Notiziario Fondazione Dicembre 2009

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P ERIODICO

Spediz. in Abb. Post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2 filiale di Milano - Reg. presso il Tribunale di Milano N. 407 del 22.07.1995

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DELL ’I STITUTO PER LA RICERCA E LA PREVENZIONE DELLA DEPRESSIONE E DELL ’ ANSIA

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Depressione, esercizio fisico e stili di vita Andrea Fagiolini Per lungo tempo la depressione è stata considerata come un’alterazione delle funzioni della mente, con ripercussioni potenzialmente devastanti ma prevalentemente limitate ad un malessere psicologico o emotivo. Ricerche recenti hanno tuttavia messo in discussione il dualismo mente-corpo, suggerendo che la depressione rappresenta un disturbo sia della mente che del corpo. segue a pag. 2

Psicoterapia

della tristezza, 7 Paura di volare 9 cognitivo-comportamentale 10 Qualcuno vi ascolta 4 Nell’epoca nell’epoca della diffidenza del disturbo di panico giovani! 11 Indallabrevericerca 12 Testimonianza 14 Allarme 16 Notizie dal mondo 19 Lavori in corso Uso di sostanze


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Depressione, esercizio fisico e stili di vita segue da pag. 1

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e conseguenze della depressione sulla salute psicologica e sulla qualità di vita sono spesso devastanti ma purtroppo quelle sulla salute fisica non sono da meno. Recenti studi epidemiologici prospettici indicano infatti che la depressione rappresenta un significativo fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiache, diabete, obesità, osteoporosi, ipertensione e di uno svariato numero di altre malattie, inclusi alcuni tumori. Ad esempio, la depressione è associata ad alterazioni del sistema immunitario (che ci protegge sia dagli attacchi esterni di virus e batteri che da quelli interni di cellule “impazzite” che cercano di “costruire” tumori). Dati recenti hanno dimostrato che i globuli bianchi dei soggetti depressi hanno una capacità ridotta di scatenare una risposta immunitaria quando esposte a microrganismi invasivi, un indicatore potenziale di alterata competenza immunitaria. In pazienti depressi sono inoltre state evidenziate una ridotta risposta proliferativa dei linfociti ai mitogeni e una bassa attività delle cellule natural killer. Le alterazioni del sistema immunitario durante la depressione comprendono inoltre segni di infiammazione sistemica, come indicato da elevati livelli di citochine proinfiammatorie circolanti (come la IL-6) e di proteine di fase acuta (come la proteina Creattiva). Se è vero che la depressione altera il sistema immunitario è inoltre anche vero che le alterazioni del sistema immunitario possono essere responsabili o peggiorare il decorso della depressione. Alcuni autori hanno infatti dimostrato che la somministrazione di citochine proinfiammatorie negli animali e negli uomini induce sintomi simil-depressivi come crollo degli interessi, ridotta assunzione di cibo, astenia, rallentamento psicomotorio, disturbi cognitivi e del sonno.

Malattie l l l

Frequenza di disturbi dell’umore Predisposizione ad una maggiore morbilità e mortalità in questa fascia di popolazione Le malattie più frequenti sono l’obesità, la dislipidemia, le malattie cardiovascolari, il diabete e le malattie della tiroide.

Cambiare abitudini? l

Intervenire sullo stile di vita come parte chiave della nostra routine quotidiana per pazienti che soffrono di: n n n n

Disturbi dell’umore Disturbi di ansia ? Disturbi psicotici Altri disturbi ?

La nuova scienza sul cervello uVisione

precedente: Il cervello ha una struttura fissa ed un determinato numero di cellule cerebrali che diminuiscono con il passare degli anni ed in seguito a traumi

u Nuova

visione: nel cervello possono crescere nuove cellule e svilupparsi nuove connessioni nel corso della vita

la tiroide, altre malattie endocrine, tumori, etc) si associano ad un rischio elevatissimo di sviluppare depressione. E ancora più chiaro è oggi il fatto che la cura della depressione non può prescindere dalla prevenzione e cura delle malattie fisiche e dei loro fattori di rischio: mens sana in corpore sano.

Diventa quindi sempre più chiaro che la depressione contribuisce in modo determinante allo sviluppo di svariate malattie fisiche proprio come svariate malattie fisiche (ictus, malattie del-

Perchè fare esercizio?

Depressione ed esercizio fisico L’attività fisica contribuisce in modo determinante a prevenire malattie come il diabete, l’ipertensione, l’obesità e svariati tumori. Studi recenti hanno ad esempio dimostrato in modo inequivocabile che l’esercizio fisico riduce drammaticamente il rischio di sviluppare demenza e migliora le capacità cognitive, portando indietro le “lancette” dell’orologio del nostro cervello anche di 20 o 30 anni. L’attività fisica migliora anche il funzionamento psicologico, lo stato di benessere, l’autostima, il sonno, la resistenza allo stress e la depressione, in alcuni casi con un’efficacia simile a quella dei farmaci e della psicoterapia. L’attività fisica è un naturale comportamento di rinforzo e di pro2


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mozione del benessere, anche se gli specifici meccanismi attra-

di uno stile di vita sano (e basato prevalentemente sull’eser-

verso cui l’esercizio fisico promuove un effetto antidepressivo so-

cizio, sul rispetto del sonno e su un’alimentazione corretta)

no largamente sconosciuti. Studi su modelli animali di depressio-

ammesso che vengano loro forniti gli strumenti (psicoeduca-

ne mostrano che la up-regulation di neuropeptide Y (NPY) e Braid

zione, personal coach/trainer, etc) per imparare a riprender-

Derived Neurotrophic Factor (BDNF), portando alla proliferazione

si cura del proprio corpo.

cellulare e alla neurogenesi (rigenerazione del tessuto nervoso),

Ovviamente qualsiasi programma richiede una iniziale visita

è la via finale comune dell’attività antidepressiva sia dei farmaci che dell’esercizio fisico e che l’attività fisica può migliorare il turn-

L’attività fisica può migliorare il benessere mentale?

over centrale della noradrenalina, un neurotrasmettitore pesantel

mente implicato nella depressione. In aggiunta, potrebbe esistere un effetto indiretto dell’esercizio fisico sull’umore mediato da

l

un miglioramento della forma fisica, della pressione arteriosa, dal-

l

la riduzione del peso corporeo e da cambiamenti metabolici come

l

la riduzione dell’obesità addominale e dell’insulino-resistenza. Per

l

non parlare degli effetti sull’autostima, sul senso di benessere e

l

sull’apprezzamento del proprio corpo. Purtroppo molte domande relative all’efficacia antidepressiva dell’eser-

Autostima e percezione di sé Benessere individuale Soddisfazione nella vita Umore e predisposizione Stress – stati di ansietà Sonno

cizio rimangono aperte. Ad esempio, non è ancora chiaro quali sono i casi in cui l’esercizio può essere usato in alternativa al trattamento farmacologico e/o psicoterapico, quali quelli in cui l’esercizio è utile so-

Motivazioni frequenti per non fare esercizio

lo in associazione ai farmaci e/o ad una psicoterapia, quali sono i sotl

totipi di depressione che rispondono meglio all’esercizio, etc.

l

E’ inoltre indispensabile sviluppare interventi (ad esempio interventi di psicoterapia motivazionale e di psicoeducazione) che aiu-

l

tino i pazienti depressi a trovare l’energia fisica e mentale neces-

l

saria per iniziare e mantenere un’adeguata attività fisica in un pe-

l

riodo in cui le loro “batterie” sono quasi completamente scari-

l

che e “calibrare” il programma alle esigenze e possibilità (sia fisiche che mentali) del singolo paziente. Iniziare e mantenere un

l

programma di esercizio fisico è difficile per tutti. Figuriamoci per

l

un paziente che sta soffrendo le pene della depressione ed ha dif-

l

ficolta’ anche ad alzarsi dal letto.

Non ho tempo Non ho la motivazione Non mi piace sudare Sembrerei stupido E’ doloroso Non so cosa fare Non è una cosa importante Mi sono dimenticato Non ho energia

E’ molto difficile però che un paziente non sia in grado di praticare alcuna forma di esercizio fisico. L’importante è quindi aiutare la persona a scegliere degli obiettivi facilmente raggiungibili: me-

(con appropriati accertamenti strumentali quando necessario)

glio 1 minuto di esercizio al giorno (magari da aumentare in modo

e una successiva supervisione medica. E’ naturale che il pro-

molto graduale) che l’immobilità totale. In uno studio che ho con-

gramma suggerito al paziente che ha forti dolori fisici o al pa-

dotto quando ero ancora negli Stati Uniti, i cui risultati sono stati

ziente che non riesce a mantenere l’equilibrio o al paziente che

recentemente pubblicati sul Journal of Clinical Psychopharmaco-

ha da poco avuto un infarto o un ictus debba essere molto di-

logy, abbiamo infatti chiaramente dimostrato che anche i pazien-

verso da quello suggerito ad un giovane di 20 anni in buona sa-

ti con disturbi dell’umore più severi (disturbo bipolare nel ca-

lute fisica. E’ però difficile che esista una controindicazione per

so specifico) possono avere un enorme beneficio da un pro-

tutti i tipi di esercizio fisico e vale comunque sempre la pena

gramma basato sulla scoperta (o riscoperta) dell’importanza

chiedere al proprio medico di famiglia e psichiatra.

