Io abito qui

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Io abito qui

Case, capanne, tende e palazzi dei villaggi del mondo nelle opere della PInAC

RezzatoBs

Fondazione

Io abito qui


Quaderno-catalogo n. 26 anno XV Collana della Fondazione PInAC GLI OCCHI LE MANI A cura di Elena Pasetti e Massimiliano Vitali Testi di

In collaborazione con

Mariella Foresti

presidente Fondazione PInAC Domenico Simeone

professore ordinario di Pedagogia generale e sociale Università Cattolica del Sacro Cuore. Consigliere Comitato scientifico PInAC

Direzione generale per lo studente, l’integrazione, la partecipazione, la comunicazione

Fausto Lorenzi

giornalista esperto di arte contemporanea. Consigliere Comitato scientifico PInAC Beppe Pasini

psicologo, psicoterapeuta e pedagogista sistemico. Pedagogia sperimentale dip. Medicina e Chirurgia di Brescia, Università di Milano Bicocca dip. di Scienze della Formazione. Consigliere Comitato scientifico PInAC Armida Gandini

artista. Docente dip. di Arti Visive, Accademia LABA di Brescia, specialista d’immagine nelle scuole infanzia e primaria. Consigliera Comitato scientifico PInAC Monica Amadini

professore associato in Pedagogia, Università Cattolica di Brescia, Scienze della Formazione, area infanzia. Consigliera Comitato scientifico PInAC Elena Pasetti

presidente Comitato scientifico, direttrice PInAC

Traduzioni: Nicola Arti Grafica: Luisa Goglio Segreteria e web editor: Massimiliano Vitali Accoglienza: Nicola Arti, Laura Attanasi, Luca Reboldi Digitalizzazione opere: Carla Cinelli, Saverio Dottor, Claudio Garda Proposta bibliografica: Marina Parma

Con il patrocinio di

Con il sostegno di


Io abito qui

RezzatoBs

Fondazione

Case, capanne, tende e palazzi dei villaggi del mondo nelle opere della PInAC


Gli occhi sul mondo

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on è la prima volta che Fondazione PInAC affronta in una mostra il tema dell’abitare. È avvenuto anni fa con “Dentro il villaggio”. Certo il tema proposto dal nostro Comitato Scientifico, cruciale ed eterno, si colora di speciale urgenza in questi tempi di migrazioni epocali di tante popolazioni che, raramente per scelta, soprattutto per storiche dolorose necessità lasciano le loro case e ne cercano di nuove, trovando per lo più muri e cancellate, porte e cuori blindati, antifurti. Mentre osserviamo i lavori dei bambini e delle bambine, mentre le linee e i colori ci trasportano nei loro tanti diversi mondi, a noi adulti resta, insieme alla gioia degli occhi e al sussulto della coscienza, l’incombenza di pensare. Quale casa abbiamo apparecchiato, che dimora intendiamo approntare per i figli in questo nostro pianeta? Cosa rende tale una casa lo sappiamo per esperienza. Nella nostra volevamo sia essere amati sia essere liberi di andarcene, tutto insieme. La casa si qualifica per le sue aperture, porte e finestre da varcare nei due versi: per essere accolti e tenuti, per traguardare alla ricerca di orizzonti e obiettivi, per partire e poter tornare. Se non puoi lasciarla non è casa: è prigione, è campo di concentramento o campo profughi. È Gaza. Per abitare il pianeta come una vera casa abbiamo il dovere e la responsabilità di dare sicurezza e vita, pane e diritti, scuola e cultura a tutti i suoi abitanti. Allarghiamo la nostra umanità. La mostra ci aiuta a guardare, attraverso gli occhi e i lavori dei suoi bambini, le 4


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tante stanze della nostra comune casa, la Terra. Quanti modi di abitare, quanti sguardi sul mondo, quanti mondi nel mondo! Vi aspettiamo. La porta di PinAC, le braccia della casa dei disegni e dei diritti delle bambine e dei bambini del mondo sono aperte: siete i benvenuti. mariella foresti Presidente Fondazione PInAC

Eyes on the world This is not the first time PInAC Foundation deals with the theme of living in an exhibition. It happened years ago with “Dentro il villaggio”. Certainly the theme suggested by our Scientific Committee, critical and eternal, turns especially urgent in these times of epochal migrations of many populations that, rarely for choice, but mostly for historic dramatic necessities, leave their houses looking for new ones, usually finding walls and railings, armored doors and hearts, alarm systems. While observing the works of children, while lines and colors bring us to their many different worlds, to us adults there is, next to the joy of our eyes and the shock of conscience, the duty of thinking. Which kind of house do we have set, which kind of house do we intend to prepare for our children on this planet? We all know by experience what defines a house. In our house we both wanted to be loved and to feel free to leave, all at once. The house distinguishes itself from its openings, doors and windows walkable in both senses: for being accepted and held,

to consider new horizons and targets, to leave and be allowed to return. If you can’t leave it, it is not home: it is a prison, a concentration or a refugee camp. It is Gaza. In order to live the planet like a proper house we have the duty and the task of giving safety and life, food and rights, school and culture to every citizen of the world. Let’s widen our humanity. The exhibition helps us to watch, through the eyes and the works of its children, the many rooms of our common house, the Earth. How many ways to live, how many glances on the world, how many worlds in the world! We look forward to seeing you. PInAC’s door, the arms of the house of the drawings and the rights of the children of the world are wide open: you are all welcome. Mariella Foresti President of PInAC Foundation


