F4 2014 - A occhi chiusi

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A occhi chiusi

FFF—Exhibition



A occhi chiusi

FFF—Exhibition


F4 UN’IDEA DI FOTOGRAFIA

Esposizione e catalogo a cura di: Carlo Sala

A occhi chiusi Simone Bergantini Fabio Sandri Davide Tranchina

Coordinamento organizzativo: Mara Mazzaro

Casa Robegan, Treviso 14 giugno - 24 agosto 2014

Segreteria Fondazione Fabbri: Sara Ruffini Progetto grafico: METODO (Paolo Palma) Catalogo stampato da: Grafiche Tintoretto, TV

Promosso da:

con: Città di Treviso

rassegna inserita in:

4

con il patrocinio di:

e di:

sponsor unico assicurazione mostre F4:

con il sostegno di:

si ringraziano: Luciano Franchin, Assessore alla cultura del Comune di Treviso Emilio Lippi, Direttore Musei Civici Treviso Galleria Artericambi, Verona Gallerai Bianconi, Milano Galleria Pack - Abbondio arte, Milano Nicoletta Rusconi Art Projects, Milano Jarach Gallery, Venezia Luigi Bonfanti, Stefano Cescon, Alessia e Giuseppe Coppola, Piero Paolo Lucchetta, Alberto Margani e Mosè Pederiva.


Indice

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Saluti istituzionali

A occhi chiusi di Carlo Sala

Simone Bergantini

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Fabio Sandri

Davide Tranchina

Note biografiche


Dal 2011 in particolare Fondazione Francesco Fabbri è impegnata in molteplici progetti per la valorizzazione dei linguaggi e delle problematiche della contemporaneità, anche attraverso la produzione di piattaforme culturali come Comodamente, il Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee e F4 / un’idea di Fotografia. Quest’ultima manifestazione, arrivata alla sua quarta edizione, si è ritagliata un posto di rilievo tra i festival di settore nazionali. Per quest’anno abbiamo proposto un ricco programma votato alla fotografia più innovativa in varie location di Treviso, dal Foyer del Sant’Artemio a Ca’ dei Ricchi

fino a Casa Robegan, e a Pieve di Soligo a Villa Brandolini. Siamo lieti di promuovere con il Comune di Treviso l’esposizione A occhi chiusi che presenta il lavoro di tre autori italiani che si distinguono per una visione innovativa e slegata da un’idea classica di fotografia imperniata sull’immediatezza dello scatto. Ogni loro lavoro è il frutto di un processo dilatato nel tempo basato su una progettualità di tipo formale e concettuale. Non ha più senso una visione contemplativa delle arti, queste devono essere uno strumento per comprendere la complessità e le mutazioni del presente che stiamo vivendo.

Giustino Moro Presidente Fondazione Francesco Fabbri Onlus


La nostra bella città per due mesi sarà “invasa” da esposizioni in vari luoghi espositivi, incontri con l’autore, workshop e presentazioni di libri, iniziative che propongono questa forma di comunicazione in una prospettiva contemporanea per delineare alcune istanze e tendenze del panorama visivo attuale. Una prospettiva che non si limita all’estetica, ma vede in queste ricerche un metodo per comprendere il presente in continuo dialogo con altre forme del sapere e della cultura. È anche un’occasione per dare continuità all’offerta espositiva e valorizzare alcuni luoghi della città di Treviso, come Casa Robegan, parte del complesso museale di Ca’ da Noal, che rappresenta uno dei più interessanti esempi di tardo gotico veneziano di questi luoghi.

Luciano Franchin Assessore alla cultura del Comune di Treviso

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È con piacere che il comune di Treviso ha accettato di collaborare con Fondazione Francesco Fabbri alla realizzazione del festival di Festival F4 / un’idea di Fotografia, giunto ormai alla sua quarta edizione. La mostra che promuoviamo a Casa Robegan è sintomatica di una visione contemporanea e sperimentale delle fotografia che va oltre gli usuali canoni della rappresentazione: il titolo A occhi chiusi rivela la volontà di non porsi in modo diretto nei confronti della realtà, bensì di scandagliarne gli aspetti interiori e più invisibili. Il museo ospiterà l’opera di tre dei più autorevoli fotografi italiani, Simone Bergantini, Fabio Sandri e Davide Tranchina che vantano già presenze in alcuni dei principali musei e istituzioni italiane.