Il prof. Andrea Fagiolini laureato all’Università di Pisa e specializzato in psichiatria all’ Università di Modena, nel 1996, grazie ad una borsa di studio IDEA, ha passato un periodo di studio all’ Università di Pittsburgh negli Stati Uniti, che lo ha successivamente assunto attribuendogli gradualmente i ruoli di Istruttore, Professore Assistente, Professore Associato, Direttore Medico del Centro per il Disturbo Bipolare e Direttore Medico del Centro per la Prevenzione della Depressione e della Malattia Maniaco Depressiva. Rientrato di recente dagli Stati Uniti, il professor Fagiolini è attualmente titolare della cattedra e direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università di Siena.

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Nell’epoca della tristezza, nell’epoca della diffidenza Massimo Rabboni*

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l discorso e la pratica che vanno sotto il nome di cura sottendono due radicali operazioni della mente. La prima, la capacità di comprendere la diversità dei punti di vista sullo stesso fenomeno/evento (la malattia) da parte del curante e del curato; capacità che chiede al medico di sviluppare sufficiente empatia per la sofferenza del malato, senza aderirvi, ed al malato di sentire la possibile vicinanza del medico al proprio vissuto penoso, senza che questi debba per forza averlo sperimentato personalmente. Capacità, per entrambi, difficile quando si tratta di patologie strettamente somatiche, e magari limitate; ardua, quando si tratti di una patologia minacciosa per la vita, tanto in senso biologico, quanto – come nel caso della depressione – minacciosa per il progetto individuale, che della vita costituisce il senso. Va detto anche che ogni volta è richiesta al medico una specifica declinazione della sua competenza in relazione alla sofferenza, a volte molto occulta o occultata da chi ne soffre, come può accadere nella depressione che può, come altre sofferenze, non avere il modo di dirsi, essendo caratterizzata a volte da una faticosa e dolorosa sottrazione a se stessi e al mondo.

Curare significa, in effetti, non tanto rimuovere una condizione materiale che alteri un precedente stato meccanicamente stabile; significa, nel senso heideggeriano, compiere un percorso di approssimazione verso una persona, comprenderne e, per certi aspetti, farne proprio, il progetto biografico a volte non chiaro , cogliere le condizioni che disarticolano ed offendono tale progetto e cercare di operare per rimuoverle, sulla base di un sicuro con-sentimento, piuttosto che con-senso, della persona di cui ci si deve prendere cura. Ora, approssimarsi in un movimento reciproco, se non è mai facile per nessuno, tanto più lo è se uno dei due attori coinvolti nella relazione è, come per definizione, in sottrazione; come cercarlo? Dove cercarlo? E come avvicinarsi? Per questo il percorso di cura, che non implica per definizione una guarigione stabile, aprendo quindi i soggetti coinvolti all’orizzonte dell’incertezza, dell’instabilità e dell’imprevedibilità, si configura come un’avventura, con tutte le paure e i rischi che l’avventura evoca e porta con sé; avventura, nel caso di una depressione, che coincide con una disorientante, quanto desiderata, restituzione al flusso del vivere corrente. Restituzione valida per ogni sofferente, ma maggiormente portata e avvertita da chi si dichiara “depresso”; ammesso che si dichiari tale. Percorso come processo, con tutte le fasi e quindi le declinazioni temporali di gesti, azioni e interventi non sempre sincronizzati e sincronizzabili, destinato a non pochi impasse; percorso come un cammino, che pur con tutta la fatica, anche in termini di resistenza psicologica e fisica, che un cammino può comportare, con conseguenti arresti e soste obbligate, è fattibile: è tanto fattibile che una volta dichiarato il bisogno, si può tollerare di esser depresso e ci si può imbarcare nell’avventura di affidarsi; che è già un passo verso il ritornare ai giorni correnti, vissuti come meno pesanti e grigi. Si può star meglio, ma non con percorsi magici e semplicistici, o fatti di peritose deleghe al curante.

La seconda concerne il problema dell’affidarsi o, se si vuole, del tollerare la passività, l’essere soggetto/oggetto dell’attività di qualcun altro: opzione difficile, nel contesto di una cultura che impone la produttività, l’efficienza e l’approccio aggressivo all’ambiente come valori fondamentali. Opzione difficile, che potrebbe aiutare – fattore certamente tra molti altri – a comprendere perché la depressione sia più frequente nelle donne , più grave negli uomini (costretti a non chiedere aiuto, fino al raggiungimento del punto di rottura pena la perdita di un’immagine di sé spesso costruita sul mito dell’efficacia ed efficienza, a tutti i costi). Non a caso, la nostra è, in Occidente, l’epoca della cocaina; non più la ricerca di un regressivo Nirvana, ma la necessità di una presenza stenica, penetrante, occupante spazio, mobile a costo di essere indeterminata; agitata, finalizzata a tenersi in piedi, al passo; ma anche a volte anestetizzante rispetto al dover confrontarsi con la fatica, gli scacchi, il dolore. Ma la funzione del curare in senso medico, non è di fatto separabile dalla funzione del prendersi cura in senso relazionale o forse, più profondamente, parentale. Questa impossibile separazione incide sugli aspetti della relazione di cura di cui si andrà dicendo poi, ovvero punteggia la cura, da ambedue le parti.

Ora, avventura, processo e cammino nella loro dinamicità esposta a variazioni, ricontrattazioni, cadute, perdite, conquiste 4


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esempio estremamente semplificato di una posizione “magica” nei confronti di ciò che è “scientifico”, proprio in un periodo in cui si è restituita alla scienza la necessità di dubitare e di orientarsi verso la percezione della complessità degli eventi. Nel caso di chi fa fatica a portarsi in giro, a rapportarsi e vivere i giorni come trascorrenti pur nella loro fatica, questo è un passaggio fondamentale: l’importante non è pensare di guarire appena ci si dichiara in difficoltà, l’importante è volere, desiderare e con tenacia cercare di guarire. Tornando al discorso aperto poco sopra, va rilevato che, in questo senso, non vi sono differenze tra la cura della malattia mentale o la cura di una malattia fisica, poiché entrambe ledono l’integrità della persona, che costituisce il soggetto dell’intervento; persona che, come ormai tutti noi, può ritenere talvolta o che gli elementi di possibile lesione debbano essere già stati tolti tutti dal suo orizzonte ad opera di continui interventi di bonifica del mondo, orientati strettamente sui suoi bisogni (vedasi, come esempio, il problema delle allergie alle piante: togliamo tutte le piante, come qualcuno ha proposto? O ci prendiamo un raffreddore? O semplicemente un temporaneo sollievo farmacologico?) o che questi eventuali elementi patogeni non debbano e non possano toccarla.

effimere, riprese, sono parole che nella loro intrinseca complessità sono di fatto non proprio assimilabili o consonanti al pensiero lineare, al pensiero più tecnico che scientifico (nell’accezione della tecnica come mera esecutività secondo protocolli prestabiliti) che tanto tenta noi medici, che tanto tenta i pazienti e le famiglie e che forse predomina sotto il segno di una ricerca e di un’affermazione di efficacia molto consolatoria, anche se non vera, che non è poco diffusa.

E questo è tanto più vero per la depressione: se la sofferenza psichica conclamata e dichiarata attraverso comportamenti ritenuti bizzarri o situazioni dirompenti si riesce ad agganciare è proprio della depressione, un comportamento tale per cui non la si vede, ma che abita, senza tregua, chi la vive. Dobbiamo tenere conto che siamo nell’epoca della non reciprocità, del soggetto debole, che, proprio in quanto debole e incerto, si sente sempre perseguitato e che deve e chiede sempre di essere accompagnato nei modi e nelle forme suoi propri che ritiene ovviamente quelli “giusti”; soprattutto che “ha ragione” per definizione. Si confonde forse “il sapere di qualcosa” con “il comprendere il portato di qualcosa”?

Forse la difficoltà sta nell’accettare che non ci sono “ricette” preconfezionate, c’è una ricerca che, se affrontata, è già l’inizio della fine, e dell’apertura ad altri inizi, certo impegnativi, ma forse avvertibili come più vitali e felici per la persona.

È sempre necessario, nella relazione di cura, chiarire, anche dolorosamente, questo.

È l’affermazione per cui, dati i grandi progressi della medicina, si può, si DEVE sempre risolvere tutto, essendo possibile ritornare “perfetti” più o meno come si pensa di essere stati o nati prima di un qualche incidente biografico di diverso peso e rilievo, che va “messa da parte”, sospesa e forse superata; accettare di diventare “altro”, dopo che la storia è passata sulla propria pelle, è già essere e accettarsi in colloquio con se stessi e il mondo.