Io abito qui

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La casa è il luogo delle relazioni e degli affetti, è un punto di riferimento da cui partire e a cui tornare, è «il nostro angolo del mondo»1, come scrive G. Bachelard, che ci permette di mettere radici, di sentirci radicati. È un punto di riferimento spaziale ed emotivo che dice della nostra appartenenza e della nostra identità. Ogni casa è uno spazio vissuto che si colora di emozioni, sentimenti, sensazioni e rimanda a suoni, rumori, odori, profumi, luci ed ombre che la rendono unica e familiare. La casa esprime la vita che vi si svolge, porta le tracce visibili di chi la abita e al tempo stesso la sua architettura è il frutto di una cultura maturata nei secoli. La casa è un luogo che conosciamo e riconosciamo come “nostro” e al tempo stesso è uno spazio in cui siamo riconosciuti. La casa è, anche dal punto di vista simbolico, il luogo della cura, lo spazio della sicurezza, della protezione, della familiarità e dell’intimità. Così come la sua mancanza, la sua distruzione, la sua violazione o la sua perdita rappresentano un attacco profondo all’identità della persona. La casa con i suoi spazi, i suoi arredi, i suoi oggetti esprime la vita che vi si svolge, descrive le relazioni che la abitano. Al tempo stesso la spazialità interna non può essere separata dalla spazialità esterna. La finestra e la porta assumono un significato particolare nel rapporto tra interno e esterno. La soglia separa e al tempo stesso collega il privato e il pubblico, la soglia chiude e al tempo stesso apre lo spazio dell’intimità allo spazio delle relazioni sociali. La soglia simboleggia una zona di passaggio pedagogicamente significativa perché permette l’entrare e l’uscire dalle relazioni,

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G. Bachelard, La terra e il riposo (1948), Red, Milano 1994

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per questo diventa fondamentale modulare la dinamica interno/esterno con soglie che non siano fisse, statiche, rigide, ma che mantengano la loro elasticità e la loro dinamicità. Inoltre la casa è sempre collocata in un contesto, in un territorio, in una cultura. Ciò che sta intorno alla casa contribuisce a definirla e al tempo stesso la mette in relazione con altre case e costruisce il villaggio, il quartiere, la città… e permette di dire «Io abito qui». Domenico Simeone Comitato scientifico Fondazione PInAC

I live here

G. Bachelard, La terra e il riposo (1948), Red, Milano 1994

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The house is the place of relations and affections, it’s a benchmark from where you can leave and return, it’s “our corner of world”1 as written by G. Bachelard, who allows us to put down roots, to feel settled down. It’s a spatial and emotional landmark that refers to our belonging and identity. Each house is a lived space colored by feelings, emotions, and recalls sounds, noises, smells, perfumes, lights and shadows that make it unique and familiar. The house expresses the life lived in there, brings the visible marks of its residents and at the same time its architecture is the result of a secular culture. The house is a place we know and identify as “ours” and at the same time it is a place in which we are recognized. The house is, also from a symbolic point of view, the place of care,


the space of safety, protection, familiarity and intimacy. As its absence, its destruction, its violation or its loss represent a deep attack to the identity of an individual. The house with its spaces, furniture, its objects expresses the life lived in there and describes relations that develop there. At the same time the inner dimension cannot be distinguished from the external one. The window and the door assume a particular significance in the relation between inside and outside. The threshold separates and at the same time connects the private to the public, closing and opening the space of intimacy to the space of social relations. The threshold represents a pedagogically relevant transition area because it allows the entrance and the exit of relations, and for this reason it is fundamental to modulate the inside/ outside perspective through flexible and dynamic thresholds, that has not to be fixed, static or strict. Moreover the house is always placed in a context, in a territory, in a culture. Everything towards the house contributes to define it and at the same time puts the house in relation with the other houses, and builds the village, the neighborhood, the city‌ and allows us to say “I live hereâ€?. Domenico Simeone Scientific Committee of PInAC Foundation

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Le case disegnate dai bambini

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e case disegnate dai bambini fanno pensare alla rivoluzione di Giotto nella Basilica d’Assisi, quando abbandonò le forme araldiche e stilizzate della tradizione greco-bizantina, in nome della collocazione delle figure in concreto rapporto con lo spazio fisico. Le edicole in cui ambientò gli eventi sacri erano raccolte, essenziali, persino ristrette, ma erano davvero vissute, abitate, fatte di relazioni e incontri fondamentali. Le case disegnate dai bambini spesso non sono una barriera ma un filtro verso lo spazio esterno, il giardino, il villaggio, la città, che altro non sono che una casa più grande, altrettanto destinata alla vita delle famiglie, degli amici, dei vicini. Ci ricordano che la casa è un organismo vivente nutrito di affetti, bisogni, stati d’animo. E altrettanto insegnano, a noi che parliamo tanto di identità di una città – la casa più grande – che questa non è tanto un problema di zonizzazioni, di traffico, d’arredo, ma uno spazio esistenziale che deve essere tutto percorribile, così da sentirlo stendersi sotto e attorno ai nostri passi, così da generare un rapporto che deve essere felice perché ci si sente parte di qualcosa che nasce, cresce, ci parla e ci emoziona. Nell’insieme i disegni raccolti in «Io abito qui» offrono una grande metafora dell’abitare, del luogo in cui confluisce la nostra identità, che viene prima del costruire: abitare come consapevolezza che la vita umana non si limita all’arco di una sola esistenza, e da qui una fiducia ostinata nella continuità della vita e degli affetti. Ma cosa accade se i disegni diventano spaesati perché parlano di minaccia e di perdita della casa, della patria? Nella fuga e nell’esilio l’insicurezza mina l’identità di


chi non ha più un luogo dove stare, ma resta la nostalgia di uno spazio intimo e ben protetto, come un grembo, tracciato con i segni di una lingua materna. E poi? Poi, come annotava più di cent’anni fa un grande artista, Paul Klee, nel disegno, nell’arte, «si può ricominciare da capo». Si può reinventare il mondo, e fare in modo che i segni coincidano con le cose, se si è capaci di ritrovare lo stesso potere di vedere che è concesso ai bambini. Guarda caso, alcune di queste case sono piene di schermi tecnologici, ma non negano spazio a un angolo protetto, e ai vuoti che l’immaginazione, il sogno e l’illusione possono riempire. Fausto Lorenzi Comitato scientifico Fondazione PInAC