A occhi chiusi L’invisibile in fotografia di Carlo Sala

La Biennale di Venezia del 2013, il Palazzo Enciclopedico, curata da Massimilano Gioni iniziava il percorso espositivo con due elementi insoliti per una simile rassegna, che possono essere letti come una dichiarazione di intenti. Nella prima sala era esposto il Libro Rosso di Gustav Carl Jung corredato da pregevoli illustrazioni disegnate a mano dallo stesso autore: per realizzarlo lo psicoanalista si era affidato ad un esercizio di “immaginazione attiva” per indagare l’inconscio. A seguire, nello stesso percorso espositivo, era collocato, come viatico obbligato, il busto mortuario a occhi chiusi di Andrè Breton, teorico e caposcuola del Surrealismo. Attraverso quello sguardo mancato, possiamo simbolicamente riattualizzare la sua lezione che mirava a scandagliare i moti interiori, oltre le presunte certezze del tangibile e razionale. Seppur in termini metaforici, è possibile rinvenire in quel ritratto un monito nei confronti della società delle immagini, ben sintetizzato da Gioni nella domanda «Quale spazio è concesso all’immaginazione, al sogno, alle visioni e alle immagini interiori in un’epoca assediata dalle immagini esteriori? E che senso ha cercare di costruire un’immagine del mondo quando il mondo stesso si è fatto immagine?»1. Si tratta di un interrogativo più che mai attuale, pur dovendolo slegare dalle ossessione catalogatorie delle moderne Wunderkammer alla base dell’esposizione veneziana. Se dovessimo stilare una classifica delle parole che hanno maggiormente rappresentato il costume dell’ultimo anno, il termine selfie vi entrerebbe a buon titolo. I percorsi di interazione globale, avviati con la cultura del web 2.0, hanno trovato massima espressione nei social media, per i quali

l’immagine è diventata un elemento centrale di condivisione. Ci troviamo così di fronte a una nuova fotografia di massa digitale, dal valore diaristico, prodotta con una tecnologia facile, accessibile e immediata: le vite di oltre un miliardo di persone, che hanno accesso alla ‘rete’, sono scandite da immagini condivise. Per descrivere l’odierna brama di nuove icone, si può ricorrere al verbo compulsiamo2, utilizzato da Roland Barthes per definire l’attitudine dello Spectator. Va tuttavia precisato che la moltiplicazione delle immagini nella civiltà informatica non si accompagna ad alcuna progettualità perché concepita per una fruizione effimera, limitata all’epidermide formale. La moltiplicazione di questo tipo di immagini porta perciò ad una inevitabile omologazione visiva, che crea schemi compositivi ripetitivi e nuovi stereotipi vernacolari su scala globale. In fin dei conti tutto ciò riporta ad altri momenti della storia della fotografia, come il lancio, a fine Ottocento, della prima Kodak con lo slogan «Voi premete il pulsante, noi facciamo tutto il resto»3 che portò alla nascita di schiere di fotografi dilettanti; o come la diffusione capillare della fotografia “di famiglia” degli anni Sessanta e Settanta grazie ad apparecchi dal costo contenuto. È chiaro che l’attuale fenomeno di proliferazione delle immagini si muove su un piano estraneo alla produzione autoriale, ma sottovalutarne la portata sociologica sarebbe un errore grossolano anche perché sono facilmente riscontrabili condizionamenti, riflessioni e prese di distanza che hanno investito l’opera molti artisti. La propagazione continua di narrazioni effimere mette ancora una volta di fronte ai limiti di una certa


