Pier Luigi del Viscovo con una prefazione di Angelo Sticchi Damiani
Un giro in macchina
2016
Articoli pubblicati su Il Sole 24 Ore, il Giornale ed InterAuto News
Martina, Mauro e Valentina
SOMMARIO
PREFAZIONE 9 INTRODUZIONE 13 PROLOGO DIESELGATE 17 DIESELGATE, SERVE RIGORE MA ANCHE EQUITÀ 18 NEL GIUDICARE VOLKSWAGEN DALLO SCANDALO AL GRAN POLVERONE 21 Il dieselgate ha scosso enormemente l’industria dell’automobile, ma attenzione a non moltiplicare i danni per il settore. IL DIESELGATE NON PREOCCUPA MA SPINGE ALLA PRUDENZA
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TUTTI I MILIARDI DELL’AUTO NUOVA 2015 27 Mentre il futuro è in mano al cliente L’USATO VOLKSWAGEN NON TEME CONTRACCOLPI DAL DIESELGATE
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CRUSCOTTO DI FEBBRAIO 35 AGLI ITALIANI L’USATO PIACE MENO RISPETTO 36 ‘AGLI ALTRI CITTADINI EUROPEI GLI LCV COMINCIANO A INGRANARE LA QUARTA 41 I veicoli commerciali crescono a due cifre, dopo il rallentamento degli anni passati. 5
UN GIRO IN MACCHINA 2016 NOLEGGIATORI E PRIVATI METTONO LE ALI AL MERCATO 45 DELL’AUTO Cresciute del 20% le immatricolazioni di famiglie e flotte mentre quelle delle società sono aumentate solo del 4%: le imprese si affidano sempre di più al noleggio a lungo termine. CIAO TOMMASO 49 CIAO TOM 51 SE L’ASSISTENZA DIVENTA UNA VIA CRUCIS IN SALITA 52 Inefficienze ricorrenti: il driver deve recarsi in un punto per i servizi di meccanica, in un altro per cambiare le gomme, in un altro ancora per interventi di carrozzeria. Non è contento di perdere tanto tempo. IN RIPRESA IL MERCATO DEI CAMION IN ITALIA 55 Crescita a due cifre a gennaio per le immatricolazioni di veicoli oltre 3,5 tonnellate. CRUSCOTTO DI MARZO 59 NELLE OFFICINE UN POTENZIALE DI BUSINESS INESPRESSO 61 Ancora inesplorati diversi servizi che porterebbero alto valore aggiunto e di soddisfazione agli utenti. PIÙ SERVIZI EVOLUTI AL CLIENTE 65 Nel noleggio diventerà determinante la personalizzazione delle relazioni prima che dell’offerta. FLEET&MOBILITY, UNO SGUARDO DIVERSO SULL’USATO 69 “OPPORTUNITÀ CHE NON GENERA DOMANDA DI AUTO NUOVE” IL MERCATO FINALMENTE È USCITO DALL’APNEA 73 SE L’AMMORTAMENTO PUÒ RALLENTARE LA CORSA 75 DEL NOLEGGIO LUTTO IN MAZDA E NELL’AUTOMOTIVE: È MORTO 77 ANDREA FIASCHETTI 6
AUTO, ECCO QUANTO SONO AUMENTATI I LISTINI 79 DELLE MACCHINE NUOVE AUTO AZIENDALI, CRESCE ANCORA IL MERCATO 81 DEL NOLEGGIO A LUNGO TERMINE ANIASA 2015, IL NOLEGGIO SEMPRE PIÙ PROTAGONISTA 84 Ruggiero “ma la burocrazia è ancora un freno”. IL MERCATO DEL NUOVO TORNA SOPRA I 30 MILIARDI. NEL 2015 IL VALORE È CRESCIUTO PIÙ DEI VOLUMI
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NLT, LA FLOTTA MAI COSÌ BENE DA 10 ANNI. 90 NON SOLO BUSINESS: LA SORPRESA SONO I PRIVATI LA CRESCITA DEL RENT-A-CAR È UN CIRCOLO VIRTUOSO 93 TUTTI GLI INDICI POSITIVI E I PREZZI RESTANO CONTENUTI I NOLEGGIATORI SORPASSANO LE SOCIETÀ 96 NELLE IMMATRICOLAZIONI Nel 2015 hanno speso per nuove auto 6,2 miliardi di euro, contro i 5,7 delle imprese una svolta di rilievo. QUATTRO AUTO ALL’ANNO: SI CAMBIANO CON LE STAGIONI 100 Innovativa offerta LeasePlan-Fca per clienti privati. Canone light per quattro Fiat 500 a rotazione. INTERVISTA A MASSIMO NORDIO Presidente di UNRAE. 4/7/2016
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INTERVISTA A FILIPPO PAVAN BERNACCHI Presidente Federauto. 28/7/2016
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AUTO, IL PRIMO SEMESTRE OLTRE QUOTA 20 MILIARDI DI EURO 115 AUTOSALONI E SOLUZIONI DI MOBILITÀ 116 DIFENDERE L’AUTO DALLA DEMAGOGIA 118 7
UN GIRO IN MACCHINA 2016 CON IL CREDITO VOLVO RILANCIA LA SFIDA SUL SEGMENTO 119 PREMIUM CORRE IL MERCATO DELLE AUTO BUSINESS 122 Il superammortamento spinge le immatricolazioni di società (+24%) e noleggio a lungo termine (+16%)nei primi 9 mesi CRUSCOTTO DI OTTOBRE 125 LE PMI, PRATERIA DI OPPORTUNITÀ 127 SCANIA SCRIVE IL FUTURO DEI CAMION: IBRIDI, ELETTRICI E A FORMA DI FILOBUS
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QUEI NUMERI ANCORA BASSI DELLE AUTO “ALLA SPINA” 133 SUPERAMMORTAMENTO, PMI, PARTITE IVA E PRIVATI. 135 BREVE VIAGGIO ALLE RADICI DEL FENOMENO NLT I VASI COMUNICANTI DELLE IMMATRICOLAZIONI: 140 PRIVATI IN FLESSIONE, MA C’è IL BOOM DI RENT-A-CAR E KM0 Ruggiero (ANIASA) “Registriamo una forte crescita di immatricolazioni con la clausola del buy-back, indotta dalla pressione dei Costruttori, che accelera la rotazione di vetture” SE I “KM 0” ORA ARRIVANO ANCHE QUI 144 COMPANY CAR ALLA VOLATA FINALE 146 Il superammortamento in modifica a fine 2016 cambia le dinamiche del comparto auto, creando asimmetrie. QUEL BUSINESS STRATEGICO DEI MODELLI “SPORT UTILITY” 149 RINGRAZIAMENTI 151
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PREFAZIONE
Il tunnel della crisi economica è ormai un puntino nero nello specchio retrovisore dell’automobile che stiamo guidando. Ci accingiamo adesso a un percorso più favorevole ed emozionante, ma servono buoni fari per vedere lontano e ottime capacità di guida per schivare le insidie davanti a noi. Questo volume a firma di del Viscovo è la mappa stradale più aggiornata e completa per orientare le scelte di chi è al volante, non di una sola auto ma di tutto il settore automotive. La competenza di Pierluigi del Viscovo (già docente universitario alla Luiss, direttore del Centro Studi Fleet&Mobility, esperto del CESE - Comitato Europeo per lo Sviluppo Economico) e l’ampio panorama di argomenti trattati (dalle flotte aziendali alle nuove forme di consumo di mobilità, dalla sicurezza stradale alla guida autonoma e connessa) facilitano l’interpretazione delle tendenze del comparto economico e sociale dell’automobile, stimolando un nuovo approccio al tema dei trasporti, del traffico e della circolazione. Da oltre 110 anni l’Automobile Club d’Italia presidia i molteplici versanti della mobilità, diffondendo una cultura dell’auto in linea con i principi della tutela ambientale e dello sviluppo sostenibile, della sicurezza e della valorizzazione del territorio. Molti degli scritti raccolti in questo volume, divulgati da una testata autorevole come Il Sole 24 Ore, collimano con la nostra vision del futuro. La connettività tra veicoli, la guida autonoma, l’exploit di auto prima ibride e poi elettriche, il car sharing e il trasporto intermodale rappresentano i paradigmi della mobilità non solo di 9
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domani: fatta eccezione per i veicoli dall’indiscusso valore storico, tutte le auto in circolazione dovrebbero avvalersi già oggi delle più moderne tecnologie in grado di abbattere l’incidentalità e l’impatto ambientale, incrementando comfort, praticità ed economicità degli spostamenti. Durante l’ultima edizione della Conferenza del Traffico e della Circolazione, organizzata per la 70a volta dall’ACI, uno studio della Fondazione Filippo Caracciolo ha evidenziato che 1 italiano su 2 si dichiara ancora contrario a un’automobile che si guida da sola, magari senza alcun passeggero a bordo: un dato che deve far riflettere politici e decisori pubblici, perché misura una diffidenza immotivata di un Paese da sempre protagonista nell’automotive mondiale. Sviluppata oltreoceano e testata finora fuori dai nostri confini, questa tecnologia arriverà comunque sulle nostre strade. Se non recupereremo in fretta il gap normativo, infrastrutturale e tecnico con il resto del mondo verso le cosiddette “auto robot”, l’Italia rischia di subire passivamente l’inevitabile stravolgimento del mercato e della società che si manifesterà intorno al 2030: gran parte delle 37 milioni di automobili saranno sostituite in breve tempo con veicoli a guida autonoma, prevalentemente elettrici, soprattutto se lo Stato saprà cogliere la nuova domanda come opportunità di sviluppo, favorendo il ricambio del parco circolante con politiche di incentivazione fiscale. Più che facilitazioni all’acquisto, servono infatti misure che sostengano nel tempo la domanda e la gestione dei veicoli, che saranno sempre più in capo ad imprese e grandi flotte aziendali piuttosto che alle singole famiglie, meno attratte dal possesso esclusivo di due e quattro ruote. 10
Industria automobilistica ed indotto si stanno già evolvendo in funzione della nuova domanda: i grandi marchi non si occupano più solo della produzione e della commercializzazione dei loro veicoli, ma offrono alla clientela un’esperienza di mobilità che combina la guida di un’auto con un insieme esclusivo di prodotti e servizi correlati. Viaggiare su un’auto non significherà possederla e magari non bisognerà nemmeno guidarla. Come evidenziato in questo volume, il nostro viaggio verso il futuro è cominciato e siamo già a buon punto.
Ing. Angelo Sticchi Damiani Presidente Automobile Club d’Italia
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INTRODUZIONE Uno scrive un libro per dire qualcosa, e questo non fa eccezione. Attraverso una raccolta di articoli pubblicati nel 2016 – che coprivano i fenomeni del momento – pure qualche legame di causa-effetto è stato ricercato e proposto; qualche interpretazione dei fatti scorretta è stata messa a nudo; qualche rispettabile opinione, allorché spacciata per verità oggettiva, è stata contestata. Nell’anno del superamento della crisi che ha attanagliato le vendite di auto nuove, è stato affermato in queste pagine che un mercato è fatto di soldi, quelli che i clienti spendono per acquistare le merci e i servizi di quel mercato. Contare le macchine vendute, che ancora non hanno raggiunto la quantità pre-crisi, e concludere (come altri hanno fatto) che la crisi non sia finita è almeno bizzarro, forse inappropriato per un’analisi economica. È vero che i costruttori amano contare le macchine invece dei soldi, ma questo è un limite che va accettato, non seguito. È proprio per questo che il marketing (che tende a seguire) dovrebbe essere tenuto ben distante dal sistema dell’informazione (che deve guidare). Altro tema che questi articoli hanno toccato è quello del livello fisiologico della domanda. Se in un paese ci sono 100 bambini in età scolare e ne trovo solo 70 seduti tra i banchi, posso concludere che la domanda di scolarizzazione sia fiacca, sotto il livello fisiologico. Ma se nel paese i bambini sono 70 e tanti ne stanno tra i banchi, allora devo concludere che la domanda è piena. Con buona pace per quei professori che restano a casa. Non posso certo pretendere che gli adulti tornino a scuola o che lo stesso bambino frequenti due classi. La domanda di macchine 13
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funziona allo stesso modo. Anche se a volte si tenta di far passare il concetto che sia scollegata dai bisogni che la originano e dai limiti che la frenano, dipingendola come un fenomeno la cui condizione tipica sia la crescita costante. Come se qualsiasi livello più basso del passato possa essere solo un livello critico, da recuperare al più presto – lasciando nelle penne concetti basilari di un’analisi economica, come quelli di domanda per prima motorizzazione e di domanda per sostituzione. Eppure, chi le costruisce in questi anni ha sapientemente fatto leva proprio su alcuni bisogni, intangibili e voluttuari, proponendo SUV e crossover (trendy e cool) per spingere verso il mercato clienti che avrebbero potuto attendere, se si fosse trattato di scambiare l’auto vecchia con la stessa, nuova. Pretendere che le immatricolazioni di macchine andrebbero alle stelle se l’economia del Paese dovesse andare benissimo è una lettura che non tiene conto dei cambiamenti degli orientamenti sociali. Ma c’è il sospetto, maligno, che lamentarsi (e fare eco alle lamentele) in questo Paese aiuti. Ancora, il marketing dovrebbe stare lontano dall’informazione. In queste pagine si parla anche di un cambiamento che sta avvenendo nella distribuzione. I noleggiatori stanno conquistando ogni anno più clienti nuovi, attingendo a quelle PMI e a quei professionisti con partita IVA che sono la parte più succulenta del bacino di una concessionaria. Concessionarie che accettano senza sollevare nemmeno una palpebra. Alcune perché interessate solo a immatricolare e distanti da quel business post vendita che tra qualche anno farà sentire la sua mancanza. Altre perché semplicemente non si accorgono del problema, contando solo i clienti che entrano, non quelli che potrebbero entrare. Tutte comunque responsabili di aver ignorato che questi clienti, più 14
ricchi ma più esigenti, dovevano essere trattati diversamente, andandoli a cercare piuttosto che aspettandoli in salone, e offrendogli un pacchetto servizi, oltre il ferro. Non mancano, in queste pagine, le “suonate” per gli stessi noleggiatori, che fanno affari con clienti nuovi che somigliano tanto ai privati consumatori (individuals), offrendogli invece una comunicazione e un impianto di offerta che funziona – e nemmeno tanto più – per le flotte. A cominciare dal fatto che ancora non si vede un configuratore online per il noleggio a lungo termine, per non parlare dell’e-commerce, questo sconosciuto. Poi ci si trova altro. L’attenzione per due comparti, i furgoni e i camion, che vengono erroneamente ritenuti meno evoluti delle macchine. I camion sono già dotati di molte soluzioni tecnologiche che nelle auto ancora si vagheggiano. I furgoni stanno mettendo in pratica quella propulsione elettrica tanto desiderata dagli addetti ai lavori (al punto da fargli credere che anche i clienti la desiderino), mentre essi, gli esperti, guardano al giocattolo per ricchi snob che arriva dalla California. Ma c’è un settore che ha ricevuto attenzione forse più da queste pagine che da tutte le altre insieme: le auto usate. Viene affermato che la auto usate hanno la stessa dignità di quelle nuove, perché i loro acquirenti gliela danno. Il fatto che i costruttori non fabbrichino che macchine nuove non può bastare a far calare il buio su quelle di seconda mano. Ma soprattutto, quando si ricerca lo stato di salute della domanda di auto, si devono assolutamente contare insieme quelle nuove e quelle usate, poiché ognuna ha un cliente che l’ha scelta. Lo scorso anno 4,7 milioni di italiani hanno acquistato un’auto, non 1,85. Di quelli, oltre 8 su 10 erano privati, 15
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che rispondevano a un bisogno e a una valutazione e non a una procedura aziendale che prevedeva la sostituzione. A corollario di questo, nelle pagine si trova già un richiamo al fatto che l’aumento di km0 sporca le statistiche delle immatricolazioni ai privati, visto che sempre più clienti acquistano un usato a km0. Da un lato, l’avviso che non è giusto concludere facilmente che la domanda di questo segmento sia in crisi, senza aver prima sommato le nuove e le km0. Dall’altro, il suggerimento di considerare negli acquisti solo le macchine destinate all’utilizzatore finale, che le mette su strada, trattando dunque quelle a km0 come merce ancora nella pipeline distributiva. Infine, la madre di tutti i dibattiti di questi anni: le alimentazioni e i propulsori. Il luogo ideale dove i fatti e le ideologie si incontrano. E si confrontano. Meglio, dovrebbero confrontarsi, in un mondo normale dove l’informazione riportasse i fatti, non i pensieri. Dopo aver assistito per anni alla narrazione delle auto elettriche, prodotto che non ha alcun riscontro nella realtà, è stato toccato l’apice con lo scandalo del diesel-gate. Una fregatura data ai clienti, d’accordo. Ma senza morti né feriti. Su prodotti che sono comunque molto meno inquinanti di tutti quelli in circolazione. Eppure è stata l’occasione di sventolare la bandiera dell’ecologia, della salvaguardia del pianeta: con le Euro 6 al posto delle Euro 5? E il traffico lento che aumenta le emissioni? E la ricerca spesso vana dei parcheggi, che brucia inutilmente idrocarburi? Est modus in rebus. Non cito alcune pagine, perché sono di taglio umano, personale. Sono quelle a me più care. Pier Luigi del Viscovo 16
PROLOGO DIESELGATE 2015
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DIESELGATE, SERVE RIGORE MA ANCHE EQUITÀ NEL GIUDICARE VOLKSWAGEN
E
st modus in rebus, dicevano i Romani. De che stamo a parla’? Dicono oggi. Alcune brevi considerazioni per chi volesse restare in equilibrio di fronte al dramma Volkswagen. Gli altri possono abbandonarsi al piacere del vento. Uno. L’industria automobilistica ha vissuto altri scandali, negli anni. Pochi anni or sono, un difetto nel sistema impediva di decelerare e si andava a sbattere. Prima ancora, un tamponamento sulle luci posteriori trasmetteva una scintilla che provocava l’incendio dell’auto. Ancora, l’apertura inopportuna dell’airbag causava incidenti. Risultato: decine di vittime. Vittime nel senso di morti. Una differenza oggettiva con questa vicenda è che – fortunatamente – non si è fatto male nessuno. Questa è una buona notizia. Due. L’altra differenza, meno oggettiva seppur degna di nota, è che negli altri casi si trattava di difetti inconsapevoli, mentre qui siamo in presenza di una manomissione voluta. Se così fosse, sarebbe la distanza che passa tra la colpa e il dolo. Se. Tre. Fin qui i fatti. Ora vediamo le conseguenze. Oggettivamente, indiscutibilmente, le auto in questione inquinano ‘molto di più’ del ‘molto poco’ dichiarato. Quanto esattamente? Farebbe piacere saperlo. Certamente di più delle auto in circolazione. O no? No, forse no. Forse le auto in circolazione – che sono un multiplo pari a 20/30 volte quelle che si immatricolano ogni anno, secondo i Paesi – inquinano comunque di più. Quattro. Ma non è questo il punto. Giusto. Il punto è la fiducia tradita. Di fronte alla fiducia, tutto diventa soggettivo. Non resta 18
nulla di oggettivo. Nulla, salvo il fatto che l’industria automobilistica ha ridotto le emissioni inquinanti in modo massiccio negli ultimi vent’anni, come nessun altro settore. Eppure non ce la fa a stare dentro dei parametri forse fissati con troppa leggerezza – e magari uno spruzzo di ideologia, così, giusto un flavour. Fissati da quella stessa politica che non vuole e non riesce a risolvere le cause forti dell’inquinamento, ossia il traffico congestionato e la mancanza cronica di parcheggi che costringe le auto a circolare di più per trovarne uno. Per tacere dell’inquinamento prodotto dai bruciatori del riscaldamento condominiale. Cinque. In conclusione, gli sbagli – e questo lo è – vanno giudicati, condannati e puniti, senza SE e senza MA. Con equità e senza livore. Non c’entra nulla che lo sbaglio venga da una nazione meno simpatica a qualcuno. Non è certo poi la rivincita per altri rospi ingoiati, ci mancherebbe altro. Senza tener nemmeno conto che centinaia di migliaia di lavoratori – diretti e nell’indotto – non hanno preso parte allo sbaglio. La pena va eseguita. Una pena che sia commisurata al danno. Anzi, ai danni. E già, perché qui ci sono due danni. Uno materiale: le auto inquinano di più del previsto. Non dovrebbe essere difficile calcolare quanto vale un danno del genere. Vediamo. Assumiamo di voler vendere un motore Euro 4 al posto di uno Euro 5: a che prezzo il cliente comprerebbe? Al 10/20% di meno? Ma è un’ipotesi accademica, visto che nessun cliente accetterebbe. Ne siamo tutti consapevoli, come no? Allora il danno sarebbe pari all’intero importo del veicolo. Che però a quel punto dovrebbe essere restituito al costruttore. Sembra una buona soluzione, anche se nel frattempo chi ha comprato una Euro 4 come tale, ossia dichiarata, resta libero di girarci per altri vent’anni fino alla rottamazione. Ma questo è il danno facile. Quello davvero difficile da quantificare è il tradimento della fiducia. Che però abbiamo detto essere soggettivo. 19
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Le donne e gli uomini lo conoscono bene, il tradimento, perchĂŠ se lo praticano a vicenda con allarmante frequenza. Spesso si viene puniti, e giustamente, aggiungerei. Alle volte segue la rottura definitiva. Ma non sempre. Uno pensa: ci sono i figli. Centinaia di migliaia, di figli.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 24 settembre 2015
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DALLO SCANDALO AL GRAN POLVERONE Il dieselgate ha scosso enormemente l’industria dell’automobile, ma attenzione a non moltiplicare i danni per il settore.
