Edo timeless

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15/09/16 - 19/03/17

fotografie di MINO DI VITA e albumine della COLLEZIONE MALERBA a cura di DONATELLA FAILLA Direttrice del Museo d’Arte Orientale ‘Edoardo Chiossone’ di Genova con FRANCESCA GAMMINO in collaborazione con MUSEO D’ARTE ORIENTALE ‘EDOARDO CHIOSSONE’ - GENOVA FONDO MALERBA PER LA FOTOGRAFIA - MILANO



La città di Genova è lieta di sostenere questa importante iniziativa realizzata dal Fondo Malerba per la Fotografia con la collaborazione del Museo d’Arte Orientale ‘Edoardo Chiossone’ in occasione dei festeggiamenti per il 150° anniversario dell’inizio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Giappone. Dalla sinergia tra le due strutture, che autorevolmente da anni si adoperano per la divulgazione della cultura Giapponese nel nostro Paese, è nato un progetto didattico e originale che consente al pubblico di conoscere e apprezzare le collezioni sia del fondo fotografico che del museo civico. Ma soprattutto consente di confermare la peculiarità che accomuna i due Paesi, cioè quella di ricercare il senso estetico in tutte le discipline artistiche, compresa la fotografia. Il risultato è una mostra fotografica strutturata sapientemente per mettere a confronto numerose tra vecchie e

attuali immagini di vita quotidiana con le quali è possibile comprendere l’evoluzione di una nazione tanto straordinaria quanto ricca di contraddizioni qual è il Giappone. Un’opportunità per guardare al paese del Sol Levante attraverso lo sguardo di due fotografi di due differenti epoche e riflettere su uno stile di vita che può affascinare o può lasciare indifferenti, traendo ognuno liberamente le personali conclusioni. è auspicabile che iniziative come questa si moltiplichino nel tempo, in quanto strategiche per il territorio, non solo per il loro valore culturale, ma anche perché consentono di creare occasioni reciproche per intensificare rapporti di tipo commerciale e turistico con la nazione ospitata. Carla Sibilla Assessore Cultura e Turismo Comune di Genova

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La mostra ospite al Museo d’Arte Orientale ‘Edoardo Chiossone’ di Genova focalizza i luoghi della fotografia storica e contemporanea in Giappone e suggella la collaborazione tra una grande istituzione pubblica museale ed il Fondo Malerba per la Fotografia, ente culturale privato attivo nella divulgazione dell’arte fotografica. La soddisfazione nel trovare spazi di comune lavoro con la città di Genova è per il sottoscritto assai grande, soprattutto quando il risultato è una mostra molto particolare ed unica nel suo genere, in cui vengono rivisitati i luoghi e le persone in un confronto senza tempo o meglio in un tempo dilatato, dalla nascita del mezzo fotografico ad oggi. Il percorso fotografico, mirabilmente curato dalla Dottoressa Failla, direttrice del Museo Chiossone, ci accompagna in un continuo raffronto tra le immagini urbane del tardo periodo Edo e gli scatti contemporanei dell’artista Mino Di Vita, attraverso un lavoro che aiuta ad enfatizzare e comprendere le differenze, i contrasti e le affinità di luoghi e persone che il trascorrere del tempo a volte esalta,

ma più spesso nasconde in una realtà, quella giapponese, a tratti fortemente occidentale. Ed è proprio questo volgere lo sguardo alle albumine antiche, piene del fascino lontano sia nel tempo che nei luoghi esotici, e, immediatamente dopo, alle stampe contemporanee in cui il fruitore si può immedesimare, come cittadino moderno, in un contesto geografico oramai reso familiare dalla globalizzazione, che fa sì che lo stupore iniziale man mano sia sopraffatto dalla consapevolezza che Tokyo sia effettivamente una città senza tempo, in cui tradizione e modernità trovino entrambe spazio, a distanza di secoli, con pari dignità. L’auspicio è che questa mostra possa realmente instillare nei cittadini genovesi la curiosità di apprendere e conoscere la fotografia, non solo come documentazione di luoghi ed accadimenti, ma come strumento d’arte in cui l’immagine è mezzo di espressione, conoscenza e sentimento, innesto di personali emozioni. aleSSandro Malerba Presidente del Fondo Malerba per la Fotografia

