Relazione di tesi

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IL LIBRO VISIVO Il giudice e il suo boia di Friedrich D端rrenmatt

Tesi di Flavia Pellegrinelli Relatore Mario Piazza



IL LIBRO VISIVO Il giudice e il suo boia di Friedrich DĂźrrenmatt

Tesi di Flavia Pellegrinelli

FacoltĂ del Design Corso di laurea in Design della Comunicazione Tesi di Laurea Relatore: Mario Piazza A.A. 2008/2009 - 22 luglio 2009



INTRODUZIONE L’obiettivo del progetto di tesi è stato quello di creare un libro visivo, cioè un artefatto grafico che, senza alterare le caratteristiche tipologiche del libro, abbia la capacità di ampliarne la leggibilità e le interpretazioni. Il libro oggetto di questa reinterpretazione è Il giudice e il suo boia, romanzo del noto autore svizzero Friedrich Dürrenmatt (1921-1990). Cinque sono le parti che concorrono a formare il presente lavoro. Come parte preliminare ho inserito un’introduzione sull’autore, così da mettere in luce le informazioni utili alla comprensione della sua opera. Il secondo capitolo descrive il contesto in cui venne scritto il romanzo e una trama riassuntiva della vicenda. Il capitolo seguente riguarda il romanzo poliziesco e le caratteristiche del romanzo “giallo” tradizionale, al fine di mettere in risalto le differenze e i punti in comune individuabili con il romanzo Il giudice e il suo boia. Il capitolo quarto si occupa appunto di dare una visione dell’interpretazione dürrenmattiana del genere poliziesco. Nell’ultimo capitolo infine è descritto il progetto vero e proprio, esplicitando le scelte ideologiche e stilistiche che hanno portato alla realizzazione del libro visivo.

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INDICE Introduzione 5 Capitolo 1 - L’autore 8 1.1 Biografia 10 1.2 L’attività letteraria 14 1.3 Il grottesco 16 1.4 La passione per le arti figurative 18 1.5 La visione del mondo: “Il labirinto” 20 1.6 La Svizzera di Dürrenmatt 24 Capitolo 2 - Il giudice e il suo boia 26 2.1 Introduzione 28 2.2 Trama 30 Capitolo 3 - Il romanzo poliziesco 38 3.1 Breve storia del genere 40 3.2 La struttura del “giallo classico” 42 3.3 I personaggi 46 3.4 L’ambiente e la società 48 3.5 Lo stile di scrittura 48 3.6 Rapporto con il rettore 48 Capitolo 4 - Dürrenmatt e l’abbandono degli schemi 50 4.1 Conformità e differenze dai gialli classici 52 4.2 La scelta del luogo 54 4.3 La vittima 58 4.4 Il detective 58 4.5 L’assassino 64 4.6 La polizia 68

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Capitolo 5 - Il progetto 70 5.1 Idea progettuale 72 5.2 Formato e impaginazione 74 5.3 Carta 78 5.4 Font 78 5.5 Copertina 82 5.6 Mappe e note 84 Conclusioni 89 Bibliografia 90 Sitografia 92 Ringraziamenti 95

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CAPITOLO 1 L’autore 8


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1.1 LA BIOGRAFIA

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Friedrich Dürrenmatt nasce il 5 gennaio 1921 in Svizzera a Konolfingen, un paese dell'Emmental, nel cantone di Berna. Suo padre, Reinhold Dürrenmatt, era pastore protestante; la madre, Hulda Dürrenmatt Zimmermann, una donna profondamente religiosa. Suo nonno Ulrich invece partecipava alla politica svizzera ed era un famoso poeta satirico. Fin da bambino il suo spirito anticonformista e il suo scetticismo nei confronti del credo protestante lo pongono in un atteggiamento d’opposizione ai progetti del padre. Nel piccolo paese di Konolfingen frequenta le scuole elementari fino al 1933. La famiglia si trasferisce a Berna nel 1935, quando suo padre è nominato cappellano presso il Salem Hospital. Nel 1941 consegue la maturità all'Humboldtianum. Conduce gli studi universitari di filosofia, letteratura e scienze naturali raccomandati dal padre, tra Berna e Zurigo, ma non li porta mai a termine. Lavora occasionalmente come disegnatore e grafico e alterna l'attività di scrittore a quella di pittore. Nell'estate del 1942 Dürrenmatt riceve una base di addestramento militare, ma a causa della scarsa vista è dispensato dal servizio di leva e segue le vicende della seconda guerra mondiale attraverso i giornali e la radio. La situazione della Svizzera durante la guerra era di grande ambiguità perché da una parte c’era la visione dell’Europa spinta verso la catastrofe, dall’altra la consapevolezza dei vantaggi di tale catastrofe per l'economia svizzera. Inoltre la situazione della Svizzera era favorevole non soltanto da un punto di vista economico, ma anche culturale e teatrale. Il teatro di Zurigo era l’unico palcoscenico d’Europa su cui fosse concesso di vedere, negli anni di guerra, le opere di autori rifugiati e d’illustri emigrati, quali Bertolt Brecht.


Dürrenmatt interrompe gli studi nel 1946, anno in cui sposa l’attrice Lotti Geissler e inizia l'attività di scrittore. Ispirato dalle letture di Kant, Grabbe, Lessing, Kafka e Brecht, inizia a scrivere racconti brevi e pezzi teatrali. I primi anni della sua attività di scrittore sono caratterizzati da una certa instabilità economica. Riesce a mantenersi grazie alla stesura di drammi radiofonici commissionati dal “WDR” (Westdeutscher Rundfunk) e scrivendo romanzi polizieschi (Il giudice e il suo boia, Il sospetto) che vengono pubblicati a puntate sulla rivista Der Schweizerische Beobachter. La coppia trascorre i primi tempi a Basilea e a Ligerz, sul lago di Bienne, periodo nel quale vengono alla luce i suoi tre figli e riscuote i primi successi come scrittore e drammaturgo. Nel 1952 Dürrenmatt si trasferisce con la famiglia a Neuchâtel. Nella casa al Pertuis du Sault trascorre il resto della vita, concependovi le opere della maturità artistica. Dello stesso anno è il dramma Il matrimonio del signor Mississippi, riflessione sulla politica e sulle ideologie, che lo impone all’attenzione della critica e del pubblico in Germania. Nel 1956 ottiene fama internazionale con il dramma Visita della vecchia signora (Der Besuch der Alten Dame). Il dramma viene rappresentato a New York, Roma, Londra e Parigi e vince numerosi riconoscimenti. Altri drammi di successo furono I fisici (Die Physiker) e La meteora (Der Meteor) rispettivamente degli anni 1962 e 1966. Gli anni tra il 1966 e il 1975 sono ricchi di lunghi viaggi, intensifica il suo impegno politico e collabora con diversi teatri. Nel 1968 diventa co-direttore del Teatro di Basilea fino all'ottobre del 1970, quando a seguito di una grave malattia e di dissensi con la direzione interrompe

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la collaborazione col teatro e compie un viaggio che durerà tre mesi. Visita Philadelphia, Florida, Yucatan, Caraibi, Giamaica, Puerto Rico e New York. Nel 1970 diventa membro del Consiglio di Amministrazione dello Schauspieltheater di Zurigo rifiutando però, due anni dopo, la nomina a direttore. Ottiene la laurea ad honorem da diverse università: nel 1969 dall'Università di Philadelphia, nel 1977 da quelle di Gerusalemme e di Nizza, nel 1981 dall'Università di Neuchâtel e nel 1983 dall'Università di Zurigo. Nel 1983 muore sua moglie: l'anno successivo si risposa con l'attrice, giornalista e regista Charlotte Kerr. Negli anni Ottanta riceve numerosi premi e riconoscimenti e tiene diverse conferenze. Viaggia in Sud America, Egitto, Grecia, Turchia, Italia e Spagna. Nel 1989 lascia in eredità alla Confederazione Elvetica i manoscritti delle proprie opere (edite ed inedite), vincolando però il lascito all'istituzione di un archivio letterario presso la Biblioteca Nazionale di Berna. Nel 1990 viaggia attraverso la Polonia, recandosi a Varsavia e Cracovia e visitando i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Dürrenmatt muore il 14 dicembre 1990, pochi giorni prima del suo settantesimo compleanno, per insufficienza cardiaca; solamente un anno prima aveva pubblicato la sua ultima opera, La valle del Caos.

La dimora, luogo di vita e d'ispirazione per Dürrenmatt presso Neuchâtel, ora centro interdisciplinare gestito dalla Biblioteca nazionale svizzera.

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1.3 L’ATTIVITÀ LETTERARIA

Friedrich Dürrenmatt, Artisti e critici, (serie/14 tavole), 1965, penna, 36x27 cm.

Nel secondo dopoguerra il drammaturgo e narratore svizzero Friedrich Dürrenmatt fa parlare di sé grazie alla sua originalità ed inventiva. Per la Svizzera è una novità, in quanto nella letteratura precedente non aveva mai avuto nessun drammaturgo di grande successo internazionale. Dürrenmatt è impegnato sia in campo artistico sia letterario. Per la sua originalità è difficile inserirlo in una corrente letteraria precisa, egli stesso si definì, da questo punto di vista, “ein Einzelgänger”, “un solitario”. Un elemento che non manca in tutte le sue opere è la costante tensione filosofica, data da un'indagine intellettuale intensa, accresciuta negli anni. Quella di Dürrenmatt è una filosofia concreta, concentrata sulla riflessione intorno alla condizione dell'uomo nella società in cui vive. Senza ricorrere ad idealizzazioni smaschera ciò che di assurdo e di grottesco c'è nell'esistenza umana, lasciando il pubblico atterrito di fronte al suo scetticismo nei confronti della realtà. Attraverso la riflessione personale vuole mettere in discussione tutto ciò che lo circonda, ragionando su ogni aspetto dell'esistenza e portando ogni ragionamento alle estreme conseguenze. Fu sempre disponibile a mettere in discussione addirittura sé stesso e la propria opera, indipendentemente da ciò che diceva la critica. In Theaterprobleme (Questioni di teatro, 1954) egli prende apertamente le distanze da quei “manovali del teatro […che] scelgono soggetto e linguaggio come la critica s'immagina che dovrebbero scegliere.” 1

Friedrich Dürrenmatt, Theaterprobleme. Theater-Schriften und Reden (Questioni di teatro), Zürich, Verlag der Arche, 1966. 1

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1.3 IL GROTTESCO

Friedrich Dürrenmatt, La catastrofe, 1966, olio e gouache, 82 x 61 cm.

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Le opere di Dürrenmatt vengono spesso definite “grottesche” per il loro modo di svilupparsi in maniera imprevedibile e non convenzionale, suscitando ora divertimento ora orrore, in bilico fra commedia e tragedia. Quanto più il personaggio cerca di far valere la logicità delle sue azioni, tanto più la sproporzione con l’irrazionalità del mondo distrugge i suoi piani e lo rende una figura grottesca. Diversamente da Beckett, Dürrenmatt considera il mondo non assurdo, bensì grottesco. È un mondo nel quale contraddizione e paradosso sono sempre presenti ed incombono sull’uomo, dove regna il Caso e dove la responsabilità morale dell’individuo si perde nell’indifferenza anonima della massa. Le azioni degli uomini sono insensate, paradossali, gesti che portano all’assurdo. La commedia è inseparabile per Dürrenmatt dall’elemento del grottesco. Per lui nel mondo moderno la tragedia non è più possibile, poiché essa presuppone un mondo modellato e la responsabilità dell’uomo. Al contrario, la commedia rappresenta un mondo informe, sconvolto e in divenire, in cui nessuno ha colpa. Il grottesco ha in Dürrenmatt una specifica intenzionalità morale e satirica: deve portare lo spettatore a riflettere e a prendere posizione. Esso con la comicità cattura l’attenzione dello spettatore e mantiene sempre vivo il suo interesse. La fenomenologia del grottesco è molto varia ed articolata nell’opera di Dürrenmatt; è il gusto per la sorpresa, per il mostruoso, è l’invenzione di nomi paradossali, di personaggi-marionetta.