A
ltro che sottili. Il polverone che tutti hanno contribuito a spargere a piene mani è di quelli pesanti davvero. Come una mandria di bufali, hanno cavalcato lo scandalo, attirati più dal sangue che dalla carne. Molti stolidamente, non rendendosi conto della posta in gioco né della portata delle parole. Molti, ma forse non tutti. Adesso le polveri sembrano pian piano posarsi. È una faccenda seria, molto seria, e di persone serie c’è bisogno per gestirla senza moltiplicare i danni. Primum non nocere, è il giuramento di Ippocrate. Abbiamo letto di impatto difficile da stimare, di gigante che vacilla, di comparto strozzato nella sua ripresa. Come se fosse un evento atmosferico. Questa è una vicenda totalmente umana. Non ci sono Dei caduti dall’Olimpo, ma solo uomini che sbagliano. Alcuni l’hanno provocata. Altri ora possono e devono governarla. Ciò che accadrà sarà responsabilità dei primi come dei secondi. Da quanto è emerso, i primi ce la stanno mettendo tutta. Hanno ammesso subito la colpa e la sua dimensione, con un’algida trasparenza che raramente si osserva. Hanno sostituito chi doveva esserlo. Hanno accantonato una cifra non simbolica – perché poi alla fine sempre lì si arriva, a soldi che passano di mano, pianeta o non pianeta! E poi, olio di gomito. Non si tratta di prevedere se il gigante cadrà o resterà in piedi. Il gigante farà l’unica cosa che sa fare: lavorare. 21
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I secondi, le Istituzioni, devono mostrarsi all’altezza e lavorare pure loro, andando meno dietro ai ciarlatani. È una faccenda seria, e bisogna tenere gli occhi ben fissi sulla palla. Se gestita adeguatamente, la colpa avrà la sua pena, circoscritta e adeguata. Come tutte le pene, tenderà a rieducare e risarcire senza distruggere il condannato. In un mondo normale, il creditore non vuole la fine del debitore. Chiunque paventasse qualcosa di diverso, non di pena parlerebbe, ma di ira – o peggio, di vendetta. Se l’arbitro gestisce bene la partita, a perdere sarà uno solo, uscendone sconfitto, non finito. Diversamente, non vince nessuno. Per fortuna, oltre ai secondi ci sono i terzi. I concorrenti stanno tenendo un profilo discreto, di grande fair play e di nessun compiacimento per l’avversario in difficoltà. Ma i più grandi sono i clienti, i consumatori. Nonostante il bombardamento mediatico, molti mostrano di aver compreso la dimensione del problema e – pur condannando la truffa – non pensano minimamente di buttare via con l’acqua sporca pure il bambino.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 13 ottobre 2015
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IL DIESELGATE NON PREOCCUPA MA SPINGE ALLA PRUDENZA
N
on sono preoccupati, i noleggiatori a lungo termine, per l’impatto che il caso Volkswagen potrà avere sui veicoli che hanno già in flotta. Quando sarà il momento di venderle, al termine dei contratti in corso, la clientela riconoscerà il valore residuo stimato all’epoca, niente di più, niente di meno. È questo il quadro che emerge da un’analisi condotta dal Centro Studi Fleet&Mobility presso i principali operatori, i quali invece stanno registrando qualche perplessità da parte di alcuni clienti sulle vetture nuove da ordinare o addirittura già in consegna. Per ora si tratta di pochi casi, che però interessano flotte consistenti, i cui fleet manager si mostrano prudenti verso l’impatto in termini di immagine che potrebbe avere l’inserimento di tali veicoli, dopo che il caso è scoppiato. Allo stato attuale delle cose, non ci sono motivi oggettivi a sostegno di questa prudenza, visto che quelle in consegna sono auto con propulsori Euro 6, dunque estranei al problema. È difficile dire quanto queste apprensioni si tradurranno in pratica, poiché non è per niente semplice intervenire a modificare le car policy, ossia le procedure interne che regolano la scelta e l’assegnazione dei veicoli ai dipendenti in uso promiscuo. Soprattutto quando si tratta di dirigenti – ed è proprio il caso delle Volkswagen Passat e Tiguan e delle Audi A4, A6 e Q5 – gli equilibri da mantenere, tra chi ha preso l’auto tre mesi fa e chi adesso deve ordinarla o ritirarla, 23
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sono piuttosto delicati. Inoltre, intervenire su un processo del genere implicherebbe allungare di mesi la sostituzione del veicolo. In questi giorni, sia agli operatori sia i commerciali del gruppo Volkswagen stanno incontrando i clienti, per rassicurarli e per informarli sulle procedure di richiamo dei veicoli interessati, che invece stanno per scattare. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 1 dicembre 2015
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TUTTI I MILIARDI DELL’AUTO NUOVA 2015 MENTRE IL FUTURO È IN MANO AL CLIENTE
P
revisioni. E visioni. La radice è la stessa, ma poi hanno preso strade diverse nei significati. Entrambe importanti, ma non vanno confuse. È meglio per tutti. Perché così è possibile avere una previsione di un certo tipo, e poi anche una visione, di un altro tipo. Non c’è contraddizione, tenendole distinte. Ma prima del domani, i fatti. 4 miliardi spesi nel 2015 più dell’anno precedente per comprare macchine nuove. Cameriere, champagne! “La più lunga crisi del mercato degli autoveicoli che l’Italia abbia mai visto è conclusa”, ha dichiarato il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi. Circa 3 miliardi tirati fuori dai privati. Difficile lagnarsi, specie se più d’uno di quelli che avrebbero da lamentarsi non è più nel business – non lo dimentichiamo. Questa crisi ha operato una selezione cruenta nel sistema distributivo e ha ridimensionato le strutture di chi è sopravvissuto. Non ha invece messo in discussione il modello del salone monomarca, che continua a barcamenarsi in equilibrio precario tra la copertura del territorio e le dimensioni necessarie a stare in piedi. Evidentemente, è un sistema profondamente cattolico, che non persegue la felicità su questa terra. Amen! L’altro quasi miliardo l’hanno messo i noleggiatori: 300 milioni quelli del rent-a-car per le macchine dell’Expo – troppe! Meno male che poi sono servite nelle località estive. Ben 600 milioni il lungo termine, il 15% più del 2014. A che servivano tutte queste nuove auto? A sostituire vecchi contratti in scadenza? Sì, certo, ma non tutte. Del resto, se gli acquisti superano le vendite non sono sostituzioni. Il NLT sta crescendo molto nello small business, le piccole società, quelle che hanno immatricolato per appena 200 27
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milioni più del 2014, meno del 4%: come mai? Tutti brindano e solo questo segmento arranca? D’accordo, ci sono stati meno km0. Però forse un secondo sguardo sarebbe il caso di darlo, per capire come evitare che questa clientela, la migliore e più ricca sia nella vendita sia nel post-vendita, migri verso il noleggio escludendo i concessionari. Anche perché in questa partita, a differenza di ciò che fu per le flotte medio-grandi, il jolly non è il prezzo ma il servizio personalizzato, e sta nel mazzo dei concessionari. Carlo Alberto Jura, presidente dei concessionari del gruppo FCA, afferma che i dealer sono pronti a “raccogliere le nuove sfide che il futuro gli riserverà”. Bene, due sono già sul tavolo: la sostenibilità del modello distributivo e la protezione della clientela migliore attraverso il servizio. Le previsioni. Dalla scorsa estate sono disponibili quelle dell’ufficio studi di Unrae, che le ha ribadite a dicembre, prendendo le distanze da altri. Chi può dubitare che i costruttori abbiano la visione più ottimistica possibile? Eppure, la loro previsione è un’altra cosa. Best case. Worst case. Most likely. Si fanno così le previsioni, ma non è: ottimisti – pessimisti – la media. Ogni caso sconta diversamente le dinamiche alla base della domanda: propensione al consumo di beni semi-durevoli, obsolescenza reale/percepita del parco circolante, invecchiamento della popolazione abbiente, occupazione giovanile, pressione dell’offerta, stimoli governativi, sentimento generale dei consumatori, fabbisogno del rent-a-car, politiche dei noleggiatori, condizioni di utilizzo delle vetture (traffico, parcheggi, inquinamento), strumenti alternativi di mobilità, prezzo dei carburanti. Solo per citare i principali. Insomma, le immatricolazioni di auto sono un fenomeno sociale, come il consumo di carne o il numero di laureati che il Paese 28
esprime. In particolare, le automobili servono a muovere le persone, in Italia più che altrove, data la scarsa efficienza del trasporto pubblico locale. Ma sono anche oggetti durevoli e ingombranti. La popolazione italiana cambia e modifica le sue abitudini di spostamento in maniera lieve nell’arco di due o tre anni. Per registrare fenomeni significativi occorre guardare ai decenni. Così, data una certa popolazione in movimento con l’auto, l’immissione di un minore o maggiore quantitativo di automobili è funzione di due variabili: il numero di macchine a disposizione delle persone e il ciclo di sostituzione (leggasi rottamazione) di auto vecchie. In altre parole, è lecito prevedere che gli Italiani immatricolino nei prossimi anni un numero di vetture più elevato di oggi, diciamo di 400mila unità all’anno. Ma sostenerlo presuppone delle ipotesi sottostanti. Una è associare la crescita a un incremento del parco circolante (più macchine per abitante). Sarebbe un’inversione di tendenza rispetto a quanto registrato negli ultimi anni. Alternativamente, è possibile che invece gli Italiani accelerino il tasso di rottamazione. Anche questa sarebbe un’inversione di tendenza. Ma potrebbe essere indotta con uno stimolo, o incentivo, per usare una parola che andava di moda anni fa. Ora è un’idea – si pensa ma non si dice. Le statistiche, che i centri studi conoscono ma i lettori forse meno, dicono che nel 2008 circolavano 25.731.000 di auto ante Euro 4. Nel 2014 (dopo la rottamazione più forte e onerosa mai vista – costata all’erario oltre 1,2 miliardi, al netto dell’extra gettito IVA) erano scese a 17.771.000: gli Italiani hanno rottamato/radiato in sei anni circa 8 milioni di auto cosiddette inquinanti. La fetta più grossa ha riguardato le Euro 2 (da 9.1 a 5.5 milioni, 40%) e le Euro 3 (da 8.4 a 6.9 milioni, 18%). Solo 1.5 milioni di Euro 29
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1 sono scomparse e appena 1.2 milioni di Euro 0 (da 5.2 a 4.0 milioni, 23%). Il bello è che in aggiunta sono uscite dal parco circolante quasi 2 milioni di Euro 4 (molte radiate perché vendute all’estero da commercianti e noleggiatori). L’analisi racconta della vita media delle auto, da non confondere con l’età media – molto utile ai riparatori. Ossia risponde alla domanda: quando gli Italiani ritengono che un’auto sia vecchia e debba scomparire? La risposta è che ognuno giudica per conto suo. Certo, alcuni fattori razionali influenzano. Su tutti, l’usura (e i chilometri percorsi dalle auto sono in calo da anni) e la qualità del prodotto in circolazione. Inoltre, le macchine non sono quelle che si vendono in salone, ma quelle che girano per strada. E questo è un problema. Perché la capacità delle strade di farle circolare è sempre meno sufficiente. Non parliamo nemmeno poi di parcheggiarle. Così, ho la macchina ma uso il taxi o il treno: funziona? Non funziona. Quel vecchio luogo comune, secondo cui l’Autostrada del Sole sarebbe stata fatta per favorire la Fiat, era sì un luogo comune, ma qualcosa voleva dire. Chi vuole vendere più macchine, non chieda incentivi, ma opere di bene: strade e parcheggi. Infine, e per fortuna, ci sono le ragioni del cuore. Come negare la carica emotiva che lega gli Italiani alle macchine, alla loro bellezza e allo status sociale che interpretano? È probabilmente proprio questa che ha impedito un crollo maggiore nel 2012/2013 e che adesso sta trainando la ripresa. L’auto non è malata, gode di ottima salute presso il pubblico e molte non mostrano affatto l’età che hanno.
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Articolo pubblicato su InterautoNews, a gennaio 2016 31
UN GIRO IN MACCHINA 2016
L’USATO VOLKSWAGEN NON CONTRACCOLPI DAL DIESELGATE
C
TEME
he impatto ha avuto e sta avendo – sul mercato dell’usato – lo scandalo delle centraline su alcuni modelli del Gruppo Volkswagen?
Dopo tutto, riguarda proprio i veicoli Euro 5, immatricolati da gennaio 2011 fino a settembre scorso, che nel 2016 saranno rivenduti di seconda mano. Di quali numeri parliamo? Gli operatori del noleggio a lungo termine (NLT) venderanno nel 2016 circa 12/14mila Volkswagen e altre 14/16mila auto di altri brand del gruppo, principalmente Audi ma anche Seat
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e Skoda. Diciamo subito che saranno pochi i clienti che assoceranno tali brand al dieselgate, visto che già nei mesi caldi della vicenda non pochi acquirenti hanno dichiarato ai concessionari che preferivano non comprare una Volkswagen e che dunque si orientavano su Audi – tanto per ribadire che l’homo economicus delle teorie classiche non è perfettamente informato, né completamente razionale. Tornando ai numeri Volkswagen, non sono poi così elevati, in un mercato che quest’anno assorbirà oltre 2,5 milioni di auto usate, di cui circa 170.000 del brand in questione. Per valutare quanta difficoltà incontreranno gli operatori a vendere queste macchine, c’è un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility (su dati ACI dei trasferimenti di proprietà lordi, comprensivi delle mini-volture), che sta monitorando mese per mese l’andamento delle vendite, dell’usato come del nuovo. Le vendite di usato Volkswagen nel 2015 viaggiavano a un ritmo di crescita sul 2014 che era la metà (+4%) di quello tenuto dal mercato nel suo complesso (+8%). A ottobre il brand ha ceduto oltre il 7% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, trascinando con sé le vendite di usato dell’intero mercato, che hanno fatto registrare un misero +1,6%. A novembre c’è stato un rimbalzo di recupero (+6% Volkswagen e +15% il mercato) proseguito poi a dicembre (+9% e +10%, rispettivamente). Questi dati permettono due conclusioni. La prima, basata sul legame tra il brand e il mercato, dice che i clienti che dovrebbero/vorrebbero acquistare una Volkswagen e non lo fanno aspettano, escono dal mercato senza deviare la scelta su un’altra marca. 33
UN GIRO IN MACCHINA 2016
La seconda conclusione è che i clienti in autunno abbiano effettivamente preso una pausa, un tempo per capire bene la portata del problema, ma poi hanno concluso che l’acquisto si poteva fare. Sulla stessa linea gli operatori NLT che abbiamo sentito e che hanno tutti confermato di non ritenere necessario accantonare fondi per fronteggiare una diminuzione dei valori residui per le vetture Volkswagen in parco, nÊ tantomeno per gli altri brand del Gruppo.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 9 febbraio 2016
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CRUSCOTTO DI FEBBRAIO
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UN GIRO IN MACCHINA 2016
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 9 febbraio 2016 36
AGLI ITALIANI L’USATO PIACE MENO RISPETTO AGLI ALTRI CITTADINI EUROPEI
A
gli Italiani le macchine usate piacciono meno che ai loro concittadini europei? È probabile, ma quello che è certo è che sono disposti a pagarle di meno. Nel Bel Paese i valori residui viaggiano in media oltre cinque punti percentuali sotto che negli altri grandi mercati (Francia, Germania, Spagna e Regno Unito). È quanto emerge da un rapporto di EurotaxGlass’s International. Nelle vetture di segmento A (le piccole utilitarie da città) il gap tocca spesso i dieci punti. Segno che quando la spesa è meno impegnativa uno è portato a comprarsela nuova, a meno di un risparmio davvero cospicuo. Dopo tutto, non dobbiamo scoprirlo adesso come l’acquisto dell’auto abbia una componente emotiva importante e che dunque fattori soggettivi e culturali entrino in gioco. Un altro tratto distintivo del mercato italiano è la stagionalità, che spinge i valori residui verso il basso durante i mesi, con una ripresa netta a gennaio. Questo fenomeno è particolarmente marcato nelle vetture di segmento D a gasolio, che dopo 3 anni e 90.000 km mostrano un calo dei valori residui fino a 7 punti percentuali nell’arco dei dodici mesi, con un brusco recupero a gennaio. Questi i tratti che caratterizzano le dinamiche del mercato usato domestico. Da un punto di vista congiunturale, invece, emerge un’altra differenza rispetto agli altri grandi Paesi europei. Dal gennaio 2010 all’aprile 2015 la curva dei valori residui nel nostro Paese mostra una tendenza al ribasso che non si riscontra 37
UN GIRO IN MACCHINA 2016
altrove. Le piccole di segmento A alimentate a benzina, dopo tre anni e 60.000 chilometri hanno una quotazione che è circa cinque punti percentuali inferiore a quanto era nel 2010. Se poi guardiamo le utilitarie di segmento B alimentate sempre a benzina, dopo tre anni e 60.000 chilometri, troviamo che la discesa è intorno ai sette/otto punti. Va un po’ meglio per le vetture di segmento D a gasolio, con tre anni e 90.000 chilometri, la cui flessione ha riguardato solo i picchi massimi (in genere a gennaio) passati dal 37 al 33% come valore residuo, mentre i valori minimi sono restati sempre sulla soglia del 30%, senza mai andare sotto. Questo significa un calo medio dei valori residui intorno ai due/tre punti percentuali. Entrando nello specifico delle auto aziendali, bisogna ricordare che i valori residui, pur essendo una variabile importante del prezzo del noleggio, restano comunque una previsione, una stima. Quando i contratti arrivano a scadenza, gli operatori si confrontano con le quotazioni di mercato e vendono entro 20/30 giorni tutte le vetture usate. Il mercato dell’usato nel 2015 ha chiuso a 2.710.566, in ripresa del 6% sul 2014. I volumi di usato dei noleggiatori, secondo le stime del Centro Studi Fleet&Mobility, sono stati 162.000, superiori di quasi il 12% a quelli del 2014, già in crescita del 12% sull’anno precedente. Di questi volumi, una porzione viene radiata perché destinata al mercato estero. “Il 90% dei volumi che trattiamo esce dai confini nazionali” afferma Fabio Lucchetta, numero uno di CarsOnTheWeb, azienda che intermedia migliaia di vetture usate provenienti dal NLT. Nel 2014 le società di noleggio a lungo termine hanno fatto ricorso a questo canale meno dell’anno precedente, esportando 21.900 auto rispetto alle 23.300 del 2013 (il 6% in meno). 38
Evidentemente la domanda sostenuta del mercato interno consentiva di spuntare prezzi interessanti, infatti nell’anno furono vendute in Italia 122.900 auto provenienti da contratti di noleggio a lungo termine rispetto alle 105.400 del 2013. Il canale export viene attivato in misura maggiore o minore nella parte finale dell’anno, in funzione delle esigenze. Al momento è prematuro stimare quanto vi abbiano fatto ricorso negli ultimi mesi. Da notare che se i noleggiatori indipendenti fanno ricorso ai mercati esteri per circa un quarto del loro usato, con punte che superano un terzo delle vendite per alcuni, le captive sono molto più concentrate sul mercato interno, ricorrendo all’export per percentuali minime del loro parco usato, inferiori al 5%. I costruttori si sforzano molto di sostenere i valori residui, addirittura intervenendo commercialmente nel caso del rent-a-car, come spiega Meurizio Bottari di PSA (Peugeot-Citroen): “Tutti i volumi destinati ai noleggiatori a breve termine presuppongono il patto di riacquisto (buy-back) per il 100% delle immatricolazioni, che poi vengono vendute verso le nostre Reti ufficiali di vendita. Ciò evita fenomeni che potrebbero turbare le nostre Reti e consolida i prezzi di vendita, garantendo il mantenimento dei valori residui verso l’alto.” Quale che sia però la provenienza della vettura, quando arriva al mercato dell’usato si rivolge in buona parte a una clientela privata che, oltre a ricercare servizi accessori quali le garanzie sulla meccanica, sta facendo ricorso sempre più ai servizi finanziari, che un tempo erano presi in considerazione solo per l’acquisto di auto nuove. La penetrazione è ancora bassa, intorno al 10% dei passaggi di proprietà netti, contro una penetrazione superiore al 50% sulle vendite di vetture nuove ai privati. Ciò che è positivo è che l’ammontare medio del valore finan39
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ziato, secondo i dati Assofin, l’associazione degli operatori del credito al consumo, dopo una flessione negli anni della crisi, che ha toccato nel 2013 l’importo minimo di 9.151 euro, è risalito nel 2015 oltre i 9.500 euro (era più di 10.000 nel 2010).
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 9 febbraio 2016
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GLI LCV COMINCIANO A INGRANARE LA QUARTA I veicoli commerciali crescono a due cifre, dopo il rallentamento degli anni passati.
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veicoli commerciali leggeri (LCV) sono il termometro dell’economia. Quando le cose vanno bene, si trasportano più prodotti e si erogano più servizi. Nel 2015, ne sono stati immatricolati oltre 134.000, segnando una crescita del 13% rispetto al 2014, anno che già aveva registrato un incremento del 17% sul precedente. Ma prima la crisi aveva colpito duro. Nel decennio mobile 2005-2014 il mercato assorbiva in media quasi 180.000 unità all’anno. Rispetto a quei volumi siamo al 75%. Quando si parla di competenze tecniche, di venditori specializzati, occorre fare i conti con una domanda che è poco più che asfittica, figlia di un’economia in cui gli stessi operatori fanno i salti mortali per continuare a girare. Costruttori e concessionari hanno sostenuto bene il mercato nella prima metà dell’anno, con promozioni che spingevano i clienti all’acquisto prima dell’entrata in vigore a settembre della normativa Euro 6 sulle emissioni inquinanti. Poi a ottobre è arrivato il ‘superammortamento’ che ha spinto in alto le vendite di novembre e dicembre, più 37% e più 29% rispettivamente. Secondo Massino Nordio, Presidente dell’Unrae, “con questi presupposti guardiamo con maggior fiducia all’anno che si è 41
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appena aperto e auspichiamo che gli interventi messi in campo dal Legislatore riescano ad imprimere la necessaria accelerazione al rinnovo del parco circolante più vecchio, che a fine 2014 contava ancora quasi un 40% di Euro 0, 1 e 2. Con i benefìci risultanti dal Superammortamento stimiamo che nel 2016 potrà determinarsi un’ulteriore crescita del mercato dei veicoli commerciali, pari al 15%”. L’analisi delle vendite mostra che il 90% ha un motore a gasolio, mentre gli altri sono spinti da gas metano e GPL. La quota dei mezzi a benzina è meno del 2%. Sono chiamati furgoni, ma questa carrozzeria identifica 8 veicoli venduti ogni 10. Degli altri due, uno è un ‘cassone’ e l’altro un autocaravan o altro formato non meglio specificato. Metà del mercato è fatto dalle società, che acquistano o prendono in leasing, mentre l’altra metà si ripartisce quasi equamente tra le ditte individuali e i noleggiatori. Diciamo subito che per noleggiatori si intendono prevalentemente gli operatori del noleggio a lungo termine, visto che il rent-a-car, con una flotta media di circa 4.500 furgoni e una rotazione di poco inferiore ai 3 anni, acquista meno di 2.000 veicoli all’anno. Il NLT invece ha una flotta circolante di 120.000 veicoli, stabile dal 2010, a differenza della flotta vetture, che invece è passata dalle 393.000 unità del 2010 alle 423.000 del 2014 (ancora non sono disponibili i dati 2015). Però sarebbe un errore sottovalutare l’importanza del rent-acar nel business dei veicoli commerciali. Da un lato, dobbiamo registrare l’acquisizione di Maggiore da parte di Avis-Budget, motivata anche dall’intento di acquisire la leadership del settore furgoni (Maggiore è il leader di questo segmento del mercato dell’autonoleggio) e di esportare questa expertise in altri paesi europei. 42
Dall’altro, il servizio di sostituzione che il rent-a-car offre è determinante per gli operatori del NLT, anche se troppe volte gli allestimenti non sono trasportabili su un mezzo sostitutivo che si usa per pochi giorni. Tornando al NLT, pur se la flotta non aumenta, resta sempre un canale che assorbe quasi un quarto dei volumi ogni anno, che è un peso doppio rispetto a quello che questo anale ha nel mercato delle vetture, che è intorno al 12%. Queste immatricolazioni si dividono quasi a metà tra LCV propriamente detti (veicoli che nascono come furgoni) e i VAN (ossia quei veicoli che sono sul pianale di una macchina, ma allestiti per il trasporto di merce). I veicoli commerciali sono il termometro dell’economia, si diceva. Allora vale la pena notare che la Lombardia da sola assorbe oltre il 18% dei volumi, che le regioni del nord pesano per quasi il 55% del mercato (complice un Trentino Alto Adige dove molti noleggiatori immatricolano per pagare meno IPT), che il mezzogiorno (isole comprese) arriva appena al 14% delle immatricolazioni. Dal lato dell’offerta, il mercato 2015 presenta un leader indiscusso, Fiat Professional, con una quota quasi del 40%, seguito da due gruppi di concorrenti. Il primo, formato da Iveco, Peugeot, Ford, Renault e Citroen, tutti con una quota compresa tra il 7 e l’8% delle vendite. E poi un altro gruppo, formato da Volkswagen, Opel, Mercedes tra il 4 e il 5% di market share, seguito da Nissan staccato di un punto. Il quadro europeo invece appare più equilibrato, con un podio occupato da Ford, Renault e Volkswagen, con quote del 13/14%, seguiti da Citroen, Peugeot, Mercedes e Fiat, con quote tra l’8% e il 10%. La frontiera per gli LCV si chiama ‘personalizzazione’. Sempre 43
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più imprese chiedono non un furgone normale, ma un veicolo con speciali allestimenti, per i quali servono competenze tecniche, sia in fase di installazione post-vendita sia in fase di vendita, con sistemi di configurazione digitale come quelli proposti dalla Neto, azienda italiana che lavora con oltre 1.000 concessionarie nei cinque grandi mercati europei e in Cina. Secondo Graziano Sbardella, giovane imprenditore titolare e fondatore dell’azienda, “il mercato è alla ricerca urgente di strutture meno costose ma più capaci di soddisfare una clientela sempre più esigente”. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 9 febbraio 2016
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NOLEGGIATORI E PRIVATI METTONO LE ALI AL MERCATO DELL’AUTO Cresciute del 20% le immatricolazioni di famiglie e flotte mentre quelle delle società sono aumentate solo del 4%: le imprese si affidano sempre di più al noleggio a lungo termine.
