GON ELISEO MATTIACCI - edizione italiana

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GONG Eliseo Mattiacci









Sergio Risaliti

Uomo cosmico-meccanico

Eliseo Mattiacci è tra i grandi protagonisti dell’arte contemporanea, uno dei pionieri dell’avanguardia dopo gli anni Sessanta, artefice della sperimentazione e del rinnovamento in scultura, inventore di iconografie astronomico-cosmologiche e di nuove relazioni spaziali e concettuali tra arte e natura, tra uomo e ambiente. Un’arte, quella di Mattiacci, che mette in connessione l’anima individuale e l’anima mundi. Il contadino e il pellerossa, il motociclista e l’astronauta, l’alchimista e lo sciamano, Vulcano e Quetzalcoatl, dio atzeco della vita e del vento, stella del mattino. Un colpo di gong e l’eco di cani che abbaiano. Mattiacci ha consegnato all’Uomo meccanico uno spazio di libertà e d’immaginazione infinita, indirizzando il suo operato verso il cielo e l’incommensurabile estensione dell’universo. La sua opera è stata commentata e divulgata nel tempo da storici dell’arte e critici (Diacono, Boatto, Rubiu, Trini, Briganti, Corà, Castagnoli e Barilli) che hanno colto l’originalità, l’indipendenza e la robustezza della sua vis creativa. A tal proposito, offriamo in catalogo un’antologia critica compatta che finalmente permette di riconoscere l’unità poetica nello snodarsi delle fasi storiche, di conquista in conquista, una linea retta percorsa a zig-zag, come una saetta per trasmettere energia attraversando lo sguardo, i corpi. Mattiacci con attenta sensibilità ha voluto collegare la dimensione antropologica a quella epistemologica, utilizzando però il linguaggio dell’arte, cioè facendo perno sull’immaginativa e la prefigurazione, scegliendo la via del simbolico e degli archetipi, riferendosi alla geometria e alla poesia, allo sciamanismo e all’alchimia per stare dentro la natura e il cosmo come fosse una seconda pelle. Giovanissimo si è imposto all’attenzione dei colleghi e del pubbli-

co con Tubo, disteso nella Galleria La Tartaruga a Roma nel 1967, un gesto plastico esemplare che ancora oggi rivela una freschezza e una grazia speciale. Poi ha conseguito una misura classica: quella di Equilibri precari quasi impossibili del 1991, perfetta combinazione di materiali, strutture, simboli, e quella di Senza titolo (Scultura che guarda) (2008-2009), vertice assoluto dell’artista, che con questa sua invenzione consegna alla cronaca un manufatto senza tempo, un elemento totemico primordiale e del futuro, di barbarica potenza tanto quanto di prodigiosa fanciullesca semplicità. La mostra al Forte di Belvedere – da noi immaginato come luogo rituale e osservatorio astronomico al pari di insediamenti e tracciati antichissimi come quelli a Stonehenge, e in linea con la collina di Arcetri dove chiuse gli occhi Galileo Galilei l’8 gennaio 1642, il cui sguardo di scienziato moderno si era avvicinato come mai prima alle orbite celesti – dà modo di conoscere il tragitto artistico di Mattiacci dal 1961 ad oggi, oltre mezzo secolo di vigorosa e coerente ispirazione. Nell’occasione sono state installate all’esterno e all’interno della palazzina medicea circa venti sculture, alcune delle quali di dimensioni monumentali. Davanti ai vertici dell’architettura occidentale, tra cui la magnetica cupola di Santa Maria del Fiore – simbolo di una civiltà che mise al centro dell’universo l’uomo, grande miracolo e meravigliosa combinazione di micro e macrocosmo – si presentano gli oggetti trascendentali di Mattiacci, instancabile forgiatore di forme in metallo collocate per condurre energie e messaggi, sentimenti sublimi e surreali fantasie. All’interno della Palazzina, il pubblico scopre un nutrito gruppo di disegni, che per la prima volta in assoluto rendono merito all’attività grafica sempre altissima di Mat-

