Bianco Italia

Page 1


Progetto editoriale / Editorial project Forma Edizioni srl, Poggibonsi, Italy redazione@formaedizioni.it www.formaedizioni.it Realizzazione editoriale / Editorial production Archea Associati Coordinamento editoriale e redazionale / Publishing and editorial coordination Laura Andreini Redazione / Editorial staff Valentina Muscedra Maria Giulia Caliri Grafica / Graphic design Silvia Agozzino Elisa Balducci Sara Castelluccio Vitoria Muzi Mauro Sampaolesi Relazioni esterne / Public relations Vittoria Bacci Fotolitografia e stampa / Photolithography and printing Forma Edizioni srl, Poggibonsi, Italy Traduzioni / Translations Filippo Benfante (per la traduzione italiana / for Italian translation) Liza Gabaston, Jorunn Monrad (per la traduzione inglese / for English translation)

© Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2013 per / for Lucio Fontana © Fondazione Piero Manzoni by SIAE 2013 per / for Piero Manzoni © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello by SIAE 2013 © Alberto Biasi, Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Giuseppe Capogrossi, Enrico Castellani, Elisabetta Catalano, Jannis Kounellis, Angelo Savelli by SIAE 2013 © 2013 Dominique Stella Per il suo testo / For the text L’editore è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche non individuate / The editor is available to copyright holders for any questions about unidentified iconographic sources. © 2013 Forma Edizioni srl, Poggibonsi, Italy Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore / All rights reserved, no part of this publication may be reproduced in any form or by any means without the prior permission in writing of the publisher. Prima edizione: aprile 2013 First edition: April 2013 ISBN: 978-88-96780-43-5


Sommario Contents

6

Bianco Italia Dominique Stella

Opere / Works 28 32 38 44 52 60 66 74 80 90 94 98 106 116 120 132 136 140 146 152 160 166 174 178

Vincenzo Agnetti Pablo Atchugarry Alberto Biasi Alighiero Boetti Agostino Bonalumi Alberto Burri Pier Paolo Calzolari Giuseppe Capogrossi Enrico Castellani Mario Ceroli Gianni Colombo Dadamaino Lucio Fontana Jannis Kounellis Piero Manzoni Fabio Mauri Giulio Paolini Francesca Pasquali Angelo Savelli Salvatore Scarpitta Paolo Scheggi Turi Simeti Patrizio Travagli Nanda Vigo


Bianco Italia Dominique Stella

“Il bianco agisce sulla nostra psiche come un grande silenzio, che per noi è assoluto”. (Wassily Kandinsky)

“White acts upon our psyche like a great, absolute silence.” (Wassily Kandinsky)

In pittura, ogni colore scaturisce da una forza suggestiva che la sensibilità, la tradizione, la cultura associano ad attributi fondamentali: l’equilibrio (blu), la forza o la collera (rosso), l’allegria (giallo), la pienezza della natura (verde)… Sono tutte interpretazioni opinabili, cionondimeno legate a un immaginario collettivo punteggiato di molteplici varianti individuali e soggettive. Fu Johann Goethe a formalizzare questa visione romantica in un saggio scritto tra il 1790 e il 1823, dove costruiva la sua teoria sulla polarità dei colori e sviluppava il suo sistema a partire dal contrasto naturale tra chiaro e scuro, basando la nozione di colore sull’esperienza sensoriale spontanea. Se per la maggior parte degli studiosi in disaccordo con Goethe, il colore è rivelatore di un mondo esterno, secondo lo scrittore e filosofo tedesco il colore è rivelatore di un processo interiore. Seguendo questo approccio, il colore bianco, nel nostro mondo occidentale, è associato alla purezza, all’innocenza, alla castità, alla pace, alla spiritualità, alla santità e alla vita. L’origine di questa simbologia risiede nel carattere immacolato e assoluto della luce bianca, e nel fatto che il bianco è anche il colore della neve, del latte materno… Sono tutti accostamenti che derivano più da una tradizione istintiva che da una conoscenza oggettiva del fenomeno psichico che genera questo colore, dal momento che in effetti il bianco è, restando sul piano dell’ottica, la sintesi cromatica di tutte le lunghezze d’onda visibili. Cosa che senz’altro spiega il significato che gli viene accordato in Occidente: quello dell’unità, dell’equilibrio perfetto.