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ipresa, sì, ma non ritorno al passato. Dall’analisi dei risultati dell’anno appena trascorso emergono alcuni assetti diversi, che stanno avviando dei cambiamenti significativi. Poi si sa, quando comincia il movimento, è un domino. E adesso sembra che le danze del ‘dopo-crisi’ siano partite. La musica già si sente. La nota di fondo sono i 4 miliardi in più che i clienti hanno messo per acquistare nuove macchine, che hanno fatto affermare al presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi, che “la più lunga crisi del mercato degli autoveicoli che l’Italia abbia mai visto è conclusa”. In effetti, 2,9 miliardi di euro li hanno aggiunti i privati, arrivando a sborsarne oltre 18,1 (+19% di incremento), pari al 62% della spesa totale. Era senz’altro questo il segnale forte che costruttori e concessionarie aspettavano ormai da troppi anni, il segno tangibile che l’automobile è di nuovo al centro dei desideri della gente. Questo risultato, pur positivo e confortante, non deve però indurre a credere che tutto stia tornando come prima, sebbene su volumi e valori più contenuti. Il campanello suona nel restante miliardo e cento milioni di incremento, quello prodotto dalle auto business. Tenendo da parte quelle acquistate dalle società di rent-a-car (poco meno di 2 miliardi, 300 milioni più del 2014), osserviamo cosa è accaduto nel grosso di questo segmento. I noleggiatori a lungo termine hanno messo sul piatto quasi 3,9 miliardi, 600 milioni più del 2014, segnando una crescita del 18%. Le so45
UN GIRO IN MACCHINA 2016
cietà hanno speso 5,4 miliardi, appena 200 milioni più dell’anno precedente, meno del 4%. E qui già qualcosa non torna. È credibile che, in un’economia dove sia le famiglie sia le flotte viaggiano quasi al 20% di crescita, le società segnino il passo? In generale, un’economia è, appunto, una: simul stabunt aut simul cadent. Evidentemente, mentre l’economia girava per tutti allo stesso modo, non tutte le società hanno speso per rinnovare l’auto. Perché? Hanno deciso di andare in giro ancora con auto obsolete o hanno trovato un sistema diverso per sostituirle? Sospendiamo la risposta e osserviamo più in dettaglio gli acquisti fatti dai noleggiatori a lungo termine. Quasi 3,9 miliardi per immatricolare circa 192.000 vetture, 30.000 più del 2014. Ma ciò che più conta è che sono quasi 31.000 più di quelle vendute come usato (o radiate perché vendute all’estero), stando alle stime del Centro Studi Fleet&Mobility su dati Unrae. Quindi, si tratta di clienti nuovi, che prima guidavano un’auto non in noleggio e che nel 2015 hanno deciso di sostituirla con una presa in affitto. Se avessero continuato con l’acquisto/leasing, il segmento delle società (poiché in buona misura si tratta di PMI, ma non solo) avrebbe fatto registrare una crescita del 17%. I numeri certi saranno disponibili come sempre tra due/tre mesi, ma le stime ci servono per evidenziare un fenomeno: i due canali, concessionarie e noleggiatori, non sono silos, ma vasi comunicanti. In questo periodo c’è un significativo travaso di clienti dal primo al secondo. Non sono solo società, dicevamo. Infatti, nel segmento dei privati sono incluse anche le Partite IVA, che le imprese di NLT ormai da anni stanno corteggiando, con buoni risultati, attraverso le reti di broker e anche le stesse concessionarie, magari con accordi quadro benedetti dalle stesse Case costruttrici. 46
Se dunque, come pare, sono tutti d’accordo, questo cambiamento di canale non rappresenta un problema per nessuno. Certo, i margini sulle vendite che i concessionari fanno ai noleggiatori sono inferiori. Certo, nella vendita il concessionario non può inserire servizi finanziari, quali un leasing e un’assicurazione, ottime fonti di guadagno. E ancora, alla fine del periodo non può contare sulla permuta (altra fonte di reddito, se ben gestita). Ma affianco a questi aspetti, in qualche misura percepiti e visibili, c’è tutto l’insieme dei servizi accessori, come è emerso proprio di recente durante i lavori de La Capitale Automobile service. L’evento, dedicato proprio al post-vendita, si è svolto nell’Auditorium di Toyota a Roma e sono intervenuti diversi esponenti di Case e società di noleggio e titolari di concessionarie, che si sono confrontati proprio su questi temi. Partendo dall’interesse del cliente a ricevere il servizio migliore, è emerso come questo non consista solo nel prezzo più contenuto possibile, visto che ben altre variabili giocano un ruolo determinante. Innanzitutto, è stato affermato che in chiave di marketing il valore del post-vendita (inteso come assistenza, ricambi e materiali di consumo) consista in singoli atti d’acquisto di importo ben inferiore all’acquisto del veicolo in sé. Di conseguenza, elementi quali la comodità, la distanza o i tempi di attesa assumono un peso molto maggiore. In altri termini, chi di buon grado attraversa la città per scegliere il modello e negoziare le condizioni dell’auto, difficilmente sarà disposto a farlo per montare le gomme invernali o fare il tagliando. Quando il cliente compie scelte d’acquisto meno impegnative, aumentano le aspettative che sia l’offerta a venire incontro alle sue necessità, e non viceversa. E qui sta il busillis. Per servire un cliente secondo le sue aspettative occorre conoscerle, conoscere i suoi ritmi di vita quotidiana e i suoi metri di giu47
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dizio. In altre parole, fare marketing intelligence. Non è una competenza rara, ma è una competenza. Le aziende abituate a lavorare nel retail l’hanno sviluppata. Quelle che invece hanno costruito il prodotto nel settore corporate devono fare qualche sforzo. Non tanto per conoscere, ma per far seguire alla conoscenza la opportuna variazione del prodotto/ servizio, in modo che possa intercettare i bisogni e gli stili di vita del nuovo cliente. Ecco, questo è il genere di cambiamento che il nuovo assetto dei canali distributivi potrebbe innescare e in qualche misura ha già avviato, non per tutti e non tutti consapevolmente. Questa evoluzione a sua volta si incastra in altre piccole grandi rivoluzioni che stanno interessando il mondo dell’auto e della mobilità. Piccole perché si manifestano una alla volta, e sembra che non sia poi nulla di stravolgente. Grandi perché nell’insieme preparano l’avvento di un prodotto nuovo, pensato per un cliente nuovo, che prima o poi non potremo nemmeno più chiamare automobilista: ‘mobilista’ sarà sufficiente. Come tutte le rivoluzioni, anche queste sono il crocevia dove si incontrano vari soggetti, i costruttori di automobili, i produttori di hardware e software informatico, i creatori di applicazioni che offrono le soluzioni più disparate. Essere o diventare l’interfaccia, il riferimento, del cliente è la sfida e la responsabilità degli operatori.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 9 febbraio 2016
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CIAO TOMMASO
È
il vuoto, prima che il dolore. Questo è il sentimento più forte che avverto adesso, a ridosso della tristissima notizia. La mancanza.
Di un interlocutore amico, con cui avrei ancora cose da dire e da progettare. Un amico che mi manca. Scusa, Tom, ma non avevamo detto giusto venerdì l’altro che ci saremmo fissati uno dei nostri pranzetti? Questa volta toccava a me, l’ultima volta hai fatto tu, da Celestina. E adesso? Con chi parlo del tema di attualità del nostro mondo? Con chi mi confronto? Perdonami, ma che si fa così? All’improvviso? E noi? E io? Ragionando, posso dire che questo senso di vuoto, questa mancanza, che sento sul piano fisico, della telefonata che non potrò più fare, non è frutto di un rapporto personale, che pure ci sta (ci stava, sarebbe corretto, ma ho deciso di non correggere perché ancora non ce la faccio a usare il passato). No, altrimenti me la terrei per me. Questa assenza è causata dall’insostituibilità di Tommaso. Perché Tom è unico. È un grande maestro del giornalismo, un decano, come si dice, ma non solo quello. Nella professione, ci sono altri che con altrettanto merito scrivono e raccontano. Il giornalismo andrà avanti, come è normale. Ma non c’è un altro Tom. E probabilmente, mi permetto di dire, non ci sono più le condizioni per un altro Tom. L’ambiente e lo scenario che l’hanno eletto a loro portavoce e che egli ha interpretato magistralmente dove sono? Non tutte le epoche sono uguali. Certo, tutte sono abitate da uomini. Ma non tutte hanno spazio per dei giganti. Un gigante è un uomo come gli altri, che però incarna così profondamente e tanto a lungo il suo contesto da diventarne parte, non 49
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solo abitante. Oggi a me manca una parte. E dunque manca un pezzo del contesto. Il puzzle non si può completare. Mannaggia! Devo molto a Tommaso. Gli devo un libro che ho scritto, perché lui mi ha chiesto di farlo. Gli devo l’esperienza di aver creato e gestito insieme InterAuto Fleet&Mobility, perché lui me l’ha proposto. Gli devo gli insegnamenti di quegli anni, quando apprendevo quello che potevo del suo mestiere di giornalista e dell’altro suo mestiere, quello di editore. Sì, perché sono due lavori distinti. Ma soprattutto, gli devo qualcosa che non so, ma che lui ha fatto per me, sicuramente. Beh, grazie Tom, non so cosa sia specificamente, ma non pensare che non me ne sia accorto. Carissimo Tom, per me conoscerti è stato un privilegio. Per il nostro settore, una ricchezza insostituibile. Ti abbraccio forte.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 febbraio 2016
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CIAO TOM
Caro Tom, che sensazione di vuoto! Le nostre interminabili conversazioni, spesso divergenti e divertenti, come un duello di fioretto d’altri tempi. Ma non solo questo. Il tuo umorismo inglese, il tuo stile signorile, il tuo garbo. Quante critiche hai fatto senza mai scadere nel cattivo gusto? Tutti ti chiamano maestro, e va bene. Ma se poi uno non lo segue, il maestro? Mi chiedo quanti conoscano il senso di questa parola. Sforzarci tutti di adottare certi modi e certi comportamenti sarebbe un bel modo di tenerti tra noi. Come ho scritto altrove, io e Fleet&Mobility ti dobbiamo molto. Mi hai sempre fatto credere di averlo meritato. Speriamo... Ciao Tom.
Articolo pubblicato su Repubblica Motori di La Repubblica, il 15 febbraio 2016
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SE L’ASSISTENZA DIVENTA UNA VIA CRUCIS IN SALITA Inefficienze ricorrenti: il driver deve recarsi in un punto per i servizi di meccanica, in un altro per cambiare le gomme, in un altro ancora per interventi di carrozzeria. Non è contento di perdere tanto tempo.
D
imenticate i soldi. È il tempo la vera risorsa scarsa. Nelle auto, si fa fatica a capirlo. Perché si pensa che il cliente sia quello che sceglie l’auto nuova o confronta un leasing con un contratto di noleggio, o peggio ancora tratta la fornitura di una flotta di 80 auto. Niente affatto. In quei momenti, il cliente sta facendo una scelta economicamente impegnativa e dunque mette da parte il tempo, anzi è proprio lui che lo fa perdere, perché vuole attenzione e rassicurazione, è apprensivo e non vuole sbagliare. Per le flotte poi, quello è il momento in cui assume la massima importanza agli occhi del venditore, figurarsi se vuole fare in fretta. Quello che viene dopo è un’altra cosa. Nel post-vendita lo scenario cambia completamente. L’auto non è più una parentesi, un’astrazione temporanea dalla routine quotidiana. L’auto È la routine. È lo strumento che rende possibile tutte le altre cose: il lavoro, i bambini a scuola, la spesa, la gita nel week end. Ce l’hai e sai che ci puoi contare; è tua, noleggio o non noleggio. Perciò, quando ha bisogno di assistenza, l’unico desiderio è che duri il meno possibile. Prima ritorna a svolgere il suo compito meglio è. È l’auto al nostro servizio, non il contrario: questo sia chiaro. Eppure, sembra che le imprese facciano fatica a capirlo. Fanno
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grandi sforzi per offrire un post-vendita che faccia risparmiare soldi. Ci riescono, certo che sì, ma a che prezzo? Spesso facendo perdere più tempo del minimo necessario. È quanto è emerso in un incontro organizzato dal Centro Studi Fleet&Mobility per conto di Rhiag, che ha messo intorno a un tavolo una decina di operatori del post vendita. Non c’è voluto molto a far venir fuori il nocciolo del problema. Il cliente deve recarsi in un punto per servizi di meccanica. Poi in un altro per sistemare le gomme. In un altro ancora per eventuali interventi di carrozzeria. Il cliente non è contento. Perde un sacco di tempo e deve spostarsi da un luogo all’altro. Gli operatori intervenuti hanno ipotizzato l’istituzione di un’interfaccia unica, che prenda in carico l’auto e faccia tutti gli interventi del caso. Anche non arrivando all’interfaccia unica per servizi diversi, basterebbe intervenire su alcuni sistemi che, perfetti sulla carta, nella pratica dilatano i tempi in maniera inaccettabile. Gli esperti coinvolti hanno puntato il dito sulle autorizzazioni e sulle forniture di ricambi. Non è detto che l’officina che fa l’intervento di meccanica possa anche montare il ricambio, che magari deve arrivare da un fornitore specifico con cui c’è un accordo quadro conveniente. Peccato che questo sistema venga applicato anche per pezzi poco costosi dove il vantaggio del tempo sarebbe enormemente maggiore. E peccato anche se allungandosi i tempi il driver riceve un’auto sostitutiva, che pure ha un costo. Sono due centri di spesa diversi, che non fanno i conti a fine giornata, dunque va benissimo così: occhio non vede, cuore non duole. Le autorizzazioni poi, arrivano in poche ore, il tempo sufficiente a spostare la consegna per un semplice tagliando dal pomeriggio alla mattina successiva. 53
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Migliorare questo livello di servizio avrebbe un costo e il pensiero unico delle flotte punisce i costi e premia il risparmio. È lo spirito dell’Ikea. Ma c›è una differenza tra montarsi a casa un comodino in una domenica piovosa e girare per meccanici nei giorni settimanali. E poi, l’Ikea è una scelta del cliente, mentre la sorpresa del tour cittadino delle officine la scopri solo dopo. Nelle flotte è tutto più semplice: in giro per officine ci va il driver e il risparmio lo ottiene il fleet manager, che è il vero cliente – o presunto tale. Non c’è che dire, nelle company car la customer satisfaction è un valore assoluto.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 marzo 2016
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IN RIPRESA IL MERCATO DEI CAMION IN ITALIA Crescita a due cifre a gennaio per le immatricolazioni di veicoli oltre 3,5 tonnellate.
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opo un gennaio cresciuto a due digit (+11,6% con 1.615 mezzi immatricolati) rispetto allo stesso mese del 2015, la stima di Unrae per il 2016 è di 17.000 immatricolazioni di veicoli con massa complessiva superiore a 3,5 tonnellate. “Però occorre ricordare - ha commentato Franco Fenoglio, presidente della Sezione Veicoli Industriali di UNRAE – come la previsione di 17.000 unità, da considerarsi buona, sia ancora ben lontana dai 33.501 pezzi consuntivati nel 2008”. Le serie storiche mostrano un andamento a W, con un dimezzamento delle vendite nel 2009, a causa della crisi finanziaria internazionale, seguito da due anni di timida ripresa che aveva quasi raggiunto le 20.000 immatricolazioni, fino alla seconda caduta nel 2012, meno 30% con 13.600 unità, dovuta alla crisi del debito nazionale. Le politiche restrittive che hanno ridotto i consumi nel 2013 e nel 2014 hanno portato al minimo di 12.100 unità immatricolate nel 2014. La ripresa del 27% dello scorso anno ha permesso di risalire a 15.500 unità. I costruttori stanno seguendo un approccio moderno che non si focalizza più solo sulla vendita, come ci racconta Daniele Lucà, a capo del marketing di Scania: “Grazie alla connettività, che abbiamo introdotto già nel 2000, siamo oggi in grado di fornire ai nostri clienti non solo dei mezzi efficienti, ma anche strumenti di fleet management, per controllarne le performance, in base agli stili di guida e ai carichi sostenuti. A questo facciamo seguire altri servizi mirati a migliorare le performance del mezzo. 55
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Ricordo per inciso che i consumi di carburante incidono per il 30/35% dei costi totali di un’azienda di trasporto, dunque migliorare l’efficienza anche del 10% significa fare la differenza su un bilancio”. Ma non basta, perchè dietro ci sono questioni economiche di sistema, come ricorda ancora Fenoglio: “Nelle attuali condizioni, l’incremento registrato - che è appannaggio soprattutto delle grandi flotte, mentre i piccoli trasportatori continuano ad essere in sofferenza - può consentire un cauto ottimismo, ma va tenuto presente che la domanda è caratterizzata da incertezze e discontinuità legate in modo sensibile a fatti contingenti, vista la persistente assenza di misure strutturali. Per crescere adeguatamente e diventare competitivo l’autotrasporto italiano, che ha perso quote rilevanti nei traffici internazionali, ha bisogno di provvedimenti che favoriscano il rinnovo del parco, con particolare attenzione alla sostenibilità ambientale ed economica e alla qualificazione professionale degli autisti, che oggi costituiscono più che mai una componente fondamentale della produttività delle imprese di autotrasporto”. Per ora, possiamo registrare che il Governo è intervenuto con la Legge di Stabilità 2016, escludendo lo sconto delle accise sui carburanti per i veicoli di categoria inferiore a Euro 2. Questa misura, oltre a dare un impulso allo svecchiamento dei mezzi che attualmente circolano sulle nostre strade, ha anche liberato risorse da destinare ad ulteriori azioni di sostegno. Ci sono 138 milioni di euro, distribuiti sul triennio 2016/2018, per attuare progetti che migliorino la catena intermodale e dunque possano decongestionare il traffico stradale. Parliamo di realizzare nuovi servizi marittimi per il trasporto combinato delle merci e migliorare quelli esistenti, sulle rotte in arrivo e in partenza da porti situati in Italia (il cosiddetto Marebonus). 56
A questi si aggiungono altri 60 milioni, nel triennio, per il cosiddetto Ferrobonus, ossia contributi per il trasporto ferroviario intermodale, in arrivo e in partenza da nodi logistici e portuali in Italia. Poi, ciò che più interessa ai costruttori, ci sono gli interventi per favorire l’acquisto di mezzi di ultima generazione, gli Euro 6, destinati al trasporto di merci su strada. Normalmente, in un’economia di mercato domanda e offerta devono confrontarsi e adattarsi, con un intervento pubblico più di regolamentazione che non di ingerenza. Ma il comparto dei mezzi pesanti presenta un aspetto peculiare: la dimensione europea. Mentre le auto e i mezzi commerciali leggeri immatricolati nel nostro Paese rispondono a una domanda Italiana, i mezzi pesanti servono una funzione che solo in parte insiste dentro i confini nazionali. Un camion venduto in Italia lavora su tratte transnazionali, così come una certa domanda di autotrasporto domestico viene soddisfatta da vettori esteri, europei: si chiama cabotaggio. In pratica si tratta di prestazioni di vettori non residenti che, in occasione di un viaggio internazionale, si trovano in un paese di accoglienza e che piuttosto che rientrare a vuoto effettuano un altro trasporto in questo paese prima di raggiungere la frontiera. Le norme europee autorizzano le imprese titolari di una licenza comunitaria rilasciata da uno Stato membro a fornire servizi di trasporto merci su strada in un altro Stato membro, a condizione che il servizio sia fornito in via temporanea. Ma il regolamento (CE) n. 1072/2009 del 21 ottobre 2009 (articolo 8, paragrafo 2) ha abbandonato il concetto di cabotaggio generale per adottare la formula più restrittiva di cabotaggio consecutivo, che prevede fino ad un massimo di tre operazioni di cabotaggio 57
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autorizzate nei sette giorni successivi a un viaggio internazionale verso il paese di accoglienza del cabotaggio.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 marzo 2016
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CRUSCOTTO DI MARZO
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Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 marzo 2016 60
NELLE OFFICINE UN POTENZIALE DI BUSINESS INESPRESSO Ancora inesplorati diversi servizi che porterebbero alto valore aggiunto e di soddisfazione agli utenti.
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lume di naso, l’invecchiamento del parco circolante dovrebbe far aumentare il business del post-vendita. Invece non è così, per alcune ragioni. Intanto, i prodotti sono sempre più affidabili e richiedono meno interventi di riparazione. Inoltre, gli intervalli di manutenzione programmata sono sempre più lunghi. Infine, anche il calo delle percorrenze contribuisce a diradare nel tempo gli ingressi in officina. È questo lo scenario del post-vendita emerso dall’annuale convegno La Capitale Automobile service, promosso dal Centro Studi Fleet&Mobility e ospitato quest’anno da Toyota Italia nel magnifico auditorium di Roma. Tornando ai numeri, è vero che il parco circolante è invecchiato: le vetture con oltre 10 anni di anzianità sono ormai il 38% del totale, mentre non arrivavano a una su quattro dieci anni fa. Però nel frattempo gli Italiani hanno modificato un’abitudine importante, che era stata una conquista di modernità: l’assistenza programmata e preventiva – il famoso ‘prevenire è meglio che curare’. Se nel 2007 oltre metà degli interventi era di questo tipo, nel 2015 solo uno su tre ingressi in officina è stato per manutenzione ordinaria, mentre gli altri due sono stati motivati da riparazioni straordinarie. Con altre parole, portiamo l’auto in officina quando serve ripararla, altrimenti risparmiamo. Risultato: in dieci anni un’officina su sei ha chiuso i battenti. 61
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Chi volesse vedere il bicchiere mezzo pieno si aspetterebbe da un consolidamento dell’offerta un allentamento della pressione sui margini. Beh, non è successo. I clienti chiedono maggiore qualità nel servizio, che significa anche rispetto dei tempi e altre forme di confort, cose che si possono ottenere migliorando i processi e dunque, in definitiva, investendo sull’organizzazione. Poi, l’evoluzione tecnologica delle auto impone aggiornamenti costanti del personale e degli strumenti, che si traducono ancora una volta in maggiori costi. La conclusione è che gli operatori del post vendita devono ricercare ulteriori fonti di ricavi. Un’area è quella delle revisioni. Secondo Giorgio Casalino di Dekra “un intervento di revisione comporta spesso ulteriori interventi legati alla sistemazione del veicolo, in modo che possa essere idoneo ai controlli”. Lo conferma un’analisi di Autopromotec, secondo cui nei primi sei mesi del 2015 gli Italiani hanno speso mezzo miliardo per le revisioni, a cui poi hanno aggiunto un altro miliardo di euro per interventi pre-revisione, finalizzati a superare i controlli. Ma tenere il veicolo in ordine non è solo una leva di business per i riparatori, ma soprattutto un modo per contribuire alla sicurezza stradale. Secondo dati del Ministero dei Trasporti riferiti al 2010, il costo sociale dei 211.000 incidenti in cui ci sono stati feriti (303.000) e/o decessi (4.090) ammontava a oltre 21 miliardi di euro. Un’altra area che porta business aggiuntivo, soprattutto alle officine delle concessionarie, è quella dell’estensione delle garanzie. In base ai dati presentati da Gianpiero Mosca di Aon, “appena un’auto su quattro viene coperta da garanzie estese, mentre le altre tre sono ancora un’opportunità da cogliere”. Eppure, l’86% dei concessionarie dispone di prodotti del genere per la clientela, che però evidentemente deve essere maggiormente sensibilizza62
ta e stimolata all’acquisto. Ciò che è emerso chiaramente è che queste opportunità di business non valgono solo per i margini che portano direttamente all’officina, ma soprattutto per il legame nel tempo che generano con il cliente. Sebbene non quantificabile in modo certo, è questa la vera ricchezza del post vendita per una concessionaria. Come ha chiaramente indicato Marc Aguettaz di Gi.Pa, l’officina della concessionaria è riuscita finora a mantenere una quota importante, intorno al 50%, solo sugli ingressi in officina dovuti al tagliando, che dunque oggi rappresentano circa il 40% della loro quota complessiva. Su questo fenomeno si sono confrontati i costruttori, rappresentati da Benito De Filippis di Mercedes e Gianluca Ercolani di Nissan, e i noleggiatori, nella persona di Franco Oltolini di LeasePlan. Prendendo spunto dall’espansione del noleggio a lungo termine nella clientela definita small, ossia PMI e partite IVA, è stato osservato come la presenza del NLT si inserisca di fatto nella filiera, orientando la scelta dell’officina presso cui deve essere portata l’auto per il necessario servizio di assistenza.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 marzo 2016
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PIÙ SERVIZI EVOLUTI AL CLIENTE Nel noleggio diventerà determinante la personalizzazione delle relazioni prima che dell’offerta.