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C’era una volta Edo

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In questa mostra quaranta fotografie scattate da Mino Di Vita nel Giappone d’oggi sono poste a confronto con venti riproduzioni di foto all’albumina del giapponese Kusakabe Kinbei (1841-1934) risalenti agli ultimi anni del periodo Edo (1603-1867) e ai primi del periodo Meiji (1868-1912). Le albumine giapponesi originali appartengono alla Collezione Malerba di Milano, che ne ha concesso la riproduzione in questa particolare circostanza. L’arte della fotografia arriva in Giappone tramite gli Olandesi alla fine del periodo Edo, dove tra il 1860 ed il 1890 operano fotografi occidentali come l’italiano Felice beato (1832-1909) e l’austriaco raimund Von Stillfried (1839-1911), che istruiscono svariati fotografi giapponesi tra cui Kusakabe Kinbei. All’epoca era utilizzata una tecnica di stampa inventata nel 1850, nella quale l’albume d’uovo funge da legante e fissa gli agenti chimici alla carta di stampa. Realizzate in bianco e nero, le

foto all’albumina erano minuziosamente colorite manualmente ad acquerello, con evidenti reminiscenze dei toni di coloranti e pigmenti impiegati nelle stampe policrome Ukiyo-e. Oltre ai paesaggi e alle vedute dei luoghi celebri del Giappone (meisho), il repertorio dell’epoca comprende soggetti definiti da Felice Beato native types – cioè gli abitanti dell’arcipelago nipponico, sovente ritratti in studio e più raramente nei loro ambienti abituali e caratteristici, mentre svolgono mestieri e attività quotidiane individuali o di gruppo. Le fotografie di Mino Di Vita scelte per questa rassegna riguardano due grandi città giapponesi, Edo e Ōsaka. Fondata nel 1603 dal primo shōgun della dinastia Tokugawa e divenuta nel secolo XVIII la più grande metropoli del mondo, Edo fu rinominata Tōkyō e designata nuova capitale del Giappone nel periodo Meiji (1868-1912). Ōsaka, antica e popolosa città del Kansai e da sempre protagonista dell’economia reale


del paese, è comunemente chiamata ‘la cucina della nazione’. Dopo oltre duecentocinquant’anni di volontaria seclusione coincisi con lo Shogunato Tokugawa e il periodo che prende nome dalla città di Edo, il Giappone si riaprì ai commerci con l’Occidente nel 1859. Fu da allora che il paese affrontò un articolato e complesso processo di modernizzazione che continua a tutt’oggi. Le fotografie di Tōkyō e Ōsaka qui riprodotte ci mostrano il grande cambiamento che, iniziato nel secolo XIX, col tempo ha trasformato gli assetti urbani creando agglomerati di svariati milioni di abitanti e portando, in anni recenti, anche alla costruzione di vere e proprie selve d’imponenti grattacieli. Nonostante i cambiamenti, nelle moderne metropoli giapponesi Mino Di Vita è riuscito a trovare costruzioni risalenti ai periodi Edo e Meiji, tuttora utilizzate come abitazioni o esercizi commerciali. Nel centro di Tōkyō ha scoperto vetusti templi buddhisti assediati e circondati da condomini e avveniristiche torri di cristallo. Ha mostrato il Castello di Ōsaka affacciato sul suo antico fossato, con il backdrop grigio-argento del nuovo

