associazione Internazionale Ristoranti dell’Olio, con l’intenzione di portare nei ristoranti una scelta di oli di qualità, che si possano chiamare davvero extravergine. • 21.
FUL artigianato
BLUES BARBER:
CURIAMO OGNI TIPO DI BARBA
Testo di Julian Biondi, foto Blues Barber Shop
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ifficile non aver ancora sentito parlare di loro: i “ragazzi di Blues Barber”, la prima barberia di Firenze. Questi acconciatori di doppie punte sotto il naso e di pelurie indomite sul mento hanno aperto, ormai un anno fa, il primo negozio specializzato in rasatura del viso, restyling di barbe e acconciature classiche da uomo. Essendo anch’io munito di “peli superflui” sono stato uno dei primi avventori del saloon l’estate scorsa. Mi accolse una ragazza che mi fece accomodare nell’attesa che tornasse Valerio, il primo barbiere, uscito in pausa pranzo. I ferri del mestiere lui li conosce bene: forbici e rasoi sono in mano alla sua famiglia da tre generazioni, da quando il nonno aprì il primo parrucchiere per soli uomini a Marsala per poi emigrare negli Stati Uniti ad esercitare la propria professione lontano dal fascismo. A distanza di un anno la situazione è ben diversa: alle undici di mattina di un martedì feriale le tre postazioni sono al completo, cinque persone sono a sedere e aspettano sfogliando riviste da moderni rockabillies, muovono le gambe accavallate al ritmo di un blues di New Orleans, studiano i quadri appesi che propongono tagli dai nomi quali “scumbag boogie”, “razor fade”, “quiff ”. Acconciature da Mods, Bikers, Boogie monsters... da ragazzi che si vestivano bene ma si comportavano male. Il telefono squilla di continuo; le prenotazioni arrivano dal Val d’Arno, da Pistoia, persino da Grosseto. In questo clima affollato però, non riesco a scorgere nemmeno un volto frustrato dalla lunga attesa. I clienti entrano, domandano quando ci sarà posto e Angelo, il sorridente addetto alle pubbliche relazioni, non è sempre in grado di dare una risposta. Poco male, questi si siedono e aspettano. È il mio turno, nonché la mia occasione per parlare con Valerio, la mente e
il braccio che sta dietro a tutto. Ho solo 15 minuti per parlare con lui, il tempo di una rasatura alla siciliana (rasatura in cui viene prima applicato un panno caldo sul volto per preparare la pelle al rasoio). La prima domanda che gli faccio è qual è il motivo del loro successo. La risposta è molto semplice: il barbiere, nella tradizione italiana, non rappresenta unicamente un negozio in cui ci si prende cura del proprio aspetto, bensì un luogo di incontro, di convivialità, di leggerezza. Dal barbiere si parla di donne, di politica, di calcio. Negli anni l’abitudine a radersi da un professionista è andata perdendosi, ma non è andata persa la voglia di ritagliarsi un po’ di tempo per prendersi cura di se stessi e scambiare due battute con altri avventori. Ecco dunque spiegata l’atmosfera rilassata intorno a me. Valerio racconta che ci sono clienti che, se hanno un appuntamento alle cinque del pomeriggio, arrivano alle tre, per passare il tempo in compagnia e rilassarsi ascoltando buona musica. Questo è il secondo argomento che affrontiamo: è impossibile non fare caso alla sapiente selezione musicale di Rock n’Roll e Blues che fa da sottofondo. Mi viene spiegato che negli anni ‘30 in America, il periodo a cui è ispirato il negozio, all’interno delle botteghe dei barbieri si trovavano spesso afroamericani relegati all’unica mansione di lucidare le scarpe e che questi spesso cantavano motivi blues accompagnando il loro lavoro. 23.
La cosa prese piede e si formarono i primi “Blues Barber Quartet”, piccole orchestre di quattro elementi che si esibivano dai barbieri. La mia barba è fatta, i baffi sistemati, Valerio mi saluta dandomi un’esclusiva: da ottobre il negozio si sposta, si amplia in una nuova location vicino a Piazza Beccaria, si organizzeranno concertini e verranno invitati “guest barbers” da tutto il mondo. Bravi, “i ragazzi di Blues Barber”. •
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I’m sure you’ve heard about the “Blues Barber’s Boys” before, the first barber shop in Florence. About a year ago, these guys opened the first specialised shop in face shaving and beards’ restyling. I was one of their first clients last summer. When I went there, a girl welcomed me and asked me to take a seat while waiting for Valerio, the barber, who was out on lunch break. He very well knows the trade, his family has been in the business for three generations. A year has passed and the situation now is much different: at 11.00 am on a Tuesday morning the shop is full: three people being shaved and five more waiting for their turns, while listening to some New Orleans blues and reading magazines. The phone keeps ringing, there are people calling from Val d’Arno, Pistoia, even Grosseto. In this busy situation, I can’t spot a single annoyed face. Everyone is patiently waiting. It’s my turn, and my occasion to ask Valerio a few questions. I only have 15 minutes, the time for a Sicilian style shave (it’s when they put a hot towel on your face to prepare the skin). The first thing I ask is the reason of their success. The answer is simple: the barber shop, in the Italian tradition, isn’t just the place where you get shaved. It’s a meeting point, a convivial space, where you can talk about women, football, politics. That’s why the atmosphere is so relaxed. Valerio tells me that some clients, even if they are booked at five, arrive round three, just to spend some time and relax while listening to good music. This is our second topic: the great Rock’n’roll and Blues music selection. He explains that in America back in the ‘30s, afroamericans were allowed in barber shops only to polish shoes, and they were often singing some Blues motifs. That’s when the first “blues barber quartets” started: four elements orchestras performing at barber shops. I’m done, Valerio says good bye to me and gives me a scoop: in October the shop will move to a new location near Piazza Beccaria, gigs will be organized and “guest barbers” from all over the world will be invited. Good on you, lads. •
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Aiku: la grafia dell'anima Testo di Niccolò Brighella, foto Jasmine Salleyy
«T
utte le mie opere sono caratterizzate dalla ricerca della fluidità,
perché la realtà stessa è un fluido in continua mutazione.