Della persona depressa infatti, non poche volte si dice: “E’ esaurito!”; oppure: “Passerà!” o ancora non essendo così palesemente distruttiva, in termini sociali, può essere “tollerata” nel cerchio familiare o in quello amicale. Considerazioni apparentemente scettiche o amare sul cammino che ogni volta fanno coloro i quali sono coinvolti in un percorso di cura, ma che si collocano nelle più recenti riflessioni sociologiche e filosofiche che ci parlano di crollo della dimensione comunitaria, con la relativa poi nostalgia e voglia di comunità, dell’impossibilità di incontrare l’Altro, di fare prossimo e di farsi prossimo; di adolescenti il cui ideale è “stare collegati” (come dice un famoso rap-

Quindi c’è una prima tentazione: la consolante e consolatoria semplificazione del ritrovarsi e del trovare nuovi, e soprattutto, non poche volte, diversi equilibri con se stessi e gli altri; c’è anche una prima possibile diffidenza che potremmo sintetizzare nella domanda: “Ma non si può fare proprio nulla? E subito? E soprattutto con esiti tangibilmente positivi? ma poi non si potrebbe fare come dice la mia ultima ricerca in internet o l’annuncio giornalistico del magazine settimanale?” Domanda che è un

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te che porta con sé; sapere semplicemente, e condividere il sapere, che curare non significa sempre guarire. Da parte medica quindi non resta che fare continuamente un’analisi della fondatezza, della sostenibilità, della credibilità e dell’affidabilità delle proprie scelte rispetto e nei confronti di chi viene curato, scelte per altro ponderate, riflettute, comparate, monitorate, valutate.

per), ma che poi si segregano in casa, impossibilitati a toccare l’esterno (Hikikomori in Giappone, senza nome ancora da noi). Ma la cura è, prima di tutto, una funzione dell’intersoggettività, caratterizzata dalla capacità del paziente di desiderare di essere curato, e di accettare, per questo, non solo di fidarsi, ma di affidarsi ad un curante, ben al di là delle operazioni materiali che a questo curante sarà richiesto di compiere.

Da parte del paziente però va chiesta, e va chiesta in un contratto chiaro e giocato sempre su un livello adulto, in cui la reciproca possibilità di chiudere il rapporto sia prevista, una partecipazione consapevole, la più alta possibile, al percorso che il malato sceglie di fare o che gli si propone di fare; partecipazione che si può e si deve chiedere ad ogni persona in cura, per evitare che la cura possa diventare un percorso di costruzione di dipendenza che, per le questioni sopra accennate, potrebbe avere trascinamenti rancorosi e risentiti. Diventare e stare in una posizione adulta non è facile per nessuno; sappiamo, a differenza di qualche decennio fa, che è una ricerca e non uno stato, che quindi chiede ancor più un continuo esercizio di responsabilità.

Una tale operazione presuppone però ciò che nella nostra epoca è divenuto, come si cominciava a dire sopra, del tutto inquieto, e cioè la certezza dell’identità, della soggettività e, con questo, della possibilità della relazione. Nell’epoca della diffidenza e dell’enfasi dei diritti, presentare una malattia come bisogno e sofferenza, piuttosto che come lesione di un diritto legittimo, appare difficile e, forse, improbabile; forse ci si può “vergognare” o essere più lesi dal dover chiedere, dal dover ammettere di avere bisogno; e potrebbe essere difficile per il curante accogliere questo sentire . Ma quale percorso di cura può intraprendere il medico, che non è l’avvocato che tutela i diritti, avvocato con il quale oggi il paziente spesso si accompagna?

Sarà per questo che spesso chi è in cura fugge dalla cura? Sarà per questo che spesso chi cura tende a sedurre o a fare quello che il curato chiede? Sarà per questo che spesso vengono aperti contenziosi ancor prima che le due parti in causa si parlino? Sarà per questo che potrebbe anche far comodo pensare ancora che il cosiddetto “potere medico” su chi va curato sia così arrogante da tacitare comunque e sempre chi viene curato? Sarà per questo che potrebbero aumentare i casi in cui i medici aggirano interventi necessari al fine di non avere poi questioni?

“Prendere le pillole”, “Andare dallo psichiatra!” per un esaurimento nervoso! Può far parte anche di quel disvalore che tanto può determinare la depressione di una persona o il contesto in cui vive. Curarsi anche dallo psichiatra per un semplice “esaurimento nervoso”, non vuol dire essere “matti” secondo un’immagine molto deformata che ci viene dal passato. Anche perché oggi la situazione è ben diversa. Erose, anche forse legittimamente, le figure di autorità, come era una volta il medico, affermata una democratizzazione di tutti i rapporti, allora non resta che tornare a una riaffermazione di alcuni punti.

Ma ci può essere una relazione senza un esercizio costante di responsabilità di ambedue i soggetti? E ancora: se ambedue i soggetti si prendono reciprocamente in carico, va da sé che possono e forse devono anche non convergere, senza quindi obblighi per nessuno? Potrebbe aprirsi, su questo, il rischio o l’inclinazione ad una reciproca indifferenza e una tentazione abbandonica? Situazione da evitare il più possibile e con tutti i mezzi, proprio e anche con chi si dichiara depresso; così rischiosamente, nel silenzio non distruttivo socialmente, del sentire, esposto alla deriva. Quindi se si tratta di non lasciare che qualcuno vada alla deriva…, allora è pur preferibile questionare, alla ricerca di mediazioni sostenibili per ambedue gli attori coinvolti nella cura, che forse deve pagare questo prezzo per rimanere possibile.

Tornare a ripensare costantemente il fare e operare medico in termini di clinica della relazione, tanto più ed elettivamente in psichiatria, ma non solo in psichiatria, attraverso una declinazione umanistica; ricordarci che gli strumenti (dalle scale di valutazione, al laboratorio più sofisticato, ai farmaci) sono strumenti che non esimono dalla relazione. Questa posizione radicalmente empatica della professione non confligge con le richieste di efficacia ed efficienza, nonché di economicità; quindi dichiarare al paziente, in apertura del contratto, che a volte non si potrà risolvere il suo “caso”, ma lo si potrà gestire, dando limiti e possibilità di intervento in termini di realtà; dichiarare la fallibilità dell’intervento, lavorando su “quello specifico incontro e caso” sempre con le dimensioni del dolore e dell’evocazione di danno e mor-

* Direttore del Dipartimento di Psichiatria II presso l’Ospedale Riuniti di Bergamo

Ringraziamo il prof. Rabboni per il suo interessante contributo e p e r g l i o t t i m i r i s u l t a t i ra gg i u n t i d a l l ’ A m bu l a t o r i o I D E A a t t i v o a l l ’ i n t e r n o dell’Ospedale Riuniti di Bergamo

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Paura di volare Roberta Necci, Maria Beatrice Toro

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atale, tempo di feste, di vacanze e, sempre più spesso, di viaggi. Il sogno di tutti è trascorrere un periodo di riposo al sole in un posto esotico, visitare un paese lontano o, più semplicemente, andare in una città nuova per qualche giorno. Molte persone però, pur potendoselo permettere, non riescono a realizzare il proprio desiderio perché trovano intollerabile l’idea di salire su un aereo. Si tratta di un problema comune, tanto che le compagnie aeree stimano che almeno un quarto dei loro clienti ha paura di volare e sperimenta una notevole sofferenza prima e durante il viaggio. Il dato diffuso dalle compagnie, peraltro, descrive solo la punta dell’iceberg: la maggior parte di coloro che ha questo problema prova una paura tanto forte da evitare del tutto di salire in aereo, anche se si rende conto delle limitazioni che questo comporta. Il danno che ne deriva è evidente: non c’è solo il dispiacere di non poter visitare posti nuovi o conoscere culture diverse, ma anche la consapevolezza di dover rinunciare ad interessanti opportunità di lavoro che comportano frequenti spostamenti. Come non capire, quindi, se ad un certo punto compaiono uno stato di scoraggiamento e la sensazione di essere sciocchi perché ci si lascia condizionare da una paura irrazionale?

ze; chi ha troppa paura dell’altezza e non sopporta l’idea di galleggiare nell’aria; chi, infine, detesta il fatto di non avere il controllo del mezzo su cui sta viaggiando. I sintomi dell’aerofobia sono quelli tipici delle crisi d’ansia che comprendono sintomi fisici (tachicardia, sudorazione eccessiva, mancanza d’aria, sensazione di oppressione toracica) e sintomi psichici (per esempio, paura di morire, immagini catastrofiche). La sensazione sgradevole più diffusa è quella di trovarsi in una situazione di pericolo che non si può gestire, percepirsi in balia di eventi incontrollabili e affidati alle capacità di persone sconosciute quali piloti e assistenti di volo. L’assenza di “vie di fuga” fa quindi sentire l’aerofobico braccato, intrappolato e impotente, qualunque cosa accada. Un ulteriore elemento di disagio, comune in chi già soffre di panico, è il timore di avere una crisi in volo con conseguente “brutta figura” davanti agli altri passeggeri. In questo caso alla paura si sommano imbarazzo e senso di inadeguatezza che finiscono con l’alimentare il circolo vizioso. Da cosa nasce la paura di volare? Come per altre forme di ansia, dietro questa fobia specifica potrebbe esserci un esagerato bisogno di sicurezza, di stabilità e di controllo, che solitamente inizia durante un periodo di tensione e stress elevati per poi durare anni o, anche, tutta la vita. L’aerofobia, come tutte le fobie,

La storia di ciascun aerofobico, come viene tecnicamente definito chi soffre di fobia del volo, è diversa: c’è chi ha già volato e si è spaventato per delle avversità, come temporali o turbolen-

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ha poco o nulla a che vedere con l’effettiva realtà e/o pericolosità del volo, che sappiamo essere di gran lunga la più sicura modalità di trasporto, riflettendo piuttosto paure, pensieri e fantasie che la persona ha sviluppato nel tempo.

dizioni metereologiche, studiano l’espressione degli assistenti di volo o concentrano la propria attenzione su ogni rumore o scossone. Questo comportamento, oltre a non favorire il rilassamento, ha un forte effetto controproducente, quasi sempre infatti porta a vedere rischi e pericoli anche dove non ce ne sono.