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1.4 LA PASSIONE PER LE ARTI FIGURATIVE

Per comprendere a pieno l'opera dürrenmattiana occorre tenere in considerazione anche la sua passione per le arti figurative. In gioventù, preferiva frequentare lo studio del pittore Walter Jonas piuttosto che dedicarsi agli studi di filosofia e di storia dell’arte. Egli cominciò a dipingere prima ancora di dedicarsi alla scrittura: il suo primo quadro, Kreuzigung I (Crocifissione I), è datato 1939, mentre il primo racconto, Weihnacht (Natale), risale al 1943. Durante questo periodo, la lingua della sua prosa e la "lingua" dei suoi quadri manifestano caratteri spiccatamente espressionistici: entrambe rappresentano un mondo dominato dall'oscurità e dalla disperazione, popolato da figure mostruose. Tuttavia le sue opere furono considerate poco valide da alcuni critici dell'epoca, in quanto lontane dallo stile apprezzato in Svizzera, che allora corrispondeva ad una specie di realismo impressionistico. Dürrenmatt stesso era comunque consapevole di non essere un pittore professionista. Non sono un pittore. Tecnicamente dipingo come un bambino. Dipingo per la stessa ragione per cui scrivo: perché penso. […] Così il mio disegnare e il mio dipingere rappresentano un complemento dell’opera di scrittore – per tutto ciò che sono in grado di esprimere solo metaforicamente. […] Anche quando scrivo non prendo le mosse da un problema ma da immagini, perché all’origine c’è sempre l’immagine, la situazione – il mondo. 2 Scoraggiato, il giovane studente decide per gli studi filosofici e letterari, pur non abbandonando la sua

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passione. I suoi manoscritti abbondano di schizzi e di disegni, che sembrano letteralmente voler tradurre in immagini ciò che simultaneamente viene espresso attraverso la parola. Egli stesso afferma introducendo il primo volume illustrato della sua opera: I miei disegni non sono lavori accessori rispetto alla mia attività letteraria, ma i campi di battaglia, disegnati e dipinti, dove si consumano le lotte, le avventure, gli esperimenti e le sconfitte letterarie. 3

Dürrenmatt intento a dipingere una delle sue opere.

Friedrich Dürrenmatt, Considerazioni personali sui miei quadri e disegni, in Friedrich Dürrenmatt. Dipinti e disegni. Catalogo della mostra, Bellinzona, Casagrande, 2003. 3 Ibidem. 2

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I suoi quadri e i disegni sono esposti oggi al Centre Dürrenmatt di Neuchâtel, costruito nel 2000 a fianco della casa dove Dürrenmatt ha abitato e lavorato, dal 1952 fino al 1990, anno della sua scomparsa. Nelle sue opere sfrutta le potenzialità espressive di diverse tecniche: i disegni a penna gli consentono una grande spontaneità, un rapido spostamento dallo scritto all’immagine, e rappresentavano spesso uno svago dalle fatiche dello scrivere. Le pitture a guazzo e ad olio, prevalentemente in colori intensi, raffigurano ritratti di grande formato di amici e conoscenti, numerosi motivi storici, mitologici e letterari, nonché scene fantasiose. Le caricature, caratterizzate da tratti rapidi e sicuri, testimoniano il gran senso dell'umorismo di Dürrenmatt. Amava anche dipingere le pareti nei luoghi in cui viveva come la mansarda di studente a Berna, le cui pareti vennero dipinte con immagini colorate di grande formato che ritraevano motivi mitologici, religiosi, d’attualità e biografici. Affrescò anche la toilette nella casa di Neuchâtel con maschere dai colori vivaci. Lo spazio fu denominato dalla famiglia e da Dürrenmatt “La Cappella Sistina”. Questo affresco scherzoso fa oggi parte degli spazi espositivi del Centro Dürrenmatt. Dalla sua opera pittorica e dalla sua produzione 1.5 LA VISIONE letteraria traspare un'identica visione della realtà DEL MONDO: umana, che lo stesso Dürrenmatt definì “labirintica”. “IL LABIRINTO”

Labirinto e Minotauro tornano spesso nel suo lavoro per rappresentare la condizione umana come anomalia. Angosciato e abbandonato a se stesso, il Minotauro corre all'impazzata, in modo affannoso e sregolato, dirigendosi inesorabilmente verso la catastrofe. Anche l'uomo si è ormai perso in questo labirinto

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senza futuro e senza punti di riferimento, in preda al Caso e alle coincidenze: così come il Minotauro, anch'egli tenta inutilmente di sfuggire al proprio destino. Cerca di ottenere il massimo dal mondo, come fosse un Dio, scavalcando tutte le barriere possibili e nello stesso tempo occupandosi degli interessi ed esigenze del momento, perdendo così di vista i grandi obiettivi che si era prefisso. Dürrenmatt ha una visione cupa e apocalittica del mondo, che considera dominato dal male, da un'istanza superiore di fronte alla quale l'uomo è assolutamente impotente. Qualsiasi tentativo di razionalizzazione dell'universo è vano. Nelle opere di Dürrenmatt il motore dell’azione è il Caso. Il suo teatro, pur presentando alcuni caratteri formali che lo accomunano a quello smascheratore di Brecht, resta coerente con il suo pessimismo etico. I suoi eroi sono personaggi privi di profonde sfumature psicologiche, che utilizzano un linguaggio scarno ed incisivo e che si trovano a dover far fronte a situazioni paradossali e grottesche. Nella maggior parte dei casi può accadere, da un momento all’altro e in maniera inaspettata, che l’uomo passi dal ruolo d’eroe tragico a quello di vittima impotente. In tale meccanismo, “lo scrittore appare come un burattinaio, che decide di colpire i suoi personaggi proprio quando essi si sentono più vicini al raggiungimento del loro scopo”4 . Attraverso la propria opera, Dürrenmatt non vuole riscattare l'uomo, ma vuole risvegliare gli animi del pubblico, far tremare le coscienze. Tuttavia nonostante le aspre e ripetute denunce politico-sociali, Dürrenmatt è lo scrittore “non impegnato” per eccellenza. Egli non si fa alcuna illusione: sa che il mondo non può essere cambiato e non tenta di cambiarlo. 4

Francesco Fiorentino, La letteratura della Svizzera tedesca, Roma, Carocci, 2001.

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Friedrich Dürrenmatt, Labirinto II: il Minotauro spaventato, 1974, penna, 25,5 x 36 cm.

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Non c'è possibilità di conforto o consolazione né in ambito religioso né in quello ideologico. La vita umana non risponde ad un preciso disegno divino da accettare nella speranza della salvezza. Il destino dei personaggi non risulta mai essere predeterminato e i loro sforzi, volti a modificare la realtà, sono sempre contrastati da “fattori di disturbo” casuali. Il Caso ha ormai preso il posto della Provvidenza Divina, determinando con le sue varianti il destino della vita umana. Dürrenmatt afferma infatti che Dio è un'idea creata dall'uomo, al fine di rendere più sopportabile la “prigionia” all'interno del “labirinto”. Credere in Dio serve solo a dare un senso alla propria esistenza, a creare una base su cui fondare la propria esigenza di giustizia. Tuttavia queste aspettative sono vane. Nemmeno la politica, i partiti o le ideologie possono confortare e dar senso alla vita dell'uomo. Tanto meno non si può sperare nella giustizia ideale, “ciò che tutti gli uomini amano, tutti esigono e desiderano e tutti rimpiangono se viene a mancare”, come è detto nel Faust di Goethe. Per Dürrenmatt, quanto più l'uomo cerca presuntuosamente di rea-


lizzarla, tanto più si allontana da essa, spinto da interessi egoistici. Questo accade perché la giustizia presuppone una società di persone, ma l'uomo è in sé paradossale. Egli ha un “concetto particolare” e un “concetto generale” di sé stesso. Con il primo sviluppa la sua unicità, con il secondo si associa ad altri uomini, rinunciando all'individualità in funzione della società. Scegliendo quale far prevalere tra i due diversi concetti, otteniamo tipi di giustizia diversi: Il diritto del singolo consiste nel fatto di essere sé stesso: chiamiamo questo diritto libertà. La libertà è il concetto particolare che ognuno si fa della giustizia, l'idea esistenziale della giustizia. Il diritto della società, invece, consiste nel garantire la libertà di ciascuno. Questo diritto lo chiamiamo giustizia, intesa come il concetto generale di giustizia, come idea logica. 5 La giustizia ed il modo in cui gli uomini la attuano rispetto ai loro simili è il tema fondamentale dei romanzi polizieschi. Dürrenmatt va oltre i canoni del genere chiedendosi quali siano le vere motivazioni che spingono un uomo ad indagare su un crimine. Trae la conclusione che un detective non sia spinto tanto da una necessità morale ma da una scommessa, una sfida “lanciata contro l'insensatezza del mondo a cui l'uomo non sa rassegnarsi”. 6

Friedrich Durrenmatt, I dinosauri e la legge : una drammaturgia della politica, Torino, Einaudi, 1955, p. 22. Eugenio Bernardi, Introduzione, in F. Durrenmatt, I dinosauri e la legge : una drammaturgia della politica, Torino, Einaudi, 1955, p. XII. 5

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1.6 LA SVIZZERA DI DÜRRENMATT

Friedrich Dürrenmatt, L’ultima assemblea generale della banca federale, 1966, olio, 72x60 cm.

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È significativo il fatto che, proprio in Svizzera, nasce con Dürrenmatt una nuova tragedia o tragicommedia dell'assurdo, che con le sue tematiche taglienti fa riflettere l'umanità intera. Grazie alla posizione di neutralità osservata durante i due conflitti mondiali, la Svizzera si trovava infatti nella condizione ideale per fare un “bilancio della situazione europea”. 7 Con la sua opera, Dürrenmatt si schiera contro quegli scrittori che vedevano nella neutralità della Svizzera un'affermazione di integrità morale e di virtù. L’ideale della piccola nazione integra viene presentata da Dürrenmatt in una condizione di precarietà, che egli estende al mondo intero. In particolare dopo il secondo conflitto mondiale la Svizzera usciva illesa dagli orrori della guerra ma rimaneva esclusa dall'impulso rinnovatore dei paesi vittoriosi e comunque costretta con questi nella guerra fredda.


Accanto al vantaggio della neutralità la Svizzera viveva anche lo svantaggio dell'isolamento politico. Dürrenmatt riferisce che: L'ideologia della Svizzera consiste nell'assumere una posizione passiva. La Svizzera è un superlupo, che, definendosi neutrale, dichiara di essere un superagnello. 8 La Svizzera ha entrambe le cose: una cattiva coscienza perché si fa passare per un agnello e si appella quindi all'umanità dei lupi, [...] ha paura perché in realtà essa è pur sempre un lupo, ovviamente un lupo tanto piccolo che teme sempre di essere sbranato dagli altri lupi. 9 Dürrenmatt condivideva solo in parte la neutralità del suo paese. Egli attacca in primo luogo l'ipocrisia morale degli svizzeri, convinti di essere migliori di coloro che avevano partecipato alla guerra, mentre erano solo più fortunati. La sua denuncia mira a smascherare il volto ipocrita della propria nazione, percepita come una sorta di mostro terribile che soffoca qualsiasi fremito vitale, lasciando intorno a sé solo angoscia. Quella della Svizzera è una tranquillità apparente, è uno stato imprigionato nella propria libertà. Egli stesso affermò che la sua vita era cominciata in un “macabro idillio”, sentito da lui come “labirintico”.

