In questo numero: ZonaCesarini.net • Hopnn • LEGO Serious Play® Appetitoso • Jamesboy • Nothing for Breakfast • Orti Dipinti • Pistoletto • Sara Sun • Luv Dance Movement La Firenze nera di Marco Vichi PRENDIMI • FREE PRESS
gennaio- febbario 2016
anno
04
n • diciannove
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 - Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario Fabrizio Marco Provinciali • Realizzazione grafica Ilaria Marchi
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Il giro di boa è compiuto, è cominciato un nuovo anno e con ogni inizio arriva una dose di rinnovata energia, voglia di fare e organizzare, o almeno questo è ciò che capita a noi della redazione. Tanto per dirne una il nostro Marco Provinciali ha dato il via a una serie di cene a tema organizzate da FUL in collaborazione con Food Studio. Cene per gourmet, per coloro ai quali piace scoprire prodotti di grande qualità in abbinamenti originali. Venite con noi a scoprire inusuali modi di bere e mangiare: birre artigianali, olio e pesce. Che c’ è di bello in questo numero? Lo sport raccontato da quelli del blog di storytelling Zona Cesarini, un nuovo metodo per far decollare la vostra impresa con il LEGO Serious Play e Orti Dipinti, il primo community garden fiorentino. Un’ esclusiva intervista allo street artist Jamesboy, l’ultimo album dei Nothing For Breakfast, il Terzo Paradiso di Pistoletto per il Mercato Centrale, Appetitoso, una nuova app per scovare i ristoranti che preparano i vostri piatti preferiti, la passione per la danza di LUV Dance Movement e le nostre consuete rubriche: Un fiorentino all’estero / uno straniero a Firenze, la pagina dell’artista che ospita un’ opera di Sara Sun, la rubrica 5di5 con le fantastiche opere di Hopnn. E infine una nuova pagina dedicata ai libri e agli scrittori di area fiorentina a cura dei nostri amici e colleghi della rivista con.tempo. Buona lettura! Annalisa Lottini P.s. Veniteci a trovare anche nel sito FUL e nella pagina fb.
Aut. del Tribunale di Firenze n. 5838 del 9 Maggio 2011 Direttore responsabile Riccardo Basile Proprietario FMP Editore e realizzazione grafica Ilaria Marchi, Daria Derakhshan
Ideazione e coordinamento editoriale Marco Provinciali e Ilaria Marchi Immagine di copertina realizzata da Hana Sackler Se sei interessato all'acquisto di uno spazio pubblicitario: marco@firenzeurbanlifestyle.com • tel. 392 08 57 675 Se vuoi comunicare con noi ci puoi scrivere ai seguenti indirizzi: ilaria@firenzeurbanlifestyle.com ufficiostampa@firenzeurbanlifestyle.com redazione@firenzeurbanlifestyle.com commerciale@firenzeurbanlifestyle.com
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ringraziamenti
Daria Derakhshan, Hana Sackler, l'inverno clemente e la birra, Sara Boddi, Jae Hyun Yoon, Vanni Brighella, Marco Castelli, Carlo Spellucci e Romano Del Fiacco, il team di Appetitoso, il vino rosso che fa sempre buon sangue e non mente, la voglia di provarci. In generale e in tutti i sensi.
abbonamenti
Volete ricevere la vostra copia di FUL direttamente a casa? Scrivete a commerciale@firenzeurbanlifestyle.com
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FUL *firenze urban lifestyle*
19 p. 6/8
p. 23/24
ZONACESARINI.NET
PISTOLETTO
p. 9/11
p. 26/27
LEGO SERIOUS PLAY®
APPETITOSO
p. 12
p. 28
LA FIRENZE NERA DI MARCO VICHI
HOPNN
p. 13/15
p. 29
ORTI DIPINTI
UNO STRANIERO A FIRENZE
p. 16/17
p. 29
NOTHING FOR BREAKFAST
UN FIORENTINO ALL'ESTERO
p. 18/20
p. 31
JAMESBOY
LA PAGINA DELL’ARTISTA
sport
business
con.tempo libri
verde
musica
arte
p. 21/22 danza
LUV DANCE MOVEMENT
arte
tecnologia per il gusto
5di5
rubrica
rubrica
rubrica
I L A R I A M A R C H I Firenze è la mia città. La amo e la adoro. Mi piacciono i vicoli stretti, le realtà nascoste. Girarla con la mia vecchia bicicletta era una cosa fantastica, era, perché adesso me l’hanno rubata, mannaggia!!! Non vi dico l’età ma sono una giovane grafica a cui piace respirare la libertà, mangiare cose buone e ridere con gli amici. •
MARCO PROVINCIALI Il gatto nella foto è Pandoro, il gatto della mia infanzia, periodo in cui alla domanda «cosa vorrai fare da grande» rispondevo sempre: il paninaio! Cotto e bel paese il mio preferito, anche ora che divido il mio tempo tra FUL e la realizzazione di guide ed eventi gastronomici. •
DARIA DERAKHSHAN Classe '85, italiana di origini persiane, studi artistici e archeologici alle spalle, diplomata come grafica pubblicitaria presso la Scuola Internazionale di Comics. Sono Warhol dipendente. Adoro la moda, il cinema, la musica e ogni forma e tipo d'arte. •
NICCOLÒ BRIGHELLA Nasco il 16 giugno del 1978 in un antico paese della periferia fiorentina. Scrivo il mio primo racconto da bambino, narrando le vicende di un cucciolo di coccodrillo che, per caso e per fortuna, con l’ausilio di una stufetta e delle nevi eterne del Kilimanjaro, genera il grande fiume Nilo. Da allora, in un certo senso, non sono mai più sceso da quella esotica montagna (e mi sono innamorato di stufe e termosifoni). •
S I LV I A B R A N D I Nata a Firenze Torregalli il 28 settembre 1987 (Bilancia ascendente Sagittario), di residenza isolottiana ma scandiccese d'adozione, a 20 anni decide che ha voglia di farsi qualche giro e passa 3 anni fra Londra, l’Australia e Parigi. Adesso è a Firenze in pianta semi stabile perché nella vita non si può mai dire. Per FUL traduce gli articoli in inglese, vivendo così nella paura che gli articolisti sentano nella traduzione stravolto il significato delle loro parole e l’aspettino sotto casa. Il traduttore è un mestiere duro ma qualcuno deve pur farlo. •
REDAZIONE MOBILE .4
ANNALISA LOTTINI Pisana di nascita e fiorentina di recente adozione, arriva a FUL tramite il tip tap. Ama i libri e il loro mondo, la danza in tutte le sue forme e stare in compagnia. Lavora nell'editoria barcamenandosi tra mille passioni e impegni. Nei ritagli di tempo lavora per FUL in una attenta e faticosa caccia alla notizia e al refuso. •
J A C O P O A I A Z Z I Nasco a Fiesole alle 5:30 di mattina del 23 settembre 1985, con una mano sopra la testa e il peso di 4kg e passa. Più fastidioso di così non potevo essere. Sono nato il giorno in cui è morto Giancarlo Siani, un giovane giornalista di ventisei anni ucciso dalla camorra a Napoli. Oggi ho la sua età e ancora non ho assimilato tutte le sfumature che il giornalismo può assumere. L’unica cosa di cui sono consapevole è il desiderio di coltivare questa conoscenza. Più appassionato della scrittura in quanto tale che del giornalismo, apprezzo ogni forma di quest’arte. La cosa che più mi codifica come italiano è l’amore per la pastasciutta, con qualsiasi sugo. •
J U L I A N B I O N D I Sono nato venticinque anni fa nelle hills fiorentine, sognando di conoscere in ogni suo angolo quella città che vedevo affacciandomi dal balcone. Cresciuto, mi sono messo di impegno nel mio progetto e sono contento di dire che, nonostante il parer comune, Firenze riesce sempre a stupirmi. Sono un laureando in «Media&Giornalaio», amo leggere qualsiasi cosa e vorrei scrivere di qualsiasi cosa. Per ora non posso che definirmi: «studente per vocazione, barman per necessità e cazzeggiatore di professione». •
R I T A B A R B I E R I Fiorentina per nascita e per scelta: amo la mia città e lo stile di vita che essa offre, un mix di arte, cultura ed eventi che si rinnova sempre e non annoia mai. Sono una persona curiosa e creativa, mi piace scovare e sperimentare cose nuove e condividerle scrivendo: il miglior modo che conosco per ampliare orizzonti e prospettive. Ho una passione per le lingue, la letteratura, l’arte in genere, oltre che per la cucina e il vino. Mi piace stare a contatto con persone e ambienti di tutti i tipi: conoscere l’Altro significa infatti anche conoscere meglio sé stessi. •
La nostra redazione è in completo movimento, composta da fiorentini autentici e da coloro che hanno trovato a Firenze la loro seconda casa. La centrale operativa è nella zona Sant'Ambrogio ma l’occasione di incontri e riunioni è sempre una
J A C O P O V I S A N I «Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport.» @JacopoVisani •
R O B E RTA P O G G I Venticinque anni, fiorentina. Ho girellato un bel po' all'estero per poi tornare – almeno temporaneamente – stabile a Firenze. Amo spostarmi per conoscere situazioni diverse in prima persona, anche se ogni volta che torno a casa le stradine di Firenze mi sembrano le più belle di tutte. •
MARCO CASTELLI Fotografo, nasce scorpione nel 1991. Esattamente sedici anni prima, esce nelle sale americane Qualcuno volò sul nido del cuculo, uno degli unici tre film nella storia ad aver vinto tutti e cinque gli Oscar principali. Sa suonare dei jingle con le mani utilizzando la bocca come cassa di risonanza. Quando ha tempo, partecipa a mostre e festival di fotografia nazionali e internazionali. Vorrebbe fare il gigolò, ma si affeziona troppo. Diventerà attore o regista (o almeno così dice). •
R E N Z O R U G G I Nato ai piedi del Monte Amiata 24 anni fa. Studente di comunicazione all’Università di Firenze. Adoro scrivere, specialmente quando ho qualcosa da dire. Mi interesso di moda e costume, e amo l’artigianato in ogni sua declinazione. Per velocizzarmi, corro. Se rimane un po’ di tempo, realizzo oggetti in pelle e cuoio. •
M A R T I N A S C A P I G L I AT I Quello della Scapigliatura fu un movimento artistico e letterario sviluppatosi nell’Italia settentrionale a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Gli Scapigliati erano giovani tra i venti e i trentacinque anni, nutriti di ideali e amareggiati dalla realtà, propensi alla dissipazione delle proprie energie vitali, «… tutti amarono l’arte con geniale sfrenatezza; la vita uccise i migliori» (in introduzione, La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno 1862). Martina è nata nel 1985. Sa leggere la musica, ama scrivere e cantare, è Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza. Vive a Firenze col suo adorato Jack Russel Napoleone, di anni 8. •
MARCO FALLANI Amo il cibo, il vino e il sole, odio quasi tutto il resto. Proprio nel "bel paese", io ci trovo tutto questo. Per tre volte son scappato dalla piccola Firenze – che alla fine ho sempre amato – ma comunque torno sempre. •
GIANLUCA PARODI Nato il 13 gennaio 1986… coi piedi nell’acqua di mare e il libeccio in faccia. Una passione vera, sfrenata, carnale per la storia dell’uomo e dell’arte, l’ha portato a svolgere tutte le occupazioni possibili, tranne che quella per cui ha studiato una vita. Lavora nella moda senza capirla, mai! Innamorato dell’amore, romantico nel senso tedesco del termine, vive per raccontare. Friedrich Wilhelm Nietzsche scrisse: «L'autore ragionevole non scrive per nessun'altra posterità che per la propria, cioè per la propria vecchiaia, per potere, anche allora provar diletto di sé.» •
CHIARA MANNOCCI Gemelli gemella, sono nata a Prato 27 anni fa. Da piccola volevo fare la parrucchiera, ma dopo aver sciolto i capelli di tutte le mie Barbie ho capito che non mi sarei più fatta fregare dalle apparenze, così ho cambiato. Mi sono laureata in lingue e letterature comparate, e da poco sono diventata professoressa di inglese. Adesso insegno ai ragazzi che i capelli delle Barbie non sono veri e nel tempo libero traduco gli articoli per FUL. •
UNOTREZEROCINQUEUNO Nasco il 17. Di venerdì. Fino a 15 anni mi prendo sul serio, poi smetto. Passo la maggior parte del mio tempo in teatro, sul palcoscenico, in platea e in ufficio, a cercare un nesso convincente tra i dialoghi di Eduardo e il TFR. Vivo a Firenze da 10 anni e traslocando di casa in casa per circa 12 volte, ho imparato a conoscere tutte le vie. Anche quelle piccole, tipo Via d'Ardiglione. Nella vita avrei voluto fare la cantante, ma a 10 anni la maestra del coro mi disse TU LAGGIÙ, FAMO CHE MÒVI SOLO LA BOCCA, SENZA SÒNO. Non mi sono mai più ripresa e per questo profondo instancabile potente senso del continuo fallimento, faccio l'attrice. •
buona scusa per approfittare di una visita ai vari gestori di bar o locali che ormai da anni conosciamo. Una redazione mobile che trova nel supporto della rete il collante necessario per la realizzazione di ogni nuovo numero.
