Il significato dell'accoglimento. PSICODINAMICA DELL'INSERIMENTO.
Nel riflettere sul significato dell'accoglimento, ritengo sia opportuno fare quantomeno una precisazione. Noi accogliamo che cosa? Sarebbe fuorviante soffermarsi in termini generici sul significato dell'accoglimento, in quanto tutti noi -anche se a vario titolo – siamo qui per considerare il fatto che ci troveremo ad accogliere sì delle persone (anziani e parenti, di solito), ma persone che stanno vivendo una esperienza specifica che è appunto l'inserimento in struttura di una persona anziana, cosa che solitamente coinvolge anche uno o più parenti. Ci troveremo quindi ad accogliere persone che stanno sperimentando le vicissitudini e le risonanze riguardanti una esperienza – la scelta di entrare in una struttura per anziani - che frequentemente 'prende in contropiede' i protagonisti, li trova quasi sempre psichicamente ed emotivamente impreparati, anche lì dove da tempo si profilavano segnali inequivocabili di decadimento. L'inserimento tocca profondamente tutti: anche nella migliore delle circostanze (es: inserimento di un anziano pienamente consenziente), questo passaggio non sarà mai vissuto come qualcosa che può non avere profonde ricadute. Cerchiamo allora di chiarire alcuni aspetti riguardanti appunto l'inserimento: cosa possa significare per i protagonisti – sul piano emotivi o mentale - passare attraverso questa vicenda, che ha in sé, anche nelle migliori circostanze, risvolti traumatici (Va aggiunto che le modalità di inserimento risulteranno essere determinanti per ampliare o per contenere i risvolti maggiormente patogeni) Anzitutto non possiamo non chiederci cosa perda l'anziano (e con lui il parente) in questo passaggio, per aiutare poi questi due protagonisti a ritrovare ciò che sarà possibile ritrovare. C'è un 'prima'....l'anziano che vive dentro i rapporti con i parenti rimasti, che vive circondato dai suoi oggetti a lui ben noti.....c'è un anziano che non solo è in relazione con queste realtà, ma ha pure creato con ciascuna di esse dei legami che lo tengono nel suo possibile equilibrio... Vorrei soffermarmi in modo particolare su quest'ultimo concetto. Tutti noi, che siamo ancora nella condizione di vitale operosità, abbiamo creato un insieme di rapporti che, in qualche modo, ci 'tengono', ci 'legano' e ci 'collegano' ai vari flussi vitali presenti nel nostro ambiente, flussi che ci aiutano a ritrovarci e a riconoscerci nella nostra identità e nella nostra più completa umanità.
Il rapporto quindi è il contenitore dei legami possibili, è un po' come la guaina mielinica che riveste il nostro sistema nervoso e che consente il passaggio della energia. Senza guaina mielinica non scorre energia....., senza rapporto non creo legami vitali. Per l'adulto tutto questo è dato per scontato, in quanto egli è corredato per realizzare questo stato di cose; ed è talmente scontato che ci può sembrare persino inutile sottolinearne l'importanza. Ci sono circostanze, invece, che pongono in luce l'importanza e la necessità di questa componente relazionale: come vedremo meglio tra un po', l'inserimento è uno di questi momenti; ma ci sono numerosi altre circostanze della vita che ne mettono in evidenza la centralità. Un bambino piccolo, ad esempio, che perda un genitore, cercherà per tutta la vita di ricreare 'legami sostitutivi' che, in qualche modo, lo facciano sentire 'tenuto', proprio lì dove il genitore lo ha lasciato 'scoperto'. Il valore del legame sta nel fatto che non solo ci fa sentire 'tenuti' (significa che per qualcuno ho pur un valore), ma soprattutto ci fa sentire parte di un contesto, soddisfa il bisogno di appartenenza. E questo bisogno noi non lo perdiamo mai di vista: lo perseguiamo in continuazione; l'anonimato (è il risultato della perdita del senso di appartenenza) è una condizione temuta da tutti e, in quanto tale, rappresenta, per