Flaviano Garritano _____________
L’imperatore Carlo V, la sua visita a Cosenza e l’omaggio all’abbazia della Sambucina
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Quaderno n. 3 Marzo 2017 Stampato in proprio rinascitaabbaziadellasambucina@gmail.com https://issuu.com/home/publisher (online)
L’IMPERATORE CARLO V OMAGGIA LA SAMBUCINA Tra gli eventi più importanti ricordati ai posteri in questa terra Luciorum va annoverato il passaggio e la visita di Carlo V, precisamente la domenica dell’otto novembre del 1535. Carlo V, Imperatore del Sacro Romano Impero, di ritorno dalla battaglia vittoriosa di Tunisi contro Khair ad-Din detto il Barbarossa risalendo, la tortuosa via Appia, omaggiò anche la nostra terra per ringraziare i suoi sostenitori. Entrò trionfalmente a Cosenza dove fu accolto dai personaggi nobili della città e dal clero e fece visita al Duomo dove baciò la famosa stauroteca, quasi simbolo della città, per rendere omaggio all’eredità spirituale di Federico II che fece tale dono. La visita di Carlo V nella città di Cosenza non fu casuale ma era stata preparata da tempo poiché la battaglia di Algeri era stata molto dispendiosa e l’Impero doveva raccogliere fondi. Per quella occasione erano stati convocati d’urgenza Baroni, Marchesi, Duchi e i due Principi, cioè il vertice della Feudalità che risposero picche alla richiesta di nuovi tributi: non si potevano spremere le pietre. L’intento, allora, era quello di mettere all’asta la città di Cosenza, che era città non infeudata cioè libera dal 1222 1 con concessione dell’imperatore Federico II, ed incamerare i soldi per coprire le spese della battaglia di Algeri. 1
Le città libere erano Cosenza, Lecce ed Altamura.
All’epoca della visita di Carlo V il sindaco del Sedile della città era il giovane Bernardino Telesio che, visto il pericolo, riunì il Sedile con tutti i nobili e fece capire che la città sarebbe stata salva solo se avessero fatto entrare nel Sedile una rappresentanza della società ebraica. A Cosenza la società ebraica, molto presente numericamente ed economicamente, era ubicata nella località Cafarone e per tale concessione del Sedile pagò l’intera somma chiesta dall’Impero come basa d’asta, dopo che Telesio fece capire loro che se volevano continuare le loro attività finanziare, in modo libero, questo era il prezzo da pagare. Con tale mossa Telesio anticipò i tempi e fece entrare nel Sedile, seppure
con una minoranza, rappresentanti degli ebrei e degli Onorati cittadini, cioè le Corporazioni e gli Ordini professionali. Telesio con questa mossa permise a Cosenza di rimanere una città libera. Lasciata la città, tutto il corteo e il numeroso esercito si incamminarono verso i possedimenti del suo fedele suddito, nonché Principe di Bisignano, che lo aveva aiutato e seguito nella campagna di Tunisi: Pietrantonio Sanseverino. Durante l’attraversamento della media valle del Crati l’Imperatore, accompagnato dal suo Luogotenente don Scipione Sanseverino, Principe di Luzzi e Rose e marchese di Somma, volle visitare la prestigiosa e famosa Abbazia della Sambucina nonché i resti delle antiche “vestigia” di quella che veniva chiamata Thebe Lucana. L’Imperarore fu accolto a Luzzi da don Ferdinando Caracciolo, abate commendatario della Sambucina, con l’amministratore dell’abbazia Antonio Piscitelli e dal barone di questa terra don Fabio Ferraro. Per tale occasione il luogotenente Scipione Sanseverino fece allestire in Sambucina un banchetto che rimase nella storia memorabile . L’Imperatore rimase estasiato dall’Abbazia e lasciò scritto: Non è un monastero di frati, ma una corte imperiale, dove parla l’arte del Convivium Religiosum. Dalla Sambucina salirono fino al castello dei Lucii in “magna Nucis” che era una delle fortezze, ai piedi della Sila, più inespugnabili della provincia per posizione naturale e riserve alimentari. Si narra che l’Imperatore
vedendo brullo l’altopiano della Sila avrebbe consigliato di coltivarvi la segala germana. Da qui l’espressione calabrese “jermanu”.