di un elemento, oggi talmente diffuso da rischiare di attribuire un’accezione pop al discorso, si smaterializzano fino a diventare fluide e lievi. Si potrebbero adattare all’azione di Bergantini le parole di Rothko «siamo costretti a nascondere completamente gli elementi e le forme del mondo quotidiano [...] per poterci liberare da tutte quelle corrispondenze che non vanno più in là del mondo materiale e con le quali la nostra società sta progressivamente rivestendo ogni aspetto dell’ambiente che ci circonda»4. Nonostante questi lavori siano connessi a due degli oggetti tecnologici che meglio rappresentano l’immaginario della nostra società – lo smartphone e il tablet, appunto - essi sanno evocare una dimensione assoluta e atemporale. Il cortocircuito tra un oggetto iperconnotato e senso di evanescenza era presente anche nel ciclo Uncapture (2012) realizzato mediante la combinazione del procedimento analogico con quello digitale. Al centro del lavoro stava un bene diffuso nella società del consumo di massa: il contenitore vuoto di una rivista patinata. L’oggetto, con la sua levità, trasparenza e una fisicità appena delineata, diventa l’ultima soglia prima dell’invisibile, con la quale l’autore dispiega metaforicamente una polisemia di significati e il fallimento stesso dell’immagine. Fabio Sandri da oramai due decenni porta avanti un rigoroso lavoro che apre la nozione di fotografia a dinamiche di carattere installativo, utilizzando un supporto fotosensibile a contatto con la fisicità dei luoghi. Se ne trova conferma, in particolare, nella serie Stanze (20032008), dove erano impresse sul supporto fotografico le geografie e gli oggetti che popolano alcuni edifici, a mettere così

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fotografia di realtà affetta da un’ingenuità congenita che si trincera dietro gli schematismi dell’iconografia di genere, senza la sfida di volerla rigenerare. Nel panorama italiano attuale ci sono alcuni autori che a questo prediligono l’evocazione dell’invisibile portando il discorso su un piano di marcata intangibilità rispetto alla mera registrazione dell’oggettività. Il loro lavoro è caratterizzato da una ricerca di tipo processuale che attribuisce un ruolo fondamentale alla progettazione dell’immagine: in questo caso il fattore temporale appare determinante sotto vari punti di vista, sia per la realizzazione materiale dell’opera che per la poetica, slegata dalla semplice registrazione di un accadimento immediato. Sotto questa prospettiva, negli ultimi anni, si sono distinti tre autori, Simone Bergantini, Fabio Sandri e Davide Tranchina che, seppur con caratteri ed esiti formali tra loro molto differenti, sono accomunati dalla ricerca dell’invisibile, dal desiderio di sondarne i contorni. Con il suo recente ciclo Addiction (2013) Simone Bergantini ragiona sul rito della condivisione attraverso la rete, senza lasciarsi sedurre dai facili accostamenti; i suoi lavori, quasi dei grandi monocromi neri, sono le tracce delle impronte lasciate dalle mani sui dispositivi touch screen dei tablet durante il rito giornaliero che compiono milioni di persone. Per cui l’uomo non è rappresentato nelle sue fattezze visibili, ma attraverso queste impronte organiche che rimandano a segni e suggestioni antiche, quasi archetipiche. Sono opere che, per la loro concezione formale e per la solennità con cui vengono installate, sembrano rimandare al rigore ed alle suggestioni della Rothko Chapel a Houston in Texas. Le tracce