Esprimere il flusso dell’esistenza, nella scultura come nella calligrafia, e d’altra parte scardinare ogni tipo di dogmatismo nel farlo, costituiscono il cuore del mio lavoro». Il pittore e scultore Donato Landi, in arte Aiku, è un contaminatore dall’ampio repertorio culturale che mescola nelle sue straordinarie e policromatiche opere di lettering la grafia gotica e quella latina, l’arte calligrafica cinese e quella giapponese, le più originali soluzioni della street art e le tradizioni dell’arte contemporanea, in particolare il pouring di Jackson Pollock.
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Autodidatta, dapprima scultore e writer, Aiku ha esordito creando action figures, opere non dissimili da giocattoli, realizzate con tale cura, attenzione al realismo e alle figure più intime dell’immaginario, da meritare l’esposizione nelle gallerie nazionali. Ma è il writing e in generale il mondo dei graffiti a spingerlo verso quella produzione che lo caratterizza,
un lettering
elegante che contamina e scardina ogni dogmatismo. I più lontani motivi culturali
divengono nelle sue opere elementi da integrare, anzi elementi che spontaneamente si legano e si reinventano scardinando ogni barriera ideologica, ogni muro culturale. A questa commistione concettuale si aggiunge quella tecnica e stilistica, che mescola il pennino ai vettoriali, l’arabesco islamico ai caratteri gotici, il mondo occidentale e quello orientale.
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La street art ha spinto Aiku a rendere protagonista il lettering puro e semplice, e a nasconderlo in forme grafiche che lo rendessero intelligibile solo nella totalità dell’opera. La spiritualità, al contempo, ha trasformato la sua produzione in un vero e proprio percorso intimo e personale: «Non è evidente ma alle spalle di ogni semplice immagine ci sono centinaia di
un lungo percorso manuale che sopisce sempre più il mio pensiero cosciente e cede il posto a un fluido automatismo. Per raggiungere la scritta che desidero, bozzetti,
il braccio deve muoversi da solo, il tratto divenire un unico lungo percorso dalla prima lettera all’ultima, senza che la mente possa interferire». Non è quindi un caso se un percorso produttivo così intimista e meditativo abbia legato la sua produzione all’espressione di concetti particolarmente profondi e simbolici. Temi che ci appaiono immutabili, come l’etica, la morte, la rinascita, il conflitto tra mente e corpo, sono anche i riflessi delle innumerevoli culture che se ne appropriano e li riesprimono. Impossibile farlo senza scardinare non solo le forme stilistiche, ma anche quelle spirituali, ben più radicate. Da sempre vicino alla spiritualità indiana, Aiku, in contrasto con la tendenza moderna delle religioni istituzionalizzate ad arroccarsi sulle proprie posizioni, apre nelle sue opere alle più diverse influenze spirituali, mescolandone i valori positivi in un insieme che trova nella sua commistione una propria coerenza e un significato universale. Se in generale le opere d’arte nascondono la propria chiave di lettura all’interno dell’immagine, in Aiku è il concetto stesso a essere figura. Virtutes, serie di sette opere sulle altrettante virtù cardinali e teologali, espone i fondamenti della morale cristiana in un lettering elegante e solenne, accompagnato da colori metallici nobili, in modo che la Virtù stessa, nella sua ruvida espressione verbale, sia non solo il cuore ma anche l’ossatura visibile dell’opera d’arte. In Burn and Rise, l’uso sapiente della calligrafia coranica nasconde un richiamo simbolico alle fiamme e alle ali della fenice che rinasce. In quest’opera la grafia del messaggio ammicca alla figura, in una totale inversione di ruoli tra significato e significante. Il lavoro di Aiku ha incuriosito sia il pubblico che i galleristi, portandolo a esporre alla Biblioteca