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The houses drawn by children The houses drawn by children make us think about Giotto’s revolution in the Assisi’s Cathedral, when he left the GreekBizantines heraldic and stylized forms and preferred to position figures in a concrete relation to the physical space. The aedicules where he set sacred events were cozy, essential, even tight, but really lived, inhabited, made up of relations and fundamental meetings. Often the houses drawn by children aren’t an obstruction, but a filter towards the outside space, the garden, the village, the city, that after all are a bigger house, addressed in the same way to the life of families, friends, neighbors. They remind us that the house is a living organism fed by affections, necessities, moods. And in the same way children drawings teach us (the adults who insist on focusing on the identity of a city) about the biggest house, that is not ruined by problems such as zoning, traffic, furniture, but is an existential space that must be totally walkable, we must feel it lying down under and around our steps, in order to produce a relation that has to be joyful because we feel as a part of something that arise, grow, speak and make us emotional. Together, the drawings collected in “Io abito qui” offer a big

metaphor of living and of the place in which our identity flows, both things coming before building a space: living as a consciousness that human life is not only restricted to the time frame of our existence, and from here a tenacious faith comes to the continuity of life and affections. But what happens if the drawings become confused because they recount about threat and loss of house, or homeland? In a condition of escape and exile, insecurity weakens the identity of who has no more a place to be, but the nostalgia of an intimate, well protected space, like a native tongue marked womb, still remains. And then? And then, like a great artist, Paul Klee, wrote more than a hundred years ago: in the drawing, in the art “you can start all over again”. You can reinvent the world, and ensure that those marks correspond to the real things, if you are able to recover the same power to see that is given to the children. Oddly enough some of these houses are full of hi-tech screens, but they always allow space to a protected spot, or to an empty space that imagination, dream and illusion can fill. fausto lorenzi Scientific Committee of PInAC Foundation


La casa dove sono nato

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a casa dove sono nato sorgeva sul limitare della sterminata campagna, affettuosa geografia dell’ infanzia in cui celebravo stagioni infinite con i compagni di gioco. Ardita e imponente, su tre piani, di un giallino anni ’60, cinta sul davanti dal giardino di ghiaietto, decorato con alcune aiuole di pietra grigia addobbate dai tulipani rossi che nonno Riccardo portò con sé dall’Appennino emiliano e che ogni anno a primavera miracolosamente rispuntavano. Tutto intorno il bel pergolato di vite l’avvolgeva di profumo di grappoli di uva regina corteggiati a settembre dalle api e poi ritualmente dalla nostra vendemmia. Sul retro, verso il borgo vecchio, lungo la rete, stava il grande orto con le colle che straripavano di pomodori, cetrioli, insalatina, ravanelli. Nei pomeriggi afosi mi ci riparavo cercando un po’ di frescura e andando a caccia di lucertole. Era l’avamposto del nuovo quartiere che di lì a pochi anni sarebbe sorto rombando di progresso. Me la ricordo con i muri caldi adagiata nel frinire delle sere estive colme di lucciole che fluttuavano sfiorando l’acqua del fosso e tra i filari di gelsi; o d’inverno, imbacuccata di neve che ci sorprendeva al mattino con gli occhi pieni di silenzioso stupore e pozzanghere gelate che crepitavano al passaggio delle auto lungo la strada sterrata che lambiva il garage. Era l’orgoglio dei nonni materni. Con l’aiuto dei figli, l’avevano comperata grazie al lavoro alla trattoria di Ghedi, tirando sfoglia ambrata e lasagne col mattarello, durante gli anni del dopoguerra, quando si fuggiva dalla povertà e c’era voglia di far festa. Gli spazi che più amavo erano il solaio in cui mio padre riparava vecchie radio e trafficava visionario con la camera oscura e la cantina, colma di arnesi per l’orto, botti di rovere e tintinnio di

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bottiglie. Con una torma di amici vicini di casa vi inventavamo paurosi percorsi per sfidare il buio e organizzare guerre tra bande con il colapasta in testa. Interi pomeriggi di iniziazioni alla vita nei quali imparavamo a diventare grandi, ma non ce ne accorgevamo. Seguendo con gli occhi i segni colorati di questi bimbi che raccontano di tanti spazi domestici, si ritrova anche la propria di casa; grande come un foglio bianco, costruita con una matita spuntata, seguendo le linee colorate della memoria. È lì che abitiamo. beppe pasini Comitato scientifico Fondazione PInAC