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FUL SPORT
zonAcesarini.net RACCONTARE IL CALCIO IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA
Testo di Jacopo Visani, illustrazioni di Sara Liguori
«È
un calcio malaaato» era il tormentone delle schede di Walter Fontana nel Mai Dire Gol di quasi venti anni fa. Più che il calcio di per sé in quanto sport (dal francese antico desport: diporto, divertimento, svago), a essere malato è il sistema calcio. Lo era venti anni fa, lo è adesso (vedi gli scandali Blatter e Platini) e forse – in quanto mondo dominato da enormi interessi economici – lo è sempre stato e sempre lo sarà. Anche io condivido questo sentimento e spesso penso al calcio come a una versione contemporanea del «panem et circenses» o a una versione laica dell’«oppio dei popoli» e considero il comportamento dei calciatori – dentro e fuori dal campo – non del tutto esemplare per i più piccoli che invece li ergono a idoli e modelli. Ma allora cosa spinge tantissime persone in diverse latitudini del mondo, delle più disparate estrazioni sociali, di livelli culturali diversi e di ogni età a seguirlo con una passione quasi religiosa? I ragazzi del web magazine di storytelling sul calcio Zona Cesarini nella prefazione del loro eBook natalizio ci forniscono una risposta: «Il calcio fa schifo. Ce lo sentiamo dire così spesso che a volte quasi ce ne convinciamo anche noi. Diritti tv, calcio scommesse, multinazionali che muovono miliardi e procuratori che decidono il calciomercato in base alle loro provvigioni. Nonostante tutto questo, appena parliamo di calcio gli occhi si accendono e il cuore palpita più forte. Il pallone ha un potenziale evocativo sorprendente: forse perché ci ricorda il “mondo perfetto” di quando eravamo piccoli, o il mondo migliore per cui ognuno a suo modo lotta ogni giorno. O forse perché, come spiega Hornby, “c’è sempre un’altra stagione davanti”: possiamo sempre rifarci, provare il tiro a effetto, rincorrere la persona che abbiamo lasciato andare o dire le parole che non ci uscivano di bocca. Il
pallone è un piccolo pezzo di eternità, e inseguendolo diventiamo immortali. Il calcio fa schifo. Al prossimo cinico che ve lo ripeterà, rispondete raccontando una storia». .6
E proprio con l’intento di raccontare storie sul calcio per suscitare emozioni nasce ZC. I fondatori sono tre fiorentini sulla trentina, cresciuti insieme fin da «gli anni delle immense compagnie, gli anni in motorino sempre in due» (cit.). Tutti e tre sono passati in modo più o meno tumultuoso dall’università e hanno trascorso intensi periodi di «formazione» all’estero, al termine dei quali hanno deciso di tornare a Firenze per trovare la loro strada. Leonardo ha iniziato a specializzarsi nel campo dei contenuti per il web e del marketing online. Simone ha fondato l’Associazione OFF Cinema e collabora con i più importanti festival fiorentini, come il Festival dei Popoli e il Middle East Now. Alessandro lavora nella comunicazione a 360 gradi – creazione di contenuti, social media management, addetto stampa, ecc. Nonostante tutti e tre si conoscessero già da tempo, condividessero una passione viscerale per il calcio giocato e per la Fiorentina e non fossero così estranei al medium della scrittura, l’idea di ZC nasce solo un anno fa, come vuole la migliore tradizione, davanti a numerose pinte di birra. Uniti dall’insofferenza verso una narrazione del calcio troppo spesso vittima di gossip, bulimia, superficialità, nostalgia spinta o calciomercato spicciolo, decidono di creare loro stessi un’alternativa e poche ore dopo acquistano il dominio. Da quel momento la bussola che li ha orientati è stata quella di scovare storie e personaggi che meritano di essere raccontati, approfondendo le loro vicende, descrivendoli a tutto tondo e dedicando sempre la dovuta attenzione al contesto storico e sociale. Nei racconti di ZC emergono piacevolmente sia le passioni che i vissuti personali degli autori. Come ci ricorda Alessandro, infatti: «Ogni
forma di arte è autobiografica; ecco perché nei nostri racconti c’è molto più di una storia
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di calcio: ci sono i nostri ricordi, le nostre speranze, il nostro modo di vedere il mondo. Il mio è sempre
stato molto netto, e la possibilità di esprimerlo parlando del pallone è quasi un’esperienza catartica!». E così numerosi pezzi si sono succeduti, riscuotendo gradualmente sempre più successo. Solo per citarne alcuni: Riccardo Zampagna, un calcio operaio fra acciaierie e pugni chiusi; il Magico Gonzalez, un talento sconfinato sprecato per una pigrizia atavica e la voglia di tirar tardi; il St. Pauli di Amburgo, un club cult con il suo inimitabile modello sospeso fra autogestione e ribellione; il mister Maurizio Sarri, oggi sulla bocca di tutti, ma fino a pochissimi anni fa ancora impiegato in banca; e infine Robin Friday, semplicemente il più grande calciatore che – ahinoi – non abbiamo mai visto! Il primo anno di attività è stato festeggiato con 15.000 fan sulla pagina Facebook, un migliaio di followers su Twitter, una media di 1.500 utenti unici al giorno sul sito, più di 1.000 download in una settimana per il loro primo eBook. I seguaci sui social e gli accessi al sito sono numerosissimi. Ma soprattutto, al di là dei freddi numeri, il trio dei fondatori adesso è accompagnato da un’illustratrice e da altri nove redattori sparsi in tutta l’Italia mentre la passione dei lettori e la loro interazione attiva cresce giorno dopo giorno. Gli ingredienti distintivi della ricetta di ZC sono fondamentalmente tre:
la genuinità dei racconti, la capacità di alternare storie del passato con l’attualità e, appunto, la grande partecipazione del «pubblico» nel suggerire
storie, raccontare aneddoti e correggere errori. La scorsa estate, il nucleo fiorentino di ZC ha anche curato tre serate dell’OFF Cinema – la rassegna di cinema indipendente sotto le stelle all’OFF Bar – proponendo sia proiezioni a tema calcistico che introduzioni e dibattiti con registi e giornalisti. Siamo sicuri che stanno già lavorando ad altre idee per la dimensione offline. Tutti noi abbiamo incontrato le storie quando eravamo piccoli e queste ci hanno preso per mano, accompagnandoci nel cammino della nostra crescita. Una volta cresciuti rimaniamo comunque felici vittime del loro fascino. I ragazzi di ZC ci dimostrano che è possibile parlare di calcio – ma anche di altro – facendo emozionare anche il suo più critico detrattore perché non potrà fare a meno di ricordarsi di quando entrò per la prima volta allo stadio, o dell’ultima volta che ha preso a calci un pallone. E se alla fine ci ringrazierà, ci sentiremo felici come loro dopo questo primo anno di storie. Vi invitiamo a visitare ZonaCesarini.net per verificare di persona! •
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ENGLISH VERSION>>>>
It’s not football itself, it’s the football system. It’s sick. It’s always been and it’ll always be. So why so many people love it and follow it? The guys from the football storytelling webmagazine Zona Cesarini tried to give an explanation in their Christmas eBook: «Football sucks. Tv rights, bets, multinational corporations, an immeasurable amount of money, corrupted football transfer market. We all know that. But despite all this, we love it. Probably because of its evocative potential: it reminds us of the “perfect world” of our childhood. Or, as Hornby says “there’s always another season ahead”: we can always do over, try the perfect shot, run after someone we lost on the way or say those words we couldn’t say before. Football is a small piece of eternity, we become immortal by chasing it. Football sucks». Zona Cesarini tells stories about football. The three founders are in their thirties and live in Florence: Leonardo, Simone and Alessandro. They’ve been friends for ages, but came up with this idea only about a year ago. United by a deep passion for football and Fiorentina but fed up by the usual football reports full of gossip and shallowness, the three decided to create an alternative: finding out interesting stories and people, then write about them. In Zona Cesarini‘s stories we can also easily spot the authors’ passions and life – as Alessandro explain «every art form is autobiographic: there are our memories, our hopes, our point of view. Mine has always been quite sharp, and having the chance to express it through football’s stories is almost a cathartic experience!». And so many articles came out and every day the number of readers increased. Their first year of activity was celebrated with 15.000 like on their Facebook page, a thousand of followers on Twitter, an average of 1.500 users every day, more the 1.000 downloads in a week for their first eBook. They now have an illustrator and nine editors all over Italy. Zona Cesarini’s most important ingredients are three: truthful articles, the capacity of combining stories from the past with recent events, and a great participation of their readers who suggest new stories and also correct mistakes. Check out their website! ZonaCesarini.net •
FUL BUSINESS
LEGO SERIOUS PLAY
®
quando il gioco fa la differenza Testo di Jacopo Aiazzi, foto di Romano Del Fiacco
C
hiunque nell’infanzia o nell’adolescenza avrà giocato con il LEGO, celebre gioco di costruzioni basato su mattoncini colorati e pura creatività umana. Secondo la classifica dei giocattoli più richiesti dai bambini nel 2015 pubblicata da Vanity Fair, oltre agli onnipresenti videogiochi, Skylanders SuperChargers e le bambole Evie Descendants, al primo posto si piazzano sempre e comunque i mattoncini colorati. Un gioco talmente creativo da aver superato i confini dell’età e del suo più naturale utilizzo. Infatti, già da diversi anni alcuni artisti utilizzano le costruzioni in miniatura nei loro interventi di street art per ricoprire buche stradali e crepe di palazzi, riqualificando e donando colore a piccoli spazi. I mattoncini LEGO ultimamente si stanno spingendo oltre, diventando strumenti per ideare nuovi modelli collaborativi e facilitare gli adulti nella risoluzione dei loro problemi. Il sistema nasce all’interno della Lego Serious Play®, l’azienda danese che negli anni Novanta ha ideato un modello per agevolare i propri processi decisionali. Per capire meglio questo sistema abbiamo parlato con Carlo Spellucci, esperto di Lean Six Sigma & Innovation e Facilitatore Certificato nel metodo LSP. Ciao Carlo, perché i mattoncini LEGO sarebbero utili per elaborare una buona strategia d’impresa? «Praticamente tutti i giorni – in organizzazioni di qualsiasi natura e dimensione – le persone sono chiamate a confrontarsi su tematiche più o meno complesse, quali elaborare un piano di azione, discutere progetti, negoziare risorse, definire priorità, ecc. Nella stragrande maggioranza dei casi questi meeting avvengono attraverso l’utilizzo di presentazioni frontali, elaborate da chi è il proprietario dell’agenda e condite con tante, troppe parole. Anche quando si utilizzano tecniche più sofisticate con utilizzo di video emozionali, brainstorming tramite post-it, ed esercizi di gruppo più o meno innovativi, quasi sempre questi meeting 9.
