OMAGGIO AL
GIAPPONE
OMAGGIO AL
GIAPPONE CITTÀ DI IVREA Sindaco Carlo Della Pepa Assessore alla Cultura e Turismo Laura Salvetti Direzione Area di Sviluppo Culturale Educativo e Politiche Giovanili Giuliana Reano
FONDAZIONE GUELPA Presidente Daniele Lupo Jallà
MUSEO CIVICO PIER ALESSANDRO GARDA Direttore Museo Paola Mantovani Staff Luca Diotto, Alessia Porpiglia e Lucia Rossetti
FONDO MALERBA PER LA FOTOGRAFIA Presidente Alessandro Malerba
Il Museo Civico Pier Alessandro Garda ospita un’importante collezione d’arte orientale con una prevalenza di opere provenienti dal Giappone. Nel corso degli anni ha intensificato il legame con le istituzioni giapponesi presenti in Italia e ha approfondito, attraverso la catalogazione della collezione orientale e il restauro di alcune opere, la conoscenza della cultura giapponese. In occasione del 150° anniversario dei rapporti tra Italia e Giappone, la città di Ivrea ha accolto con piacere la proposta di collaborazione con il Fondo Malerba per la Fotografia per la realizzazione della mostra Omaggio al Giappone. Lo sguardo di alcuni grandi fotografi giapponesi consentirà di rinnovare il profondo legame che unisce Giappone e Italia nel senso estetico e nella ricerca della bellezza in tutte le arti e in tutte le sue manifestazioni.
La Fondazione Guelpa è onorata di sostenere l’iniziativa che il Fondo Malerba per la Fotografia realizza in collaborazione con il Museo Civico Pier Alessandro Garda, ancor più per i legami e rapporti che il Fondo Malerba per la Fotografia ha con grandi istituzioni culturali italiane e giapponesi. Entrambi condividiamo l’impegno affinché tutte le persone possano conoscere e apprezzare le collezioni sia del fondo fotografico sia del museo civico, in un rapporto dialettico aperto alla curiosità, all’indagine profonda e alla forza espressiva e autentica dello sguardo. I fotografi proposti dialogano con le culture di Italia e Giappone chi guardando con introspezione all’Occidente mentre altri, mantenendo le proprie radici culturali orientali, propongono una nuova contemporaneità.
L’Assessore alla Cultura e Turismo Laura Salvetti Il Sindaco Carlo Della Pepa
Il Presidente della Fondazione Guelpa Daniele Lupo Jallà
Uno degli usi più frequenti della Fotografia nel passato recente è legato all’idea di catalogazione e archiviazione della memoria, intesa sia in senso storico e popolare, sia più semplicemente domestico. La fotografia artistica in Giappone è sempre stata vissuta fino a metà del secolo scorso come uno strumento di fedele riproduzione dell’ambiente, delle cose e dell’uomo attraverso un realismo quasi dogmatico. Il tratto degli artisti esposti in questa mostra curata dal Fondo Malerba per la Fotografia, rievoca sì gli aspetti della memoria, quale racconto di esperienze personali (vedi i maestri Araki e Moriyama), ma nel contempo induce l’osservatore in un processo di rigore concettuale, attraverso l’immagine definita e precisa (carattere proprio della cultura nipponica) nella quale viene evocato il rapporto che l’artista ha con i luoghi (Naoya Hatakeyama e
Toshio Shibata), le persone (Nobuyoshi Araki e Daido Moriyama) la natura (Hiroto Fujimoto e Kazuko Wakayama) e la finzione (Yasumasa Morimura). è proprio questo il tratto che a parer mio affascina e rende unica la fotografia giapponese di fine XX secolo negli autori proposti, la capacità evocativa del rapporto tra l’uomo e ciò che lo circonda, fruibile in maniera semplice, quasi al primo sguardo, a tratti esotica, ma sempre “occidentale”, caratteristica che consente una lettura delle opere apparentemente semplice ed immediata, ma in realtà complessa e profonda, concettuale. Il realismo dell’immagine diventa tramite per percepire sensazioni ed emozioni, senza confusione, ma con delicata attenzione. Mi auguro che la stessa percezione descritta in queste poche righe possa essere parte del percorso di ogni visitatore attraverso gli autori in mostra.