The house where I was born The house where I was born rose on the limit of a boundless countryside, an attached geography of my childhood, in which I celebrated endless seasons with my friends. Audacious and majestic, it was a three floors, 60’s yellowish house, fenced on the front by the gravel garden, decorated with some gray stone flowerbed dressed by red tulips that grandpa Riccardo brought from the Emilian Appennine and which miraculously used to sprout every year at spring. All around the fine grape arbor used to wind up the house with the fragrance of the white bunch of grapes suited in September by honeybees and then by our ritual harvest. On the backyard, towards the old village, by the wire net there was a big vegetable garden with the lines full of

tomatoes, cucumbers, salad and radish. In the hot afternoons I used to take shelter there looking for some coolness and hunting lizards. It was the outpost of the new neighborhood that soon would have risen roaring of progress. I remember the hot walls of the house in the chirp of summer evenings, surrounded by fireflies floating and skimming the ditch water between the mulberry rows; or during winter, when the house was muffled up by the snow that used to surprise us – our eyes full of silent amazement – and frozen puddles crackling under cars passage along the unsurfaced road towards the garage. That house was the pride of my maternal grandparents. With the help of their sons they had bought it thanks to the work at their


restaurant in Ghedi, rolling out amber pastry and lasagne in the postwar years, when everybody tried to run away from poverty and just wanted to have some fun. The places I loved the most were the attic, where my dad used to repair old radios and to bustle about his darkroom as a daydreamer, and the basement, full to the brim of tools for the vegetable garden, oak barrels and bottles jingling. Together with a crowd of neighbors we used to imagine fearsome paths for challenging the dark and to organize wars between gangs with a colander on our head. Entire afternoons of initiation to life in which we were learning how to become adults without noticing it. Following with our eyes the colorful marks of these children that recount about so many domestic spaces it’s possible to find again our own house; as big as a white sheet of paper, built with a broken pencil, following the colorful lines of memory. It is there where we live. beppe pasini Scientific Committee of PInAC Foundation

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Il profumo di una stanza

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o preso l’abitudine, ogni qual volta visito un museo o una mostra, di individuare tra le opere quella che mi porterei a casa; è un modo giocoso per capire in quale direzione vadano le preferenze del momento e perché proprio quell’immagine catturi la mia attenzione, al punto da spostare in secondo piano dei Rembrandt o dei Picasso. Così, visionando in anteprima i disegni dell’archivio destinati alla mostra Io abito qui, l’occhio mi è caduto sulla sarta di Raffaella1 con naturalezza, ma anche con molta forza emotiva. Non mi è stato difficile capirne il motivo: l’atmosfera crepuscolare, il gusto per la texture che diventa tappezzeria mi rimanda a Bonnard, al calore dei suoi interni pastosi, vibranti di colore, eppure delicati. Ma non è solo questo. L’immediata associazione all’estetica simbolista – interpretazione per altro molto rischiosa nell’approcciare un disegno infantile – poteva incuriosirmi, ma non risuonare in modo così evocativo. Durante la visione si è fatto avanti un ricordo di me bambina solita a trascorrere le giornate accanto a una mamma sarta e ricamatrice, interprete di una sequenza lenta e ripetitiva che procedeva senza rilevanti cambi d’azione. Nel riquadro della stanza ci sono tutti gli elementi che appartenevano alla mia soggettiva, un occhio al quaderno dei compiti e l’altro distratto dal suono della macchina da cucire a pedale, il vapore del ferro da stiro sempre pronto all’uso, la cesta dei rocchetti colorati che tanto accendevano la mia immaginazione. Grazie alla sartina ritorno indietro negli anni alle stanze della mia infanzia, quando la casa coincideva con il mondo e dove abitare significava sentirsi al riparo.

In casa, Raffaella Dipasquale (pagina 36 del catalogo) 1


E dove, nell’ordinarietà quotidiana, la mente poteva spaziare oltre la porta e la finestra fantasticando dimensioni inesplorate. Le stesse raccontate nei disegni esposti, piccoli viaggi vissuti nei limiti di una pagina bianca, così discreti ma immensamente avventurosi. armida gandini Comitato scientifico Fondazione PInAC

The fragrance of a room Each time I visit a museum or an exhibition I got used to choose among the works the one I would like to take home; it’s a light-hearted way to understand in which way my present preferences go and why that image catches my attention to the point of shifting a Picasso or a Rembrandt to the background. In this way, while I was having a preview of the archive drawings addressed to the exhibition “I live here”, my eyes alighted upon the dressmaker by Raffaella1 in a natural way but also with a strong emotional involvement. It was easy to me to understand why: the crepuscular atmosphere, the taste for a texture that turns into tapestry reminds me of Bonnard, of the warmth of his soft, vibrating with colors, but delicate interiors. But there is more than that. The direct connection with the symbolic aesthetic – interpretation that may sound hazardous approaching infant drawing – could arouse my curiosity, but without resounding so evocative. During the vision I recollect a memory of myself as a girl spending my days close to my mom who was a dressmaker and an 16

embroiderer: a clear expression of a slow-going and repetitive sequence proceeding without any relevant action changes. In the frame of the room there are all the elements that used to belong to my personal subjective: one eye on the homework paper book and the other one distracted by the sound of the pedal sewing machine, the steam of an iron always ready to be used, the basket of the colorful reels that turned on my imagination so much. Thanks to the little dressmaker I turn back in years to the rooms of my childhood, when my home coincided to the whole world and where living in meant feeling safe. And where, in everyday life, my mind could roam freely beyond the door and the window, dreaming about unexplored dimensions. The same dimensions showed in the drawings as little journeys lived in the limits of a white page, so delicate but incredibly adventurous.

armida gandini Scientific Committee of PInAC Foundation

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In casa, Raffaella Dipasquale (page 36 in the catalogue)


