RezzatoBs
zampe
Fondazione
La conta delle
per non parlar di antenne, code baffi e pellicce nei disegni infantili della PInAC
La conta delle zampe
Quaderno-catalogo n. 30 anno XVII Collana della Fondazione PInAC GLI OCCHI LE MANI A cura di Elena Pasetti ISBN 978-88-942856-2-8
Testi di Mariella Foresti
Presidente Fondazione PInAC osvaldo negra
Zoologo e mediatore culturale per la biodiversità MUSE – Museo delle Scienze di Trento elena pasetti
Direttrice PInAC giacomo sartori
Scrittore e agronomo
Traduzioni Elena Tognoli, Giulia Acquisti Videoanimazioni Irene Tedeschi Ideazione e gestione percorso guidato di visita Massimiliano Vitali, Elena Tognoli Grafica Luisa Goglio Comunicazione Paola Rassega Progetto installativo Luca Rizzieri, StudioUnodidue Web editor Massimiliano Vitali, Elena Tognoli Proposta bibliografica Marina Parma Accoglienza Nicola Arti, Francesca Foresti, Luca Reboldi, Daniele Cominelli Internships Annalisa Zuanon, Raesa Zeqiri Grazie anche a Associazione Avisco
per i video Una formica un po’ così e Brutti mostri pelosi FIVE T BRASS
per l’accompagnamento musicale Rosanna Mezzana
e amiche Associazione NonSoloNoi per il buffet pasticceria battaleni
di Rezzato
In collaborazione con
Con il patrocinio di
Con il sostegno di
La conta delle
zampe RezzatoBs
Fondazione
per non parlar di antenne, code baffi e pellicce nei disegni infantili della PInAC
L’arca di Noè in PInAC
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a quando nasciamo siamo circondati da una silenziosa fauna virtuale e continuiamo a esserlo nel corso di tutta la vita. Giochi per bambini, pupazzi di finto pelo, cartoni animati, foto, libri, fiabe, documentari e film, tatuaggi, loghi di migliaia di società e prodotti, da quelli pop ai più esclusivi, per non parlare dell’altra realtà che chiamiamo internet, da Wikipedia ai social: il nostro universo brulica di specie animali di cui ci è dato sapere e conoscere praticamente tutto. Sì, l’immaginario della civiltà dei consumi è una sorta di società totemica che esalta l’onnipresenza dell’universo animale. C’è anche chi si è occupato di stilare l’elenco dei dieci animali più carismatici, i più presenti nell’immaginario popolare on e offline: tigre, leone, elefante africano, giraffa, leopardo, panda, ghepardo, orso polare, lupo, gorilla1. La lista è interamente rappresentata nelle centinaia di disegni custoditi in PInAC, ma l’immaginario animale infantile che emerge dall’archivio storico di via Disciplina è popolato anche da decine e decine di altri animali: domestici, con gatti e cani in testa, preistorici e pure fantastici. Esplorare i cassetti a caccia dell’immaginario infantile in cerca dei protagonisti di La conta delle zampe2 è stato un safari emozionante e sorprendente. L’arca di Noè di PInAC accoglie una ricchissima varietà di specie: piccolissime e grandi, esotiche e selvagge, solitarie e organizzate in colonie, che volano, strisciano, nuotano, destinatarie di un confidente affetto umano, capaci di scatenare angosciose paure. 4
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Per ragioni di spazio espositivo in mostra sono presenti 52 opere grafico-pittoriche e 4 audiovisive realizzate con i più piccoli3. Abbiamo scelto lavori che non rappresentano necessariamente il rapporto tra animali e umani, per lasciare libera nel visitatore, grande o piccolo, la possibilità di giocare i sentimenti e i vissuti personali. Per i piccolissimi (0/6 anni) il percorso si arricchisce per la prima volta di tre installazioni4 polisensoriali appositamente progettate da Luca Rizzieri: gallerie in cui infilarsi come formiche, nidi morbidi per accovacciarsi a sfogliare albi illustrati e vedere speciali corti d’autore sul tablet, ombrose tane di legno dove scoprire con gli occhi delle mani la diversità di pellicce, ali, antenne, zampe. La caccia ai codici QR sparsi nella sala espositiva e tra le installazioni consente, usando i cellulari di mamma e papà, di entrare nell’universo sonoro dei linguaggi animali, per riconoscere le diverse voci e riprodurre con la propria la tessitura di un paesaggio sonoro fatto di roarrr, miao, pio pio, bau bau, auuuuuh… e chi più ne sa più ne dica!
Cfr l’articolo di Davide Coppo “Fauna virtuale”, Rivista Studio, n. 35 del 2018.
Elena pasetti
MARIELLA FORESTI
Direttrice PInAC
Presidente Fondazione PInAC
Il percorso installativo è parte di E… se diventi farfalla, progetto culturale contro il disagio e le povertà educative, realizzato da 19 realtà italiane 2 Il titolo è stato suggerito dal leone a sette zampe fra cui PInAC e rivolto a 140.000 bambini e rappresentato a pagina 60. bambine in Italia. Il Fondo per il contrasto della 3 Le opere audiovisive sono state realizzate nel povertà educativa minorile nasce da un’intesa laboratorio PInAC Pennelli elettronici e nei progetti tra le Fondazioni bancarie rappresentate da Acri, realizzati dall’associazione Avisco di Brescia. il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Governo 1
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Italiano. Sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Per attuare i programmi del Fondo a giugno 2016 è nata l’impresa sociale Con i Bambini, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata dalla Fondazione Con il Sud.