così dire una delle maledizioni della nostra epoca in quanto, attraverso i vari strumenti telematici, ci si orienta proprio verso l'isolamento e la non appartenenza. L'appartenenza nutre, rassicura e contribuisce a tenere sotto controllo ansie ed angosce; l'anonimato svuota e deprime. La solitudine dell'anziano è radicata non nella mancanza di oggetti, ma nel non godere della sensazione di appartenenza. L'interrogarsi dell'anziano attorno al senso della sua esistenza (“….a cosa serve la mia vita....?”) ha a che fare non con un senso di inutilità, in quanto non si ritrova delle abilità che lo colleghino al produrre, al fare; risulta essere invece un grido di dolore in quanto ha la sensazione di non appartenere più ad alcun contesto che “lo tenga”. Per cui quella espressione “.....a cosa serve la mia vita...?) andrebbe riformulata nella espressione “......io, di chi sono? A chi appartengo? Inserimento, attacco ai legami e perdita del senso di appartenenza. Cosa ha a che fare tutto questo con l'inserimento e con l'accoglimento? Uno degli aspetti più dolorosi vissuti nell' esperienza dell'inserimento – quantomeno sul piano emotivo e mentale - sta proprio nel fatto che questo passaggio può rappresentare una sorta di 'attacco' ai legami, risulta essere una sorta di 'scomposizione' dei legami fino a quel momento vissuti tanto dall'anziano quanto dal parente.
L'anziano che si trova a vivere il lungo processo riguardante l'inserimento, inizia il suo cammino vivendo non solo la perdita di oggetti, ma, ciò che maggiormente paventa, la perdita dei legami che ha con quegli oggetti, legami che, di solito, da molti anni lo fanno sentire 'tenuto' sul versante della vita. Il modo di stare assieme con i parenti, il modo abituale che l'anziano ha di stare con i propri oggetti, addirittura il modo di stare con se stesso, è destinato a mutare....; ”quelle” modalità che per anni erano state create dall'anziano per se stesso e tra i vari rami parentali, quelle modalità che lo rassicuravano e lo facevano sentire tenuto e appartenente ad un contesto (al 'suo' contesto), proprio quelle modalità sono destinate, per così dire, a scomporsi, a diventare altro. In tutto questo il senso di appartenenza può traballare e questa minaccia può smuovere una delle angosce più dolorose che si possano incontrare in vecchiaia e che hanno a che fare con un senso di catastrofe irreparabile, angoscia rispetto alla quale l'anziano non ha difese personali cui fare ricorso. Ovviamente quelle che sto descrivendo sono risonanze profonde, che quasi mai vengono dette e quasi mai appaiono direttamente in tutta la loro evidenza. Si intravvedono piuttosto attraverso una serie di 'conseguenze' e di movimenti collaterali. Il tipico segnale di tutto questo è il destino che aspetta alla mente razionale di questi protagonisti: lì dove i legami vengono minacciati, la mente razionale pare quasi venire messa tra parentesi, mentre prende il sopravvento la mente emozionale, che esprimerà dubbi, ansie, timori di vario genere indicanti anzitutto la necessità di venire rassicurati. E' esperienza di qualsiasi operatore della segreteria (e di tutte gli altri operatori che incontreranno parenti ed anziano in prossimità dell'ingresso) che gran parte delle argomentazioni addotte in queste circostanze e delle indicazioni portate, sembrano andare perse, pare quasi non esserci ascolto. Spesso i parenti assumono posizioni paradossali, incongruenti e contraddittorie rispetto alle stesse richieste che portano. La struttura, in un certo senso, perde alcune delle connotazioni di realtà e diventa un luogo proiettivo investito di rabbie, di delusioni e di richieste magico-onnipotenti. Nel gioco delle parti, quindi, si direbbe che la mente razionale debba essere assunta dalla struttura e – in questa disanima psicodinamica- risulta evidente che è uno dei compiti specifici della segreteria che è invitata a trovare il modo di contenere e di dialogare con questo 'di più' di aspetti emozionali. Ricerca di nuovi legami e di un nuovo senso di appartenenza. Quanto descritto rappresenta per sommi capi il risvolto più problematico che deve essere incontrato, accolto, contenuto e riformulato; ma contiene in sé anche