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Saggi


di poesia visiva, con la presenza di artisti come Gastone Novelli, Toti Scialoja, Pino Pascali, e poeti della neoavanguardia5. Due giorni dopo, il 4 marzo 1967, Mattiacci con il Tubo convogliava la propensione performativa e l’energia della strada alla scultura, sancendo di fatto lo sconfinamento dell’oggetto in una pratica operativa nello spazio urbano, attraverso un coinvolgimento collettivo, reale, scardinante, cruciale punto di riferimento per una nuova modalità partecipativa al fatto plastico. Esposto più volte e in più versioni nel corso del 1967, nella penisola e all’estero6, il Tubo fece ritorno a Roma alla fine dell’anno per occupare lo scalone della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, istituzione di riferimento dell’arte contemporanea in Italia, dove Mattiacci era stato invitato da Palma Bucarelli con Pino Pascali a presentare le opere esposte alla “Biennale des jeunes artistes” di Parigi. A partire dall’estate 1967, e soprattutto nel corso del 1968, le manifestazioni all’aperto si susseguirono quale fenomeno centrale dell’avanguardia artistica italiana, nei diversi centri della penisola. Per Mattiacci il luogo operativo della sua azione-scultura è Roma, dove intervenne con una modalità inclusiva ma del tutto svincolata dalle logiche di gruppo7. Nella capitale realizzò interventi di forte impatto che coinvolsero i luoghi emblematici della città storica, densi di evocazioni e memorie, e parchi delle borgate popolari. Nel 1968 ricevette l’invito per la partecipazione alla mostra “Nuovo Paesaggio” progettata da Enrico Castellani e Gino Marotta nell’ambito della Triennale del Grande Numero, ideata come evento espositivo diffuso che avrebbe dovuto coinvolgere luoghi dell’Italia in trasformazione, da Nord a Sud – svincoli autostradali, idroscali, stazioni della metropolitana, ecc., ma anche piazze dei centri storici – con gli interventi di più di trenta artisti rappresentativi della scena artistica del momento8. Per questa grande mostra, non realizzata a causa della contestazione in atto e dell’occupazione della Triennale, Mattiacci pensò un’azione-scultura per una storica piazza toscana9 dove avrebbe voluto collocare cinquanta cilindri di lamiera ondulata, del diametro di circa due metri ciascuno, misura orientativa dell’ampiezza delle braccia aperte di un corpo adulto. Come il Tubo, i Cilindri praticabili sono attivabili dal fruitore che è sollecitato a passare attraverso, a sostare all’interno dondolandosi o a camminare dentro la forma plastica. Sfumata la possibilità di confrontarsi con la piazza nell’ambito di “Nuovo Paesaggio”, Mattiacci allestì comunque i suoi Cilindri all’aperto, nel Parco Nomentano vicino al suo studio, trasferito proprio in quel periodo da via Laurina, a pochi passi da Piazza del Popolo, a via Nomentana, vicino all’Aniene. Come si può vedere in alcune fotografie scattate da Claudio Abate e nelle riprese di Luca Maria Patella per il film SKMP2, è la fruizione spontanea, non mediata, dei bambini, a traghettare la scultura verso una condizione ibrida e late-