Noah’s ark in PInAC Since the moment we are born and throughout our whole life we are surrounded by a silent virtual fauna. Children’s toys, animal puppets, cartoons, pictures, books, fairytales, documentaries and films, tattoos, logos of thousands of companies and products, ranging from pop to exclusive, not to mention the internet, from Wikipedia to the social media: our universe swarms with animal species of which we know almost everything. Yes, consumer society’s imagery emphasizes the omnipresence of the animal universe. An effort has been made to draw up a list of the ten most charismatic animals, the most present in popular on and offline images: tigers, lions, african elephants, giraffes, leopards, pandas, cheetahs, polar bears, wolves, gorillas1. The animals on this list are entirely represented in the hundreds of drawings preserved in PInAC, but the children’s animal imagery emerging from the historical archive of via Disciplina is also inhabited by dozens and dozens of other animals: domestic animals, cats and dogs at the top, prehistoric animals and also imaginary ones. Exploring the archive drawers while hunting for the main characters of “Counting hooves and paws”2 has been an emotional and surprising safari. PInAC’s Noah’s ark welcomes a very rich variety of species: from tiny to big, from exotic to wild,
See the article of Davide Coppo “Fauna virtuale”, Rivista Studio, nr. 35/2018
The multi-sensorial installations belongs to And… if you become a butterfly, a cultural project fighting educational poverty, carried 2 The title has been suggested by the sevenout by 19 Italian institutions, including PInAC legged lion pictured at page 60. and addressed to 140.000 boys and girls in 3 The audiovisual works have been realized within Italy. The Fund Against Juvenile Educational the PInAc workshop Electronic Paintbrushes and Poverty originates from an agreement between within the projects carried out by the Avisco the Bank Foundations represented by Acri, the Association of Brescia. National Forum of the Third Sector and the 1
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from the solitary ones to the ones organized in colonies, those that fly or crawl or swim, those cuddled by humans, those capable of triggering painful fears. The exhibition includes fiftytwo graphic-pictorial works and four audiovisual productions created with children3. We chose pieces of work that do not necessarily represent the relationship between humans and animals in order for young and grown-up visitors to freely associate feelings and personal life experiences. The exhibition has been enriched for the first time by three multi-sensorial installations4 designed by Luca Rizzieri and addressed to the early years (0-6): tunnels where you can sneak in as an ant, soft nests where you can curl up, flick through books and watch short films on tablets, shady wooden dens to discover with your hands’ eyes different furs, wings, antennas and paws. You can hunt the QR codes scattered throughout the exhibition and installations and, by using mum’s and dad’s cell phones, you can access the auditory universe of the animal language, recognize the different voices and mock them with your own voice, weaving an auditory landscape made up of roars, meows, tweets, woofs, auuuhhs… and so on, so forth!
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elena pasetti Directress of PInAC
Mariella Foresti President of Fondazione PInAC
Italian Government. It supports interventions aimed to remove economic, social and cultural obstacles preventing underage children to fully access educational processes. In order to carry out the programmes of the Fund, in June 2016 the social company “Con I Bambini” was born: a non-profit organization supported by Fondazione Con il Sud.
Non senza animali
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on potrei vivere senza animali. Un po’ slogan, un po’ dichiarazione d’intenti, quest’affermazione non rimanda prosaicamente al fatto che, nella mia dimensione professionale museale, la virtuale scomparsa di questi organismi al centro di tanta attività di ricerca e divulgazione sottrarrebbe i soggetti/oggetti di gran parte dell’agire lavorativo (e del sostentamento che – da animale e quindi da inguaribile etrotrofo – vi vado inevitabilmente cercando!). Vivo “di animali”, è vero, ma in senso ancor più figurato che letterale: dall’alba al tramonto, anche senza pensarlo o volerlo, ogni volta che vedo un animale comportarsi (e tutti gli animali, per il semplice fatto di essere vivi, si comportano, cioè influenzano col loro essere e agire il comportamento di altri animali oppure interagiscono col loro intorno), non posso fare a meno di venirne attratto: il suo esistere come vivente e il suo interfacciarsi col mondo che lo (ci) circonda catturano la mia attenzione, ignorarlo mi è impossibile. E se, di fronte ad un’ala pennuta che fende l’aria sopra l’oceano o ad una coda pelosa che chiude l’ovale quasi perfetto di un gatto che si acciambella, il pensiero scivola su motivazioni etologiche, valenze adattative, vantaggi evolutivi, lo sguardo si compiace e si delizia dell’armonia delle forme, dei colori e delle ornamentazioni, della grazia efficace dei movimenti o della significatività comunicativa delle posture… Mi viene spontaneo pensare e affermare che tutti gli animali sono “belli” nel senso di depositari di valori estetici, o perlomeno “evolutivamente belli” e questo mi motiva a continuare a guardarli, con stupore,
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entusiasmo, trasporto, gli stessi che mi pare di ravvisare negli innumerevoli disegni e dipinti “animaleschi” realizzati da bambini in luoghi e contesti molto diversi e raccolti in questa mostra. Opere intense, vivide, emotivamente molto partecipate che mi riportano all’infanzia, alla scoperta dell’animalità animale ed all’origine di questa fascinazione che da allora non mi abbandona e che considero uno dei più grandi privilegi esistenziali scaturiti dagli oscuri recessi della mia genetica in cui non erano compresi parenti o antenati naturalisti. Mi pare di ricordare (ma è possibile che un’idea di memoria abbia semplicemente preso il posto della realtà) che la prima e più forte emozione che ho vissuto in infanzia al cospetto di un animale – e probabilmente si trattava di un piccione di piazza o di un’anatra germanata al laghetto del parco pubblico – fosse legata ad un’indefinita, gioiosa sensazione che anche lui era vivo (lo sono anche i vegetali, ovviamente, seppur allora il loro essere viventi silenziosi e perlopiù immobili non riuscisse a bucare la soglia della mia attenzione di cucciolo di Primate); erano vivi i grandi umani attorno a me, ma, sorpresa, bella sorpresa (!), era vivo, si muoveva, faceva cose, spesso simili alle mie, anche quell’essere con le ali al posto delle mani e il becco al posto delle labbra. Vivo come me, dunque probabilmente con i miei stessi bisogni, desideri, timori, anche se in un corpo diverso: quest’empatia vitale che ci legava, molto epidermica e molto poco ragionata, mi portava ad un sacco di curiose e – ad uno sguardo odierno piuttosto ridicole – antropomorfizzazioni della sua realtà di animale (che i miei adulti “insegnanti” mi ribadivano comunque, senza molto successo, essere altro dalla nostra di uomini). Per molto tempo, durante la prima età scolare e anche in precedenza, ho raccolto e soccorso piccoli animali in difficoltà o che ritenevo tali, ho convinto mia madre a comprarli a tutti i costi da improbabili negozi-bazaar in cui erano spesso poco più che merce animata (e quindi deperibile…) e li ho portati 8