l'indicazione delle esigenze che per l'anziano rivestono carattere prioritario. Se l'inserimento può rappresentare un pericolo riguardante la temuta perdita di legami, il bisogno profondo con il quale l'anziano si rivolge alla istituzione riguarderà la speranza di costituire nuovi legami che gli consentano di ritrovare quel senso di appartenenza capace di rassicurarlo e di ridare un significato alla sua vita. Se noi dovessimo fare una scaletta dei bisogni che si attivano nell'anziano con l'inserimento in struttura, dovremmo mettere al primo posto anzitutto questo: trovare rapporti capaci di ricreare una rete di legami che gli restituisca – almeno in parte – quel senso di appartenenza che ha perso in precedenza e che lo salvi dall'anonimato (tomba dei viventi). Al secondo posto dovremmo indicare una realtà che gli consenta di ritrovare un senso di sicurezza (il che significa che deve trovare un ambiente che gli conferisca stabilità e protezione); al terzo posto dovremmo garantirgli l'accudimento necessario. Tutto questo ci porta a considerare due tipi di conclusioni. Anzitutto il fatto che l'accoglimento non è un qualcosa che riguarda il personale di segreteria, ma riguarda tutta la struttura ospitante, in quanto è il risultato di un lungo processo; tale processo si concluderà non dopo tre giorni o due settimane..... Si concluderà quando l'anziano avrà ritrovato nuovi legami e soprattutto un nuovo senso di appartenenza, tale da rassicurarlo in riferimento al suo presente e al suo futuro. Solo a questo punto l'inserimento potrà dirsi compiuto. Il tempo dell'inserimento, quindi, non coincide con il tempo delle pratiche burocratiche, ma con il tempo interno dell'ospite. Ma tutto questo ci porta a considerare anche un altro aspetto: forse siamo portati a riflettere troppo poco sul valore delle strutture come comunità e sul potenziale che in esso vi è incluso. L'anziano non è facile alla socializzazione, ma è sensibile ad un insieme che sa stare assieme e che sa tenersi nel suo insieme. Se ci dovessimo chiedere cosa può dare all'anziano il senso di appartenenza ad una comunità, magari saremmo indotti a pensare alle iniziative da intraprendere in favore dell'intera struttura. E questo può essere certamente utile. Ma se noi, per un istante, pensiamo alla prima comunità che abbiamo conosciuto – ossia alla famiglia – se noi pensiamo a quali siano gli aspetti che fanno sentire il bambino appartenente ad una comunità, ci accorgiamo che tale senso di appartenenza è dato non solo dall'accudimento dei bisogni che i genitori garantiscono al proprio figlio, ma anche dal fatto che il rapporto della coppia sa 'tenere' la comunità/famiglia. Ovviamente questa è solo una metafora, ma, per quanto ci riguarda, ha in sé qualche spunto che ci può essere utile.
La struttura potrà evolvere verso l'essere comunità nella misura in cui saprà incentivare e rinsaldare al proprio interno, i legami e i metodi di lavoro che collegano le varie parti, i vari gruppi professionali ed operativi. E' questo 'operare validamente collegati' che ci permetterà – al di là del proprio specifico professionale – di lavorare assieme e di dare, nei limiti del possibile, un messaggio unitario all'anziano e al parente, un messaggio che li faccia sentire appartenenti ad un qualcosa di solido e di coeso e non ad un insieme frammentato e quindi infragilito. C'è da chiedersi se questa immagine – la struttura come comunità – non possa costituire una ulteriore riformulazione, una ulteriore meta della mission dell'O.I.C.
Dr, Claudio Vianello.