(1) qualsiasi cosa tu voglia dire, deve essere rappresentata nel tuo modello LEGO. Se non è nel modello, non lo hai detto e non potrai dirlo finchè non sarà nel modello. (2) Fidati delle tue mani. Quando la domanda è sufficientemente poco risultano del tipo 20-80, ovvero il 20% delle persone occupa l’80% del tempo. LEGO
Serious Play® (LSP) è un metodo senza contenuto, progettato per poter approfondire in gruppo qualsiasi argomento seguendo un processo semplice ma rigoroso e, proprio per questo, estremamente efficace. LSP aiuta un gruppo di lavoro a raggiungere un risultato migliore in termini di approfondimento, comprensione reciproca e coinvolgimento emotivo rispetto ad altri metodi tradizionali. Tutto ciò avviene, ovviamente, tramite l’utilizzo dei mattoncini. Per spiegare il metodo organizzate gruppi di lavoro in cui i partecipanti devono rispondere a un quesito o risolvere un problema utilizzando i LEGO. Puoi spiegarci come funziona? «Gli elementi necessari sono: un gruppo di persone con un obiettivo da raggiungere, un facilitatore esperto, un piano del workshop strutturato con le giuste domande, un buon numero di mattoncini LEGO per assicurare un elevato potenziale “metaforico”, una sala di dimensioni adeguate. Ricordiamo due tra le poche regole fondamentali:
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chiara da metterti in difficoltà, lasciati guidare dalle mani e comincia a costruire qualcosa. Il significato emergerà successivamente. Il workshop avviene attraverso l’iterazione di domanda, costruzione individuale, condivisione, riflessione. Al facilitatore spetta il compito di distribuire il tempo in modo che tutti abbiano occasione di presentare il proprio modello, e fare le giuste domande di approfondimento affinché emergano significati profondi. Il flusso è quindi costruito in modo da rendere il workshop un vero 100-100, ovvero: tutti partecipano, per tutto il tempo». A Firenze avete mai organizzato un workshop? A pochi giorni dalla fine del corso di facilitatore, ho tenuto il mio primo workshop LSP proprio a Firenze. Ho verificato di persona quanto sia efficace il metodo supportando un gruppo di persone nel definire la strategia a 5 anni della loro organizzazione, e da lì ho cominciato a cercare altre occasioni per metterlo in pratica. Dopo Firenze, ho organizzato sessioni a Roma, Madrid, Londra e a breve sarò a Francoforte e poi ad Amsterdam. I contesti in cui ho avuto occasione di sperimentarlo sono i più diversi: associazioni no profit, gruppi di studenti universitari, un hackaton sugli Open Data della Regione Lazio (che abbiamo vinto), una grande azienda multinazionale. In termini di età, ho coinvolto persone dai 9 ai 74 anni. Tornando a Firenze, a breve daremo vita a una serie di workshop di prova aperti a tutti, a numero chiuso. Sceglieremo dei temi d’interesse generale d’accordo con i partecipanti. Pensiamo di organizzarne uno già entro marzo. •
ENGLISH VERSION>>>>
Everyone in his childhood played with LEGO. According to a chart of the most wished toys of 2015 published on Vanity Fair, LEGO are always at the first place. Recently the little bricks are moving forward since they’re becoming instruments to create new collaborations and to help adults to solve their problems. This system has been developed inside LEGO Serious Play®, the Danish enterprise that created a model to facilitate the decision making process in the ‘90s. In order to better understand this system we have talked to Carlo Spellucci, Lean Six Sigma & Innovation expert and LSP Certificated Facilitator. Hi Carlo, in which way are LEGO bricks useful to elaborate an enterprise strategy? Everyday people are asked to confront with complex issues such as elaborating an action plan, discussing projects, negotiate resources, etc. In most cases these meetings take place by frontal exchanges and are filled with too many words. LEGO Serious Play® (LSP) is a method without content. It’s designed to deal with any issue in a group of people, following a simple, rigorous and thus highly efficient process. LSP helps a work-group to reach a better result in terms of detailed study, understanding, mutual knowledge, and emotional involvement compared to more traditional methods. People are asked some questions that must be answered using the bricks. Can you explain to FUL how LSP works? You need: a group of people with a goal to reach, an expert facilitator, a well structured workshop plan, a large number of bricks (for a higher metaphorical
potential), and a room of adequate dimensions. There are two main rules: 1) everything you want to say must be represented through your LEGO model. If it’s not in the model, you didn’t say it and you can’t say it until it is in the model. 2) Trust your hands. When the question is not very clear, just let your hands do the work and start building something. The meaning will emerge by itself. The workshop occurs through the repetition of a question, individual building, sharing, and reflexion. The facilitator must check the time so that everyone has the chance of presenting his own model and ask the right follow-up questions in order to make the deep meanings emerge. Have you ever organized a workshop in Florence? Yes, I organized my first LSP workshop in Florence, right after the end of my course as facilitator. I supported a group of people who wanted to define their strategy after 5 years from their formation. Thanks to this workshop I could test how valid the LSP method is and sought other opportunities to implement it. After Florence, I organized sessions in Rome, Madrid, London and soon I will go to Frankfurt and Amsterdam. The contexts in which I pui it into practice were very different: a no profit organization, groups of university students, an hackathon on Open Data organized by the Lazio Region (that we won), a big multinational corporation. In terms of age, I engaged people from 9 to 74 years old. Going back to Florence, soon I will coordinate a series of workshops on themes of general interest. They will be open to everyone but with a limited number of participants. The first one will be held in March. If you are curious or wants information on the workshops that will be held in Florence, contact: carlospellucci@gmail.com.
Per saperne di più sul metodo consigliamo di leggere il libro Building a Better Business Using the Lego Serious Play Method di Peter Kristiansen e Robert Rasmussen (2014). Se siete incuriositi dal metodo LSP e volete avere informazioni sul ciclo di workshop che si terranno a Firenze, contattate: carlospellucci@gmail.com
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CON.TEMPO LIBRI
LA FIRENZE NERA DI MARCO VICHI
Racconti Neri di Marco Vichi | Guanda Editore, 2013, €18,00 | Testo di Carlo Benedetti / con.tempo
I
mmaginare Firenze attraverso i Racconti Neri di Marco Vichi dà le vertigini. Sembra di vedere due città in una. Da una parte i viali alberati, le colline di Fiesole, la campagna appena fuori le mura. Dall’altra il carcere, il centro asfissiante, le stanze fumose dell’ormai ex tribunale. La città, come i personaggi di questi 13 racconti, si divide in due. Da una parte chi porta la legge, poliziotti, magistrati con belle macchine e ville in collina; dall’altra chi la subisce, maniaci, assassini disperati, spesso schiacciati da un mondo molto più complicato di quello che si aspettavano. Perché la Firenze che incontriamo qui, non è quella sognata dai turisti, ma quella, molto più reale, di chi in città ci vive tutto l’anno: con l’asfalto sciolto dall’afa in agosto e con le piogge fredde di un dicembre quasi natalizio. Non tutti i racconti sono fiorentini, incontriamo Roma, la Toscana con la sua campagna fatta di torri duecentesche, ma Firenze è lo scenario che, più di altri, sembra essere il punto dal quale si misurano tutte le distanze. Quelle che da Firenze si allontanano e quelle che sembrano scendere verso il centro oscuro della città: le cascine della prostituzione anni ’80, i vicoli scuri e annegati dall’alcool di un Oltrarno troppo simile alla cronaca di qualche settimana fa. Quasi tutte le storie sono piccoli congegni a orologeria che
ci aspettano, verso il finale, per sorprenderci con un colpo di scena ben assestato, mai stravagante. Ma, ancora più spesso, è la spirale verso il basso che Vichi sa costruire con il suo narrare suadente che cattura il lettore fino alla fine. E trasforma gli angoli usuali di Firenze in isole cariche di mistero: una vecchia trattoria in viale dei Mille, la salita di viale San Domenico, diventano per un attimo testimoni dell’assurdo. Ottavo libro di Vichi, conosciuto soprattutto per le avventure del commissario Bordelli, Racconti Neri è una raccolta di racconti al cui centro c’ è sempre un’incrinatura, una diversità rispetto all’ortodossia soffocante di una città, quando non di una famiglia, provinciale, chiusa, da tinello, che è spaventata e attratta dal sesso, dalle droghe e con un senso di colpa difficile da espiare. Vichi parte da storie al limite per parlarci di tutta una città e di come sia, forse irrimediabilmente, in ritardo, spaventata dallo scoprirsi per quello che è davvero. Sono racconti da non leggere a notte fonda o almeno non da soli. Non tanto per il contenuto (ci sono forse solo un paio di scene davvero difficili), ma piuttosto per quello che potrebbero farvi scoprire di voi stessi: che non siete così buoni come credevate, che in ogni città, c’ è un lato nero da cui non è facile stare lontani. •
con.tempo è una rivista di narrativa breve inedita. Nata a Firenze, pubblica autori esordienti da tutta Italia, scommettendo tutto sull’attenzione maniacale per il testo, l’editing, la riscrittura. Ogni numero esce in 999 copie numerate e in distribuzione gratuita con illustrazioni originali di giovani artisti e designer. Ogni uscita ha un tema comune che la trasforma in una piccola antologia. Se vi piace l’idea e voleste partecipare o per sostenere il progetto, visitate il sito www.contempo.cc.