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a casa, persuaso che necessitassero, oltre che di cibo ed acqua, appunto di una casa, di attenzioni affettuose, di compagnia e di amici, insomma di un mondo relazionale che mutuavo sul mio: ricordo di aver fatto per mesi i compiti con accanto un’ampia scatola in cui un’indifferente testuggine di Hermann (sottratta al suo ambiente naturale in qualche remoto recesso balcanico da un commerciante/trafficante senza remore) avrebbe dovuto – secondo le mie percezioni – provare piacere della reciproca vicinanza, oppure di aver sperato per oltre un anno in una love-story (ma non la chiamavo così…) tra una femmina di canarino e un maschio di diamante mandarino, un piccolo socievole uccelletto esotico australiano che in virtù delle proprie attitudini gregarie tollerò con garbata noncuranza la presenza, nella sua gabbia, dell’ingombrante aliena gialla. Con l’ingenuità di un’infanzia non tecnologica, cercavo di “costruire” attorno agli animali in cui imbattevo una presunta felicità in cui rispecchiavo i miei motivi per essere felice. E inorridivo della loro eventuale scomparsa, degli incidenti e delle ferite che ne oltraggiavano a volte il corpo, portandoli non di rado a morte con quella repentina escalation peggiorativa delle condizioni che è tipica degli animali di piccole dimensioni. Avvicinati nell’entusiasmo della vita comune e condivisa, gli animali mi hanno insegnato anche la repentina imprevedibilità della morte che smantella il complesso e mirabile edificio organico dei viventi. Degli animaletti morti conservavo tracce del loro passato vitale, esoscheletri, crani, penne. E parallelamente li disegnavo e li dipingevo, cercando di fissare sulla carta il cromatismo e il segno della loro identità: a volte da vivi, a volte da morti come antidoto alla loro dissoluzione. Ritengo che il disegno sia stato uno degli elementi favorenti quella che mi piace definire la “svolta scientifica”: raffigurare significava per me in primo luogo osservare e memorizzare, per poi riproporre sulla superficie della carta. Dall’osservazione alla comparazione il passo è breve, e il confronto ti dischiude la sorprendente varietà, tutti
simili ma anche tutti leggermente e comunque apprezzabilmente diversi: specie affini, maschi, femmine, giovani, adulti, piumaggi nuziali e mantelli invernali… Gli animali, per motivi che al tempo mi erano oscuri (o perlomeno più oscuri di ora) e ancora non annoveravano l’evoluzione e le dinamiche della speciazione, erano dunque davvero molti, diversi e, spesso mutevoli. Davanti alla diversità inattesa si origina talvolta un attimo di sconcerto, ci si sente magari inadatti a indagarla conoscerla, poi però prevale la curiosità. Riconoscere le identità specifiche mi ha portato, in età adolescenziale, a diventare a poco a poco un “collezionista” di identità animali: avidamente, tramite i primi manuali che facevano la loro comparsa sull’ostico mercato dell’editoria naturalistica italiana (in una nazione pervasa di storia e di arte sei – a ragione – considerato un barbaro se non distingui le navate gotiche da quelle romaniche, ma nessuno inorridisce se usi come sinonimi “corvi” e “cornacchie” oppure “rane” e “rospi”) e quelle entusiasmanti finestre di sogno su mondi animali fiabescamente esotici o arcaicamente intonsi che erano gli antesignani documentari “sulla natura” trasmessi in televisione dalle reti nazionali, si è innescato un processo autocatalitico (tuttora inesausto) per cui ogni nuovo animale conosciuto era un ignoto in meno ed una rinnovata fonte di stupore, curiosità, interrogativi. Forse questi interrogativi, le domande della vita e della sua diversità, sono per alcune persone le questioni irrisolte che più intrigano ed intrigheranno per il resto della propria esistenza: ecco dunque la scelta universitaria, la sfida di confrontarsi con il metodo scientifico e di cercare di fare dello studio degli animali una professione, abbracciare la zoologia come lente e chiave di lettura al mondo animale (e più estesamente biologico). Gli studi zoologici contribuiscono a sfaccettare, nella percezione naif dell’appassionato, la dimensione specifica dell’animale (lo stesso fanno quelli botanici con le piante o gli altri autotrofi): una specie, al di là del suo 10
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aspetto che, anche con piacere estetico, ti sei avvezzato a riconoscere (depositando una sorta di archetipo platonico nel disco rigido ma non inscalfibile della memoria), non è solo una morfologia, ma anche un sistema fisiologico-metabolico in grado di rispondere con continua adattatività ai fattori selettivi dell’ambiente di vita, uno dei tanti nodi di una rete mirabile di relazioni ecologiche, il punto d’arrivo in perenne fieri di un percorso evolutivo e biogeografico, un pool genico stabile ma non troppo, un microcosmo in viaggio nel tempo e nello spazio della propria esistenza accompagnato da un bioma di infiniti commensali e parassiti, e molto altro ancora. Gli studi zoologici, in altre parole, allenano alla complessità, e se la rilevanza “collezionistica” del riconoscere le singole specie viene forse un po’ meno, si assesta in compenso l’esigenza di comprendere i sistemi relazionali, le connessioni e le connettività. Lentamente, nella mente di chi nel frattempo pensa di essere diventato uno zoologo, si va delineando un’immagine caleidoscopica dell’animale pervasa di una crescente multifattorialità in cui ricadono lo spazio e il tempo hic et nunc dove il singolo esemplare vive ora, ma anche differenti spazi e tempi toccati in altre fasi del suo ciclo biologico come pure, in un vorticoso “ritorno al passato”, gli spazi e tempi del suo divenire evolutivo. La specie animale, che un tempo tanto volevamo imparare a riconoscere e codificare, diventa, nella nostra percezione evoluta, una preziosa e magica immanenza, una sorta di “istante mirabile” (a cui noi stessi apparteniamo) nel quale sfioriamo il vertice di un icosaedro di processi che pervadono gli spazi e i tempi della vita sulla Terra. Il corollario della complessità sembra inevitabilmente essere la vulnerabilità: lo zoologo (come pure il botanico, l’ecologo, il genetista di popolazione) non possono evitare di riconoscere, nella complessità dei viventi che li affascinano e li hanno motivati allo studio, gli elementi più o meno palesi di un’allarmante precarietà che
non è purtroppo la precarietà dell’evoluzione che continua a “macinare” e trasformare specie, bensì l’esposizione, nel breve lasso temporale di una contemporaneità che avvolge l’ultimo mezzo secolo, a trasformazioni antropogeniche a dimensione planetaria che non hanno precedenti nella storia dell’uomo. Mi verrebbe da dire inevitabilmente, lo zoologo diviene “conservazionista”: la prospettiva privilegiata che gli ha appunto dato il privilegio di percepire la complessità gli impedisce di ignorare i campanelli d’allarme prodotti dai monitoraggi su scala globale: vorrebbe essere uomo d’azione e risolvere, ma la stessa gestione delle interazioni tra uomini è complessa e lunga, spesso troppo lunga. E lo zoologo sente che il tempo stringe, a volte il senso di non riuscire a muovere la sensibilità collettiva si fa schiacciante e l’irreversibilità sembra prevalere. Con melanconia lo sguardo torna agli animali, gli occhi sono quelli del bambino, e loro sono bellissimi… Osvaldo Negra Zoologo e mediatore culturale per la biodiversità MUSE – Museo delle Scienze di Trento