Ma chi comunque percepisce l’aereo come un pericolo reale che innesca una forte reazione di allarme cosa può fare per fronteggiare il problema?

Per chi preferisce combattere l’aerofobia affidandosi ad un percorso psicologico la terapia cognitivo comportamentale si è rivelata molto utile. Questo tipo di psicoterapia insegna ad affrontare la situazione temuta tenendo sotto controllo le sensazioni fisiche che accompagnano lo stato d’ansia (tachicardia, affanno, vertigini) e che la persona ansiosa tende a vivere con una reattività esagerata, temendole più del dovuto e attribuendo loro un significato catastrofico. Con l’aiuto dello psicoterapeuta la persona imparerà ad identificare i propri pensieri, a mettere in luce le convinzioni erronee o irrazionali che spesso peggiorano lo stato d’ansia, a capire che la realtà può essere interpretata in modi diversi e a rivedere le proprie convinzioni secondo una differente chiave di lettura. E per gli aerofobici irriducibili? Un efficace metodo per tentare di superare la paura di volare è rappresentato da corsi tenuti dalle principali compagnie aeree. L’obiettivo di tali corsi non è cercare i motivi che hanno scatenato la paura di volare ma accettare che si tratta di una fobia, quindi di un comportamento irrazionale, e imparare ad affrontarla e a gestirla. I corsi prevedono un’esposizione graduale al volo (dall’entrare in aeroporto, al passaggio ad un simulatore e quindi al volo vero e proprio), una maggiore informazione sugli aerei e sulle dinamiche del volo, incontri con piloti e assistenti di volo. Ogni tappa del programma è associata all’apprendimento delle tecniche di rilassamento più adatte alla specifica situazione.

Alcuni, pur provando ansia e forte disagio, cercano di superare la paura e volano ugualmente mettendo in atto strategie di distrazione, per esempio ascoltando musica, impegnandosi in una lettura o conversazione particolarmente piacevoli. Altri assumono sostanze allo scopo di ridurre l’ansia. È indubbio che dal punto di vista pratico l’uso di farmaci che abbassano il livello di ansia sia di grande aiuto, ma in questo campo il “fai da te” è fortemente sconsigliato ed è meglio rivolgersi al proprio medico. Questi, a seconda dell’entità dell’ansia, dello stato di salute generale della persona e della lunghezza del volo, suggerirà il farmaco più adatto e la corretta modalità di assunzione. In alcu-

La paura di volare, un tempo un problema che riguardava un’elite di benestanti che potevano permettersi il lusso di viaggiare in aereo, oggi è un fenomeno diffuso e in costante aumento. Per fortuna, negli ultimi anni si sono rese disponibili diverse strategie di intervento grazie alle quali è possibile limitare le conseguenze invalidanti di questa fobia in modo che tutti, con maggiore o minore facilità, possano usufruire delle infinite possibilità che gli spostamenti aerei offrono.

ni casi, al fine di evitare l’instaurarsi di un alto livello di ansia anticipatoria e arrivare al giorno della partenza più rilassati, il medico può suggerire l’assunzione di ansiolitici nei giorni precedenti il volo. Un esempio di autoterapia, purtroppo molto frequente ma da evitare e sconsigliare sempre, è l’associazione alcol-ansiolitici. Si tratta di un’associazione che può avere importanti conseguenze in quanto gli effetti secondari delle due sostanze si sommano e amplificano a vicenda. In altri casi ancora gli aerofobici tentano di mantenere continuamente il controllo della situazione, prestano attenzione ad ogni minimo particolare, chiedono continuamente informazioni sull’andamento del volo o sulle con-

Istituto di Psicopatologia - Roma Roberta Necci - Supervisore Gruppi di Auto Aiuto Idea-Roma Maria Beatrice Toro - Psicoterapeuta cognitivo comportamentale 8


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Psicoterapia cognitivo-comportamentale del disturbo di panico Angelo Maria Saliani* ormai dimostrato che chi soffre di panico ha una particolare attitudine psicologica chiamata “Anxiety Sensitivity”, ossia una tendenza a considerare pericolosa (per la propria salute fisica e mentale o per la propria immagine sociale) l’ansia e, in generale, a temere tutti i segnali fisici (tachicardia, respiro corto) di attivazione neurovegetativa. Questo sembra essere il fattore psicologico determinante nello sviluppo del disturbo, perché espone il soggetto al rischio di panico tutte le volte che sperimenta un’emozione particolarmente intensa o un’attivazione neurofisiologica del tutto naturali. In questo senso, ad esempio, anche l’aumento del ritmo cardiaco e l’affanno che normalmente seguono ad attività fisica (come salire le scale di corsa) potrebbero essere vissuti dal soggetto con elevata anxiety sensitivity come sintomi pericolosi, determinando l’insorgenza dell’ansia e poi del panico.

E’

Coerentemente con tale concettualizzazione del disturbo, le terapie cognitivo-comportamentali si pongono come obiettivo quello di aiutare il paziente con panico ad interpretare i propri stati interni in modo meno catastrofico e dunque a viverli come più accettabili. Se infatti il paziente inizia a considerare tollerabili e meno pericolosi i propri segnali di attivazione fisiologica e le proprie emozioni, sarà più difficile che il meccanismo a circolo vizioso prima descritto si attivi e si ridurrà l’evitamento delle situazioni temute. Gli strumenti terapeutici per raggiungere questo obiettivo sono il dialogo socratico, la discussione delle convinzioni patogene, la

Il meccanismo cognitivo che determina il panico è ben descritto nel modello di Clark che proviamo, in estrema sintesi, ad illustrare: uno stimolo esterno o interno (ad esempio, una sensazione di stanchezza) viene percepito come minaccioso (ad esempio, potrebbe essere interpretato come segno di un imminente svenimento) innescando una risposta d’ansia coerente con tale interpretazione. L’ansia, come tutte le emozioni, ha dei correlati psicofisiologici tipici e del tutto naturali (ad esempio, aumento del ritmo cardiaco, leggera alterazione dello stato di coscienza, ecc.). Purtroppo i soggetti con disturbo di panico interpretano tali sensazioni come conferma della minaccia incombente («oddio! Allora, è proprio vero che sto per svenire») o come ulteriore minaccia («sta per prendermi un infarto?»). Tale interpretazione è cruciale perché aumenta ulteriormente il livello di ansia e i suoi correlati psicofisici, e tale aumento ancora una volta viene visto come conferma di un grave pericolo per la propria integrità psicologica e/o fisica. Si sviluppa in questo modo un vero e proprio circolo vizioso di sensazioni fisiche ed interpretazioni catastrofiche di queste sensazioni, fino al panico vero e proprio caratterizzato dalla convinzione che la minaccia non è più solo incombente, ma ormai attuale («ecco, muoio!»; «ecco, sto impazzendo!»).

psicoeducazione, le tecniche di rilassamento e gli esperimenti comportamentali, all’interno di una relazione terapeuta-paziente paritetica e collaborativa. Le tecniche che si sono dimostrate di maggiore efficacia nel trattamento del panico e dell’agorafobia sono quelle di esposizione. Esse consistono in una graduale esposizione agli stimoli temuti secondo precise modalità concordate di volta in volta e mai imposte dal terapeuta. Richiedono la rinuncia a evitamenti e comportamenti protettivi e sono tese a favorire processi di abituazione fisiologica (riduzione dell’ansia in presenza degli stimoli temuti), ristrutturazione cognitiva e accettazione di sensazioni e situazioni prima evitate. * Istituto di Psicopatologia - Roma 9


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Qualcuno vi ascolta (Risponde Prof. Antonio Tundo, Istituto di Psicopatologia, Roma)

Mara da Vicenza ci chiede: “Ho 35 anni e soffro di depressione ricorrente. Ho cominciato le cure 6 anni fa: finché assumo gli antidepressivi sto bene, ma ogni volta che tento di smetterli ricado rapidamente. Non avrei alcun problema ad andare avanti con i farmaci, che peraltro tollero bene, solo che vorrei avere un bambino e, data la mia età, non posso attendere troppo. Cosa fare?”

