Questo articolo è tratto dallo Speciale Tipologie Costruttive di Fly Line, è uscito nel 2007. Esso illustra i processi di montaggio per realizzare diverse tipologie di modelli classici, affrontando le caratteristiche dei vari materiali ed il loro assemblaggio.
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Roberto Messori
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n questo articolo e nei montaggi che comprende verranno analizzati gli standard classici relativi alla costruzione dei modelli più banali, modelli che oggi sono sempre meno costruiti dai flytyer, vittime (si fa per dire) delle invenzioni moderne di diversi praticoni, praticoni che però sembrano non conoscere, non tutti almeno, aspetti fondamentali non solo per rendere le imitazioni perfette, ma anche per prodursi in evoluzioni significative. Non dimentichiamo che la base di ogni ricerca scientifica è la perfetta conoscenza della bibliografia d’ogni epoca, anche se poi è la fortuna a giocare ruoli determinanti. Qui ripeteremo inevitabilmente tante cosa già dette, per molte di queste non sarà un male, del resto questo speciale sulle metodologie di costruzione deve soddisfare le necessità dei meno preparati in materia, ma vedrete che anche voi, costruttori preparatissimi, troverete spunti, note, trucchi e punti di vista che potrete sfruttare per migliorare. Spero.
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atologia costruttiva - Nel contesto del flytying, ovverossia nella costruzione delle mosche artificiali, per comprendere la vera essenza dell’interazione tra mondo classico e modernità varie occorrerebbe, più che i classici di Halford, Ronald, Leonard West o L. De Boisset, leggere opere come “Massa e potere” di Elias Canetti, “Psicologia delle folle” di Le Bon, ed in genere autori come Freud e Wilhelm Reich. Solo così si potrebbe, se non spiegare, almeno avvicinarci alla comprensione dei tanti misteri che affiorano dietro le quinte del teatro della costruzione delle mosche finte. In essi si trovano aspetti ferocemente conflittuali come la viscerale necessità di apprendere concetti costruttivi classici e rigorosi in contrapposizione alla pulsione esistenziale di creare novità a tutti costi. Fremente dietro ad un tendone troveremo il bisogno irrinunciabile di trasformare una mosca in un vero e proprio modellino dell’insetto fare a cazzotti con la pulsione irrefrenabile volta all’impressionismo più essenziale. E poi ancora la fede cieca in una mosca dall’efficacia inspiegabile affiancata all’incredulità verso un modello
osannato da tutto il mondo, ma con quale non s’è mai battuto chiodo. Sembra impossibile conciliare il tutto, ma non accade lo stesso tra il bisogno di libertà ed il bisogno d’imprigionarsi in una famiglia? Forse è irrilevante, ma in verità dietro la passione per la costruzione delle mosche artificiali sta un mondo immenso di misteri insondati, tuttavia finché un Pam, nel costruire, non manifesta crisi di panico, violente depressioni, pulsioni omicide, crisi isteriche e fenomeni similari, non staremo ad indagarlo. Ci limiteremo invece a seguire il filo razionale dell’efficacia, del massimo risultato col minimo sforzo, della logica più immediata e della semplicità razionale. In tal senso la prima cosa da fare è verificare la conoscenza già acquisita in materia. S’intende con essa la storia della Pam e tutto ciò che il “mondo classico” ha evoluto in proposito. Come la prima, insostituibile base di ogni ricerca scientifica è la conoscenza della bibliografia, anche nel nostro caso s’impone l’assoluta consapevolezza del passato. Un esempio? Va bene. Prendiamo un’imitazione banale, la Red Quill. Nel modo classico la costruiremmo con un ciuffetto di barbe di gallo per le code, un quill di pavone tinto rosso
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come corpo, un banale collarino in hackle di gallo rosso naturale e, tutt’al più, due ali in punte di hackle grigia. Invece una tipologia moderna la realizzerebbe con codine sintetiche aperte a V, addome in quill, torace in dubbing sintetico ed ali in Cdc. Ma potremmo realizzarla in altri numerosi sistemi, come no-hackle, ext-body, reverse, ecc. Perché queste varianti? Ma per adattarla ad ambienti difficili, a trote selettive, ad acque più o meno correnti e via dicendo. Non per ultimo la praticità, robustezza in testa.
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Eppure, tornando al modello classico, potremmo comunque costruirlo adeguandolo alle stesse situazioni variando solo la massa e la distribuzione dell’hackle. Ed il risultato? Se siete un buon flytyer e pescatore con senso dell’acqua potrete conferire la stessa efficacia sia al modello classico che a quello iper-moderno, o crearne altri di analoga funzionalità. A causa di questa spinta furibonda a rispolverare, modificare, inventare dressing variando materiale e tipologie costruttive s’è formato un immenso pol-
verone che mescola cose buone e cattive, concetti sani e concetti maniacali, idee bizzarre ad altre logiche e funzionali. Non solo, ma se dieci lustri fa si reperivano pochi libri di dressing scritti da pescatori certamente esperti, oggi numerose pubblicazioni sono redatte da Pam improvvisati, con esperienze e conoscenze limitate e che, pur in buona fede, contribuiscono non poco a mantenere alta la concentrazione della polvere. Ovviamente anche il mondo del commercio ha le sue responsabilità, con le continue proposte economicamente e psicologicamente devastanti, senza dimenticare che, tuttavia, anche una novità contribuisce ad alimentare passione ed entusiasmo, e ne abbiamo continuamente bisogno. Siamo sempre lì: conflittualità o complementarietà? Pertanto in questo speciale si tenterà di razionalizzare tutto con un setaccio dalle maglie particolarissime: maglie che trattengono patologie costruttive e lasciano passare essenzialità alieutica. False certezze - Come false certezze possiamo intendere gli standard costruttivi seguiti non per aver percepito determinate esigenze alieutiche, ma per partito preso, come una sorta di riflesso condizionato dovuto all’abitudine. Nel costruire imitazioni secondo tipologie alla moda (apprese da libri, articoli, dall’amico) anziché dalla propria esperienza unita alla consapevolezza di interpretare l’immagine di un insetto, si finisce invariabilmente per costruire ammassi di pelo che certamente possono fruttare qualche pesce, ma che sono lontani sia dalle magiche forme del passato che dalle interpretazioni più moderne. Per costruire buone mosche occorre innanzitutto sapere bene cosa si vuole rappresentare entomologicamente, poi valutare le esigenze di galleggiamento in relazione a quelle imitative, in quanto anche questi aspetti sono spesso conflittuali. Infine ricordarsi che un baetide in acque lente è uguale ad un baetide in torrente, se sono della stessa specie, e anche se l’acqua è veloce il pesce è perfettamente capace di individuarlo. Insomma, nel realizzare una dry fly occorre mettersi nelle squame del pesce, prima di cedere alle nostre esigenze in tema di galleggiabilità, visibilità ed immagine.
Dry Fly standard Non disprezzate la struttura della mosca più banale che esista, ricordate che è la più ovvia e logica. Come l’insetto (o esapode, in funzione delle sei zampe) è suddiviso in testa, torace portante zampe ed ali e addome terminante spesso con appendici, anche l’imitazione primordiale è siffatto costruita; lungo l’amo vengono applicate le code, poi formato l’addome, il torace rappresentato dalla massa dell’hackle (che a sua volta rappresenta zampe ed ali) ed infine la testa. Per certi aspetti potrebbe sembrare fin stupido il montaggio parachute, poiché disponendo di un comodo amo per avvolgere l’hackle si va a creare un supporto per avvolgerlo parallelo a questo. Tuttavia le parachute sono ottime mosche, se ben fatte, ma ottime sono anche le mosche classiche, se ben fatte pure loro, naturalmente. In una dry fly si possono modificare le proporzioni, è vero, ma si possono individuare misure ideali di ogni componente, principi generali che poi il flytyer adeguerà a particolari esigenze. Ad esempio, sempre parlando di una (le consideriamo maschili o femminili? Facciamo così, consideriamo gli artificiali femminili quali sinonimi di mosca) Red Quill, ne possiamo realizzare un modello per acque lente e difficilissime ed uno per acque vorticose, ma a questo pun-
Il primo esempio costruttivo è relativo ad una dry fly imitante lo spinner delle effimere: una Red Quill. Con questa tipologia costruttiva e variando i colori è possibile realizzare le imitazioni di numerose effimere.