Nazionale, alla Galleria Babele e nelle collezioni private Palli di Prato e Moradei di Firenze. Noi attendiamo invece la sua prima personale in autunno alla Galleria Tornabuoni, centrata sulla serie Virtutes, cui si aggiungerà la mostra itinerante fatta dal collezionista pratese Carlo Palli (il 18 settembre al Museo del Novecento a Firenze, l’11 ottobre al GAMC di Viareggio, l’8 novembre al MART di Rovereto, il 13 Dicembre al Centro di Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato), per poter nuovamente esplorare, attraverso ogni sua opera, l’infinito caleidoscopio delle molteplici anime umane. •
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«All my pieces are characterized by the research of fluidity, because reality in itself is a fluid in constant mutation. To express the existential flow, in sculpture as in calligraphy, and at the same time breaking every kind of dogmatism, are at the heart of my work». Painter and sculptor Donato Landi, aka Aiku, mixes in his extraordinary polychrome lettering works the gothic and latin handwriting, the Chinese and Japanese calligraphic arts and the most original solutions of the street art and the contemporary art tradition – in particular Jackson Pollock’s pouring. Self-educated, Aiku started creating action figures – works not so different from toys – but it’s the world of graffiti and writing that brought him to the elegant lettering and the synthesis of different cultures and styles: from nib to vectorial design. The influence of street art can be seen in the simple and pure use of lettering, but there is a very intimate and spiritual journey behind. «It’s not obvious, but every simple image is the result of hundreds of drafts, a long manual training that weakens my conscious thought and gives way to a fluid automatism. To reach the desired form, my arm has to move by its own will, the stroke become one long path from the first letter to the last,with no intellectual interference». It’s no surprise that such artistic production tries to express deep and symbolic concepts and themes such as ethics, death, rebirth, the conflict between mind and body, that every culture and religion deals with in its own way. Aiku’s works gathered attention and have been exhibited at Biblioteca Nazionale, at Galleria Babele and in the private collections Palli (Prato) and Moradei (Florence). Soon his first solo exhibition will be held in Galleria Tornabuoni. Other dates include: 18th Sep at Museo Novecento (Florence), 11th Oct at GAMC (Viareggio), 8th Nov at MART (Rovereto), 13th Dec at Centro di Arte Contemporanea Luigi Pecci (Prato). • 27.
FUL design
ECOMATO
La metempsicosi degli oggetti. Testo Marco Fallani, foto Ilaria Lamotte
ENGLISH VERSION>>>>
Q
uando è stata l’ultima volta che avete visitato il garage o la cantina della vostra famiglia, quell’antro polveroso dove le cose vecchie si accumulano in un’infinita attesa di giudizio? Magari ad alcune siete ancora affezionati, anche se ormai sono inutili o inutilizzabili: il manubrio della vostra vecchia graziella, la sella della moto di vostro padre, le collezioni infinite dei più svariati strumenti di bricolage, oppure il lettino di quando eravate bambini. In un periodo così nero per le nostre tasche, perché spendere soldi in nuovi oggetti quando ne siamo letteralmente circondati? Il consumismo ci ha insegnato che non vale la pena perdere tempo a riaggiustare, che è molto più economico buttare e ricomprare. Grazie a questo saggio insegnamento si moltiplicano i rifiuti, non siamo più in grado di creare oggetti duraturi e soprattutto abbiamo dimenticato il valore del recupero. Luca Bacicci con la sua EcoMATO ce lo ricorda. Luca ha studiato disegno industriale ed è conosciuto a Firenze più come dj che come designer, ma i tempi adesso sembrano maturi per la sua ennesima metamorfosi e questa è la sua storia.