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Not without animals I could not live without animals. This statement is a bit of a slogan, a bit of a declaration of intent. It does not prosaically refer to the fact that in my professional museum sphere the virtual disappearing of these organisms, which are at the centre of so much research and literature, would eliminate the subjects/objects of a large part of my work (and of the nourishment which – being an animal and therefore an incurable heterotroph – I inevitably look for!). I live off “animals”; this is true in a figurative rather than literal sense: from dusk till dawn, even without thinking or willing it, every time I see an animal behaving in a certain way (and all the animals, just for the simple fact that they are are alive, behave, i.e. their presence and actions influence the behaviour of other animals, they interact with what is around them), I cannot help being attracted to it: its existence as a living being and its interaction with the world surrounding it catches my attention, it is impossible to ignore it. In front of a feathered wing which cuts through the air above the ocean, or a furry tail that completes the almost perfect oval of a curled up cat, my thought goes to ethologic motivations, adaptive meanings, evolutionary advantages. At the same time the gaze is also pleased with the harmony of the shapes, the colours and the ornaments, the movements’ efficient grace or the message communicated by the posture… It is inevitable to think and affirm that all animals are “beautiful”, in the sense that they are guardians of aesthetic values or, at least, they are “beautiful in an evolutionary way”; this is what motivates me to continue looking at them with wonder and enthusiasm. I recognize the same feelings and attitudes towards animals in this exhibition’s many drawings and paintings created by children from very diverse places and contexts.
They are vivid and powerful works, emotionally intense, they take me back to childhood, to the discovery of the “animal animality” and to the origin of this enchantment that, since then, has not abandoned me: I consider this one of the biggest privileges generated by the obscure recesses of my genetics, where naturalist relatives or ancestors were not contemplated. I think I can remember (but it is possible that an idea of memory might have simply taken the place of reality) that the first and strongest emotion which I experienced during childhood while looking at an animal – and it was probably a pigeon in a square or a mallard in the lake in the park – is linked to an undefined, joyful sensation that it was alive too (plants live too, of course, albeit at that time their silent and almost motionless being was not able to catch my attention as a puppy of primate could); of course the big human beings around me were alive, but – surprise, surprise (a nice surprise!), this animal being was alive too, it was moving; even that living creature with wings instead of hands and a beak in the place of lips was doing things, often similar to what I did. Alive like me, and probably experiencing my same needs, desires, fears, although in a different body. The vital empathy that connected us, very instinctive and not much thought about, led me to a curious and, with today’s eye, rather ridiculous anthropomorphization of its animal reality (which my adult “teachers” cared to remind me, without much success, were something other than our human nature). For a long time, during the first school years and even earlier, I collected and rescued small animals in distress or that I considered in such state, I convinced my mother to buy them at all costs from improbable bazaar shops where they were
often not much more than animated (and therefore perishable) merchandise. I took them home as I was sure that, in addition to food and water, they needed a good home, loving attention, company, friends… to make it short, a relational world similar to mine. I remember doing my homework for months with a large box next to me, where an indifferent Hermann’s tortoise (subtracted from his natural environment in some remote Balkan recess by a merchant/trafficker without any qualms) would have – according my perceptions – felt the pleasure of mutual closeness, or hoping for over a year in the blossoming of a love-story (but then I did not define it with such words) between a female canary and a male diamond mandarin, a small sociable exotic Australian bird which, by virtue of its gregarious aptitudes, tolerated with polite nonchalance the presence in its cage of the cumbersome yellow alien. With the naivety of a non-technological childhood, I tried to “build” around the animals I came across a hypothetical happiness in which I reflected my reasons for being happy. And I was horrified by their possible disappearance, by the accidents and the wounds that sometimes hurt their body, often bringing them to death with that sudden worsening of conditions typical of small animals. Animals also taught me the sudden unpredictability of death that dismantles the complex and admirable organic edifice of living creatures. I kept traces of the living past of dead animals, exoskeletons, skulls, feathers. And at the same time I drew them and painted them, trying to put on paper the chromatism and the sign of their identity: sometimes while they were still alive, sometimes when they were dead as an antidote to their dissolution. Drawing was one of the elements that fostered what I like to define the “scientific turning point”: drawing meant that I had to first observe and memorize what was in front of me 14
in order to re-create it on the paper surface. From observing to comparing the passage is short, comparisons reveals a surprising variety where many similarities but also appreciable differences can be found: related species, males, females, young, adult, wedding feathers and winter cloaks… animals, for reasons that at that time were obscure to me (or at least less clear than they are now) and did not yet include evolution and the dynamics of speciation, were therefore really many, different and often changing. The unexpected natural diversity might be baffling sometimes, one may feel unsuitable to investigate it, but then curiosity prevails. During the teenage years, recognizing specific identities made me become little by little an avid “collector” of animal identities: the first manuals that appeared in the tough scene of the Italian naturalist book market (in a nation permeated by art and history you are rightfully considered a barbarian if you do not distinguish the gothic naves from the romanesque ones, but nobody is horrified if you use “crows” and “carrion crows”, or “frogs” and “toads” as synonyms) were the exciting dreaming windows on exotic, fairytale-like or archaically untouched animal worlds, they were the forerunners of the natural history documentaries broadcasted on TV by the national channels. This triggered an auto-catalytic process (still unexhausted) for which every new known animal was one less unknown one and a renewed source of amazement, curiosity and questions. Perhaps the unsolved questions of life and its diversity are for some people what intrigues them the most and will continue intriguing them for the rest of their existence. Hence the university choice: the challenge of studying animals as a profession, to embrace zoology as a lens through which reading the animal and, more widely, the biological world. Zoological studies help scrutinising, in the naïve perception of the passionate, the specific dimension of animals (as the botanist