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I bambini e l’abitare:

forme, significati, relazioni

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abitare esprime in modo emblematico il senso dello stare umano nel mondo e il bisogno di situarsi in esso. L’uomo non solo occupa uno spazio ma, esistendo, lo abita. Abitando si indica il proprio stare e ci si posiziona: si dichiara la propria presenza. In ragione di questa intima connessione tra l’abitare e il senso dell’esistere, possiamo cogliere quanto sia profonda e strutturante l’esperienza dell’abitare nell’infanzia. In questa prospettiva, è importante comprendere i vissuti abitativi dei bambini rispetto ai loro spazi di vita domestici ed extradomestici, riconoscendo la ricchezza simbolica dell’esperienza dell’abitare. Il modo dell’abitare nell’infanzia presenta peculiarità e tratti specifici, condensandosi nelle esperienze sensoriali che ogni bambino compie negli spazi in cui abita. Da parte dei bambini non vi è un’esclusiva designazione cognitiva degli spazi: essi sono accostati attraverso la sensorialità e la sperimentazione, l’emotività e la ludicità, la corporeità e il contatto. Lo spazio che abita l’infanzia è pertanto uno spazio vissuto, prima ancora che essere fisico o geometrico, spazio personale prima che spazio materiale: è spazio, quindi, dell’identità e del riconoscimento. Certamente un luogo si presenta come luogo fisico ma per un bambino è soprattutto cornice di storie e di scoperte, scenario di abitudini, custode di relazioni. Così, ad esempio, la rappresentazione della casa racconta il modo con cui i bambini e le bambine vivono la dimensione familiare, secondo quali codici comportamentali e con quali tonalità emotive.


Misurarsi con la questione dell’abitare nell’infanzia significa quindi trovarsi dinanzi a un dominio molto ampio di significati, che vanno dalla primaria funzione della sopravvivenza alla dimensione esistenziale dell’espressione del Sé, spaziando attraverso una vastità di bisogni e di tensioni: la sicurezza, la protezione, l’appartenenza, il riconoscimento, l’identificazione, ma anche la scoperta, l’avventura, il gioco, il movimento. L’abitare dei bambini è sempre contraddistinto dalla capacità di entrare in relazione con i luoghi, di produrre senso, di trovare occasioni relazionali. monica amadini Comitato scientifico Fondazione PInAC

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Children and living:

shapes, meanings, relations Living expresses in an emblematic way the sense of the human being in the world and the necessity to fit in it. Man does not only occupy a space, but existing, he’s living it. Through living we clarify our being and we get our position: we claim our existence. Because of this close connection between living and sense of existence, we can understand how deep and formative is the living experience during childhood. In this perspective it is important to understand the past living experience of children according to their domestic and extra-domestic life spaces, recognizing the symbolic richness of the experience of living. The way of living during childhood shows peculiarities and specific features, summarized in sensory experiences proper of each child in the places he’s living in. From the children side there’s not a proper cognitive appointment of spaces: they are juxtaposed through the senses, experimentation, emotionality, clarity of mind, physical existence and contact. So the space childhood inhabits is first of all a lived space, and

secondly physical or geometric; a most personal one than a concrete one: it’s the space, then, of identity and recognition. Surely a place is a material place, but for a child is most of all a frame for stories and discoveries, set of habits, guardian of relations. According to that, for example, the portrayal of the house tells us in which way children feel the familiar atmosphere, following behavioral rules with a certain emotional participation. Challenging with the living topic means therefore dealing with a wide field of meanings, that go from the primary purpose of survival to the existential dimension of self-expression, ranging through a large number of necessities and anxieties: safety, protection, membership, recognition, identification, but also discovery, adventure, game and movement. The children living is always marked by the capability to get in touch with places, producing sense and find relational opportunities. monica amadini Scientific Committee of PInAC Foundation


La veduta dipende dallo sguardo1

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a grande tenda allude al deserto del Sahel che la circonda e narra il concetto estremo dell’abitare, l’essenziale riparo in un luogo non facile da addomesticare ma in assoluta libertà di spaziare con lo sguardo [pag. 93]. Di contro, gli stretti e fitti palazzi di Genova, da cui come un miraggio si sbircia il mare, ricordano il massimo dello sfruttamento di una lingua di terra rocciosa su cui è stata edificata la città marinara [pag. 58]. Fra queste rappresentazioni antitetiche si snoda la gamma dell’abitare raccontata dalle opere in mostra e proposte nel presente catalogo. Le abitazioni e il territorio, l’interno e l’intorno, le finestre e le porte che mettono in relazione il dentro e il fuori: queste le tre coppie di parole-concetto proposte, in dialogo con l’Io che, determinato, asserisce il proprio punto di vista, evidenziando la partecipazione attiva degli sguardi di bambine e bambini e la contemplazione estetica di edifici e paesaggi. Largo allora alla vita che i protagonisti rappresentano dentro e intorno a quell’abitare: dagli esseri umani agli animali domestici, dal suolo coltivato a quello selvaggio, in una dialettica di relazioni e di affetti, nostalgia e dolore, desiderio e orgoglio, sogni e concretezza. Segni e colori dichiarano un preciso punto di vista: ora la soggettiva esplicita, ora lo stare alle spalle di chi narra, ora una strizzatina d’occhi, ora una severa denuncia. Il visitatore è invitato ad affiancarsi, indietreggiare, scavalcare, porsi in ascolto. Così avviene di abitare quell’abitare narrato, di perdersi in un luogo che è tutti i 20

1 «Anche se la finestra è la stessa, non tutti quelli che vi si affacciano vedono le stesse cose: la veduta dipende dallo sguardo». (Alda Merini)


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luoghi e nessuno, di ritrovarsi in stanze non proprie sbirciando da finestre e porte socchiuse, di immaginare e ascoltare. Vivacissimo il paesaggio sonoro si anima di umano chiacchiericcio e versi dei piccoli animali domestici. I rumori “di casa” rendono tridimesionali le stanze, il respiro del vento nel giardinetto allarga la vista, la musica andina trascina tutti in una danza felice. Il rombo sordo dei tanks e del bombardiere in missione agghiaccia e strazia il cuore. Cinquantun disegni, due fotografie, tre film d’animazione realizzati da autori tra i 5 e i 16 anni di 20 Paesi del mondo aiutano a compiere un viaggio straordinario e personalissimo, perché il visitatore possa dire alla fine dell’esplorazione: «Anch’io ho abitato qui». Elena Pasetti Direttrice PInAC