Ladislao Mittner, Storia della letteratura tedesca, Mittner, vol. III: Dal realismo alla sperimentazione (1820-1970), tomo II: Dal fine secolo alla sperimentazione (1890-1970), Torino, Einaudi, 1971, p. 1654. 8 Friedrich Durrenmatt, I dinosauri e la legge : una drammaturgia della politica, Torino, Einaudi, 1955, p. 33. 9 Ibidem, p. 34. 7

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CAPITOLO 2 Il giudice e il suo boia 26



Nel corso degli anni Cinquanta Dürrenmatt com2.1 INTRODUZIONE pie una svolta tematica nella sua produzione e realiz-

za un passaggio narrativo dai racconti espressionistici ai romanzi gialli. Ne scrive tre: Der Richter und Sein Henker (Il giudice e il suo boia, 1952), Der Verdacht (Il sospetto, 1953) e Das Versprechen (La promessa, 1958). Questo cambiamento è vincolato essenzialmente da due fattori. Il primo è che, in quel periodo, Dürrenmatt si stava sempre più interessando alla realtà sociale e politica che gli stava attorno. Aumentavano i suoi discorsi pubblici, nei quali prendeva chiare posizioni su situazioni politiche particolari. Egli si rese conto che il genere della prosa si prestava maggiormente a questo tipo di riflessioni. Il secondo fattore è di tipo economico, in quanto Dürrenmatt all'inizio degli anni Cinquanta si trovava in ristrettezze economiche, dovute a difficoltà lavorative e all'aumento delle spese mediche. Gli venne infatti diagnosticato un grave diabete ed anche la moglie Lotti si ammalò gravemente. Si rivolse quindi a diverse redazioni proponendo romanzi gialli - non ancora scritti né ideati - per riscuotere gli acconti. L'offerta più consistente la ricevette dallo Schweizerischer Beobachter. Fu proprio su questo giornale che appare per la prima volta il romanzo Der Richter und Sein Henker (Il giudice e il suo boia). Venne pubblicato in otto puntate, ad intervalli di due settimane l'una dall'altra, dal n. 23 del 15 dicembre 1950 al n. 6 del 31 marzo 1951. Uscì successivamente in volume nel 1952 (Benziger Verlag, Zürich-Einsiedeln-Köln). Il romanzo ebbe enorme successo e la redazione commissionò a Dürrenmatt i romanzi successivi. Il giudice e il suo boia raggiunse negli anni Settanta il milione di copie, assicurando al giovane scrittore una crescente stabilità economica.

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Nel 1972 è stato realizzato in Italia lo sceneggiato televisivo Il giudice e il suo boia, regia di Daniele d'Anza. Ispirato a questo romanzo anche il film Assassinio sul ponte, di Maximilian Schell con Jaqueline Bisset e Jon Voight, e con la partecipazione straordinaria delDiverse edizioni del romanzo. lo stesso Dßrrenmatt.

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2.2 TRAMA

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È il 3 novembre 1948, un giovedì. Il tenente di polizia Ulrich Schmied viene trovato morto nella sua Mercedes blu lungo la strada che porta da Lamboing a Twann, nel cantone bernese. Il poliziotto Alphons Clenin, che trova il cadavere, si rende subito conto che il collega è stato ucciso con un colpo di pistola alla nuca. Gli calca quindi il cappello in testa, lo sposta sul sedile del passeggero, gli mette la cintura e decide di salire sull'auto del morto e portarlo alla stazione di polizia di Bienne. Il caso viene affidato al commissario bernese Hans Bärlach, il quale avvia immediatamente l'inchiesta. La sua prima mossa è quella di recarsi nell'abitazione di Schmied, dove prende, all'insaputa di tutti, una cartella contenente alcuni documenti. Solo molto più avanti nel romanzo si verrà a conoscenza del suo contenuto. Durante la prima ispezione sul luogo del delitto, Bärlach trova un unico indizio utile: una pallottola di revolver. Chiede poi al suo superiore, il giudice indagatore Lucius Lutz, che gli venga assegnato il poliziotto Tschanz come collaboratore alle indagini; questo nonostante l'evidente diffidenza che il commissario nutre nei suoi confronti. Il giorno successivo, di sera, Tschanz e Bärlach si dirigono a Lamboing, per scoprire dove fosse diretto Schmied la sera del delitto. In quest'occasione Tschanz sceglie una strada poco usuale per il tragitto in auto riuscendo a dimostrare, con sorprendente abilità, che Schmied la sera del delitto era passato proprio da lì. Tschanz deduce che Schmied la sera del delitto si stesse recando ad un ricevimento, in quanto sotto il cappotto portava un abito di società. Intende quindi scoprire se questa circostanza sia in relazione con la sua morte, quindi ritiene utile indagare sulle ultime attività di Schmied.


I due decidono pertanto di appostarsi nell'oscurità, lungo la strada dove è stato ritrovato il cadavere del tenente di polizia e aspettare che capiti qualcosa. Improvvisamente Tschanz vede confermati i propri sospetti: dal bosco sbucano tre limousine piene di gente, che si dirigono verso Lamboing. I due poliziotti seguono le macchine e si trovano di fronte alla villa di Gastmann, un uomo ricco e influente, molto amato dagli abitanti di quella zona. Sembra che in casa sua si stia svolgendo un ricevimento. Si dirigono quindi verso il giardino della casa, dove Bärlach viene aggredito dal feroce cane da guardia di Gastmann, riuscendo a salvarsi solo grazie al tempestivo intervento di Tschanz. Questi uccide la belva con un colpo sparato con il proprio revolver, che si rivela provvidenziale, perché il commissario Bärlach non porta mai una pistola con sé. Non appena arriva a casa, inaspettatamente Bärlach estrae dal suo cappotto una grossa rivoltella, e dalla manica esce il braccio sinistro avvolto in grossi stracci di quelli usati da coloro che allenano i cani ad azzannare i delinquenti. Si scopre così che è stato il commissario stesso ad organizzare il confronto con il cane e a provocare il colpo di pistola che lo ha salvato, senza che ci fosse bisogno di usare la propria arma. Ma il motivo è ancora ignoto. È sabato 5 novembre il Dott. Lutz riceve il colonnello, avvocato e consigliere nazionale Oskar von Schwendi, rappresentante legale del signor Gastmann, estremamente adirato a causa di ciò che è successo la sera precedente di fronte alla sua villa. Von Schwendi chiede, infatti, che il suo cliente venga lasciato in pace, essendo non solo una persona molto influente nel campo politico, ma anche un industriale d’importanza internazionale.

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Durante il funerale di Schmied, tenutosi quello stesso pomeriggio, Bärlach nota che Tschanz si mostra molto premuroso nei confronti della fidanzata di Schmied, la quale ricambia con piacere le sue attenzioni. Dopo la cerimonia funebre avviene il primo confronto verbale tra Bärlach e Gastmann. Si viene a sapere che a Bärlach rimane solo un anno di vita a causa di un grave cancro allo stomaco. È indispensabile un'operazione, come successivamente rivelerà il suo medico, nonché grande amico, il Dott. Samuel Hungertobel, il quale dichiara di dover operare il commissario al massimo entro tre giorni. Si scopre inoltre che Bärlach e Gastmann si erano conosciuti quarant'anni prima in una bettola di Costantinopoli. Qui, “in preda ai fumi dell'alcool”, avevano intrapreso una discussione molto accesa sulla giustizia, esprimendo due punti di vista diametralmente opposti. La tesi di Bärlach era che non può esistere un “delitto perfetto”, in quanto il Caso, prima o poi, mette alle strette qualsiasi delinquente. Gastmann, al contrario, sosteneva la tesi secondo la quale, proprio grazie all'imprevedibilità del Caso, la maggior parte dei delitti rimane non solo impunita, ma addirittura insospettata. Poi fecero una scommessa: Gastmann lanciò una sfida all'allora giovane poliziotto, dicendogli che avrebbe commesso un omicidio che egli non sarebbe mai riuscito a dimostrare. A riprova di ciò, dopo tre giorni Gastmann uccise un uomo proprio sotto gli occhi di Bärlach, il quale, effettivamente, non fu in grado di consegnare il colpevole nelle mani della giustizia. Da allora Bärlach si mette sulle tracce di Gastmann, il quale diventa un astuto delinquente, trascinato dal desiderio di commettere delitti sempre più audaci e feroci senza che nessuno fosse in grado di arrestarlo.

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Ora, a distanza d’anni, i due si trovano nuovamente l'uno di fronte all'altro. Gastmann sa che Bärlach è già da tempo sulle sue tracce, e sa anche che sta tentando di incastrarlo per il delitto Schmied. Egli è anche a conoscenza del fatto che il povero Schmied stava conducendo delle indagini su di lui per conto di Bärlach, e che le prove raccolte si trovano nella cartella sottratta dal commissario nell'abitazione di Schmied. Gastmann a questo punto si appropria dell'unico esemplare della cartella, ed intima a Bärlach di rinunciare alla scommessa e di arrendersi. Ciononostante Gastmann non uccide il suo acerrimo nemico, e se ne va trionfante, lasciandolo apparentemente sconfitto. Dopo questa conversazione, Bärlach viene assalito da atroci dolori allo stomaco, causati dalla malattia di cui soffre. Dopo essersi ripreso dal violento attacco, si reca in ufficio, dove ha un colloquio con il suo capo. In quest’occasione egli assume un atteggiamento sorprendentemente remissivo: senza opporre alcuna resistenza, assicura a Lutz che lascerà in pace Gastmann, vista la sua enorme influenza in campo politico. Il sabato pomeriggio il commissario e Tschanz si recano ad interrogare un possibile testimone, e lo fanno con la Mercedes blu di Schmied, che Tschanz ha appena acquistato a rate. Si tratta di uno scrittore che conosce bene Gastmann e che si trovava al ricevimento tenutosi a casa sua la sera del delitto. Questo eccentrico personaggio, però, non si rivela in grado di fornire prove utili ai fini dell'identificazione dell'assassino. Durante il viaggio di ritorno, Tschanz confessa di aver nutrito per lungo tempo nei confronti di Schmied una profonda invidia, che lo ossessionava terribilmente. Bärlach inizia allora a mettere in moto tutti i meccanismi che determineranno il successivo

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sviluppo degli avvenimenti: aizza Tschanz contro Gastmann, facendogli intendere che, se riuscisse a trovare il colpevole dell'omicidio di Schmied, egli potrebbe definitivamente dimostrare la propria abilità nel campo della criminologia. La sera stessa qualcuno si intrufola nell'abitazione del commissario con l'intenzione di ucciderlo. La lotta notturna tra i due si conclude con la vittoria del commissario ma l'intruso riesce a scappare senza essere riconosciuto e lascia dietro di sé un solo indizio: portava dei guanti di pelle gialli. Tschanz, chiamato dal commissario, si precipita a casa di Bärlach. Egli, che con stupore del lettore non indossa dei guanti di pelle, assume però un atteggiamento ambiguo. Il giorno successivo, domenica 6 novembre, Bärlach ha un nuovo dialogo con Gastmann. In quest'occasione il commissario nota che il suo decennale nemico indossa proprio dei guanti di pelle gialli. Tuttavia questo si rivela un falso indizio. Gastmann, infatti, avrebbe avuto già in precedenza l'opportunità di uccidere il commissario. Anche questa volta lo lascia andare, pur minacciando che lo avrebbe ucciso se fosse sopravvissuto all'operazione. Durante questa seconda conversazione, Bärlach assume però un atteggiamento molto diverso nei confronti del suo nemico, dimostrandosi spavaldo e pieno di sé: sembra quasi che egli sia sicuro di aver vinto la scommessa. E in effetti, proprio in quest'occasione, il commissario avvisa Gastmann che il giorno stesso lo avrebbe fatto giustiziare dal proprio "boia", per di più per un delitto che egli non aveva mai commesso. A questo punto Gastmann prende sul serio le intenzioni di Bärlach e, per la prima volta da quando hanno dato avvio alla scommessa decennale, si appresta a darsi alla fuga. Successivamente avviene