In painting, each color derives from a suggestive power that sensation, tradition and culture associate with fundamental qualities: balance (blue), power or anger (red), cheerfulness (yellow), the fullness of nature (green)… These associations might be questionable, but they nevertheless reflect a collective imaginary, inflected in multiple individual and subjective variations. This romantic vision was articulated by Johann Goethe in an essay written between 1790 and 1823. Goethe grounded his theory on color polarity and developed a system based on the natural contrast between light and dark colors, deriving the notion of color from immediate, sensorial experience. Whereas for most scientists who were opposed to him, color revealed the outside world, for Goethe it disclosed an inner process. According to this approach, in the Western world the color white is associated with purity, innocence, chastity, peace and spirituality, holiness and life. These symbols originate in the immaculate and absolute character of white, not to mention that white is also the color of snow, of nourishing milk… These associations are inherited from an instinctive tradition rather than based on an objective knowledge of the physical phenomenon that creates that color; indeed, from an optical point of view, white is the chromatic combination of all visible wavelengths. Which probably explains the meaning that is attached to this color in the Western world: that of unity, of perfect balance.

L’identificazione del colore a una forma di rappresentazione cosciente fu contestata dagli artisti del primo Novecento, che avanzarono una nuova interpretazione basata sull’esperienza fisica e spaziale del colore, in rottura con il cromatismo realista. Furono in particolare i suprematisti che riconciliarono l’arte con le leggi fisiche della luce. Consapevoli dei nuovi dati scientifici, imperniati sulla relatività, essi svilupparono un nuovo punto di vista sull’universo da cui derivò la cognizione di un reale più vasto, che escludeva la costruzione prospettivista legata all’orizzonte terrestre e privilegiava la dimensione intuitiva dell’uomo. Malevich è, con Kandinsky e Mondrian, uno dei fondatori del Suprematismo e un teorico dell’arte non figurativa. Il suo dogma è l’arte per l’arte: rinnega la pittura che sia solo rappresentazione e propone delle opere radicali, definendo la propria posizione in un manifesto che redige nel 1916, rivendicando il primato

6

This identification of color with a form of conscious representation was challenged by early 20th century artists, who proposed a new interpretation based on a physical and spatial experience of color, as opposed to chromatic realism. Suprematists, in particular, reconciled art with the physical laws of light. Aware of the new scientific data based on relativity, they developed a new perspective on the universe, grounded on an awareness of a larger reality, and rejected tri-dimensional representations, which used the terrestrial horizon and human intuition as a their main reference. Malevich, along with Kandinsky and Mondrian, was one of the founders of Suprematism as well as a theoretician of non-figurative art. Art for art’s sake was his creed. He refused representational painting and created radical works, laying out his views in a manifesto written in 1916. In that essay, he asserted the preeminence of emotion over any other artistic consideration, and rejected all forms of mimetic

Kazimir Malevitch, Composizione suprematista: quadrato bianco su fondo bianco, 1918, Museum of Modern Art (MoMA), New York, olio su tela, cm 79,4x79,4 (foto Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Firenze). Kazimir Malevich, Suprematist Composition: White on White, 1918, Museum of Modern Art (MoMA), New York, oil on canvas, in 31,3x31,3 (photo by Digital image, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Firenze).