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FUL VERDE
G l'orto urbano di borgo pinti Testo di Martina Scapigliati, foto di Orti Dipinti
iacomo Salizzoni: fiorentino con una passione per il verde, che è riuscito a trasformare in professione: da urban farmer a conduttore della trasmissione televisiva Pazzo per le erbe, in onda sul canale La Effe. Fondatore responsabile di Orti Dipinti, il primo community garden di Firenze: «un luogo dove la terra è di nessuno, ma il lavoro per coltivarla è di tutti, così come il suo raccolto». Nel numero 3 di FUL parlavamo con lui di guerrilla gardening. Adesso sono passati quattro anni e siamo tornati a trovarlo per farci raccontare cosa è successo in questo tempo. Era l’inizio del 2012 e allora avevi in progetto di dar nuovo valore e vita al grande spazio cementato, abbandonato e luminoso in uso all’Istituto Barberi in Borgo Pinti. Oggi il tuo progetto ha un nome: Orti Dipinti. «Your dream job doesn’t exist… you must create it!»: raccontaci perché hai scelto una vita green, in cosa consiste Orti Dipinti e come è stato realizzato. La vita green oggi rappresenta un nuovo valore che tutti dovremmo perseguire. Sostenibilità, sana alimentazione, riduzione degli sprechi, riciclo e riuso fanno parte di questo termine che ha sempre più declinazioni. Personalmente adoro vedere i semi germogliare e prendermi cura delle piante che crescono. L’idea di poterle mangiare, controllando tutti gli elementi che contribuiscono alla loro crescita sana e rigogliosa, continua ad affascinarmi e trovo molte correlazioni metaforiche con la vita in generale. Non riesco a immaginare il mio futuro senza, continuo la ricerca incessantemente, sia nelle tecniche più produttive di coltivazione, che nella scoperta di nuovi ortaggi da coltivare. Questi ultimi sono spesso varietà antiche o dimenticate per via dello sviluppo agricolo “moderno”, che ha sempre privilegiato cultivar più idonei alla produzione industriale, quindi più resistenti, “belli” e produttivi ma anche meno sani e gustosi. Da architetto ho sempre ammirato chi è in grado di progettare gli spazi trasformando luoghi abbandonati o trascurati in qualcosa di attraente e adatto alle nuove funzioni che dovevano svolgere. Orti Dipinti è un esperimento felicemente riuscito che ha tramutato una vecchia pista di atleti-
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ca abbandonata in un
orto urbano che io amo definire 2.0, cioè uno spazio dove oltre agli ortaggi e ai frutti, si coltivano anche relazioni sociali e scambi di conoscenze. Mi piace considerarlo come un laboratorio a cielo aper-
to, ispirato ai famosi laboratori fiorentini del Rinascimento, dove la contaminazione tra le varie arti espressive era parte integrante. Per realizzare questi orti c’ è voluto molto tempo e denaro. Una volta scovata la pista grazie a Google Maps, convinti i fruitori (la cooperativa Barberi, che si occupa di attività ricreative per ragazzi con difficoltà) e l’amministrazione comunale che ne è proprietaria, ho creato un progetto architettonico che è ancora in evoluzione e con esso ho iniziato a bussare a porte di privati, enti, aziende, associazioni e di chiunque altro potesse contribuire in un modo o nell’altro alla sua nascita e al suo sviluppo. Ci sono voluti tre anni, dal 2010 al 2013, per inaugurarlo alla presenza dell’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Oggi la ricerca di fondi continua, per potere dotare lo spazio di nuove strutture e strumenti in grado di migliorare i servizi educativi che vogliamo offrire a cittadini e studenti. Quali sono le parole-chiave che vigono agli Orti Dipinti? .14
Crescita, scambio, qualità. Ma anche sostenibilità, relazioni umane e apprendimento. Quali attività/eventi si svolgono agli Orti Dipinti? Sono molto partecipate? Da chi? Negli scorsi due anni abbiamo sperimentato diverse attività che hanno in comune le parole chiave sopra citate. Finora ci sono state feste di compleanno per bambini, lezioni di orticultura a studenti americani, brunch, pranzi, merende e aperitivi che accompagnavano altri piccoli eventi collaterali come presentazioni di libri o piccole conferenze. Abbiamo ospitato diversi laboratori per creare infusi, sali aromatici, degustazioni di olio o vino. Altre volte sono venuti gruppi di bikers, di yoga, di Tai Chi, di massaggi orientali. Là dove si parla o sperimenta l’alimentazione sana, il benessere in generale, la “convivialità di paese” o la salute in generale... Orti Dipinti può essere un luogo perfetto. In cambio chiediamo un’offerta che ci permette di rendere più sostenibile lo sviluppo del progetto, che ha l’ambizione di crescere ancora molto e diventare un punto di riferimento non più solo nazionale, ma anche mondiale. La partecipazione ci ha stupito per la qualità delle persone coinvolte, per il loro entusiasmo e la loro eterogeneità: è difficile definire quali sono i principali partecipanti perché variano in età, classe sociale e nazionalità. Tutti possono partecipare, e intendo proprio tutti! Dipende
chiaramente solo dal tipo di attività che vengono svolte. Il giardinaggio è un’arte capace di trasmettere valori a coloro che la coltivano. Di ciò che ricevono dalla natura cosa restituiscono al mondo i giardinieri? Credo che ogni giardiniere abbia la propria visione del giardinaggio e dei valori a esso connessi. Questo è sicuramente un bene, perché ognuno di loro offre sempre spunti nuovi a cui ispirarsi. Tuttavia ci sono dei valori comuni che li portano ad amare le piante e la natura e a volere ritagliare, soprattutto nei centri urbani, piccole oasi di pace e armonia naturale. Viviamo in un’epoca che ha visto la città strappare terra alla natura, cementificando spazi che un tempo ospitavano prati, alberi e ambienti incontaminati. In un certo senso la missione dei giardinieri è quella di riportare, a volte anche solo simbolicamente, la vita lì dove è stata sottratta da un urbanesimo cieco e insensibile. Come descriveresti la comunità che sei riuscito a creare? Eterogenea e in continua evoluzione. Ogni partecipante dà un proprio contributo che dipende dalla sua personale aspettativa, sempre unica. Il mio compito è riuscire a incrociare queste aspettative con le necessità degli orti, seguendo un disegno che li vuole vedere crescere e sviluppare, proprio come un albero. Non è possibile descrivere l’arricchimento che tutte le persone incontrate finora sono state in grado di offrire... sono molto fiducioso che questo scambio continuerà e sono pronto ad assorbire questa ricchezza per poterla restituire alla
comunità nelle più svariate forme. Qual è stata la scoperta più toccante che hai fatto lavorando in una community green? Probabilmente quella di aver realizzato quanto è importante un progetto di questo tipo, non solo per la città, ma anche per potere ispirare altre realtà a seguire l’esempio e riscattare la natura in contesti urbani. Qual è la tua più grande soddisfazione? Il fatto di aver potuto conoscere persone e personalità splendide, con un intervento tutto sommato semplice, mi ha sorpreso. Non credevo davvero di ottenere così tanta attenzione con questo progetto. È stato tuttavia anche molto complesso e questo mi porta a pensare che si possa davvero fare qualunque cosa nelle nostre città. Sembra una banalità, ma basta volerlo intensamente. Collaborare con le istituzioni, fare politica, trovare fondi, coinvolgere tante persone... tutto ciò, visto a posteriori, dà e continua a dare grandi soddisfazioni. Completa queste frasi: «i community gardeners sono bravi a... creare oasi verdi e sociali in deserti di cemento»; «i community gardeners si chiedono se... le istituzioni pubbliche capiranno il loro valore e li aiuteranno, per davvero»; «i community gardeners sperano di... continuare a creare nuovi modelli di socialità, informazione e formazione, sia personale che professionale». Per maggiori informazioni: www.ortidipinti.it. •
ENGLISH VERSION>>>> Giacomo Salizzoni definitely has got the green thumb. He is the founder and manager of Orti Dipinti, the first community garden in Florence and the host of a tv show on LaEffe channel called Pazzo per le erbe (Crazy for the herbs, ndt). Tell us why you chose a green lifestyle, what Orti Dipinti is and how it was realized. I love taking care of seeds and see them growing. I can’t imagine my future without plants and I keep doing research on new plantation techniques and vegetable species. As an architect I’ve always admired those who manage to turn abandoned and shabby places into something new and attractive. Orti Dipinti is a successful experiment which turned an abandoned racetrack into a urban vegetable garden. It took time and money to realize all this. I found the place on Google Maps, convinced the end-users (Cooperativa Barberi) and municipal administration who owns it, created an architectural project (still in progress) and started to involve private citizens, associations, institutions and whoever else could contribute to this project. It took me three years to inaugurate Orti Dipinti with Matteo Renzi, who at the time was still the mayor of Florence. Which are the key-words for Orti Dipinti? Growth, exchange, quality. And also sustainability, human relationships and learning. What kind of activities take place at Orti Dipinti? Who gets involved the most? Up until now we’ve had children birthday parties, horticulture classes for American students, brunches, lunches, happy hours and events like book launches or small conferences. We host laboratories as well as yoga, tai chi, oriental massage classes. Everyone may come and take part. It depends on what kind of activity is taking place. Gardeners receive something from nature but what do they give back to the world? There are some common values among gardeners: they aim to create small oasis of peace and harmony, especially in urban centers. I’d say the mission of gardeners is to bring back (even just in a symbolic way) life into the blind and numb urbanization. How would you describe the community you managed to create? Heterogeneous and in constant evolution. Everyone involved contributes to its change. My task is to coordinate the people’s expectations with the gardens’ needs. What is your biggest satisfaction? Having had the chance to meet extraordinary people. It was quite a complex project but now I think that we can actually do everything in our cities. It may sound banal, but it is just a matter of will. Cooperating with institutions, make politics, finding funds, involving people… • 15.