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anto tuonò che piovve. Sono decenni che si parla di servizi, specialmente nel settore delle flotte, ma senza confrontarsi davvero con il suo significato reale. Diciamo la verità, molti dei servizi che da anni vengono offerti come tali altro non sono che prodotti. Intangibili, cartacei e futuri quanto si vuole, come una copertura, un finanziamento, una responsabilità di sostenere dei costi incerti e imprevisti. Ma pur sempre prodotti. Pensati, progettati e formalizzati anche nell’erogazione dall’impresa, prima e senza entrare in contatto col cliente e i suoi bisogni. Adesso però i nuovi media stanno facendo emergere la voce del cliente, che suona ogni volta un po’ diversa, perché diverse sono le condizioni in cui ricorre ai nostri servizi. E allora il vero banco di prova non è tanto il contenuto freddo, oggettivo, del servizio, quanto piuttosto il modo e i tempi di erogazione, la facilità di accesso, la flessibilità e la capacità di adattarsi alle specifiche esigenze della persona e del momento, fino a diventare davvero la soluzione di un problema. Finalmente, oserei dire. Sulla base di queste considerazioni 14 esperti – tutti esponenti di vertice di imprese operanti a vario titolo nel comparto dell’auto e delle flotte – si sono riuniti a Roma il 5 febbraio per sviluppare una previsione di come evolverà nei prossimi anni “la cultura e la percezione del servizio”. La ricerca è un’iniziativa di AgitaLab, un laboratorio dedicato 65
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alla ricerca e sviluppo di servizi innovativi in ambito automotive, flotte e mobilità promosso da Agenzia Italia, e curata dal Centro Studi Fleet&Mobility, adottando una variante della metodologia Delphi. Gli esperti hanno formulato individualmente delle previsioni, che poi sono state sottoposte a tutti in forma anonima, chiedendo di esprimere la propria condivisione o meno su ciascuna previsione. Il messaggio principale, sintetizzato efficacemente dalle parole di Matteo Marzotto di AgitaLab, è che “la centralità e l’umanità delle relazioni nei servizi sono destinate ad aumentare nei prossimi anni, nonostante la tecnologia, anzi proprio grazie ad essa.” Dunque sembra che l’ondata di tecnologia applicata alle relazioni non impedirà, anzi favorirà, il recupero della dimensione umana nelle relazioni tra l’impresa e i destinatari dei suoi servizi, siano essi consumatori singoli o altre aziende. “Certo – prosegue Marzotto – i consumatori privati (individuals, come vengono definiti) sono già oggi più avvezzi ad aspettarsi e ricevere un servizio ritagliato su misura per le loro esigenze. Ma anche le imprese pretenderanno nei prossimi anni prodotti e servizi sempre più personalizzati, pur nel rispetto degli standard e delle procedure. Che possono convivere benissimo con un elevato livello di flessibilità nella finalizzazione del servizio”. Questa della standardizzazione contrapposta alla personalizzazione è una vexata quaestio. La ricerca dell’efficienza spinge le imprese verso l’offerta di servizi standardizzati, mentre il cliente si aspetta la possibilità di costruire la prestazione su misura per le sue esigenze. Gli esperti convengono sulla necessità di rompere un paradigma che oggi domina nei servizi. Non basta più essere reattivi alle richieste del cliente, ma occorre diventare proattivi, ossia recepire il cambiamento e anticipare i loro bisogni. Solo così sarà possibile offrire un prodotto/servizio in grado di cogliere il ‘momentum’. Sebbene oggi e in futuro la tecnologia consenta un’automazione crescente nell’erogazione dei servizi e in gene66
rale nelle relazioni col cliente che da questa si generano, la stessa non deve rappresentare un limite all’utilizzo della dimensione umana e personale. Gli esperti hanno unanimemente affermato come sia necessario un processo che riporti il cliente al centro non solo come lead, ossia un’opportunità commerciale di business, bensì come persona, recuperando un rapporto one-to-one. Per corollario, si aspettano che il cliente vorrà un servizio sempre più di alta qualità, i cui fondamenti siano delle informazioni chiare, il rispetto delle promesse e dei tempi, ma soprattutto un riconoscimento forte come interlocutore. Ecco perché i front-liner, coloro che nel cosiddetto ultimo miglio tengono i contatti con i clienti, dovranno essere persone empatiche e capaci di anticipare e risolvere le esigenze del cliente, anche con l’aiuto dell’automazione. Tuttavia, sempre più spesso il fornitore che ha assunto l’obbligo di dare il servizio non è lo stesso che lo eroga, come per l’auto sostitutiva nel NLT. Gli esperti sono convinti che la competizione si farà sul piano della customer experience evoluta, ad elevato valore aggiunto, che dovrà però fare i conti con la necessità di contenere i costi. Pertanto, sarà ineludibile il ricorso all’outsourcing, dove entra in gioco la qualità del fornitore, poiché il legame tra l’utilizzatore del servizio e chi lo eroga resterà forte. L’affidabilità dei partner e il modello adottato saranno la chiave per offrire un servizio in linea con il posizionamento/immagine dell’azienda e con le aspettative del cliente, che saranno molto alte e caricheranno di responsabilità l’impresa.
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Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 marzo 2016 68
FLEET&MOBILITY, UNO SGUARDO DIVERSO SULL’USATO “OPPORTUNITÀ CHE NON GENERA DOMANDA DI AUTO NUOVE”
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a necessità di eliminare auto troppo vecchie ha un impatto difficile da stabilire e comunque marginale sulla crescita delle immatricolazioni di questi mesi. È quanto emerso nel convegno del 14 aprile tenutosi a Roma e dedicato alle auto usate, promosso da LeasePlan e curato da Fleet&Mobility, in cui si sono confrontati autorevoli esponenti dei costruttori e dei concessionari. L’analisi presentata dal Centro Studi romano parte da una realtà netta e chiara: gli Italiani comprano macchine. Chi acquista una Maserati nuova di fabbrica s’è fatto la macchina nuova. Chi acquista una Punto di 5 anni s’è fatto la macchina nuova. Nuova per lui, d’accordo. Ma frutto di un processo d’acquisto (oggi customer journey) che ha espresso una domanda. È lecito segmentare tale domanda tra nuovo e usato, ma sarebbe fuorviante concentrare l’attenzione solo su chi acquista un’auto nuova, facendone l’unico termometro del sentiment economico del Paese. Anche perché ormai i clienti del nuovo e dell’usato sono in parte gli stessi. Prima si credeva che esistessero due silos non comunicanti: uno con gli Italiani che mai avrebbero comprato un’auto usata; l’altro con quelli che non potendo permettersi di targare un’auto si accontentavano di prenderne una di seconda mano. Osservazioni più accurate e una società fluida, meno rigida e schematica, disegnano un quadro dove ormai i clienti si suddividono per fascia di spesa, entro cui valutano la convenienza di un’auto nuova oppure usata. Per inciso, oltre dieci anni di ‘chilometri zero’ hanno aiutato a ragionare così. 69
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Dunque, la domanda di auto degli Italiani è rappresentata dall’aggregazione di coloro che comprano una macchina nuova più quelli che invece optano per un’usata. L’osservazione di questo dato aggregato mostra non poche informazioni interessanti. La prima, che non sono pochi. Nei primi sei anni di questo decennio, una media di oltre 4,1 milioni di persone ogni anno ha comprato un’auto. Significa che ogni 12 mesi passa di mano circa l’11% del parco circolante. La seconda, che la domanda aggregata è meno sensibile al ciclo economico. Nell’annus horribilis 2013 gli Italiani che acquistarono un’auto furono 3,8 milioni, il 20% meno del 2010, ultimo anno in cui il mercato del ‘nuovo’ ancora sfiorava i fatidici 2 milioni. La crisi mordeva, ma non quanto nelle sole auto nuove, a cui quell’anno mancavano un terzo delle vendite. Anche adesso, che le immatricolazioni schizzano sotto la spinta degli incentivi messi in campo dalle Case (+21% nel primo trimestre), la domanda aggregata segna una crescita intorno all’11%. La stabilità della domanda in microeconomia è un valore positivo. Chi vende nuovo e usato soffre meno di chi è sbilanciato sul nuovo. La terza, che i km0 non vanno contati due volte. La domanda di un mercato è data dagli acquisti finalizzati all’uso del prodotto. Quando un’auto ad esempio viene ceduta a un commerciante che a sua volta deve rivenderla, non si registra come domanda (è appunto una mini-voltura). Allo stesso modo, quando un dealer immatricola una macchina e poi la rivende a un cliente come usata a km0, l’acquisto è uno ed uno solo. Non è possibile registrarlo come immatricolazione e poi anche come vendita di usato. Si tratta di 100.000 unità all’anno, che forse è opportuno togliere dal mercato dell’usato, poiché il cliente prende un’auto nuova, seppur invecchiata artificialmente, sul libretto di circolazione, per camuffare un taglio prezzo. 70
La quarta, che tra le auto nuove che gli Italiani acquistano e quelle ormai esauste che rottamano/radiano la relazione è molto indiretta. È vero che per ogni 100 italiani che immatricolano una nuova auto 91 cancellano una targa dal PRA, ma è altrettanto vero che nel frattempo altri 163 ne acquistano una usata. Detto in altre parole, ogni macchina passa 1,6 volte per la porta girevole dell’usato prima di finire la sua vita o di espatriare. È tanto, per poter collegare direttamente la domanda di auto nuove a ciò che viene rottamato perché troppo vecchio. Intendiamoci, è innegabile che a un’auto che entra corrisponda una che esce, ma è una forzatura pensare che chi rottama con la mano destra sia poi colui che con la sinistra compra una macchina nuova. Con un mercato dell’usato così grande è più verosimile che chi rottama acquisti poi un’auto di seconda mano. Ciò fa salire le quotazioni dell’usato, ma non genera ulteriore domanda di auto nuove. Come i concessionari hanno sperimentato sulla loro pelle, sono le macchine nuove che producono l’usato, non il contrario. Ma c’è di più. Pur assumendo una relazione tra immatricolazioni e radiazioni, di queste quelle davvero vecchie sono una minima parte. Negli ultimi due anni, meno del 15% delle vetture radiate erano Euro 0 e Euro 1. Tradotto in cifre di mercato, significa che se nel 2016 le immatricolazioni dovessero alla fine essere 1,8 milioni, ossia 225mila più del 2015, ad appena 31.000 di queste corrisponderebbe la radiazione di altrettante Euro 0 o Euro 1. Obiettivamente non tante per poter affermare che la ripresa degli acquisti sia determinata dalla necessità degli italiani di sostituire macchine ormai troppo vecchie. Magari semplicemente ai cittadini del Bel Paese le macchine piacciono e appena recuperano un minimo di fiducia la cambiano. Eh sì, l’auto non è per nulla malata. 71
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Articolo pubblicato su InterautoNews, ad aprile 2016 72
IL MERCATO FINALMENTE È USCITO DALL’APNEA
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ull’onda di un primo bimestre scoppiettante (scooter a +26% e moto a +34), gli “stati generali” delle due ruote si sono riuniti a Roma a marzo, per La Capitale Automobile moto, convegno promosso dal Centro Studi Fleet&Mobility e da Agos, con il patrocinio di Ancma. Lo spirito degli operatori è molto positivo, dopo anni di apnea, grazie a un 2015 archiviato con il segno più: +7% per gli scooter, che pesano per il 56% delle immatricolazioni, e addirittura +15% per le moto, che coprono circa un terzo delle vendite, ma a prezzi e margini ben superiori e, soprattutto, portandosi dietro un business aggiuntivo di accessori molto maggiore dell’accoppiata classica “bauletto e parabrezza”, con cui vengono allestiti gli scooter. Tuttavia, rispetto alle vendite medie del decennio scorso, le moto sono alla metà e gli scooter al 40%, segno ulteriore che la crisi ha colpito più duramente la fasce meno forti della clientela. Discorso a parte per i cinquantini, che sono stati in caduta libera da 1998. È vero che in questi primi due mesi anche loro hanno segnato un +3%, ma non basta a parlare di ripresa, poiché il fenomeno sottostante è strutturale. Un propulsore da 50cc è giudicato insufficiente e inadeguato, e appena possibile (consentito) si opta per un targato. Piuttosto, gli esperti coinvolti nelle tavole rotonde hanno anche segnalato la migrazione di parte della clientela dallo scooter alla moto. Non riguarda la maggioranza, ovviamente, però sembra esserci un canale di comunicazione tra quelli che erano considerati due silos, uno con sopra scritto «passione» e l’altro «funzionalità e versatilità». Ma le statistiche di vendita non raccontano tutta l’importanza 73
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delle due ruote per gli italiani. Il parco circolante già nel 2014 aveva superato gli 8 milioni di mezzi di cui due terzi targati, stando ai dati presentati da Marc Aguettaz di Gi.Pa. L’altro segmento importante di questi anni si chiama “donna”. In base ai dati presentati da Luigi Senesi, vice-direttore generale di Agos, “i nostri finanziamenti nel targato riguardano per il 18% clientela di genere femminile, che arriva al 29% sui finanziamenti che hanno per oggetto un ciclomotore”. Le statistiche Agos (che sono abbastanza rappresentative, visto coprono metà dei finanziamenti di moto e due terzi di quelli sugli scooter) indicano che quello femminile è un pubblico più giovane, con quasi il 70% al di sotto dei 50 anni, percentuale che per i maschi non arriva al 60%. Sul fronte dell’offerta, il settore appare piuttosto concentrato, con i primi 3 brand che coprono metà delle vendite e i primi 5 che superano i due terzi. In particolare negli scooter, la concentrazione è del 69% con Honda, Piaggio e Kymco e arriva all’87% con Yamaha e Sym.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 5 aprile 2016
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SE L’AMMORTAMENTO PUÒ RALLENTARE LA CORSA DEL NOLEGGIO
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a notizia di questi primi mesi è che il noleggio a lungo termine cresce, +5,5%, ma meno del mercato, +21%, e meno del leasing, +48%.
Ma soprattutto, non mostra il passo forte cui ci aveva abituati negli ultimi anni, prima sostenendo il mercato evitando che sprofondasse sotto 1,3 milioni di auto nuove, poi tirando la ripresa, insieme al noleggio a breve sensibile al canto delle sirene di Expo, con una crescita che ha sfiorato il 20% anno su anno. Ma dove li trovava tutti quei clienti nuovi? Perchè tali erano: quando compri almeno 15.000 o 30.000 (nel 2014 e nel 2015, rispettivamente) auto nuove in più rispetto a quelle che vendi, è chiaro che non stai solo sostituendo contratti in scadenza, ma stai aumentando la tua base di clienti. PMI e Partite IVA che invece di recarsi dal concessionario ricevevano la visita di un solerte broker a proporgli il NLT. Oggi che tutti girano nel salone delle feste sforzandosi di non credere che sia reale, con l’atteggiamento del tipo “se è un sogno non svegliatemi”, vedi il NLT che cammina sì, ma tirando un po’ il fiato. Qualcosa non va? Probabilmente non è niente di preoccupante, e per molti operatori non è niente e basta. Quelli più avvisati, dietro l’insistenza dei numeri, ammettono che forse il super-ammortamento qualche contratto lo sta togliendo. Del resto, chi si avvicina al NLT per la prima volta spesso è spinto da due illusioni: che comporti un risparmio fiscale e che gli venga concessa quella fiducia che banche e finanziarie gli hanno negato. 75
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Dunque si tratta di una crescita meno vigorosa dovuta a un fattore esogeno: a conti fatti, qualcuno decide che gli conviene approfittare del super-ammortamento. Aggiungiamo subito che attribuire il successo del NLT a tali aspettative sarebbe sbagliato. Per quanto esse possano esercitare un’attrazione verso nuovi clienti, questi alla fine lo scelgono per ricevere un servizio di post-vendita che evidentemente non trovano nelle forme classiche di acquisizione. Sicché proprio su questo gli operatori devono tenere alta l’attenzione, visto che la materia è fluida e il terreno scivoloso. Innanzitutto, le imprese che forniscono i prodotti e i servizi di post-vendita si muovono sempre meno in ordine sparso, cercando in ogni modo di creare delle reti entro cui assistere i driver, e non chiedono di meglio che poterlo fare direttamente, senza l’intermediazione dei grandi noleggiatori - anche se se ne dichiarano partner, visti i grandi volumi che adesso garantiscono. Poi, i clienti sono sempre meno disponibili a sacrificare il loro tempo per seguire le procedure imposte dai contratti, finalizzate a contenere i costi. Il fatto è che sono stati proprio le flotte a spingere i noleggiatori verso la strategia del cost reduction, pensando di aver trovato la formula magica: spendere meno e avere di più. Hanno trovato solo un settore troppo giovane per poter sostenere che il servizio di qualità si paga. Ma tutti i giovani crescono, e non c’è bisogno che lo decidano.
Articolo pubblicato su Il Giornale, il 14 aprile 2016
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LUTTO IN MAZDA E NELL’AUTOMOTIVE: È MORTO ANDREA FIASCHETTI
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iamo sull’attenti di fronte alla scomparsa di un padre e di un marito amatissimo e insostituibile e al dolore dei suoi cari.
In punta di piedi e sottovoce, anche noi che semplicemente lavoriamo nel suo stesso settore vogliamo scambiarci due parole, tra noi, per ricordarlo e rendergli un ultimo tributo. Diceva cose molto innovative e le diceva con coraggio e chiarezza. Non posso definirmi un amico di Andrea, ma in quelle poche volte in cui ci siamo trovati gli ho posto domande graffianti, alle quali ha dato risposte a dir poco inconsuete. Per questo posso testimoniare della sua capacità di guardare avanti e di mettere in discussione molto stereotipi. Purtroppo, questo atteggiamento non dovrebbe fare notizia. Invece la fa, eccome. Voglio riportare un breve passaggio di un’intervista di un paio d’anni fa, che mandammo in onda a La Capitale Automobile 2014, in cui gli avevo chiesto di esprimersi sul modello distributivo delle concessionarie. Ecco la sua risposta. “Non credo – e l’esperienza sta dimostrando che non funziona – a quei concessionari che hanno adottato una strategia di crescita orizzontale, cercando di avere più brand differenti tra loro. La sfida che non riescono a vincere è quella di realizzare front-line differenti per ciascun brand, che hanno esigenze diverse e clientele diverse. Quindi si trovano a standardizza77
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re processi quando ci vorrebbe una forte differenziazione dei processi. Sarebbe meglio avere concessionarie specializzate, uno sui generalisti, uno sui premium, e così via. Altrimenti non si riesce a fare sinergia.” Si può concordare o dissentire con queste dichiarazioni. L’importante è avere qualcuno che le faccia. Andrea era qualcuno. Ciao, Andrea.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 16 maggio 2016
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AUTO, ECCO QUANTO SONO AUMENTATI I LISTINI DELLE MACCHINE NUOVE
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l prezzo medio delle auto nuove comprate in Italia nel 2015 è aumentato di oltre 500 euro, al netto dei normali sconti praticati sul mercato, arrivando a €19.095 e confermando il medesimo incremento già registrato l’anno precedente (era di 18.031 euro nel 2013). Il dato, elaborato dal Centro Studi Fleet&Mobility, col sostegno di Athlon, sulla base dei dati Unrae su tutte le immatricolazioni registrate, include l’IVA ma non tiene conto di campagne promozionali (che abbattono il prezzo) né degli optional, che invece arricchiscono le vetture. Tornando ai numeri, mentre i privati hanno segnato un incremento inferiore a 400 euro, le auto business (società e noleggi) sono state acquistate in media a 1.000 euro in più dell’anno precedente. Nello specifico, le auto comprate per uso noleggio (dunque rent-a-car e NLT insieme) sono passate da €18.830 del 2014 (di poco superiore al dato 2013) a €19.771, mentre le auto intestate a società sono cresciute da un prezzo medio di €20.427 dell’anno precedente a €21.475 del 2015. Questo incremento non è attribuibile a uno slittamento verso l’alto dei segmenti di auto, visto che nel 2015 è rimasta sostanzialmente invariata la quota di tutte le fasce, dalle utilitarie di gruppo A e B alle vetture medio-grandi fino all’alto di gamma. La ragione più probabile dunque sta proprio nelle scelte degli automobilisti, che hanno spesso preferito, pur restando nel medesimo segmento, una vettura di prezzo più elevato, per l’allestimento 79
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ovvero per il modello stesso. Dall’analisi dei top 15 modelli più venduti, emerge in molti casi un valore medio (a listino) più elevato di diverse centinaia di euro rispetto al 2014, segno di un allestimento superiore. Considerando che questi top model sono tutti di fascia medio-bassa (gruppi A, B e C), è chiaro che nei segmenti superiori il gap è più cospicuo. Anche le scelte sui modelli hanno influito. Basti citare il caso della 500X, new entry 2015, che da sola pesa 2,2 punti di quota in valore e 2 punti in volume, un rapporto anomalo per un’auto di segmento B, visto che in genere sono le vetture alto-di-gamma a pesare di più in valore che in volume.
Articolo pubblicato su Il Sole24Ore, il 17 maggio 2016
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AUTO AZIENDALI, CRESCE ANCORA IL MERCATO DEL NOLEGGIO A LUNGO TERMINE
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l noleggio a lungo termine nel 2015 ha aumentato la spinta propulsiva che già aveva mostrato l’anno precedente, chiudendo con quasi 40.000 veicoli in più in flotta circolante, pari a un incremento sul 2014 superiore al 7%. È quanto emerge dal Rapporto Aniasa sull’autonoleggio 2015, presentato questa mattina a Milano. Bisogna tornare indietro di dieci anni per ritrovare un simile incremento nei volumi che le imprese hanno decido di acquisire in NLT, con la differenza non marginale che adesso non di sole imprese si tratta. Queste infatti, pur rimanendo ancora la principale fonte di business del NLT, non sono più le uniche realtà ad apprezzarne i vantaggi. Nelle quasi 600.000 unità che il settore del NLT dà in locazione e gestisce, una parte incrementale significativa proviene da aziende piccole e piccolissime, professionisti con partita IVA e anche da un numero non simbolico di privati, ossia clienti con codice fiscale, che noleggiano l’auto per loro uso privato e personale, non lavorativo. Significativo l’aumento delle immatricolazioni di auto e veicoli commerciali, che ha sfiorato il 16%, mentre per le sole vetture l’incremento è stato di oltre il 18%, passando da 164mila auto acquistate nel 2014 alle quasi 194mila del 2015, con un balzo in avanti di 30.000 unità, che ha portato il solo NLT a pesare per oltre il 12% sull’intero mercato delle auto nuove in volume, dopo gli anni duri in cui sono state le immatricolazioni a uso noleggio – e noleggio a lungo termine in particolare – a impedire che il mercato auto scendesse sotto 1,3 milioni di unità e 23 miliardi di euro in valore. 81
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Il giro d’affari è aumentato di 400 milioni in un solo anno, passando da 5,5 a 5,9 miliardi di euro. La crescita è stata determinata principalmente dalla componente noleggio, anche se pure i maggiori volumi di usato in scadenza hanno prodotto un fatturato aggiuntivo non marginale. Il giro d’affari legato al pre-leasing (ossia le vetture date al cliente per alcune settimane o mesi, in attesa che arrivi da fabbrica quella ordinata) non è elevato, ma la crescita di oltre il 17% è per sé un indice che sono stati acquisiti clienti nuovi, che non avevano già in uso una vettura in NLT, eventualmente prolungabile fino all’arrivo della nuova, e dunque avevano necessità di un’auto subito. La composizione delle immatricolazioni di vetture ha mostrato alcune variazioni significative rispetto agli ultimi anni. Le vetture di fascia bassa, le city car, sono tornate a una quota del 14% del totale, dopo un paio d’anni in cui avevano quasi rappresentato un’auto ogni cinque immatricolate. È aumentata ancora la quota delle auto di gruppo B, le utilitarie, arrivata al 26%. Ma la crescita forte ha riguardato le medie, gruppo C, arrivate a pesare un terzo di tutte le immatricolazioni. Queste variazioni hanno fatto sentire il loro effetto soprattutto nel valore delle vetture immatricolate, aumentato di oltre il 24%, dai 3.005 milioni di euro del 2014 ai 3.735 del 2015, ben superiore all’incremento dell’intero mercato auto, passato da 25,4 miliardi di euro del 2014 ai 30,4 dell’anno scorso (+19,5%). Da punto di vista delle carrozzerie, si notano interessanti variazioni, da un anno all’altro. Diciamo subito che le station wagon, da molti date per ormai superate anche se dopo le berline sono di gran lunga la carrozzeria preferita, sono cresciute di oltre il 25% in volume e hanno anche aumentato di due punti la loro quota percentuale nel totale delle immatricolazioni del NLT. L’altra nota positiva riguarda crossover e 82
fuoristrada, che insieme sono passate dal 15% al 21% delle immatricolazioni, con quasi 40.000 unità in totale. Segno che anche nelle flotte queste vetture più accattivanti e di tendenza si stanno definitivamente affermando, probabilmente anche grazie a una buona ricettività dell’usato, che consente di tenere su livelli competitivi e valori residui e dunque i costi e i prezzi del noleggio. Circa le altre due carrozzerie importanti, mentre le mono-volume cedono appena un punto di quota, passando dal 14 al 13% del totale immatricolazioni, il discorso è diverso per le berline, che scendono dal 49 al 43%, pur restando fermamente in testa alle preferenze dei clienti e registrando comunque una crescita assoluta del 3,6%.