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proprio ciò che Bärlach aveva annunciato. Tschanz promette alla fidanzata di Schmied che, quello stesso giorno, avrebbe arrestato l'assassino. Si reca quindi a casa di Gastmann e lo sfida, uccidendo lui e i suoi due servitori in uno scontro a fuoco. Tschanz sopravvive alla sparatoria, riportando solo lievi ferite. Si scopre anche che Schmied era stato ucciso con la stessa rivoltella trovata in mano ad uno dei servitori di Gastmann, uccisi da Tschanz. Il caso è chiuso: sembra che sia stato Gastmann a commissionare l'omicidio di Schmied, per nascondere ciò che il poliziotto aveva scoperto sul suo conto. Schmied ha quindi pagato con la vita l'ambizione di arrestare Gastmann, indagando in incognito e senza l'appoggio della polizia. La soddisfazione è generale. Tschanz può finalmente attendere una promozione e Bärlach ha vinto la sua scommessa, sebbene la sua promessa di fare arrestare Gastmann per un delitto che non aveva commesso finisca apparentemente nel vuoto. Nel penultimo capitolo assistiamo ad un colpo di scena: Bärlach invita Tschanz a cena per festeggiare con lui la promozione ottenuta. Durante un grottesco pasto, che celebra la sconfitta di Gastmann e la fine vittoriosa della scommessa, Bärlach rivela a Tschanz di essere a conoscenza, fin dall'inizio, del fatto che è stato lui ad uccidere Schmied. L'astuto commissario ha dunque sfruttato senza scrupoli l'invidia di Tschanz nei confronti di Schmied, per vendicarsi del suo acerrimo nemico. Tschanz è sconvolto. Vorrebbe uccidere il commissario, per eliminare l'unica persona al corrente dei fatti, ma questi lo ha battuto sul tempo: a quanto pare Lutz sa già che i due si trovano a cena insieme. Bärlach promette di non rivelare a nessuno la verità e il giovane poliziotto abbandona sconfitto la casa del commissario.

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Il mattino dopo Lutz si reca a casa del commissario per dargli la notizia dell'incidente mortale nel quale Tschanz ha perso la vita: è stato trovato morto nella sua vettura travolta da un treno tra Twann e Ligerz. Ma Lutz trova Bärlach in fin di vita a causa dell'enorme quantità di cibo che ha ingerito la sera precedente. Il commissario riesce a fatica ad ordinare di chiamare Hungertobel, per avvertirlo che si può procedere all'operazione.

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CAPITOLO 3 Il romanzo poliziesco 38


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3.1 BREVE STORIA DEL GENERE

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Il romanzo poliziesco è un genere narrativo che ebbe la sua massima diffusione nella prima metà del Novecento. Esso racconta sempre di un omicidio, di un investigatore e un aiutante, di un gruppo di indiziati e un insieme d’indizi. Prevede un'indagine e l'individuazione di un colpevole. Elementi che caratterizzano il romanzo giallo si possono rintracciare in alcuni testi delle letterature classiche, nella Bibbia, nelle favole di Esopo, negli antichi racconti persiani, nelle Mille e una notte; ma il “padre” riconosciuto del genere è lo scrittore americano Edgar Allan Poe (1809 – 1839). Nel 1841 pubblicò il racconto The Murders in the Rue Morgue (Gli assassini nella Rue Morgue), incentrato sulle indagini logiche e razionali di Auguste Dupin attorno ad un omicidio. Il libro ebbe un successo enorme e altri scrittori europei cominciarono a scrivere racconti di questo tipo. Si formarono due tendenze letterarie, una inglese ed una francese. Gli scrittori inglesi incentrarono i loro romanzi sullo svolgimento dell'inchiesta, il detective protagonista era un infallibile ragionatore. Ne è esempio Sherlock Holmes, detective dei romanzi di Sir Arthur Conan Doyle (1859 - 1930). Invece i francesi fanno del mistero il fulcro delle loro opere, privilegiano colpi di scena imprevisti e personaggi suggestivi. Da allora il genere ha conosciuto sempre più fortuna, dapprima di pubblico e poi di critica. Nel periodo compreso fra le due guerre mondiali (1920-1940) sia apre la cosiddetta “età d'oro” del romanzo giallo, che si estende in tutto il mondo. Questo genere narrativo seppur parta da presupposti comuni è diviso in diversi sottogeneri, dai confini spesso non ben definiti. Possiamo infatti incontrare termini come spy story, novel of manners, crossword puzzle type, thriller, detective novel, hard-boiled novel, legal thriller, medical thriller.


Numerosissimi gli autori che vi si sono dedicati e che hanno raggiunto fama mondiale, da Agatha Christie, creatrice dei personaggi di Hercule Poirot e miss Marple (1890-1976) il cui primo romanzo, Poirot a Styles Court è del 1920 a Georges Simenon (1903-1989), il creatore del Commissario Maigret, da Raymond Chandler (1888-1959), a Rex Stout (1886-1975), padre di Nero Wolfe; per arrivare ai giorni nostri e alle opere di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli. Il romanzo poliziesco è definito con vari nomi nei diversi stati: nei paesi anglo-sassoni si usa distinguere fra detective-, crime- e mistery stories. In Francia queste espressioni sono tradotte con policier, roman noir, criminel e in Germania con kriminalroman o detektivroman. In Italia vengono più comunemente chiamati “gialli”. Questo perché nel 1929 l'editore Arnoldo Mondadori creò una collana di narrativa di evasione che comprendeva diversi romanzi polizieschi. I libri di questa collana furono chiamati “Libri gialli Mondadori” per il colore della copertina, ed ebbero un enorme successo tali da definire il nome di un genere letterario. Con il termine “giallo classico” ci si riferisce a quei romanzi che seguono le precise regole costitutive del genere. Il prototipo del romanzo classico tradizionale è da individuare nelle opere di Agatha Christie ed Edgar Wallace, che scrissero fra il 1914 e 1939, nella cosiddetta “età dell'oro” per il romanzo poliziesco.

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3.2 LA STRUTTURA DEL “GIALLO CLASSICO”

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La struttura dei gialli tradizionali è standard, basata su un sistema di regole e su un gioco mentale logico, d’esattezza quasi matematica. La chiave è data dalla logica: il mondo rappresentato è sottoposto completamente alle leggi del raziocinio. La componente di mistero posta in primo piano è costituita in genere da un caso delittuoso di cui scoprire il colpevole. L'equilibrio iniziale è infatti stravolto da una brusca rottura, provocata dalle azioni di uno o più individui. Grazie ad un'indagine, si ristabilisce l'ordine. Sono quattro gli elementi che caratterizzano il romanzo giallo: il delitto, l'investigatore, l'indagine e la scoperta del colpevole. Il delitto è posto generalmente nelle prime pagine del racconto ed è l'enigma di partenza che fa scattare le indagini. L'investigatore è il personaggio centrale di un romanzo poliziesco, quello meglio caratterizzato, rappresentante della giustizia, che si impegna a risolvere il caso e trionfa sempre. L'indagine è il momento centrale della narrazione, in cui vengono ricostruite sulla base di indizi ed ipotesi le due storie che caratterizzano il romanzo, ossia ciò che avviene prima del delitto e l'inchiesta che ne segue. La scoperta del colpevole è la conclusione obbligata di ogni romanzo giallo, momento in cui il bene trionfa sempre sul male. Il colpevole è smascherato con prove inconfutabili ed è punito per la sua colpa. Importante caratteristica del romanzo poliziesco è la suspense, ossia la creazione di una forte aspettativa da parte del lettore, che porta ad un’accelerazione della lettura (pageturner), in modo da soddisfare più in fretta la curiosità di sapere come va a finire, appunto, la storia. È presente a livello generale, durante tutta la lettura, spesso si intensifica tra un capitolo e l’altro, quando agisce lo stesso principio della telenovela


che tende a far coincidere la fine di ogni episodio con il momento di massima concentrazione drammatica. L’espediente naturalmente non è nuovo al romanzo, ma nel caso dei gialli esso è assunto a vero e proprio principio costruttivo, per cui un romanzo giallo che non si faccia leggere tutto d’un fiato o non è un giallo canonico, o è del tutto mal scritto. S. S. Van Dine, pseudonimo di Willard Huntington Wright, noto autore di gialli, scrisse nel 1928 Twenty Rules for Writing Detective Stories (Venti regole per chi scrive romanzi polizieschi) pubblicate su American Magazine, che possono essere così riassunte: 1

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Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencate e descritte. Il lettore non deve essere ingannato, se non dai sotterfugi che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore. Non ci deve essere una storia d’amore troppo interessante, l’attenzione è rivolta alla scoperta di un criminale condotto poi davanti alla Giustizia. Né l’investigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali devono mai risultare colpevoli. Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni, non per caso o coincidenza. Risolvere un problema criminale in questo modo è come spedire il lettore sopra una falsa traccia. In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorio non ha risolto veramente il problema.

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In un romanzo poliziesco ci deve essere almeno un morto. Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici e razionali: niente sedute spiritiche o letture del pensiero. Un lettore può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali: se deve competere anche con il mondo degli spiriti e con la metafisica, è battuto “ab initio”. Nel romanzo ci deve essere un solo poliziotto. Mettere in scena più investigatori per risolvere il problema significa non soltanto disperdere l’interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c’è più di un poliziotto, il lettore non sa più con chi sta gareggiando. Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona divenuta familiare al lettore, che lo abbia interessato. I servitori non devono essere, in genere, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare. Nel romanzo deve esserci un solo colpevole, al di là del numero degli assassini. Egli può essersi servito di complici, ma la colpa e l’indignazione del lettore devono ricadere su un solo cattivo. Società segrete, associazioni a delinquere e simili sono da evitare in un romanzo giallo. I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. Vanno cioè senz’altro escluse la pseudo-scienza e le azioni puramente fantastiche.


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La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall’inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, se fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il libro sino alla fine. Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di “atmosfera”: tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l’azione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Occorre solo quel tanto di descrizione e di studio di carattere che è necessario per dare verosimiglianza alla narrazione. Un delinquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. Un delitto veramente affascinante è commesso da un personaggio insospettabile. Il delitto, in un romanzo poliziesco, non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. Terminare una odissea di indagini con una soluzione così irrisoria significa ingannare il lettore. I delitti devono essere provocati da motivi puramente personali. Una storia poliziesca riflette le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni.

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3.3 I PERSONAGGI

Non bisogna impiegare cliché già troppo usati e ormai familiari come: a) scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati; b) il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisca il colpevole e lo induca a tradirsi; c) impronte digitali falsificate; d) alibi creato grazie a un fantoccio; e) cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia; f) il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente; g) siringhe ipodermiche e bevande soporifere; h) delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso; i) associazioni di parole che rivelano la colpa; j) alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra.

