Corveneto 18 gennaio 2009 - inserto sulla longevità (pag 2-3)

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Domenica 18 Gennaio 2009 Corriere del Veneto

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Corriere del Veneto Domenica 18 Gennaio 2009

PD

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La nuova longevità

Cresce l’emergenza abitativa

Quasi 4 milioni di anziani (il 47,7%) vivono in abitazioni costruite prima del 1962. Sono quasi un milione e mezzo invece quelli che abitano in una casa il cui stato di conservazione è considerato «mediocre» o «pessimo»

Amtzell Un caso da studiare

Tecnologia e qualità della vita

Ad Amtzell, cittadina a venti chilometri dal Lago di Costanza, è stato realizzato il «Villaggio delle generazioni». Qui la parola d’ordine è: far vivere in armonia tutte le fasce d’età

Città senza barriere High tech in aiuto

IL COMMENTO Luoghi comuni contro nobili visioni

La rimozione impossibile e la riscoperta di un ruolo di LORENZO TOMASIN

I

Una larga fetta della popolazione si trova a fare i conti con centri urbani inospitali. Così la domotica ci facilita la vita

20 È la percentuale della popolazione italiana che superà i 65 anni di età. Gli italiani stanno vivendo più a lungo

35 Una proiezione per il 2050: questa è la percentuale della popolazione italiana che supererà i 65 anni di età, una crescita vertiginosa

8 Milioni di persone over 65 proprietari di casa: costituiscono circa il 77,4%. Quattro milioni vivono in case costruite prima del 1962

S

ono quasi il 20 per cento della popolazione. Tra una decina d’anni un italiano su quattro avrà più di 65 anni. Nel 2050 sfioreranno il 35 per cento. È l’Italia con i capelli d’argento. Cambiamenti epocali con cui prima o poi cui si dovrà misurare anche l’organizzazione urbanistica delle nostre città. Disabilità, riduzione dell’autonomia, ridotte capacità economiche, costringono una larghissima fetta della popolazione italiana a fare i conti con centri urbani spesso inospitali, insediamenti abitativi non sufficientemente infrastrutturati, piccoli borghi difficilmente raggiungibili. Insomma palazzi, strade, piazze, servizi pensati, progettati, realizzati in funzione dei bisogni della popolazione attiva. Barriere architettoniche, difficoltà di accesso ai mezzi pubblici, sviluppo incessante della grande distribuzione ai margini delle città a scapito dei negozi di prossimità (quindi sotto casa), carenze strutturali degli edifici, presidi medico- sanitari che è quasi impossibile raggiungere autonomamente, sono solo una parte dei problemi «urbanistici» con cui devono fare quotidianamente i conti milioni di anziani. Un disagio fotografato nel 2007 da uno studio dall’associazione Abitare e Anziani in collaborazione con l’Istat. Secondo la ricerca, gli over 65 proprietari di casa in Italia sarebbero circa 8 milioni (il 77,4 per cento del totale). Dai dati emerge un’oggettiva situazione di disagio abitativo. Quasi 4 milioni di anziani (il 47,7%) vive infatti in abitazioni costruite prima del 1962. Sono quasi un milione e mezzo invece quelli che abitano in una casa il cui stato di conservazione è considerato «mediocre» o «pessimo». Oltre il 78 per cento degli ultra sessantacinquenni vive in edifici senza ascensore, 400 mila sono quelli che

hanno un’abitazione sprovvista di riscaldamento, 600 mila quelli che non possono contare su una linea telefonica (dato medio nazionale). Insomma un piccolo esercito in oggettivo stato di sofferenza che ogni anno si fa sempre più numeroso. Un esercito attorno al quale, dovranno cambiare pelle anche le nostre città e con cui dovranno necessariamente fare i conti gli urbanisti. Se in Italia la strada da percorrere sembra ancora moltissima, una bussola per il futuro sembra arrivare dalla Germania. L’amministrazione di Duisburg per esempio, ha affidato al noto urbanista Albert Speer junior l’elaborazione di piano che dovrebbe ridisegnare radicalmente il volto della città in previsione dell’incanutirsi della sua popolazione.«Se nel 2050 alcuni asili saranno superflui, è possibile trasformarli in luoghi di aggregazione per gli anziani? Le scuole potranno diventare case di riposo? Io spero che tra una quarantina d’anni i nostri centri storici siano maggiormente abitati, in particolar modo dagli over 50» spiega Speer. Georg Puhe dell’Ente per lo sviluppo e il management urbanistico di Duisburg auspica invece la realizzazione di una città compatta dove tutti i servizi, sia quelli commerciali che quelli amministrativo-sanitario, possano essere concentrati nell’arco di poche centinaia di metri e siano facilmente raggiungibili a piedi da chi abita nella zona. Se nella città del Rhur si è ancora fermi a livello progettuale, ad Amtzell una cittadina a 20 chilometri dal Lago di Costanza si è già passati dai progetti alla realtà con la realizzazione del «Villaggio delle generazioni» dove la parola d’ordine è: far vivere in armonia tutte le fasce d’età. Per far questo si è deciso come prima cosa di costruire alla periferia del-