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rale di oggetto-giocattolo in piena sintonia con quell’utopia marcusiana della liberazione che nutriva quei giorni. Attestando una militanza che prescinde dall’ideologia, i Cilindri praticabili conferiscono una specifica “politicità dell’esistente” al gesto artistico. Di lì a poco essi entrarono in galleria dove il pubblico li esperiva convogliando ulteriori sfumature semantiche alla loro processualità10. Da materiale industriale, a grandi giocattoli, i Cilindri praticabili diventano in galleria dispositivi plastici ambigui e fluidi, tra ready-made e objet trouvé, con la loro forte propensione demercificante che dissolve l’oggetto in opera-ambiente-happening. In occasione della mostra, Vittorio Rubiu parlò del “secondo tubismo” di Mattiacci: non ovviamente in relazione al “tubismo” pittorico di Léger quanto alla visionarietà modernista che emerge nelle riflessioni teoriche dell’artista francese, dove industria, immaginazione e reale si incontrano, senza soluzione di continuità11. Per Mattiacci il reale diventa la strada, il proprio corpo, il lavorare con le forze e le tensioni dei materiali. La dimensione industriale-tecnologica trova invece, nella sua ricerca, un’intrinseca e naturale polarità dialettica in una propensione arcaico-primaria mediante la quale l’artista porta l’attenzione alla terra come materiale evocativo di antiche ritualità contadine e come luogo di intervento, oltreché alla Terra intesa nei suoi moti primari di rivoluzione e rotazione, in una continuità che va dalle azioni di Lavori in corso al Percorso. Lavori in corso si articolò in tre interventi realizzati il 23 novembre 1968 al Circo Massimo che suscitarono grande interesse da parte del pubblico e molto scalpore, a causa dell’occupazione illegale del suolo pubblico, tanto che la polizia intervenne per sospendere l’azione12. Mattiacci e i suoi allievi disposero in cerchio dieci grandi ombrelloni da mercato e li fecero ruotare, a evocare il movimento di rivoluzione e rotazione della Terra. Insieme trasportarono e sventolarono alcuni teloni di colore bianco, verde e blu e li appoggiarono al suolo appropriandosi di quel terreno che al tempo dei romani accoglieva le corse di cavalli. Srotolarono infine su dei cavalletti bianchi di legno della carta catramata, formando una striscia ondulata come un’onda del mare che trasformava la scultura in un corpo infinito. Quest’ultima azione, dal titolo Scultura salta ostacoli, ribalta idealmente la verticalità brancusiana della Colonna senza fine in un processo di orizzontalizzazione della forma plastica. Mentre Richard Serra, al di là dell’oceano stilava la lista di verbi indicante processi e azioni che lo scultore poteva compiere sui materiali che andavano ampliando l’orizzonte della nuova sintassi plastica postminimalista – “arrotolare, sgualcire, piegare, accumulare, curvare, accorciare, torcere, attorcigliare... (Verb List, 1967-1968)13 – Mattiacci conferiva alle sue opere titoli che mettono in evidenza comportamenti ed esperienze della scultura in relazione al corpo


Sopra: Azione organizzata da Mattiacci in occasione della mostra alla Galleria La Tartaruga, Roma, 1967 In alto a destra: Luca Maria Patella, SKMP2, 1968, film-opera in 16 mm, fotogramma A destra: Percorso, 1969, azione alla Galleria L’Attico, Roma

Pagina 70: Azione organizzata da Mattiacci in occasione della mostra alla Galleria La Tartaruga, Roma, 1967

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Emanuele Pace

L’arte al cospetto dell’armonia dei mondi

L’estro creativo è quel momento felice che ci avvicina all’infinito del cosmo, in cui le sconfinate figure come lo spazio e le geometrie, che potenzialmente lo riempiono, vengono catturate e divengono forma. Forme che riempiono, forme che connettono, forme che ci lanciano in un viaggio ideale attraverso le emozioni che la visione della natura e l’espressione dei sentimenti ci suggeriscono. Abbiamo il costante anelito a colmare la nostra interiorità dell’infinito, che pare emergere da ogni angolo del nostro universo, indifferentemente dalla direzione che scegliamo: verso l’infinitamente piccolo o verso l’immensità nei frammenti del campo di vista dei telescopi. Il respiro dell’infinitamente grande prende forma ideale attraverso le geometrie del Maestro Eliseo Mattiacci, nell’Ordine Cosmico che è spazio ma anche tempo, che è ritmo su linee sempiterne rispetto al briciolo della nostra esistenza. Eppure da quel piccolo frammento di spazio-attimo, Mattiacci è riuscito a cogliere e porci questi aspetti di eternità, è riuscito a condensare il senso del sempre, del costante ripetersi delle orbite, delle peregrinazioni planetarie, stellari, addirittura galattiche. Il cosmo si esprime in forme che solo un grande artista riesce a cogliere, a fermare in un’opera che a sua volta ci restituisca l’incessante e l’eterno, la dimensione che ci sfugge e ci sgomenta. Sì perché lo sgomento è l’emozione che ci lega al cosmo, l’incapacità di saperlo cogliere con la mente e dargli una forma familiare che ci renda amici dell’immensità universale. L’uomo contempla l’universo per coglierlo nei limiti dell’occhio e della mente: uno di fronte all’altro, quasi a chiu-