FUL MUSICA
NOTHING FOR BREAKFAST
I
IL SONGWRITING, L'INDIE E L'ELETTRONICA, STORIA DI UNA CONVIVENZA RIUSCITA NEL NUOVO ALBUM PLACE Testo di Niccolò Brighella, foto di Nothing For Breakfast
l 20 novembre è uscito Place, album di debutto di una band che ha colpito la nostra curiosità per il nome geniale che hanno scelto, e non solo. I Nothing For Breakfast sono una nuova formazione fiorentina, composta però da veterani della scena underground cittadina e nazionale. Prima di tutto i due fondatori: Jonathan Shackleford, talentuosa chitarra e voce coinvolgente, e Samuele Cangi, ai sinth, direttamente dai Passogigante, che porta con sé il retaggio di quella scena punk così formativa per tanti di noi. «Sono cresciuto nella scena punk fiorentina, si fa presto a non dimenticarla e a rimanerci attaccati nonostante tutta la musica che ho mangiato. Trattasi di un modo di vivere. Avevo un pezzo scritto per caso, senza pretese. L’ho registrato con Jonathan alla voce e lì è iniziato tutto. Non ci rendevamo troppo conto di quello che sarebbe successo poi». Nella band anche Francesco Cangi, già trombonista di Yes We Jam!, al basso, cori e sinth, e Marco Calì alla batteria. Il tratto caratteristico del sound di Place è la fusione del più genuino indie rock con una solida struttura elettronica e una voce che alterna registri lirici e ritmici a seconda del testo. L’armonia è sempre finalizzata alla comunicazione di un si-
pria, più intima, interiorità rendono i testi uno dei cavalli di battaglia della band: «I
Nothing For Breakfast nascono da una personalissima voglia di tornare a quello che mi ha fatto innamorare della musica, il songwriting» ci ha detto Samuele. Se le parole sono il cuore di Place, la sezione elettronica dei sinth ne è il battito. Mai subalterno o mera rifinitura, neppure semplice supporto ritmico, il sinth dei Nothing For Breakfast dialoga con gli strumenti tradizionali come protagonista, senza prevaricarli né segregarsi ai margini del sound. Questa equilibrata fusione tra indie ed elettronica, tratto oramai visibile dell’evoluzione musicale contemporanea, strizza l’occhio al beatmaking come al pop, ma sempre con umorismo. La band infatti riesce a scivolare in sonorità accessibili senza però svendersi, muovendosi con intelligenza tra generi e sensibilità diverse, come in Breakdown, oppure in Whatever, dove l’apertura gioca con la micromusic sulla quale la voce si stende come un velo riflessivo e raffinato. Il sound di Place segue una strada intrigante e piena di promesse, perché: «Stare
al passo coi tempi non è una tendenza, sapienza tecnica e ma è vivere sapendo quello che ti accade il sincero desiderio di esprimere la pro- intorno. Le chitarre non bastavano più. È stato il mitico gnificato intessuto di parole. La
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Marco Olivi (produttore artistico e mix engineer del disco) a darci una bella rinfrescata in una calda notte di luglio. Da lì in poi solo grandi scoperte.
Se fai sempre quello che sai già fare non impari mai. Ecco, Place è un rischio che ci siamo presi».
Il disco suona sin dal primo brano, Desert Sun (personalmente il mio preferito), come un invito per chi ascolta, ma anche per chi quel sound lo ha appassionatamente prodotto, a proseguire oltre la prossima svolta, perché nell’aria si sente già l’evoluzione futura e, forse, definitiva della band. Dopo Place, il live di presentazione al Glue, e le molte collaborazioni, come il video di Castles Fall (un altro brano del disco) girato dal regista Ivo Krankowski in una Polonia sospesa, onirica, patinata, i Nothing For Breakfast vorrebbero sbarcare negli Stati Uniti, come ci ha detto Samuele: «Un sogno che voglio realizzare: gli States e la vita dei grandi festival. Non provarci sarebbe un suicidio per me. Comunque vada, questa dei NFB sarà stata un’esperienza lisergica». Noi invece, visto un simile esordio, attendiamo curiosi il prossimo album e il prossimo live a Firenze. •
ENGLISH VERSION>>>>
Place is the debut album of a band that has struck our attention – and not simply for its name. The Nothing For Breakfast are Florentine musicians with previous experience in other bands: the two founders, Jonathan Shackleford – talented guitar and captivating voice – and Samuele Cangi – synth with a punk background, come directly from Passogigante. «I’ve grown up in the Florentine punk scene. It’s impossible to forget it or to detach from it. It’s a lifestyle. I wrote a song without any claim and I recorded it with Jonathan as singer. Everything originated from that very moment. We didn’t realize what was going to happen after», said Samuele. There are also Francesco Cangi – trumpet player in Yes We Jam!, bass, choir and synth, and Marco Calì as drummer. The characteristics of their sound are the fusion of the most genuine indie rock with a solid electronic structure and a voice that is both lyric and rhythmic, according to the text. The harmony is always focused in expressing the meaning. The technical know how and the sincere desire to express their most intimate feelings make the lyrics the forte of the band. «Nothing For Breakfast were born from my personal
cover by Leonardoworx
desire to come back to what made me fall in love with music and songwriting», said Samuele. If words are the heart of Place, the electronic sessions of the synth are the beat. This fusion between indie and electronic music winks to the beatmaking and pop, but with humour. The sound of Place follows an intriguing path full of promises. «Keeping up with the times is not trendy, it's living aware of what happens around you. Guitars were not enough. Marco Olivi – artistic producer and mix engineer of the album – gave us a good lecture in a hot night of July. From then on we made only big discoveries. If you always do what you already know, you’ll never learn. Place is indeed a risk that we have taken», said Samuele. The album is an invitation to the audience since the very first track, Desert Sun. After the live at Glue and the great number of collaborations (like the video of Castles Fall, a track of the album, recorded by the director Ivo Krankowski in Poland), the Nothing For Breakfast would like to land in the United States. We, instead, are waiting curious for the next album and live in Florence. •
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FUL ARTE
JAMESBOY MATERIA ORGANICA IN EVOLUZIONE Testo di Roberta Poggi, foto di Jamesboy
È
un non-artista e curatore con base a Firenze. Dipinge i muri per puro bisogno e per questo non necessita di una particolare definizione. Ciò che conta è che è uno di quelli che si danno da fare nelle notti fiorentine per regalarci di giorno un museo a cielo aperto nelle strade della città. Jamesboy inizia a dipingere in strada nel 2002, guardando un amico di cui ricorda con una specie di ammirazione il nome, Taylor, le sue scritte, le firme. È stata la fluidità del corsivo, delle lettere che si muovevano sui muri in modo caotico ma allo stesso tempo elegante, che gli ha dato il primo input. Il mondo della street art non lo ha mai assorbito più di tanto, è sempre riuscito a prendere solo ciò che gli serviva per i suoi lavori, come la musica e l’arte dei graffiti. Ha iniziato a sperimentare lettering, throw-ups e anche qualche pezzo, munito di qualsiasi materiale potesse lasciare il segno su un muro, gessetti, liquido per lucidare le scarpe, carbone ottenuto da legni bruciati... persino l’olio delle macchine a volte.
Tutto ai suoi occhi diventava materia prima per dipingere e firmare. Muri a volontà e poca gente in giro di sera: non poteva desiderare di più.
Ma con il trasferimento a Siena le cose cambiano e inizia la fase, ancora in corso, in cui approdare in un luogo completamente spoglio di vitalità artistica urbana diventa una sfida per far nascere qualcosa. La noia a volte è utile, ci costringe a creare. Non riuscendo a trovare quel senso di calma che gli dava dipingere nel silenzio della notte, inizia allora a dedicarsi alla grafica e alle illustrazioni, a lavori in studio più strutturati, dando vita a un personaggio il cui nome rappresenta oggi tutto l’insieme del suo lavoro. Sì, è proprio così che è nato Jamesboy, alle origini nient’altro che un cartoon, ma presto prende una diversa direzione, .18
tanta è la voglia del suo ideatore di vederlo in strada. E nel futuro, chissà cosa diventerà. Nessuno
dei suoi lavori ha un inizio o una fine ben definibili, sono puro movimento, nascono per lo più da incontri casuali o chiacchierate con gli amici, e si sviluppano in mille sfumature diverse, saltellando
da un significato all’altro e invadendo le menti dei passanti che spesso ne traggono significati mai pensati da Jamesboy stesso, a volte davvero originali. Le maschere, ad esempio, semplici ma di impatto (da bombing, come dice lui), con i bordi sempre più sfumati e trasparenti, labili, come per mancanza di materia organica o come se fossero una specie di spirito, un velo trasparente che ci copre o uno scudo che ci protegge. Ognuno di noi ne porta una, più o meno visibile: quelle di Jamesboy si nascondono nel contesto urbano, disegnate per essere scorte e intraviste, secondo la loro natura. Sono approdate persino su alcuni cartelloni pubblicitari della città: anche lo spam pubblicitario estremo a cui siamo sottoposti quotidianamente tende a mascherare qualcosa, sotto sotto si può spesso presumere l’esistenza di altro. Tutto è in divenire, come il progetto diventasanto nato dall’icona «più pop e commerciale che esista», tanto che la risposta sull’origine dell’idea inizia con una sonora risata. Di inventato non c’ è proprio niente, viene solo rielaborato un elemento di decorazione (l’aureola e le ali) che diviene un gioco, anche qui nato in modo del tutto causale – dopo aver notato alcuni ragazzi che ci giocavano e si scattavano delle foto. Di fatto il progetto non è nemmeno l’aureola in sé: come avrete capito la staticità non fa parte del vocabolario di Jamesboy. L’idea è più dinamica e coinvolgente: dall’aureola si passa all’insieme aureola-persone-città. Non si tratta più di un muro e di un pezzo, ma del movimento tra muro, persone e pezzo. «La soddisfazione più grande è riuscire a rubare quei pochi secondi della vita
Il tempo è fondamentale, e pensare che le persone ne usano un po’ per guardare e giocare con i miei lavori non può che riempirmi di gioia». di qualcuno.
Ma il dialogo con lo spazio urbano prosegue anche nella scelta dei materiali. Come le sculture Boske, realizzate con rami, pezzi di cartone e altre cose trovate a giro (la cui fragilità le reclude purtroppo allo studio), o le maschere-totem (Masks on Urban Degradation), sculture di varie dimensioni realizzate con materiale riciclato. Trovare cose gettate e dimenticate dalle persone è per Jamesboy l’occasione di ridare loro vita, riciclandole e dando valore persino alla spazzatura, tanto che capita spesso che qualcuno se le porti pure a casa. Riuso e riciclo: tutto può diventare qualcosa, qualsiasi tipo di materia organica si evolve e muta in forme diverse, che sia un pezzo di carta, un cassonetto o un materasso. Sì, avete capito bene. Anche i materassi gettati in strada in attesa del camioncino del Quadrifoglio diventano un valido supporto per dipingere. «E la cosa positiva è che un materasso chi se lo porta a casa?». Si evita così che le persone si approprino di qualcosa che nasce per lo spazio urbano, museo a cielo aperto alla portata di tutti, e non mercato in cui scegliere il prossimo arredo per il salottino appena rinnovato. I progetti sono tanti: Renaissance is Over, Mostri urbani, disegni onirici come la Cosa, Canela y Miel (in mostra fino a metà febbraio al Pop Café e al Teatro Verdi, ma la vera sfida resta quella di coinvolgere e portare artisti nuovi a dipingere a Firenze, «perché per evolverci abbiamo assolutamente bisogno di vedere qualcosa di nuovo». • 19.