centro direzionale della città. Ma Mino Di Vita non si è limitato a cercare le tracce del passato nelle moderne vie giapponesi: ha esplorato infatti i legami tra gli ambienti e le persone che li animano e li vivono, ha ritratto gli abitanti delle città in un pomeriggio di shopping nel centro di Tōkyō, oppure in visita al castello di Ōsaka in occasione di una festa popolare. Inducendoci a immergerci nella vita giapponese d’oggi, le sue fotografie ci presentano non solo la moda delle adolescenti e delle giovani donne tokyoite, ma anche la civile protesta di un piccolo gruppo di pensionati in corteo nelle strade della capitale. Ed è bello e interessante scoprire che le comparazioni tra immagini antiche e nuove evidenziano non soltanto i grandi, irriducibili contrasti tra passato e presente, ma anche la continuità, le persistenze e le somiglianze profonde e ‘senza tempo’ che legano il Giappone di Edo a quello della Tōkyō d’oggi: edo timeless, appunto. donaTella Failla Direttrice del Museo d’Arte Orientale ‘Edoardo Chiossone’ di Genova

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Edo-Tōkyō: breve storia del suo sviluppo urbano Prima di essere rinominata Tōkyō, ‘Capitale Orientale’ e di diventare la capitale del Giappone, Edo era stata la sede del governo shogunale della dinastia Tokugawa dal 1603 al 1867. Fondata da Tokugawa Ieyasu nel 1603, Edo era in origine un villaggio di pescatori, ma da quando vi fu costruito il castello sede del governo militare dello shōgun o ‘generalissimo’, la città si sviluppò a ritmo galoppante in tutti i settori dei commerci e dell’economia, dell’artigianato e dell’industria, tanto che all’inizio del secolo XVIII contava oltre un milione di abitanti ed era la più grande metropoli del mondo. Nella Tōkyō d’oggi vivono più di 13 milioni di persone, ma il ‘bacino urbanizzato’ che la contiene, comprendente altre importanti città della regione del Kantō, tra cui Yokohama e Chiba, con l’hinterland arriva a oltre 40 milioni di persone - la zona più densamente popolata del Giappone. Una città così popolosa ha dovuto sviluppare una complessa rete di trasporti. La prima linea metropolitana di Tōkyō fu inaugurata nel 1927; oggi la città dispone di 13 linee, che servono un totale di 274 stazioni. Alcuni treni viaggiano in superficie; altri, come la monorotaia, sono sospesi. Tsukiji, l’attuale mercato del pesce, fu aperto agli inizi del secolo XVII a nihonbashi, ed è il più grande del mondo. Ogni giorno vi lavorano dalle 60.000 alle 65.000 persone e vi si commerciano numerosissime specie ittiche, frutti di mare e alghe. Il rainbow bridge di Tōkyō è un ponte sospeso lungo 798 metri: di giorno le sue torri sono bianche, ma di notte vengono illuminate con i colori dell’arcobaleno.

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Tōkyō e Chiyoda-ku, cuore politico del Giappone Costruito nel 1457 per volere del signore feudale Ōta Dōkan, il Castello di edo divenne il cuore politico del governo Tokugawa nel 1603. Divenuto residenza imperiale nel 1868, il luogo continuò a mantenere primaria importanza negli affari amministrativi del Giappone: ad esempio, la Famiglia Imperiale vi risiede a tutt’oggi. Nel corso dei secoli varie parti del Castello furono danneggiate o distrutte dagli incendi. Nel 1873 un rogo devastante rase al suolo l’intero complesso architettonico, cosicché negli anni seguenti, con la ricostruzione dell’intera area, fu edificato anche il nuovo Palazzo Imperiale. Immersa in un ampio parco aperto al pubblico, la residenza imperiale è circondata da due antichi fossati difensivi. Nelle acque del fossato esterno si specchiano i palazzi del centralissimo quartiere di Chiyoda, il vero cuore politico del paese, tra cui la Dieta Nazionale e la residenza del primo ministro. Nella fotografia qui accanto si vedono edifici culturalmente e storicamente rilevanti: a destra c’è il Teatro Imperiale, il primo teatro in stile occidentale costruito in Giappone nel 1911; il palazzo color panna, oggi sede di una compagnia d’assicurazioni, custodisce al sesto piano gli uffici del generale statunitense Douglas MacArthur, supervisore dell’amministrazione del paese dal 1945 al 1951.