Ecco le corrette proporzioni medie di un’imitazione di effimera, una sorta di achetipo di riferimento per la maggior parte di imitazioni di stampo classico di quest’Ordine di insetti allo stato di subimago o immagine. Rispettare questi canoni assicura equilibrio e proporzioni all’imitazione, pertanto ogni dressing classico potrà essere interpretato con questo schema senza tema di realizzare mostruosità. Non solo, ma apponendo le corrette quantità di materiale e opportune simmetrie (in definitiva abilità costruttiva) si sarà certi di realizzare ottimi modelli.
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to è ben difficile che possano davvero Foto 1: come si imitare lo stesso insetto. blocca il filo di Non solo, ma è possibile oggi remontaggio dopo alizzarne tipologie ottime in tutte le acaver sporcato que, giacché s’è imparato come rendere l’amo di colgalleggiante un’imitazione con poco o lante. Lo so, lo pochissimo hackle. sanno tutti, ma Ecco come ci si può regolare nella non si sa mai. realizzazione delle prime dry fly, base per ogni successiva evoluzione, con l’elevata probabilità che si torni presto a questi standard.
Le code - Le code sono un’esclusiva delle effimere, con ben poche eccezioni. La loro lunghezza dipende fortemente dall’insetto imitato, ad esempio gli Epeorus hanno cerci lunghi anche il triplo del corpo, mentre nelle femmine dei Caenidae sono cortissimi, comunque come principio generale la lunghezza delle fibre va tenuta mediamente tra una volta e mezzo e due volte e mezzo la lunghezza del corpo, cioè dell’intero insetto dalla testa alla fine dell’addome. Una media generale di due volte il corpo difficilmente sbaglia. Ovviamente nelle code realizzate in barbe di hackle v’è un limite, potrebbe essere già difficile farle il doppio del corpo, specie se si tratta di corpi lunghi, ma si può ricorrere alle barbe di coda di fagiano, oppure, chi le sopporta, alle fibre sintetiche. Io le evito. Come massa (numero di barbe, ricordando che la barba è la singola fibra che diparte dalla rachide) dipende fortemente dalla dimensione della dry fly in combinazione con l’esigenza di renderla più o meno galleggiante. Tuttavia, poiché le code delle effimere sono costituite da due o tre cerci, poiché anche poche fibre possono conferire buon galleggiamento e poiché è bene non eccedere troppo in nessun caso, si può mantenere il numero delle code tra 4 e 8 con la media di 5-6. La disposizione invece è importante. Legarle tutte parallele significa da un lato annullarne la capacità di sostentamento e dall’altro dotare la mosca di un guinzaglio corposo quanto innaturale: c’è già il finale a creare abbastanza problemi, perché aggiungerne? Le code è bene quindi che non siano tante, siano piuttosto lunghe, e vengano montate aperte, a raggiera insomma. Il montaggio non è difficile, è sufficiente, dopo averle legate ed essere arrivati col filo di montaggio 18
Foto 2: ecco come si tende una hackle per procurare, strappandole, le barbe per realizzare le code delle effimere. La parte più scura presso la rachide denota peluria ed assorbe acqua, è bene che sia tutta dentro la legatura. Foto 3: le code vanno legate in modo che siano ripartite lungo tutto l’addome, che così non avrà scalini nell’avvolgere il quill di pavone, col quale non si possono variare i profili. La parte opaca sarà tutta ricoperta dalla legatura.
Foto 4: ecco fin dove vanno legate le code. Si può anche procedere oltre di poco, giacché vi sono sistemi per raddrizzare le code. Se queste sono angolate troppo verso il basso si squilibra la mosca, che tenderà a cadere rovesciata come una reverse, specie se le code sono lunghe. Foto 5: ala fine dell’avvolgimento sarà sufficiente eseguire l’ultimo giro sotto alle code e, con la tensione, regolarne l’inclinazione. Dato che v’è modo di incurvarle verso l’alto (lo vedremo tra poco), le si possono lasciare leggermente flesse verso il basso, oppure più o meno in asse con l’amo.
in prossimità della curva dell’amo, effettuare un passaggio sotto le code per aprirle e rialzarle quanto basta, in relazione alla tensione del filo. Un successivo passaggio sopra concluderà la piccola, ma importantissima operazione. Volendo si può intervenire successivamente per incurvare leggermente le code verso l’alto: la tecnica è la stessa con la quale si arricciano i fiocchetti nei regali natalizi, ma anziché utilizzare le classiche forbici dei confezionatori di pacchi regalo si utilizza l’unghia del pollice pizzicando le barbe tra pollice ed indice. Le foto chiariranno la piccola operazione, semmai ce ne fosse bisogno. Attenzione però a non fletterle eccessivamente.
L’addome - Anche se gli addomi si tende a realizzarli conici, ad esempio rendendo conico il supporto col filo di montaggio, oppure con un leggero dubbing di pelo, io non credo che per
la credibilità sia così indispensabile. La mia tendenza è sempre quella di rendere più flou ed impalpabile possibile l’artificiale: infinite volte ho verificato che le due principali doti di una buona dry fly sono la galleggiabilità e l’esilità. Per la verità uno splendido addome è quello con sottocorpo in morbido dubbing rivestito da quill di tacchino così da renderlo conico giocando sulla tensione del quill e la morbidezza cotonosa del dubbing, ma un simile impegno lo si potrebbe riservare a trote difficilissime. In ogni modo, di qualunque materiale sia costituito, è bene seguire le seguenti regole generali: la proporzione tra addome e torace mantenetela nel rapporto 3/2, quindi tre parti di addome e due di torace, poi evitate scalini ed irregolarità nell’addome, realizzate gli avvolgimenti con spire regolari e ben appressate, gli anelli addominali, se realizzati a parte, manteneteli paralleli nel
ventre ed in diagonale nel dorso, anche se l’accorgimento è probabilmente inutile non costa nulla e rappresenta meglio la realtà. Sempre in linea di massima, e seguendo il criterio del carattere fondamentale, se il colore è spento e la silhouette particolare curate questa, se invece è il colore la caratteristica importante, rappresentate principalmente lui a costo di sacrificare la rigorosità del profilo. A parte le imitazioni degli imenotteri (= vita sottile: api, formiche...), è bene che tra addome e torace non vi sia uno scalino con spazio vuoto, tipo strettoia insomma, l’errore è frequente tra i principianti, non è importante, ma è brutto a vedersi, eventualmente riempite detto spazio con il primo avvolgimento di hackle. Lo scalino tra addome e filo dell’amo (più sottile) può essere sfruttato per raddrizzare meglio le ali che verranno
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questa versatilità potenziale è poi alimentata dal tipo di montaggio. La regola canonica stabilisce che le barbe dell’hackle (misurate dalla rachide alla punta) devono essere lunghe come il gambo dell’amo, escluso l’occhiello e la curvatura. Stabilisce altresì che la massa di hackle dev’essere di regola realizzata con due piume, sfruttando la loro parte migliore, cioè la barbe che vanno da poco prima della punta
fissate nel torace rendendole anche più stabili.