Presidente Fondo Malerba per la Fotografia Alessandro Malerba
Tratto caratteristico della fotografia giapponese è da sempre il rigore. Un rigore non solo formale, né tanto meno da intendersi come fedele applicazione a quei dettami tecnici che sono necessari alla pratica fotografica e dei quali gli autori giapponesi sono indiscussi maestri: un rigore concettuale innanzitutto, una visione che prende forma secondo parametri che, anche quando non sembrerebbe, seguono un percorso di costruzione dell’immagine che nulla lascia al caso. La selezione di opere che appartiene alla Collezione Malerba ne è un felice esempio: accanto ad alcuni fra gli artisti più noti al grande pubblico e da decenni riconosciuti come autentici maestri - non solo riferendosi all’ambito giapponese, bensì mondiale - compaiono alcuni giovani che sembrano proseguire questa lunga e ricca tradizione. Il loro sguardo va dalla natura alla città, dall’esperienza personale diretta a quella
visionaria e costruita, dalla messa in scena al travestimento. Nobuyoshi Araki racconta del suo viaggio a Venezia recitando egli stesso la parte dell’Arlecchino giocoliere e istrione. Così Venezia diviene sua come per incanto, la scena, semplicemente, si sposta dalla caotica Tokyo alla malinconica laguna, teatro di un gioco che ha reso celebre in tutto il mondo Araki e la sua fotografia eccessiva, fatta di piccole cose e di continue provocazioni. Approccio che diventa regola negli scatti di Yasumasa Morimura, sempre in bilico fra se stesso e l’altro da sé, quel doppio che per lui significa altra cultura, una storia dell’arte e della vita da reinventare e, ovviamente, da interpretare. Non da meno, Daido Moriyama narra per frammenti il suo quotidiano peregrinare nelle città del paese del Sol Levante: il suo sguardo indagatore arriva ovunque, lui, che ama descriversi come un cane randagio, s’infila ovunque,
scruta, osserva, registra. Piccole cose, eventi all’apparenza insignificanti che possono essere condivisi da chiunque diventando così metafore universali. Naoya Hatakeyama e Toshio Shibata, di alcuni anni più giovani dei tre grandi maestri sopra citati, vere e proprie star internazionali, insistono anch’essi nell’osservazione del mondo - la natura e la città - volendone però rimarcare le mutazioni dovute all’intervento dell’uomo, realizzando immagini che interrogano lo spettatore per come riescono a essere misteriose e enigmatiche. Infine i più giovani Hiroto Fujimoto e Kazuko Wakayama: delicati e raffinati nel loro descrivere la natura, ci ricordano come da sempre l’arte giapponese si nutra di dettagli e sia capace di sorprendere sempre lo spettatore nella combinazione che questi poi assumono una volta ordinati, assemblati: disegni, come tali appaiono le loro immagini, oltre semplici fotografie.
Storico e critico della Fotografia FILIPPO MAGGIA
Nobuyoshi
Araki
Tokyo, Giappone, 1940
“Il suono dell’otturatore è come quello del battito cardiaco”, dichiara ancora Araki in un’intervista rilasciata a Hyewon Yi nel 2010. È un suono naturale, che accompagna il fluire quotidiano dell’esistenza, senza mai cessare. E incessantemente Araki scatta fotografie, sui set allestiti nel suo studio come per le strade di Tokyo, nel privato di casa o in viaggio per il mondo, senza mai fare gerarchie nella scelta dei soggetti, sempre aperto a vivere con affetto e ironia ciò che la vita gli pone davanti. Come nelle fotografie della serie Araki in Venice, dove i soggetti spaziano dal piatto di pesce ordinato a cena, alla veduta dalla finestra del suo albergo, fino all’autoritratto nel quale indossa la maschera del suo alter ego. Realizzate nel 2002, durante un soggiorno a Venezia per una mostra presso la Fondazione Querini Stampalia, le immagini testimoniano il ruolo che occupa la fotografia nella vita di Araki: come un vero e proprio organo vitale, essa è un filtro attraverso il quale entrare in relazione con gli altri, affrontare le gioie e i dolori della vita, incontrare, giorno per giorno, le cose banali del quotidiano. 6
Araki in Venice / 2002 / stampa sali d’argento / cm 61x51
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Araki in Venice / 2002 / stampa sali d’argento / cm 61x51
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Araki in Venice / 2002 / stampa sali d’argento / cm 61x51