Una casa domotica può comprendere un montascale elettrico che permette di salire o scendere gli scalini comodamente seduti, tapparelle automatizzate che si sollevano o abbassano con un pulsante

È un errore proporre una città per gli anziani, una per i bambini o una per gli immigrati. La chiave di un’organizzazione urbanistica è nella progettazione di spazi pubblici e servizi che faciliti i rapporti tra le persone, luoghi dove sia possibile l’integrazione tra generazioni (foto Gobbi/Bergmaschi)

la cittadina un asilo proprio di fianco ad una casa di riposo. Bambini anziani trarrebbero infatti notevoli benefici dallo stare assieme. Parte integrante del villaggio è anche la residenza «Giovani e vecchi» che, agli alloggi veri e propri, alterna spazi di socialità dove possono incontrarsi giovani famiglie e condomini con i capelli grigi. All’interno della struttura sono poi presenti un campo di bocce e un impianto sportivo studiato appositamente per non danneggiare le articolazioni più delicate. Se i modelli europei di sviluppo urbano in Italia sembrano perlopiù una meta lontana da raggiungere, in aiuto degli over 65 di casa nostra arriva però la tecnologia che può risolvere i piccoli e grandi problemi di ogni giorno. Una tecnologia che sviluppa i principi della domotica, la disciplina che si concentra sulla gestione più ergonomica della casa. Una casa domotica per esempio può comprendere un montascale elettrico che permette di salire o scendere decine e decine di scalini comodamente seduti, le tapparelle automatizzate che danno la possibilità di sollevare e abbassare

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le imposte con un pulsante o un avveniristico comando vocale che regola l’accensione e lo spegnimento degli elettrodomestici con il semplice suono della voce. Qualità del tessuto urbano vuol poter dire anche la possibilità di spostarsi in tempi ragionevoli da una luogo all’altro. Una possibilità che molto spesso però viene negata agli anziani. Difficoltà nel guidare un mezzo proprio, livello scadente del trasporto pubblico, costi eccessivi dei taxi, costringono la terza età a dover fare i conti con l’impossibilità di muoversi. Anche in Italia però molte sono le esperienze che vanno in controtendenza. A Roma per esempio gli ultrasettantenni con reddito inferiore ai 15 mila euro viaggiano gratuitamente su bus, tram e metropolitane. A Padova invece è già realtà «Mobilità garantita». Il progetto in favore di disabili e anziani con problemi di salute, realizzato con la collaborazione dei privati, prevede la messa a disposizione gratuita di auto munite di pedane mobili che si autofinaziano grazie alla vendita di spazi pubblicitari applicate sulla loro carrozzeria.

«Architetti, ci vuole più etica»

Alberto Rodighiero

A.Ro.

Maietta (Censis): un errore inseguire solo l’estetica Più etica e meno estetica nella progettazione, integrazione generazionale, più coraggio da parte delle istituzioni. Sono queste le parole d’ordine di Francesco Maietta, responsabile Politiche sociali della Fondazione Censis, per affrontare le sfide urbanistiche che l’invecchiamento della nostra società ci pone. Maietta, profondo conoscitore delle problematiche correlate alla terza età, ha pochi dubbi: per governare l’evoluzione demografica del futuro è necessario un vigoroso cambio di passo. Professore, quali sono i problemi che devono affrontare gli anziani nelle nostre città? «Se dovessi indicare contesti residenziali o abitativi dove la ridotta mobilità degli anziani diventa moltiplicatore del rischio di solitudine e marginalità, parlerei degli ampi non luoghi della città diffusa -peraltro, fortemente presente in Veneto- dove mobilità coincide con auto privata e spazi di relazioni con centri commerciali e dove sono praticamente assenti presidi di prossimità come un tempo potevano essere i piccoli negozi». Come dovrebbe essere l’organizzazione urbanistica del futuro, in previsione di un aumento della popolazione over 65? «Credo sia un errore proporre la città per gli anziani, quella per i bambini o quella per gli immigrati. La chiave di un’organizzazione urbanistica orientata al benessere sociale nel futuro deve risiedere nell’integrazione, cioè in una progettazione degli spazi pubblici e dei servizi che fa-

ciliti i rapporti tra le persone, luoghi dove sia possibile l’integrazione tra generazioni. Vanno immaginati centri multipolari in cui coesistono e sono interconnessi asili nido, strutture per anziani, centri per immigrati e servizi sanitari per tutti». Ci sono, magari all’estero, dei modelli a cui ispirarsi? «In questo campo noi non siamo più in ritardo degli altri. In alcuni Paesi, come la Svezia o anche la Germania, magari c’è storicamente più attenzione alla dimensione sociale, comunitaria dell’organizzazione urbana o anche alle esigenze sociali degli anziani o di altri soggetti fragili, ma non esiste una modellistica trasferibile». In Italia c’è qualche esperienza che va in questa direzione? «Se esistono, sono ben poco rilevanti e, soprattutto, per ora incapaci di attivare effetti imitativi. Credo che nel nostro Paese occorre affermare l’idea che compito dell’amministrazione pubblica deve essere quello di favorire la concentrazione dei luoghi di erogazione dei servizi in