Il torace - Il torace
dell’insetto porta le tre paia di zampe e le quattro (o due) ali. Di regola è più corto, ma più tozzo dell’addome, che a sua volta è più lungo e sottile. Il modo più classico di rappresentare l’insieme di torace, zampe ed ali è avvolgere una o due hackle di collo di gallo in tale tratto di amo. Tuttavia sono numerosissime le combinazioni per realizzare toraci che, almeno all’occhio di noi bipedi, siano più credibili. Per fortuna (del pesce e di conseguenza dei Pam più bravi) la maggior parte dei Pam si fida principalmente dei propri sensi, anziché dell’esperienza e dei suggerimenti dei grandi della pesca. Ma soprattutto non ha ancora ben compreso cos’è davvero significativo, nell’immagine di un insetto, agli occhi del pesce. Non è neppure facile da spiegare, anche perché io stesso, per fortuna, sono schierato dalla parte di chi sta sulle rive, anche se tengo per i pesci. Sono davvero tanti, e me ne rendo ben conto bazzicando quasi tutte le gare di costruzione in qualità di giudice, i flytyer bravissimi. Si vedono imitazioni di effimera sorprendenti anche in modelli prettamente da pesca, con toraci in dubbing, addomi misti, ali perfette e
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poco, spartano hackle nei posti giusti, e se ne vedono tante! Perbacco, l’Italia è un paese inflazionato da abilissimi costruttori, nonostante vi sia la pratica di invitare personaggi famosi da US, Regno Unito, Francia, eccetera, sono certo che, al di là dell’importante esperienza di simili contatti, il flytyer esotico resti stupito da tanta abilità così diffusa e, sotto sotto, si chieda cosa l’abbiamo invitato a fare. Comunque, a parte l’infinità di soluzioni sorprendenti, non cancellate il buon collarino di hackle, che a molti magari apparirà obsoleto, ma al pesce continua, se ben dosato e ben armonizzato, a mostrare i riflessi delle ali, il sostegno delle zampe e la massa tozza ed indefinibile di un perfetto torace.
L’hackle - L’hackle quindi rappresenta la principale struttura di galleggiamento e contribuisce altresì a dar forma al torace, alle zampe ed alle ali:
fino a quelle dove inizia la peluria. Tale peluria, identificata nelle foto, era vista come un pugno nell’occhio: smorzava la lucentezza ed assorbiva acqua. A quel tempo però non esistevano i galli da penna, con hackle lunghissime e barbe cortissime, non solo, ma le mosche del commercio dovevano sfruttare i colli di gallo al massimo grado, quindi ecco i vari modelli montati con hackle lunghe e pieni di peluria. Del resto anche i dilettanti non amavano sacrificare le hackle di minore qualità, ed un po’ di peluria non era poi così disastrosa. Da qui però origina la prima grande caduta qualitativa ed il primo grande fraintendimento: nel desiderio di rendere più galleggiante la dry fly si diffonde a macchia d’olio la pratica di dotare le mosche artificiali di enormi masse di hackle, spesso troppo lungo nelle barbe. Pratica seguita soprattutto dai commercianti, ma ad essi poi si sono sempre riferiti i flytyer. La scusa era
Foto 9: pizzicando con dosata tensione tra il polpastrello del dito indice e l’unghia del pollice è possibile “stirare” le code in modo che rimangano flesse verso l’alto, come accade per i nastrini dei pacchi regali “stirati” con la lama delle forbici o di un coltello. Foto 10: effetto di una “stiratura” moderata. Foto 10 bis: effetto di una “stiratura” più accentuata. In tal modo le code non perforeranno la superficie, creeranno maggiore sostentamento e non rimarranno appiccicate tra loro se bagnate. Foto 11: è il momento di preparare due hackle, una per imitare la lucentezza delle ali ed una per le zampe; assieme formeranno la massa che, attorno allo spazio di fissaggio, imiteranno il torace dell’effimera. sempre quella: in Italia abbiamo soprattutto torrenti, non le chalk stream dell’Inghilterra meridionale, e qualche sorgiva. Però abbiamo anche gli stessi insetti, più o meno, ed una E. ignita del Passirio non è dissimila da una del Test. Insomma, si potranno apporre alcune barbe in più, ma non tanto da trasformare l’imitazione d’una effimera in barboncino. Diciamo che in un amo n. 14 cinque giri di hackle sono già una buona quantità per il medio torrente, se vogliamo lasciare alla mosca una buona caratteristica imitativa. Per renderla più galleggiante vi sono poi alcuni accorgimenti, come vi sono accorgimenti per renderla più imitativa, e non di rado essi collimano. Si parte dal presupposto che una fibra orizzontale adagiata sull’acqua, per l’effetto della tensione superficiale (specie se idrofobica per natura e/o per grassi apposti), presenta la massima resistenza all’affondamento. Se invece preme ortogonalmente, di punta insomma, sull’acqua tende ovviamente a penetrarla con facilità. Del resto è il principio base del montaggio parachute. Le fibre che al contatto con l’acqua presentano un certo angolo, resisteranno all’affondamento al diminuire dell’angolo. Un primo trucchetto è quello di recidere alla base le
barbe ortogonali alla superficie dell’acqua, quelle insomma che stanno sotto e sono piuttosto verticali. Si sa che le barbe tendono fortemente a rimanere a galla grazie alla tensione superficiale, specie se sono ingrassate con silicone o presentano ancora il grasso naturale che tutte le piume e le penne (chi più chi meno: il Cdc è al massimo, le penne dei cormorani al minimo), all’origine possiedono. Lo so che disturba tagliare barbe e lasciare moncherini, ma quelle verticali perforano la superficie e l’acqua le risale per capillarità bagnando la mosca anzitempo. Un secondo trucchetto consiste invece nell’apporre un materiale nella parte inferiore, una sorta di sacca alare, ma nel ventre,
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Foto 12: scelte le due kackle, le si sovrappongono e le si legano con due giri più uno incrociato, giri stretti, le eccedenze si recidono dopo l’avvolgimento, tagliandole prima potrebbero sfilarsi all’inizio dell’avvolgimento.
Foto 12 Foto 13: ecco avvolta le prima hackle. É indifferente iniziare con l’una o con l’altra. La trazione dev’essere misurata: più è stretta e più la mosca sarà robusta, soprattutto è importante stringere la prima, ma occorre moderazione per non sfilarla o, peggio, strapparla. Gli avvolgimenti devono essere perfettamente simmetrici, leggermente conici verso l’anello, soprattutto ben in asse con l’amo. Il primo avvolgimento della seconda hackle va fatto dietro la legatura, quindi verso l’addome.
che servirà a dividere le barbe inferiori disponendole come una V rovesciata. In tal caso potrebbe essere opportuno limitare ancor più i giri di hackle. Un terzo trucchetto consiste nel ripartire i cinque giri canonici lungo tutto il corpo, insomma, un avvolgimento a “palmer”, in effetti è così che è nata la AK 47, la famigerata Alien Killer, ma qui si entra in un’altra tipologia di dry fly. Se poi questa deve agire in ambienti difficilissimi si possono sommare i due effetti: quattro, anziché cinque, avvolgimenti a palmer, con eliminazione delle barbe ortogonali alla superficie. Cinque giri sono il minimo consigliato per il torrente, ma se ne possono fare anche 7/8 o più, dipende ovviamente dal torrente, dai livelli e dalla turbolenza media dell’acqua. Come si realizzano gli avvolgimenti? Di regola si cerca di effettuarli abbastanza appressati, così che vista di lato la massa di barbe assuma una forma, grossolanamente, ad X. Non commettete l’errore di mantenere la raggiera
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parallela e compatta, magari tagliando le barbe che scappano avanti e indietro, e non commettete l’errore di avvolgere le spire non in asse, o le barbe si disporranno trasversalmente anziché ortogonalmente al gambo dell’amo. Nell’avvolgere l’hackle nello spazio a ciò delegato, vi potrete trovare in due situazioni: con lo spazio perfettamente cilindrico ed una passata o due di filo di montaggio ben spiralato, oppure con uno spazio a sezione irregolare per le legature necessarie ad apporre e bloccare le ali. Nel primo caso non c’è storia, avvolgerete l’hackle su un supporto perfetto, senza scalini, nel secondo dovrete destreggiarvi per realizzare il collarino più regolare e simmetrico che potete a dispetto degli scalini. Non dimenticate il concetto di simmetria, è la simmetria a dare l’immediata impressione di un insetto. In questo secondo caso potrebbe essere opportuno recidere le barbe più scomposte. Anche se a noi mortali bipedi privi di branchie non è dato di sapere come
ragionano, vedono, sentono ed agiscono i pesci, eccetto le volte che fanno qualcosa di prevedibile, come prendere una mosca artificiale, siamo comunque in grado di valutare l’invisibilità di molte, moltissime ali di effimera, perfettamente trasparenti ed assolutamente irriproducibili con similari membrane. Parlando di imitazioni di spinner ecco che le ali in piuma, in Cdc, in materiali vari semiopachi o comunque in membrane plastiche più o meno visibili lasciano il tempo che trovano. Insomma, non siamo in grado di imitarle perfettamente semplicemente perché è come se non ci fossero, pertanto lo ripeto: non sottovalutate il semplice spinner in hackle e quill, straordinario in giornate luminose. Se invece vogliamo renderlo alato in modo più consistente e probabilmente più veritiero, una delle poche possibilità sono le ali in punta di hackle, purché luminosissimo. Lo scopo non è di imitare direttamente le ali con le loro membrane, ma di riprenderne i riflessi.