nel singolo caso quanto grande è il rischio di ricaduta, quan-

Cara Mara, la condizione che mi descrive è piuttosto co-

togeno alla più bassa dose efficace, evitando l’associazio-

mune poiché la depressione colpisce soprattutto donne

ne di più farmaci. Ritornando alla sua domanda, le sugge-

giovani. Fino a qualche anno fa il suo problema sarebbe sta-

risco di parlarne con lo specialista che l’ha in cura in modo

to “senza soluzione”: avrebbe dovuto scegliere tra rinun-

da fare un progetto terapeutico ragionevole e mirato. Le

ciare ad avere un bambino o rischiare una ricaduta e, se

consiglio di andare con suo marito per porre tutte le do-

questa veniva, sopportarla per tutto il periodo di gestazio-

mande necessarie e ricevere tutte le informazioni utili per

ne. In base alle informazioni scientifiche disponibili, ma an-

una decisione “consapevole”. Dopo aver discusso a fon-

che all’atteggiamento mentale degli specialisti, si ritene-

do con lo specialista i pro e i contro delle diverse opzioni,

va infatti incompatibile con la gravidanza l’assunzione di far-

ed aver sentito anche il parere del suo ginecologo, spette-

maci a causa del loro potenziale “effetto teratogeno”, cioè

rà a lei e a suo marito, e solo a voi, l’ultima parola.

della possibilità di causare malformazioni nel feto. Oggi mol-

Se desidera avere informazioni scientificamente corrette e

te cose sono cambiate. Innanzitutto, è sempre più eviden-

continuamente aggiornate sui problemi che i singoli farma-

te che il rischio teratogeno di alcuni antidepressivi è mode-

ci possono causare sullo sviluppo del feto, al momento del

sto, se non del tutto assente. Inoltre, c’è una diversa sen-

parto e sul successivo sviluppo del bambino può telefonare

sibilità a questo tema e un buon clinico deve tenere conto

al seguente numero 800-883300 (il servizio è gratuito). Le

di tutte le variabili in gioco, senza escludere il legittimo

risponderanno medici qualificati che si occupano specifi-

desiderio di maternità della donna e le possibili conseguen-

camente di questo tema. In base alla mia esperienza pos-

ze che una depressione durante la gravidanza può avere

so dirle che quando si soffre di depressione e si ha neces-

sul nascituro. Il nuovo orientamento è volto quindi a cerca-

sità di cure a lungo temine avere un bambino può essere

re una soluzione personalizzata, valutando con attenzione

un percorso complesso, ma certamente non impossibile.

to grave questa potrebbe essere e se può essere utile ricorrere almeno temporaneamente ad un trattamento alternativo ai farmaci, come la psicoterapia cognitivo comportamentale o interpersonale. Quando la prosecuzione della cura farmacologica appare la soluzione più affidabile, lo psichiatra prescrive l’antidepressivo con minore rischio tera-

Inviate le vostre lettere per posta ordinaria al Prof. Antonio Tundo - Idea Bologna, Via Barberia 18 • 40123 Bolognao per E-mail: idearisponde@tin.it In questa rubrica saranno pubblicate quelle che contengono richieste di informazioni o quesiti clinici di interesse comune

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In breve dalla ricerca (a cura della Dott.ssa Fulvia Marchetti, Istituto di Psicopatologia, Roma)

Anche ONLINE la terapia cognitivo comportamentale è efficace E’ ampiamente dimostrato che la psicoterapia cognitivo comportamentale, da sola o in associazione alla terapia farmacologica, è un efficace trattamento per diversi disturbi mentali, dalla depressione al disturbo di panico al disturbo ossessivo compulsivo. Purtroppo, non tutti i pazienti possono usufruire di questo strumento terapeutico o perché diversamente abili o perché risiedono in aree con difficoltoso accesso ai servizi. Di qui la necessità di verificare l’utilità di una psicoterapia online, accessibile a tutti. Secondo uno studio condotto da Kessler e collaboratori (Lancet, Agosto 2009) su soggetti affetti da depressione, le persone che seguono un trattamento combinato con farmaci e psicoterapia cognitivo comportamentale online ottengono risultati migliori, sia nell’immediato che nel lungo periodo, rispetto a coloro che sono curati solo con i farmaci.

Ansia e depressione in ETÀ PRESCOLARE Contrariamente a quanto ritenuto fino a qualche anno fa, è sempre più evidente che anche i bambini in età prescolare possono soffrire di ansia o depressione. Solo che nei più piccoli le manifestazioni sono differenti da quelle tipiche degli adulti: nervosismo, tensione, paura o preoccupazione, disinteresse verso i giochi. Data l’importanza di una diagnosi precoce, diversi ricercatori hanno tentato di individuare quali sono i possibili fattori di rischio. In uno studio longitudinale condotto su un campione numeroso di bambini di età compresa tra i 5 mesi ed i 5 anni (Cassels e collaboratori, J. Child Psychology and Psychiatry, Giugno 2009), il più importante fattore predisponente è risultato un “temperamento difficile” all’età di 5 mesi. Inoltre, la probabilità di ammalare è maggiore se la madre ha a sua volta ha sofferto di depressione.

Una nuova possibilità per contrastare la TRICOTILLOMANIA La tricotillomania è un disturbo caratterizzato da un irrefrenabile impulso a strapparsi capelli e peli, con conseguente comparsa di aree di alopecia più o meno estese. L’efficacia dei trattamenti oggi disponibili, essenzialmente la terapia cognitivo comportamentale e gli antidepressivi che agiscono sulla ricaptazione della serotonina, è solo parziale. Nel mese di Giugno, Grant e collaboratori (Arch. Gen. Psychiatry, 2009) hanno pubblicato uno studio in cui dimostrano che l’N-acetilcisteina, un aminoacido ad effetto glutammatergico, è in grado di bloccare i sintomi del disturbo in più della metà dei pazienti trattati per 9 settimane. La sostanziale assenza di effetti collaterali rendono questa molecola meritevole di ulteriori indagini.

IL LITIO PREVIENE IL SUICIDIO: un’ulteriore conferma Tra il 15% e il 20% di coloro che soffrono di un disturbo dell’umore, depressione o disturbi bipolari, mettono in atto tentativi di suicidio. Fino ad ora non è stato trovato un trattamento “mirato” per questo comportamento. Di tutti i farmaci testati, il più efficace è risultato il litio che, se assunto regolarmente, è in grado di ridurre in modo significativo la propensione al suicidio in chi è affetto da depressione. Un recente studio, condotto da Lauterbach e collaboratori (Acta Psychiatr Scand, 2008) su 167 pazienti, ha confermato questo risultato consentendo agli autori di concludere che i sali di litio hanno un effetto anti-suicidio specifico e unico e dovrebbero essere il trattamento di elezione per coloro che hanno un alto rischio di condotte auto-lesive. 11


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Testimonianza

Il conforto aiutando gli altri …

Simonetta – G.A.A. Terni

H

o 52 anni, soffro ormai

sagio, sentivo molto caldo e sudavo,

entrambi gravi problemi di salute.

da anni di attacchi di

il cuore ha iniziato una corsa all’impaz-

Mio padre aveva perduto la vista

panico e, anche se allo

zata e più si avvicinava il mio turno,

molto giovane a causa di una malat-

stato attuale devo più

più questa angoscia saliva alla testa,

tia e mia madre soffriva di gravi tur-

che altro tenere sotto controllo l’ansia

non riuscivo più a controllare la si-

be psichiche che si manifestavano in

anticipatoria, che si mette in moto ap-

tuazione. Finito l’attacco, stavo co-

forma maniacale, non era in grado di

pena provo ad affrontare situazioni che

munque male. Lo shock provato, la

riconoscere la realtà che la circonda-

possono generare l’attacco, la mia sto-

paura dell’ignoto che mi aveva assa-

va, soprattutto noi familiari.

ria e la mia vita sono fortemente lega-

lito, mi ha lasciato frastornata e tre-

L’ultima crisi di mia madre si manife-

te agli attacchi di panico. Il primo at-

mante per lungo tempo. La mia vita

stò quando io avevo circa 12 anni, fu

tacco l’ho avuto all’età di 25 anni, ero

inaspettatamente mutava rotta da

curata da un eminente psichiatra e

con mio padre, non vedente, in un uf-

quel giorno. Questo attacco non può

con gli affetti di chi la circondava.

ficio postale, stavamo facendo la fila,

però essere visto isolato dal contesto

La sua guarigione fu quasi improvvi-

il cassiere ha iniziato a perdere tempo

del mio vissuto fino all’età di 25 an-

sa ma dopo pochi mesi fu colpita da

con attività non legate al suo lavoro,

ni. Sono nata da due genitori non più

un’ischemia cerebrale: il danno non

le lamentele salivano da parte di tutti,

giovanissimi, in un ambiente colmo

fu però irreversibile e si ristabilì quan-

mentre in me cresceva un profondo di-

di amore ma i miei genitori avevano

to prima.