dere il ciclo vitale del generatore e del generato: secondo le moderne teorie di formazione della vita, le stelle hanno prodotto gli elementi e le molecole che in condizioni opportune hanno dato vita alla vita che fatta uomo ora guarda oltre se stessa fino al luogo di una sua possibile origine. E in un incredibile rincorrersi di casualità, la mostra di Mattiacci si può ammirare al Forte di Belvedere, meravigliosa fortezza testimone di tempi difficili per Firenze, di tempi che richiedevano la strenua difesa della propria identità e cultura. Il colle su cui si erge il Forte di Belvedere si trova di fronte al colle di Arcetri, dove oggi è collocato l’Osservatorio Astrofisico, luogo di eccellenza dedicato all’osservazione del cosmo e alla ricerca dei suoi misteri. Forte di Belvedere di fronte ad Arcetri: l’arte, l’emozione, l’estro si pongono dinanzi al cosmo, alla causa che ne cerca i perché e le ragioni; ancora una volta l’uomo e il suo sguardo ammirano il cosmo e lo interrogano per poi descriverlo; forme artistiche che accompagnano studi scientifici per riportare all’uomo l’universo e le sue meraviglie. Forte di Belvedere di fronte ad Arcetri, Mattiacci di fronte a Galileo; non vuol essere paragone ardito ma dato di fatto. Mattiacci si ispira a colui che per primo guardò in modo nuovo l’universo, prende ispirazione da quel primo sguardo su un macrocosmo ignoto per fissare le geometrie che lo scienziato pisano tradusse in linguaggio scientifico e che oggi l’artista marchigiano traduce in forme evocative. In queste due figure, oggi poste una di fronte all’altra, in realtà si cela l’essenza dell’uomo che è emozione e razionalità, lo stupore che si esprime in linguaggi per raccontare, per trasmettere quell’anelito istantaneo che diviene forma eterna.

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Saggi


Per Cornelia, 1985, grafite su carta, 100×70 cm. Collezione dell’artista, Pesaro

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Occhio del cielo, 1985, grafite e pastello su carta, 210×150 cm. Collezione dell’artista, Pesaro

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Senza titolo (Scultura stratosferica), 1985, grafite e pastello su carta, 100×70 cm. Collezione dell’artista, Pesaro

Disegni e testi


Senza titolo (Vuoto), 1985-86 ca., grafite su carta, 100×70 cm. Collezione dell’artista, Pesaro

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Senza titolo (Vuoto), 1985-86 ca., grafite su carta, 100×70 cm. Collezione dell’artista, Pesaro


Senza titolo (Vuoto), 1985-86 ca., grafite su carta, 100×70 cm. Collezione dell’artista, Pesaro

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Senza titolo (Vuoto), 1985-86 ca., grafite su carta, 100×70 cm. Collezione dell’artista, Pesaro

Disegni e testi


Senza titolo (Corpi celesti), 2008, china su carta, 58Ă—78 cm. Courtesy Galleria Poggiali, Firenze

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Senza titolo (Corpi celesti), 2008, china su carta, 78Ă—58 cm. Courtesy Galleria Poggiali, Firenze