15 does with plants or the other autotrophies): a species, beyond its aspect that, with a certain aesthetic pleasure, you learn to recognize (and to match with a sort of platonic archetype in your memory’s fallible hard drive), it is not only a morphology, but also a physiological and metabolic system, which can respond by continually adapting to the living environment’s selective factors, it is the arrival point of a perennial cycle of an evolutionary and bio-geographical process, a relatively stable gene pool, a microcosm traveling in time and in the space of its own existence, accompanied by a biome of infinite other species, parasites, and much more. In other words, zoological studies train to complexity and, if recognizing single species might no longer be relevant at this stage, the need to understand relational systems, connexions and connectivity becomes increasingly important. Slowly, who has in the meantime become a zoologist forms in his mind a kaleidoscopic image of animals pervaded by a growing “multi-factoriality”, in which space and time are relevant to the specimen’s here and now, together with the different spaces and times of its biological cycle as well as, in a whirlwind returning to the past, the spaces and times of its evolutionary becoming. The animal species which we first so much wanted to learn to recognize and codify, in this new perspective become a precious and magical immanence, a sort of “marvellous
instant” (where we belong ourselves) in which we touch the summit of an icosahedron of processes pervading the spaces and times of life on Earth. Inevitably, the corollary of complexity seems to be vulnerability: the zoologist (as well as the botanist, the ecologist, the population geneticist) cannot avoid recognizing in the complexity of the living beings that fascinate and motivated them to study, the more or less obvious elements of an alarming precariousness which unfortunately it is not the precariousness of the evolution that continues to “grind” and transform species, but rather the exposure, in the short period of the last half century, to planetary anthropogenic transformations that have no precedents in human history. I would inevitably say that the zoologist becomes “conservationist”: the privileged perspective that has given him the possibility to perceive complexity, prevents him from ignoring the alarm bells produced by monitoring on a global scale. He would like to be a man of action and to solve issues, but the very management of the interactions between humans is complex and long, often too long. So the zoologist feels that time is pressing, sometimes the sense of not being able to move the collective awareness is overwhelming and irreversibility seems to prevail. The gaze melancholically goes back to animals, the eyes are those of the child, and they are beautiful… osvaldo negra Zoologist and cultural mediator for biodiversity MUSE – Trento Science Museum
Chi ne parla adesso con i bambini
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uemila e cinquecento anni fa i nostri eminenti filosofi hanno deciso che gli animali non hanno cervello, o insomma non lo sanno usare, e noi ce ne siamo subito convinti, mettendo a tacere i pochi, per esempio Plutarco e pi첫 tardi quel poverello di San Francesco, che osavano insinuare il contrario. E visto che non avevano cervello, o insomma non lo usavano, nei tempi pi첫 ravvicinati abbiamo messo alla gogna su scala industriale i polli e i maiali e i vitelli, e abbiamo cominciato a sbafarceli manco fossero patatine, senza pi첫 ringraziarli e senza pi첫 alcuna remora. Per dargli da mangiare svuotiamo i campi e i mari, il che sarebbe come dare mucchi di caviale a un cagnolino e poi mangiarsi il cagnolino, invece di mangiare direttamente il caviale. Sembrava un buon sistema, gli esperti dicevano che era proprio un buon sistema, e invece adesso ci accorgiamo che siamo nei pasticci. Pasticci davvero grandi, gli animali si estinguono e le risorse si prosciugano. Uhi, uhi, siamo messi male, chi ne parla adesso con i bambini che disegnano gli animali, ci diciamo. Siamo messi male, ma ci diamo da fare per essere messi peggio. Spendiamo somme da capogiro per sterminare le api e i lombrichi e ottenere farina troppo scadente per farci del pane. E quindi anche quella la diamo agli animali, affamando i miliardi di poveracci che invece rispettano le api e i lombrichi e ottengono prodotti buoni. E non contenti spendiamo mari di soldi anche per ammazzare le coccinelle e le farfalle e sfornare mele tutte uguali e senza sapore, e pomodori infrangibili e con il gusto dei tubi metallici delle serre. Bisogna che qualcuno ne parli con i bambini che fanno i disegni degli animali, loro lo vedono 16
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che stiamo facendo tutti questi disastri, dai loro disegni si capisce subito, ci diciamo. Mica hanno la testa sulla luna, i bambini, ci diciamo. Andiamo però avanti, perché i nostri esperti, pagati dalle ditte che producono i veleni che sterminano le bestiole, ci dicono che non c’è alternativa, i metodi sono questi. Scialacquiamo montagne di soldi e di risorse per falcidiare ogni animaletto che vive nell’aria o nella terra, senza pensare che senza i suoi animali la terra muore. E senza tener conto che senza api le piante mica si riproducono, mica possiamo più mangiarle se non si riproducono, o insomma non fanno frutti. Per non pensarci ci stravacchiamo davanti alla televisione, convinti di distrarci un po’. Uhi, uhi, ci diciamo però quando incappiamo in certi documentari. Sono pasticci grossi, qui bisogna fare qualcosa, ci diciamo. Vai tu a parlarne con i bambini che disegnano le cose belle ma anche i disastri che bollono in pentola, ci diciamo. Dopo duemilacinquecento anni a ripeterci che gli animali sono scemi certi nostri scienziatoni scoprono adesso che i corvi non sono mica poi così tonti come credevano, e nemmeno i topi, per non parlare dei polipi con i neuroni nelle braccia. Cavolo, sono proprio intelligenti!, dicono i nostri scienziati, vedendo come i corvi interagiscono con uno schermo tattile. Guardando i documentari ci viene allora il dubbio che forse le bestie non sono poi così diverse da noi come abbiamo presupposto per duemilacinquecento anni. Uhi, uhi, bisogna parlarne con i bambini, poi se la prendono con noi, se scoprono che siamo noi i responsabili, ci diciamo.