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Araki in Venice / 2002 / stampa sali d’argento / cm 61x51
Hiroto
Fujimoto Hiroshima, Giappone, 1966
La natura è il centro nodale del lavoro di Hiroto Fujimoto. Le sue immagini raffigurano luoghi diversi e lontani del pianeta: Irlanda, Islanda, Francia, Giappone. Luoghi remoti forse ancora incontaminati, dove le tracce dell’intervento umano sono deboli o apparentemente assenti. L’artista viaggia alla ricerca di uno stato di purezza della natura che sia evocativo di una qualità dello spirito. Le immagini di Hiroto Fujimoto ci colpiscono per gli orizzonti estesi ed essenziali, dove l’acqua e la terra s’incontrano con il cielo, le montagne si stagliano lontane come silhouette, le essenze arboree sono rari fili d’erba; ci appare una natura difficile, non domestica, ma inquietante e potente nella sua estraneità che oggi l’uomo non conosce più. Il lavoro di Hiroto Fujimoto si potrebbe definire un pellegrinaggio tra i luoghi dell’anima. L’artista fotografa sempre nelle stesse condizioni di luce, evidenziando qualità sottili e comuni tra luoghi che sceglie, come il momento di passaggio tra la luce e le tenebre, l’attimo prima che tutto sparisca avvolto dal progressivo avanzare della notte. Hiroto Fujimoto fissa l’istante effimero della fotografia come se il suo fosse l’ultimo barlume di coscienza del mondo. 14
Andorre / 1999 / stampa sali d’argento / cm 50x40
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Avril 1999 Islanda / 1999 / stampa sali d’argento / cm 50x40
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Mai 1997 Andorre / 1997 / stampa sali d’argento / cm 50x40
Naoya
Hatakeyama Iwate, Giappone 1958
Tra il 1991 e il 1994 l’artista lavora a una nuova serie, Lime Works (Factory Series), concentrandosi sulle fabbriche dove i materiali estratti dalle cave vengono trattati. I due lavori, che pubblicati nel volume Lime Works (1996) gli valgono il 22° Kimura Ihei Photography Award, forniscono ad Hatekeyama la chiave interpretativa per fotografare la città, ora considerata dall’artista come “il positivo” che si concretizza con il materiale “il negativo” sottratto alla natura. Da questo momento la ricerca di Hatakeyama va ampliandosi di nuovi lavori che indagano l’interazione umana col paesaggio: dalle strutture costruite nel sottosuolo, come in River Series (19931996), Underground (1999), Ciel Tombé (2007), alle esplosioni e le demolizioni in Blast (1995), Zeche Westfalen, Ahlen (2003-2004), dagli insediamenti industriali e i conglomerati urbani in Atmos (2003), Terrils (2009-2010), fino alla recente serie Rikuzentakata (2011), che documenta le devastanti conseguenze del terremoto sulla sua città natale. 20
LW17607 / 1994 / stampa sali d’argento / cm 57,5x28,5
Yasumasa
Morimura Osaka, Giappone, 1951
La collezione Malerba include una selezione di polaroid preliminari di una delle più celebri serie di Morimura, Selfportrait Actress (1996), in cui l’artista fa rivivere le grandi star del cinema hollywoodiano. Come in altre serie, Morimura sceglie di rivisitarne l’immagine più famosa, ecco allora Marlene Dietrich nei panni di Lola, la cantante di varietà nel film L’Angelo Azzurro (1930) o di Lily in posa di fronte al treno sul quale si svolge la storia del film Shanghai Express (1932). E ancora Marilyn Monroe, rappresentata come nel ritratto realizzato dal fotografo Gene Korman nel 1953, lo stesso utilizzato negli anni sessanta da Andy Warhol per i suoi multipli. Il ritratto di Frida Kahlo fa invece parte di un ciclo successivo di opere completato nel 2001, An Inner Dialogue with Frida Kahlo, col quale Morimura ha reso omaggio alla pittrice messicana. La polaroid mostra lo scatto, ancora non post-prodotto, di una delle più toccanti opere della serie: quella basata sulla tela La colonna spezzata (1944) in cui la Kahlo mette in scena lo stato di sofferenza cui il suo corpo è condannato a causa di un incidente d’autobus avvenuto vent’anni prima. 22
M’s self-portraits, Sophia Loren / 1995 / polaroid / cm 10x13
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M’s self-portraits, Marilyn / 1995 / polaroid / cm 10x13
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M’s self-portraits, Frida / 1995 / polaroid / cm 10x13
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M’s self-portraits, Marlene / 1995 / polaroid / cm 10x13
