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Tumori: l’Ue raccomanda screening nuovi e più estesi
Afronte di nuovi dati sempre più aggiornati, le modalità di accesso agli screening potrebbero presto cambiare. Per migliorare la diagnosi precoce il Consiglio dell’Unione europea ha da poco adottato un nuovo approccio agli screening oncologici estendendoli a più persone. Una strategia finalizzata a ridurre ulteriormente la mortalità e le disuguaglianze sociali.
Ecco le principali novità del documento “Un nuovo approccio allo screening oncologico” da poco approvato.
MAMMOGRAFIA: si raccomanda di estendere lo screening per il tumore della mammella dalle donne fra i 50 e i 69 anni a quelle dai 45 ai 74 anni, e di considerare misure specifiche per la diagnosi precoce nelle donne con seno denso.
PAP TEST E HPV TEST: si raccomanda di dare la priorità al test per rilevare il papilloma virus (Hpv test) nelle donne fra i 30 e i 65 anni, e al Pap test fra i 20 e i 30 anni, promuovendo nel contempo la vaccinazione contro l’Hpv per le giovanissime.
SCREENING PER IL TUMORE COLORETTALE: utilizzare il test immunochimico fecale al posto del test del sangue occulto nelle feci come esame di primo livello per le persone fra i 50 e i 74 anni, che dovrà servire a indirizzare eventualmente le persone alla colonscopia di follow-up.
ALTRI TUMORI: si raccomanda di estendere i programmi di screening anche ai tumori del polmone (in Italia già ci sono progetti pilota per le persone a rischio come i forti fumatori) e della prostata, così come ai tumori dello stomaco nelle aree in cui l’incidenza dei tumori gastrici è ancora alta.
Oltre agli aspetti organizzativi, il documento tratta anche dell’importante aspetto di diritto d’accesso. I programmi di screening in Europa, secondo quanto adottato dall’Unione europea, dovranno essere supportati in modo da assicurare che gli screening mammografici, cervicali e colorettali siano offerti almeno al 90 per cento della popolazione target entro il 2025.
Sulle disuguaglianze sociali, invece, si dovrà implementare un monitoraggio sistematico dei programmi di screening che comprenda anche le disuguaglianze, attraverso i registri e i sistemi informatici europei esistenti.
Indagine in 200 classi.
fatto c’è chi dice “lo farò” e chi tentenna per paura.
L’opinione in proposito si fa in famiglia, dicono gli studenti
di Donatella Barus
Hanno fiducia nei vaccini e in gran parte si sono vaccinati contro il Covid-19, pensano che l’esitazione vaccinale sia legata alla paura e a un’informazione inadeguata. Sono grandi utilizzatori di internet e social network, ma l’opinione sui vaccini si forma soprattutto in famiglia; seguono gli influencer, ma su salute e prevenzione ascoltano medici e scienziati.
Questo è il quadro emerso dall’indagine pilota “Alfabetizzazione sanitaria ed esitazione vaccinale: qual è il ruolo della scuola?”, condotta da Fondazione Umberto Veronesi in collaborazione con il Centro Interdipartimentale per l’Etica e l’Integrità nella Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche. I questionari sono stati proposti lo scorso aprile nell’ambito del percorso educativo “Io vivo sano Prevenzione e Vaccini” a 200 classi delle scuole secondarie di I e II grado in otto regioni, coinvolgendo 1.200 studenti e 300 docenti.
Se finora il fenomeno della diffidenza verso i vaccini è stato studiato e ana-