in scena una rappresentazione fenomenica legata alla materialità del visibile. Nel 2010 l’artista ha realizzato l’installazione Garage, da cui sono successivamente geminati i lavori Autoritratti di tempi lunghi. Il fruitore poteva mettersi in contatto con una videocamera che inviava in diretta la sua immagine su carta fotosensibile per creare un autoritratto: il tempo di posa o, viceversa, i piccoli movimenti condizionavano la mimesi iniziale. Nel compiere queste azioni, il fruitore si trovava di fronte ad un momento di silenzio, in cui il ritmo frenetico dello scorrere del tempo veniva sospeso. La presenza di dispositivi relazionali in campo fotografico trova alcuni precedenti storici: basti pensare al celebre lavoro di Franco Vaccari, Esposizione in tempo reale n°4: lascia su queste pareti una traccia fotografica del tuo passaggio, realizzato alla Biennale veneziana del 1972. In quell’occasione una cabina Photomatic permetteva ai visitatori di realizzare delle fototessere, dando vita a quello che più tardi l’autore definirà un «inconscio bloccato, un inconscio duro: l’inconscio tecnologico»5 che si verifica «se eliminiamo la dimensione psicologica, quella legata ai problemi dell’autocoscienza». Proprio in tali parole troviamo conferma di come i due dispositivi fotografici, in un virtuale confronto a distanza di oltre quarant’anni, siano retti da due concezioni opposte. Il lavoro di Sandri riporta infatti ad una dimensione di dialogo con se stessi per cui il risultato finale è determinato dalla volontà ascrivibile al soggetto che ne governa il processo. Con una divagazione letteraria attraverso le pagine di Marguerite Duras, è possibile meditare sul valore della memoria nelle opere di Davide Tranchina. La giovane

protagonista del romanzo L’amante sta attraversando il fiume Mekong per andare a Saigon. In quel momento, in un attimo apparentemente insignificante, vede l’uomo che le cambierà la vita e nel flusso di ricordi tenta di descrivere con le parole un’immagine ineffabile: «Ecco perché questa immagine, e non poteva essere diversamente, non esiste [...]. Alla foto non fatta deve la sua virtù, quella di rappresentare un assoluto, di esserne l’artefice»6. È una considerazione molto vicina all’ispirazione alla base della serie 40 notti a Montecristo di Tranchina, scaturita da una residenza nell’estate del 2012. In quel periodo, trascorso in quell’isola alquanto inaccessibile, l’artista non si è espresso esclusivamente con il mezzo fotografico, ma ha raccolto suggestioni e ricordi, rapportandosi al contesto geografico. Il bagaglio conoscitivo che ne è derivato non è un reportage di immagini, ma una serie di appunti visivi ed emotivi che sono una base di partenza per iniziare a sviluppare la serie. I suoi lavori recenti - come l’artista stesso ama definirli - sono dei paesaggi della distanza, in cui i frammenti di realtà appaiono inverosimili e viceversa le immagini costruite appaiono come veritiere. Nella serie compaiono cieli talmente carichi di stelle che innescano una differente dimensione esistenziale e spaziale, quella di un altrove lontano e immaginario assai distante dalla documentazione fotografica. In questi paesaggi sono presenti degli elementi appena accennati, come le sagome degli alberi o di una croce, che, evocati attraverso un gusto pittorico, aumentano il senso di sospensione della scena. In fondo non è rappresentato il presente, ma una dimensione atemporale in cui realtà


Note:

1 – Massimiliano Gioni, È tutto nella mia testa? in Il Palazzo Enciclopedico, Catalogo della 55. Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia , Venezia, Marsilio, 2013. 2 – Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Torino, Einaudi, 2003. 3 – Slogan pubblicitario del 1888 per il lancio della prima Kodak automatica. 4 – Mark Rothko, The Romantics Were Prompted, Possibilities 1, Inverno 1947-1948 in Rothko. Scritti, Milano, Abscondita, 2010. 5 – Franco Vaccari, L’inconscio tecnologico in Fotografia e inconscio tecnologico, Roberta Valtorta (a cura di), Torino, Einaudi, 2011. 6 – Marguerite Duras, L’amante, Milano, Feltrinelli, 2008.

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e sogno si mescolano, innescando singulti di memoria. Anche nei precedenti lavori dell’autore apparivano i rimandi a visioni ancestrali, come nella serie Big Bang del 2009, realizzata attraverso il contatto del colore sulla carta fotosensibile. Proprio il processo espansivo con cui è nato il mondo geologico è il perfetto tema per rimarcare la distanza rispetto ad un rapporto dialettico con il paesaggio attraverso l’impossibilità strutturale di creare una raffigurazione. Tranchina, al pari di Sandri, utilizza il procedimento della carta fotosensibile cara ad alcuni protagonisti della avanguardie storiche come l’esponente del Bauhaus László Moholy-Nagy o i surrealisti, tra cui in primis Man Ray. Se nella loro azione artistica c’era una “amatorialità” consapevole, che li portava a liberarsi dalla grammatica fotografica tradizionale, anche la fotografia italiana contemporanea sta attuando una ridefinizione dei paradigmi e della sua stessa vocazione d’uso. Tra le tante sollecitazioni dell’arte contemporanea, va dunque ricordato il contributo decennale di quei fotografi italiani, che attraverso le loro ricerche, ci invitano a rapportarci a occhi chiusi nei confronti di una realtà sempre più sovraccarica di sterili icone.