ENGLISH VERSION>>>>
He is a non-artist and a curator who operates in Florence. Jamesboy paints walls for his own need and he is one of those who’s giving us an open air museum in Florence. He started painting on the streets in 2002, looking at a friend called Taylor. His lettering, writings and tags were an inspiration for Jamesboy. The world of street art has never absorbed him a lot, in fact he took only what mattered for his works, like music and the art of graffiti. He started experimenting lettering and throw-ups equipped with whatever instrument could leave a sign on the walls: small pieces of chalk, shoes polish, coal and also motor oil. Under his sight everything becomes raw material to paint and to sign. But after he moves to Siena things start changing. This new place without vitality becomes a challenge for creating something from scratch. In this new boring reality Jamesboy is able to find a new inspiration – since we all know that boredom is sometimes very inspiring – and so he starts dedicating to graphics and illustrations: to more structured works. He gives life to a character whose name represents, today, his entire production. At the beginning Jamesboy was a cartoon but soon after it took another direction. None of his works have a defined starting point or a precise end; they are pure movement. They develop from casual meetings or conversations with friends. The ideas take thousands of different shades and embrace a lot of different meanings. The masks, for example, are simple but with a very strong impact. Their blended and transparent borders look like spirits, a transparent veil that covers us or a shield that protects us. You can find them hidden in the urban context; they have landed even in some advertisements of the city. Everything in his production is dynamic, as for the project diventasanto born from «the most commercial and pop icon» in the world. He didn’t invent anything; he simply elaborated a decorative element (halo and wings) and now it’s a sort of game. This idea was born by chance after he saw some boys who played with his works and took some photos. The work is not the halo itself, it is more complex: the halo is both that of people and of the city. It creates a sort of movement between wall, people and work. «The biggest satisfaction is succeeding in stealing seconds of people's life. Time is fundamental and it makes me very happy that someone uses it to watch my works». The dialogue with the urban space is clear also in the choice of the materials, like for Boske’s sculptures built with branches, pieces of cardboard and other findings, or the totem-masks (Masks on Urban Degradation). For Jamesboy, finding abandoned or thrown away objects is the occasion to give them life through recycle. Also the thrown mattresses can become a support to draw on. The projects are many: Mostri urbani, dreamlike drawings such as Cosa, Canela y Miel (that it is exhibited till mid February at Pop Café and Teatro Verdi), but the true challenge is the one of inviting new artist to paint in Florence «because to evolve we need to see something new».
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FUL DANZA
passione per la danza Testo di Annalisa Lottini, foto di Marco Castelli
H
o messo piede nella mia prima scuola di danza a 7 anni. La sala era enorme e luminosa, aveva tutta una parete ricoperta di specchi. Sono entrata che avevo 7 anni e, anche se ci sono state delle pause, non l’ho mai lasciata. Un piccolo mondo la cui importanza educativa e formativa è stata pari a quella della scuola “vera”, con la differenza che lì l’educazione fisica si faceva solo per finta. La disciplina, il rispetto del proprio corpo, il rapporto con gli altri allievi e il loro corpo, il ritmo, la musica (di tutti i generi) la fatica e tanto divertimento. Tanto benessere ed endorfine in circolo, adesso come allora. È così che sono approdata da LUV perché il mio corpo reclamava di tornare in sala, reclamava i riscaldamenti, le diagonali, i salti, le coreografie e lo stretching. Quello serio, quello che riequilibra il tuo corpo anche dopo 8-9 ore seduta davanti al computer. Ci sono arrivata per caso e ho avuto da subito delle ottime sensazioni.
L’A.S.D. LUV Dance Movement è un progetto di formazione e didattica della danza nato in collaborazione con lo spazio culturale Magma. Il tutto ha avuto origine da
Luigi Ceragioli e Valerio Bellini, entrambi insegnanti, ballerini e coreografi. Firenze può essere una città molto snob, persino per la danza. Se quando si parla di arte è il contemporaneo a far fatica a “sfondare” il muro rinascimentale, nel mondo della danza sono il modern e l’hip l’hop a essere visti come stili “minori” di contro al classico e al contemporaneo. È così che il modern jazz di Luigi e l’hip hop di Valerio si sono ritagliati un proprio spazio di autonomia che, grazie a un accordo con l’Associazione Culturale MagnoProg ha trovato sede presso lo Spazio Magma di via Boccaccio, dove già si tenevano (e si tengono) corsi di teatro, musica, canto, danza, arti visive e design. Tre anni di incessante attività che li ha visti impegnati su molti fronti. Innanzitutto, ça va sans dire, i corsi di danza. Il modern jazz e l’hip hop sia per adulti che per bambini ma anche la danza classica, la break dance, il movimento creativo per i più piccoli, il tango argentino e di recente i tessuti aerei. LUV ha cercato da subito di muoversi contemporaneamente su più versanti, tanto che è difficile dare un ordine a tutte le iniziative che si portano avanti al suo interno. Una tra le più meritevoli e originali è il progetto Making
Audience, la cui missione è creare il pubblico di domani portando all’interno delle scuole di danza spettacoli di giovani coreografi e ballerini. Andare a teatro può sembrare un’attività troppo costosa e “da grandi”, ma se lo spettacolo è nella palestra vicino casa e ha un prezzo accessibile, la prospettiva cam21.
bia. Making Audience si propone di avvicinare genitori e allievi al mondo della danza, la cui fruizione è meno immediata di quella di un concerto o di un film. Al tempo stesso è una vetrina che permette di dare visibilità a professionisti e giovani compagnie, infine è un banco di prova per gli allievi di una scuola (ogni volta diversa) che aprono la serata esibendosi in una coreografia d’autore. Per loro è una occasione preziosissima perché spesso nelle scuole di danza l’unica occasione di ballare davanti al pubblico è il saggio di fine anno. Il progetto ha già inaugurato la seconda stagione e viene ospitato da scuole di danza della provincia di Firenze, tra cui ovviamente anche lo Spazio Magma. L’associazione è aperta anche ai professionisti del settore, sia Luigi che Valerio portano avanti l’attività delle loro compagnie, rispettivamente Danceorama e tHisHarm, e hanno contatti con ballerini e compagnie di altre città e nazioni che vengono regolarmente invitati a tenere corsi e stage. La compagnia Danceorama la scorsa estate ha presentato uno spettacolo ispirato alla vita e alle opere di Vivian Maier, fotografa di talento eccezionale e personaggio quanto mai enigmatico e misterioso. La coreografia ha avuto il plauso della Fondazione Vivian Maier ed è candidata a girare il mondo insieme alla mostra retrospettiva sulla fotografa. La compagnia tHisHarm invece sta portando in scena una trilogia ispirata alla favola di Peter Pan, dal titolo Bimbi Sperduti che ha conquistato il pubblico di grandi e piccini (ne abbiamo parlato in precedenza nel nostro sito). Infine LUV è molto attenta alle esigenze e alla realtà del territorio in cui ha sede, le Cure. Partecipa agli eventi di strada annuali (come la notte bianca e la Rificolona) animando gli spazi collettivi con le performance dei propri allievi. LUV Dance Movement è diventato un vero e proprio punto di riferimento per attività artistico-culturali, perché oltre agli spettacoli di danza del progetto Making Audience ospita spettacoli teatrali e concerti e d’estate diventa uno spazio dove si organizzano corsi estivi per bambini – un bell’aiuto per quei genitori che continuano a lavorare fino ad agosto inoltrato e non hanno nessuno a cui lasciare i figli. L’ultimo traguardo è stato raggiunto pochi giorni fa. Ai primi di gennaio è stata inaugurata una nuova palestra che ha preso il nome di Spazio LUV e che si trova in Via Caracciolo. Il nuovo spazio è già attivo e funzionante e siamo certi che sfrutteranno al massimo. La cosa incredibile è che tutto questo è portato avanti con tanta passione, professionalità e con un entusiasmo contagioso. Quello che ti fa affezionare e ti fa sentire a casa anche quando vai in palestra! Provare per credere. •
ENGLISH VERSION>>>>
The first time I stepped into a dance school I was only 7. I’ve never left dance since then. The educative and formative value of dance schools is comparable to that of the “real” schools: discipline, respect for one’s and other people’s bodies, rhythm, music, effort and fun. That’s how I found LUV: my body needed some real stretching, the one that can balance your body even after 8-9 hours in front of a computer. I ended up there by chance and immediately felt the good vibes. A.S.D. LUV Dance Movement is a didactic dance project born in cooperation with the cultural space Magma. Luigi Ceragioli and Valerio Bellini, both dancers and teachers, are the founders who started this project with the aim of carving out a space of autonomy in the world of Florence dance school and dedicate to what they liked best: modern dance and hip hop. Three years ago they found their home in Spazio Magma in Via Boccaccio, which already hosted (and still host) theatre, music, dance and design classes. LUV is carrying forward many initiatives. First of all, there are the dance classes: modern jazz and hip hop both for children and adults but also classical dance, break dance, Argentine tango and more. One of their most original projects is Making Audience, which aims to create tomorrow’s audience by bringing dance performances into schools. It tries to approach parents and pupils to the world of dance. At the same time it gives visibility to professional artists and young associations and is a testing ground for dancers. The association is also opened to dance professionals, as both Luigi and Valerio are directing their own dance companies, respectively Danceorama and tHisHarm. They keep contact with dancers and associations from other cities and countries and invite them to hold classes and workshops. Last summer, Danceorama presented a show inspired by Vivian Maier’s life, and tHisHarm is now taking on stage a trilogy based on Peter Pan. LUV is also very concerned about Le Cure area, where they are located. It takes part to its street events, enlivening them up with dance performances. They have become a hotspot for artistic and cultural activities in the neighborhood, with its classes and shows, and during the summer it becomes a camp for children. A few days ago LUV reached another important goal: a new gym called Spazio LUV was inaugurated in Via Caracciolo. This new place is already working and we’re sure it will do very well. The most amazing thing is the passion, enthusiasm and professionalism they put into everything they do. This is what makes you feel at home even if you’re at the gym! • .22
FUL ARTE
michelangelo pistoletto
il terzo paradiso al mercato centrale
Testo di Unotrezerocinqueuno, foto di Federica Di Giovanni
S
e l’arte non cambia la società, allora succede che la società cambia l’arte.