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Disegni e testi


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Antologia critica Cesare Brandi p. 114 Mario Diacono pp. 116, 126 Germano Celant p. 118 Vittorio Rubiu pp. 125, 128 Alberto Boatto p. 126 Tommaso Trini pp. 129, 160 Maurizio Fagiolo p. 128 Giuliano Briganti pp. 130, 141 Emilio Villa p. 134 Bruno Corà pp. 138, 147 Giovanni Carandente p. 139 Fabrizio D’Amico pp. 139, 151 Renato Barilli p. 151 Pier Giovanni Castagnoli p. 156 Daniela Lancioni p. 159 Luigi Ballerini p. 159 Paolo Fabbri p. 159 Ludovico Pratesi p. 160 Gianfranco Maraniello p. 161 Le seguenti trascrizioni sono fedeli agli originali precedentemente pubblicati.

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Eliseo Mattiacci e Cesare Brandi, 1967 ca. Archivio Fotografico Cesare Brandi, Pinacoteca Nazionale di Siena, Polo Museale della Toscana

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Sopra: Cancello, 1967, Villa Brandi, Siena. Archivio Fotografico Cesare Brandi, Pinacoteca Nazionale di Siena, Polo Museale della Toscana

Sopra: Cartolina inviata a Cesare Brandi da Vittorio Rubiu, Eliseo Mattiacci, Jannis Kounellis, Fabio Sargentini e Claudio Abate, 21 marzo 1969, Berna. Archivio Fotografico Cesare Brandi, Pinacoteca Nazionale di Siena, Polo Museale della Toscana

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Antologia critica


Sopra: Eliseo Mattiacci nel suo studio in Via Laurina, Roma, 1966 ca.

Pagina a fianco: Tubo, 1967, Galleria La Tartaruga, Roma

Sopra a destra: Tubo, 1966 ca., Roma

Mario Diacono in “Bit”, n. 2, maggio 1967; ripubblicato in Mario Diacono, KA. Da Kounellis ad Acconci. Arte materia concetto 1960-1975, Postmedia Books, Milano 2013, p. 71

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[...] Dopo Cina di Ceroli e Mare di Pascali, il grande Tubo di Mattiacci (sale lungo le scale che portano alla galleria, invade e compie le sue evoluzioni nell’intera sala, esce dalla porta in fondo e si perde in una stanzetta secondaria), il Tubo di Eliseo è la nuova opera-ambiente che, nell’incessante aggiornamento sul linguaggio internazionale, particolarmente americano, che si attua a Roma, sembra voler escludere dai propri fini quello della mercificazione, della commerciabilità dell’opera. Le cose non stanno proprio così dato che negli Stati Uniti la mercantilità dell’opera-ambiente è pienamente verificabile, ma a Roma va dato certamente credito al disinteresse dell’operazione. La quale vorrebbe essere la mimesi di una ridiscesa dell’individuo nell’inconscio collettivo. Aspetti complementari sono: l’esigenza di elevare monumenti alla cultura di massa e alla società industrializzata, la consapevolezza che l’opera se non ha azione/ funzione in un’utenza collettiva regredisce a soprammobile, la depsicologizzazione inerente a un’esistenza cool. Ma i meandri del Tubo di Mattiacci hanno limite nell’estasi mistica di un operare nell’infinitezza. Limite inoltre evidente nella elementarità e ingenuity di una antiopera che vuole presentarsi come discorso, nella manualità di soluzione cui l’opera allude. Dopo il Grande Falegname e il Grande Intelaiatore, il Grande Idraulico attesta la vivenza archetipica del Padre Cucitore di Sacchi, Saldatore di Ferri. [...]



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Vittorio Rubiu Il Secondo Tubismo

in “La Fiera Letteraria”, a. XLIII, n. 22, 30 maggio 1968, p. 25

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Antologia critica


Alberto Boatto Anticipazioni in “Cartabianca”, maggio 1968

Mario Diacono Critica in atto intervento a “Critica in atto”, Palazzo Taverna, Roma, 10 marzo 1972; in “e/o”, giugno 1972; ripubblicato in Mario Diacono, KA. Da Kounellis ad Acconci. Arte materia concetto 1960-1975, Postmedia Books, Milano 2013, pp. 97-98

[...] “Opere praticabili” è il termine funzionale usato da Eliseo Mattiacci per indicare i suoi nuovi lavori. Si tratta di una serie di pezzi componibili fatti operando differenti materiali ed oggetti: lamiera zincata e centinata, corda, grossi pneumatici d’autotreno. Le “opere praticabili” di Mattiacci riempiranno lo spazio della Galleria L’Attico di Roma alla fine di maggio. [...]