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rima di squalificare questo semplice modello costruttivo, che ai nostri occhi apparirà obsoleto, superato, quando non imitante l’insetto (sempre secondo i nostri canoni), è opportuno valutare una serie di aspetti che in pochi conoscono. É vero, l’amo (Mustad 94833) è archeologia industriale, l’ho utilizzato per il filo sottilissimo ed il gambo appena più lungo dello standard, oggi esistono modelli più performanti e robusti, perciò lasciamo stare l’amo, che ha comunque una dote fondamentale: la leggerezza. Tutta la mosca è imperniata sulla leggerezza: due corte hackle, il quill ed il filo di montaggio sono i soli materiali impiegati. Hackle e quill di pavone sono le materie naturali più leggere in assoluto, oltre ad essere idrofobiche di loro. Niente ali, niente dubbing, niente cera e collanti, niente tinsel metallico, niente sottocorpo a rendere conico l’addome... Niente materiali, niente peso. Abbiamo una dry fly che pesa un quarto di modelli più “completi” o sofisticati,
Foto 14: ecco avvolta la seconda hackle (sempre 4/5 giri), tagliate le eccedenze e realizzata la testina col filo di montaggio. Dopo non resta che chiudere col nodo e rivestirlo di vernice finale. Questa massa di hackle è opportuna per acque torrentizie, ma non vorticose, con livelli medi o bassi. Questa semplice dry fly che imita spinner appare più superata che banale, ma prima di considerarla tale occorre valutare una serie di importanti aspetti.
Le ali - Di recente ricordo di aver letto su Pescare critiche feroci alle ali in punta di hackle, a suffragio di materiali sintetici, con l’idea che quelle sottili punte non possano rappresentare le larghe ali delle effimere, mentre le plastiche sì. Lo considero un perfetto esempio di come il Pam, osservando la mosca nel palmo della mano o giù di lì, ritenga, con la sua logica, di valutare meglio del pesce ciò che a questo apparirebbe, sott’acqua e nella sua capacità visiva. Forse ho nei confronti delle mosche di plastica idee simili a quelle di mia madre (ottantenne, ma è un dato ri-
modelli che ai nostri occhi potrebbero apparire più imitanti, ma i nostri occhi non sono quelli del pesce. Cosa vede il pesce? Non lo sappiamo, ma possiamo cercare di capirlo in funzione dell’aspetto più importante in assoluto: l’efficacia di questo quill dimenticato. Questo modello, nella sua impalpabilità, presenta importanti caratteristiche che analizzaremo per settori. Leggerezza - Migliora la galleggiabilità sostenendo buona parte della mosca sopra la superficie, dove il pesce non può distinguere con precisione, dati gli effetti della rifrazione con i menischi indotti. Addome - Appare come una serie confusa di uriti dominati dal tono rosso, caratteristico di molte effimere (efemerelle, baetidi, piccoli e medi eftagenidi, leptoflebidi) allo stadio di immagine. Non denotando silhouette, ma essendo addirittura più sottile di diversi veri addomi, amplifica il carattere fodamentale: il colore rosso nella linearità dell’addome. Torace - Il torace è d’impressione: non esiste in effetti, ma è rappresentato
dall’hackle che prossimalmente appare come massa, e distalmente sfuma fino a perdere ogni consistenza. La sua massa apparente completa l’impressione dell’insetto: addome sottile e vivace con torace più breve, tozzo e scuro, ma soprattutto indefinibile. Ali - Sono rappresentate dai riflessi dell’hackle grigio azzurro lucente, li potete intravvedere nelle foto. Questi riflessi a noi umani non diranno molto, ma io sono convinto che per il pesce rappresentino un carattere fondamentale per identificare gli spinner delle effimere, con le loro ali trasparenti ed in pratica invisibili, se non fosse, appunto, per i riflessi lineari e a raggiera delle membrane che si chiudono a fisarmonica. Io ritengo che esista ben poco di moderno per rappresentare uno spinner con maggiore efficacia. Occorre solo dosare l’hackle in relazione alle condizioni di pesca. Usate questo modello in giornate luminose con acque limpide e livelli bassi, da maggio ad ottobre.
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servato) nei confronti di Internet e dei computer, ma una piuma è una piuma ed una plastica è una plastica. Non ha senso? Beh, se non lo capite dubito che una spiegazione, anzi no, il mio punto di vista, serva a qualcosa. Comunque utilizzando materiali naturali io credo di rimanere nei giusti confini della natura, condizione importante per un atavismo
raffinato e pretenzioso come la pesca a mosca, mentre le mosche di plastica, foam e similari sono più vicini agli infiniti sacchetti di plastica che ornano i fiumi dopo le piene, anzi, sono proprio in armonia con essi. V’è poi un fatto estetico, o artistico, come preferite, ma provate ad accostare una mosca di Leonard West o di
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Halford, realizzata da mani esperte, ad un analogo modello con corpo in foam, ali in Zing e zampette in elastico. Le mosche in plastiche di sintesi vanno bene per trote pollo, con pinne atrofiche, imbottite di antibiotici e buttate in fiumi finti per pescatori finti pure loro. A molti non piacerà, e mi dispiace, ma ancor più mi dispiace sentire tutti parlare di naturalezza ambientale e poi fare a cazzotti per pescare in fiumi gestiti in siffatto modo. Ma torniamo alle ali. Il pesce, da sotto, falsato dalla rifrazione e dalla deformazione indotta nella pellicola, e dai propri limiti visivi, molto probabilmente delle ali percepisce qualche riflesso, se si tratta di
Foto 16: ecco l’esempio di un avvolgimento non in asse, brutto e asimmetrico, ove il tronco di cono descritto nello spazio dell’avvolgihackle non è in asse con il gambo dell’amo. Foto 17: ecco l’accorgimento di recidere sotto l’amo le barbe troppo verticali al piano dell’acqua: in acque lente presenta una certa validità, ma in torrente è irrilevante. Foto 18: il citato montaggio a palmer della AK 47, brutto, ma di efficacia terrificante, quanto insospettabile.