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Antiche abitazioni private nel contesto urbano contemporaneo Nell’ultramoderna Tōkyō persistono abitazioni in legno risalenti al secolo XIX. Il legno, che abbonda nell’antico e vasto manto boschivo del Giappone, è stato da sempre impiegato in ogni tipo di costruzione, dai santuari Shintō ai templi buddhisti, dalle abitazioni agli esercizi commerciali. L’area di Tōkyō denominata Yanesen, che comprende i quartieri di Yanaka, nezu e Sendagi, non subì gravi bombardamenti durante la seconda guerra mondiale: per questo è ancora possibile trovarvi questo tipo di edifici storici, spesso utilizzati come residenze private.

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Antichi esercizi commerciali nel contesto urbano contemporaneo Molti degli edifici in legno del periodo Edo sono adibiti a esercizi commerciali: ospitano ristoranti, botteghe di manufatti tradizionali come il tipico abito giapponese denominato kimono, o i tatami, stuoie da pavimentazione in giunco e paglia, oppure piccole fabbriche di formaggio di soia (tĹ?fu). A volte, invece, sono stati tramutati in negozi moderni, come nel caso del negozio di biciclette Tokyobike.

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Edifici religiosi nel contesto urbano contemporaneo Nelle due foto moderne si vedono due costruzioni religiose appartenenti al tempio buddhista Taisōji, fondato nel 1668, nel quale è venerato il Buddha Trascendente Amida Nyorai come divinità principale. La zona è Shibuya, importante quartiere del centro di Tōkyō. Protagonisti delle antiche foto all’albumina sono un tempio buddhista e un gruppo ritratto in studio, dove un monaco dal cranio rasato è circondato da sei karasutengu, strane creature alate in parte corvi e in parte uomini, che secondo antiche credenze popolari abitano le impervie foreste di conifere arcaiche del Giappone. Stando alle leggende, questi esseri misteriosi infliggono visioni illusorie e lusinghe seguite da punizioni e tormenti ai monaci buddhisti che peccano d’avidità e orgoglio: li rapiscono trasportandoli in volo ad altezze vertiginose per poi abbandonarli nel profondo di foreste lontane lasciandoli in totale solitudine.

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Tōkyō e la società di massa Tōkyō è non solo la capitale politico-amministrativa del Giappone, bensì anche una gigantesca metropoli di svariati milioni di abitanti nella quale la cultura popolare contemporanea, insieme a innumerevoli fenomeni di moda legati alla vita urbana, nasce e si trasforma incessantemente. Il centrale quartiere di Shibuya è frequentato da moltissimi giovani appartenenti a varie sottoculture, che si riuniscono in precisi e ben noti punti d’incontro dove si presentano abbigliati o mascherati seguendo fedelmente la moda e la tendenza distintiva del loro gruppo. Il grande incrocio pedonale di Shibuya, uno dei più famosi al mondo, è affollato giorno e notte. Shinjuku è il centro amministrativo della città, ma anche il distretto dei divertimenti e della vita notturna: nella foto vediamo un intero palazzo dedicato al pachinko, gioco d’azzardo nato a Nagoya nella prima metà del secolo XX. Noto col nome ‘Akihabara la città elettrica’ (Akihabara denkigai), il distretto di akihabara è gremito di negozi e megastore che trattano qualsiasi tipo di articoli elettronici a prezzi competitivi: ad esempio, il negozio Mulan che compare nella foto è specializzato in videogiochi e action figures, vale a dire modellini dei più amati protagonisti di film di animazione (anime) e fumetti (manga).