The view depends on the gaze1 1 «Even if the window is the same, not all those who look out see the same things: the view depends on the gaze». (Alda Merini)

The big tent alludes to the Desert of Sahel that sorrounds it and recounts the extreme concept of living, the essential shelter in a place not easy to domesticate, with a complete freedom to sweep the horizon [page 93]. On the other hand, the narrow and thick palaces of Genova, from which, like a mirage, you can cast a quick glance at the


sea, remind the extreme exploitation of a rocky strip of land onto which the seaside town had been built [page 58]. The range of living narrated by the exhibition and summarized in the present catalogue are jointed in between these two antithetical representations. The houses and the territory, the interior and the exterior, the windows and the open doors that connect the inside and the outside: three couples of conceptwords, suggested in dialogue with that “self” that firmly states his/her own point of view, underlining the active participation of the children gazes and the aesthetic contemplation of buildings and landscapes. Clear the way to the life that the main characters represent inside and outside that living: from the human beings to the pets, from the cultivated lands to the wild ones, in a dialogue made up by relationships and affections, nostalgia and pain, desire and pride, dreams and substance. Marks and colors state a precise point of view: now an explicit subjective, now a being behind the narrator’s back, now a wink, now a harsh denounce.

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The visitor is invited to come up beside, to move backwards, to overstep, to tune in. According to this he can live on his skin that narrated living, get lost in a place which is everywhere and nowhere, end up again in other people rooms, cast a sidelong glance from slightly open doors and windows. Imagine and listen. Extremely intense, the soundscape gets animated with human idle talk and calls of little pets; the “home sounds” make the rooms three-dimensional, the wind breath in the backyard extends the view and the Andean music carries everybody away in a cheerful dance. The dull rumble of the tanks and the bomber plane in mission petrifies and torments the hearth. Fifty-one drawings, two photographs, three animated films made by 5 to 16 years old authors, coming from 20 countries of the world to help make an extraordinary and strictly personal journey, so that the visitor, at the end of his own exploration, may say: “I lived here too”. Elena Pasetti PInAC Director


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I dwell in Possibility A fairer House than Prose More numerous of Windows Superior – for Doors Io vivo nella Possibilità, una casa più bella della Prosa, di finestre più adorna, e più superba nelle sue porte. Ha stanze simili a cedri, impenetrabili allo sguardo, e per tetto la volta perenne del cielo. L’allietano visite dolcissime. E la mia vita è questa: allargare le mie piccole mani per accogliervi il Paradiso. Emily Dickinson

Of Chambers as the Cedars Impregnable of Eye And for an Everlasting Roof The Gambrels of the Sky Of Visitors – the fairest For Occupation – This The spreading wide of narrow Hands To gather Paradise Emily Dickinson

Interno


La mia famiglia Tomas Kopechy, 11 anni Repubblica Ceca 1993 Tecnica mista, cm 20x30 FA 3841

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Con la mia famiglia Alena Dohnalova, 9 anni Granice, Repubblica Ceca 1995 Pennarelli, cm 33x45 FA 625

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In casa Rahman Abdul Mansour Rashid,12 anni Abyan, Yemen 2014 Matite colorate, cm 42x29,5 FA 7103


Ăˆ notte fonda non riesco a dormire. La mamma mi porta la camomilla Claudia Taufer, 9 anni, Merano (BZ), Italia 1982 Graffito, cm 25x35 FA 171

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Senza titolo Matteo Beschi, 10 anni Brescia, Italia 2012 Matite colorate, cm 16,5x24 FA 6622


La cameretta Gabriel Serrenti, 12 anni Bari, Italia 2013 Tecnica mista, cm 33x24 FA 6771

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Neri i miei pensieri Giuseppe Amendolara, 14 anni Bari, Italia 2013 Pennarello, cm 29,5x21 FA 6933


Da grande farò l’architetto famosissimo Noah Schoenmetzler, 8 anni Barberino Val d’Elsa (FI), Italia 2012 Tecnica mista, cm 24x33 FA 6333

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Interno con gattino Agnes Atieno, 15 anni Korogocho, Nairobi, Kenya 2004 Fotografia, cm 30x40


La mia casa Camilla Mrisho, 10 anni Tanzania 2014 Matite colorate, cm 29,5x21 FA 7127

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35 Senza titolo Alessandro Birgozzi, 11 anni Ravenna, Italia 2013 Matite colorate, cm 33x24 FA 6652


In casa Raffaella Dipasquale, 12 anni Comiso (RG), Italia 1986 Tecnica mista, cm 35x45 FA 787

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Ecco la mia famiglia Veronika Lipkova, 10 anni Repubblica Ceca 1995 Tecnica mista, cm 30x45,5 FA 611


La mia famiglia Lea Kratinova, 12 anni Brno, Repubblica Ceca 1994 Tecnica mista, cm 30x42 FA710

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A casa con la mamma Roberta Cava, 9 anni Merano (BZ), Italia 1984 Pastelli a olio, cm 24x33 FA 190

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Finestre Le finestre di quaranta case son rientrate alla mia stanza. Mi sono seduto su una di esse e ho dondolato i piedi alle nuvole. Potevo dire forse io sono felice Nazim Hikmet

Aperture


La mia famiglia Alessandro Ferrero, 9 anni Torino, Italia 1995 Collage, cm 35x48 FA 371