Foto 18 spinner, e certamente la sagoma opaca se si tratta di dun. Occorre quindi distinguere fortemente le due forme alate delle effimere che si differenziano proprio per le ali. Nelle subimmagini le ali semiopache, ceracee chiare o scure rappresentano sempre il carattere fondamentale, essendo l’aspetto visivo più caratterizzante. Ecco quindi che risultano ottimali materiali come: - il Cdc: probabilmente il miglior materiale in assoluto, a patto di saperlo dosare e montare in modo appropriato; - le sezioni di penna: il miglior materiale del passato, ancora attualissimo, difficile da montare ed assai fragile, la
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’avvolgimento dell’hackle è facilitato dalla sezione subrettangolare della rachide, con le barbe collocate sul bordo esterno del lato più lungo, ciò agevola la naturale disposizione della piuma a disporsi con le barbe ortogonali al gambo dell’amo che fa da supporto. Nel caso poi dell’avvolgimento di una seconda hackle sovrapposta alla prima, questa presenterà la tendenza ad intercalarsi tra le spire della prima, che quindi non vedrà le proprie barbe schiacciarsi. Non solo, ma anche le barbe schiacciate poiché nel lato inferiore della rachide hanno la possibiltà di “scappare” quasi ortogonali all’amo sfuggendo di lato in funzione della ovalizzazione delle superfici della stessa rachide. Tutto ciò è una tendenza, non un meccanismo automatico e garantito. Troverete colli di gallo le cui hackle risulteranno perfette per il montaggio, e l’operazione sarà oltremodo facilitata. Vi potranno altresì capitare colli più difficili da avvolgere, che
richiederanno l’aiuto delle dita durante l’avvolgimento per ripartire e dirigere correttamente le barbe, come purtroppo capitano, per fortuna di rado, colli con hackle che tenderanno a disporsi addirittura piatti: non disperate, per la raggiera delle effimere sono inadatti nel modo più assoluto, ma serbateli con cura: sono perfetti per le ali delle sedge in sezione di hackle. Sono gli unici che è possibile posizionare correttamente con le superfici “a tetto” senza impazzire. É vero che oggi disponiamo di colli di gallo straordinari per colorazione e caratteristiche, colli di galli geneticamente selezionati proprio per le piume (le carni sono immangiabili, ma è meglio non chiedersi dove vanno a finire), colli le cui hackle sono infinitamente lunghe, e con barbe cortissime, quasi prive di peluria, ma non disprezzate i colli economici. Io al 70 per cento utilizzo ancora colli “volgari” comprati fin dai primi tempi della mia “carriera” di flytyer per poche, pochissime migliaia di lire, ricordo il cartone di colli che trovavo da
Ravizza a Milano alla fine degli anni ‘70, a mille lire l’uno, e sono ancora ottimi, anche se puzzano di naftalina. Anziché una, utilizzo due hackle se necessito di una buona massa di barbe, oppure utilizzo solo la parte distale, di migliore qualità e senza barbule che assorbano acqua. C’è anche un vantaggio: la base dell’hackle rimane più concentrata, poiché l’avvolgimento di due corte hackle sovrapposte richiede meno spazio di una sola della stessa lunghezza complessiva. Inoltre è possibile mischiare hackle diverse per colorazione o tonalità, dove ad esempio una riprende il colore delle ali e l’altra del torace e delle zampe, come nel dressing dell’esempio. Ma non solo. Vi sono sistemi di montaggio dove le hackle vanno diversificate nel colore e nella lunghezza, dove una hackle lunga e rada è delegata al galleggiamento e l’altra a completare le caratteristiche cromatiche dell’insetto imitato, come nei bizzarri modelli del Dr. Baigent.
In queste due foto della rachide di una piuma sezionata se ne intravvede la forma subrettangolare, l’attacco disassato delle barbe e la peluria di queste.
sua efficacia è direttamente proporzionale all’abilità del flytyer; - le punte di hackle opache e corpose (di gallina), ottime, se ben scelte, e più facili da montare; - le hackle rovesciate “wonder”, belle, difficili, fragilissime; - le piume screziate di anatra, beccaccia, pernice, ecc. Ottime per le ali screziate di certi insetti. Nelle immagini le ali sono quasi invisibili, pertanto ecco che si torna ai riflessi sprigionati dall’hackle luminoso, montato a raggiera, oppure in due punte, oppure in bunch, ma sempre in quantità moderata. Le punte di hackle montate a V, con la parte lucida rivolta all’esterno, imitano perfettamente questi riflessi,
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Ecco quasi tutte le tipologie di ali relativamente ai materiali classici utilizzati. La foto è stata scattata in parziale controluce al fine di evidenziare i riflessi luminosi oppure l’opacità delle varie barbe delle penne e delle piume. La Red Quill dell’esempio costruttivo è la seconda da sinistra, assieme alle punte di hackle è adatta a rappresentare gli spinner.
che per il pesce hanno certamente una valenza che noi a fatica possiamo solo immaginare. Ma ciò che molti non sanno o non immaginano è la capacità di imitare le ali che possiede lo stesso collarino di hackle di gallo. Ad esempio una hackle grigia mescolata ad una rossa naturale sostituisce perfettamente, con i suoi riflessi, e se ben dosata, le ali di un’immagine. Per noi no, ma per il pesce sì, fidatevi, anche perché non lo posso provare. Ma non solo. Una raggiera di barbe, un bunch di Cdc ben sfumato (vale a dire con bordi non tagliati di netto), un hackle luminoso, con la loro immagine confusa possono imitare anche ali in rapido movimento, come certi insetti che tentano di ridecollare dall’acqua, ma non vi riescono. É solo un’ipotesi, ma non mi pare disprezzabile. Il flytyer dovrà quindi scegliere e dosare le ali in funzione di dove e come l’artificiale verrà impiegato. Di regola le ali devono essere lunghe come l’intero amo, quindi appena di più del corpo dell’insetto, se si tratta di effimere.
Ali in penna - Vediamo ora il montaggio di una subimmagine di effimera adattata ad acque difficili, con 26
standard classici ed ali in sezioni di penna. In altre parole siamo in un caso assai diverso dal primo, ecco quindi la situazione tipica delle sorgive inglesi, in presenza di uno sfarfallamento ove serve una dun di imitazione. Montaggio di una classica Olive Dun. Innanzitutto il dressing: AMO. n° 14. FILO. Bruno. CODE. Fibre di gallo grigio chiaro. CORPO. Barbe di penna d’oca tinte oliva. ANELLATURA. Sottile filo argentato. ALI. In penna di storno (abbiamo utilizzato una penna diversa per forza di cose: lo storno è volato via). HACKLE. Medium olive dun. Come sempre si inizia l’avvolgimento presso l’occhiolino, si procede a ritroso fino a 2/3 dell’amo, qui si bloccano le fibre delle code e si continua fino all’inizio della curvatura, qui si blocca un piccolo spezzone di tondino dorato. Ora si prepara il dubbing con la solita cera ed il pelo di foca (o altra peluria adeguata). Si avvolge il dubbing curando di renderlo conico e si realizzano gli anelli addominali con il tinsel dorato, che contemporaneamente sagomerà ed irrobustirà l’addome. Fin qui tutto è semplice e scontato. Ora dobbiamo realizzare le ali ed avvolgere le hackle.
Occorrono due remiganti di storno. Ovviamente le avrete comperate. Non so voi, ma le coppie di ali che compro io non sono mai identiche. La situazione ideale sarebbe un amico cacciatore, io ne avevo uno, ma si è messo a pescare a mosca e così ora siamo in due con lo stesso problema. Quindi fate come me: individuate due ali simmetriche quanto possibile. Ora, con un ago od altro supporto spandete presso la rachide e parallelamente a questa un po’ di collante o vernice finale così da irrobustire la base delle barbule. Questa fascia di colla non dovrà nel più assoluto dei modi interessare la porzione di piuma che verrà montata sulla mosca, che dovrà essere assolutamente naturale, la colla servirà solo a irrobustire le sezioni di piuma così da non danneggiarle nelle successive suddivisioni e manipolazioni. La parte “sporcata” di collante verrà poi tagliata quale eccedenza. Selezioniamo le sezioni con l’ago, introducendolo presso la rachide e dividendo le barbule trascinandolo verso l’esterno e poi tagliandole alla base con le forbicine. Due sezioni per ala per ali doppie, oppure una per ali semplici. La larghezza delle sezioni dipenderà dalla misura dell’amo, per una Olive Dun su amo 14 una larghezza di 5 mm è ideale. Le sezioni, provenendo da una superficie aerodinamica, presenteranno
un profilo leggermente ritorto ad elica. Inutile dire che dovrebbero essere perfettamente identiche e simmetriche e che la curvatura naturale lungo il loro asse longitudinale dovrà essere rivolta all’indietro. La qualità della penna è un elemento importante, sia per la realizzazione che per la durata dell’artificiale. Le superfici si presentano differentemente: quella esterna, (dorso dell’ala) ha colori più saturi e superficie opaca, l’infradosso ha colori smorti, ceracei, come filtrati da una velina. Di regola è il dorso che va rivolto all’esterno. Vediamo come procedere per il montaggio delle ali. Scelte due penne simmetriche, si sporca di collante una fascia di pochi mm a ridosso del calamo, mentre si asciuga si può realizzare il corpo della mosca. Con un ago si separano le due sezioni (oppure quattro se le ali saranno doppie). Le si sovrappongono simmetricamente a formare una coppia (o due coppie se doppie), tenendole così si incollano alla loro base, insinuando tra loro l’ago sporco di collante, per un brevissimo tratto che verrà tagliato come eccedenza. Questo piccolo incollaggio supplementare servirà solo ad agevolare il montaggio, così che non possano scivolare l’una rispetto all’altra mentre le
leghiamo sull’amo. Due parole sul filo di montaggio. Prima di fissare le ali è bene percorrere con esso due o tre volte il tratto lungo il quale fisseremo le ali così da aumentare il diametro del gambo dell’amo. Una base larga agevolerà l’addrizzatura delle ali. I fili troppo sottili sono meno adatti sia a questa operazione sia al resto, poiché potrebbero tagliare le barbule sulle quali scorrono. Ora si afferrano la ali accoppiate
con indice e pollice della sinistra con le punte rivolte verso la mano, così da appoggiarle orizzontalmente sull’amo rivolte all’indietro. La loro sezione dovrà essere compressa “a fisarmonica” da un’asola del filo che agirà come un nodo scorsoio, purché indice e pollice riescano a formare due pareti di scorrimento non troppo strette nè troppo larghe. Una perfetta manualità verrà con l’esperienza. Aprendo appena le punte delle dita
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Dressing Olive Dun con ali in penna. Foto 1
Foto 2
Foto 1: s’inizia nel solito modo. Se le barbe sono corte, le si legano più indietro, ma lasciando una eccedenza pari alla lunghezza dell’addome, se possibile. Foto 2 e 3: si fissano i materiali scelti per l’addome, curando che le eccedenze siano lunghe come o di più dell’addome. In tal modo verranno inglobate nell’avvolgimento e non formeranno scalini. É tutto peso che andrà a gravare nel galleggiamento, ma questa imitazione è strutturata per acque lente e difficili, ove occorre soprattutto imitatività e realismo, quindi poco hackle.