When was the last time you checked your garage or your basement and all the stuff that patiently awaits its judgment day? In time of crisis, why spending money on new objects when we’re already literally surrounded by them? Consumerism taught us that throwing away is cheaper and easier than fixing. As a consequence there’s a lot of rubbish we need to deal with and we forgot the value of salvage. Luca Bacicci with his EcoMATO is here to remind us about it. He studied industrial design though he’s rather wellknown in Florence for being a dj, but time has come for his new metamorphosis. Luca used to own an amazing yellow old-style Fiat 500 which he had restored, unfortunately it didn’t last long as it had to be demolished after a car accident. Luca decided to try and save as much as he could of his car and managed to make armchairs out of the front seats and a sofa from the back seats. That’s how EcoMATO was born. Inspired by his old teachers Andrea Branzi and Lapo Binazzi, with the help of Federico Quaccini, Luca started an ambitious project: recycling old objects reinterpreting them according to their characteristics. Federico mainly finds and takes interesting objects, Luca thinks about their new life, guided by imagination and experience. EcoMATO had its big turning point last summer. Luca went to Mexico where he met Moltus from Vera Cruz, they shared the passion for salvage design and worked together to Moltus new pizzeria’s furniture. They had to work on the pedestrian walk in front of the place and passers-by became curious and started asking questions. Before they even realized it they were commissioned pieces of furniture. This Mexican experience was very inspiring for Luca and EcoMATO will finally be online with a webshop. Most of their creations will make you think “I could have made it!” or “Why didn’t I think about it?” but no worries, these are exactly the reactions Luca and Federico expect.•
Luca aveva una macchina stupenda, una Fiat 500 rimessa a nuovo in tutti i dettagli, gialla, decapottabile e con dei cerchi da paura. Purtroppo ebbe vita breve e a causa di un incidente fu dichiarata da rottamare. Vuoi per l’affetto, vuoi per un senso di riscatto, Luca decise che avrebbe salvato quanti più pezzi possibile e da quella macchina creò il suo primo salotto: i sedili davanti divennero comode poltroncine e quello dietro niente meno che un bellissimo divano! Da quel momento nacque Ecomato. Seguendo l’ispirazione dei suoi vecchi insegnanti Andrea Branzi e Lapo Binazzi e con l’aiuto di Federico Quaccini, Luca mise in piedi un progetto ambizioso: recuperare vecchi oggetti dotati di fascino e reinterpretarli secondo le loro caratteristiche. Federico si occupa principalmente di trovare e recuperare oggetti degni di attenzione o che sono necessari a un particolare progetto. Luca pensa alla loro prossima vita, lasciandosi guidare dalla sua fantasia e dalla sua esperienza. Insieme realizzano le loro opere usando varie tecniche, dalla banale incollatura alle più complicate saldature. Ma la vera svolta nel progetto Ecomato è stata la scorsa estate. Luca ha avuto l’opportunità di fare un bel viaggio, ha visitato gli Stati Uniti e il Messico. Proprio in quest’ultimo paese ha trovato terreno fertile per le sue idee. Per pagarsi il viaggio ha lavorato in una ditta edile a San Diego dove si occupava di demolizione e di lavorazione del legno. Poi, arrivato a Città del Messico, ha conosciuto Moltus, originario di Vera Cruz, che come lui condivide la passione
per il design di recupero. Hanno legato subito e mossi dalla comune passione hanno ideato e allestito insieme il locale che Moltus stava aprendo: la pizzeria “La Maria”. I lavori per necessità si svolgevano principalmente davanti al fondo, sul marciapiede. Così con il passare del tempo la gente si è incuriosita e andava a porgli domande. Prima che se ne rendessero conto già visitavano le loro case e prendevano accordi sui mobili che avrebbero dovuto fare per loro. Luca si emoziona quando parla del periodo in Messico, lì l’attenzione al recupero è altissima, perciò si trovano facilmente gli oggetti più disparati e il talento manuale, specialmente per la lavorazione del legno è molto apprezzato. L’e sperienza sudamericana ha portato nuovi stimoli ed Ecomato finalmente da settembre sarà online con un WebShop dove sarà possibile acquistare i loro prodotti (www.etsy.com/it/shop/ecoMATO). Molte delle loro creazioni vi faranno pensare: «avrei potuto farle anche io!» oppure «perché non ci ho pensato prima, quasi quasi copio l’idea!». Non temete ritorsioni da parte loro, queste reazioni sono proprio quelle in cui Luca e Fede sperano. Soltanto sensibilizzando al recupero quante più persone possibile avranno davvero raggiunto il loro scopo. • www.ecomatodesign.com
29.
FUL musica
Vero, ispirato, pirata Il ritorno di Alessio Ultima rata e dei Volume Sick Testo di Gianluca Parodi, foto di RIT Music TV e Giugno Aglianese.
F
irenze, i mitici anni ’80: Litfiba, Diaframma, Rinf, furono le Signorie della rivoluzione musicale, gli inventori e gli ispiratori di una generazione affamata di nuovo, del Rinascimento rock. Vero, ispirato, pirata. Si sentiva un po’ così, Alessio Colosi, quando dal suo paesino della Maremma, prendeva un pullman affollato diretto a Firenze. Per chi gli sedeva vicino, forse, era una gita di piacere, una visita ad un parente, un appuntamento di lavoro, per lui era semplicemente «l’autostrada per l’inferno», il suo inferno, mentre solo un paio d’ore lo dividevano dal suo paradiso: un paradiso di novità e folklore, d’ideali autentici e ribelli. Un mondo che era un teatro a cielo aperto, dove presto avrebbe liberato tutto il suo estro. In quegli stessi anni, i Rinf navigavano su un galeone d’innovazioni musicali, tra i fischi degli sdegnati e gli osanna degli appassionati. A Firenze, si respirava l’aria frizzante del cambiamento, era un mare in tempesta e la burrasca rispondeva al nome di New Wave. La poesia che diventa musica, la musica che si fa regina del rumore, assordante, distruttiva, creativa, dogmatica. Anni convulsi e contorti, tra birre e concerti, tra scherni e vinili, alcol, musicassette, sudore, sangue e lacrime.