Ci consoliamo mangiando mezzo polletto arrosto che da solo ha trangugiato due carrelli di caviale, insomma di sardine ridotte in polvere di sardina. E se ci sentiamo ancora abbattuti ci prendiamo in casa un cane o un gatto, che nutriamo con scatolette con dentro polli che hanno spazzolato montagne di polvere di pesci pescati nei mari ormai svuotati. Con quelle scatolette si potrebbe nutrire la metà dei contadini affamati dalle nostre colture che uccidono gli animali, ma noi pensiamo al nostro gatto, che in effetti tanto scemo non sembra essere, mica a tutti i gatti del paese. Oppure per tirarci su di morale apriamo una scatoletta di tonno, basta tirare il cerchietto e c’è dentro il tonno, senza bisogno di pescarselo da soli. Però la situazione peggiora ancora, anche il tonno sembra che stia finendo, vedendo certi documentari, con il rischio che le scatolette restino vuote, vuote come i mari. Uhi, uhi, siamo messi male, come facciamo adesso, pensiamo, dicendoci che forse dobbiamo chiedere aiuto ai bambini che con i loro disegni sembrano avere già capito molte cose, forse loro possono salvarci. giacomo sartori Scrittore e agronomo
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Who is going to talk to the kids about it now? Two thousand five hundred years ago our eminent philosophers decided that animals do not have a brain, or at least that they cannot use it, and we immediately convinced ourselves that it was true. We silenced those that dared stating the contrary, such as Plutarch first and Saint Francis later. And since they did not have a brain, or at least they didn’t use it, we have more recently slaughtered chickens, pigs and calves on an industrial scale, without even thanking them, and without any qualms. In order to feed them we empty fields and seas, which is a bit like giving heaps of caviar to a dog, and then eating the dog itself, instead of eating the caviar in the first place. It seemed like a good system, the experts stated it was a good system indeed, but we now realize we are in trouble. We are in deep trouble, as animals are becoming extinct, and natural resources are drying up. Auch! We are in a bad place! Who is going to talk about it to the kids-who-draw-animals, we ask ourselves. We are not doing well, but we make our best to do even worse. We spend a startling amount of money to exterminate bees and worms and to mill flours too poor to bake bread. Then we give these to animals, while starving billions of people that, differently from us, respect bees and worms and grow good products. If this wasn’t enough, we pour heaps of money into exterminating ladybirds and butterflies, into growing flavourless apples and shatterproof tomatoes which taste like a greenhouse’s metal pipes. Someone would better speak about this to the kids-who-draw-animals, they do see we are making all these disasters, you can see it in their drawings, we tell ourselves.
Let’s go further: our experts (who are paid by the companies who produce the poisons that exterminate animals and bugs) tell us that there are no alternatives: ultimately, these are the methods to follow. We squander lots of money and resources to wipe out any animals living on the earth or in the sky, without thinking that without them Earth will die. We don’t seem to take into account that without bees plants will not reproduce, and if they don’t reproduce (or at least make fruits) we cannot eat them. In order not to think about it we sprawl in front of the television to distract ourselves. Urgh! We cry out when we come across certain documentaries. It’s a real mess, we need to do something here, we tell ourselves, who’s going to talk to the kids who-draw-nice-things, but can also foresee the coming disasters? After having repeated for about two thousand five hundred years that animals are stupid, some scientists have now discovered that crows are not that empty-headed after all, not even mice are, not to talk about octopuses who have got neurons in their arms. Wow! They really ARE intelligent! Our scientists tell us as they observe crows interacting with a touchscreen. As we keep watching documentaries, we start doubting that animals are that different from us as we have assumed for about two thousand five hundred years. We need to talk to the kids, they are going to get mad at us if they discover we are responsible for this mess, we tell ourselves. We cheer ourselves up by eating half a roast chicken that has swallowed stacks of caviars alone, or sardines grinded into sardine powder. And if we still feel a bit low, we bring home a
cat or a dog, and we feed them with canned food made with chickens that swallowed stacks of fishes fished in an empty sea. These cans could feed half of those farmers starved by our animal-killing cultures, but we’d rather think about our cat (of course not about all the cats in the Country): it doesn’t seem stupid at all. Alternatively, in order to feel better we open a tuna can, it’s sufficient to pull the easy-open end, we don’t even need to fish the tuna ourselves. But it gets even worse: as we watch certain documentaries we realise the sea is running out of tunas; cans might remain empties, as the sea already is. Argh! We are doomed, what shall we do now? We think, realising that perhaps we should ask children for some help. By looking at their drawings it looks like they have already understood many things, perhaps they can save us. giacomo sartori Writer and agronomist
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Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Small and tiny ones
Eugenio Montale
Piccoli e piccolissimi
L’ape Linda Siegal, 6 anni Welleshey, Massachusetts, USA 1967 Tecnica mista, 30x45,5 cm FA 18
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Senza titolo Takada, 4 anni Giappone 1969 27x38 cm FA 80
Tane come labirinti Riccardo Andreoli, Noemi Maggiori, Martina Mezzolla, Alishan Neziri, 9 anni Nave (BS), Italia 2018 Tecnica mista, 50x65 cm FA 7661
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Viaggi sotterranei Luca Gavazzi, Rashid Kainat, 9 anni Nave (BS), Italia 2018 Biro, 107x43 cm FA 7663