Simone Bergantini

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No horizon on horizon, 2009 Stampa getto d’inchiostro su carta Courtesy Jarach Gallery, Venezia


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The Giant, 2010 Stampa getto d’inchiostro su carta cotone Courtesy Jarach Gallery, Venezia


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Skull, 2010 Stampa getto d’inchiostro su carta cotone



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Addiction#4, 2013 Stampa getto d’inchiostro su carta cotone Courtesy Galleria Pack - Abbondio arte, Milano


Addiction#8, 2013 Stampa getto d’inchiostro su carta cotone Courtesy Galleria Pack - Abbondio arte, Milano


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Addiction#10, 2013 Stampa getto d’inchiostro su carta cotone Courtesy Galleria Pack - Abbondio arte, Milano


Addiction#12, 2013 Stampa getto d’inchiostro su carta cotone Courtesy Galleria Pack - Abbondio arte, Milano


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Addiction#13, 2013 Stampa getto d’inchiostro su carta cotone Courtesy Galleria Pack - Abbondio arte, Milano



Fabio Sandri

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Autoritratto di tempi lunghi, 2010 Impronta di videoripresa


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Autoritratto di tempi lunghi, 2010 Impronta di videoripresa


Autoritratto di tempi lunghi, 2011 Impronta di videoripresa Courtesy dell’artista e Galleria Artericambi, Verona


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Autoritratto di tempi lunghi, 2011 Impronta di videoripresa



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VerticalitĂ , 2013 Dispositivo per impronta di videoripresa


Autoritratto di tempi lunghi, 2011 Impronta di videoripresa


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Autoritratto di tempi lunghi, 2011 Impronta di videoripresa Courtesy dell’artista e Galleria Artericambi, Verona


Autoritratto di tempi lunghi, 2010 Impronta di videoripresa


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Autoritratto di tempi lunghi, 2011 Impronta di videoripresa Courtesy dell’artista e Galleria Artericambi , Verona.



Davide Tranchina

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Natura morta con vascelli fantasma #2, 2008 Fotogramma, stampa ai sali d’argento e leger


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In altro mare #2, 2009 Stampa true giclĂŠe su dibond



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Big Bang #1, 2009 Stampa true giclée su dibond



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40 notti a Montecristo #1, 2012-2013 Stampa true giclée su dibond Courtesy dell’artista e Galleria Bianconi, Milano


40 notti a Montecristo #2, 2012-2013 Stampa true giclÊe su dibond Courtesy dell’artista e Galleria Bianconi, Milano


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40 notti a Montecristo #4, 2012-2013 Stampa true giclée su dibond Courtesy dell’artista e Galleria Bianconi, Milano


40 notti a Montecristo #8, 2012-2013 Stampa true giclÊe su dibond Courtesy dell’artista e Galleria Bianconi, Milano


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40 notti a Montecristo #10, 2012-2013 Stampa true giclée su dibond Courtesy dell’artista e Galleria Bianconi, Milano


Note biografiche

Simone Bergantini (Velletri, 1977), nel 2004, dopo la laurea in storia dell’arte presso l’Università La Sapienza di Roma, si trasferisce a Milano dove lavora come assistente per fotografi di moda e pubblicità. In quegli anni inizia la sua ricerca personale sul linguaggio delle immagini. Nel 2009, con la serie Black Boxes, vince due importanti premi: il Talent calling della rivista FOAM del FOAM Museum di Amsterdam e il Premio TERNA. Nel 2010 è artista in residenza presso l’ISCP di New York. Nel 2012 vince la prima edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee. Quest’anno è stato invitato a partecipare con una mostra personale del suo ultimo ciclo di opere Addiction al festival Fotografia Europea. Le sue opere sono state esposte in gallerie private e spazi pubblici in Europa, Cina, Canada e Stati Uniti. Vive e lavora a Torino.