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Anche questa volta il benessere durò

parte sinistra. Fui ricoverata ed opera-

notte con l’aiuto di mio figlio e di mia

poco, presto si scoprì un grave tumo-

ta, dimessa e poi ricoverata altre vol-

cugina, ho passato sette lunghi anni

re che, con sofferenze indescrivibili,

te. Per mesi non vidi nulla con l’occhio

nella camera di papà, dove ho vissuto

l’avrebbe portata alla morte all’età di

sinistro e pochissimo con il destro,

momenti tragici, momenti di serenità,

54 anni.

passarono mesi, poi finalmente un

di affetto, di dolore e disperazione, fi-

Era il 1° agosto del 1970, perdevo per

giorno affacciandomi dal balcone vidi

no a quando, alcuni anni dopo, in se-

sempre mamma. Avevo 16 anni, ero

confusamente l’immagine di alcune

guito a gravi postumi di una brutta in-

poco più di una bambina, con lei è par-

macchine parcheggiate nel cortile, la

fluenza, si spegneva la sua vita, non

tita una parte di me ed è rimasto un

speranza si riaccese.

senza avermi prima abbracciata forte

dolore sottile e struggente, un rimpian-

Una mattina mi recai a fare delle ana-

e avermi dato tanti consigli, lasciando-

to per un destino che mi ha tolto un

lisi, non appena il dottore mi prelevò

mi solo il suo amore. Dopo circa un an-

amore così grande.

il sangue provocandomi una lieve

no, all’improvviso sono tornati gli at-

Papà fu molto bravo a sostituire la fi-

emorragia al braccio, mi paralizzai dal-

tacchi di panico, il primo lo ebbi pro-

gura materna, insieme abbiamo

la paura e da quel momento iniziai a

prio davanti a quell’ufficio postale do-

camminato tanto. Continuai a studia-

conoscere l’Ansia. Ero sempre agita-

ve tantissimi anni prima, accompagna-

re con molta dedizione, a scuola ero

tissima, senza tregua, bevevo in con-

ta da mio padre, lo conobbi per la pri-

molto brava, arrivai al diploma e il mio

tinuazione acqua ed iniziai ad isolar-

ma volta e fui costretta a chiedere aiu-

papà era raggiante, cominciavo sem-

mi da tutto e da tutti, non sopportavo

to ad una persona anziana per poter

pre più ad essere io la sua guida fisica

nemmeno che le persone mi chie-

attraversare la strada.

e lui la mia guida morale. Qualcuno ha

dessero come stavo. Le prime cure le

Il desiderio di ritrovare la mia auto-

detto che mio padre vedeva attraver-

ho iniziate con il medico di famiglia,

nomia è stato così forte da darmi la

so i miei occhi, attraverso me vedeva

assumendo solo ansiolitici, che tam-

spinta per cercare i rimedi giusti, ho

il mondo ed io crescevo, senza avver-

ponavano solo l’ansia senza alleviare

iniziato a fare delle sedute con una psi-

tire molto la mancanza di mia madre.

il terrore che si era annidato dentro

chiatra, con lei ho pianto tanto, ho rac-

Mancanza che però è stata forte nel

di me. Successivamente, fui seguita

contato tutta la mia vita, anche i segre-

momento in cui mi sono sposata e so-

da uno psichiatra di Roma che mi im-

ti più profondi. La dottoressa, con

prattutto quando è nato mio figlio. Non

bottì con ogni tipo di farmaco ed ini-

estrema dolcezza, mi ha consigliato

avevo ancora ventitré anni che già ave-

ziai a stare meglio. Superai veramen-

una terapia a base di antidepressivi,

vo un bambino tutto mio che mi ha da-

te il problema solo quando fui segui-

che io non ho voluto mai prendere,

to energia e volontà, anche nei mo-

ta da una psicologa molto brava del

non sentendomi depressa ma sola-

menti più tremendi.

CEPASA, Centro di Psicologia e

mente ansiosa.

Perché quel giorno d’estate il mio at-

Scienze Antropologiche, che, seguen-

Fu un grosso sbaglio, che capii solo

tacco di panico? Mi ero appena laurea-

do la terapia del comportamento uni-

più tardi quando, grazie alla

ta ed avevo cominciato ad insegnare

tamente a sedute di training autoge-

in un corso per centralinisti ciechi. Già

no, pian piano mi ha ridato la giusta

da qualche giorno avevo cominciato a

dose di coraggio per affrontare la vita.

notare un annebbiamento all’occhio

Passarono tanti anni di completo be-

sinistro. Più tardi, la visita oculistica

nessere psichico ed il problema agli

aprì la porta ad un dramma che co-

occhi si andava stabilizzando. Perché

noscevo solo in parte, la mia miopia

sono qui oggi a parlare ancora di at-

era molto elevata e dovuta ad una ma-

tacchi di panico? La vita purtroppo

lattia che poteva portare alla perdita

mi ha riservato altri tristi esperienze.

con gli antidepressivi.

definitiva della vista. Mentre stavo se-

Nel 1990, mio padre, l’unico conforto

Dopo questa esperienza ho dato vita

guendo una cura molto potente di far-

della famiglia, il perno di una situazio-

a Terni ad un Gruppo di Auto Aiuto

maci, destino volle che una sera, gio-

ne poco stabile, veniva colpito da ic-

IDEA. Ci riuniamo tutte le settimane,

cando con mio figlio che non aveva an-

tus emorragico, alla cecità si aggiun-

sono due ore che dedico solo a me

cora due anni, presi una testata sulla

geva ora anche l’impossibilità di cam-

stessa, in cui lascio dietro la mia vita

parte sinistra della fronte. La mattina

minare, di muovere il braccio destro e

e cancello le mie paure parlandone e

successiva non vedevo più nulla dalla

di parlare. Ho lottato da sola giorno e

tentando di aiutare gli altri.

Fondazione IDEA, ho frequentato un corso per facilitatori di gruppo di auto aiuto. Il corso, che si tenne a Rimini nel 2003, fu un’esperienza favolosa, i nostri docenti erano psichiatri eminenti, imparai che gli attacchi di panico fanno parte della depressione e si curano

Nel ringraziare la Sig.ra Simonetta, per la coinvolgente testimonianza, rinnoviamo l’invito a tutti i nostri gentili lettori ad inviarci articoli e testimonianze, personali o dei propri cari, affinché l’esperienza di chi ha sofferto possa essere di aiuto ad altri. 13


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Uso di sostanze Emilio Sacchetti*

<<Tratto da “I Giovani e le Sostanze d’Abuso – nota per una scelta consapevole”, libretto informativo a cura del prof. Sacchetti, distribuito a tutti gli studenti degli Istituti Superiori di Brescia e provincia, nell’ambito del progetto “Assunzione di droghe: danni collaterali”, volto a sensibilizzare i giovani sulle gravi conseguenze derivanti dall’assunzione di droghe. Il progetto è stato realizzato dalla sede di Brescia, con la collaborazione del prof. E. Sacchetti, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Università di Brescia e sotto il patrocinio del Comune, della Provincia,dell’ASL e del Provveditorato agli Studi della città>>.

L

e funzioni cognitive possono essere definite come l’insieme delle facoltà intellettive che sono alla base del processo di acquisizione della conoscenza in quanto consentono all’individuo di percepire e comprendere la realtà, di memorizzare le informazioni, di elaborarle e confrontarle con altre apprese in precedenza, e, ancora, di svolgere in modo adeguato un determinato compito. In generale, l’uso di molti composti psicoattivi, cioè dotati di preminenti attività sul Sistema Nervoso Centrale, si associa ad una compromissione delle funzioni cognitive, sia nel loro complesso che limitatamente ad alcune specifiche componenti quali, ad esempio, la coscienza, l’immaginazione, l’apprendimento, la memoria a breve ed a lungo termine, il saper prendere decisioni e la capacità di pianificare e prevedere le conseguenze di un’azione o di un comportamento. Le varie sostanze non sfuggono a questa regola. In una prospettiva generale, è innanzitutto da sottolineare che le disfunzioni cognitive indotte dalle sostanze possono risultare di intensità e durata variabile a seconda del tipo di sostanza e della durata dell’utilizzo, cosicché ci si può di volta in volta trovare di fronte ad alterazioni lievi, modeste, gravi o gravissime e ad alterazioni transitorie, relativamente persistenti o, addirittura, irreversibili. Inoltre, è anche da tener presente che l’utilizzo concomitante di più sostanze, cioè il poliuso o il poliabuso, spesso si associa ad una comparsa anticipata delle alterazioni a carico delle varie facoltà mentali, ad una amplificazione della loro intensità e ad una maggior persistenza dei deficit, talvolta al punto da precludere la possibilità di un completo recupero, anche dopo un prolungato periodo di astinenza. Passando dal generale al dettaglio degli effetti svolti dalle varie sostanze sulle principali funzioni cognitive, è innanzitutto da sottolineare che, in acuto, la cocaina, oltre a ridurre i tempi di reazione ed a migliorare del tutto temporaneamente lo stato di vigilanza ed attenzione, induce spesso nel consumatore un’alterata valutazione dei propri limiti ed una diminuita capacità di critica e di giudizio e che non di rado l’intensità di queste alterazioni è tale da indirizzare verso azioni del tutto inabituali in condizioni di lucidità, ad