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“e Zenér l’è co bianc de veciassina töta ’ngrimida, co’ la gossa al nas’’ Matthia Piotti, 9 anni Bovegno (BS), Italia 2014 Tecnica mista, cm 70x50 FA 7064

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L’interesse Ioulia Vinokurova, 14 anni Tula, Russia 2002 Tempera, cm 60x41,5 FA 3156


Dalla mia camera: un quartiere della nostra cittĂ Annalisa Colantonio, 13 anni Brescia, Italia 2006 Matite colorate, cm 24x33 FA4896

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Senza titolo Cristina Vippolis, 12 anni Bari, Italia 2013 Tecnica mista, cm 24x33 FA 6626


Dalla finestra Joshida, 12 anni Osaka, Giappone 1969 Tempera, cm 39x27 FA 2653

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Ritratto Betusho Katajyuk, 14 anni Kyoto, Giappone 1969 Linoleografia, cm 41x30 FA 1654


Senza titolo Klara Benisovà, 14 anni Brezovà, Repubblica Ceca 1993 Tecnica mista, cm 29,8x42 FA 5811

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55 Senza titolo Lenka HotzkĂ , 14 anni Praga, Repubblica Ceca 1993 Tecnica mista, cm16,5x18,8 FA 5830

Senza titolo Atieno Quinter, 13 anni Korogocho, Nairobi, Kenya 2005 Pastelli a cera, cm 21x29,55 FA 4804


La meditazione delle gru Masuyama Yoshiko, 9 anni Kyoto, Giappone 1969 Tempera, cm 36x54 FA 149

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Senza titolo Ariona Alisinani, 8 anni Genova, Italia 2014 Matite colorate, cm 24x17 FA 6494

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Panni ad asciugare Lorenzo Falletti, 11 anni Genova, Italia 2014 Matite colorate, cm 24x17 FA 6492


Senza titolo Alaa Ismail, 13 anni Carmagnola (TO), Italia 2014 Matita, cm 24x33 FA 6909

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Il fumo La piccola casa sotto gli alberi sul lago. Dal tetto sale il fumo. Se mancasse Quanto sarebbero desolati La casa, gli alberi, il lago! Bertolt Brecht

Der Rauch Das kleine Haus unter Bäumen am See. Vom Dach steigt Rauch. Fehlte er Wie trostlos wären dann Haus, Bäume und See! Bertolt Brecht

Intorno


Pomeriggio vicino a casa mia Solesin Priscilla, 6 anni Castion (BL), Italia 1971 Pennarelli, cm 38x49 FA 364

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Cosa prendere con sĂŠ quando si scappa? Oliver Montibeler, 9 anni Postojna, Slovenia 1995 Collage, cm 23x32 FA 549


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Sulla strada Roxana Erika Acuna Gomez, 10 anni Lima, PerĂš 1986 Tempera, cm 55x75

Con la mamma in giardino Isabella Bordogna, 13 anni Cernobbio (CO), Italia 1985 Tempera, cm 35x40

FA 2566

FA 657


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La mia famiglia Zdena Honzova, 12 anni Repubblica Ceca 1995 Pastelli a olio, cm 30x42 FA 471

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Il mio ambiente: paesaggio agricolo Matteo Rota, 7 anni Offlaga (BS), Italia 2006 Tecnica mista, cm 24x33,4 FA 5411


Senza titolo Swati Jayachandran, 11 anni Darjeeling Ambootia, India 2010 Pastelli a cera, cm 28x35,5 FA 5791

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Il mio villaggio FoumarĂ Firandou KonatĂŠ, 13 anni Dakar, Senegal 2008 Matite colorate, cm 21x29,5 FA 6807


Il paese delle meraviglie Lavoro di gruppo, 5 anni Rezzato (BS), Italia 2010 Tecnica mista, cm 24x52,2 FA 5887

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A minha casa tipica Carlito Soares, 11 anni Gleno, Timor Est 2001 Matite colorate, cm 42x29,5 FA 5648


Senza titolo Seyam, 12 anni Kabul, Afghanistan 2010 Tecnica mista, cm 34,7x40,8 FA 6011

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Senza titolo Elshani Lumbardh, 8 anni Durazzo, Albania 2000 Pennarelli, cm 21x29,5 FA 5572

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Esterno con gruppetto Mary Njeri Nduta, 14 anni Korogocho, Nairobi, Kenya 2004 Fotografia, cm 30x40


Cittadina di campagna Linda Bresson, 16 anni Nairobi, Kenya 1983 Tempera, cm 51x63,5 FA 2768

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81 La mia cittĂ Alesa Ivanov, 6 anni Tver, Russia 1996 Tempera, cm 43,3x59,3 FA 5020


Nel convento Lavoro di gruppo: 10 bambine e bambini di anni 10 Camporgiano (LU), Italia 1999 Tempera, cm 50x70 FA 3438

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In motorino sul lungomare Mirko Cortone, 10 anni Bari, Italia 2013 Matite colorate, cm 30x42 FA 6736


Senza titolo Nadir, 5 anni Beirut, Libano 1967 Tempera, cm 50x35 FA 3909

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85 Ragazzi in un cortile Annamaria Molino, 8 anni Asti, Italia 1979 Pennarelli, cm 48x33 FA 4683


Noi fuori casa la mamma sulla porta Clara Rota, 7 anni Pavia, Italia 1986 Pastelli a olio, cm 33x48 FA 588

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La mia casa Massimo Visentin, 6 anni Torino, Italia 1979 Tempera, cm 25x35 FA 377


CittĂ di notte Thomas Zklincrek, 15 anni Varsavia, Polonia 1973 Tempera, cm 70x50 FA 2692

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Un giro in macchina in cittĂ Mark Johnson, 6 anni Regno Unito 1967 Tempera, cm 45,5x61 FA 4684