Veduta della località Kitirano di Luzzi dove passò Carlo V.
Attraversando le terre Luciorum - come già detto - visitò anche i resti dell’antica Thebe Lucana e dell’acquedotto di Kitirano, che era arricchito di iscrizioni greche e romane, ma vedendolo in stato di abbandono ordinò di far sistemare l’acquedotto collocandovi nuove lapidi a memoria di questo trionfale passaggio. Per il rifacimento della fontana e dell’acquedotto di Kitirano fu incaricato il monaco-artista Antonius
Piscicellius che firmò anche la lapide. Questa nuova lapide dell’acquedotto di Kitirano, a ricordo di tale passaggio, fino a qualche decennio fa era conservata nella sede comunale adesso è sparita con il silenzio di tanti L’abbazia in quel periodo non era in uno dei suoi periodi migliori, era gestita dall’abate commendatario don Ferdinando Caracciolo che poco lasciava ai monaci per sopravvivere. Ormai, depredata di tutti i suoi beni, lontani erano i ricordi degli anni dei vasti possedimenti, dei lasciti proanima, e delle protezioni degli imperatori non vi era memoria, e nessuno dei potenti locali avrebbe mai più restituito ciò di cui si era appropriato indebitamente rinnegando il volere dei loro avi. L’imperatore arrivò poi a Bisignano dove venne accolto con tutti i fasti dal Principe Pietrantonio Sanseverino che fu uno dei suoi maggiori sostenitori nelle sue battaglie ed ancora oggi vi è una località, dove accamparono circa tremila soldati della scorta imperiale, che si chiama “Pezzo dell’Imperatore” a ricordo di tale passaggio. “Il Principe di Bisignano diede fondo alle sue risorse e a sue spese allestì … un numero imprecisato di galee e di naviglio leggero, armandoli di artiglieria e caricandoli dei migliori fanti, arcieri, archibugieri e cavalieri…” dando un contributo importante alla vittoria finale di Tunisi. Si narra che in Africa al seguito del Principe c’erano circa seimila fanti ben armati e con i migliori cavalli delle sue scuderie che a Bisignano erano famosissime, in particolare la Chinea.
Tale contributo alle vittorie dell’Imperatore valse al Principe la più alta onorificenza spagnola : il TOSON D’ORO. L’ultima tappa di questo viaggio nella media valle del Crati fu il Castello di San Mauro in territorio di Corigliano.Un grandioso edificio-fortezza dove Carlo V vi trascorse ben quattro giorni per festeggiare le vittorie conseguite e si dedicò a delle battute di caccia dove, si racconta, che vennero uccisi circa quarantacinque cinghiali. Per la reale visita il Principe non badò a spese, sia per l’Imperatore che per i suoi soldati al seguito, con abbondanza di tutto.Si narra che per tale banchetto le fontane anziché acqua versassero vino con tutto quello che ne potè seguire in quei giorni dedicati a bacco.Memorabile è la frase che l’Imperatore disse al Principe: Prence, vos es el rey o el Prence de Corilliano? Da qui l’Imperatore passò per Castrovillari, Laino, Napoli per poi arrivare a Roma. Questo passaggio di Carlo V, in generale, si concluse con una trionfale cavalcata, sontuose cerimonie e feste ma deluse profondamente le aspettative della gente più umile che si attendeva dal signore d’Europa l’eliminazione di torti e ingiustizie subite.Tutto questo viaggio fatto di eventi fastosi e senza badare a spese da parte del Principe segnava un’epoca dopo la quale, a distanza di poche decine di anni, finiva sia il Sacro Romano Impero che la suddivisione del principato dei Sanseverino. LUZZI, 08.12.2016
Flaviano Garritano
Carlo V
Gand, Cattedrale di San Bavone, stemma di Pietro Antonio Sanseverino, Duca di San Marco e Principe di Bisignano