esempio comportamenti violenti ed aggressivi incontrollati, spese eccessive, azzardate o comunque inopportune, errori nello svolgere le abituali mansioni lavorative, scelte sbagliate, azioni illecite e violazioni delle regole tipiche della convivenza sociale. Sempre in acuto, la cocaina è anche in grado di peggiorare le capacità di svolgere attività manuali in modo adeguato e preciso, di comprendere e risolvere i problemi e di mettere in campo reazioni adeguate in risposta a situazioni critiche. Tutte queste alterazioni delle funzioni cognitive, possono essere osservate anche a distanza di oltre un mese dall’assunzione della sostanza e l’entità del deficit sembra essere direttamente proporzionale alla quantità di cocaina usata nell’arco dell’ultima settimana. In caso di utilizzo cronico, la cocaina comporta, invece, innanzitutto una serie di compromissioni a carico dell’attenzione, della memoria, dell’apprendimento, dei tempi di reazione e della flessibilità cognitiva, cioè della capacità di spostare a seconda delle necessità la “direzione” dei pensieri e delle azioni. Sempre in cronico, la cocaina interferisce negativamente anche sulle cosiddette funzioni esecutive, cioè su quell’insieme di attività che regolano non solo la capacità di pianificare , apprendere, controllare e valutare il proprio comportamento nella prospettiva del raggiungimento di un determinato obiettivo, ma anche la strutturazione del pensiero astratto. I deficit indotti dalla cocaina sulla capacità di prendere decisioni sono reversibili, almeno entro certi limiti di durata dell’esposizione: per questo motivo, la messa in atto di interventi precoci finalizzati alla cessazione della assunzione rappresenta un passaggio fondamentale per consentire il recupero almeno di quelle funzioni cognitive che non sino state già irrimediabilmente compromesse. Come la cocaina, anche le amfetamine inducono spesso stati di disinibizione, disturbi dell’attenzione ed alterazioni dei tempi abituali di reazione, tutti fenomeni, questi, che contribuiscono in maniera decisiva al gran numero di incidenti stradali 14


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che caratterizza le cosiddette “stragi del sabato sera”. Inoltre, la metamfetamina ed altri derivati dell’amfetamina, sono in grado di provocare un’alterata percezione dei propri limiti e, quindi, tutta la cascata di conseguenze negative che conseguo-

tive. I derivati della cannabis compromettono anche la velocità psicomotoria, la capacità di percepire in modo corretto gli stimoli e la vigilanza. La diminuzione delle capacità di guida e, quindi, l’aumento del rischio di provocare incidenti automobilistici, rappresentano solo una delle tante drammatiche conseguenze che tutte queste alterazioni possono provocare nella vita quotidiana. Alcuni deficit dell’attenzione e della memoria a breve termine possono persistere per giorni o addirittura per settimane dopo l’ultima assunzione: per tale motivo i vari pericoli causati dai cannabinoidi si dilatano anche notevolmente nel tempo, in genere il numero di anni di utilizzo si correla con la gravità dei vari deficit. Per quanto riguarda gli allucinogeni, il loro principale effetto a breve termine è rappresentato dalla comparsa di fenomeni allucinatori, cioè di situazioni nelle quali il consumatore “vede” immagini, “sente” suoni, o “avverte” sensazioni a carico degli altri apparati sensoriali ed attribuisce loro valore di realtà anche se queste “percezioni” non esistono, cioè non sono mediate dagli organi di senso. Le caratteristiche dei fenomeni allucinatori, sono spesso imprevedibili, non solo perché fortemente influenzati dallo stato psicofisico della persona al momento dell’assunzione ma anche perché gli allucinogeni possono essere “tagliati”con elementi diversi in grado a loro volta di indurre effetti piacevoli, il “Good trip” o insopportabili e terrifici , il “Bad trip”. Anche se presi in piccole quantità, alcuni allucinogeni, ad esempio la Ketamina, possono, inoltre, ridurre i livelli di attenzione e determinare importanti deficit a carico della memoria. Nel lungo termine, si possono anche instaurare una riduzione globale delle capacità intellettive, una incapacità a pensare in modo razionale, una tendenza all’aggressività e la comparsa di alterazioni a carico del linguaggio. Inoltre, risultano spesso drammatiche anche le sindromi d’astinenza da allucinogeni, ad esempio quelle da fenciclidina e da Ketamina, nelle quali si può determinare un quadro di grave amnesia persistente con grossolana difficoltà di ragionamento che si può mantenere anche a distanza di un anno dalla sospensione della sostanza. Infine, l’uso di oppiacei si associa in acuto soprattutto ad una diminuzione della velocità di pensiero e delle abilità motorie, oltre che ad un calo di prestazioni nelle prove di memoria verbale a breve termine. Più gravi e complesse sono le alterazioni indotte in cronico dai vari derivati dell’oppio: in questo caso, si ha spesso un coinvolgimento delle funzioni esecutive, compresa la flessibilità mentale, della memoria visiva a breve termine, della memoria di lavoro spaziale e dell’attenzione selettiva, cioè della capacità di riuscire ad indirizzare l’attenzione verso uno stimolo ignorando altri stimoli confondenti. Oltre a tutti questi deficit cognitivi in senso stretto, la dipendenza da oppiacei, eroina in particolare, si caratterizza pressoché invariabilmente anche per un diminuito controllo dell’impulsività.

no a questo tipo di modificazione. In acuto, i vari amfetaminosimili causano, inoltre, una visione distorta della realtà, inducono un senso artificiale di energia ed euforia spesso associato ad una modificazione della percezione del tempo e dello spazio e determinano uno stato di eccitazione ed agitazione. In cronico, invece, le varie amfetamine, provocano incapacità a mantenere l’attenzione per periodi prolungati, compromettono l’apprendimento, alterano la velocità di ragionamento e peggiorano la memoria sia verbale che di lavoro, cioè l’insieme di processi complessi rispettivamente deputati, nel primo caso alla capacità di ricordare serie di parole o fatti che è alla base di qualsiasi attività socio lavorativa e, nel secondo caso, all’immagazzinamento di informazioni di vario genere allo scopo di poterle utilizzare nello svolgimento di un compito immediato. La gravità e la persistenza delle alterazioni a carico delle funzioni esecutive provocate dai vari amfetaminosimili, dipendono largamente dall’intensità e dalla durata dell’uso e, in molti casi, i deficit rimangono evidenti anche molti mesi dopo la cessazione dell’assunzione o, addirittura, si rivelano del tutto irreversibili. A loro volta i cannabinoidi possono in acuto indurre non solo una riduzione dell’attenzione e della memoria a breve termine, cioè della capacità di richiamare alla memoria fatti accaduti pochi minuti prima ma anche un peggioramento a carico della memoria di lavoro e delle funzioni esecu-

* Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università degli Studi di Brescia e direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Spedali Civili di Brescia 15


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Notizie dal Mondo Napoli L'IDEA … si fa più chiara. Per i volontari del Nucleo IDEA di Napoli i mesi di giugno e luglio hanno segnato una tappa importante. In questo periodo, infatti, si è svolta la prima fase dell'atteso corso di formazione per facilitatori e, per noi aspiranti, si è trattato di un'esperienza importante sin dal primo incontro, durante il quale la presenza e le parole della coordinatrice nazionale della Fondazione, dottoressa Maria Maddalena Fiordiliso Grimaldi, hanno saputo infonderci coraggio e determinazione. Proprio quello che ci occorreva perché, se tutte le forme di volontariato richiedono disponibilità di tempo e passione, per essere volontari di IDEA è necessaria una preparazione specifica, sia pratica che scientifica. Questa prima fase della nostra formazione si è articolata in quattro incontri, lezioni impegnative e approfondite che hanno preso in considerazione molte patologie psichiatriche, le loro conseguenze sul piano personale, familiare e sociale ed i diversi tipi di intervento possibili; un percorso non facile per noi profani! Ma la guida dei nostri relatori, i giovani e competenti medici dott. Fiorillo, dott. Perris, dott. Volpe e dott. Piegari, ai quali il prof. May ci ha affidati, ci ha fatti sentire a nostro agio, permettendoci di porre domande o raccontare esperienze senza imbarazzo. Anche la gustosa pausa del buffet, molto apprezzata da tutti, si è svolta Dott.ssa Maria Maddalena Fiordiliso Grimaldi in una serena atmosfera conviviale. Questa esperienza, benché non ancora conclusa, ci ha sicuramente resi più consapevoli del ruolo che dovremo svolgere; conoscere più a fondo la sofferenza di chi telefona o si presenta al G.A.A. ci impegna a porci nei suoi confronti con empatia e sensibilità, ma anche con equilibrio e competenza, soppesando ogni parola, consci del fatto che, talvolta, rappresentiamo “l'ultima spiaggia” per naufraghi soli e disperati. Per questa importante occasione di crescita personale e sociale, oltre alla Fondazione IDEA, vogliamo ringraziare i nostri amici e Coordinatori di Napoli, Anna Tammaro e Peppe Manetti, che con la loro azione competente e discreta hanno reso possibile questa importante esperienza. Lucia Pariante IDEA Napoli 16


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Notizie dal Mondo Roma Mercoledì 27 maggio 2009, nella splendida sala della Protomoteca del Campidoglio, ha avuto luogo un Concerto per pianoforte a favore della Fondazione Idea. L’iniziativa benefica, voluta da IDEA Roma, si è potuta realizzare grazie alla disponibilità della La concertista Marcella Crudeli e la sua allieva Rosalba Vestini

eminente concertista Marcella Crudeli, che ancora una volta ha regalato a Idea la gioia di ascoltare la sua musica. Alla bellezza della musica si è associato il piacere di una location di prestigio concessa dal Comune di Roma, come la sala della Protomoteca, che dall’alto del Campidoglio offre la vista mozzafiato del Foro Romano. Marcella Crudeli, considerata dalla critica internazionale uno dei più importanti rappresentanti del concertismo italiano, direttrice di conservatorio e insignita di alti titoli e premi di livello internazionale, ha voluto farsi accompagnare da una sua cara allieva, la giovane ed apprezzata concertista di talento Rosalba Vestini. Le due artiste hanno suonato insieme in una brillante esecuzione a quattro mani le Danze Ungheresi di Brahms e le Danze Slave di Dvorak, brani famosi, applauditi a lungo dal pubblico entusiasta che ha letteralmente gremito la sala.