La vittima La vittima non è mai troppo importante, riveste un peso minimo all’interno dell’economia narrativa del romanzo giallo. La sua descrizione non è accurata, ma viene ridotta esclusivamente alla funzione di elemento cagionatore delle indagini. Il detective Il detective, che sia un investigatore privato o un agente di polizia, è l’incarnazione della ragione. Il suo lavoro è costituito dalla raccolta degli indizi, dal loro ordinamento e dalla risoluzione dell’enigma. È un “eroe”, dotato di qualità eccezionali di intelligenza, perspicacia, intuizione, preparazione scientifica e umanistica. Molto spesso è eccentrico e di estrazione sociale elevata. Può non sottostare alle regole della

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polizia ufficiale e di solito non gli accade nulla di pericoloso. Il motivo della sua attività è principalmente il desiderio di giustizia. È sempre vincente, portatore di valori positivi che sono superiori al male. L'aiutante Accompagna fedelmente l'investigatore che impersona l’uomo comune, di intelligenza media, che si confonde spesso e, se scopre qualcosa, lo fa per caso. Si pone tra il detective e i recettori dell'opera in qualità di accompagnatore. È un ideale rappresentante del lettore-medio che agisce sulla scena. Il colpevole È la figura più enigmatica dell'opera che rimane in ombra fino alla fine. Il colpevole deve avere la stessa statura intellettuale del buono, essere un indiziato, e non può essere né l’investigatore né la sua spalla. Spesso gli indizi iniziali sembrano designare quasi con certezza un colpevole, il quale assume il ruolo di maggiore indiziato, che non coincide con il vero cattivo.

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3.4 L’AMBIENTE E LA SOCIETÀ

La maggior parte dei romanzi gialli sono ambientati in un mondo fittizio, in un luogo circoscritto. Altri romanzi, al contrario, cercano di fornire elementi realistici. Tuttavia, in genere, un giallo deve contenere solo quel tanto di descrizione ambientale che dia verosimiglianza alla narrazione. Vengono privilegiati i luoghi circoscritti (un'isola, una casa, un villaggio). La realtà sociale rappresentata è vista in modo ottimistico: ogni delitto è dovuto a moventi puramente personali, che sono sempre scoperti e puniti. Il lieto fine garantisce il ritorno all'equilibrio iniziale, la società è al sicuro.

3.5 LO STILE DI SCRITTURA

Dal punto di vista della scrittura molti gialli si assomigliano. Presentano struttura narrativa snella, asciuttezza del discorso, paratassi, basso tasso di figure, rapida alternanza fra dialoghi e parti descrittive, focalizzazione esterna, predominio dell’azione sull’introspezione.

3.6 Quella del giallo è una macchina narrativa molto RAPPORTO CON particolare e consiste, almeno nelle sue versioni più IL LETTORE classiche, in un gioco di intelligenza, simile a quello del rebus e del cruciverba, che si attua innanzi tutto sul terreno della fabula. Si tratta di un gioco razionale, l'autore comunica con un lettore disposto a imparare, ad analizzare il caso autonomamente, a tentare di battere sul tempo l'investigatore. Il lettore partecipa “attivamente” alla soluzione del caso. Nel giallo ideale, investigatore e lettore si trovano in una sorta di competizione fittizia, ispirata al concetto di Fair Play Rule (regola del gioco ideale): questa prevede che entrambi vengano messi nelle stesse condizioni

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di risolvere il mistero e l'identitĂ del colpevole. Tutti gli indizi e le tracce devono apparire chiari. Al lettore vengono anche forniti dei falsi indizi (detti red herrings) che mirano a rendere imprevedibile la soluzione dell'enigma. Tuttavia l'autore non deve mai ingannare il lettore, deve permettere che il mistero venga risolto attraverso logiche deduzioni: non per caso o coincidenza ma con metodi strettamente razionali. La soluzione del problema deve essere sempre evidente. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall'inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole e che, se fosse stato perspicace come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sĂŠ, senza leggere il libro sino alla fine.

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CAPITOLO 4

Dürrenmatt e l’abbandono degli schemi 50


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4.1 CONFORMITÀ E DIFFERENZE DAI GIALLI CLASSICI

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Dürrenmatt appartiene a quel gruppo di scrittori non specializzati nel romanzo poliziesco (come Leonardo Sciascia, Carlo Emilio Gadda, William Faulkner, Jorge Luis Borges e altri), ma che lo hanno utilizzato come pretesto per descrivere la loro visione del mondo. Per loro è impossibile sviluppare ulteriormente il genere letterario poliziesco, poiché nel mondo moderno non esiste più il confine fra Bene e Male, che era il presupposto di queste storie. Infatti Dürrenmatt critica la produzione poliziesca tradizionale perché tende a falsificare la realtà, è troppo astratta ed idealizzata, sterile ed analitica. Egli vuole smascherare l'ipocrisia che si nasconde dietro alcuni valori portanti dell'ideologia borghese, relativizzando i concetti di giustizia, vita, fede, speranza, nichilismo, destino. L'imprevedibilità del caso che regola l'esistenza fa sì che il mondo appaia irrazionale, non regolabile dalla razionalità o dalla scienza, o tanto meno da un disegno divino. Si arriva alla conclusione dell'impossibilità della logica razionale a penetrare all'interno del mistero del comportamento umano. La sfida intellettuale, insita nel genere, si allaccia alla denuncia politica e la ricerca dell'assassino diviene un'occasione per analizzare la corruzione della borghesia. Infatti attraversano velocemente il testo politica, economia, storia svizzera, finte identità. Dürrenmatt vuole che il suo libro stia all'interno di un genere, anche se le innovazioni e i temi trattati esprimono una visione del mondo opposta a quella che emerge dai gialli classici, lontano dall'ottimismo positivista: per l'autore nella realtà non possono esistere catene di senso, poiché regna il principio del caos. In queste condizioni, se si ha un lieto fine è solo merito del caso.


Il giudice e il suo boia recupera lo schema del giallo classico: omicidio, investigazione, soluzione e spiegazione. Trama e antecedenti si combinano logicamente tra loro e si sviluppano attraverso le indagini dell'investigatore. Sembra che le pagine siano fluide, terse, con le loro precise indicazioni di tempo e, soprattutto, di spazio; che non ci sia molto oltre lo scritto esplicito, che si verrà condotti per mano in una storia gialla. È usata la focalizzazione esterna, tipica del poliziesco (il narratore ne sa meno dei suoi personaggi). L'identità dell'assassino viene rivelata solo alla fine e la risoluzione del delitto rispetta ancora lo schema classico della soluzione improbabile e stupefacente: non è stato il criminale Gastmann ad uccidere Schmied, ma l'insospettabile poliziotto Tschanz. Nel romanzo ci sono inoltre diverse allusioni ad altri gialli famosi: l'aggressione del cane al commissario ricorda quella del mastino di Baskerville in uno dei romanzi di Sherlock Holmes, il banchetto finale allude alle cene di Nero Wolfe, il pugnale esotico è una variante del pugnale caucasico, elemento ricorrente nella narrativa gialla. Anche il commissario Bärlach somiglia ad altri famosi investigatori: la sua umanità ricorda quella di Marlowe (l'investigatore privato inventato da R. Chandler) e quella del commissario Maigret. Come Marlowe non ha legami d’alcun genere, non ha parenti né amici, Come Maigret è in lotta con i suoi superiori ed agisce da solo, secondo la sua intuizione. Tuttavia esistono anche sostanziali differenze dai gialli classici, la problematica affrontata non si limita alla risoluzione di un caso, ma è posta su un piano più ampio, quello etico, filosofico ed ideologico. Gli autori classici non lasciavano mai che i colpevoli ap-

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partenessero a determinati gruppi sociali, come dottori, ecclesiastici, uomini di legge e tutte quelle categorie su cui si basa la solidità dello stato borghese. Invece nel romanzo di Dürrenmatt i primi ad essere corrotti sono i poliziotti, coloro che dovrebbero far rispettare la giustizia. La figura del detective è ancora in primo piano tuttavia non è più descritto come un eroe, ma come un uomo vecchio e debole, moralmente e fisicamente. È determinato a dominare il mondo con la logica, l'intuizione, ma è destinato a soccombere, perché il mondo è dominato dall'imprevisto. Del resto nessuno dei personaggi di Dürrenmatt è senza colpe ed essi hanno spesso un comportamento inconsueto e appaiono incompetenti nel loro lavoro. Il luogo dell'azione non è più limitato, ma le azioni si svolgono nella concreta realtà Svizzera. In questo modo l'avvenimento il delitto è inserito in un'atmosfera di quotidianità, non è più un fatto eccezionale e comunica un senso di inquietudine sociale. Per quanto riguarda il rapporto con il lettore, viene così a mancare il tradizionale Fair Play Rule in quanto, già all'inizio del libro, Bärlach sembra conoscere l'identità del colpevole in anticipo rispetto al lettore.

4.2 LA SCELTA DEL LUOGO

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Il giudice ed il suo boia, come gli altri romanzi di Dürrenmatt, è ambientato concretamente nella realtà svizzera. La vicenda si svolge nel cantone di Berna, nella regione attorno a Ligerz, ben conosciuta da Dürrenmatt poiché visse in quei luoghi per molti anni. I riferimenti a paesi, luoghi, percorsi sono numerosi in tutto il testo e veritieri. Lamboing è una cittadina svizzera che dista circa 5 km dal lago di Bienne, nel cantone di Berna. Il Tàssenberg è un vallone


del Giura, tra la catena dello Chasseral e quella che costeggia a nord ovest il lago. Twànnbach è il corso d’acqua che scende verso Twann, ai bordi del lago di Bienne. Anche le due strade che percorre Tschanz per raggiungere Lamboing da Berna sono rintracciabili. Infatti la prima, in direzione nord-ovest, prosegue uscendo da Berna sulla grande arteria periferica dell’Argauerstalden ed è la più rapida. La seconda che procede invece verso ovest e passa da KèrzersIns-Erlach è il tragitto più lungo e meno veloce.

Segnaletica nelle vicinanze di Ligerz, che riporta i nomi di diversi paesi in cui è ambientato il romanzo.

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Più che sulla descrizione fisica dei personaggi e dell’ambiente sociale in cui essi si muovono, Dürrenmatt sembra dilungarsi sul paesaggio svizzero, sia cittadino che rurale. Le descrizioni paesaggistiche rispecchiano l’esperienza espressionistica di Dürrenmatt, che mira a descrivere un mondo in cui l’ordine è andato perduto, dove domina il caos, sia nei rapporti umani, sia nel destino dei singoli individui, sia nelle leggi che regolano la storia. Le descrizioni infatti sono ricche di sfumature spettrali, spesso addirittura utilizza richiami e metafore appartenenti alla sfera della morte e del macabro, che fanno assumere alla realtà dei toni fortemente irreali. Ne è esempio questa descrizione di Berna: Il giorno saliva chiaro e enorme; la sfera bianca del sole proiettava ombre lunghe e recise sulle strade. Come una bianca conchiglia imbevuta di luce, contratta nei suoi vicoli, la città si distendeva al sole, un mostro enorme che partoriva gente, la disperdeva, la inghiottiva, senza tregua. Il mattino era sempre più limpido, uno scudo di luce sui rintocchi delle campane.1 (p. 94) La sensazione di inquietudine che deriva dalla descrizione paesaggistica non è legata al mistero su cui è incentrato il romanzo; essa va oltre il caso specifico, costituendo una peculiarità dell’ambiente svizzero. In quanto tale, questa sensazione negativa non svanisce con la soluzione del caso, ma persiste nell’aniFriedrich Dürrenmatt, Il giudice e il suo boia, Milano, Universale Economica Feltrinelli, 2007, 19 ed. NdA: Per le successive citazioni, ove non specificato, ci riferiamo all’opera sopra citata.