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Giovani di città Tre ragazze sono ferme davanti alla vetrina di una nota casa di moda italiana nel quartiere di Ginza nel cuore di Tōkyō. Ricostruita come ‘modello della modernizzazione’ dopo l’incendio del 1872 sui disegni dell’architetto irlandese Thomas Waters, Ginza è famosa al giorno d’oggi per le numerose boutique, i grandi magazzini (depāto), i ristoranti di lusso e una vivace vita notturna. Pratica comune tra i giovani di città è l’esibirsi nelle vie del centro: nella foto vediamo un gruppo musicale composto da quattro giovani che suonano il basso e la chitarra elettrica per i passanti. Apprezzate e incoraggiate anche nel periodo Edo, le abilità musicali e la danza erano il fondamento dell’istruzione artistica della geisha. Nelle due antiche foto all’albumina vediamo due giovani donne giapponesi che si preparano davanti allo specchio e un terzetto di geisha giovanissime che suonano il flauto e due tradizionali strumenti a corda chiamati koto e shamisen.

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Cambiamenti della popolazione giapponese Dopo la Seconda Guerra Mondiale il Giappone ha subito profondi cambiamenti demografici: l’aspettativa di vita è tra le più alte del mondo, oltre un quarto della popolazione totale è costituito da pensionati, mentre i giovani rappresentano soltanto il 12%. Come ben sappiamo, l’invecchiamento della popolazione e la crescente difficoltà a pagare le pensioni sono problemi d’attualità anche in Italia. La fotografia effigia uno sparuto gruppo di anziani dimostranti appartenenti all’Unione nazionale Pensionati Giapponesi, sindacato che difende i diritti dei pensionati e organizza manifestazioni nelle vie di Tōkyō contro l’ulteriore abbassamento degli assegni pensionistici.

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L’immagine femminile: tradizione e modernità La donna ritratta nella fotografia antica indossa l’abito giapponese per eccellenza, il kosode, che dal tardo secolo XVI si affermò presso gli abitanti delle città come vestiario unisex da indossare quotidianamente. Oggi chiamato semplicemente kimono, cioè ‘vestito’, questo abito semplice, privo di bottoni e dal taglio sempre uguale è mantenuto chiuso dall’obi, alta cintura in tessuto spesso che, avvolgendo strettamente il busto, induce a mantenere eretto il portamento e corrette le posture. Una signora d’oggi sta in attesa di qualcuno davanti a una stazione, vestita di un kimono fiorato a colori tenui stretto in vita da un obi rosa: indubbiamente, ciò che ella ha certamente in comune con la donna dell’antico ritratto fotografico è l’eleganza ‘senza tempo’ del suo portamento. In un’altra foto all’albumina due giovani donne si acconciano le chiome allo specchio. Nei periodi Edo e Meiji le donne portavano i capelli lunghi, raccolti in complicate acconciature adorne di pettini e spilloni. Ma l’apertura del Giappone ai rapporti internazionali nel 1854 comportò nel giro di pochi anni l’adozione di svariati usi occidentali, tra cui il vestiario. Il distretto tokyoita di Harajuku è il luogo di ritrovo di moltissimi giovani appartenenti a varie sottoculture giovanili: ecco due ragazze vestite alla moda Sweet Lolita, contraddistinta da abiti da bambola in stile vittoriano, tinte pastello e accessori vezzosi, tra cui nastri infiocchettati, pizzi e volant.