Articolo pubblicato su Il Sole24Ore, il 31 maggio 2016
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ANIASA 2015, IL NOLEGGIO SEMPRE PIÙ PROTAGONISTA Ruggiero “ma la burocrazia è ancora un freno”.
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a fotografia del noleggio in Italia nel 2015, scattata dal Rapporto Aniasa, l’associazione dei noleggiatori, parla di un giro d’affari di quasi 5,5 miliardi, di oltre 700.000 veicoli circolanti e immatricolazioni di auto nuove che pesano per un quarto del valore complessivo. Per la prima volta il valore della spesa per auto a noleggio (6,2 miliardi) ha superato quella per auto acquistate da società (5,7), come riporta l’annuale analisi sul mercato auto a valore prodotta dal Centro Studi Fleet&Mobility (che ha anche curato la raccolta e l’elaborazione dei dati del Rapporto Aniasa). Abbiamo chiesto a Fabrizio Ruggiero, presidente dell’associazione, la sua lettura. “Il settore del noleggio veicoli vede ancora crescere il giro d’affari (nel 2015 +5,7% vs 2014) e il sostegno al mercato automotive (+18% le immatricolazioni), mentre l’offerta di car sharing si amplia e si consolida in diverse città italiane (647mila iscritti e 4.400 veicoli in flotta), offrendo un’efficace alternativa al possesso dell’auto e all’uso dei trasporti pubblici”. Possiamo dire che nel prossimo scenario di mobilità l’auto resta ancora centrale? “È proprio così. Lo sviluppo del settore del noleggio veicoli, accompagnato dalla consolidata crescita di nuove forme di mobilità condivisa, conferma la centralità delle quattro ruote 84
nel sistema di trasporti nazionale, accompagnata dal progressivo maggior interesse verso una cultura ‘pay per use’, svincolata dalla proprietà del bene auto, che ben si coniuga con le nuove tecnologie e, invece, si scontra con la burocrazia e l’assenza di una chiara e uniforme normativa nazionale”. Insomma, potreste fare di più? “Sì, ma purtroppo l’evoluzione dalla proprietà alla formula ‘pay per use’, guidata dalle nuove tecnologie, è oggi frenata dalla burocrazia e da una normativa ancora ferma al palo che non disciplina adeguatamente le nuove forme di mobilità”. Quindi serve una funzione di stimolo verso le istituzioni, per accelerare l’adeguamento normativo in favore di una mobilità evoluta. A cosa si riferisce in concreto? “In Italia manca una definizione normativa di vehicle sharing”, aggiunge Ruggiero, “così come una cornice legislativa unica per gli operatori che si confrontano, a seconda delle città italiane, con disomogenee regolamentazioni del servizio. Alla luce dello stallo in cui da diversi mesi versa il Codice della Strada, l’occasione per velocizzare l’approvazione di una disciplina specifica del vehicle sharing è rappresentata dalla discussione in corso sul DDL Concorrenza, all’interno del quale potrebbe essere riconosciuta la sua particolare funzione pubblica, come elemento integrativo e di sistema, del trasporto pubblico locale”.
Articolo pubblicato su InterAutoNews, a giugno 2016
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IL MERCATO DEL NUOVO TORNA SOPRA I 30 MILIARDI. NEL 2015 IL VALORE È CRESCIUTO PIÙ DEI VOLUMI
Nel 2015 il mercato delle auto nuove è ritornato sopra i 30 miliardi di euro, quasi al livello del 2011, quando però immatricolava quasi 200.000 auto in più. È questo il dato più rilevante che emerge dall’analisi del mercato auto a valore, elaborata come ogni anno dal Centro Studi Fleet&Mobility, con il supporto di Unrae e di Athlon, processando tutte le immatricolazioni e associandole al prezzo di listino e poi applicando gli sconti medi relativi a ciascun canale. Una crescita in valore (20%) superiore a quella dei volumi (16%). Frutto di un prezzo medio netto passato in due anni da 18.000 a 19.000 euro (IVA inclusa). Un incremento generalizzato, che si riscontra in tutti i canali, e che indica un orientamento preciso dei clienti: chiedono modelli e/o allestimenti di maggior valore, pur restando dentro il medesimo segmento (che infatti risultano invariati come mix). Emblematico il caso della 500X, entrata nelle statistiche lo scorso anno con una quota a valore (2,2%) superiore a quella a volume (2%), cosa anomala per un’auto di quel segmento. Guardando ai brand, dietro il podio dove sono stabili da anni Fiat, Volkswagen e BMW, c’è stato il ritorno di Ford, che si riprende dopo due anni la 4° posizione, e Mercedes che si piazza in 5° posizione, entrambi scavalcando Audi. Molto utile infine la suddivisione da quest’anno del canale noleggio tra rent-a-car, NLT e altro. 86
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Articolo pubblicato su InterautoNews, a giugno 2016 89
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NLT, LA FLOTTA MAI COSÌ BENE DA 10 ANNI. NON SOLO BUSINESS: LA SORPRESA SONO I PRIVATI
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el 2015 il noleggio a lungo termine ha accelerato la sua crescita, che già era stata sensibile l’anno precedente, aumentando a fine anno la flotta circolante di quasi 40.000 veicoli (+7%). Erano dieci anni esatti che questa forma di acquisizione di auto aziendali non segnava un incremento simile. La differenza rispetto al decennio scorso sta nella fonte del business incrementale: oggi la spinta arriva dalle piccole e piccolissime imprese e dal popolo delle partite IVA, che stanno scoprendo questa nuova forma di acquisizione dell’auto. Non solo, anche un numero non simbolico di privati, ossia clienti con codice fiscale, ormai noleggiano l’auto per loro uso privato e personale, non lavorativo. Dunque il 2015 ha sancito definitivamente che il NLT non solo è una formula conveniente anche per clienti che non possiedono una flotta, ma che i noleggiatori sono stabilmente in grado di intercettare questi nuovi segmenti di domanda. La crescita di flotta si è riflessa ovviamente anche nell’immatricolazione di vetture. Mentre nel 2015 il resto del mercato (escluso il NLT) cresceva poco più del 15%, le immatricolazioni per noleggio a lungo termine sono passate da 164mila auto del 2014 a quasi 194mila, con un balzo in avanti di 30.000 unità (+18%), che ha portato il solo NLT a pesare per oltre il 12% sull’intero mercato delle auto nuove in volume. Quello che più conta però è quanto emerge dall’analisi con90
dotta dal Centro Studi Fleet&Mobility e presentata a Roma il 10 giugno nell’evento La Capitale Automobile fleet, sui volumi incrementali del NLT. Nel 2015 pesavano per il 2% del totale immatricolazioni di auto (rispetto a 1,5% e 0,5% del 2014 e 2013, rispettivamente). Negli stessi due anni, la quota degli acquisti ascrivibili a società passava dal 18,6% al 16,6%, due punti in meno, esattamente quelli che ha guadagnato il NLT. È difficile non leggere in queste dinamiche una relazione diretta, di clienti che guidavano un’auto acquistata (o presa in leasing) presso una concessionaria e che poi al momento di sostituirla hanno preferito un contratto di NLT. Probabilmente gli operatori dovranno interrogarsi su quanto la loro capacità commerciale sia in grado oggi di intercettare le esigenze di questi clienti. Clienti che sono particolarmente appetibili, come si evince anche dalla tabella dei brand. La quota dei premium nel NLT è in media quasi doppia rispetta a quella che gli stessi brand hanno nel resto del mercato. Sia come sia, è innegabile che questo sistema di acquisizione e gestione delle auto riveste un’importanza crescente per il mondo business (e non solo, visto che ormai un numero sempre maggiore di privati cittadini sceglie di adottarlo, in luogo dell’acquisto). Che sia un ottimo sistema, innanzitutto finanziario, lo sanno bene anche gli operatori del rent-a-car, che anche nel 2015 hanno acquisito una parte consistente della loro flotta (quasi 45.000 mezzi, in crescita dell’11% rispetto al 2014) ricorrendo a contratti di noleggio a lungo termine.
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Articolo pubblicato su InterAutoNews, a giugno 2016 92
LA CRESCITA DEL RENT-A-CAR È UN CIRCOLO VIRTUOSO. TUTTI GLI INDICI POSITIVI E I PREZZI RESTANO CONTENUTI
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ell’anno dell’Expo, che aveva spinto gli operatori a dotarsi di una flotta di veicoli mai vista prima, a trainare la crescita sono stati i vacanzieri dell’estate, in fuga da quelle mete del Mediterraneo funestate dalla minaccia del terrorismo. L’altra fonte di maggior domanda di noleggi rispetto al 2014 è stata la penetrazione del servizio di NLT presso nuovi clienti, specialmente PMI, che chiedono vetture in pre-leasing. Questi i fattori che hanno fatto crescere il volume e il giro d’affari del noleggio oltre 1,1 miliardi di euro, record assoluto per questo Paese. Queste due fonti di business hanno anche determinato un allungamento delle durate, che a sua volta spiega come mai a fronte di un volume complessivo aumentato dell’8% (a quasi 31 milioni di giorni di noleggio), il numero delle transazioni sia migliorato di quasi il 5%. Anche il fatturato è cresciuto circa del 5%, proprio perché le dinamiche del prezzo favoriscono le durate più lunghe, che occupano i mezzi e generano minori costi di transazione, a cominciare da quelli legati alla presa e riconsegna dei veicoli. Non sfugga che questi utilizzi prolungati hanno consentito anche di spingere il tasso di utilizzo della flotta a un livello mai toccato prima, quasi il 78% del tempo. Un altro effetto dell’aumento di domanda spinta da turisti e pre-leasing è stato l’aumento del valore delle auto immatricolate. Questi clienti chiedono vetture mediamente più grandi e comode rispetto a chi deve fare uno spostamento di un gior93
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no, che magari viaggia da solo e comunque con bagaglio leggero. Inoltre, come ci ha spiegato Massimiliano Archiapatti, A.D. di Hertz e V-Presidente di Aniasa, “il valore delle auto è aumentato anche per la scelta di allestimenti più completi, voluti da noi operatori sia per aumentare la qualità dell’esperienza di noleggio dei nostri clienti, sia anche per poter affrontare meglio la fase di rivendita dei veicoli a fine noleggio”. Questa composizione più elevata degli acquisti avrebbe potuto generare anche un aumento nei prezzi del noleggio, che sono stati invece contenuti sia dalle durate più lunghe, come abbiamo visto, sia anche dal minore impatto di un problema che da anni affligge il settore, ossia i furti. Grazie a nuove soluzioni tecnologicamente avanzate, il danno prodotto da questi accadimenti è stato ridotto di circa 2,5 miliardi di euro, pari a un impatto sul fatturato di 0,2 punti percentuali meno del 2014, che ha ulteriormente aiutato gli operatori a diminuire il prezzo per giorno di noleggio (-2,2%) e di contenere l’incremento per singolo noleggio a un mero 0,6%. Ultimo ma non meno importante, il maggior peso del turismo vacanziero ha richiesto un servizio accurato, a cui gli operatori hanno risposto positivamente, anche concentrando la struttura distributiva su un numero maggiore di stazioni dirette, a discapito di quelle indirette.
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I NOLEGGIATORI SORPASSANO LE SOCIETÀ NELLE IMMATRICOLAZIONI Nel 2015 hanno speso per nuove auto 6,2 miliardi di euro, contro i 5,7 delle imprese: una svolta di rilievo.
Un giro d’affari che sfiora i 5,5 miliardi di euro, oltre 700.000 veicoli in circolazione e immatricolazioni di auto nuove pari a un quarto del mercato in valore. Infatti i noleggiatori hanno speso nel 2015 per immatricolare nuove auto 6,2 miliardi di euro, per la prima volta più di quanto speso dalle società (5,7 miliardi). È la fotografia presentata a fine maggio dall’Aniasa, l’associazione dei noleggiatori, con il Rapporto sull’autonoleggio curato dal Centro Studi Fleet&Mobility, che ha raccolto ed elaborato i dati. Positivo il commento del presidente, Fabrizio Ruggiero: “Il settore del noleggio veicoli vede ancora crescere il giro d’affari (nel 2015 +5,7% vs 2014) e il sostegno al mercato automotive (+18% le immatricolazioni), mentre l’offerta di car sharing si amplia e si consolida in diverse città italiane (647mila iscritti e 4.400 veicoli in flotta), offrendo un’efficace alternativa al possesso dell’auto e all’uso dei trasporti pubblici.” Ma Ruggiero non manca di inviare un messaggio chiaro alle istituzioni: “In Italia manca una definizione normativa di vehicle sharing, così come una cornice legislativa unica per gli operatori che si confrontano, a seconda delle città italiane, con disomogenee regolamentazioni del servizio. Alla luce dello stallo in cui da diversi mesi versa il Codice della Strada, l’occasione per velocizzare l’approvazione di una disciplina specifica del vehicle sharing è rappresentata dalla discussione in corso sul DDL Concorrenza, all’interno del quale potrebbe essere riconosciuta la sua particolare funzione pubblica, come elemento integrativo e di sistema, del trasporto pubblico locale”. 96
Tornando ai numeri del Rapporto, il NLT nel 2015 è cresciuto ancora fino a 585mila veicoli, aumentando di quasi 40.000 veicoli la flotta circolante a fine anno, che hanno generato un fatturato complessivo di 5,9 miliardi, comprensivo però della rivendita dei 183mila veicoli usati. Secondo Alfonso Martinez Cordero, A.D. di LeasePlan e V-presidente Aniasa, “è stato un anno d’oro per le immatricolazioni del NLT, che sono cresciute del 15,7% (inclusi i veicoli commerciali – ndr). Se in passato l’immatricolato vetture del NLT non superava il 10% sul totale, oggi siamo sopra il 12%. Vuol dire che il nostro peso nel comparto automotive sta crescendo e che sempre più clienti, compresi privati e Partite Iva, comprendono i vantaggi della formula. Un altro aspetto importante è rappresentato dalla crescita dei segmenti più alti delle vetture. Per la prima volta dopo la crisi, il segmento C ha ottenuto un incremento del 33% e il segmento F del 41%. Segnali incoraggianti, che fanno ben sperare in vista di un futuro in cui non si acquisterà più l’auto, bensì mobilità.” Sul punto, da un’analisi del Centro Studi Fleet&Mobility presentata nel corso de La Capitale Automobile fleet, emerge che le immatricolazioni aggiuntive del NLT nel 2015 hanno rappresentato il 2% del totale mercato (erano lo 0,5% nel 2013). Negli stessi due anni, le vendite a società sono passate dal 18,6 al 16,6% di quota. Impossibile non leggere una relazione tra i due fenomeni: clienti che avevano un’auto in proprietà o in leasing e al momento della sostituzione sono passati al noleggio. Anche gli operatori del rent-a-car hanno approfittato della capacità finanziaria del NLT, acquisendo una parte significativa della flotta (quasi 45.000 mezzi, in crescita dell’11% rispetto al 2014) col cosiddetto rent-torent. In effetti, il futuro sembra fatto di convergenze ancora maggiori tra lungo e breve termine, come spiega ancora Martinez: “Il settore sta dimostrando di saper evolvere dal classico noleggio a lungo termine, con lo sviluppo di una gamma di soluzioni flessibili e 97
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allargate, capaci di soddisfare le variegate esigenze di mobilità dei clienti, con durate da 1 ora a diversi anni. In questo senso i classici confini tra noleggio a lungo e breve termine sono destinati ad assottigliarsi sempre più nel futuro”. Il RAC, partito con enormi aspettative legate all’Expo, ha poi trovato nel corso dell’anno una domanda proveniente dai vacanzieri estivi, in fuga dalle mete mediterranee funestate purtroppo dalla minaccia terroristica. Questo, insieme alla richiesta di pre-leasing da parte del NLT, ha spinto il giro d’affari fino a 1,1 miliardi di euro (+4,9% rispetto al 2014), il più elevato di sempre. I giorni di noleggio hanno addirittura sfiorato i 31 milioni (+8%), grazie a noleggi di durata media più lunga (6,8 giorni medi rispetto ai 6,6 dell’anno precedente), come è tipico dei pre-leasing e anche dei noleggi per vacanza. I veicoli immatricolati sono stati oltre 94mila, il 21% in più dei quasi 78mila del 2014, a cui vanno aggiunti i veicoli presi in rentto-rent da operatori del NLT. La permanenza in flotta dei veicoli immatricolati è stata in media di 9,2 mesi, leggermente inferiore ai 9,4 dell’anno precedente. Il valore medio delle immatricolazioni (15.543 euro) si è invece apprezzato di oltre il 5%, grazie a una scelta precisa degli operatori, come spiega Massimiliano Archiapatti, A.D. di Hertz e V-presidente di Aniasa: “Abbiamo scelto in molti casi vetture con allestimenti più completi, sia per aumentare la qualità dell’esperienza di noleggio dei nostri clienti, sia anche per poter affrontare meglio la fase di rivendita dei veicoli a fine noleggio.”
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Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 28 giugno 2016 99
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QUATTRO AUTO ALL’ANNO: SI CAMBIANO CON LE STAGIONI Innovativa offerta LeasePlan-Fca per clienti privati. Canone light per quattro Fiat 500 a rotazione.
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n’auto per tutte le stagioni? Non più. Abituiamoci a un’auto per ogni stagione. Cambiare quattro macchine in dodici mesi. È la nuova proposta che LeasePlan e FCA stanno presentando in queste settimane al pubblico. Sì, perché questo prodotto è mirato a un target di clienti privati, in cerca di una formula nuova e leggera di acquisizione della vettura. Nel concreto, il servizio è costruito sulla famiglia delle Fiat 500. Si paga un anticipo di 1.500 euro IVA inclusa e inizia il giro delle macchine. Si comincia con la 500 Cabrio per i tre mesi estivi, a cui seguiranno per l’autunno la 500L, poi la 500X per l’inverno e infine la 500 classica per la primavera. I modelli sono allestiti con gli optional più importanti, quali climatizzatore, fendinebbia, radio CD, vetri elettrici e sensori di parcheggio posteriori. Le auto sono fornite con un servizio di NLT, che include l’immatricolazione e la messa su strada, il bollo, i tagliandi, le coperture assicurative (anche la kasko), la manutenzione ordinaria e straordinaria (inclusa la foratura dei pneumatici) e la vettura sostitutiva. Il canone mensile, sempre comprensivo di IVA, è di quelli particolarmente invoglianti, visto che parte da 265 €, per chi si limita a una percorrenza annua di 10.000 km. Si sale a 280 € per 15.000 km, 295 € per 20.000 km e solo se si arriva a 30.000 km all’anno si sfonda il tetto dei 300
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euro al mese (330, per l’esattezza). È evidente il supporto di FCA sull’economia del prodotto. Un approccio nuovo, che prende le distanze dagli schemi consueti di valutazione e scelta della propria auto. Un conto è provare una o due vetture, prima di scegliere quella giusta. Un altro è avere un’auto, la propria auto, per un periodo pur breve, e poi sostituirla con un’altra. Come ha affermato Alfonso Martinez, A.D. di LeasePlan, “vogliamo rivoluzionare il modo di vivere l’auto, coniugando il piacere della guida senza pensieri tipica del noleggio a lungo termine con la possibilità di sfoggiare un modello nuovo per ogni stagione. Ma le stagioni passano: che succede al dodicesimo mese? Due le opzioni. La più semplice è lasciare la quarta 500 allo scadere degli ultimi tre mesi e uscire dal contratto senza alcun onere. L’altra, su cui ovviamente puntano sia LaesePlan sia FCA, è che il cliente scelga un modello di 500 tra quelli provati, e prosegua per ulteriori 36 mesi con un normale contratto di noleggio a lungo termine, pagando lo stesso canone mensile e senza versare alcun anticipo oltre quello iniziale già versato. Non c’è altro, apparentemente. Una brillante operazione di marketing, che punta ad avvicinare il grande pubblico al noleggio dell’auto, facendo leva sul brand 500 che rappresenta un pezzo della storia dell’auto e del costume nel nostro Paese. In realtà, la sensazione è che ci sia molto di più. Girare con un’auto, sapendo che è per tre mesi e poi si cambia, presuppone una rottura con quel senso di possesso che storicamente è stato realizzato nella proprietà. Finora abbiamo sempre valutato questo fenomeno in un ambito business, dove tutto sommato il legame con gli strumenti di produzione è meno radicato, meno intimo. Come ha giustamente affermato Mar101
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tinez, “questo progetto, che vede la luce nel 25° anniversario di LeasePlan in Italia, si colloca nella più ampia strada di innovazione finalizzata a proporre soluzioni di mobilità flessibili per tutte le esigenze e tutti i target. Oggi si guida così.” Così, da oggi in poi, questo prodotto misurerà quanti automobilisti, avendo rotto il cordone personale con la macchina, siano ormai pronti a pagare per usare (pay-per-use). Dopodiché, non sarà solo 4 Seasons e non solo con 500. Azzardando un paragone con le vacanze, è il passaggio dalla villeggiatura ai viaggi.