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Gli anni passano, la vita fa il suo corso e l’onda frange contro una società che cambia. Cambiano i gusti e le percezioni, i modi e le abitudini, cambiano le note, gli spartiti, gli strumenti; la tecnologia sbaraglia la tradizione, in trentacinque anni cambia tutto, anche Firenze. E cambiano anche loro, tutti quanti. Alessio Colosi ormai è Alessio Ultimarata, perché in questa società l’ultima rata non esiste, non si finisce mai di pagare il conto. Ha creato i suoi gruppi e poi li ha persi, ha continuato a scrivere e cantare, senza scendere a compromessi. Ha conosciuto Pelù, Renzulli e Fiumani, con Ghigo ha perfino condiviso un progetto, li ha visti sciogliersi e riprendersi, li ha visti cambiare. I Rinf intanto sono diventati VolumeSick, «volume malato», per esaltare le perversioni dei loro suoni – perdere la voce sì, mai la strada. Portabandiera di un universo parallelo, originato dal secondo big bang esploso a Firenze negli anni della loro gioventù: Sandro, Simone, Ugo, Kata, Sax e Lorenzo hanno continuato il loro lavoro radicale e rivoluzionario senza scendere a compromessi. Vero, ispirato, pirata, sono gli aggettivi perfetti per descrivere il destino. Il destino che ha messo di fronte Alessio e i VolumeSick in una sala registrazioni, conoscenze comuni alimentano il fuoco del possibile, da una scintilla, la fiamma. Progettano un disco che viaggia nel tempo, che è condivisione di ideali d’altri tempi e ci riporta nella Firenze dei mitici anni ’80, una sinergia di musica e parole, di rock e poesia. Disponibile dallo scorso 1° aprile, presente su Youtube e Spotify, al momento dell’acquisto del vinile (dalla copertina di stoffa) è possibile anche scaricare il disco attraverso il link fornito dall’etichetta musicale Pippola. Un vinile ovviamente, interamente registrato in analogico. Un vinile che era l’unico formato possibile, affascinante tanto quanto il suo obiettivo: stupire, rivoluzionare di nuovo, lasciare il segno. Il disco custodisce note graffianti e versi illuminanti, racchiude storie di un passato ribelle, sconvolgente, ricostruisce un‘atmosfera irridente e travolgente. È un progetto strano e atipico che combina le poesie di Alessio Ultimarata con la musica dei VolumeSick. Ascoltandolo, si sale sul pullman con il giovane Alessio e si va dritti a Firenze, la città all’avanguardia, pazza, visionaria, rivoluzionaria. Se vi domandate che disco sia, vi ripeto semplicemente: vero, ispirato, pirata, le parole di Alessio per descrivere questa sua nuova fase artistica. Da ascoltare! •
Florence, the eighties: Litfiba, Diaframma, Rinf... a musical revolution, our Rock Renaissance. True, inspired, pirate. That’s how Alessio Colosi used to feel on the bus to Florence, driving through the “highway to hell”, his hell, but just a couple of hours away from heaven. Years passed by, the society changed, as well as the tastes, the instruments, the music. Everything changes in 35 years, even Florence. Alessio Colosi is now Alessio Ultimarata (LastPayment, ndt), the one no one gets to pay, as we never finish paying nowadays. He keeps on writing and singing, no compromises. He met Pelù, Renzulli and Fiumani, shared a project with Ghigo. He saw them changing. In the meantime, the Rinf became VolumeSick: Sandro, Simone, Ugo, Kata, Sax and Lorenzo carry on their radical and revolutionary work. True, inspired, pirate, are perfect adjectives to describe destiny. The same destiny that brought Alessio and VolumeSick in a recording studio. They are working on an album that travels through time, taking us back to the eighties. Available from last 1st of April, the vinyl record has a fabric cover and it is possible to download it too, thanks to a link provided by Pippola records. A vinyl record was the only possible result: it aims to astonish and revolutionize. This album has a rebel past and creates an overwhelming atmosphere. It’s a different and odd project that combines Alessio Ultimarata’s poetry with VolumeSick’s music. Give it a try. •
FUL Riflessioni sul contemporaneo
A cena con Ottavia Piccolo Imparare a dire di no
Testo di Unotrezerocinqueuno
No.