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Vedute in prospettiva: influenze occidentali in Giappone Le quattro foto qui riprodotte, prese da diversi angoli prospettici, evocano le influenze occidentali sulle arti figurative, sull’architettura e sullo sviluppo urbanistico del Giappone nei secoli XIX e XX. Nel Giappone antico le vedute in prospettiva erano rese in pittura impiegando la cosiddetta tecnica ‘a volo d’uccello’, che adotta un punto di vista elevato nel quale la visione più lontana occupa la parte alta del dipinto, mentre la più vicina è collocata in basso. La prospettiva lineare giunse in Giappone nel secolo XVIII, quando gli intellettuali Giapponesi, fortemente impressionati dal naturalismo e dal realismo delle opere europee d’importazione, svilupparono un profondo interesse per l’arte e le tecniche artistiche occidentali. Fatto importante, il Museo Mitsubishi ichigokan di Tōkyō è dedicato all’arte occidentale del secolo XIX: l’edificio museale è la fedele ricostruzione del primo Mitsubishi Ichigokan, eretto nel 1894 su progetto dell’architetto inglese Josiah Conder e distrutto nel 1968. Accanto vediamo il Manseibashi, il ‘Ponte Mansei’ sul fiume Kanda, risalente al 1930, sulle cui sponde oggi si affacciano moderni grattacieli. Un’altra foto mostra una via di Ōsaka costeggiata da alti palazzi e percorsa da impiegati che si recano al lavoro, decorosamente vestiti in giacca e cravatta. Infine, in una foto ottocentesca si vede un lungo viale alberato con dei viaggiatori e un jinrikisha, cioè un conducente di risciò, mezzo di trasporto comune nel periodo Meiji.

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Ōsaka e il suo sviluppo urbano Ōsaka, che significa ‘grande collina’, è la terza maggiore città del Giappone, con un’area metropolitana di 19 milioni di abitanti. Affacciata sull’omonima baia, Ōsaka è un importante centro di scambi commerciali e attività mercantili fin dall’Antichità: già sede del potere feudale nel tardo secolo XVI, nel XVII sviluppò una vivace cultura urbana alimentata dall’enorme prosperità della classe mercantile che, in regime di monopolio, acquistava le rendite agricole dei feudi, le stoccava e le ridistribuiva sui mercati del Giappone. Ōsaka divenne uno snodo fondamentale per gli scambi di derrate e prodotti agricoli, in primis il riso, tanto da essere soprannominata ‘cucina della nazione’. Tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX un nuovo fenomeno industriale, il tessile, animò il territorio prefetturale di Ōsaka. Un nuovo boom, basato sull’industria pesante e il settore petrolchimico, ebbe luogo dopo la seconda guerra mondiale. Ovviamente, i fenomeni economici e industriali che nel tempo hanno investito il territorio hanno trasformato la città dal punto di vista urbanistico: la prima grande speculazione edilizia contemporanea, risalente agli anni novanta del secolo XX, ha radicalmente cambiato lo skyline di Ōsaka, oggi gremito di grattacieli.

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Castelli giapponesi Nel periodo Azuchi-Momoyama (1568-1600) l’architettura dei castelli giunge a pieno sviluppo. Costruiti in passato in aree montuose, i castelli vengono adesso edificati in pianura, al centro dei domini territoriali dei signori feudali (daimyō) e muniti di elementi difensivi quali fossati e muri di pietra: è a questo punto che i castelli diventano le residenze dei daimyō e, al contempo, le sedi amministrative ed economiche dei feudi. Il Castello di Ōsaka fu fatto costruire nel 1583 dal Reggente (kanpaku) Toyotomi Hideyoshi (1536-1598). Nella foto vediamo una torretta di guardia del mastio affacciata sul fossato difensivo e, stagliato sullo sfondo con i suoi cospicui grattacieli, l’Ōsaka Business Park, il nuovo centro direzionale ed economico metropolitano, sede d’imprese importanti.

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Il Castello di Ōsaka e il suo parco Nel parco del Castello di Ōsaka si trova il santuario shintō Hōkoku, dedicato a Toyotomi Hideyoshi (1536-1598). All’entrata del complesso sacro le bancarelle vendono cibi tradizionali: spiedini di pollo arrostiti (yakitori), spaghetti di grano saraceno saltati (yakisoba) e amazake, il vino dolce di riso, bevanda tipica delle feste religiose. Responsabile del santuario e dei suoi rituali è il clero shintoista, il cui abito religioso, formato dall’ampia veste kariginu e dal copricapo ebōshi, si conforma pressoché senza variazioni al vestiario di corte del periodo Heian (794-1185).