Artico pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 28 giugno 2016
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INTERVISTA A MASSIMO NORDIO Presidente di UNRAE. 4/7/2016 D. Oggi qualcuno dice che la crisi dell’auto sia terminata, perché le vendite sembrano puntare a 1,8 milioni di unità. Ma in questi anni le vendite fiacche erano dovute a problemi dell’auto (come prodotto o come sistema) o piuttosto alla congiuntura economica del Paese? In altri termini, se l’auto era in crisi, quali terapie di prodotto e/o di sistema l’hanno fatta guarire? R. Le vendite fiacche degli ultimi anni sono dipese sicuramente dalla congiuntura economica e non da problemi dell’auto come prodotto o come sistema. In realtà dal punto di vista dell’offerta anche anni fa, quando è iniziata la crisi e negli anni più duri, di fatto il 20132014, onestamente gli italiani non compravano automobili o le aziende rinviavano gli acquisti per problemi congiunturali, non per mancanza di offerta o inadeguatezza dell’offerta, sia dal punto di vista del prodotto e delle formule di acquisto e possesso dell’auto. Ora qualcuno dice che la crisi dell’auto sia terminata, cioè la crisi del mercato più che dell’auto. In realtà io non sono tra questi, perché il dato del 2016 è figlio di una serie di ragioni e tra queste però l’elemento che ci potrebbe far dire che la crisi è terminata, cioè la congiuntura economica tornata favorevole, onestamente ha un peso molto limitato. Grande peso invece sta avendo la necessità di rinnovare il parco circolante da parte dei clienti privati, che avendo rinviato l’acquisto in passato chiaramente prima o poi la macchina la devono cambiare. Un fattore sicuramente importante, che ha riguardato l’anno scorso è l’Expo – un po’ meno (come effetto) quest’anno il Giubileo. Poi c’è il super ammortamento che ha fatto lievitare l’acquisto di auto aziendali in maniera vigorosa. Quindi onestamente alla domanda se la crisi, che ha portato il mercato a 1.300.000, sia passata, io dico non lo so. Cioè, non posso dire sì perché per me la crisi sarà passata quando appunto l’elemento strutturale che l’ha generata, ossia la congiuntura economica sfavorevole, sarà risolto. Ma non mi pare che si sia risolta. 103
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D. Se quest’anno il mercato arriverà a 1,8 milioni in volume, in valore si attesterà sui 34,2 miliardi di euro. Appena 600 milioni meno del 2009, quando però si immatricolavano 2 milioni e 150mila auto. Come sono cambiate le scelte degli italiani, verso auto di maggior valore? R. Sì, confermo che ci sono state tante sostituzioni all’interno dei segmenti, dalle berline ai SUV. Il numero è uguale, ma i SUV costano di più. D. Sono di scena le nuove soluzioni di mobilità, basate sull’uso e non sul possesso. È prevedibile che l’auto scompaia dalla dotazione personale dell’individuo occidentale? E in quali circostanze/ condizioni? Oppure sono fenomeni marginali, che non diminuiranno il parco circolante? R. Il parco circolante non dovrebbe essere influenzato, perché si continuerà ad avere la macchina, in quanto l’utilizzo del car sharing è complementare, non sostitutivo. Il fenomeno del car sharing è esclusivamente cittadino, delle grandi città. Io lo vedo come una modalità alternativa al taxi o al noleggio con conducente o al trasporto pubblico, ma non come una sostituzione totale del tuo bisogno di mobilità. È chiaro che quanto più si andrà avanti e il servizio dato sarà efficiente, e soprattutto se l’equazione di business sarà remunerativa (io non so se oggi sia così), tanto più crescerà. Però sostituire no, non lo penso, neanche tra venti o trent’anni. A me piace sempre usare l’esempio del fattore di riempimento dell’aereo. C’è un potenziale di efficienza ancora non sfruttato, che è il fattore di riempimento dell’automobile, che circola in ogni momento. Immaginiamo che ci siano adesso 3.000 aerei che girano in tutto il mondo, che moltiplicati per il numero di posti fanno il monte sedili: quello è il potenziale, su cui le compagnie aeree calcolano il fattore di riempimento, ad esempio se su una rotta su 100 posti 60 sono venduti. Il fattore nelle auto è bassissimo, perché le macchine da quattro o cinque posti viaggiano soprattutto con una o massimo due persone a bordo. Ecco, qui c’è un potenziale, perché se io riuscissi ad 104
alzare il fattore di riempimento delle auto in circolazione chiaramente risparmierei carburante, emissioni e così via. Il car pooling è già un esempio che va in questa direzione, dove c’è una piattaforma che unisce tutti quelli devono andare in un posto. C’è poi anche un altro discorso che riguarda la famiglia e impatta sulla decisione di avere una o più auto. Se una famiglia composta da quattro persone decide di spostarsi con quattro auto diverse, occorre costruire una cultura e facilitare la condivisione dell’automobile, per aiutare ad alzare questo fattore di riempimento. Che poi il car sharing induca ad eliminare la terza o la seconda auto, ritengo che potenzialmente possa accadere, ma bisogna vedere in che misura e in quali tempi. Onestamente, quando compri un’automobile, oltre a compiacerti per averla acquistata, ti aspetti che svolga una funzione. Se questa funzione su 24 ore la svolge per un’ora non è il massimo dell’efficienza. Quindi arriviamo al concetto di payper-use: perché devo pagare la macchina nel tempo che non la uso? Sicuramente c’è un potenziale per il cambiamento, però è difficile dire oggi quando e in che misura. D. Nel triennio 2012-2014 il sistema delle concessionarie ha vissuto con poco più di 20 miliardi all’anno (escludendo i noleggi) di vendite sul nuovo, e con un business sull’usato (quello transitato da loro) crollato di circa 2/3. Questo ha prodotto una forte selezione. Quale identikit si può fare delle aziende che invece ce l’hanno fatta? R. Come in tutte le grandi crisi, che sono in qualche modo equiparabili alle grandi pestilenze, alle grandi carestie del passato, sopravvivono i più solidi. Quindi credo che la caratteristica fondamentale che accomuni i concessionari che sono rimasti in piedi, che sono la maggioranza, è una maggiore solidità finanziaria. Quando è arrivata la crisi, molte banche hanno attuato una restrizione molto forte nella facilità di acceso al credito, e questo è stato probabilmente l’elemento che più ha messo in difficoltà la rete. Altro problema è stata la rigidità, la mancanza di capacità di adattare i costi dell’azienda al ridotto fatturato. Che secondo me però è meno importante del primo, visto che le aziende sono andate in sofferenza la gran parte delle volte 105
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a causa di una minore solidità finanziaria. D. Sempre restando sulle imprese distributrici, la crisi delle vendite ha fatto emergere alcuni imprenditori particolarmente capaci, che stanno anche crescendo, sia in modo organico sia per acquisizioni. È prevedibile che questo processo di accorpamento continuerà, fino ad avere anche in Italia alcuni gruppi di livello europeo? R. Sicuramente durante la crisi c’è stato un processo di accorpamento a seguito della necessità di costruire delle realtà che avessero la possibilità di assorbire costi di struttura elevati generando un fatturato più ampio. Riducendosi la torta, si è cercato di prenderne più fette attraverso l’acquisizione di altre aziende e la concessione di altri marchi. La tendenza alla creazione di dealer più grandi c’è stata sicuramente. Sull’ipotesi che si arrivi a quello che c’è in altri paesi sarei prudente, perché la mentalità del concessionario italiano, anche quelli aperti e illuminati, rimane improntata a un’imprenditoria di tipo familiare, per cui la dimensione oltre un certo limite spaventa. Se guardiamo a quello che è successo sul mercato, spesso osserviamo che c’è un punto di flesso della curva di crescita, oltre il quale l’azienda è troppo grande per essere gestita con la testa dell’imprenditore-padrone (inteso non in senso negativo), che non riesce a tenere tutto sotto controllo. Quindi l’azienda diventa troppo grande e c’è questa incapacità di creare una gestione manageriale, più che imprenditoriale. C’è un limite alla crescita dei gruppi proporzionato alla capacità di governance, con un titolare imprenditore che poi non riesce a tenere tutto sotto controllo. Non è un fenomeno solo automobilistico, del resto non si spiegherebbe altrimenti il pullulare di piccole imprese che c’è in Italia rispetto qualunque altro paese dell’Europa occidentale. D. Pensando alla vecchia ma utile matrice di Ansoff, la crescita delle concessionarie può avvenire offrendo più brand alla stessa clientela oppure lo stesso brand a più bacini territoriali di clientela, o infine più brand a clienti diversi per segmento o per territorio. Quale modello sarebbe più raccomandabile? 106
Clienti attuali Clienti nuovi
Brand attuali Esempio, UN brand generalista a clientela di spesa media Esempio, STESSO brand generalista a clientela di altra zona che non conosce la concessionaria
Brand nuovi Esempio, ALTRI brand generalisti a stessi clienti attuali, già conosciuti Esempio, ALTRO brand premium a clientela di fascia alta (stessa zona o altra zona è indifferente, si tratta sempre di una clientela nuova)
R. Qui bisogna ragionare, ovviamente, con la testa del concessionario. Dal suo punto di vista, poiché l’offerta di prodotto dei vari marchi segue cicli di vita e industriali legati alla progettazione. Ogni prodotto di un marchio ha un ciclo: la novità, poi matura e invecchia. Se tu hai due marchi puoi incrociare le due curve, per cui quando avrai un picco basso su un marchio avrai il picco alto sull’altro marchio. Più aumenti il numero dei marchi più la curva diventa piatta, perché potrai sempre livellare i picchi. Concettualmente quindi dal punto di vista del concessionario mi sembra abbastanza raccomandabile andare su una strada di aumentare il numero dei marchi più che aumentare il bacino territoriale o i segmenti di clientela. D. Recentemente le vendite al noleggio hanno superato quelle alle società, che sono la clientela migliore delle concessionarie, a seguito della pressione commerciale che il NLT sta esercitando (con successo) su PMI e professionisti. E adesso stanno puntando anche ai privati. Questo impone o no una riflessione per le reti e le Case, sui margini e sull’intero modello di business della distribuzione, finora sempre fondato sulla vendita del nuovo? R. Questo sicuramente, perché indubbiamente c’è la tendenza a essere attratti da formule di utilizzo dell’automobile più che dal possesso e ancor meno dalla proprietà. I privati per ora vedono il noleggio a lungo termine come qualcosa di molto raro ma io sono sicuro che piano piano crescerà. 107
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Diciamo che il processo di uscita dalla mentalità di comprare l’auto, che diventa tua fino a che non la vuoi rivendere, verso un’auto che noleggi e cambi ogni uno/due anni, sicuramente farà presa sui privati. Però siamo all’inizio e ci vorrà del tempo. Certamente più business passerà attraverso società di noleggio a lungo termine più il tema del riproporzionamento della marginalità per gli stakeholder si dovrà porre. Aggiungo che l’auto in noleggio a lungo termine è una forma di detenzione che sta molto vicino al possesso e alla proprietà, e non credo si ravvisi un distacco così forte come spesso si intende parlando di noleggio. Inoltre, nel noleggio a lungo termine hai non solo una macchina ma anche dei servizi: l’assicurazione, la tassa di possesso, l’assistenza, eccetera. Allora, che cosa ti deve spingere dalla proprietà tradizionale al noleggio a lungo termine? La convenienza, chiaramente, che è fatta di tante cose. Immaginiamo se fosse possibile rimanere con la proprietà, ma in un sistema di pay-per-use. Nel senso che l’assicurazione la paghi solo quando utilizzi la macchina, cosa che attualmente nel noleggio a lungo termine non è possibile. Oppure pensiamo all’assistenza, che quando la macchina è di tua proprietà magari non fai perché è un costo che puoi evitare, mentre fai quella straordinaria perché sei costretto. Tutti costi che nel noleggio a lungo termine sono certi perché li paghi nel canone mensile, mentre nel sistema vecchio della proprietà li puoi gestire. D. Secondo l’ACEA l’età media del circolante in Europa è passato da 8,4 anni del 2007 a 9,7 anni del 2014 e si stima che ora abbia superato i 10 anni. A crescita è stata costante, sia negli anni di crisi sia prima e dopo. È lecito attribuire l’obsolescenza alla minore usura dovuta alle minori percorrenze e alla migliorata qualità del prodotto, oltre che a fattori congiunturali? Detto diversamente, è realistico attendersi che in presenza di un ciclo economico espansivo l’età del circolante torni a scendere? R. Sicuramente l’andamento del mercato del nuovo ha ovviamente un impatto importane sull’età media. Una delle ragioni per cui l’età media è così alta è stata lo scarso apporto negli anni della crisi. Quindi secondo me il mercato in ripresa aiuterà questo abbassamento dell’età media. Un altro fattore è la dimensione del circo108
lante, che aumenterà se la quota di rottamazione rimane costante. Il vero problema sono quei 10 milioni di auto con più di 10 anni, che sono la zavorra del nostro parco perché poi quelle più fresche hanno un ciclo di rinnovamento che non si è allungato, secondo me. Quindi dire che l’età media aumenta per il miglioramento della qualità delle automobili, in un arco di tempo di dieci anni non è significativo, mentre lo è su un arco temporale più ampio. D. La connettività dell’auto e la sua autonomia di movimento prevedono l’esistenza e il funzionamento di due sistemi: uno tecnologico e uno normativo. Mentre quello tecnologico può essere sviluppato dai privati, quello normativo è necessariamente di fonte pubblica. Quali azioni l’UNRAE dovrebbe intraprendere per agevolare la formazione di questo contesto normativo? R. Innanzitutto, serve una cabina di regia, il mobility champion, come l’abbiamo definito. Proprio perché chiaramente è fondamentale la sintonia fra le soluzioni tecnologiche che i costruttori sono in grado di offrire e le esigenze infrastrutturali. Se noi diamo la guida autonoma, e poi non si può usare perché manca la copertura wi-fi in autostrada, è tutto inutile. Come il famoso RDS del navigatore, che in altri paesi europei funziona perfettamente e in Italia no, perché manca l’infrastruttura. Venendo al vuoto normativo, c’è perché non era necessario avere una normativa. D’ora in avanti sarà necessario, ma non è che dobbiamo essere pronti oggi per quello che avremo nel 2030. Oggi abbiamo delle funzioni di guida assistita, per le quali non c’è necessità di una rivoluzione normativa, ma solo di adeguare determinate cose. Ad esempio, nell’ipotesi che un’automobile freni autonomamente di fronte ad un ostacolo improvviso, e poi facendo quella frenata chi sta dentro la macchina va a sbattere e si ferisce, di chi sarebbe la responsabilità? Ma è così anche con l’ABS, che consente di frenare, però apparentemente in un tempo più lungo, senza rischiare che le ruote si blocchino e la macchina finisca fuori strada. Se a causa di questo si tampona, seppure con intensità ridotta, e si subisce un danno, mentre invece finendo fuori strada il danno magari non ci sarebbe stato, non è che si chiama 109
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in causa il costruttore per il danno subito. Detto questo, il tema c’è e sicuramente aumenterà in futuro. Aggiungo anche un altro tema, non di responsabilità legale ma comunque di potenziale pericolosità. Noi ci stiamo abituando alle auto con vari dispositivi di assistenza, ma non tutte le auto sono equipaggiate allo stesso modo. Può capitare di trovarsi alla guida di una macchina senza alcuni dispositivi di assistenza, dopo averne guidata una invece ben equipaggiata. Poi c’è l’altro grossissimo problema dell’uso, sbagliato, dei cellulari, dovuto al fatto che non c’è ancora un sistema affidabile di interoperabilità vocale, per cui si è costretti a guardare e toccare il cellulare. Per rispondere alla domanda, non è direttamente una missione dell’Unrae, ma della cabina di regia, che dovrebbe essere un’autorità che vive a stretto contatto con i costruttori e con gli altri stakeholder, con i quali dovrebbe decidere la lista delle priorità, perché tutto non si può fare. D. Un’ultima domanda: non sarebbe il momento di segmentare la mobilità tra individuale e collettiva, invece che solo in pubblica e privata? R. Credo di sì. È un modo vecchio distinguere tra pubblico e privato, mentre oggi la divisione è tra individuale e collettivo. Ma questo è un tema perfetto per il nostro mobility champion. Abbiamo bisogno di qualcuno che si occupi di queste cose non sporadicamente, ma ogni giorno da mattina a sera.
Intervista raccolta il 4 luglio 2016 e pubblicata nel Rapporto CVO di Arval a Febbraio 2017
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INTERVISTA A FILIPPO PAVAN BERNACCHI Presidente Federauto. 28/7/2016 D. Oggi qualcuno dice che la crisi dell’auto sia terminata, perché le vendite sembrano puntare a 1,8 milioni di unità. Ma in questi anni le vendite fiacche erano dovute a problemi dell’auto (come prodotto o come sistema) o piuttosto alla congiuntura economica del Paese? In altri termini, se l’auto era in crisi, quali terapie di prodotto e/o di sistema l’hanno fatta guarire? R. È oggettivo che la crisi dell›auto abbia seguito di pari passo la congiuntura economica negativa, sia in Italia sia in Europa. Oggi siamo soddisfatti del tasso di crescita, + 18% nei primi sei mesi, ma riteniamo sia presto per affermare che siamo usciti dalla crisi. D. Sono di scena le nuove soluzioni di mobilità, basate sull’uso e non sul possesso. È prevedibile che l’auto scompaia dalla dotazione personale dell’individuo occidentale? E in quali circostanze/ condizioni? Oppure sono fenomeni marginali, che non diminuiranno il parco circolante? R. Qui si rischia la figuraccia perché nessuno lo sa. Noi riteniamo che all’italiano piaccia più la proprietà dell’utilizzo e che almeno nel medio periodo preferirà la soluzione tradizionale. Si tenga conto che l’Italia è un paese dove i trasporti pubblici sono di pessima qualità e difficilmente potranno nel medio periodo soppiantare i vantaggi offerti dall’automobile, in primis nelle province e nei piccoli centri. Probabilmente, se la politica svolgerà il suo ruolo di regia, si andrà verso un utilizzo più spinto di diversi modelli di trasporto. In una parola, maggiori sinergie. Ma manca ancora oggi un piano organico, una visione integrata, qualcuno che si prenda la responsabilità di decisioni anche difficili. 111
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D. Nel triennio 2012-2014 il sistema delle concessionarie ha vissuto con poco più di 20 miliardi all’anno (escludendo i noleggi) di vendite sul nuovo, e con un business sull’usato (quello transitato da loro) crollato di circa 2/3. Questo ha prodotto una forte selezione. Quale identikit si può fare delle aziende che invece ce l’hanno fatta? R. Le aziende concessionarie che sono sopravvissute alla crisi rappresentano le eccellenze migliori. Aziende sane, capitalizzate, con un buon accesso al credito, orientate al cliente e aperte ai cambiamenti. Chi non aveva queste caratteristiche e non ha saputo comprimere i costi e rimettersi in gioco oggi non è più sul mercato. D. Sempre restando sulle imprese distributrici, la crisi delle vendite ha fatto emergere alcuni imprenditori particolarmente capaci, che stanno anche crescendo, sia in modo organico sia per acquisizioni. È prevedibile che questo processo di accorpamento continuerà, fino ad avere anche in Italia alcuni gruppi di livello europeo? R. Al momento riteniamo che questi fenomeni saranno marginali. Ad ogni modo non siamo contrari alle concentrazioni pur ritenendo che per la migliore soddisfazione dei clienti occorra maggior equilibrio. È una riflessione che stanno facendo anche le Case perché spesso è meglio disporre di 10 concessionari da 1.000 auto che uno da 10.000. Naturalmente sono numeri a puro titolo esemplificativo. Certo il dialogo costa più fatica ma dall’altro lato della bilancia ci sono molteplici vantaggi come la frammentazione del rischio e della copertura delle zone di competenza. D. Pensando alla vecchia ma utile matrice di Ansoff, la crescita delle concessionarie può avvenire offrendo più brand alla stessa clientela oppure lo stesso brand a più bacini territoriali di clientela, o infine più brand a clienti diversi per segmento o per territorio. Quale modello sarebbe più raccomandabile? 112
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Brand attuali Esempio, UN brand generalista a clientela di spesa media Esempio, STESSO brand generalista a clientela di altra zona che non conosce la concessionaria
Brand nuovi Esempio, ALTRI brand generalisti a stessi clienti attuali, già conosciuti Esempio, ALTRO brand premium a clientela di fascia alta (stessa zona o altra zona è indifferente, si tratta sempre di una clientela nuova)
R. Se la storia ci ha insegnato qualcosa è che non esiste un modello fisso e immutabile nel tempo. Troppo diversi i singoli imprenditori, le Case automobilistiche, le zone di competenza e le giuste aspettative dei clienti. Certo che disporre di un multi-brand permette economie di scala che, ad oggi, stanno pagando. Dall’altra parte ci sono diversi svantaggi dati dal fatto di gestire più sedi, più mandati, più rapporti con le case, più manager, più centri di assistenza, più dipendenti. Ma, come dicevo prima, in questo momento il multi-brand con fatturati importanti sta premiando. È un modello cui ispirarsi? Ci andrei molto cauto. D. Recentemente le vendite al noleggio hanno superato quelle alle società, che sono la clientela migliore delle concessionarie, a seguito della pressione commerciale che il NLT sta esercitando (con successo) su PMI e professionisti. E adesso stanno puntando anche ai privati. Questo impone o no una riflessione per le reti e le Case, sui margini e sull’intero modello di business della distribuzione, finora sempre fondato sulla vendita del nuovo? R. Non temiamo nuovi canali e nuovi approcci. Per il momento siamo scettici sulle proposte di noleggio ai privati. Negli ultimi anni abbiamo rivisto radicalmente il nostro modello di business puntando sui servizi e mantenerlo se ci saranno delle aperture su questi canali non sarà un problema; purché ci sia garantito il giusto margine. Perché ricordo a tutti che nel commercio generare utili e non pareggi o perdite non è un reato ma dovrebbe essere la normalità. 113
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D. Secondo l’ACEA l’età media del circolante in Europa è passato da 8,4 anni del 2007 a 9,7 anni del 2014 e si stima che ora abbia superato i 10 anni. A crescita è stata costante, sia negli anni di crisi sia prima e dopo. È lecito attribuire l’obsolescenza alla minore usura dovuta alle minori percorrenze e alla migliorata qualità del prodotto, oltre che a fattori congiunturali? Detto diversamente, è realistico attendersi che in presenza di un ciclo economico espansivo l’età del circolante torni a scendere? R. Le vetture sono fatte meglio, durano di più e si rompono meno. Inoltre le percorrenze annue medie si contraggono. Ne consegue che auto di 10 anni ed oltre sono perfettamente funzionanti e la spinta alla sostituzione non è data dalla inaffidabilità. Ad ogni modo la tecnologia evolve e oggettivamente una vettura di 10 anni è molto meno sicura, “connessa” ed ecologica di una attuale. Con il mercato dell’usato molto attivo, con il circolante attuale e con i numeri che esprime il mercato del nuovo ritengo improbabile che assisteremo a uno svecchiamento del circolante che dovrebbe, ad ogni modo, restare abbastanza stabile. D. Siamo tutti consapevoli che l’auto sta iniziando una sua nuova era, caratterizzata dalla capacità di essere connessa e in prospettiva, grazie anche a questa abilità, di muoversi senza l’intervento del driver (magari anche senza la sua presenza). Quali step si possono realisticamente prevedere entro i prossimi 5 anni? R. Riteniamo che tecnologicamente nei prossimi 5 anni faremo passi da gigante. La guida autonoma invece avrà bisogno di un lasso di tempo maggiore. La strada però è tracciata e nel giro di un ventennio viaggiare senza pilota sarà la norma.
Intervista raccolta il 4 luglio 2016 e pubblicata nel Rapporto CVO di Arval a Febbraio 201 114
AUTO, IL PRIMO SEMESTRE OLTRE QUOTA 20 MILIARDI DI EURO
U
n semestre sopra i 20 miliardi di euro come non si vedeva da anni vuol dire una cosa chiara: forse non saremo fuori dalla crisi strutturale che attanaglia la nostra economia (da prima che le congiunture del 2008 e del 2011 la rendessero evidente), ma sulle macchine gli Italiani non vogliono sentire ragioni. È un oggetto che piace, che sappiamo apprezzare e al cui fascino non vogliamo rinunciare. Secondo le stime del Centro Studi Fleet&Mobility, gli italiani hanno speso nei primi sei mesi 20,1 miliardi di euro per acquistare auto nuove, un incremento del 20% rispetto a un anno fa. La propensione a dedicare attenzione e soldi alle macchine nuove è stata ben agevolata dai costruttori, che soprattutto nei primi 3 mesi hanno incentivato come mai prima l’immatricolazione di un’auto nuova. Il risultato è stata un’impennata degli acquisti dei privati, che hanno sborsato 11,8 miliardi, il 22% più di quanto speso nel primo semestre 2015. Anche le aziende che acquistano (o prendono in leasing) le auto sono state incentivate, ma dal Governo con il super-ammortamento. La misura eccezionale ha funzionato, portando a 3,5 miliardi la spesa di questo segmento (+23%). Il noleggio, pur non incentivato, ha proseguito la sua crescita, ben ripartita tra rent-acar (con la stagionalità favorevole) e lungo termine, sfiorando nel complesso i 4,8 miliardi di euro, il 14% più del 2015, e confermandosi con una quota del 24% in valore il segmento più importante dopo i privati (che valgono il 59% della spesa, nel semestre). Articolo pubblicato su Il Sole24Ore, il 4 luglio 2016 115
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AUTOSALONI E SOLUZIONI DI MOBILITÀ
A
che serve oggi un salone dell’auto? Quando il mondo era fatto di distanze e le immagini erano bi-dimensionali, stampate e viaggiavano per posta, un salone era il posto dove in pochi giorni potevi vedere da vicino tutte le auto, toccarle e esaminarne i dettagli. Oggi quel mondo non c’è più. Nell’era di internet, da ogni angolo della Terra uno può osservare qualsiasi prodotto, anche complesso, in ogni più piccolo dettaglio, pure in 3D. Ci sono sempre i manipoli di affezionati che prendono un giorno e vanno a visitare un salone, ma sono una nicchia, uno zero-virgola di quelli che invece restano a casa e, davanti a uno schermo, sfogano la medesima curiosità, magari anche più in profondità, guardando prove in video e schede tecniche tridimensionali, ingrandendo i particolari con lo zoom, poi salvano il tutto e lo riguardano in seguito. L’esposizione, la visibilità che anche il più grande autosalone può garantire è davvero poca cosa, insufficiente a giustificarne i costi. Queste cose le dicevamo già anni fa, a proposito del nostro Motor Show, ma evidentemente venivano accantonate come giustificazioni per un mercato in crisi che non aveva i soldi per regalarsi la sua kermesse. Perché diciamolo, assistiamo a delle vere e proprie competizioni muscolari, in cui la metrica la dettano i costruttori domestici, dove ci sono. Negli ultimi dieci anni, i saloni dell’auto si sono trascinati replicando se stessi, in un gioco di specchi dove i costruttori nazionali si sentivano obbligati a superare i concorrenti, che a loro volta restituivano il favore quando giocavano in casa. 116
Ma se non è più un’esposizione di prodotti, cos’è un autosalone? Quale compito può assolvere? Beh, basta sollevare nemmeno di tanto gli occhi dal cofano per scorgere una carovana di cambiamenti che stanno arrivando sull’auto, proprio sopra di essa, fisicamente. L’urgenza di chi le fabbrica, di chi le vende e di chi le gestisce nel post-vendita è proprio di evitare che questo tsunami travolga il prodotto. Per riuscirci, il settore e il prodotto devono restare centrali al contesto. In parole semplici, i saloni devono diventare i luoghi dove tutti si incontrano e tutti si confrontano, dai produttori di tecnologia alle istituzioni di mobilità nazionali e cittadine, dal legislatore agli assicuratori, dalle energy company agli incubatori di innovazione. Niente che riguardi l’auto, anche lontanamente, dovrebbe restarne fuori. Il salone dovrebbe ispirarsi ai buchi neri, con una massa tale da esercitare un’attrazione forte su tutto il resto che ruota intorno all’auto. Uno sfoggio e uno sfarzo non più di stand e di prodotti, ma di intelligenze, di speculazioni e di soluzioni di mobilità.