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M’s self-portraits, Marlene / 1995 / polaroid / cm 10x13
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M’s self-portraits, Crime scene / 1995 / polaroid / cm 10x13
Daido
Moriyama Osaka, Giappone, 1938
Il 1972 segna l’inizio di un periodo di crisi dal quale il fotografo uscirà solo un decennio dopo. Per superare questa fase si allontana dalla città trovando rifugio nelle aree rurali del Paese. In questo periodo realizza le intense immagini dei ciliegi in fiore e una serie ispirata a una raccolta di racconti popolari. Risale a quest’epoca anche la fotografia che ritrae alcuni uomini che passeggiano rilassati per le stradine di un complesso termale, indossando lo yukata, il tradizionale abito da bagno. Se in queste immagini il fotografo sembra voler entrare in contatto col tempo dilatato della natura e con gli elementi tradizionali della cultura giapponese, con la pubblicazione di Light & Shadow (1982) Moriyama torna alla città e all’essenza stessa della fotografia, in una sorta di riconciliazione col mezzo e con il mondo. Le immagini sono più nitide e pulite, i soggetti riconoscibili e la luce, vera protagonista della serie, varia tra consueti contrasti e nuove sfumature: sono toni lontani dagli strappi tipici del periodo iniziale, ma molto vicini, invece, ai chiaroscuri che la vita impone di affrontare. 34
Light and shadow / 1981 / stampa sali d’argento / cm 36x44
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Untitled / 1981 / stampa sali d’argento / cm 51x40
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Untitled / 1981 / stampa sali d’argento / cm 50x40
Toshio
Shibata Tokyo, Giappone, 1949
Tajima Town e Onokami Village sono fotografie esemplari del lavoro di Shibata: gli interventi ingegneristici dell’uomo si fondono con il paesaggio naturale in composizioni che tendono all’astratto, creando immagini dall’atmosfera surreale. Il cielo è escluso dalle inquadrature, come ogni altro elemento che possa offrire riferimenti di scala, luogo o tempo, lasciando che a prevalere sia il gioco delle linee e delle gradazioni tonali, la texture. Solo i titoli delle opere riconducono lo spettatore alla dimensione reale, attraverso l’indicazione toponomastica dei luoghi in cui le fotografie sono state scattate. In questo passaggio tra astrazione e realtà è contenuta la chiave di lettura dell’opera di Shibata: più che denunciare l’impatto dell’intervento umano sull’ambiente, le sue fotografie propongono una nuova esperienza estetica di questi imponenti manufatti, spesso indispensabili a contenere una natura che, sebbene sia considerata elemento fondamentale della cultura del Paese, non ha mancato nel tempo di rivelarsi minacciosa. 40
Tajima Town / 1989 / stampa sali d’argento / cm 61x50
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Onokami Village / 1994 / stampa sali d’argento / cm 61x50
Kazuko
Wakayama Kawasaki, Giappone, 1968
Kazuko Wakayama espone una selezione d’immagini tratte da un lavoro sui bonsai, soggetti che nell’immaginario comune evocano immediatamente il Giappone. Tuttavia nulla è presente delle immagini tipiche dei bonsai nelle opere di Kazuko Wakayama; qui non si percepisce il salto di scala per comparazione perchè è annullata ogni scala di riferimento, non esiste un metro di misura, gli eleganti intrecci di rami nodosi potrebbero appartenere ad un albero come ad un bonsai, che poi non è altro che un albero in miniatura. A tal riguardo si tocca una delle problematiche della fotografia: il rapporto tra il modello e la realtà, il grado di veridicità della rappresentazione fotografica. Lo spazio delle fotografie di Kazuko Wakayama è uno spazio sospeso di silenzio, raccoglimento, serenità. La luce non proviene da una fonte direzionata, ma risulta diffusa, opaca, che toglie spessore e riporta l’immagine a quella bidimensionalità tipica della tradizione iconografica giapponese. Allo stesso modo è giapponese la grazia formale, la delicatezza con cui sono colte le forme. 44
Bonsai #8 / 1998 / stampa sali d’argento / cm 40x50
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Bonsai #10 / 1997 / stampa sali d’argento / cm 40x50
Progetto grafico: Matteo Tamburrino
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