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mo del lettore, che, in questo modo, non riesce a raggiungere quella “catarsi”, quella riconciliazione con la società, cui il romanzo classico anelava. Dürrenmatt sostiene che compito dello scrittore è anche quello di osservare e criticare la società in cui si vive. L’immagine della Svizzera che ne risulta, è quella di uno stato esageratamente solido e angusto, il cui ordine e la cui essenzialità risultano quasi disumani. Per rappresentare efficacemente la società odierna in tutte le sue sfumature sociali e morali, bisogna rinunciare irrevocabilmente ad uno dei canoni tipici dello schema romanzesco tradizionale, vale a dire la limitatezza, o addirittura l’isolamento, del luogo dell’azione. Inserendo l’avvenimento eccezionale - il delitto - in un’atmosfera di quotidianità, la vicenda perde la propria “straordinarietà”, comunicando una sensazione di inquietudine sociale. Anche il modo di scrivere il romanzo reca le tracce dell’ambiente in cui si svolge il racconto e in cui è cresciuto Dürrenmatt. Elisabeth Brock-Sulzer individua come peculiarità di questo romanzo il suo legame con l’ambiente e la tradizione svizzera. La studiosa evidenzia il carattere locale dell’opera, che risulta dall’ambientazione nel cantone di Berna, dall’uso di numerosi “elvetismi” e dal tono particolarmente dialettale del linguaggio (lo stesso Bärlach è dotato di un forte accento bernese). La volontà di riallacciarsi alla tradizione è testimoniata anche dall’introduzione di alcuni versi in bernese appartenenti ad una canzone medievale, quando si svolge il funerale della vittima.2

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Elisabeth Brock-Sulzer, Friedrich Dürrenmatt. Stationen seines Werkes, Zürich, Diogenes, 1986.

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4.3 LA VITTIMA

In questo romanzo sono uccise quattro persone: l’ispettore di polizia Schmied, Gastmann e i suoi due servi. Tralasciando quest’ultimi, che hanno un ruolo marginale nella vicenda, possiamo osservare che le prime vittime sono ben differenti fra loro. Schmied è una vittima innocente, non gli viene attribuita nessuna colpa. Di lui sappiamo ben poco: non è caratterizzato fisicamente, aveva genitori ricchi, era educato, istruito e considerato un buon poliziotto. Conduce una doppia vita: indaga in incognito circa i loschi affari di Gastmann, sotto il nome di Dott. Prantl, circostanza che fornisce a Tschanz la possibilità di addossare al criminale l’assassinio da lui commesso. È difatti il suo collega Tschanz, di cui Schmied si fidava, che lo uccide. In questo romanzo anche Gastmann è una vittima. Tuttavia verrà analizzato come assassino, in quanto il suo omicidio avviene solo alla fine di un’esistenza criminale accuratamente descritta; nel suo caso, quindi, la morte sopraggiunge come espiazione per i delitti commessi.

4.4 IL DETECTIVE

Il commissario della polizia statale di Berna, Hans Bärlach, non corrisponde assolutamente al modello del detective classico, il cosiddetto “super-detective”. È descritto come un uomo sulla sessantina, al limite della pensione, malato di cancro, a cui resta solo un anno di vita. Anche il suo comportamento non è propriamente quello di un buon detective: egli istiga un uomo, prima a commettere un omicidio, e poi a suicidarsi. Bärlach si presenta quindi come un “Antieroe”, il quale non offre al lettore nessuna possibilità di identificazione. Solitario, taciturno e conservatore, vive da solo in una casa nell’Altenberg, a Berna. Sem-

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bra non avere molti interessi o amicizie, concentra tutte le sue forze nella personale lotta contro il male. È dotato di una vasta cultura, come dimostrano le allusioni alla sua conoscenza della mitologia greca: “Caronte trasportava i morti nell’altro mondo […]” (p. 26) e della musica classica “[…] tese l’orecchio e capì che qualcuno stava suonando Bach” (p. 32). Un’altra sua passione è l’arte culinaria; ma proprio i piaceri del palato gli sono severamente vietati, in quanto, a causa di un grave cancro allo stomaco, è costretto a seguire una dieta severa. La sua malattia è per lui fonte di angoscia, poiché è consapevole della sua impotenza di fronte a essa. La certezza di dover morire entro un anno lo riempie di “implacabile brama di vita” (p. 94). Questa precaria condizione lo porta a riflettere sulla limitatezza dell’esistenza umana, per cui di fronte ai forti dolori causati dalla malattia si chiede “Cos’è l’uomo?”, […] “Cos’è l’uomo?” (p. 72). La decadenza fisica di Bärlach è in forte contrasto con la sua intelligenza e attenzione nell’indagare la realtà: Tschanz […] chinò gli occhi a guardare quella sagoma grigia sdraiata, quell’uomo vecchio e stanco, quelle mani abbandonate accanto al corpo come fiori appassiti accanto a un cadavere. Poi vide gli occhi di Bärlach. Calmi, chiari e impenetrabili lo fissavano. (p. 90) Bärlach affronta con impegno i casi, la sua stessa vita è una lotta contro il mondo perché solo combattendo può sentirsi vivo. È descritto come “cacciatore” (p.101) e come “una tigre che gioca con la sua vittima” (p. 105). Lo stimolo all’azione gli deriva pertanto da un’esigenza personale, egoistica. Dietro questo temperamento

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tenace e combattivo, si cela la vera identità di Bärlach, che si rivela nella scena finale del romanzo: […] mangiando senza tregua, come se avesse voluto ingozzare tutte le pietanze di questo mondo, stritolandole tra le mandibole, un demonio che saziava una fame infinita. Sulla parete, ingrandita due volte in un ombra selvaggia, la sua sagoma, i gesti bruschi delle sue braccia, il movimento della testa, come la danza trionfale di un capo selvaggio. (p. 103) Il vecchio commissario si trasforma così in un vecchio spaventoso, in un “divoratore diabolico” (p. 104), la cui mostruosità è espressione della disperata volontà di resistere ad ogni costo alla condizione terrena. Si viene pertanto a creare un ulteriore contrasto tra quest’immagine “diabolica” di Bärlach e la sua posizione sociale. Il commissario fa parte del ceto medio, è un personaggio convenzionale. Nonostante la limitatezza della sua vita professionale, egli è tuttavia riuscito a crearsi un’autonomia che gli consente di agire senza eccessivi condizionamenti esterni. Egli rifiuta categoricamente qualsiasi atteggiamento di subordinazione; già nel 1933 dovette abbandonare il servizio in Germania e tornare in Svizzera, a causa di uno schiaffo rifilato ad un funzionario del nuovo governo tedesco. Il suo comportamento irriverente si mostra anche nei confronti del giudice indagatore Lutz e del consigliere nazionale von Schwendi: “Poi si accese un sigaro e si avviò verso l’ufficio di Lutz. Sapeva che il “capo” si arrabbiava ogni volta per quei sigari” (p. 13), “[…]naturalmente senza bussare” (p. 54) entra nella stanza del suo capo e ne esce senza nemmeno

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salutare. Bärlach, quindi, si dimostra asociale non solo nel campo privato, ma anche in quello lavorativo. È riluttante ad obbedire agli ordini dei suoi superiori, affronta privatamente criminali ed indagati, non condivide i sospetti con il suo assistente. Per quanto riguarda i metodi seguiti nel corso delle indagini, Bärlach presenta alcuni tratti in comune con il great detective della tradizione “vittoriana”. Procede secondo un ragionamento puramente deduttivo e non scarta nessuna possibilità. Ciononostante, i metodi di Bärlach non sono incentrati principalmente sulla ricerca di prove concrete e dimostrabili ed è scettico nei confronti della criminologia moderna. I suoi metodi si basano soprattutto sull’indagine psicologica e sull’intuizione immediata. Rivolgendosi a Tschanz, egli afferma: […] il mio sospetto non è un sospetto, diciamo, criminologicamente scientifico. Non ho alcun fondamento che lo giustifichi. Lei ha visto che non so quasi nulla di tutta la faccenda. In realtà ho soltanto un’idea di chi potrebbe esser preso in considerazione come assassino; ma costui non mi ha ancora fornito le prove. (pp. 21-22) Il vecchio commissario influenza e manipola abilmente Tschanz sotto il profilo psicologico, nel finale del romanzo gli svela: “Tutto quello che ho fatto l’ho fatto col proposito di spingerti all’estremo della disperazione” (p. 107). Con le stesse intenzioni mette in allerta Gastmann con parole inquietanti:

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Tu non mi ammazzerai. Io sono l’unico che ti conosca e quindi sono anche l’unico che ti possa giudicare. Ti ho già giudicato, Gastmann, ti ho condannato a morte. Tu non vivrai oltre questa sera. Il boia che ho scelto per te, verrà oggi a cercarti. E ti ucciderà perché, in nome di Dio, bisogna pure che qualcuno lo faccia. (p. 93) I motivi che spingono Bärlach all’indagine sono di vario genere. Un motivo per cui insiste nelle indagini è la natura ludica di questo personaggio, disposto a tutto pur di vincere la scommessa con Gastmann. È spinto anche dal gusto per l’avventura e dall’impulso all’auto-gratificazione, egli stesso dice: “Sono un vecchio gatto nero, e mi piacciono i topi” (p. 21). D’altra parte, ciò non esclude l’influsso di motivazioni di carattere etico, agisce anche perché mosso da sete di giustizia, vuole scoprire “la verità e basta” (p. 79). Ma questa integrità morale spesso non è confermata dai suoi stessi comportamenti. Per certi versi Bärlach può sembrare uno di quei detective “giustizieri” della tradizione che si battevano contro il male con ostinazione e coraggio, infischiandosene delle norme della legge. Tuttavia, sebbene egli metta la propria cultura ed il proprio acume al servizio della legalità, si distingue radicalmente da loro. Alla base dell’inflessibile impegno di Bärlach non vi è un obbligo morale ma l’ostinata volontà di sopravvivere a questo mondo e lottare contro il suo male. Affronta il Caso come se fosse una sfida personale, mettendo alla prova se stesso e le sue capacità. Arriva a sfruttare anche altre persone - Schmied, Tschanz - in funzione del suo “gioco”, quasi fossero figure di una scacchiera.

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Bärlach lotta sì in nome della giustizia, ma si lascia a sua volta coinvolgere dal fascino dell’illegalità, rendendosi a sua volta colpevole: “Così il Male l’aveva sempre ripreso nel suo cerchio, il grande enigma, una fascinosa tentazione di risolverlo” (p. 33). Accettando la scommessa con Gastmann, è consapevole che il suo nemico avrebbe dovuto commettere un delitto per vincere. Lo stesso Gastmann afferma: “La tua probità non è mai stata indotta in tentazione, ma essa, la tua probità, ha indotto in tentazione me” (p. 63). Quando poi il commissario si rende conto che gli rimane ormai poco tempo, si rende nuovamente colpevole, arrivando addirittura a beffarsi della legge e dello stesso principio della giustizia: “Non sono mai riuscito a punirti per i delitti che hai commesso, ora pagherai per un delitto che non hai commesso” (p. 93). Bärlach riesce a giustiziare Gastmann, si pone come giudice e boia nei suoi confronti: ne decreta la condanna a morte e istiga un boia contro di lui. Non si accontenta di consegnare il criminale alla giustizia, vuole che egli paghi con la sua stessa vita le colpe di cui si è macchiato. Ma la vittoria di Bärlach è solo apparente. Non si realizza infatti la sua convinzione sulla quale aveva scommesso, cioè che prima o poi tutti i delitti vengono scoperti. Il commissario subisce una doppia sconfitta, in quanto i reali crimini di Gastmann rimangono impuniti di fronte alla legge. In secondo luogo, a ulteriore riprova dell’inesattezza della sua tesi, non viene scoperta neanche la personale colpa di Bärlach nella morte di Gastmann. Il fallimento di Bärlach va messo in relazione anche con l’individualismo che lo caratterizza. Invece di collaborare con le istituzioni statali nella lotta contro la criminalità, si oppone al Male individualmente. Si è isolato per combattere contro l’insensatezza del

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mondo, da singolo individuo staccato dalla massa. Egli accetta umilmente la propria sconfitta; alla vista del cadavere di Gastmann, […] ora non restava al Vecchio che ricoprirlo, stancamente; era come un umile preghiera di dimenticare, l’unica grazia che possa placare un cuore lacerato da un fuoco feroce. (p. 101) 4.5 L’ASSASSINO

Friedrich Dürrenmatt, Minotauro, ca. 1975, tecnica mista, 22x19 cm.