7


10


11



Opere / Works


Alberto Burri (1915, Città di Castello – 1995, Nice)

Laureato in medicina nel 1940, Burri prende servizio come medico militare nell’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale; è in queste circostanze che è fatto prigioniero dagli Alleati e trasferito in Texas, dove comincia a dipingere sui materiali a disposizione, come la tela di juta. Al suo rientro in Italia, a Roma, nel 1946, rinuncia definitivamente alla carriera medica per dedicarsi esclusivamente alla pittura. L’anno seguente si tiene la sua prima mostra personale, presso la Galleria Margherita. Aderendo già a un linguaggio astratto, presenta dei paesaggi e delle nature morte dai contorni schematici. Le sue opere puramente astratte appaiono nel 1948 e sono intitolate Bianchi e Catrami. I monocromi dalle tonalità smorte presentano dei materiali deturpati di natura organica. La serie dei Gobbi incorpora il concetto di deformazione della superficie, e l’artista interviene con un lavoro plastico più importante. Nel 1951, Burri partecipa alla creazione del Gruppo Origine, con Mario Ballocco, Ettore Colla e Giuseppe Capogrossi, che si pone in contrasto con la natura decorativa dell’arte astratta. Le sue ricerche ricevono molta attenzione da parte della critica e anche da artisti come Rauschenberg e Calder, ma è con la serie dei Sacchi (assemblaggi di tela di juta, sacchi usati e sporchi) che ottiene il vero riconoscimento. Piuttosto che rappresentare la povertà, Burri utilizza frammenti di realtà che rimandano alla miseria, ma soprattutto fa esperimenti con la superficie delle tele. Espone le sue opere alla Biennale di Venezia nel 1952 e l’anno seguente è l’unico artista italiano a partecipare alla mostra “Younger European Painters”al Guggenheim Museum di New York. A partire dal 1957, l’artista inaugura nuove sperimentazioni, raggruppate sotto il termine di Combustioni: la fiamma diventa un attrezzo artistico per bruciare il legno, le materie plastiche o fondere il metallo. A partire dagli anni Sessanta, decolla la sua carriera internazionale con mostre negli Stati Uniti e l’attribuzione del Grand Prix della Biennale di São Paulo. All’inizio degli anni Settanta, le Combustioni trovano il loro prolungamento nel lavoro sui Cretti, dove, questa volta, la materia nasce da colla vinilica diluita nell’acqua, dall’argilla e dalla calce, che tra il 1985 e il 1989 sparge sulle rovine di Gibellina, la città siciliana distrutta dal terremoto del 1968.

After graduating from medical school in 1940, Alberto Burri was drafted in the Italian army and was captured by the allied forces before being transferred to Texas, where he started painting on the materials that were available to him, such as burlap. When he returned to Italy in 1946, he definitively abandoned medicine to devote himself completely to painting. The following year his first solo exhibition was held at the Galleria Margherita. Using an abstract language, the artist presented landscapes and still-lives with schematic lines. His purely abstract works appeared in 1948 and were entitled Bianchi and Catrami (Whites and Tars). These monochromatic, muted pieces featured ravaged, organic materials. The series of Gobbi (Swells) featured a deformed surface, suggesting a stronger plastic intervention by the artist. In 1951 Burri was one of the co-founders of the Gruppo Origine with Mario Ballocco, Ettore Colla and Giuseppe Capogrossi, who rejected the decorative effects of abstract art. Their endeavors highly interested art critics as well as artists such as Rauschenberg and Calder, but the Sacchi series (a combination of burlap and used, soiled bags) was what made him famous. Rather than representing poverty, Burri used fragments of reality confining to destitution, but mostly he conducted experiments on the surface of the canvas. He showed his works at the Venice Biennial in 1952 and the following year he was the only Italian artist to participate in the “Younger European Painters” exhibition at the Guggenheim Museum in New York. Starting in 1957, the artist inaugurated new experiments united under the title Combustioni (Combustions): the flame became an artistic tool that was used to burn wood, plastic or metal. As of the 1960’s, his international career intensified as he started exhibiting in the United States and won the Great Prize at the São Paulo Biennial. In the early 1970’s the Combustioni were prolonged in his work on Cretti (Cracks), where the material resulted from the dilution of vinyl glue with water, clay and lime. Between 1985 and 1989, he went as far as spreading that mixture on the debris of the Gibellina neighborhood in Sicily, which had been destroyed by an earthquake in 1968. Ritratto di Alberto Burri mentre lavora alla serie delle Combustioni nel 1976 (foto Aurelio Amendola). Portrait of Alberto Burri during the making of the series Combustioni (Combustions) in 1976 (photo by Aurelio Amendola).