Mi è sembrata questa una frase bellissima, un sillogismo monco portatore di una verità chiara, sintetica, sconvolgente. Come a dire che se l’arte non si pone di fronte a una questione etica in forma attiva, allora non può che subire le logiche di mercato che la trasformano in un bene di consumo muto: l’arte invece deve avere qualcosa da dire e, di solito, più che mandare un messaggio, lanciare uno slogan, essa deve raccontare una storia. La potenza di queste parole sta anche nella prospettiva in cui si lancia una definizione: attraverso una negazione, chiedendosi non tanto cosa l’arte debba fare, ma cosa non possa assolutamente rinunciare a fare. Questa frase è uscita dalla bocca di Michelangelo Pistoletto, lunedì 11 gennaio, intorno a mezzogiorno, al primo piano del Mercato Centrale. Curioso. Curioso come un uomo che ha difeso attraverso le sue opere la figura dell’artista indipendente, che ha mosso i suoi passi più importanti nella cornice dell’Arte Povera e che ha sempre fatto della riflessione sul rapporto fra arte e politica un punto ineludibile della sua arte, presenti oggi un lavoro al Mercato Centrale. Proprio lui, che rifiutò l’invito di Leo Castelli a entrare nella grande famiglia della Pop Art americana per non piegarsi a logiche commerciali, oggi produce un’opera site specific in una cornice super-commerciale. Ascoltando le sue pa-
il Maestro Pistoletto parla di come l’artista debba occuparsi del mercato, proprio per non esserne schiavo, per non diventare puro marchio, ma per cambiarlo, agire su di esso attraverso una logica nuova, non solo economica ma creatrice. Entrare nel sistema dalla porta di servizio, per role durante la conferenza stampa, tutto è apparso chiaro. Con voce pacata e parole raffinate,
manometterlo attraverso la bellezza. La maggior parte dei guadagni che derivano dalle opere di Pistoletto vanno ad alimentare il progetto Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, un luogo creato nel corso degli anni Novanta che si occupa di mettere l’arte in relazione attiva con i diversi 23.
ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società, ospitando giovani artisti da tutto il mondo. A Firenze, Pistoletto ha realizzato un’opera per il Mercato Centrale, appunto, con la curatela di Nicolas Ballario e di Domenico Montano: le maestose vetrate della più grande struttura ottocentesca fiorentina si sono trasformate in un’installazione del Terzo Paradiso. Si tratta di un percorso di riflessione iniziato nel 2003, quando Michelangelo Pistoletto inventa un simbolo a partire dalla riconfigurazione del segno matematico dell’infinito: tra i due cerchi opposti, assunti a significato di natura e artificio, viene inserito un cerchio centrale, a rappresentare il grembo generativo di una nuova umanità, ideale superamento del conflitto distruttivo in cui natura e artificio si ritrovano nell’attuale società. Dunque la splendida struttura architettonica del Mercato Centrale, si trasforma nell’impianto scenico di un’opera site specific tra le più grandi realizzate dall’artista. In questo senso il corto circuito tra arte e mercato (e Mercato) sembra generare una fortunata possibilità: potremmo chiamarla mecenatismo o forse restituzione di un luogo alla sua forma di bene comune attraverso l’arte contemporanea. Non ci si reca più al Mercato Centrale solo per consumare, per comperare, ma anche per vedere, ammirare. Chiaramente rimangono alcune domande aperte: quale è il ruolo dell’Amministrazione Pubblica? Quale è il rapporto tra artista e committente? Di chi è ora quell’opera? Lasciamo che le risposte emergano proprio dalle parole del Maestro, dalla sua definizione dell’opera prodotta.
«Che cos’ è il Terzo Paradiso? È la fusione tra il primo e il secondo paradiso. Il primo è il paradiso in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo è il paradiso artificiale, sviluppato dall’intelligenza umana attraverso un processo che ha raggiunto oggi proporzioni globalizzanti. Questo paradiso è fatto di bisogni artificiali, di prodotti artificiali, di comodità artificiali, di piaceri artificiali e di ogni altra forma di artificio. Si è formato un vero e proprio mondo artificiale che, con progressione esponenziale, ingenera, parallelamente agli effetti benefici, processi irreversibili di degrado a dimensione planetaria. Il progetto del Terzo Paradiso consiste nel condurre l’artificio, cioè la scienza, la tecnologia, l’arte, la cultura e la politica a restituire vita alla Terra, congiuntamente all’impegno di rifondare i comuni principi e comportamenti etici, in quanto da questi dipende l’effettiva riuscita di tale obiettivo. Terzo Paradiso significa il passaggio a un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. Il Terzo Paradiso è il nuovo mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità in questo frangente epocale. Il Terzo Paradiso ha come simbolo una riconfigurazione del segno matematico dell’infinito ed è formato da una linea che, intersecandosi due volte, disegna tre cerchi allineati. I due cerchi opposti significano natura e artificio, quello centrale è la congiunzione dei due e rappresenta il grembo generativo di una nuova umanità.» Michelangelo Pistoletto, 2003 – 2015
ENGLISH VERSION>>>>
If art doesn’t change society, then society changes art. I think this is a great quote, and a syllogism that bears some evident truth. Art needs to have something to say, a story to tell; it shouldn’t be a slogan. The power of these words is in the perspective of its definition: a negation – it’s not about what art should do, but about what it shouldn’t give up doing. This sentence is by Michelangelo Pistoletto, he pronounced it last 11th of January on the first floor of the Mercato Centrale. This is quite curious, considering that Pistoletto refused Leo Castelli’s invitation to join American Pop Art because he didn’t want to submit to a commercial logic. But now he has produced a site specific artwork in a very commercial context, the Mercato Centrale, and in his speech he explained that an artist should deal with the market, not to become its slave, but to be able to change it and operate through it. Most part of Pistoletto’s earnings are used to finance his project CittadellarteFondazione Pistoletto, which tries to connect the world of art with the various realities of the social fabric, aiming at producing a responsible transformation of society, hosting artists from all over the world. In Florence, Pistoletto created the Terzo Paradiso installation in the biggest
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XIXth century’s building of Florence: the Mercato Centrale. Terzo Paradiso is born out of the rielaboration of the infinity symbol done by Pistoletto: he inserted a third circle representing a new humankind between the original two, to which he attributed the meanings of nature and artifice. So now we go to Mercato Centrale not only to buy and eat, but also to admire. Here is Maestro Pistoletto definition of his artwork: «What’s Terzo Paradiso? It’s a fusion between the first and the second paradise. The first one is where humankind was fully integrated with nature. The second one was developed by the human mind and is made of artificial needs and products; an artificial world. The danger of a tragic collision between these two has been announced. The goal of Terzo Paradiso is to lead artifice, that is science, technology, art, culture and politics to give back life to the earth through a change of common values and ethics. Terzo Paradiso means a new stage of global civilization that aims to ensure the survival of humankind, and in which everyone assumes the personal responsibility of the moment we’re living». •
A cena con ful sabato 19 marzo h 21.00 presso la scuola di cucina
Florence Food Studio Via dell'Ardiglione 39r
in collaborazione con AIRO
Associazione Internazionale Ristoranti dell'Olio
olio extravergine di alta qualitĂ e piatti della tradizione per informazioni e prenotazioni: 392 0857675
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FUL TECNOLOGIA PER IL GUSTO
APPETITOSO cerchi il piatto, trovi il ristorante Testo di Rita Barbieri, foto di Appetitoso
M
ai capitato di essere in giro e avere una voglia pazza di un piatto particolare e non sapere quale ristorante scegliere? Di essere incerti tra le varie opzioni e diffidare di certe recensioni che suonano un po’ gonfiate? Perché, diciamocelo onestamente, mangiare bene è importante: è un momento di condivisione sociale, di piacere personale, oltre che di semplice soddisfazione della fame. Da questo input e dalla passione per il cibo, un gruppo di quattro ragazzi toscani ha avuto l’idea innovativa di creare un’applicazione, presente in Play Store e iTunes, che permette di selezionare il piatto e trovare il ristorante: si chiama Appetitoso, nome che non potrebbe essere più adatto. Il sistema utilizza una base dati proprietaria e assegna un punteggio di bontà, chiamato «Dish Score», a ogni cibo proposto. Tale valore è basato sulle raccomandazioni che i clienti fanno, sulle recensioni dei food blogger e su quello che si dice in rete. L’applicazione, superata la prima soglia dei 5.000 download, a oggi è attiva su Milano, Roma e Firenze ma si sta espandendo in tutta Italia e funziona sia in italiano che in inglese. Un vero e proprio successo che ha permesso al team iniziale di ampliarsi e di avviare una startup di nove giovani professionisti che si muovono tra Firenze, Milano e Trento. Abbiamo parlato con il responsabile del progetto, Gianni Barlacchi, per saperne di più: Come funziona concretamente Appetitoso? L’utilizzo è piuttosto semplice e immediato: si apre l’applicazione e si cerca il piatto desiderato, ad esempio il sushi. Sulla base di un algoritmo proprietario, Appetitoso propone una lista dei migliori ristoranti della città dove è possibile trovarlo e, grazie all’interazione con i social network, si può condividere con gli altri utenti sia la foto che l’indirizzo del ristorante. Perché scaricare proprio questa applicazione e non altre? Che cos’ha di innovativo? Il tipo di ricerca (e quindi il risultato) è completamente diverso. Su Appetitoso non digiti il nome del ristorante, non si tratta di un puro e semplice servizio di localizzazione. Tu esprimi i tuoi desideri e il sistema, sulla base di analytics incrociate, ti fornisce una classifica di posti a prova di errore. Così risparmi tempo e possibili delusioni. La ricerca rimane in memoria e, insieme alle successive, forma una sorta di banca dati con cui Appetitoso si avvia a diventare il tuo suggeritore, oltre che una guida personale. Ma come nasce questa idea? Sono uno a cui piace andare a colpo sicuro, specialmente quando si parla di cibo. Per esempio, quando ti trovi in una città che conosci poco e vuoi mangiare bene, non hai il tempo necessario per leggere tutte le recensioni e prendere informazioni sui ristoranti. Avresti bisogno di uno del posto che ti indichi dove andare e cosa è più interessante assaggiare, per approfittare al massimo dell’esperienza. Da lì abbiamo pensato di creare un’app e abbiamo iniziato a lavorarci a scappatempo. Come avete fatto a trasformare la vostra idea in una startup? Inizialmente abbiamo formato un gruppo di lavoro composto da quattro sviluppatori e, un po’ per gioco, a ottobre 2013, abbiamo partecipato a uno startup weekend a Roma, dove in pratica presenti un’idea, la .26