Foto 3
Foto 4: si completa il corpo avvolgendo i materiali prescelti e recidendo le eccedenze.
Foto 5: con andata e ritorno del filo, si crea una base più consistente per apporre le ali. É leggermente conica, e ciò aiuterà il raddrizzamento delle ali.
Foto 6 28
Foto 6: da due penne remiganti simmetriche si asportano due sezioni di opportuna grandezza dopo aver sporcato di colla la parte vicino alla rachide. Si sovrappongono le due sezioni e, presole con pollice ed indice della sinistra, le si collocano sull’amo come in figura. Si passa loro attorno col filo, si stringono leggermente le dita così che fungano da “guide” e si tira il filo bloccando le ali.
Foto 7: ecco come si presenta il fissaggio delle ali dopo il loro bloccaggio, irrobustito da un paio di giri ulteriori. Ora occorre raddrizzare le ali, afferrandole con le dita e passando più volte dietro di loro col filo. Occorrono giri morbidi, cautela e delicatezza per evitare che le barbe si sfibrino separandosi tra loro.
Foto 7 Foto 8
Foto 9
Ora non resta che girare loro attorno col filo di montaggio come nella traccia bianca, ripetendo l’operazione per ogni ala ed almeno un paio di volte. Con la stessa operazione è possibile far sì che le ali non si torcano.
Ecco le ali raddrizzate da 3/4 giri a ridosso della loro base, effettuati ovviamente sul retro.
Con cautela, si aprono delicatamente con l’ago e l’aiuto delle dita. Occorre forzarle appena, così da aprirle, ma non da danneggiarle.
infiliamo il filo di montaggio tra pollice e ala, e discendiamo dall’altra parte insinuandolo questa volta tra indice e ala. Il filo formerà così un’asola che potremo stringere tirando verso il basso. È quello che faremo, ma stringendo troppo le dita il filo taglierà le barbule, stringendo poco svanirà l’effetto fisarmonica e le ali si accartocceranno malamente. Con la giusta pressione la porzione di ali compresse dal filo si schiaccerà, le barbule collasseranno sovrapposte e le ali, dalla loro posizione parallela all’amo, si drizzeranno disponendosi aperte e quasi verticalmente. A questo punto occorre girare loro dietro aiutandole a verticalizzarsi ancor più. Occorre sempre aiutarle con le mani. Se tutto è stato fatto bene saranno simmetriche e di corretta lunghezza. Una volta in questa posizione occorrerà aprirle leggermente. Si inizia divergendole con l’ago di montaggio, poi le si aggirano col filo una alla volta per discendere dallo stesso lato, questo procedimento risulta migliore dell’incrociare il filo ad “x” come si farebbe per aprire le ali in punta di hackle. Questa operazione consentirà eventualmente di drizzarle ancora un poco. Qualche giro supplementare dietro e davanti aiuterà a bloccare il tutto. La cosa da evitare nel più assoluto dei modi è l’impiego di collanti. Una volta realizzate le ali non resta che apporre, avvolgere e bloccare l’hackle. Lo si fissa dietro le ali, si realizza un giro o due poi ci si porta davanti, eventualmente lo si può incrociare una o più volte tra le ali, tutto dipende dalla massa di hackle che si vuole conferire all’artificiale, e questo dipende dalle acque ove dovrà agire. Si concluderà la mosca col solito nodo ed il classico punto di vernice.
Foto 10 29
Foto 12 - Si avvolge l’hackle.
Le barbe aperte e la loro relativa scarsità sono ovviamente volute. Lo scopo è di non concentrarle in modo innaturale e non creare neppure una massa eccessiva, che andrebbe ad occultare le caratteristiche imitative. Le barbe aperte assicurano migliore galleggiamento e imitano con più efficacia gli appoggi delle vere zampe.
Foto 11
Si appone l’hackle.
Le parachute nel passato Molti sono ancor’oggi convinti che il montaggio parachute sia da collocarsi nelle moderne tecniche di costruzione, ma così non è. In Fly Line 6/2001 venne pubblicato un articolo che presentava dei veri e propri reperti di archeologia alieutica, o quasi: alcuni modelli di mosche con hackle parachute della ditta Alex Martin, che operava nella prima metà del secolo scorso. Veniva altresì documentata la produzione di imitazioni parachute della ditta Hardy, con il brevetto di un amo che comprendeva il supporto per il montaggio orizzontale dell’hackle. Non solo, ma venne prodotta una documentazione d’epoca che pubblicizzava detto sistema come foriero di modelli artificiali di efficacia straordinaria.
Ecco alcune immagini delle antiche mosche parachute: in alto un modello di Olive Dun con ali in penna di storno (che qui riproponiamo nel montaggio che segue). A sinistra una Olive Quill vista da sotto e sopra una pagina del catalogo Hardy dell’inizio del secolo scorso.
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L’hackle orizzontale quindi, avvolto attorno ad un supporto ortogonale all’amo, ad alle ali stesse, risale all’inizio del secolo scorso, anche se solo da un paio di lustri sembra davvero apprezzato. In ogni modo qui proponiamo una versione attualizzata di questo antico montaggio, rispettandone tutti i canoni. La “modernizzazione” consiste esclusivamente nel razionalizzare il modo di apporre l’hackle, qui semplificato al massimo, al fine di poterla realizzare con ali in sezioni di penna di storno, nel più globale rispetto della tradizione, ma soprattutto dell’efficacia.