Fabio Sandri (Valdagno, 1964), si forma presso l’accademia di Belle Arti di Venezia nel laboratorio di Emilio Vedova. Nel 1987 riceve il premio borsa di studio dalla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, dove espone nel 1988 la sua prima personale e nel 1991 espone le sue prime opere realizzate mediante piegatura e impronta diretta su carta fotosensibile. Ha esposto la sua ricerca in diverse mostre in Italia e in Europa. In mostre personali presso la Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, la Galleria Neon di Bologna, la Galleria Artericambi di Verona, il LAMeC di Vicenza. Nel 2009 tiene una personale presso Fotografia Europea di Reggio Emilia. Ha esposto in rassegne nazionali e internazionali presso istituzioni quali: Galerja Scuc (Lubiana, SLO), KettlÈs Yard (Cambridge, UK); Artforum (Berlino, D); Kurpfalzischmuseum (Heildelberg, D); Kulturhaus Karlshorst (Berlino, D) e nel Museo d’ Arte Moderna e Contemporanea di S.Marino (RSM); Artissima (Torino). Nel 2013 riceve la menzione della giuria alla seconda edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee. Nel 2014 è stato invitato quale ospite d’onore al festival Centrale Fotografia di Fano. Vive a lavora a Valdagno (VI).


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Davide Tranchina (Bologna, 1972), a partire dal 1999 espone in gallerie d’arte contemporanea e spazi pubblici, in Italia e all’estero, sia in esposizioni collettive che personali. Nel 2003 espone allo Spazio Aperto della Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Nel 2009 è tra gli autori invitati alla Prague Biennale4. Attualmente la sua ultima ricerca, 40 notti a Montecristo, è presente alla mostra Perduti nel paesaggio, presso il MART di Rovereto. Le sue immagini sono state inserite in pubblicazioni sulla fotografia italiana e internazionale, Future Images, a cura di M. Cresci (24ORE Cultura), Laboratorio Italia. La fotografia nell’arte contemporanea, a cura di M. Paderni (Johan & Levi Editore), e Tre strade per la fotografia di L. Panaro (APM Edizioni). È uno dei vincitori dell’edizione 2010 del Premio Terna 03 per l’arte contemporanea. Di recente alcune sue opere sono state acquisite nella collezione permanente della Galleria Civica di Modena, nella collezione UniCredit, e nella collezione permanente del MART di Rovereto. Dal 2006 insegna Fotografia presso l’Accademia di Brera a Milano, e presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Vive e lavora tra Bologna e Milano.


Fondazione Francesco Fabbri non persegue fini di lucro, il suo ruolo è quello di essere strumento di sviluppo culturale, sociale ed economico delle comunità. La missione è perseguita attraverso lo sviluppo di programmi ed azioni da ideare, coordinare e promuovere in una logica di rete orientata alle forme del Contemporaneo. Opera nell’ambito del territorio veneto ma con uno sguardo aperto al sistema nazionale, nei settori dell’assistenza, dell’istruzione e formazione, della promozione e valorizzazione nel campo artistico, culturale, storico, dell’innovazione e del paesaggio in attuazione della Convenzione Europea di riferimento.

Fondazione Francesco Fabbri Onlus Piazza Libertà, 7 31053 Pieve di Soligo (TV) m 334 9677948 f 0438 694711 info@fondazionefrancescofabbri.it www.fondazionefrancescofabbri.it

I sostenitori della Fondazione



A occhi chiusi

Il progetto propone il lavoro di tre autori, Simone Bergantini, Fabio Sandri e Davide Tranchina che, seppur con caratteri ed esiti formali tra loro molto differenti, sono accomunati dalla ricerca dell’invisibile, dal desiderio di sondarne i contorni.


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