Per quelli del teatro di ricerca la vita non è per niente facile. Tra visioni politiche, scrupoli etici e questioni sociali il disgusto si fa largo: non siamo artisti prezzolati, non siamo attori a qualunque costo (e soprattutto non lo siamo per nessun costo), non facciamo teatro senza farci domande. Insomma, è una vita di no dati e ricevuti: e lo è a tal punto che ci definiamo solo attraverso la negazione, attraverso ciò che non vogliamo essere e che temiamo di diventare. No, nei teatri stabili non ci vogliamo lavorare. No, le accademie ci fanno tutti uguali. No, certa roba non ci andiamo a vederla. E purtroppo tutto finisce nel peggiore dei modi: fegato roso e odio per tutti. Il primo caso di autocombustione e piromania contemporanei: fuoco dentro fuoco fuori. Ok. Stop. Gassman? Ma figuratevi se andiamo a vedere Gassman, a pagare il biglietto a quel figlio di, in quel teatro di, perpetuando lo stesso sistema che ci schiaccia e che non ci considera? Ci sono andata. Sì, alla Pergola, oddio a dir la verità lo facevano al Goldoni che comunque è un po’ più di nicchia... sì, certo che lo so che sempre Pergola è. Sì, lo so che c’è Ottavia Piccolo, una della tivù, ma c’è una mia amica tra le attrici... È la prima settimana di marzo. Dopo lo spettacolo, esco e incontro la mia amica che mi presenta la Piccolo – che devo dire è stata superba. Il giorno dopo succede che mi ci ritrovo a cena. Allo stesso tavolo, dividendo una bottiglia di vino. Ci agganciamo con gli occhi e cominciamo a parlare. Mi racconta di quando sua madre la costrinse a undici anni a rispondere a un annuncio dove Squarzina cercava un’adolescente con i capelli lunghi e gli occhi grandi. Di come lei scappò. Di come la andarono a ripescare e la costrinsero sul palco. Di come quel palco non l’ha più lasciato. E poi mi chiede, mi chiede molte cose, con una curiosità onesta ascolta tutte le mie risposte, i dispiaceri di un lavoro che non paga, di un sistema che non riesce, perché non vuole sostenere le piccole compagnie come la mia, la sofferenza di preferire un percorso originale a un provino con Lavia. E qui sorride. La guardo e mi accorgo di aver fatto una gaffe non da poco: l’acerrimo nemico di quelli del teatro di ricerca ha avuto con la Piccolo un lunghissimo sodalizio artistico e io son qui a dire che piuttosto che .32
lavorare con lui mi darei fuoco (vedi il principio di autocombustione e piromania di cui sopra). Lei sorride e mi risponde raccontandomi di quando nel 1972, proprio insieme a Lavia, durante le prove dello storico Re Lear di Strehler, andarono alla direzione del Piccolo a discutere di questioni contrattuali: provavano di norma fino alle 5 del mattino e chiesero di essere retribuiti diversamente, costituirono il sindacato degli attori. E ci andarono ancora con i costumi di scena addosso: Ottavia era il fool, il buffone con tanto di cerone sul volto. E andava ad esigere dignità. Ammutolisco. E poi mi parla del nuovo Decreto Ministeriale, di come siano cambiate le cose, di quanto sia necessario difendere il valore del nostro lavoro da chi lo considera ancora un passatempo, da chi ti sfrutta e ti umilia con proposte inaccettabili. Ogni volta che un attore accetta di lavorare gratis lede tutti gli altri colleghi, perché conferma che il professionismo non si paga in fondo, che a noi artisti piace così tanto esibirci che la soddisfazione di aver calcato il palcoscenico ci basta. «Ragazzi, dovete imparare a dire di no. Io l’ho fatto tante volte e voi?» Anche noi, ma forse non abbastanza. •
ENGLISH VERSION>>>>
No. Life is not easy for theatre people. We don’t price our art, we’re not actors-no-matter-what, we don’t make theatre without asking ourselves some questions. It’s a life full of Nos: we define ourselves through denial, through what we don’t want to be and what we’re afraid to become. The result is that we’re full of bile and we hate everyone. The first case of spontaneous ignition and pyromania at the same time: fire in and out. Gassman? No, I would never go to see him, pay a ticket for that son of, in that theatre, just to maintain a system that crushes young actors and doesn’t bother to recognize them. I went there. Yes. To Pergola Theatre. There was Ottavia Piccolo. Yes I know, she works in tv, but there was also a friend of mine playing... After the play, my friend introduces me to Ottavia Piccolo, and I have to say she was superb. They following day I even meet her at a dinner. At the same table, sharing a bottle of wine, we start talking. She tells me how she was forced by her mother to reply to an ad where Squarzina looked for a long-haired, big-eyed teenager. She was only 11 by then. She tells me how she ran away, was catched and forced to go back on stage. And how she never left that stage. Then she asks me a lot of things and is interested in my answers, and I tell her how hard it is to work is a system that doesn’t pay, that doesn’t offer any help to the small companies like mine, what a sufference it is to follow an original path rather than a try-out with Lavia. She smiles. I realize I made a huge faux pas, Lavia, the worst enemy of those who do theatre of research had a long collaboration with her and I’m here saying I’d rather set myself on fire than working with him. She smiles and tells me how she established the Actors Labor Union with him in 1972, demanding to be paid differently, demanding dignity. I’m left speachless. Then she tells me about the new laws, how things have now changed, how it is necessary to say “No” to unpaid offers, and how those who accept them damage their colleagues, confirming the idea that we like performing so much that that’s enough for us. «Guys, you need to learn to say no. I’ve done it many times, what about you?» We have, but maybe not enough.•