60



Cretto 1975

Acrovinilico su cellotex / Acrylic-vinyl paint on cellotex cm 30x33,5 / in 11,8x13,2

64

Cretto 1978

Acrovinilico su cellotex / Acrylic-vinyl paint on cellotex cm 70x57 / in 27,6x22,4


65


Giuseppe Capogrossi (1900, Roma – 1972, Roma)

Laureato in legge nel 1922, la sua prima esperienza nel campo della pittura consiste nella realizzazione di copie da grandi maestri italiani del Quattrocento. Tra il 1923 e il 1924 frequenta l’atelier di Felice Carena e le accademie di pittura, come la Casa d’Arte Bragaglia nel 1925. Espone per la prima volta nel 1927, a Roma, all’Hotel Dinesen. Si tratta di opere di piccolo formato, paesaggi, vedute di Roma e un Autoritratto. Lo stesso anno fa il suo primo viaggio a Parigi e comincia il suo interesse per le nuove tendenze artistiche. Nel 1930, espone alla XVII Biennale di Venezia, poi, nel 1932, alla terza mostra del Sindacato fascista di Belle Arti, dove presenta sette tele, sempre figurative. In questo periodo rinsalda le sue affinità con Emanuele Cavalli e si lega a Corrado Cagli; nel 1933, a Milano, la Galleria Il Milione presenta il lavoro di nuovi pittori romani che, quello stesso anno, in occasione di un’altra loro mostra alla galleria Jacques Bojan di Parigi, sarà battezzato da Waldemar George col nome di Scuola Romana. Dal 1935, il successo dell’artista è ormai incontestabile: partecipa varie volte alla Biennale di Venezia e a mostre internazionali negli Stati Uniti e in Europa. Il figurativismo cede progressivamente il passo all’astrazione geometrica. Nel 1949 giunge a sviluppare un nuovo linguaggio, ottenuto attraverso l’estrema semplificazione di un segno che prende la forma di una sorta di pettine, una lettera “E” dagli angoli arrotondati. Privato d’ogni significante per non conferirgli altro che un concetto grafico, questo segno è disposto sulla tela in modo da creare ritmi e variazioni infinite. Presentato per la prima volta a Roma, alla Galleria del Secolo, nel 1950, Capogrossi lo declinerà sulle sue Superfici fino al termine della sua carriera. Nel 1951, la mostra collettiva con Alberto Burri, Mario Ballocco ed Ettore Colla, all’Aurora 41, a Roma, segna l’inizio della sua collaborazione con il Gruppo Origine. Poi, nel 1952, si unisce al Gruppo Spaziale, avviato da Lucio Fontana mettendo al centro delle preoccupazioni artistiche lo spazio, il tempo e l’energia. L’originalità di Capogrossi è riconosciuta a livello internazionale a partire dagli anni Cinquanta: il suo lavoro è presentato presso la Galerie Nina Dausset a Parigi con la mostra “Véhémences confrontées” (1951), al Guggenheim di New York (1953), alla Biennale di Venezia (1954, 1962), alla documenta di Kassel (1955, 1959), alla Tate Gallery (1964) etc. Giuseppe Capogrossi muore a Roma nel 1972.