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Dürrenmatt considera l’assassino contemporaneamente come “boia” e “giudice”. Boia perché porta a compimento delle condanne a morte, giudice perché il criminale si prende la libertà di decidere della sorte della vita altrui. Nella figura dell’assassino si rispecchia la visione di Dürrenmatt dell’uomo moderno che è, contemporaneamente, limitato nelle azioni in quanto fa parte di una società con precise leggi e libero come individuo, desideroso di realizzare le proprie ambizioni. L’assassino dei romanzi di Dürrenmatt è diverso da quello dei romanzi classici. Quest’ultimo era considerato fondamentalmente un uomo buono che per moventi concreti - denaro, amore o paura - era portato a compiere il Male. Ciò consentiva di evitare di sfociare in una discussione etica o morale. Nei romanzi di Dürrenmatt, invece, la moralità dell’uomo è dominata dal Caso, non c’è più una netta distinzione tra Bene e Male. Nel romanzo incontriamo tre figure di assassini. Il commissario Bärlach, come abbiamo già detto, non uccide nessuno con le sue mani, ma istiga altre persone a compiere un omicidio. Vediamo ora le caratteristiche degli altri due assassini, Gastmann e Tschanz.


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Gastmann Gastmann è descritto fisicamente con pochi dettagli: “una faccia quasi da contadino, tranquilla e chiusa, occhi profondi nel viso ossuto ma tondeggiante sotto i capelli corti” (p. 60). A tredici anni abbandona il paese di Lamboing per condurre la propria esistenza nell’oscurità, al di sopra della legge, ora da emarginato, ora da persona ricoperta di onori: “mi sono divertito a fare il bene quando ne avevo voglia e tornavo a fare il male quando mi saltava in testa. Uno spasso avventuroso!” (p. 60). Vive la vita come un gioco, un’avventura, è portatore di una specifica visione del mondo, secondo la quale è il Caso che determina la bontà o la malvagità delle azioni umane. Per lui non esistono valori morali, etici e sociali. È un nichilista, ritiene che l’esistenza umana non abbia alcun senso e, conseguentemente, assume nei suoi confronti un atteggiamento di totale indifferenza: “in lui sono sempre possibili due cose, il bene e il male, è il caso che decide” (p. 60). E ancora: “In lui il male non è l’espressione di una filosofia o di un impulso, bensì della sua libertà: la libertà del nulla” (p. 77). La stessa scommessa con Bärlach, che intreccia vicendevolmente e indissolubilmente le loro due esistenze, viene intrapresa più per contraddire che per convinzione. Tschanz Tschanz è un assassino tradizionale, spinto da motivazioni di carattere sociale e psicologico. La sua “faccia bonaria e rotonda” (p. 18) nasconde una personalità inquietante, caratterizzata dall’invidia, ambizione, gelosia e odio nei confronti del suo collega Schmied. Queste sono lo motivazioni che lo spingono al primo omicidio. Egli si sente socialmente discriminato perché Schmied - che, contrariamente a lui, era figlio

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di genitori ricchi - aveva ricevuto un’istruzione migliore e la possibilità di intraprendere una brillante carriera lavorativa: Per anni io ho vissuto nell’ombra […] per anni mi hanno trascurato, disprezzato, considerato una merda, il fattorino mi hanno fatto fare! […] Soltanto perché aveva fatto le scuole! Soltanto perché sapeva il latino. (p. 80) Tschanz prova una profonda antipatia verso le persone che sono intellettualmente superiori a lui, come Schmied e lo Scrittore. Per compensare il suo complesso di inferiorità ostenta sicurezza nel guidare a velocità esagerata, parlando con un tono di voce alto e deciso, portando sempre con sé il suo revolver. Dopo aver ucciso il suo rivale, tenta di sostituirsi a lui appropriandosi dei suoi averi: il cappello, il cappotto, la macchina ed addirittura la sua fidanzata. La volontà di scagionarsi definitivamente lo induce alla realizzazione del secondo crimine. Con il successo ottenuto con il primo delitto, il forte complesso di inferiorità di Tschanz si trasforma improvvisamente in mania di grandezza. Compiaciuto e soddisfatto di sé, Tschanz manifesta rispetto e ammirazione nei confronti dell’assassino di Schmied e per il “misterioso” criminale che aveva attentato alla vita del commissario: Schmied era appunto caduto vittima di un assassino che doveva essere più furbo della polizia di Bienne e di Neuenstadt […] “Io non sospetto nessuno”, disse Tschanz. “Ma rispetto quello che ha ucciso Schmied; […]” (p. 29)

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4.6 LA POLIZIA

Quasi sempre nei romanzi gialli compaiono poliziotti e rappresentanti del potere esecutivo. La ricorrente situazione in cui la polizia brancola nel buio funge da contrasto alla figura del detective che conduce le indagini individualmente giungendo a scoprire il colpevole. Anche nei romanzi di Dürrenmatt la goffaggine dell’apparato poliziesco è messa in risalto dai comportamenti delle forze dell’ordine che non solo si dimostrano poco professionali, ma sono anche corrotti, e fautori di una giustizia arbitraria e paradossale, traviati da sentimenti come la gelosia e l’invidia. Clenin, il poliziotto che trova il cadavere di Schmied agisce in modo davvero dilettantesco intaccando la scena del crimine. Il lettore rimane sconcertato quando lo stesso commissario Bärlach si complimenta con l’incompetente Clenin: “I morti si portano via, non hanno più niente da fare tra noi. Ha fatto benissimo a portare Schmied a Bienne” (p. 16). Lo stesso si potrebbe dire circa il comportamento di Bärlach durante il primo sopralluogo quando, dopo aver trovato una pallottola di revolver, afferma che si è trattato solo di un puro caso. Del resto egli non è convinto dell’efficienza della criminologia, al contrario del giudice istruttore, Dott. Lucius Lutz. “La polizia” rispose Lutz “ha scoperto quasi tutti gli assassini, ciò è statisticamente provato. […] ” (p. 46) Tuttavia anche lui si rende conto che l’apparato poliziesco svizzero è corrotto e molto arretrato rispetto a quello di altri Paesi.

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[…] aveva avuto contatti con la polizia di New York e di Chicago, ed era scandalizzato “dello stadio preistorico degli organi di difesa contro la delinquenza nella Capitale della confederazione Svizzera […] (p. 10) […] in questo paese la criminologia è ancora in fasce […] (p. 14) Ora però è stato ucciso un tenente di polizia, un segno sicuro che anche da noi l’edificio della pubblica sicurezza comincia a scricchiolare; occorre intervenire subito e senza pietà. (pp. 14-15) Anche Lutz contribuisce alla debolezza della polizia e si lascia corrompere dal suo compagno di partito, il potente consigliere nazionale, colonnello e avvocato legale von Schwendi. Attraverso il confronto fra i due, vengono fuori i risvolti politici dell’apparato poliziesco. In questa scena si sottolinea come la polizia non possa nulla nei confronti degli interessi del capitale, ai quali deve necessariamente piegarsi. Senza nessuna obiezione si lascia chiamare con i diminutivi “Lutzino” e “Dottorino” e limita le indagini del caso Gastmann. I motivi che giustificano un tale atteggiamento di sottomissione da parte di Lutz sono da individuare in un certo timore nei confronti del potere, unito ad un’alta considerazione nei confronti della posizione sociale ricoperta da von Schwendi e dal suo ricco cliente Gastmann. Con il suo atteggiamento Lutz conferma l’ineguaglianza sociale di fronte alla legge e si rende colpevole di violazione del diritto.

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CAPITOLO 5 Il progetto 70


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5.1 IDEA PROGETTUALE

Il giudice e il suo boia, già dalle prime pagine, appare come un giallo classico: è stato commesso un delitto e la polizia comincia un'indagine per scoprire l'assassino. La lettura è ricca di suspense, sono forniti degli indizi sul caso, il lettore si sente messo nelle condizioni di poter competere con l'investigatore per risolvere il mistero. Tuttavia il romanzo non è propriamente un giallo: ben presto ci troviamo di fronte ad anomalie nel comportamento dei personaggi, sembra che alcuni elementi siano del tutto casuali, viene a mancare il cosiddetto fair play rule fra lettore ed investigatore. Ho scelto di incentrare il mio progetto sulle dualità insite nel romanzo, che si possono esplicitare in: - giallo classico: schema narrativo classico, coinvolgimento del lettore nelle indagini, intrattenimento, finale in cui il Bene trionfa sul Male; - innovazioni e pensiero di Dürrenmatt: introduzione nel genere di nuovi temi (quali la giustizia, l'uomo, il caos), impossibilità per il lettore di seguire le indagini con la logica, finale che non sancisce la vittoria del Bene sul Male. Nel progetto ho cercato di enfatizzare entrambi i poli che caratterizzano il romanzo, così da far scontrare le aspettative del lettore con ciò che l'autore gli propone. Dovendo sottolineare le convergenze con il giallo classico, ho cercato di invitare il lettore ad indagare, ad avere un rapporto ludico con il romanzo. Per far ciò sono intervenuta sul formato stesso del libro, avvicinandolo alla forma di un block notes che, per tradizione, è un classico strumento di supporto alle indagini di un detective. Inoltre ho fornito al lettore degli aiuti per le indagini - alcune mappe - e ho evidenziato nel testo, oltre all'apparizione dei perso-

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naggi, gli indizi che possono essere utili a compilarle, in modo da aver una chiara idea delle relazioni e giungere quindi alla scoperta del colpevole. Tuttavia il lettore si scontrerà con l'evidenza dei fatti descritti dall'autore. La mappa delle relazioni, una volta compilata, apparirà come un groviglio di fatti casuali, il finale lo lascerà sopraffatto. Da qui potrà prendere spunto la riflessione del lettore sui temi che l'autore intendeva trasmettere, sfruttando i canoni del romanzo poliziesco. Il mio secondo intervento sul libro mira proprio a far intuire i temi cari a Dürrenmatt che permeano il romanzo. Infatti ho scelto di inserire all'inizio di ogni capitolo delle citazioni prese da discorsi, saggi e altre opere di Dürrenmatt, le quali sono legate al contenuto di ogni capitolo che precedono e possono fornirne una chiave di lettura alternativa.