I modelli «Vanno immaginati centri multipolari in cui coesistono e sono interconnessi asili nido e strutture per longevi»

aree ben inserite nei contesti abitati». Ci sono degli architetti o degli urbanisti - italiani o stranieri - che dimostrano una particolare sensibilità per questo tema? «I grandi dell’architettura oggi si sfidano sulla progettazione di edifici ad alta attrattività, che stupiscano, di cui si possa parlare prima ancora che siano non solo edificati, ma addirittura progettati. C’è invece pochissima attenzione per la funzionalità di ciò che si progetta». Dal punto di vista economico, progettare una città che vada incontro alle esigenze della terza età è molto oneroso? «Non credo lo sia in modo particolare. In una società che invecchia però non si deve avere paura di puntare proprio su una nuova concezione delle strutture e dei luoghi dedicati agli anziani». Da parte delle istituzioni esiste una sensibilità verso questo tipo di problemi? «Negli ultimi anni nei bilanci delle amministrazioni pubbliche si sono moltiplicate le voci di spesa per corsi, iniziative, feste, per anziani e di anziani. Cose magari lodevoli, ma che non rispondono alle reali esigenze poste dall’invecchiamento. Occorre invece puntare sulla longevità attiva intesa come stimolo alle persone che entrano nella terza età a darsi un ruolo e un progetto su cui investire i propri anni residui di vita».

n un suo famoso trattato sulla vecchiezza, il De senectute, Cicerone confuta una ad una le accuse che il pensar comune muove all’ultima età della vita: non è vero che si tratta di una stagione condannata all’inattività e alla debolezza, non è vero che l’affievolimento dei piaceri fisici sia una menomazione, non è vero che la vicinanza della morte sia un fattore negativo. La parola dell’antico filosofo trasfigura la longevità riscattandola, nella parte più nobile del pensiero occidentale, dal pregiudizio e dalla superficialità di un approccio puramente edonistico, o meramente estetico: «la vecchiaia stessa è una malattia», sentenziava un antico proverbio popolare dei Romani. Una sola angolatura mancava, forse, al complesso prisma ciceroniano: un’angolatura tipicamente moderna, cioè un atteggiamento che, per il pervicace ricorrere di quell’equazione tra longevità e malattia, ha finito per caratterizzare il nostro tempo. È il rifiuto di riconoscere a quella stagione le sue peculiarità (quelle positive come quelle dolorose, che sarebbe stolto negare). La sua unicità. Una spia di questo sovvertimento sta nel modo stesso in cui usiamo gli aggettivi: il termine «giovane», caricatosi di una spropositata forza seduttiva, viene ormai ridicolmente affibbiato anche a chi un tempo sarebbe stato definito «adulto». A chi, ad esempio, ha superato quel biblico «mezzo del cammin di nostra vita» dopo il quale i santi e gli eroi cantati da Dante possono avere anche l’aspetto solenne e ragguardevole del «veglio» o del «sene» (dal latino senex, la stessa radice di senatore). Il longevo, appunto, giunto oggi ad evitare di autodefinirsi «vecchio» per sfuggire alla connotazione negativa che, altrettanto indebitamente, ha

investito una parola un tempo quasi-sinonimo di «saggio», «autorevole». Fuga, rimozione, camuffamento: in una società sempre più diffusamente canuta, ripensare in modo nuovo al nostro rapporto con queste parole - e con queste cose - è l’unico modo per superare le aberrazioni più vistose di un’epoca che né Cicerone, né Dante avrebbero forse immaginato: quella in cui la «vecchiezza» diffamata da Leopardi («è male sommo», dice il poeta in uno dei suoi più cupi Pensieri) oscilla schizofrenicamente tra degradante emarginazione (quella dell’abbandono e del rifiuto sociale) e imbarazzante invadenza (quella del protagonismo di tanti patetici finti-giovani). Senza saper trovare un

❜❜ Già Cicerone confutava i pregiudizi più diffusi sulla terza età proprio sereno equilibrio: un proprio posto nella società, insostituibile e perciò preziosissimo: tale dovrebbe essere il senex per tutto il consorzio umano. A certe condizioni, naturalmente, che tuttavia riguardano più le prime che le estreme età della vita. Cicerone l’aveva capito: «non la canizie né le rughe possono ad un tratto conferire quell’autorità che invece è la finale conseguenza di una vita onoratamente trascorsa». Vivere onestamente e spendere sempre la miglior parte delle proprie capacità e possibilità è il modo migliore per assicurare ad ogni età della vita, compresa l’ultima, il ruolo e l’importanza che a ciascuna di esse spetta per diritto. Più ancora che per natura.


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