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Senza titolo Fujii Jinsei, 10 anni Tokyo, Giappone 2016 Tecnica mista, 19x54 cm FA 7271
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Il ragno sta pungendo mia sorella e poi l’hanno catturato Francesca Rota, 6 anni Casto (BS), Italia 1999 Tecnica mista, 42x59 cm FA 79
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Lepidottero Absslem Belachad, 11 anni Rezzato (BS), Italia 2008 Grafite e acquerello, 23,5x12,5 cm FA 5325
Si dà il caso che io sia qui e guardi. Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell’aria ali che sono soltanto sue e sulle mani mi vola un’ombra, non un’altra, non d’un altro, ma solo sua. A tale vista mi abbandona sempre la certezza che ciò che è importante sia più importante di ciò che non lo è. Wislawa Szymborska
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Se nel solaio un giorno un gatto nero vede un filo di luce e con la zampa lo acchiappa e lo tira e lo aggroviglia e lo ammassa in confusa matassa speriamo davvero che quel filo di luce si strappi prima che disfi il sole il gatto nero. Roberto Piumini
In casa e dintorni
At home and outside
I gatti Hani A., 3 anni e 11 mesi Beirut, Libano 1967 Tempera, 46x54 cm FA 140
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Il gatto AndrĂŠe Pundel, 6 anni Lussemburgo 1964 Tempera, 34x41,50 cm FA 54
Tigrotto Mirko Uggeri, 6 anni Padenghe (BS), Italia 2010 China, 70x50 cm FA 5768
Supergatto Lalla Fratini, 7 anni Rezzato (BS), Italia 1976 Tecnica mista, 22,5x31,5 cm FA121
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Il mio gatto Stephen Schweitzer, 9 anni New South Wales, Australia 1963 Tecnica mista, 25x38 cm FA 11
Il topo di biblioteca Stefano Bevilacqua, 10 anni Virle - Rezzato (BS), Italia 1982 Pastelli a cera, 25x37 cm FA 3249
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Senza titolo Risto Rautio, 7 anni Helsinki, Finlandia 1965 Pastelli a olio, 30x42 cm FA 52
Chi mi adotta? Claudio Farina, 12 anni, Pralboino (BS), Italia 2002 Matite colorate, 24x33 cm FA 5164
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Un cane speciale Mattia Rospetti, 11 anni Montecatini (PT), Italia 2017 Matite colorate, 21x29,5 cm FA7600
Senza titolo Deniska UriankovĂ , 5 anni e mezzo Chanovice, Repubblica Ceca 2006 Tecnica mista, 29,8 x42 cm FA 5264
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Il re dei maiali Simone Carrera, 6 anni Leno (BS), Italia 2012 Tecnica mista, 35x50 cm FA 5095
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Visita alla fattoria Cristian Lanfranchi, 7 anni Pavia, Italia 1984 Pastelli a cera, 30x40 cm FA 124
La mia mucca è turchina si chiama Carletto le piace andare in tram senza pagare il biglietto. Confina a nord con le corna, a sud con la coda. Porta un vecchio cappotto e scarpe fuori moda. Gianni Rodari
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Mucca indiana Sarabjit Singh, 9 anni Verolanuova (BS), Italia 2004 Tempera, 21x29,5 cm FA 4739
Senza titolo Diallo Mahawa, 16 anni Kendougou, Senegal 2008 Tecnica mista, 21x31,5 cm FA 6092
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I galli Eric Ragot, 10 anni Lima, PerĂš 1986 Tempera, 48x65 cm FA 50
In gabbia gli uccellini soffrono Diego Cirelli, 9 anni Brescia, Italia 1998 Pennarelli, 24x32 cm FA 4357
Galline Imakulata, 6 anni Tanzania 2015 Matite colorate, 29,5x 21 cm FA7134
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Nella natura e nella fantasia La giraffa ha il cuore lontano dai pensieri. Si è innamorata ieri, e ancora non lo sa. Stefano Benni
In nature and in the imagination
La tigre Gal Rosensaft, 13 anni Gerusalemme, Israele 2000 Pastelli a olio, 33x50 cm FA129
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La tigre torna a casa Marta Acuña, 9 anni Lima, Perù 1986 Tempera, 31x47 cm FA 152
Una tigre nella foresta John Morgan, 11 anni Liverpool, UK 1963 Tempera, 56x77 cm FA43
Fotografar la tigre nella foresta negra non è un’impresa allegra quando la tigre è magra. Toti Scialoia
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Il leone e l’uccellino Lavoro di gruppo, 5 anni Rovato (BS), Italia 1995 Pennarelli, 29,5x42 cm FA 127
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Leone Matteo Feriani, 7 anni Esenta di Lonato (BS), Italia 1994 Tempera, 50x70 cm FA 4160
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Una bestia si aggira nella giungla Sally Wratten, 14 anni Oxford, UK 1963 Stampa a timbri, 66x50 cm FA 3916
Animali d’Africa Tina Mbuva, 14 anni Nairobi, Kenya 1980 Tempera, 50x70 cm FA 153
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Le giraffe Monica Rognoni, 7 anni Pavia, Italia 1980 Pastelli a olio, 33x48 cm FA 97
Cavalli Lorenza Bianchetti, 11 anni Montichiari (BS), Italia 1972 Linoleografia a 3 colori, 21,5x29 cm FA 93
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Il cervo Gary G. Orndoff, 7 anni Maryland, USA 1967 Tempera, 46x61 cm FA 91
Ambiente pulito Minga Nuru Sherpa, 11 anni Lukla, Nepal 2016 Tenica mista, 40x28 cm FA 7585
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71 Senza titolo Gustavo Ramon Veron, 9 anni Asunciòn, Paraguay 1962 Tecnica mista, 25x35,5 cm FA 12
Scimmia Theo Guatta, 7 anni Guidizzolo (MN), Italia 2011 Biro nera, 21x29,5 cm FA 5951
Gorilla Muhire, 8 anni Kingi, Rwanda 2011 Biro e grafite, 20x31,5 cm FA 6006
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Il lupo di cappuccetto rosso Kaur Amarjoot, 6 anni Verolanuova (BS), Italia 2002 Pennarelli, 21x29,5 cm FA 4924
L’elefante e gli amici della foresta Murai Miho, 8 anni Tokyo, Giappone 2016 Tempera, 49,5x 64,5 cm FA 7326
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Animali preistorici Giordano Olivari, Andrea Zana, Michele Motta, 7 anni Brescia, Italia 1981 Pastelli a cera, 50x70 cm FA 3875
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77 Uno + uno + gli altri Lavoro di gruppo, 7 anni Brescia, Italia 2017 Tecnica mista, 69,5x49,5 cm FA 7622
Senza titolo Damiano Mirò Serafini, 8 anni Sala Bolognese (BO), Italia 2008 Tecnica mista, 21x29,5 cm FA 5414
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In aria e in acqua