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Il tempio di Iseh Ni Komang Ayu Anggayani, 8 anni Bali, Indonesia 2015 Tecnica mista, cm 20x29,7 FA 7232

Iseh Ni Komang Ayu Anggayani, 8 anni Bali, Indonesia 2015 Tecnica mista, cm 19,9x29,9 FA 7226


La mia casa Chao Tao Jia, 11 anni Cina 1998 Tecnica mista, cm 39,7x55 FA5178

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Senza titolo Almin Al Said, 12 anni Sahel, Algeria 2011 Tempera, cm 30x40 Fa 6055


Casa dolce casa - Home sweet home Gruppo di bambine e bambini tra i 5 e i 7 anni delle scuole primarie e dell’infanzia del Comune di Senago (MI) guidato da Vinz Beschi e Irene Tedeschi, “La carta si anima 2010 ”. Animazione della plastilina. Durata 5’ 28’’. Case casette casucce casine casone casotte casacce casupole piccole grandi strette lunghe mobili colorate semplici strane vicine lontane. Case… dolcemente… case.

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Signori Architetti Bambine e bambini di 5 anni della Scuola dell’infanzia “Andersen” di S. Polo, Brescia. Laboratorio condotto da Irene Tedeschi, 2010. Animazione della plastilina ispirata dall’omonima filastrocca di Gianni Rodari. Durata 3’ 25”. I piccoli sanno che gli architetti sono quei signori che disegnano le istruzioni per fare i palazzi da dare poi ai muratori che li costruiscono e sanno anche che dentro le case, i palazzi, i quartieri e le città non ci stanno solo i grandi ma anche i bambini!


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Conta delle case Progetto “Cartoni animati in corsia” presso Ospedale dei Bambini di Brescia, 2013/2014. Autori: Haider, Giulia, Antonia, Valentina, Giordano, Shyfu e Noura. Realizzazione AVISCO, animazione della carta. Durata 2’ 12’’ Ispirato dall’omonima conta di Sabrina Giarratana, il breve film racconta delle case, quelle nascoste in ogni dove.


Cos’è la PInAC?

Che cosa fa?

Dov’è?

RezzatoBs

Orari: mart.-ven. 9 -12; sab. e dom. 9.30 -12 e 15 -18 Info e prenotazioni 030 2792086 pinacoteca@comune.rezzato.bs.it www.pinac.it

Fondazione

È un prezioso bene di Rezzato, del Raccoglie, studia e cataloga gli elaborati L’edificio, della seconda metà del territorio bresciano e nazionale. Unica espressivi realizzati dai bambini, Quattrocento, si trova nel centro storico nel suo genere anche in Europa è una in collaborazione con scuole, enti e di Rezzato. Dalla piazza Vantini, sede collezione fortemente segnata dal associazioni interessati a diffondere la del Municipio, salendo a sinistra oltre carattere internazionale, un ponte ideale cultura prodotta dall’infanzia e la sua la chiesa del Suffragio, alla sommità con i bambini e i popoli del mondo intero. visione del mondo. della stretta via Disciplina ecco la PInAC. La collezione storica, fondata da Aldo Allestisce, in collaborazione con enti Appare incorniciata sulla sinistra da Cibaldi negli anni Cinquanta, conta oggi pubblici e privati, mostre tematiche ed un sorprendente angolo di macchia 7.250 opere provenienti da 72 Paesi e eventi capaci di valorizzare la collezione mediterranea e affiancata dal vecchio racconta emozioni, sentimenti, pensieri e storica e approfondire la riflessione lavatoio. Nata come chiesetta dei Frati speranze di migliaia di bambini. sull’espressività infantile. Disciplini è stata scuola elementare, È un museo dinamico internazionale che Favorisce l’avvicinamento di bambine abitazione privata, biblioteca, ed è ora raccoglie, cataloga, studia l’espressività e bambini, ragazze e ragazzi all’arte e l’importante sede della PInAC. creativa dei bambini dei diversi paesi all’espressione creativa. La sala espositiva, arricchita da un affresco del mondo; una collezione viva, che si fa Costruisce offerte formative per di pregevole fattura della Madonna con conoscere attraverso mostre, esposizioni insegnanti ed educatori nell’ambito bambino, presenta un soffitto ritmato di stampare nel settembre da Colorart, Rodengo Saiano, Bsestetica e interculturale. eFinito promozione di convegni; una2016 concreta dell’educazione dalle piccole vele delle volte. Lo spazio è testimonianza del diritto all’espressione Promuove e organizza incontri e atelier idealmente ripartito da alcune colonne, di creativa e all’arte per tutti i bambini, le per genitori, educatori e adulti curiosi che cui quella centrale è originale e di buona bambine e gli adulti interessati; un centro vogliono coltivare il piacere espressivo a fattura. Al piano superiore si aprono un di studi sul segno infantile che tiene conto tutte le età e avvicinarsi alle diverse forme grande spazio-laboratorio e l’ufficio di anche dei ‘pennelli elettronici’ offerti dell’arte. direzione. dalle nuove tecnologie; un centro per la Un piccolo portico invita ad entrare, creatività, che educa alla conoscenza tra mentre l’antico campanile in pietra viva, i popoli e al rispetto dei diritti di tutti, dall’alto, vigila bonario. ciascuno nella propria diversità artisticoculturale; una struttura integrata nella rete culturale dei servizi del territorio: un centro di sperimentazione che collabora con i diversi ordini di scuola Pinacoteca internazionale dell’età evolutiva aldo Cibaldi nella prospettiva di un sistema formativo Via Disciplina 60, Rezzato (Bs) allargato.


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