ful uno straniero a firenze /\ un fiorentino all'estero
simone
Mi chiamo Simone, ho 32 anni e quattro anni fa, per lavoro, mi sono trasferito ad Hangzhou (Cina). Laureato in architettura del paesaggio, ero disposto ad andare ovunque pur di lavorare nel mio settore: così senza pensarci su due volte mi sono trasferito in Cina. Là ho trovato un altro mondo: un paese in pieno boom economico, ricco di storia e di contraddizioni. All’inizio non è stato facile ambientarmi, anche a causa della lingua, ma col tempo mi sono ritagliato il mio spazio e ho cominciato a capire e apprezzare alcuni usi e costumi cinesi che all’inizio trovavo incredibili (per esempio pasteggiare con acqua calda!). Sto tentando di sfuttare al massimo questa esperienza, ma Firenze è sempre Firenze, anche con i suoi difetti da “piccola città di provincia”. È la mia città natale e un giorno tornerò a viverci stabilmente. Cosa porteresti a Firenze da Hangzhou? Porterei l’ottimismo verso il futuro che accomuna i miei coetanei cinesi, la consapevolezza che i sogni si possono davvero realizzare. Porterei i noodles saltati e i ravioli al vapore a qualsiasi ora del giorno e della notte. Cosa porteresti ad Hangzhou da Firenze? Porterei il concetto di bar: cappuccio, cornetto e due chiacchiere col barista. Porterei il centro, con le sue viuzze lastricate, strette, storte e piene di buche. Porterei la vita di quartiere e la piazza. Il panino col lampredotto, la schiacciata con la mortadella e il vino sfuso del vinaino, i colli a un quarto d’ora di distanza per stare in mezzo al verde. My name is Simone, I’m 32 and four years ago I moved to Hangzhou (China) for work. I have degree in Landscape Architecture and I would have gone everywhere if I only could work in my field. China is a completely different world, in full economic boom but also rich of history and contradictions. What would you bring from Hangzhou to Florence? Optimism: Chinese people my age are optimist towards the future, they know dreams can become true. I would bring fried noodles and steamed ravioli at every hour of the day and the night. What would you take from Florence to Hangzhou? The concept we have of “bar”: cappuccino, croissant and the chitchat with the barista. The city centre with its narrow crooked paved streets full of holes. The life of the neighbourhood and the square. The lampredotto sandwich, the focaccia with mortadella and the wine from the cask of the local winery shops, the hills just fifteen minutes away. •
Zhu
Mi chiamo Zhu Zheng Zheng. Dopo essermi laureato in Cina, sono venuto in Italia per il master in Architettura del territorio. Ho scelto Firenze perché questa città è la culla del Rinascimento, un argomento che mi interessa molto. In Cina ho studiato storia della costruzione urbana in Europa e storia dell'architettura europea. Che cosa porteresti a Firenze da Shanghai? In Italia quasi ogni mese ci sono giorni di vacanza e il supermercato è spesso chiuso, per il pubblico non è conveniente. Io sono di Shanghai, e lì i negozi non chiudono mai (scherzo). In Cina si lavora in modo più efficiente. Una volta, ho fatto la fila anche da MacDonald in Stazione Centrale a Milano: avevo cinque persone davanti e dopo 20 minuti è arrivato il mio turno! In questi mesi ho scoperto che la maggior parte degli italiani sono curiosi verso la Cina perché non ci sono mai stati e perché i cinesi sono timidi. Spero che sempre più persone verranno in Cina e che saranno in grado di comunicare con le nuove generazioni. Che cosa porteresti a Shanghai da Firenze? Quanto torno in Cina non voglio portare con me solo borse o scarpe di marca, ma la concezione della vita che c’è qui. La Cina si è sviluppata molto rapidamente e spesso la gente si dimentica di godersi la vita. Non bisognerebbe pensare solo a fare soldi. Un’altra cosa che porterei è l’artigianato e la cura per il dettaglio. Quando torno in Cina mi mancheranno la vera pizza e la fiorentina. My name is Zhu Zheng Zheng and I came to Italy for a Master in Landscape Architecture after getting my degree in China. I chose Florence because I’m very interested in Renaissance. What would you bring to Florence from Shanghai? There are a lot of holidays here and supermarkets are often closed, that is not convenient. Work in China is more efficient. Here, once, I waited 20 minutes to be served in a MacDonald in Milan central station and I only had five people before me. During these months I realized that the majority of Italians are curious about China because they’ve never been there and because Chinese people are shy. I really hope more and more people will come to China and will manage to communicate with the new generations. What would you take from Florence to Shanghai? I’d take the concept of life you’ve got here. In China, people often forget to enjoy their lives. We shouldn’t only be thinking about making money. Another thing I’d take is craftmanship and attention to details. When I’ll go back to China I’ll miss the real pizza and the Florentine steak. • 33.