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Antiche vie d’acqua a Ōsaka Città ricca di vie d’acqua, Ōsaka conta ancor oggi 872 canali, utilizzati nei secoli per la viabilità e il trasporto di materiali e merci. nakanoshima è una stretta isola fluviale lunga 3 chilometri, posta al centro di Ōsaka in una biforcazione del fiume KyūYodo. A Nakanoshima sorgono molti dei più importanti palazzi dell’amministrazione cittadina, musei e grattacieli nei quali hanno sede importanti società commerciali e industriali. Nel periodo Edo anche in altre città giapponesi furono realizzate reti di canali per facilitare i trasporti: le due foto all’albumina qui riprodotte mostrano l’una il fiume nakashimagawa a nagasaki attraversato da dieci ponti in pietra risalenti al secolo XVII, l’altra il canale sul quale si affaccia il giardino della famosa casa da tè Ōgiya a Tōkyō.

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Attività agricole tradizionali Poiché il Giappone si estende molto in latitudine presenta condizioni climatiche molto varie, che permettono la coltivazione di diversi tipi di vegetali. La risicoltura fu introdotta in Giappone tra il IV e il III secolo a.C. Al riso, divenuto uno degli alimenti-base della dieta giapponese, furono attribuiti importanti significati culturali e religiosi. La coltivazione del tè iniziò in Giappone nel secolo VIII. Adeguata sotto l’aspetto industriale, nel secolo XX la produzione aumentò a tal punto che il consumo si estese alla stragrande maggioranza della popolazione, di odo che il tè diventò una bevanda nazionale. l’arcipelago di okinawa, la più meridionale dell’arcipelago giapponese, è nota per il suo clima subtropicale, che favorisce la floricoltura, la coltivazione della canna da zucchero e dell’ananas. Hokkaidō, l’isola più settentrionale del paese, ha invece un clima subpolare dai lunghi inverni nevosi. Originariamente era abitata dal popolo Ainu, un’etnia oggi ridotta a sole 25.000 unità ufficialmente registrate. Le tradizionali abitazioni Ainu erano costruite con materiali reperibili in natura come bambù, paglia e corteccia; alcuni edifici, tra cui i magazzini per le derrate, erano elevati su palafitte.

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Artigianato giapponese tradizionale Nella struttura sociale del periodo Edo la figura dell’artigiano era più apprezzata di quella del mercante: infatti gli artigiani giapponesi lavoravano le materie prime presenti in Giappone e producevano beni necessari alla vita quotidiana dell’intera popolazione. Ad esempio, carta e bambù venivano utilizzati nella produzione degli ombrelli wagasa e delle lanterne chōchin. Gli artigiani giapponesi hanno sempre raggiunto l’eccellenza nella produzione di lame in metallo, tra cui spade, coltelli da cucina e rasoi. Nella foto moderna, al centro, vediamo una bottega di nome Ubukeya, che vende forbici e coltelli dal 1873. Il nome del negozio è composto dalla parola ubuke, che indica capelli finissimi come quelli dei bambini, e ya che significa bottega: ciò indica che le lame vendute nel negozio sono talmente affilate da poter tagliare con precisione anche i capelli più fini. Una donna in kimono è ritratta proprio mentre scatta una foto all’insegna della Ubukeya, formata da una tavola lignea di notevole valore artistico e storico, dipinta nel periodo Meiji da quattro allievi del noto maestro di calligrafia Kusakabe Meikaku (1838-1922).

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Progetto grafico: Matteo Tamburrino (echocommunication.eu) © 2016 Fondo Malerba per la Fotografia - Tutti i diritti riservati Per i testi © gli autori. Per le fotografie © gli autori: gli autori sono proprietari dei relativi diritti. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza il previo consenso scritto di Fondo Malerba per la Fotografia e degli autori dei testi. Finito di stampare Novembre 2016.




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