esponi in un minuto e la sottoponi a una giuria. Tra i circa 50 progetti presentati, il nostro è arrivato tra gli otto finalisti e, in seguito, abbiamo ottenuto un finanziamento. Ad oggi, Appetitoso è l’unico progetto nato in quel contesto a essere effettivamente diventato una startup. Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato? A parte gli inconvenienti tecnici, lo scoglio più grande da superare è stato proprio quello di convincere gli investitori. Infatti, come ogni startup, anche Appetitoso non è in grado di fornire una stima precisa del tornaconto immediato, in quanto dipende da numerosi fattori. In Italia purtroppo c’ è un po’ l’idea dell’investimento certo, del non voler rischiare più di tanto ed è stato perciò molto difficile persuadere qualcuno a credere in noi. Però i riconoscimenti sono arrivati, giusto? Sì, assolutamente sì. Abbiamo superato la soglia dei 5.000 download, si è iniziato a parlare di noi anche su blog importanti come Dissapore dove siamo stati inseriti nella classifica delle Top Ten Food Start Up, insieme ad app del calibro di The fork e Zoomato. Il nostro gruppo iniziale si è ampliato e stiamo lavorando a nuovi sviluppi. Per esempio? Ci anticipi qualcosa? A breve apriremo il blog di Appetitoso e stiamo lavorando anche sui food blogger per capire i trend e le influenze che esercitano nel settore. Ci piacerebbe inoltre coinvolgere anche i ristoratori e chi lavora nel campo. Insomma, tanti nuovi spunti in gioco. Un’idea semplice che si è rivelata un vero e proprio colpo di genio? In parte, sì. Ma la maggior parte del merito va al lavoro di squadra, senza il quale certamente non avremmo ottenuto questi risultati. Il primato spetta alle persone più che alle idee, come dice uno dei motti che gira per il mondo delle startup: «Meglio un’idea mediocre con un grande team, che una grande idea con un team mediocre». Noi siamo un gruppo giovane, dinamico, volenteroso, affiatato. Lavoriamo ad Appetitoso nei ritagli di tempo: la sera, nel weekend… Tutti abbiamo un altro lavoro che ci impegna: io, per esempio, sono studente di dottorato all’università degli studi di Trento e mi occupo di modelli di apprendimento automatico per Big data e analisi del testo nel Semantics and Knowledge Innovation Lab di Telecom Italia. Sei soddisfatto dei risultati che avete ottenuto? Sicuramente non immaginavo tutto questo, anche se onestamente ci speravo. Abbiamo continuato a credere nell’idea e questo ci ha spinto sempre a andare avanti. Soddisfatto ancora non so: Appetitoso è senza dubbio un traguardo, ma vorrei che fosse solo uno step intermedio in una strada presente e futura. Le startup, secondo la definizione ormai universalmente riconosciuta di Steve Blank, vorrebbero essere proprio questo: un’organizzazione concepita per cercare un business model ripetibile e scalabile. Un’idea, una squadra, un inizio, un percorso: una ricetta per una startup giovane e di successo nel territorio toscano. •
il team di Appetitoso Gianni Barlacchi, 28 anni, ingegnere informatico, co-fondatore Emanuele Rossinelli, 28 anni, ingegnere informatico, sviluppatore back-end, co-fondatore Andrea Mariani, 27 anni, sviluppatore web e mobile, co-fondatore Tommaso Resti, 29 anni, sviluppatore mobile, co-fondatore Davide Cesaroni, 30 anni, ingegnere informatico e sviluppatore mobile Geri Tollkuci, 29 anni, ingegnere informatico e sviluppatore mobile Gabriele Barlacchi, 22 anni, studente di ingegneria informatica e sviluppatore web Cosimo Vannucci, 31 anni, ingegnere gestionale, responsabile business and partners relations Stefano Piani, 30 anni, laureato in economia, responsabile marketing Irene Selvolini, 27 anni, laureata in marketing e comunicazione, social media strategist Marco Lari, 28 anni, graphic designer
ENGLISH VERSION>>>>
Has it never happen to you to be out and desperately want to eat a particular dish but not knowing where to go? Starting from this idea and the passion for food, four Tuscan guys created an app that allows people to select the dish and find the right restaurant: Appetitoso (available in Play Store and iTunes). The system elaborates a lot of data and gives a score, called «Dish Score», according to the quality of the dish. It includes the comments of the clients, the reviews of the food bloggers and what is said on the Internet. Today the app is active in Milan, Rome and Florence but it’s expanding all over Italy. It is both in Italian and English. This great success has helped the original team to widen and to create a startup of 9 young professionals that live among Florence, Milan and Trento. How does Appetitoso work? It’s very simple: you enter the app and you look for your dish. According to an algorithm, Appetitoso gives you a list of the best restaurants in the city where you can find it. You can also share it with other users. Why do we have to download “this” app? Mainly for the kind of research (and its results): it’s completely different. In Appetitoso you don’t write the name of the restaurant, you look for your dish and the system is able to give you a rank of very good places where you can find it. Your research is saved in the memory of the app and it creates a sort of “database” so that Appetitoso can give you the right prompts for the future. How did you realize your project into a startup? In October 2013 we took part to a startup weekend in Rome. We had to expose an idea in one minute in front of a jury. There were about 50 projects, ours was selected among the 8 finalists and so we obtained a financing. Today Appetitoso is the only project among them that has become a startup. What are the biggest difficulties you had to face? More than the technical problems, we had to persuade the investors. As many other apps, Appetitoso is not able to accurately estimate its profit because there are too many factors at stake. In Italy, unfortunately, investors are not keen to risk, they want to invest on something “sure”. You received some recognitions, didn’t you? Yes. We passed 5.000 downloads. Some important blogs wrote about us, such as Dissapore, where we have been mentioned among the Top Ten Food Start Up together with The fork and Zoomato. So Appetitoso is a simple idea that turned out to be genial. Most of the merit is due to the group-work that made us obtain such results. «It’s better a lousy idea with a great team, rather than a great idea with a lousy team», says the motto. We are young, dynamic, willing, close-knit. We work on Appetitoso when we have time: at night, in the weekends… We all have another work. For example, I’m a graduate student at the University of Trento. What are your future plans? Shortly we are going to open a blog, we are looking for some food bloggers in order to understand the trends. •
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ful 5di5
5di5 Hopnn hopnn.com
«La bicicletta è un veicolo curioso: il suo passeggero è anche il motore». «The bicycle is a curious vehicle. Its passenger is its engine». John Howard
Hopnn in collaborazione con Guerrilla Spam .28
ful uno straniero a firenze /\ un fiorentino all'estero
VANNI BRIGHELLA Mi chiamo Vanni Brighella e sono studente, animatore grafico e resident assistant all’Academy of Arts di San Francisco. Il lavoro come assistente di condominio può sembrare banale, ma in un contesto così creativo e ricco di persone di ogni provenienza, è molto interessante e impegnativo. Aiuto gli studenti a organizzare il loro piano di studi, creo attività studentesche e, tre volte alla settimana – notti incluse – sono il guardiano di turno. A questo affianco il lavoro e lo studio sull’animazione: il nuovo anno si preannuncia ricco, a partire da 3 cortometraggi di animazione 3D in un team di 150 persone fino a progetti per stampanti 3D. Cosa porteresti a Firenze da San Francisco? L’ambiente, la facilità con cui all’università mi sono creato un bel giro di conoscenze grazie a due semplici ragioni. La prima: qui se lavori bene ti prendono in considerazione; la seconda: questo ambiente è pieno di persone che hanno voglia di fare. Immaginatevi una fucina piena di idee nuove che vengono sfornate ogni cinque minuti. Mi capita spesso di lavorare ai miei progetti nei coffee bar, in librerie o laboratori con altri studenti o addirittura con imprenditori che si interessano alle idee nuove e vincenti. Cosa porteresti a San Francisco da Firenze? L’Italia si trova proprio al centro di una fitta rete di scambi culturali, come e forse più di San Francisco, porterei quella ricchezza e la creatività che genera. Non che qui manchi, all’ombra del Golden Gate c’ è sempre una nuova avventura in cui lanciarsi. I'm Vanni Brighella and I'm a student, graphic animator and resident assistant at the Academy of Arts in San Francisco. The job as resident assistant might seem banal but it’s very interesting and demanding. I help students from all over the world to organize their study program, I create student activities and three nights per week – nights included – I'm the guardian. On top of this I have my work and the study of animation (short 3D animations and 3D printing). What would you take from San Francisco to Florence? The environment and how easy it’s been to get to know people, for two reasons: the first is that if you work well you are well considered; the second is that here there many people who are willing to work. A hotbed for new ideas: very often I work in coffee bars, bookshops, labs with other students or even entrepreneurs. What would you take from Florence to San Francisco? Italy is at the heart of a net of cultural exchanges, as San Francisco and maybe more. I would take the richness and creativity it generates. Not that here is missing, there is always an adventure under the shadow of the Golden Gate... •
JAE HYUN YOON Mi chiamo Jae Hyun Yoon, ho 30 anni e vengo da Seoul. Sono arrivato in Italia circa 6 anni fa per diventare un interior designer d’avanguardia. Ho frequentato un master a Milano e poi ho trovato lavoro in uno studio di architettura a Firenze. All’inizio pensavo di restare in Italia solo qualche anno ma poi mi sono innamorato di un’italiana e così ho cambiato i miei piani. Appena possibile torno in Corea, perché ne sento la nostalgia anche se lo stile di vita italiano mi piace molto e mi sono integrato bene. In futuro, vorrei usare il mio bagaglio multiculturale per realizzare progetti architettonici internazionali che mettano in comunicazione mondi diversi. Che cosa porteresti a Firenze da Seoul? Porterei sicuramente la tecnologia. In Corea abbiamo la connessione Internet 6G, le porte si aprono inserendo codici numerici e generalmente la vita scorre più facile, comoda. Niente code infinite o file di macchine che si moltiplicano inspiegabilmente. C’è una maggiore organizzazione e una migliore gestione del tempo. Cosa porteresti a Seoul da Firenze? Porterei la cultura del caffè al bar. Non l’american coffee da portare via, bevuto per strada tra un semaforo rosso e l’altro ma il cappuccino e il cornetto serviti al bancone o addirittura al tavolo, le chiacchiere con il barista, il rumore del latte che si scalda nel bricco, l’odore forte del caffè espresso. Il modo migliore che conosco per cominciare la giornata. My name is Jae Hyun Yoon, I'm 30 and I come from Seoul. I arrived in Italy 6 years ago to become an avant-garde interior designer. I attended a master in Milan and then I found a job in Florence. At the beginning I thought I was going to stay just a couple of years but then I fell in love with an Italian girl and I changed my plans. As soon as I can I go back to Korea, I miss my home even if I like the Italian life. In the future, I would like to use my experience to create international architectural projects. What would you take from Seoul to Florence? I would take technology. In Korea we are more advanced: we have 6G internet connection, doors open with numerical codes and life is generally easier. No queues, no traffic. A better organization and time-management. What would you take from Florence to Seoul? I would take the culture of coffee at the bar. Not the american coffee to take away and drink on the street between one traffic light and the other but cappuccino and croissant at the bar or at the table, the small talk with the barista, the sound of milk warmed up in the frothing jug, the strong smell of coffee. The best way to start the day. • 29.
la pagina dell'artista* per il numero XVIIII è a cura di Sara Sun www.behance.net/SaraSun
Hands Sara Sun (nome d'arte di Sara Boddi) ha studiato grafica pubblicitaria presso la Scuola Internazionale di Comics a Firenze, dopo varie esperienze in diverse agenzie di comunicazione adesso fa parte del collettivo Obliviù e di Miccce (miccce.com) un team di creativi freelance. L'illustrazione fa parte del suo progetto concettuale Hands. Sara Sun (aka Sara Boddi) has studied graphic design for advertising at the International School of Comics in Florence. After different experiences in communication agencies, she is now part of the collective Obliviù and of Miccce (miccce.com), a team of freelance creatives. The illustration is part of her conceptual project Hands.
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