Roma A Roma, dall’11 al 15 Ottobre, presso il Rome Marriott Park Hotel, si è tenuto il XLV Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria dal titolo <<La Psichiatria Moderna ed il “Mondo Reale”: molteplicità, integrazione, eclettismo>>. Il Congresso ha affrontato le complesse problematiche del rapporto esistente fra psichiatria e mondo reale, i pregiudizi e lo stigma che tuttora esistono sia verso il malato di disturbi psichici, sia verso lo stesso medico psichiatra. Molteplici gli aspetti del mondo reale analizzati durante gli incontri, fra questi, ad esempio, la famiglia, l’ambiente, le diverse fasi della vita, l’influenza dei mass media, le comorbilità con altre patologie mediche, l’effectiveness delle terapie, le sfide dell’etica in continuo cambiamento. Si è poi cercato di valutare l’influenza di tutti questi fattori sulla vita quotidiana dei pazienti, sul decorso dei loro disturbi e sulla scelta dei trattamenti di cura. 17


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Notizie dal Mondo Salerno Sabato 8 Maggio si è tenuto a Salerno, presso l’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri della provincia di Salerno, un Convegno dal titolo “Donna e Depressione”. L’evento, organizzato dalla prof.ssa Simona Capezzuto Petronella, Presidente di Inner Wheel Salerno Est, ha visto, accanto ad altri relatori, la presenza del prof. Antonio Tundo, direttore del Dipartimento di Psicopatologia di Roma e membro del Comitato Scientifico di IDEA. Il Convegno ha trattato il tema della depressione con particolare riferimento alla figura femminile, analizzando i motivi per i quali le donne ne sono principalmente colpite. La dott.a Chiara Colavito, responsabile di IDEA Roma, ha tenuto un intervento conclusivo sull’importanza dei gruppi di auto aiuto. Presenti all’occasione Prof. Antonio Tundo anche la dott.a Roberta Necci, responsabile dell’Auto Aiuto Nazionale, la dott.a Maria Maddalena Fiordiliso Grimaldi, responsabile della sede di Bologna ed il sig. Peppe Manetti, responsabile di IDEA Napoli.

Bologna Concha Baras danza per Idea. Sabato 17 ottobre, la grande Scuola spagnola di Flamenco di San Fernando, rappresentata dalla straordinaria Concha Baras e Daniel Saltares, ha regalato una notte di fuoco alla nostra Fondazione, nelle suggestive sale di Palazzo Leoni, messe gentilmente a disposizione dal Reale Collegio di Spagna. La serata, organizzata da Maria Cañedo Valdecasas e da Maghida Fiordiliso Grimaldi, è stata anche un’occasione per riflettere sullo stretto legame tra il benessere del corpo e quello della mente. Gli psichiatri presenti all’occasione hanno, infatti, sottolineato l’importanza della musica e della danza come vera e propria terapia di supporto ai disturbi dell’umore. La serata si è conclusa attorno ad un ricco “Buffet di Mezzanotte” i n n a f f i a t o d a s a n g r i a e d a v i n i d i E S PA Ñ A . 18


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Lavori in corso

informazioni sulle prossime iniziative dei nuclei locali

IDEA Bologna In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, allestimento di un punto IDEA presso l’Ospedale Maggiore per la distribuzione di materiale informativo (10 Ottobre ‘09) Flamenco a Palazzo, spettacolo di beneficenza e buffet di mezzanotte (17 Ottobre ‘09) IDEA sotto i portici – Punto IDEA nel centro storico della città organizzato dai volontari e con la presenza dei partecipanti ai Gruppi di Auto Aiuto (Autunno e Inverno 2009 - 2010)

IDEA Brescia Ciclo di incontri sul tema “Diagnosi e terapie dei disturbi dell’umore”, che si terranno presso la sede (dal 10 Novembre al 15 Dicembre ’09) Progetto “Assunzione di droghe: danni collaterali”, presso alcune Scuole Medie Inferiori della città per sensibilizzare anche i più giovani sulle gravi conseguenze che derivano dall’assunzione di sostanze. (Anno Accademico 2009 – 2010)

IDEA Milano Conferenza dal titolo “Riconoscere i sintomi della depressione. Cosa fare per curarsi” tenuta dalla dott.a Elena Di Nasso presso il Consiglio di zona 4 (6 Ottobre ’09 alle ore 17:30).

IDEA Genova Serata di beneficenza a favore di IDEA Genova presso Palazzo Ponzone (21 Novembre 2009) In occasione dell’inaugurazione dell’Anno Sociale, serata presso l’Auditorium del Teatro Carlo Felice (Data e programma da stabilirsi) Corso di formazione per volontari della risposta telefonica (date da stabilirsi)

IDEA Roma Partecipazione al Convegno “Le donne del Mondo a Roma”, organizzato dall’ On. Gilberto Casciani e con la partecipazione del Sindaco Alemanno (Ergife Palace Hotel – 26 Settembre 2009)

IDEA Trieste Conferenza “Invecchiare non è difficile, basta sapere come” in collaborazione con l’Associazione per i Diritti degli Anziani (25 Settembre ‘09) IDEA Informa (presso Stazione Rogers – 27 Ottobre ’09) Corso di formazione per volontari e facilitatori di G.A.A. (dal 12 al 15 Novembre 2009) Progetto Scuola, in collaborazione con gli Istituti Oberdan e Dante (date da stabilirsi) Progetto “Musica e Depressione” (date da stabilirsi) Volontarie consultare di IDEA Bologna per maggiori informazioni il sito “www.fondazioneidea.it” cliccando su “NUCLEI LOCALI di IDEA” 19


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“IDEArisponde…” IDEArisponde: un servizio al paziente e alla sua famiglia. Un gruppo di volontari, che hanno seguito un apposito corso di formazione, risponde alle telefonate dei pazienti e dei loro familiari per dare ascolto, conforto, consiglio, informazioni. Segreteria e servizio IDEArisponde: Milano (Dal Lunedì al Venerdì ore 9-18) 02 80.58.18.66 - 65 / idearisponde@tin.it Roma (Dal Lunedì al Venerdì ore 15.30-19.30) 06 48.55.83 / idearoma@hotmail.it Bologna (Dal Lun. al Mer. 16-19, Giov. e Ven. 10-13) 051 64.47.124 / ideabo@virgilio.it Genova (Lun., Merc., Giov. 16-18 e Mart. 10-12) 010 24.76.402 / ideagenova@libero.it Trieste (Lun. e Giov. 10-12, Mart. 16-18, Merc. 15-16, Ven.17-18) 040 31.43.68 info@ideatrieste.it Brescia (Martedì e Giovedì 15-18) 030 23.00.196 Napoli (Martedì e Giovedì 18-19) 081 57.84.622 / ideanapoli@libero.it

Numero verde NAZIONALE 800 538 438 (Dal Lunedì al Venerdì ore 10-19) Numero verde Lombardia S.O.S. DEPRESSIONE 800 122 907

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Grazie per l’aiuto e Buon Natale a tutti!

I D E A N

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Direttore responsabile Roberto Bianchin

IDEA Bologna • Via Barberia 18 - 40123 Bologna

Comitato di redazione Antonio Tundo, Paolo Cioni, Enrico Poli

IDEA Brescia • Via Cimabue 16 - 25134 Brescia

Coordinamento grafico/editoriale ZAP srl - Roma

IDEA Genova • Via San Luca 15/5 - 16124 Genova IDEA Napoli

• V.le Cavalleggeri d’Aosta 119 - 80124 Napoli

Presidente Sergio Camerino

IDEA Roma

Tesoriere Carla Ceppi

• Via Cavour 258 - 00184 Roma (ingresso) • Via Frangipane 38 - 00184 Roma (ind. postale)

IDEA Trieste

• Via Don Minzoni 5 - 34124 Trieste

Sede: Via Cornaggia 9 - 20123 Milano - Tel. 02 72.09.45.60 - Fax 02 80.58.18.67

http://www.fondazioneidea.it - e-mail: idearisponde@tin.it


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