Articolo pubblicato su Il Giornale, il 2 ottobre 2016
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DIFENDERE L’AUTO DALLA DEMAGOGIA
È
punti.
stato bello ripercorrere gli ultimi dieci anni di dibattiti intorno all’auto, leggendo il bel libro di Pierluigi Bonora, Il diavolo non ha quattro ruote, ma voglio chiosare su due
Il primo riguarda i SUV, che l’autore difende sostenendo che “le motivazioni d’acquisto sono tutt’altro che di tipo emotivo o esibizionistico, ma poggiano su scelte razionali che le ricerche più autorevoli collegano alla sicurezza attiva e passiva, al confort generale e alla possibilità di disporre della trazione integrale”. Personalmente non concordo (e con me non concordò nemmeno Vittorio Feltri – eravamo insieme in quel dibattito). Rivendico la libertà di scegliere l’auto per tutti i motivi che voglio. Certo che il SUV è cool, come la station wagon negli anni ’80. E allora? Non voglio un politburo razionale a decidere se e cosa guidare. Il secondo riguarda la mancanza di alternative alla mobilità privata denunciata nel 2012 dall’allora ministro Corrado Clini, secondo cui “per difendere l’auto, che rappresenta un punto di riferimento importante per l’economia e per il mercato della mobilità, dobbiamo associarla a strategie di mobilità che valorizzano anche le altre offerte di trasporto.” Anche su questo mi permetto di dissentire. È fuorviante parlare di auto e di mobilità privata come il risultato di una scarsa offerta di mobilità pubblica. Piuttosto ragioniamo di mobilità individuale e collettiva. C’è una domanda di mobilità collettiva, dettata da ragioni di comodità (non voglio guidare né parcheggiare) o economiche, che va soddisfatta con mezzi dignitosi, confortevoli e puntuali. Ma c’è al tempo stesso una domanda di mobilità individuale, intima, che può e deve essere soddisfatta, con le auto private ovvero con mezzi pubblici ad uso individuale, come il taxi, Uber e il car sharing. Articolo pubblicato su Il Giornale, il 2 ottobre 2016 118
CON IL CREDITO VOLVO RILANCIA LA SFIDA SUL SEGMENTO PREMIUM
V
olvo Car Credit è il nuovo braccio finanziario di Volvo Italia. Piuttosto muscoloso, in verità, visto che consiste in un’alleanza con il Gruppo BNP Paribas. I servizi di credito al consumo e di leasing saranno erogati da Findomestic, mentre il noleggio a lungo termine da Arval. L’alleanza – definita virtual joint venture – non ha una forma societaria, ma solo operativa. Però, e qui sta la novità, opererà come un’impresa, con un board of directors e comitati commerciali, crediti e marketing partecipati da manager delle tre aziende (Volvo, Findomestic e Arval). Secondo Michele Crisci, Presidente di Volvo Car Italia: “Questa collaborazione è la chiave che ci consente di parlare in maniera efficace sia alla nostra clientela tradizionale sia a quella nuova. Così, esattamente come diamo di serie su S90 e V90 il pacchetto di sicurezza più avanzato e completo del mercato, cerchiamo di far sì che tutti possano usufruire della tecnologia d’avanguardia che caratterizza oggi le automobili Volvo di nuova generazione, benché possa apparire talvolta onerosa”. Crisci ha motivato questa strategia di “responsabilità sociale”, affermando che i sistemi di guida assistita sono finalizzati per Volvo a salvare vite umane, di conseguenza devono stare nell’equipaggiamento standard delle vetture. Però costano e fanno alzare il prezzo dall’auto, ed è qui che entra in gioco la finanziaria. Ma prima ancora occorre che il cliente sia educato a valorizzare la sicurezza al punto da pagare di più. In questa partita, la potenza di comunicazione di Findomestic, tra i primi operatori del credito al consumo, potrebbe tornare molto utile a Volvo, che 119
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è un brand premium e come tale occupa una nicchia di mercato. Abbiamo così chiesto a Crisci se non ci siano anche delle aspettative di esplorare a livello commerciale il grande bacino dei clienti di Findomestic. “No – ci ha risposto – la joint venture opera nelle concessionarie Volvo o comunque su clienti che siamo già stati in grado di contattare e di coinvolgere. Poi è evidente che possiamo anche offrire ai clienti di BNL (retail bank del Gruppo BNP Paribas – ndr) delle condizioni particolari di Nlt insieme ad Arval.” Sul punto è intervenuto anche Gregoire Chovè, direttore generale di Arval Italia, sostenendo che “c’è una richiesta crescente e spontanea di sicurezza da parte delle imprese, disposte anche a pagare di più perché ne riconoscono l’importanza e il costo”. Più nello specifico, secondo Chovè “la partnership dà il via ad una collaborazione strutturata con Volvo per la distribuzione di un innovativo prodotto di Noleggio a Lungo Termine che ci permetterà di sviluppare il nostro business: proporre la nostra offerta all’interno della rete dei concessionari Volvo, infatti, ci consente di avvicinare il nostro target, che non ha ancora grande familiarità con il noleggio a lungo termine e che, invece, nel 70% dei casi, quando sceglie di acquistare un’automobile, si rivolge al concessionario.” Rispondendo poi a un preciso stimolo de IlSole24Ore, Chovè ha confermato che “anche noi di Arval riceveremo formidabili input dei clienti e dei concessionari, che ci aiuteranno con i loro feedback di professionisti sul campo a adattare e migliorare l’offerta di NLT per i clienti piccoli, che non può essere la stessa delle flotte.” L’offerta di servizi finanziari è completa, dal classico credito al consumo al leasing e al NLT disponibili anche per privati, “per i quali – ha dichiarato Jany Gerometta Direttore Generale di Findomestic – abbiamo messo a punto due rivoluzionarie modalità di finanziamento, Volvo Car Freeplan e Next by Volvo 2.0.“ Il primo è un finanziamento che consente di modificare la rata di 120
rimborso o anche di saltarne una, mentre il secondo è un finanziamento con cui il cliente può decidere alla fine del periodo stabilito da contratto, se cambiare l’auto con una nuova, saldare l’importo residuo e tenersi l’auto o restituire l’auto alla Concessionaria – quello che in gergo viene definito “mezza macchina”. A questi si affianca, ultimo ma non meno importante, una linea di credito disponibile per i concessionari, per sostenere i loro piani di crescita, il Volvo Wholesale.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, l’11 ottobre 2016
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CORRE IL MERCATO DELLE AUTO BUSINESS Il superammortamento spinge le immatricolazioni di società (+24%) e noleggio a lungo termine (+16%) nei primi 9 mesi
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miliardi in più dell’anno precedente spesi nei primi 9 mesi del 2016 per acquistare macchine nuove. Una crescita quasi del 18%, registrata in tutti i canali: 2,2 miliardi li hanno messi i privati (+16%), 800 milioni i noleggiatori (+16%) e 1 miliardo le società (+24%). Secondo le proiezioni del Centro Studi Fleet&Mobility (fondate sulle stime di Unrae di 1.850.000 immatricolazioni), l’anno dovrebbe chiudersi a 35,3 miliardi di giro d’affari. Sono 2 miliardi più del 2010, quando le immatricolazioni sfiorarono ancora i 2 milioni, la cifra che viene guardata come un totem dagli amanti dei volumi. Per loro, la crisi non è stata del tutto recuperata, mentre quelli che contano i soldi possono finalmente guardare al nuovo assetto del mercato auto, dopo 5 anni di purgatorio. Certo, il primo dato dei nove mesi è che i privati hanno segnato una crescita intorno al 16%, passando dai 13,8 miliardi spesi nel 2015 ai 16 tondi tondi del 2016. Segno che continua anche quest’anno quel recupero di acquisti che nel 2013 e nel 2014 erano stati frenati dalla crisi, che mordeva sia in senso reale sia psicologicamente, spingendo le famiglie a rinviare spese impegnative. Ora i numeri “dimostrano un ritorno alla progettualità da parte delle famiglie e un’attenzione alla pianificazione di acquisti importanti – come spiega Valerio Papale, responsabile della rete business di Agos – e per la loro realizzazione si ricorre sempre più spesso al finanziamento, che continua a godere di favorevoli condizioni di vendita, grazie ai tassi che si mantengono bassi”. Però, ad un’analisi più attenta emerge che i privati, che
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nel 2010 pesavano oltre i 2/3 del business (parliamo sempre di soldi, non di targhe), adesso viaggiano sotto il 60%, complice nel 2016 il super-ammortamento a favore delle imprese, d’accordo, che però non può nascondere un fenomeno: il noleggio (breve e lungo termine) ora vale più del 20% del giro d’affari mentre nel 2010 non arrivava al 14%. Il solo NLT segna da gennaio a settembre un incremento del 16% nel volume delle immatricolazioni, con la piccola differenza che non viene da anni di flessione come i privati. Ci ha detto Andrea Cardinali, VP di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori, che “il NLT cresce come il mercato perché sta espandendo la base di clientela”. C’è una migrazione di clienti piccoli verso il NLT e i costruttori si stanno attrezzando, a cominciare dal gruppo FCA, come afferma Alessandro Grosso, Fleet&Business Sales Director FCA Italy: “A livello più strategico stiamo lavorando su tutte le fasi del customer journey degli utenti business, a partire dal primo contatto fino alla fidelizzazione. Parliamo di nuovi modelli di comunicazione e di momenti di contatto importanti per il cliente, di una rete sempre più preparata e focalizzata sul mercato business e di servizi ed attività che ci permetteranno di seguire i nostri clienti per garantirne la massima soddisfazione con un’esperienza di possesso e utilizzo davvero unica.” Questa migrazione negli anni scorsi sottraeva volumi al canale società, mentre in questo 2016 l’incentivo fiscale del super-ammortamento sta falsando i comportamenti e dunque fa registrare anche per le società una crescita da 4,2 a 5,2 miliardi di euro nei 9 mesi, pari al +24% dunque addirittura superiore agli altri segmenti. Probabilmente a fine anno sarà anche maggiore. Anche il NLT sta cavalcando questo incentivo, come ci conferma Cardinali: “I noleggiatori stanno utilizzando il beneficio fiscale 123
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del super-ammortamento anche a vantaggio dei clienti, ciascuno in base alle proprie politiche, e questo proseguirà fino alla fine dell’anno, anche con un’accelerazione, visto che da gennaio il vantaggio sarà dimezzato, passando dal 140 al 120%”. Ma non tutto il canale noleggio significa NLT per auto aziendali e partite IVA. La vera sorpresa di questi nove mesi si chiama rent-a-car. Dopo un 2015 spettacolare, frettolosamente motivato con l’Expo a Milano e il Giubileo a Roma (entrambi non hanno mantenuto le promesse), ha aumentato le immatricolazioni nei nove mesi del 16%, che è quasi il doppio di quanto stia crescendo la domanda di giorni di noleggio – fino a giugno, non essendo ancora disponibili i dati dei nove mesi. In numeri assoluti, a settembre oltre 5.200 acquisti (+79% rispetto allo stesso mese del 2015, quando furono immatricolate meno di 3.000 unità), in un periodo in cui gli operatori tendono a dimagrire la flotta, dopo il picco della stagione estiva. Il perché lo spiega Fabrizio Ruggiero, presidente di Aniasa: “C’è una forte crescita di immatricolazioni con la clausola del buy-back (riacquisto delle Case a fine periodo – ndr) indotta dalla pressione dei costruttori, che ovviamente porta a un’accelerazione nella rotazione delle vetture”. Anche in questo canale dunque dobbiamo registrare l’effetto del super-ammortamento, che falsa abbastanza le normali logiche di acquisto legate alla domanda.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 Ottobre 2016
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CRUSCOTTO DI OTTOBRE
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Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 Ottobre 2016
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LE PMI, PRATERIA DI OPPORTUNITÀ
L
a novità più interessante dell’edizione 2016 del Corporate Vehicle Observatory (CVO), condotta da Arval e che Il Sole 24 Ore è in grado di commentare in esclusiva, è l’approfondimento sulle PMI. Innanzitutto, la ricerca fornisce un identikit aggiornato di questo universo, che è la colonna portante del nostro sistema economico, nel bene e nel male – soprattutto nel bene direi, visto che le caratteristiche di flessibilità e adattabilità oggi sono indispensabili per la sopravvivenza, forse più di quanto lo siano le dimensioni per la competizione globale. L’indagine ha riguardato oltre 500 aziende, ubicate in Italia, in Francia, in Spagna, nel Regno Unito e in Olanda, che hanno meno di 10 addetti e fino a 9 veicoli in flotta. In Italia, le imprese con queste caratteristiche che dichiarano di avere almeno un’auto sono 6 su dieci, mentre quelle con almeno un veicolo commerciale arrivano all’80%. In media (ma nessuno dimentichi mai Trilussa!) queste imprese hanno una flotta di 2,1 veicoli, composta per metà di auto (0,9) e per metà di furgoni (1,1). La prima notizia davvero interessante è la provenienza di questi mezzi. Interrogate sull’ultimo acquisto effettuato, si scopre che un’azienda su tre ha attinto al mercato dell’usato, sia per le auto che per i mezzi commerciali, e questa proporzione (2 nuovi e uno usato) si ripropone anche oltre frontiera. Interessanti pure le risposte sull’alimentazione degli ultimi acquisti fatti: l’85% sono diesel e l’11% a benzina. I nuovi propulsori ibridi rappresentano appena il 2% degli ultimi acquisti in Italia, comunque una penetrazione doppia rispetto alla media 127
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degli altri Paesi, mentre il dato dei veicoli elettrici si direbbe ‘non pervenuto’. Poi la ricerca ha investigato la durata della permanenza dei veicoli nella flotta delle PMI. Le vetture vi rimangono per 7,6 anni in media, mentre i furgoni ancora di più, arrivando a 9,3 anni. Si tratta di periodi abbastanza più lunghi rispetto alle medie europee, rispettivamente di 6,6 e 7,8 anni. Ma il dato forse più interessante viene dal confronto con cinque anni fa. Nel 2011 le PMI tenevano le macchine in media per 5,4 anni e i furgoni per 4,1. Una notizia che farà poco felici i costruttori, mentre potrebbe essere positiva per i noleggiatori che così possono distribuire i costi commerciali della vendita su un periodo più lungo. In verità, il commento di Alessandro Torchio, responsabile del CVO di Arval, è di ben più ampio respiro: “Davanti a questo fenomeno dobbiamo interrogarci se l’allungamento delle durate sia riconducibile esclusivamente alla crisi che le imprese fronteggiano ovvero se anche la tecnologia stia agevolando un utilizzo prolungato dei veicoli”. Veniamo ora al dato forse più atteso della ricerca, il metodo di acquisizione dei veicoli. Tra le PMI italiane appena un’azienda su 20 ricorre al noleggio a lungo termine e negli altri Paesi la situazione non è molto diversa – la penetrazione del NLT è al 7%. Guardando al bicchiere mezzo pieno, Alessandro Torchio è lapidario: “Il NLT ha davanti una prateria di potenziale sviluppo nelle PMI, dove è evidente una differenza culturale nella gestione della flotta rispetto alle grandi imprese”. Passando così al CVO sulle flotte medie e grandi, scopriamo infatti che il principale sistema di acquisizione risulta essere il NLT per oltre la metà del campione. Il dato più confortante è però quello sulla previsione di crescita della flotta, dichiarato da 3 rispondenti su dieci, mentre meno di uno su dieci ha formu128
lato una previsione di contrazione della flotta. È un’indicazione su cui i pareri dei fleet manager italiani combaciano con quanto detto dai loro colleghi europei. Venendo alle alimentazioni, si apprende che il diesel, che oggi equipaggia l’87% dei veicoli in Italia e l’82% in Europa, sarà ancora predominante tra 5 anni, nelle proiezioni dei rispondenti, in misura dell’85% in Italia e del 79% in Europa. Gli unici due paesi che dichiarano un’intenzione più marcata a diminuire la penetrazione del diesel sono la Francia e il Belgio. L’ultima nota la riserviamo al car sharing. Per 4 aziende su dieci si diffonderà, specialmente tra il personale più giovane (55%), e farà accedere alle auto aziendali una fetta più ampia di dipendenti, ma due fleet manager su tre ribadiscono tuttavia che l’auto aziendale è considerata un riconoscimento importante: a buon intenditor…
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 Ottobre 2016
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SCANIA SCRIVE IL FUTURO DEI CAMION: IBRIDI, ELETTRICI E A FORMA DI FILOBUS
“A
ndare verso una società più sostenibile è urgente e dovrebbe essere una priorità per ogni business – in ogni settore. Gli affari non possono prosperare dentro una società che fallisce”. Non l’ha mandata a dire Kofi Annan, già segretario generale delle Nazioni Unite, intervenendo a Parigi al Sustainable Transport Forum di Scania, intitolato appunto “Driving the Shift”. Per qualsiasi costruttore di veicoli, ancor più se veicoli pesanti, forse sarebbe stato eccessivo farsi suonare questa musica in casa propria. Ma gli svedesi quando si convincono che una cosa sia giusta la sposano in pieno, senza mezze misure. E se il contesto non è pronto, piuttosto puntano a cambiare il contesto. Il Sole 24 Ore, unico quotidiano italiano presente al Gran Palais, lo può testimoniare con le parole di Henrik Henriksson, presidente e CEO di Scania: “Io sono determinato a guidare Scania su una strada che ci permetta di essere i leader verso un sistema di trasporti più sostenibile. Noi crediamo che il ruolo stesso del trasporto debba essere ridefinito. Questa è la nostra ambizione. Noi di Scania crediamo che eliminare dal sistema gli sprechi, che si tratti di spazio, tempo o energia, sia ciò che cambierà le regole del gioco nel nostro settore.” Dalle parole ai fatti, è già in vendita l’autocarro ibrido, insignito del premio “Green Truck Future Innovation 2016” per le ridotte emissioni di inquinanti atmosferici, per il basso livello di inquinamento acustico e perché risolve alcune esigenze specifiche della distribuzione urbana. Infatti, questa soluzione ibrida consente ad un veicolo di 18 tonnellate di operare in modalità totalmente elettrica con un’autonomia di due chilometri. “L’eco-sostenibilità per noi continua ad essere uno dei punti strategici. Siamo consapevoli 130
di essere parte del problema, ma vogliamo anche essere parte della soluzione.” È lapidario Franco Fenoglio, CEO di Scania Italia. “I nuovi mezzi appena presentati hanno beneficiato di oltre 2 miliardi di investimenti, che anche nel futuro saranno orientati ad avere veicoli puliti, che consumino poco e siano compatibili con la redditività dei nostri clienti.” Insomma, sbagliavamo a pensare che i vecchi camion, inquinanti e pericolosi, non avrebbero mai aperto la strada verso una mobilità sostenibile. “Il trasporto – è ancora Henriksson che parla – è uno dei settori in cui la rivoluzione digitale sta avanzando più velocemente.” Quanto velocemente lo abbiamo visto in esclusiva a Stoccolma dove Scania ha presentato un innovativo sistema di guida autonoma: camion che si muovono da soli, senza conducente, all’interno di un cantiere. È l’intelligenza interna del veicolo che esegue tutte le funzioni di automazione e di assistenza. Raccoglie i dati dai numerosi sensori del veicolo e li elabora per dare una visione complessiva dell’area circostante. L’unità di controllo riceve anche le destinazioni di trasporto dal sistema logistico fuori bordo e le traduce in istruzioni eseguibili dal sistema del veicolo. I veicoli autonomi stanno già dimostrando delle performance impeccabili nella fase di test, anche se ci vorrà qualche anno prima che questa tecnologia sia pronta per essere venduta sul mercato. Ma alcune di quelle innovazioni di cui tanto si parla per le auto stanno vedendo già ora pratica applicazione nel settore del trasporto pesante. Stiamo parlando di un uso innovativo dei dati raccolti su ogni camion dal cronotachigrafo, strumento di bordo obbligatorio che registra tutte le attività del mezzo (il primo che viene controllato dalle forze dell’ordine, per intenderci). Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare che a breve Continental (che con il brand VDO fornisce oltre 2/3 dei cronotachigrafi mondiali) e 131
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AON renderanno disponibili le informazioni per le compagnie di assicurazione, che potranno così personalizzare le coperture e abbattere sensibilmente i premi a quei driver che osservano comportamenti virtuosi in termini di sicurezza. Più avanti, ma neanche tanto, è ancora Scania a riservarci un’altra sorpresa, che abbiamo potuto vedere già all’opera vicino Gävle sull’autostrada E16: due chilometri completamente elettrificati, tipo ferrovia, dove un normale (si fa per dire) camion ibrido può alzare il pantografo e collegarsi alla rete per marciare in modalità elettrica. Ci ha ricordato il buon vecchio filobus delle nostre città, che un po’ frettolosamente abbiamo mandato in pensione.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 18 Ottobre 2016
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QUEI NUMERI ANCORA BASSI DELLE AUTO “ALLA SPINA”
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al 2010 al 2015 sono state immatricolate in Italia 4.383 auto elettriche (senza motore termico), in un crescendo che ha toccato lo scorso anno la vetta di 1.460 vetture, pari allo 0,09%: ogni 10.000 macchine acquistate nove erano elettriche. È stato un anno di picco, visto che i dati dei primi mesi del 2016 proiettano un calo del 20%, in un mercato che cresce del 17%: significa che quest’anno ogni 10.000 immatricolazioni 6 saranno elettriche. Se si trattasse di una dinamica della domanda, sarebbe da chiedersi come mai gli automobilisti (pochissimi) abbiano prima adottato questa nuova forma di propulsione e poi la stiano abbandonando, troppo repentinamente. In realtà c’è poco da interrogarsi. Quelle vendite sono in buona misura ascrivibili ad aziende, istituzioni e altri soggetti che a vario titolo hanno deciso di inserire nel loro parco una o due auto elettriche, per mostrare una sensibilità ambientale. Davanti a un’innovazione così radicale una semplice domanda è inevitabile: esiste il bisogno? Gli automobilisti hanno mostrato una saturazione, quasi un rifiuto delle auto a propulsione termica? Negli anni scorsi la domanda di auto è stata piuttosto fredda, è vero, ma per motivi economici, non di prodotto. Certo, i motori termici inquinano, emettono anidride carbonica e polveri sottili. Per queste ultime è il motore diesel a essere particolarmente sotto accusa. Uno studio molto accreditato di AlixPartners (una società di consulenza internazionale) prevede che l’industria nei prossimi 15 anni farà enormi passi in avanti nella riduzione dell’inquinamento prodotto dai propulsori termici. Gli interventi più significativi interesseranno il motore in sé (controllo della combustione e delle valvole e recupe133
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ro dell’energia dei gas di scarico) e la trasmissione, oltre all’introduzione di soluzioni ibride, che consentono la marcia a combustione ovvero a batteria, seppur limitatamente. Nei diesel, oltre a questo, è previsto un ulteriore miglioramento sul controllo delle polveri sottili. Si tratta di cambiamenti che avranno un costo aggiuntivo, che si stima possa variare da circa 3.000 euro per le piccole fino a 4.200 euro per le grandi. La brutta notizia è che comunque tali riduzioni non riusciranno a portare le emissioni al di sotto dei limiti che le diverse normative fissano per il 2030. La buona notizia invece è che questi incrementi di costo avvicineranno economicamente le auto termiche a quelle ibride. Nel caso delle piccole, le diesel e le ibride dovrebbero coincidere come costo, mentre le grandi staranno tutte (benzina, diesel, ibrido e ibrido plug-in) in un range di poche centinaia di euro di differenza, in termini di TCO (total cost of ownership). Il gap resterà ancora verso le auto elettriche, nell’ordine di qualche migliaio di euro. Però l’obiettivo è di altissimo valore, questo non si discute. L’ambiente dovrebbe ricevere molte più attenzioni. A cominciare dalle fonti di produzione dell’energia elettrica. Secondo un’analisi pubblicata dall’Economist, un’auto elettrica ricaricata con energia prodotta da centrali nucleari equivale a consumare meno di 10 gr/km di CO2, mentre la stessa auto elettrica, se ricaricata con energia proveniente da centrali a carbone, può arrivare fino a 120 gr/km di CO2.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 25 ottobre 2016
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SUPERAMMORTAMENTO, PMI, PARTITE IVA E PRIVATI. BREVE VIAGGIO ALLE RADICI DEL FENOMENO NLT
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l noleggio a lungo termine (NLT) ha comprato nei primi dieci mesi dell’anno più macchine di quante ne aveva acquistate nell’intero 2015. Grazie, si dirà, questo è l’anno della ripresa del mercato, in cui c’è il rimbalzo (iniziato già l’anno scorso, in verità) del biennio terribile 2013/2014. Vero, solo che in quegli anni bui il NLT non aveva fatto mancare i suoi acquisti. Nel 2011 la sua quota sul totale del mercato era poco sopra l’8%; nel 2013 era già sopra il 10%, mentre lo scorso anno ha superato il 12%. Quest’anno, continuando di questo passo, potrebbe facilmente sfiorare il 13% – complice la corsa prevedibile a immatricolare che si scatenerà in queste settimane, per beneficiare al massimo del super-ammortamento, che da gennaio sarà dimezzato, passando dal 140 al 120%. In effetti, non è un mistero che la scelta di escludere dal beneficio fiscale le vetture aziendali acquistate e assegnate in uso promiscuo ai dipendenti e quelle di professionisti e ditte individuali (queste ultime da sole valevano nel 2015 oltre il 10% del mercato) abbia favorito il NLT. Infatti, per gli operatori del noleggio tutte le auto sono strumentali, anche se poi il cliente le assegna in uso promiscuo. È quanto ha confermato Andrea Cardinali, vice presidente di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori: “I noleggiatori stanno utilizzando il beneficio fiscale del super-ammortamento anche a vantaggio dei clienti, ciascuno in base alle proprie politiche, e questo proseguirà fino alla fine dell’anno, anche con un’accelerazione, visto che da gennaio il vantaggio sarà dimezzato, passan135
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do dal 140 al 120%”. Ma a parte la congiuntura favorevole del super-ammortamento, prosegue Cardinali, “il NLT cresce come il mercato perché sta espandendo la base di clientela”. Dunque, come indicato sopra dai numeri, non si tratta di un recupero di volumi che erano stati accantonati negli anni scorsi, ma di una vera e propria penetrazione, come già da tempo stiamo sostenendo, in una nuova fascia di clientela, le PMI e i professionisti con Partita IVA, a cui dopo seguiranno i privati, con i quali sono già in corso le prove generali. Un’indagine recente, il Corporate Vehicle Observatory di Arval, multinazionale del NLT, ci consente di dare un’occhiata da vicino alle caratteristiche delle piccole e medie imprese italiane, dal punto di vista delle auto e dei veicoli commerciali che utilizzano. Il primo dato è proprio il numero di veicoli che usano: circa la metà di esse possiede un solo veicolo, mentre una su quattro ne possiede due e il restante quarto si distribuisce tra tre e cinque veicoli in flotta. Stringendo il focus sulle sole macchine, emerge che una su tre non ne possiede (usando evidentemente solo furgoni) e una su tre possiede una sola macchina, mentre il restante terzo ha una consistenza di due o tre auto al massimo. Per i furgoni, solo un’azienda su cinque dichiara di non possederne, mentre la metà ne ha solo uno e un altro quinto del campione ne possiede due. Il dato più inatteso però riguarda la ripartizione degli acquisti, tra veicoli nuovi e usati. Un’auto su tre e un furgone su tre vengono acquistati usati dalle aziende. Ancor più interessante, le medesime percentuali si riscontrano anche nei principali Paesi dove è stata condotta l’indagine, Francia, Uk, Olanda e Spagna. Infine, ed è probabilmente il dato più significativo, gli anni di tenuta in flotta dei veicoli (quelli acquistati nuovi), con un raf136
fronto molto opportuno con i valori del 2011. Cinque anni fa, le PMI italiane tenevano le auto poco più di 5 anni, come le loro cugine europee. Nel 2016, le italiane dichiarano di tenere le macchine per ben 7,6 anni, un anno di più che negli altri Paesi. Per i furgoni il periodo è cresciuto ancora di più. Se nel 2011 le aziende italiane li tenevano per 4 anni, uno meno delle stesse PMI in Europa, quest’anno la fotografia appare ribaltata: le aziende di Olanda, UK, Spagna e Francia tengono i veicoli commerciali in media per quasi 8 anni e le italiane superano i 9. Nel complesso, la rotazione si è quasi dimezzata. Effetto della crisi, si direbbe. Però potrebbe anche trattarsi di una scelta aziendale originata dalla miglior tenuta dei prodotti, magari scoperta sì grazie alla crisi. I mercati sono in ripresa, dunque lo sapremo presto.