Pale Olive parachute Questa tipologia costruttiva (realizzata da Enzo Bortolani) consiste in un piccolo accorgimento atto a montare le hackle col sistema “parachute” attorno alle ali in sezione di penna. Ali così fragili non possono certo supportare i necessari giri di hackle senza sfaldarsi, ma se si desiderano mantenere queste ali ecco che è possibile farlo. In situazioni particolarmente difficili, con sfarfallamento di effimere tra le più diaboliche quanto a selettività, come per le piccole olive (baetidi), può essere necessario ricorrere a concetti imitativi piuttosto evoluti, in grado di ingannare il pesce più smaliziato, purché smanioso di prendere gli insetti di cui dispone. Occorre un corpo lucido, ben modellabile, leggero e sottile al punto da poterlo avvolgere anche attorno alle ali per formare il torace, oltre che l’addome: Enzo ha scelto tre fibre di pelo di alce. Foto 1, si fissano le code e le fibre di alce, poi si procede fino all’inizio del torace e qui si appone uno spezzone di nylon (scelto tra i nylon più rigidi) ortogonale all’amo, di ø 0.28 per amo 18, e ø 0,35 per ami da 14 a 16. Ora è il momento di realizzare le ali in piuma, fatelo con lo stesso procedimento visto poc’anzi per la Olive Dun. Foto 2: ecco le ali finite. Prima di avvolgere il corpo si fissa una hackle dietro la traversa di nylon, ma attenzione, non tagliate l’eccedenza, che servirà a fermare anteriormente l’hackle parachute (hackle ed eccedenza sono visibili nella foto 3). Foto 3: si realizzano corpo e torace con le fibre di alce, aggirando la hackle, le ali e l’eccedenza anteriore dell’hackle, indi si bloccano le eccedenze in testa. É facile ora avvolgere l’hackle passando sotto gli spezzoni di nylon, che poi recideremo, e sotto la stessa rachide che sporge davanti alle ali. Dopo avere avvolta l’hackle ed averla bloccata in testa, si blocca anche l’eccedenza della rachide, ribaltata in avanti a bloccare l’hackle, poi si recidono le eccedenze.
PALE OLIVE PARACHUTE Foto 1
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Foto 3
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Pale Olive, modello ideato e realizzato da Enzo Bortolani.
Foto 4
Foto 4 e 5: ecco l’imitazione terminata, in visione laterale e ventrale. É un’ottima imitazione di Pale Olive allo stato di subimmagine, perfetta per l’utilizzo durante gli sfarfallamenti in ambienti... ostili.
Le tre doti - Il principiante ed una buona percentuale numerica del “medio Pam” tendono fortemente a desiderare mosche artificiali caratterizzate da tre precise doti: galleggiabilità, robustezza e visibilità. Il motivo è ovvio, se galleggia a lungo la nostra azione è sempre efficace e non dobbiamo perdere tempo a sostituirla spesso, fatto che tutti troviamo inevitabilmente fastidioso: quante volte s’indugia prima di cambiare una dry fly fradicia? Non solo, ma una mosca che dopo qualche abboccata si rovina definitivamente, o le barbe dell’hackle che si scompongono irreversibilmente, non possono certo rappresentare fenomeni graditi, considerando l’mpegno necessario per ricostruirle o il denaro per ricomprarle. Foto 5 Sulla visibilità poi non starò a dilungarmi; ricordate solo il senso
d’impotenza che si prova quando, dopo il lancio, non riusciamo a scorgere la mosca. Insomma, è inevitabile la forte necessità dei Pam a realizzare od acquistare mosche con dette doti. Ma attenzione: conferire galleggiabilità, robustezza e visibilità per molti significa apporre masse importanti di hackle, di Cdc, sostanze plastiche vendute come inaffondabili (foam, ecc.), poi collanti robusti, quill plastici anziché naturali, ali in materiali di sintesi, strutture innaturalmente colorate e così via. Senza farla troppo lunga alla fine ciò che si ottiene sono imitazioni ove l’essenzialità lascia posto alle “deformazioni” imposte da simili stratagemmi, con la conseguenza di perdere capacità imitativa. La sostituiremo meno spesso, si rovinerà con meno frequenza, la perderemo raramente di vista, ma otterremo meno abboccate, specie di pesci importanti. Soprattutto la nostra crescita come Pam di buon livello subirà un’involuzione, poichè i nostri concetti e la nostra abilità di flytyer risulteranno deviati dalla corretta via.
Che fare allora? Io credo che la strada migliore rimanga quella della semplicità, il riuscire con pochi, essenziali, ma soprattutto naturali, materiali a realizzare mosche eteree, magari non eccessivamente fragili, ma dove ogni aspetto contribuisce non tanto a conferire più efficacia che galleggiabilità, o più efficacia che robustezza, ma armonizzi i tre aspetti in un compromesso che ci consenta, con quella data imitazione in un certo tipo di acque, il massimo risultato possibile ai fini prettamente alieutici. Il mondo classico non s’è mai posto i moderni problemi conseguenti alla fretta, all’economia, alla frenesia di rientrare in pesca rapidamente, alla produzione, alla pesca in catena di montaggio. Esso preferiva ricercare serenità, comprendere le leggi della natura, adeguarsi ad esse con armonia, l’armonia di un buon timing, di una’evanescente imitazione capace di resistere al volteggio, prima che alle abboccate, realizzata con semplicità e buon gusto, quando non con arte.
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Variazioni sul tema ... dell’hackle Un’imitazione dallo straordinario potere è lo spinner spent delle effimere realizzato nel modo classico e, si potrebbe affermare, ancora insuperato. La sua relativa galleggiabilità è identica all’insetto, potendo giacere sulla superficie in “appoggio totale” come i veri spent. Le ali sono perfette, se ben realizzate in punte di hackle di gallo grigio o azzurrognolo, mentre i due/tre giri di hackle, se incrociati attorno alle ali, non solo reggono perfettamente questo modello, ma a loro volta imitano il reale, disponendosi in quattro ciuffetti esattamente disposti come sarebbero le vere zampe, essendo la forma morta delle effimere talmente abbandonata sulla superficie che le zampe la penetrano naturalmente, avendo perduta la capacità idrofobica dell’insetto vivo.
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La luminosità naturale dei colli di gallo, se ben scelti, oppure ben tinti, anche se non tanti lo sanno, consente imitazioni straordinarie delle ali degli spinner delle effimere, che possono essere trasparenti al punto da apparire quasi invisibili, se non fosse per le venulazioni, talvolta ben marcate, ma soprattutto per i riflessi delle membrane, che, potendosi chiudere a fisarmonica e denotando effetti speculari, emanano netti riflessi longitudinali con tutti i possibili effetti dell’iridescenza e della scomposizione della luce in colori (punta dell’ala nella foto qui sotto). Ecco qui sotto lo spinner spent del montaggio illustrato nelle prossime pagine, fotografato in luce naturale mentre galleggia in una zona soleggiata. Come si vede, nell’opportuna angolazione, i riflessi emanati sono gli stessi delle ali membranose degli spinner. In giornate soleggiate queste ali, oppure il semplice hackle grigio azzurrognolo (vedi il precedente montaggio del Red Quill), possono davvero fare miracoli, convincendo i pesci meglio della migliore mosca da competizione.
Spinner spent
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Dun e spinner di fattura classica, incredibilmente, sono perfettamente in proporzione. Da sempre il Pam canonizza le dimensioni ideali di ogni parte della mosca, ma è rarissimo poi che qualche costruttore vi si attenga davvero, specialmente le mosche del commercio.