74

Capogrossi graduated from law school in 1922 and his first artistic experience was to copy old Italian masters from the XVth century. Between 1923 and 1924 he frequented Felice Carena’s atelier as well as academies such as the Casa d’Arte Bragaglia in 1925. He exhibited for the first time at the Dinesen Hotel in Rome in 1927. The works he presented were small formats, landscapes, views of Rome and a Autoritratto (Self-Portrait). It was also the year of his first visit to Paris and the beginning of his interest in new artistic movements. In 1930 he exhibited at the XVIIth Venice Biennial and in 1932 he was featured at the third exhibition organized by the fascist Fine Arts Union, where he presented seven paintings, all of them figurative. During those years he became closer to Emanuele Cavalli and became friends with Corrado Cagli. In 1933 the Galleria Il Milione in Milan presented the work of new Roman painters, which Waldemar coined Scuola Romana (Roman School) in the wake of an exhibition at the Jacques Bojan gallery in Paris. In 1935 the artist’s success was undeniable: he participated several times in the Venice Biennial and exhibited his work in the United States and Europe. Figuration soon gave way to geometric abstraction. By 1949 he had developed a new language, resulting of the extreme simplification of a comb-shaped sign, a letter “E” with rounded angles. Devoid of all significance, it was reduced to a pure graphic notion, which the artist arranged on the canvas to create endless rhythms and variations. After presenting it for the first time at the Galleria del Secolo in Rome in 1950, he declined it in all his Superfici throughout his career. In 1951, the collective exhibition with Alberto Burri, Mario Ballocco and Ettore Colla at Aurora 41 in Rome marked the beginning of his collaboration with the Gruppo Origine. In 1952 he joined the Gruppo Spaziale founded by Lucio Fontana, which focused on space, time and energy as its main artistic inspirations. Capogrossi’s originality started to be recognized in the 1950’s: his work was shown at the Galerie Nina Dausset in Paris with the exhibition “Véhémences confrontées” (1951), the Guggenheim in New York (1953), the Venice Biennial (1954, 1962), the documenta in Kassel (1955, 1959), the Tate Gallery in London (1964), etc. Giuseppe Capogrossi died in 1972 in Rome.

Giuseppe Capogrossi davanti alla sua opera Superficie 28 già intitolata Superficie 25, 1950-1952) presso la Galleria del Naviglio, Milano 13 gennaio 1953 (foto Archivio Farabola). Giuseppe Capogrossi with in the back his work Superficie 28 (formerly titled Superficie 25, 1950-1952) at the Galleria del Naviglio, Milan, January 13 1953 (photo by Archivio Farabola).



Superficie 689 1970

Rilievo bianco con forme in legno su pannello su Tirotex / White relief with wooden forms on panel on Tirotex cm 54x65 / in 21,3x25,6

78


79


Piero Manzoni (1933, Soncino – 1963, Milano)

Piero Manzoni cresce a Milano, in una famiglia che frequenta gli ambienti artistici. A 17 anni, comincia a dipingere secondo un registro molto classico, ed è nel 1957 che realizza le sue prime opere dipinte con il catrame, che presentano tracce di oggetti della vita quotidiana, fissati come in negativo. Nello stesso anno realizza le sue prime tele incolori, immerse nel gesso o nel caolino, battute, seccate, prive di qualsiasi segno pittorico e designate con il termine Achrome a partire dal 1959. Ottiene così uno spazio che non è luogo di nessuna immagine, operando una ripartenza da zero della pittura, sottolineando la materialità della tela. Nel 1959, espone per la prima volta le sue Linee al Pozzetto Chiuso, ad Albissola Marina: ogni opera è costituita da una linea tracciata con inchiostro su carta lunga alcune decine di metri, arrotolata e chiusa in un contenitore cilindrico. L’artista allora non si interessa più all’oggetto, ma al suo contenuto, all’idea stessa di contenuto, lasciando sempre aperto un dubbio sulla natura e sull’effettiva presenza di un contenuto, trasformando così l’oggetto in concetto. Seguiranno i palloncini gonfi d’aria (Fiati d’artista, 1960) e le scatolette di latta contenenti i suoi escrementi (Merda d’artista, 1961). Allo stesso tempo, crea la Galleria Azimut e la rivista quasi omonima (“Azimuth”) insieme a Enrico Castellani: sono i luoghi dove vengono sviluppate le loro teorie avanguardiste e spesso provocatrici. Nel 1960, Manzoni partecipa a varie esposizioni: “Miriorama 1”, alla Galleria Pater di Milano, che riunisce per la prima gli artisti del Gruppo T; con Castellani alla New Vision Center Gallery di Londra; “Monochrome Malerei” allo Städtisches Museum di Leverkusen; “Contemporary Italian Art” all’Illinois Institute of Design di Chicago. Manzoni prosegue il suo lavoro di decostruzione: nel 1961, firma il corpo di alcune persone per trasformarle in sculture viventi; realizza le sue Basi magiche concepite come un piedestallo che trasforma in opera d’arte chiunque ci monti sopra; infine arricchisce la nozione di Achrome ripetendo il procedimento all’infinito, cambiando solamente la materia (cotone idrofilo, pallini di polistirolo, panini plastificati con fibra di vetro, etc.). Nel 1962 partecipa a due mostre del gruppo ZERO, ad Anversa e a Berna, e anticipa la tendenza della Land Art integrando una dimensione ambientale ai suoi nuovi progetti. Manzoni muore prematuramente, per un infarto, prima ancora di aver compiuto trent’anni.