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Articolo pubblicato su InterautoNews, a Novembre 2016 139
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I VASI COMUNICANTI DELLE IMMATRICOLAZIONI: PRIVATI IN FLESSIONE, MA C’è IL BOOM DI RENT-A-CAR E KM0 Ruggiero (ANIASA) “Registriamo una forte crescita di immatricolazioni con la clausola del buy-back, indotta dalla pressione dei Costruttori, che accelera la rotazione di vetture”
L
a notizia più importante del mercato auto di ottobre è senz’altro la flessione del 4% delle immatricolazioni a privati, che sono generalmente indicati come ‘le famiglie’, anche se c’è dentro un po’ d’altro: professionisti e altri soggetti che operano con una Partita IVA, tanto per dirne una. Ma va bene, è la parte polverizzata della clientela, che decide se acquistare o meno in base a fattori sia razionali sia emotivi, comunque al di fuori di regole standard. Questi signori (e signore, sempre di più) hanno immatricolato 88.500 macchine, mentre nello stesso mese dell’anno scorso erano state oltre 92.000. Non è una grande differenza, si tratta di 3.700 unità (teniamo però a mente il numero), ma ha segnato un’inversione di tendenza rispetto a una moda di crescita che durava da tanto. La seconda notizia poi, non così rilevante in termini di volumi, ma per altri versi invece sì, è stato il boom di acquisti da parte degli operatori del rent-a-car: +123% rispetto ad ottobre 2015. Detto in altri termini, per ogni 4 auto comprate ad ottobre dell’anno scorso, quest’anno ne hanno acquistate 9 (dico 9). Il noleggio a breve termine sta andando bene, pur con crescite a un solo digit, ma questa è pur sempre bassa stagione. È il periodo dell’anno in cui la flotta, dopo aver raggiunto il suo picco nei mesi estivi, si riduce, non aumenta, perché la domanda proveniente dal turismo
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leisure, ossia del tempo libero, vacanziero, viene meno. Non c’è all’orizzonte un flusso di arrivi abnorme per il Natale, tantomeno gli ultimi colpi di un Giubileo che non abbiamo visto nemmeno nei mesi belli. Sì, ci sono delle sagre carine in giro, ma niente di più. Resta la domanda legata al turismo d’affari e la richiesta degli operatori del noleggio a lungo termine. Quindi, è il tempo in cui le macchine si vendono, non si comprano. Invece, si chiude il mese e scopri, il giorno dopo, che hanno immatricolato 6.200 vetture, contro le 2.800 dello stesso mese del 2015: 3.400 unità in più. Somigliano molto a quelle 3.700 che mancano al canale privati, ma si tratta quasi certamente di una coincidenza. Si sa, con i numeri è un attimo a fare dietrologia. Certo però che da qualche parte queste macchine finiranno, poiché sarebbe sorprendente che gli operatori gravassero di asset lo Stato Patrimoniale a fine anno. Ma se gli acquisti aumentano e la flotta no, l’unica spiegazione è quella fornita dallo stesso presidente di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori, Fabrizio Ruggiero: “C’è una forte crescita di immatricolazioni con la clausola del buy-back (riacquisto delle Case a fine periodo – ndr) indotta dalla pressione dei costruttori, che ovviamente porta a un’accelerazione nella rotazione delle vetture”. Rotazione significa che macchine con pochi mesi e pochi chilometri vengono vendute come usato freschissimo sulla pubblica piazza (pardon, piazzali). Quella somiglianza si accentua, vero? Infine, c’è un’altra notizia interessante, che si riferisce però non a ottobre ma a settembre, per ovvi motivi di elaborazione dei dati. In quel mese, si stima siano stati fatti 15.000 km0, più del doppio rispetto al settembre 2015. Ora, una volta targate, quanto tempo avranno impiegato quelle macchine a finire nelle mani dei clienti? Un mese? Due mesi? Non importa, tanto il concetto è abbastanza chiaro. Se al cliente fai trovare una bella offerta di km0, che devi velocemente vendere prima che scadano come il latte, come puoi poi meravigliarti che non acquistino tante auto nuove quanto lo scorso anno? Infatti, guardando al dato consolidato dei primi 9 mesi, se sommiamo i km0 alle immatricolazioni a privati (ché tan141
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to sempre a loro vanno a finire), viene fuori che questo segmento di clientela non ha fatto +16% (pari a 120mila macchine), bensì +19% (160mila macchine). In conclusione, è vero che le famiglie stanno progressivamente esaurendo quella spinta a cambiare l’auto che era stata soffocata negli anni bui. È anche vero che questo rimbalzo è stato fortemente spinto nei primi mesi dell’anno da offerte strepitose (e costose) della filiera. Ma è altrettanto vero che se poi si aumentano le immissioni in altri canali, che nel giro di due/tre mesi vanno a fare concorrenza alle macchine nuove, bisogna almeno essere prudenti prima di asserire che la festa sia finita.
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Articolo pubblicato su InterautoNews, a Novembre 2016 143
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SE I “KM0” ORA ARRIVANO ANCHE QUI
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uando un’auto ogni cinque viene immatricolata ad uso noleggio, ha ancora senso parlare di un canale a parte, che serve una domanda diversa, che poco ha a che vedere con quella tradizionale, di clienti che scelgono la vettura in un salone? Certamente sì, per quelle targhe destinate alle aziende che rinnovano la loro flotta in noleggio a lungo termine (NLT) o alle società di rent-a-car (RAC), poichè non rappresentano una domanda retail. Ma possiamo affermare che oggi, nel 2016, tutte le immatricolazioni ad uso noleggio vadano a finire nelle stazioni di noleggio o nelle flotte? Il dato più sorprendente del mese di ottobre è la stima di un incremento del 123% delle immatricolazioni del RAC: per ogni 4 auto comprate l’anno scorso, quest’anno ne sono state acquistate 9. Un’ondata di turisti per l’autunno o in vista del Natale? Difficile. Questo è il periodo di bassa per il turismo e per il RAC, è il tempo in cui le auto si vendono, non si comprano. Dunque la domanda è: che fine fanno queste macchine? Anche perché un altro fenomeno pare sia in crescita, quello del rent-to-rent, ossia auto immatricolate dai noleggiatori a lungo termine e da questi noleggiate ai colleghi del RAC, che quindi dovrebbero acquistare meno, non più dell’anno scorso. È pur vero però che il business del RAC è in aumento: al giro di boa del semestre aveva segnato una crescita del 7% in volume e magari anche la stagione estiva sarà andata bene. Poi il RAC serve anche la domanda del NLT, che chiede vetture per pochi mesi da dare al cliente nuovo in attesa che gli arrivi l’auto ordinata. Questa è talmente significativa che già lo scorso anno LeasePlan lanciava il prodotto FlexiPlan, con cui rispondere a richieste che 144
partono da un solo mese di noleggio, e Arval poche settimane fa ha presentato il suo Mid-Term, un noleggio da uno a 24 mesi. Nei giorni scorsi poi, è arrivata l’offerta Be Free di Leasys, che dura da 12 a 48 mesi. Tutti prodotti destinati a una clientela nuova, che arriva dal canale retail e passa al noleggio. Insomma, pare proprio che il noleggio si stia proponendo come interlocutore di quei clienti privati, con o senza Partita IVA, che ultimamente, finite le promozioni delle Case dei primi sei mesi, vanno in concessionaria meno dello scorso anno. Ma sarà tutto più chiaro quando il polverone del super-ammortamento si sarà posato. Allora potrebbero scorgersi anche dei km0, se non saranno già stati consegnati al cliente finale.
Articolo pubblicato su Il Giornale, il 14 Novembre 2016
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UN GIRO IN MACCHINA 2016
COMPANY CAR ALLA VOLATA FINALE Il superammortamento in modifica a fine 2016 cambia le dinamiche del comparto auto, creando asimmetrie.
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e flotte – intese come società e noleggi – stanno contribuendo all’ottimo risultato dell’anno generando oltre metà della crescita rispetto al 2015: 2,2 miliardi di euro di acquisti in più, secondo il Centro Studi Fleet&Mobility. Nei 10 mesi il mercato auto complessivamente ha immatricolato per oltre 30 miliardi, 4,4 più dello stesso periodo dell’anno precedente, +17%. Con quasi 6 miliardi (1,2 più del 2015), il canale società segna l’incremento maggiore, +26%. Il noleggio, che vale fino a ottobre oltre 6,4 miliardi, segna una crescita del 18%, pari a un miliardo più del 2015. Il segmento maggiore, quello dei privati (che include però anche le Partite IVA), rappresenta il 58% della spesa degli italiani, per un controvalore di 17,6 miliardi di euro, in crescita del 14% sul 2015, circa 2,2 miliardi. L’incremento del canale società è attribuibile all’incentivo del super-ammortamento. Fino alla fine dell’anno l’effetto potrebbe essere addirittura maggiore, grazie a quelle auto che andrebbero comunque presto acquistate (o prese in leasing) e che non sono però classificabili come beni strumentali, per le quali la Legge di Stabilità 2017 non prevede il prolungamento dell’incentivo, riservato solo ai beni strumentali – creando una disparità di trattamento rispetto al noleggio. Intendiamoci, è indiscutibile che per i noleggiatori le vetture siano essenziali al perseguimento dell’oggetto sociale, che è appunto di darle in locazione, e che dunque gli venga riconosciuto il beneficio. Il punto che fa riflettere è che, quando un’azienda prende un’auto per uso non strumentale, in acquisto, leasing o no-
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leggio, non accede al super-ammortamento, non trattandosi di un investimento produttivo. Però, nel caso del noleggio potrebbe ricevere comunque un beneficio, seppur indirettamente. Infatti, nel momento in cui la società di noleggio accede a un ammortamento maggiorato al 140%, questa sopporta un costo indubbiamente inferiore, che può consentire un canone di locazione più aggressivo. Dunque, nella realtà, quel medesimo bene, che svolge la medesima funzione non strumentale, arriva in fondo alla filiera con un peso fiscale diverso. Tornando al 2016, la crescita del canale noleggio ha cause diverse. Il lungo termine (NLT) – che in 10 mesi ha già comprato più macchine dell’intero 2015 – prosegue un percorso che da anni sta dando frutti, ossia acquisire nuovi clienti tra le piccole imprese e i professionisti, il cosiddetto segmento delle PMI e Partite IVA. Si tratta di clienti che guidano un’auto acquistata o in leasing, presa da un concessionario, e che al momento di sostituirla preferiscono sottoscrivere un contratto di noleggio, spesso proposto dallo stesso concessionario. All’inizio dell’anno sembrava che la migrazione dovesse essere contenuta proprio dal vantaggio fiscale del super-ammortamento (e sicuramente è accaduto) ma poi alcuni noleggiatori, non tutti, hanno deciso di “utilizzare il beneficio fiscale del super-ammortamento anche a vantaggio dei clienti, ciascuno in base alle proprie politiche”, come ci ha detto Andrea Cardinali, Vice-presidente di Aniasa, l’associazione dei noleggiatori. Sarà interessante vedere se nel 2017 continueranno a scegliere la strategia del minor prezzo oppure orienteranno le risorse verso l’incremento della qualità del servizio – posto che in natura le due cose non si tengono. Però, dietro i numeri del 2016 c’è dell’altro. Per cominciare, acquistano sempre più macchine non destinate ciascuna a un solo contratto di NLT, 147
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ma utilizzate come flotta disponibile. Ad esempio, LeasePlan le utilizza per il suo prodotto FlexiPlan, destinato a clienti che chiedono un noleggio anche di un solo mese. Recentemente, è arrivata la risposta di Arval, chiamata Mid-Term, che parte appunto da un mese e arriva fino a 24. Entrambi i servizi si basano su auto già in flotta, che dunque generano acquisti aggiuntivi. Anche Leasys ha il suo, Be Free, che però parte da 12 mesi. Discorso diverso per le auto acquistate dal rent-a-car. Immatricolare il 19% in più del 2015 non trova alcuna giustificazione nell’incremento di domanda di noleggi, che pure c’è stato ma non di queste dimensioni, e oltretutto un po’ bilanciato da sensibili miglioramenti nel tasso di utilizzo delle macchine, mai così alto nella storia. Ascoltando gli operatori, si scopre che molti hanno accelerato la rotazione delle vetture in flotta, scendendo spesso sotto i 6 mesi. Per alcuni una scelta autonoma, per altri anche una risposta a offerte allettanti dei costruttori, come ci ha confermato il presidente di Aniasa, Fabrizio Ruggiero: “C’è una forte crescita di immatricolazioni con la clausola del buy-back (riacquisto delle Case a fine periodo – ndr) indotta dalla pressione dei costruttori, che ovviamente porta a un’accelerazione nella rotazione delle vetture”. Infine i km zero: nei 10 mesi, le stime di InterAuto News riportano un incremento di oltre 43.000 targhe, che è il 40% della crescita registrata da società e noleggi. Queste entro un paio di mesi finiscono ai privati, ma è un’altra storia – o no?
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 6 dicembre 2016
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QUEL BUSINESS STRATEGICO DEI MODELLI “SPORT UTILITY”
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fine 2016 gli Italiani avranno speso 35,4 miliardi per acquistare nuove auto, stando alle previsioni del Centro Studi Fleet&Mobility basate sulla stima UNRAE di 1,85 milioni di immatricolazioni. È un valore più alto di quello sborsato nel 2009, quando però il mercato assorbì oltre 2,15 milioni di auto. Nel 2009 il valore medio di acquisto stava poco sopra i 16mila euro, mentre quest’anno dovrebbe attestarsi intorno ai 19.300 euro (già nel 2015 era a 19.100). Come è stato possibile? In buona parte, grazie alla crescita dei modelli SUV (crossover e fuoristrada), passati dal 9,5 al 26,4% di quota di mercato in volume (205.000 nel 2009 e 488.000, presumibilmente, a fine 2016). Per dare qualche esempio concreto, nel 2015 la sola 500X valeva il 2,2% del mercato, in termini di valore. Jeep, grazie anche al Renegade, pesava in valore il 2,8% (più di Hyundai, ferma al 2,5%). Sembra dunque che, nel decennio in cui l’auto si compra ormai solo per sostituirne un’altra, si acquistano meno macchine, ma più cool, più attrattive, più sexy. Insomma, sempre più l’auto nuova è un piacere: se non piace, che piacere è? Bene, ma adesso la domanda che assilla gli operatori è cosa aspettarsi per il 2017, dopo aver archiviato un anno molto buono quanto inatteso? Ci sono motivi di incertezza e non serve essere pessimisti per vederli. Sullo sfondo, la congiuntura economica tende al brutto. L’euro indebolito, intorno a 1,06 verso il dollaro, è un bene per l’export, ma aggraverà l’impatto del caro-petrolio, frutto del piano di “undersupply” previsto per il 2017 da parte dei Paesi OPEC e non-OPEC. Sul fronte interno, è prevedibile che la crisi bancaria arriverà al suo 149
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redde rationem, mentre ci confronteremo con la fine del quantitative easing della BCE e con l’ulteriore inasprimento dello spread sulla massa di titoli pubblici da collocare. In primo piano, costruttori e concessionari sanno bene che quest’anno la ripresa della domanda dei privati (il vero mercato per volumi e per margini, insomma dove stanno i soldi veri) è stata robusta nella prima parte dell’anno, grazie a campagne promozionali mai viste prima, per di più in un tempo in cui ancora c’era aria di ripresa, mentre adesso la fiducia dei consumatori è in lieve flessione. I timori dunque sembrerebbero ben riposti. Addirittura qualche concessionario ammette che il consiglio della Casa è di non forzare le immatricolazioni entro dicembre, tanto il risultato è acquisito, per tenersi nel cassetto un po’ di contratti per gennaio. In realtà, la domanda dei privati è meno fiacca di quanto gli ultimi mesi facciano ritenere. Si tratta solo di andare a cercarla. Dove? Nei km0 e nelle vendite al rent-a-car, che già nei 10 mesi fanno segnare 63.000 macchine in più dello stesso periodo del 2015. Le 20.000 auto aggiuntive del RAC sono motivate da una rotazione accelerata (spontanea e spintanea), che in parole povere significa che quelle macchine finiscono sul mercato dopo meno di 6 mesi, solleticando l’appetito dei privati, insieme alle km0. Se dunque sommiamo queste 63.000 auto alle immatricolazioni ai privati, scopriamo che fino a ottobre la crescita sul 2015 è circa del 22% (e non del 14%). Detto in parole semplici, la domanda dei privati c’è, ma se oltre alle macchine nuove gli fai trovare sempre più km0 e se anche l’usato ex noleggio è sempre più fresco e meno chilometrato, non puoi lamentarti che gli acquisti si distribuiscono. In conclusione, per il 2017 c’è una motivata incertezza sulla tenuta della domanda, ma le statistiche sono troppo sporcate (gonfiate dagli incentivi e sgonfiate dalle vendite forzate ad altri canali) per tracciare un trend affidabile. Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 6 Dicembre 2016 150
RINGRAZIAMENTI Più che ringraziare desidero condividere quest’opera con chi l’ha resa possibile, a cominciare dagli amici de IlSole24Ore. Laura (La Posta) è una professionista di rara abilità, che riesce a tenere sempre alto il livello e l’accuratezza dei Rapporti e non perde mai di vista la filosofia della testata, della quale è una risorsa inestimabile. Mario (Cianflone) persegue la ricerca costante dei fatti veri e ripudia, anche nei toni, le bufale e le balle che si formano e circolano come le nuvole in autunno. Alessandro (Tommasi) ha preso in corsa le redini di InterAuto News, mostrando una resilienza e un garbo secondi solo all’attenzione con cui nutre il suo appetito di conoscere in fretta temi e sfumature di questo ambiente, che gli serve soprattutto a mascherare le costanti riflessioni che gli affollano la mente. Pier Luigi (Bonora) mi onora della richiesta di pareri e contributi, lasciandomi lo spazio per andare contro quella corrente che nemmeno a lui piace: che sia perché allievo del grande Indro? Ma altri hanno contribuito forse anche di più a queste pagine, le amiche Alessia (Seri) e Francesca (Di Lazzaro) con l’amico Alessandro (Palumbo), per avermi permesso di dedicare il tempo necessario, sedando autonomamente (o non facendoli nemmeno appiccare) i vari incendi quotidiani, e per aver prodotto molte delle analisi che ne sono il fondamento. A tutti loro va il mio ringraziamento e l’orgoglio di aver meritato la bella prefazione del Presidente Angelo (Sticchi Damiani).
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