Avvolgere l’hackle sul gambo è sempre apparso ovvio, ma anche banale. Inoltre occorre tener sempre presente il peccato originale del pescatore, ovverossia l’infinita frustrazione dovuta ai pochi successi a confronto degli innumerevoli insuccessi. La conseguenza è che il Pam, più o meno consapevolmente, tende all’infinita ricerca della mosca perfetta, quella che al pesce non lascia scampo in nessuna circostanza. Per la verità questa pulsione è inconsapevole, nessun Pam sa di poter pretendere tanto, mentre è consapevolissima quella di migliorare l’imitazione in quella data circostanza: si va a pesca e non si cattura come si dovrebbe, così al rientro s’inizia a studiare una mosca in grado di risolvere il problema presunto. Già, sembra proprio che il Pam tenti di risolvere un problema alla volta. Nelle mosche finte è facile imitare con efficacia il corpo dell’insetto e le ali, mentre l’hackle sembra sempre rovinare un po’ tutto: se ne mettiamo pochissimo la mosca galleggia male, se ne mettiamo molto galleggia meglio, ma perde ca-
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pacità imitativa, e ci rendiamo conto di aver sbagliato la valutazione solo quando otteniamo dei rifiuti. É quindi l’hackle il perno del problema. Ecco quindi che da sempre il Pam propone soluzioni relative al montaggio, alla sostituzione o all’eliminazione del classico hackle di collo di gallo. Le variazioni possibili non sono infinite, ma certamente sono numerose. Ve ne sono di demenziali, di bizzarre, di curiose, di interessanti, di funzionali, di complicate, eccetera, ma qui cercheremo di affrontare solo quelle che hanno dimostrato validità, relativamente alle condizioni d’impiego. Il taglio delle barbe verticali all’acqua l’abbiamo già visto, è un piccolo rimedio che ha qualche efficacia, come abbiamo visto anche il montaggio a palmer (AK 47) dell’hackle. Questo invece rappresenta un salto di efficacia sorprendente, ma non lo ripeteremo nei dettagli, è stato trattato più volte in Fly Line e negli stessi speciali, ci limiteremo a ricordare che l’imitazione risultante è estremamente leggera ed impalpabile, non ha corpo eccetto il filo di montaggio
cui è delegata la riproduzione del colore dell’insetto, l’hackle rado (tre giri spiralati lungo l’addome e due in testa, uno davanti ed uno dietro alle ali) non occulta il corpo, fornisce ampio appoggio, non crea massa, ma solo sfumatura generalizzata, l’ala in Cdc fa il resto. Un’ottima soluzione che affronteremo qui, invece, è l’imitazione dello spinner spent, vale a dire l’effimera allo stato di imago che, dopo la riproduzione, cade morta nell’acqua. Abbiamo visto la subimmagine e l’immagine, ora dobbiamo affrontare il montaggio imitante la fase successiva. Quando l’imago cade in acqua, prima per deporre le uova, poi per non risollevarsi più, per un certo tempo presenta le ali ancora verticali e riesce a mantenersi a galla, poi però, più o meno rapidamente, muore. Dopo la morte le ali si aprono adagiandosi sulla superficie e le zampette, abbandonate, perdono la capacità idrofobica penetrando l’acqua. L’insetto continua così a galleggiare appoggiato sulla superficie, fino ad essere travolto dalla corrente o mangiato da un pesce.
Foto 1 Quando si parla di sfarfallamenti s’intende la fase ove le ninfe mutano in insetti alati e s’involano, ma v’è anche, ed è importantissima, la fase finale dell’operazione, quando, dopo aver mutato da subimago in imago, le effimere compiono i voli nuziali e gli accoppiamenti per poi cadere in acqua morti, sia i maschi che le femmine. Questa fase di “caduta degli spinner” è altrettanto importante, ma non è altrettanto avvertibile. Di solito avviene all’imbrunire e può mescolarsi agli sfarfallamenti, oppure può avvenire durante il giorno, ad esempio all’arrivo di un temporale che occulta il sole; ecco che gli spinner escono allo scoperto e si esibiscono nei voli nuziali. Per approfittare di questi momenti occorre l’imitazione adeguata: lo spinner spent, ma come realizzarlo? Io prediligo un modello classico con ali in punta di hackle, corpo in quill ed hackle in collo di gallo, ma montato in un modo particolare, per quanto semplice ed ovvio. Il quill è perfetto per imitare il corpo dell’effimera, purché scelto del colore giusto, e qui non c’è storia, tutt’al più per renderlo imitante al massimo si può realizzare un debole e soffice dubbing come “sottocorpo”, così da conferire adeguata conicità e morbidezza, ma solo per l’utilizzo in ambienti difficilissimi e pesci selettivi. Per il torrente basterà creare un minimo di conicità con giri morbidi del filo di montaggio. Le ali in punta di hackle invece le ritengo decisamente superiori e per i motivi già descritti: la luminosità delle barbe imita bene la luminosità delle membrane degli spinner. Un’occhiata alle foto degli insetti mostrerà tale accostamento.
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Red Quill spinner spent Foto 1: solita preparazione, ma con ingrossamento conico dell’addome. Foto 2: si realizza il corpo e si inarcano leggermente le code con l’unghia del pollice. Foto 3 e 4: si preparano le due punte di hackle, lunghe come l’amo intero o appena poco di più. Sceglietele da un collo particolarmente riflettente.
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Foto 5 Foto 5: si fissano le ali dopo averle accoppiate come fossero ali in piuma. Foto 6: con 2/3 giri dietro le si raddrizzano aiutandoci con le dita per tenerle verticali. Si nota già che qualche lampo del flash ne evidenzia i riflessi, nelle giuste angolazioni.
Foto 7 Con una serie di passaggi incrociati si aprono progressivamente le ali fno a renderle orizzontali. Dopo un po’ di pratica si diventa via via più abili nell’ottenere l’orizzontalità rispettando angolazioni, torsioni e simmetrie. Ecco che all’imitazione manca solo qualche giro di hackle per divenire perfetta.
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Foto 6
Foto 8: si sceglie l’hackle di lunghezza standard: barbe lunghe come il dorso dell’amo dall’anello escluso all’inizio della curvatura.
Foto 9: si fissa l’hackle dietro le ali con tre giri incrociati, ben stretti.
Foto 10 (qui sotto): si avvolge l’hackle incrociando i giri tra le ali, senza preoccuparsi dell’aprirsi delle barbe.
Foto 10
Foto 11: l’hackle terminato in visione laterale, si noti che forma 4 ciuffi di barbe.
Foto 12: l’hackle di fronte, si notino le barbe ripartite uniformemente a raggiera.
Foto 13 : l’hackle visto da sopra, anche da questa prospettiva appare diviso in 4 piccoli ciuffi. Nello spent questa distribuzione è ottimale in quanto i ciuffi riprendono i punti d’appoggio delle zampette.
I quattro ciuffetti sparuti di hackle che riprendono gli stessi punti d’appoggio delle zampe dell’insetto sono inoltre inclinati e nessuna delle barbe tocca l’acqua in modo perfettamente verticale. Ciò garantisce un buon galleggiamento anche con poco hackle. Non solo, ma, come abbiamo già accennato, gli spinner spent non galleggiano perfettamente e sono imitati perfettamente da questo modello similmente strutturato. La capacità imitativa qui è davvero al massimo. Tali caratteristiche rendono questo spent ottimale non solo all’imbrunire, ma anche in pieno giorno, con sole ed acque limpide, impiegandolo come mosca da caccia.
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Questa foto mostra un collo di gallo tinto in colore grigio, fotografato alla luce del sole con un’angolazione tale da creare riflessi nelle barbe. I riflessi sono emanati dalle barbe prive della tipica peluria che le ricopre per un certo tratto prossimamente alla rachide, peluria che oltrettutto aumenta procedendo dalla punta verso il calamo (la parte di rachide inserita nel derma del pinnuto) pertanto utilizzandone la punta ci si assicura il massimo d’effetto. Sono questi riflessi infatti ad imitare le membrane delle ali degli spinner. FOTO 1
FOTO 2
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Ecco le ali opache e ceracee di una subimmagine (Baetis sp.), le cui superfici non riflettono la luce se non in modo debolissimo.
FOTO 3
Ecco le ali dell’immagine di un Baetis sp. Le ali sono trasparenti e si lasciano intravvedere solo in funzione dei riflessi e delle venulazioni.
In queste quattro immagini abbiamo cercato di identificare ed interpretare gli aspetti visivi fondamentali delle ali delle effimere e conseguentemente delle imitazioni. Ecco ulteriori note. FOTO 1. In questo collo sono evidenziati dai riflessi la parte lucida e la parte opaca. La prima serve ad imitare le ali delle immagini, la seconda le ali delle subimmagini. La prima va legata all’amo con la parte lucida all’esterno e limitatamente alle barbe senza peluria, la seconda all’interno utilizzando le barbe con peluria. FOTO 2. Subimago di Baetis. Le ali non riflettono la luce, tutt’al più, come in questa foto osservando le piccole ali posteriori, sono un po’ più lucide se nell’opportuna angolazione con la luce. FOTO 3. Questa piuma (hackle) proviene dal collo di gallo della pagina a fronte e, come il collo, è stata fotografata alla luce del sole, ruotata in modo da farle riflettere la luce grazie alla superficie lucida e speculare delle barbe. Non rimane che confrontare questi riflessi con quelli delle ali del Baetis della foto qui sotto.
FOTO 4
Foto 4. Come sempre, nel caso di immagini di effimera, le ali emanano riflessi in quanto si comportano come specchi se posti in certe angolazioni nei confronti della sorgente luminosa.
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