Piero Manzoni grew up in Milan within a family that had close ties with artistic circles. At the age of 17 he started painting in a highly classical style and in 1957 he created his first works made out of tar, presenting traces of every day objects, exactly the way a negative image would. The same year he made his first uncolored paintings, dipped in plaster or kaolin, rumpled, dried and devoid of all pictorial signs. In 1959 the artist started calling these pieces Achrome. He had obtained a space that refused the possibility of an image, getting back to the very basics of painting and emphasizing the materiality of the canvas. In 1959 he exhibited his Linee (Lines) for the first time at the Pozzetto Chiuso in Albissola Marina: each work was made of a line traced in ink on a paper that was several dozens meters long, then rolled and encapsulated in a cylindrical container. The artist no longer was interested in the object but in its content, or rather in the very idea of content. He always left the viewer doubt the nature and very presence of a content, thus transforming the object into a concept. Later followed inflated balloons (Fiati d’artista - Artist’s Breaths, 1960) and cans containing the artist’s excrements (Merda d’artista - Artist’s Shit, 1961). At the same time he founded the Galleria Azimut as well as a journal with almost the same name (Azimuth), along with Enrico Castellani. The artists used both as a medium to develop their avant-garde and often provocative theories. In 1960 Manzoni participated in various exhibitions: “Miriorama 1” at the Galleria Pater (Milan), uniting for the first time the artists from the Gruppo T, a show with Castellani at the New Vision Center Gallery in London, “Monochrome Malerei” at the Städtisches Museum in Leverkusen and “Contemporary Italian Art” at the Illinois Institute of Design in Chicago. Manzoni proceeded with his deconstruction project: in 1961 he signed his name on actual people to turn them into live sculptures, and created his Basi magiche (Magic Bases), conceived as pedestals that turned anyone who got on them into a work of art; he also enriched the notion of Achrome by indefinitely repeating the procedure, only changing the materials he used (cotton, small balls of styrofoam, small Italian bread rolls frozen in fiberglass plastic, etc.). In 1962 he participated in two exhibitions with the ZERO group in Antwerp and Bern and anticipated the emergence of Land Art by integrating an environmental dimension into his new projects. Manzoni prematurely died of a heart attack before he turned thirty.

Piero Manzoni a Milano nel 1962 (foto Uliano Lucas). Piero Manzoni in Milan in 1962 (photo by Uliano Lucas).

120



Achrome 1958-59

Tela a quadrati e caolino / Squared canvas and kaolin cm 91x71 / in 35,8x28

122


Achrome 1958-59

Tela grinzata e caolino / Creased canvas and kaolin cm 30x40 / in 11,8x15,7

123



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.