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5.2 FORMATO E IMPAGINAZIONE

Il formato del libro è di 17 x 24 cm. Può essere realizzato da un formato carta (e macchina) di cm. 70 x 100. Ciò significa che il foglio macchina è stato ripiegato su sé stesso fino a formare 16 pagine “in bianca” e 16 pagine “in volta” (fronte-retro), ovvero un sedicesimo. In questo modo si evitano sprechi di carta. Si è scelto di rilegare il libro con una spirale metallica. In relazione al formato della pagina e al tipo di rilegatura, ho creato una gabbia tipografica impostando i margini e dividendo la pagina in tre colonne. La colonna più esterna è vuota, le altre due sono occupate dal testo. I margini sono così definiti: Margine interno: 25 mm Margine esterno: 20 mm Margine superiore: 20 mm Margine inferiore: 20 mm La rilegatura a spirale metallica richiede un margine interno più ampio. Il margine esterno della pagina si va a sommare alla terza colonna della gabbia, creando una colonna di spazio bianco larga circa 60 mm. Ho lasciato un margine così ampio in modo da lasciar spazio alle annotazioni del lettore, che indaga sul caso. La scelta della rilegatura a spirale, insieme alla scelta della carta e all’impaginazione, mira a far percepire il libro come un taccuino su cui prendere appunti, come insegnano gli investigatori dei classici della letteratura gialla.

Aspetto del libro chiuso ed aperto.

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margine superiore 20 mm

linea di inizio capitolo 78 mm

margine esterno 20 mm

margine interno 25 mm

colonna per notazoni

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margine inferiore 25 mm


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colonna per notazoni

numero di pagina

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5.3 CARTA

Pubblicando un libro, è sempre molto importante prestare attenzione al tipo di carta utilizzata, poiché anch’essa influisce sulla percezione dei contenuti e, se ben scelta, contribuisce al piacere della lettura. Per la parte testuale del mio libro ho scelto una carta uso mano leggermente ruvida colore avorio, 120 gr. Essa, come detto in precedenza, vuole far percepire il libro come un taccuino su cui prendere appunti dell’indagine. Per le citazioni poste ad inizio capitolo ho scelto invece di usare una carta traslucida con gradazioni di colore che vanno dal bianco al rosso. Traslucida perché il pensiero di Dürrenmatt non è esplicitamente spiegato nel romanzo, ma “traspare” da esso. La gradazione è rossa perché il rosso è un colore che richiama attenzione ed considerato secondo la cromoterapia un colore energizzante, vitale e stimolante, utile quindi ad attirare l’interesse del lettore. Il fatto che sia in gradazione è indice di progressiva scoperta, come lo è in generale un romanzo poliziesco.

5.4 FONT

L’obiettivo principale di un carattere in un libro è di trasportare il contenuto, perciò è essenziale scegliere una font adeguata all’obbiettivo comunicativo che si vuole ottenere. Ho scelto di utilizzare le seguenti font: • Garamond Premier Pro, corpo 11 su 13,2 per il corpo del testo. • Typewriter New Roman, corpo 16 su 19,2 per le citazioni • Helvetica Neue 55 Roman, corpo 9 su 10,8 per il colophon. • Orator Std Medium, varie grandezze, per titolo in copertina e frontespizio. • Combi Numerals Bold, corpo 12 per i numeri di nota.

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Ecco di seguito le loro caratteristiche ed esempi, presentati a margine a corpo 18 pt. 1_Garamond Premier Pro Per il testo ho scelto un carattere veneziano, graziato, adatto a testi di libri. Il corpo 11 permette una lettura piacevole scorrevole.

1_ The quick brown fox jumps over the lazy dog.

2_ Typewriter New Roman Ho usato questa font nelle citazioni di Dürrenmatt inserite a inizio capitolo. Essa riprende lo stile dei caratteri typewriter, ma è più rovinata, corrosa. Tramite questa font ho voluto ricordare l’immagine dello scrittore (che all’epoca scriveva con la macchina da scrivere) e soprattutto il suo pensiero, che emerge in modo nascosto dal romanzo.

2_ The quick brown fox jumps over the lazy dog.

3_ Helvetica Neue 55 Roman Per il colophon ho scelto di utilizzare l’Helvetica in quanto carattere chiaro, lineare, semplice ed elegante. 4_Orator Std Medium Orator Std è un carattere sans serif monospaced, sottile ed allungato che ben si adatta a descrivere il romanzo giallo di Dürrenmatt, richiamandone l’incisività. 5_Combi Numerals Bold Combi Numerals è una font che permette la creazione di numeri inscritti dentro cerchi o semicerchi, pieni o vuoti. L’ho usata per segnalare l’apparizione dei personaggi nel testo e i personaggi stessi nella mappa delle relazioni.

3_ The quick brown fox jumps over the lazy dog. 4 _ The quick brown fox jumps over the lazy dog. 5 pqwert pqwert 0 1 2 3 4 5 0 1 2 3 4 5

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5.5 COPERTINA

Prima e quarta di copertina, con l’immagine completa della mappa raffigurata.

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La copertina è la parte esterna di un libro, spesso formata da carta o cartoncino più spessi dei fogli interni. Inizialmente serviva solo a proteggere il libro dall’usura, successivamente ha ottenuto un ruolo fondamentale, cioè quello di catturare l’attenzione del potenziale lettore. Le quattro pagine della copertina prendono i nomi di prima, seconda, terza e quarta di copertina. La prima e la quarta sono quelle che si vedono quando il libro è chiuso, la seconda e la terza sono le facciate interne della copertina. Per il mio libro ho scelto di realizzare la copertina su un cartoncino piuttosto rigido, rivestito da due fogli bianchi. Ho scelto di plastificare la prima e la quarta di copertina, per resistere maggiormente nel tempo e non danneggiarsi o scolorirsi. Sulla prima di copertina ho riportato il titolo del romanzo, l’autore e un’immagine. Quest’immagine è uno schema da me disegnato, che rappresenta la fitta rete di relazioni ed eventi che caratterizza il romanzo. In particolare, ad ogni colore corrisponde un capitolo del libro. Il risultato è simile a quello che il lettore potrebbe ottenere compilando la mappa allegata al libro e rappresenta visivamente uno dei temi cari a Dürrenmatt, ossia il caos che è insito nella storia e in tutte le relazioni umane. Sulla quarta di copertina, oltre ad un richiamo allo schema già citato, ho aggiunto una frase estratta dal decimo capitolo del libro stesso. Essa può essere considerata la chiave di lettura dell’opera stessa ed è, come scoprirà il lettore, la scintilla da cui si svilupperà l’intera vicenda. La seconda di copertina è bianca, mentre sulla terza di copertina è allegata una tasca in cui, ripiegata, è inclusa una delle mappe del libro.


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5.6 MAPPE E NOTE

La prima mappa, con le indicazioni dei luoghi in cui è ambientato il romanzo.

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Alla fine del libro sono state allegate tre tipologie di mappe, che possono essere usate dal lettore come strumento di supporto per le “indagini” sul caso, com’è caratteristico di un romanzo giallo. Esse sono infatti create per incentivare il lettore ad intraprendere il cosiddetto fair play rules con il detective ed accentuare quindi il legame del romanzo di Dürrenmatt con le caratteristiche del romanzo giallo. La prima mappa occupa una pagina del libro e rappresenta i luoghi in cui si svolge l’azione. Essa evidenzia come l’ambientazione del romanzo corrisponda effettivamente alla realtà. Inoltre permette al lettore di calarsi fisicamente nella storia e capire dove si collocano gli eventi e gli spostamenti dei personaggi, indizi essenziali della vicenda.


La seconda mappa è formata da una pagina ripiegata su sé stessa e si sviluppa in lunghezza. Su di essa è segnata una striscia del tempo che ricostruisce la fabula del romanzo. Ogni luogo in cui si svolgono le azioni è abbinato ad un colore e i tempi dell’azione sono scanditi in modo da individuare le giornate delle indagini. Ai lati della striscia temporale c’è dello spazio bianco, dove il lettore può annotare le sue osservazioni, servendosi anche di simboli convenzionali e delle notazioni a margine del testo del romanzo. Infatti ivi sono riportati dei numeri che corrispondono ad ogni personaggio rilevante della vicenda nel momento in cui entra in scena e delle linee ondulate che segnalano delle parti del testo su La seconda mappa, con le recui focalizzare l’attenzione. lazioni fra spazio e tempo.

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Anche la terza mappa si serve di tale simbologia e può essere considerata la più significativa, in quanto, una volta compilata, può rappresentare visivamente alcune tematiche care a Dürrenmatt: il caos e il labirinto. Difatti essa è una mappa delle relazioni fra i personaggi, simboleggiati graficamente dai numeri corrispondenti. Essi sono disposti in modo che i personaggi principali stiano al centro e vicini alle altre persone con cui hanno più legami. Nonostante questo accorgimento, il lettore potrà constatare che la storia è fitta di relazioni fra i personaggi che si scontrano o sfiorano mossi dal caso, fino a creare un fitto intreccio che solo alla fine della lettura può essere compreso in modo globale. Ci si accorge inoltre della diversità della struttura narrativa de Il giudice e il suo boia rispetto a quella dei gialli classici. La mapLa terza mappa, vuota e pa è costituita da un foglio ripiegato su sé stesso ed compilata. allegato al libro, in una tasca sulla terza di copertina.

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CONCLUSIONI Con lo studio dell’opera e la creazione di una nuova traccia di lettura si è trasformato il semplice libro in un libro visivo. In questo modo si è voluto ampliare la capacità comunicativa del romanzo stesso, moltiplicando gli spunti di riflessione, in modo leggero ma efficace. Non si vuole imporre al lettore un preciso punto di vista né spiegare il perché lo scrittore abbia fatto certe scelte: si offrono solamente alcuni “indizi” per far capire che si è davanti a qualcosa di più di un semplice romanzo poliziesco. Starà poi al lettore decidere se leggere il libro ed apprezzarne solo la storia ben scritta, o se interrogarsi e riflettere sui temi che Dürrenmatt intendeva trasmettere.

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RINGRAZIAMENTI Giunta al termine di questo lavoro desidero ringraziare ed esprimere la mia riconoscenza nei confronti di tutte le persone che, in modi diversi, mi sono state vicine e hanno permesso e incoraggiato sia i miei studi nonché la realizzazione e stesura di questa tesi. I miei ringraziamenti vanno a chi mi ha seguito durante la realizzazione del progetto di tesi, i professori Piazza, Pea, Patanè e Abbate. Un ringraziamento particolare va al professor Fuga, per i preziosi consigli sulla tipografia ed impaginazione. Per avermi aiutato nella ricerca bibliografica, ringrazio Eugenio Curti, bibliotecario ad Almè e Maria Luigia Stadler-Pagnotti, bibliotecaria presso la Biblioteca Nazionale di Berna. Ringrazio i miei genitori, per avermi permesso di frequentare questa università e per avermi cresciuto in modo da sapermela cavare al meglio in ogni situazione, in particolare la mamma per essersi pazientemente prestata a fare da “tester” a questo progetto. Grazie a Giacomo per essermi sempre vicino, sempre pronto a incoraggiarmi per raggiungere i miei obiettivi. Per ultimi, non per importanza, voglio ricordare tutti i compagni e amici con cui ho condiviso questi tre anni di università, in particolare Elish perché mi definisce la più saggia del gruppo, Ema perché ha sempre tutte le risposte e Gabri perché è sempre disponibile, con una “cocciolata” in mano. Infine ringrazio Esther per le innumerevoli reciproche revisioni di progetto, la Giulia e la Pòòz per esser sempre disposte a dare utili consigli. Senza di loro l’università non sarebbe stata una così bella esperienza.

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Siamo tutti complici, semplicemente perchĂŠ esistiamo: compromessi con il mondo non solo perchĂŠ impigliati in una fittissima rete di rapporti sociali, culturali, politici ed economici, ma anche in quanto appartenenti a uno stato [...] Friedrich DĂźrrenmatt

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