Due co-azioni Cesare Tacchi Decifrazione Franco Gozzano Un minuto Eliseo Mattiacci Fonologia Gianfranco Notargiacomo Dattilologia Ferruccio De Filippi Archeologia: biografie Sandro Chia e/o intorno a catacresi Mario Diacono Annullato

1. Il progetto era di annullare (cioè, non abolire ma proiettare, progettare sul nulla) un discorso critico-creativo individuale (Diacono) in un discorso creativo-critico (n artisti) tribale. 2. Il modo d’intervento doveva pensarsi in funzione dello spazio linguistico da agire. bisognava risolvere un tempo di convenzione fruitiva in un tempo di messa in questione (in crisi) della convenzione, designando gesti linguistici ulteriori: ciascuno doveva risolvere esemplarmente una situazione di confronto personale col problema dell’uso del linguaggio sociale, evidenziando al massimo, dunque visualmente, la dimensione nullistica del linguaggio – visualizzando l’arbitrario linguistico della critica formale e psicologica con il linguaggio dell’arbitrio. 3. Per l’attuazione, occorreva ribaltare il discorso in un altrolinguistico che, senza negare l’esigenza di definire al limite una situazione artistica attuale (in atto), presentasse questa situazione a livello di metafora attivante. dunque: Chia ha montato una struttura tautologica, nell’ambito del suo lavoro sul doppio (l’ombra, la copia), specchiando una domanda in risposta omologica – servendosi di un tape-recorder portatile e di due speaker, collocati uno sul tavolo dietro cui erano seduti gli artisti (risposta) l’altro su una sedia in mezzo al pubblico (scarso: voglio dire, annullato pure lui) e azionati da due pulsanti. De Filippi ha consumato con un segno di archeologia il linguaggio in visione: ha attualizzato l’unità antropologica di passato e presente fissandosi nella lettura delle Vite di Plutarco, proiettando la dimensione biografica sulla diversione semiologica. Gozzano ha agito sull’auto-comunicazione nel linguaggio; tirando a indovinare, direi che s’è proposto il lavoro “considera per 60 secondi la seguente proposizione: 1 minuto”; vale a dire, leggendo il linguaggio nel tempo. Notargiacomo ha messo in gioco il rapporto segno-significato facendo leggere a un dattilologo il capitolo di Chomsky Strutture logiche del linguaggio. Mattiacci ha

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In alto: Cilindri praticabili, 1968, Parco Nomentano, Roma Sopra a sinistra: Recupero di un mito, 1975, Galleria L’Attico, Roma Sopra a destra: Annullamento (Richiami), 1972, intervento di Eliseo Mattiacci, Incontri Internazionali d’Arte, Palazzo Taverna, Roma

indagato l’altro della fonologia, riproducendo una serie chiusa di fonemi di uccelli. Tacchi ha messo a fuoco la sensazione della scrittura ripercorrendo una storia dei linguaggi scritti fino a bloccarla e recuperarla nell’origine dello scrivere la sensazione, in nominazioni sensorie dell’ambiente. Il mio annullamento, l’ho dichiarato collocando su un tabellone un mio poem, cioè un mio precedente intervento su un foglio bianco che avevo, a stampa, ANNULLATO, e la xerocopia del libro che durante l’annullamento ho continuato a leggere, seduto tra i fruitori dell’altro-linguistico; The Presentation of Self in Everyday Life.

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Antologia critica


ITA 59,00 €

ISBN 978-88-99534-86-8


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