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E uccelli, uccelli, uccelli, col ciuffo, con la cresta, col collare: uccelli usi alla macchia, usi alla valle: scesi, dal monte, reduci dal mare: con l’ali azzurre, rosse, verdi, gialle: di neve, fuoco, terra, aria le piume: con dentro il becco pippoli e farfalle. Giovanni Pascoli
Underwater and up in the air
Senza titolo Marco Temponi,13 anni Rezzato (BS), Italia 2004 Puntasecca, cm 10x15,5 FA 5844
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Rondine Davide Cervati, 4 anni e 7 mesi Verolavecchia (BS), Italia 2008 Tempera, 42x30 cm FA 5862
Giardino degli uccelli Shu Ya Guan,11 anni Pechino, Cina 2006 Inchiostri colorati su carta di riso, 40x60 cm FA 4776
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Zoo Walter Brand, 10 anni Germania, 1969 Pennarelli, 40x30 cm FA 56
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Per saltar di palo in frasca, vi dirò che amo la pesca, ho uno squalo nella vasca, schizza l’acqua, fa burrasca: spero bene che non esca. Toti Scialoia
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Senza titolo Kawasaki Sora, 9 anni e Naitou Koyuki, 11 anni Tokyo, Giappone 2015 Matite colorate, 54,5x78,5 cm FA 7323
Senza titolo Christopher Otieno, 15 anni Korogocho, Nairobi, Kenya 2005 Pennarelli, 21x29,5 cm FA 4840
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Ippocampo Manuela Paoletti, 13 anni Brescia, Italia 1996 Tecnica mista, 48x33 cm FA 3886
I granchi Jean Lequerque, 5 anni Parigi, Francia 1979 Tecnica mista, 44x60 cm FA 51
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Animali Animati
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Piccolo Bruco
Una formica un po’ così
Animazione della plastilina, durata 5’ Produzione Fondazione PInAC 2010 Liberamente tratto da un racconto di Mario Lodi, illustrato, animato e raccontato dalle bambine e dai bambini di 5 anni della scuola dell’infanzia Aldo Moro di Rezzato, condotto da Vinz Beschi e Irene Tedeschi con Sandra Cimaschi e Silvia Palermo.
Animazione della plastilina, durata 3’33’ Avisco 2011 Tratta dall’omonimo racconto di Tullio Corda la breve animazione, realizzata con i bambini di 5 anni della scuola dell’infanzia di Botticino Sera, racconta l’avventura di una formica un po’ così che voleva essere diversa dalle altre a tutti i costi. Condotto da Vinz Beschi.
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Brutti mostri pelosi
Respira il brulichio della vita
Animazione della plastilina, durata 5’12’ Comune di Senago, Avisco 2009 Giochi d’animazione per animare mostruosi animali inventati. Condotto da Vinz Beschi e Irene Tedeschi.
Animazione della plastilina, durata 3’34’’ Produzione Fondazione PInAC 2014 Gli alberi sono casa e riparo di molti animali, e anche quando l’albero muore diventa fonte di vita per moltissimi piccoli insetti. Condotto da Vinz Beschie e Irene Tedeschi con i ragazzi di 1E secondaria di primo grado di Rezzato, insegnante Mariella Foresti.
What is PInAC?
PInAC (Pinacoteca Internazionale dell’Età Evolutiva Aldo Cibaldi) è un museo dinamico internazionale che raccoglie, studia e promuove l’espressività infantile. Fondata da Aldo Cibaldi negli anni Cinquanta, conta oggi oltre 7.500 opere provenienti da 76 paesi. La PInAC è una collezione viva: le opere in archivio raccontano emozioni, pensieri e speranze di migliaia di bambini ed educano al rispetto dei diritti di tutti. È una raccolta in continua crescita che accoglie e promuove anche le forme espressive offerte dalle tecnologie digitali. La PInAC è un centro di sperimentazione creativa che sostiene il diritto all’espressione e all’arte per tutti. Collabora con artisti, pedagogisti, filosofi, insegnati e studenti nella prospettiva di un sistema formativo integrato.
PInAC (Pinacoteca Internazionale dell’età evolutiva Aldo Cibaldi) is a dynamic international museum that collects, studies and promotes the expressivity of children. Founded by Aldo Cibaldi in the 1950s, today it contains over 7,500 artworks coming from 76 countries. PInAC’s collection is alive: the artworks from its archives portray the emotions, thoughts and hopes of thousands of children and they educate to respect everyone’s rights. It is a collection that keeps growing and welcomes the expressive language offered by digital technologies. PInAC is a centre for creative experimentation that supports the rights to art and expression for everybody. It collaborates with artists, pedagogists, philosophers, teachers and students within an integrated educational system.
Che cosa fa?
What does PInAC do?
Raccoglie, studia e cataloga gli elaborati espressivi realizzati dai bambini. Allestisce mostre ed eventi in collaborazione con enti pubblici e privati per valorizzare le opere e l’espressività infantile. Promuove l’avvicinamento all’arte e all’espressione creativa dei più giovani in collaborazione con artisti. Costruisce offerte formative per insegnanti ed educatori nell’ambito dell’educazione estetica ed interculturale. Organizza incontri e atelier artistici per famiglie, genitori e adulti curiosi. Accoglie pubblici con specifiche necessità di accesso.
It collects, studies and catalogues the artwork realized by children. It sets up thematic exhibitions and events in collaboration with public and private bodies in order to increase the appreciation of childhood expression. It promotes children’s and young adults’ approach to creative expression in collaboration with artists. It designs training programmes for teachers and educators in the areas of aesthetic and intercultural education. It organizes events and workshops for families, parents and adults. It welcomes visitors with specific access needs.
RezzatoBs
Fondazione
Finito di stampare nel settembre 2018 da Colorart, Rodengo Saiano, BS
Pinacoteca Internazionale dell’età evolutiva Aldo Cibaldi Via Disciplina 60, 25086 Rezzato (Bs) Italy tel./fax +39 030 2792086 info@pinac.it www.pinac.it Chiuso il lunedì. Da martedì a domenica, aperto il mattino dalle 9,30 alle 12. Sabato e domenica pomeriggio, dalle 15 alle 18. In altri orari su appuntamento.
€ 8,00
ISBN 978-88-942856-2-8
Cos’è la PInAC?