la pagina dell'artista* per il numero XVII è a cura di Marco Castelli www.marco-castelli.com
01 from the series The Big Nudes, 2014 Stampa a getto d’inchiostro su carta fotografica 80x100 cm Marco vive e lavora a Firenze. Si diploma in fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni. Dal 2013 lavora come assistente per Alberto Conti (Agenzia Contrasto). I suoi lavori sono stati pubblicati ed hanno ottenuto riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale. Marco lives and works in Florence. He graduated in Photography at the Fondazione Studio Marangoni. From 2013 he is the assistant of Alberto Conti (Agenzia Contrasto). His published works have been praised nationally and internationally. .34
In caso di pioggia gli eventi di venerdì 11 e sabato 12 settembre verranno spostati a La Cité, quelli di sabato 19, venerdì 25 e sabato 26 settembre nella sala conferenze di ZAP
Cortile ZAP 20.30 FOTOGRAFIA E RIVISTE
VENERDÌ 11 SETTEMBRE OFF bar – Giardini della Fortezza da Basso
La fotografia e il suo rapporto con le riviste
18.30 LIBERI DI SCRIVERE La scrittura in cella e il mondo delle riviste carcerarie
modera Marco Badiani photoeditor di The Florentine
modera Jacopo Aiazzi redattore di FUL
ospiti Riccardo Gatteschi
scrittore e direttore della rivista Spiragli
Silvia Pezzoli
SABATO 26 SETTEMBRE ZAP, Vicolo di Santa Maria Maggiore 1
Paolo Masetti
Sala conferenze 9.30 A SCUOLA DI SCRITTURA
ricercatrice di Sociologia all’Università di Firenze sindaco del Comune di Montelupo Fiorentino Durante l’incontro sarà possibile consultare alcune copie de Il Panneggio, la rivista realizzata dalle donne della sezione femminile del carcere di Sollicciano, e Mai dire mai, dal carcere di Pistoia
OFF bar presenta il concerto 21.00 NEDO & THE BELLO’S SABATO 12 SETTEMBRE OFF bar – Giardini della Fortezza da Basso
OFF BAR ZAP MURATE 11/12/19/25/26 settembre
Mostro, Collettivomensa, Riot Van. La formazione degli scrittori attraverso le riviste autoprodotte, laboratori di scrittura e autocritica
modera Silvia Costantino redattrice di 404: file not found ospiti Vanni Santoni Francesco D’Isa Gregorio Magini Gabriele Merlini Collettivomensa Salvatore Cherchi
Workshop con i redattori dei giornali scolastici liceali di Firenze e Prato
a cura di Francesco Ricceri di Toc Toc Firenze Carlo Benedetti di con.tempo Giovanni Giusti di The Florentine Cortile ZAP 11.00 INCONTRO CON CHRISTIAN RAIMO
info firenzerivista.it
18.30 FIRENZE DA(L) BASSO
ospiti TerraProject collettivo di fotografia documentaria
SABATO 19 SETTEMBRE ZAP, Vicolo di Santa Maria Maggiore 1 18.30 INCONTRO CON JOHN SNELLINBERG modera Andrea Caciagli direttore de L’Eco del Nulla a seguire proiezione di 21.00 SOGNI DI GLORIA Episodi, Italia, 2014, col., 94’
modera Silvia Costantino redattrice di 404: file not found ospiti Giacomo Tagliani redattore di Il lavoro culturale
Sala conferenze 15.00 WORKSHOP DI COLLAGE
L’artista Jonathan Tegelaars, in mostra al festival, terrà uno workshop di collage a numero chiuso Per iscrizioni info@firenzerivista.it
Cortile ZAP 15.30 LE RIVISTE E L’INFORMAZIONE
VENERDÌ 25 SETTEMBRE ZAP, Vicolo di Santa Maria Maggiore 1
modera Enrico Aprile editor di Toc Toc Firenze
Lo scrittore Frank Iodice e l’incontro con il presidente uruguayano José “Pepe” Mujica, che gli ha ispirato il suo Breve dialogo sulla felicità
Dalle 18.00 del venerdì alle 21.00 del sabato le riviste partecipanti saranno consultabili e acquistabili nel cortile di ZAP
ospiti FUL / Lungarno The Florentine / Florence is You
modera Andrea Caciagli direttore de L’Eco del Nulla
spazio espositivo al primo piano 18.00 MOSTRA JONATHAN TEGELAARS
ospiti Frank Iodice scrittore, autore di Le api di ghiaccio Caterina Ceccuti redattrice di Nuova Antologia
Cortile ZAP 18.30 INCONTRO CON MARCO VICHI
20.00 LA POLITICA DELLA FELICITÀ
La Cité presenta il concerto 21.00 NATURAL REVOLUTION ORCHESTRA
modera Carlo Benedetti direttore di con.tempo con letture dalle sue opere di Lorenzo Degl’Innocenti
Florence is You! it's not a place, it's a feeling...
Cortile ZAP 17.00 LE RIVISTE DI FIRENZERIVISTA Le 11 riviste organizzatrici del festival si presentano
modera Fulvio Paloscia giornalista de La Repubblica Caffè Letterario Le Murate Concerto di chiusura Firenze RiVista con La Nottola di Minerva 21.00 FANTASIA PURA ITALIANA