Novecento. Tensioni e figura

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novecento tensioni e figura



novecento tensioni e figura a cura di Fabio Migliorati


In copertina Giorgio de Chirico Cavallo e cavaliere (1930), particolare

Progetto editoriale Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI) redazione@formaedizioni.it www.formaedizioni.it Crediti fotografici IF Industrialfoto, Firenze Stampa Lito di R. Terrazzi, Firenze

Comune di Bagno a Ripoli

©2012 Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI) Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore Prima edizione: marzo 2012 Isbn: 978-88-96780-22-0


novecento tensioni e figura

Arezzo Galleria Comunale d’Arte Contemporanea piazza San Francesco, 4 5 marzo / 1 maggio 2012 Bagno a Ripoli - Firenze Oratorio di Santa Caterina via del Carota 16 settembre / 28 ottobre 2012

A cura di Fabio Migliorati Ideazione Roberto Casamonti e Fabio Migliorati Organizzazione Tornabuoni Arte, Firenze Con la collaborazione di Assessorato alla Cultura del Comune di Arezzo Assessorato alla Cultura del Comune di Bagno a Ripoli Tornabuoni Arte, Firenze Con il sostegno di ATAM S.p.A. Con il patrocinio di Comune di Arezzo Comune di Bagno a Ripoli Provincia di Firenze Catalogo Forma Edizioni


Ottone Rosai Ritratto di Ezio Casamonti (1952), particolare olio su tela, cm 70x50

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Premessa

Questa mostra nasce dalla collaborazione con il critico Fabio Migliorati – Direttore delle Attività Espositive di Arezzo – il quale mi ha proposto un’indagine sul Novecento italiano, quale documentazione di una ricerca figurativa... Io rifletto, poi replico che l’idea mi pare interessante – per l’Arezzo di questo momento storico – ma a due condizioni: quella ricerca figurativa dovrà riguardare la prima metà del secolo scorso, raggruppando autori che hanno fatto la Storia perché hanno tracciato la strada… e lo spirito dell’evento sarà reso come omaggio alla figura di mio padre, capace, finché in vita, di collezionare opere di questi autori. Perché Ezio Casamonti è stato colui che, oltre lo spirito del collezionista, ha saputo guardare di là delle mode del mercato, e vedere il gusto col quale quegli artisti dipingevano il mondo, sostituendo lo stile di un’osservazione attenta con quello di una norma espressiva personalissima. Mio padre è l’uomo che io stesso ho visto seduto nel lontano 1952, in silenzio, immobile, ritratto da Ottone Rosai per amicizia; mio padre è l’uomo che mi ha regalato l’esempio del capire la realtà per comprenderla con passione, senza mai venir meno alla coerenza con ciò che ero e sono ancora, con ciò che l’identità umana rappresenta nella sua forma più pura perché inalterata. Sono giunto, così, all’amore per l’arte e per chi la fa, sempre cercando la ’verità vera’ del pennello sulla tela, mai trascurando la persona che viveva e vive dietro l’opera. Mi ritrovo, dunque, al cospetto di quei nomi che conoscevo e amavo tra le pareti di stanze tanto mie; eccomi di fronte a Balla, Boccioni, Carrà, Soffici, Casorati, de Chirico, Morandi, Sironi (per citarne alcuni) ritrovati oggi ad Arezzo, alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, e poi a Bagno a Ripoli, nell’Oratorio di Santa Caterina. Se Arezzo, quindi, è città che ha proposto, in fondo, l’esposizione, Bagno a Ripoli è quella che ha permesso tutto ciò, perché mio padre, come me, è vissuto qui, alle soglie di Firenze, e ha respirato la toscanità a noi tanto cara. Inoltre l’Oratorio di Santa Caterina, con gli affreschi trecenteschi di Spinello Aretino, lega per arte Arezzo con Bagno a Ripoli. Novecento. Tensioni e figura è un modo per ricordare lui prima di tutto; è l’omaggio di un figlio che decide così di celebrarne la memoria, attraverso scelte che sono state anche sue. Novecento. Tensioni e figura è un salto nel ricordo più che nel passato: in un tempo non troppo distante ma che oggi, a volte, sembra davvero lontano...

Roberto Casamonti

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Arte che unisce, oggi come ieri FABIO MIGLIORATI

Novecento. Tensioni e figura nasce dalla sinergia. Il collante è geografico e storico, per celebrare l’arte del presente guardando al passato. Se quindi un direttore artistico si rivolge a un importante gallerista e collezionista per cultura di famiglia, allora può nascere un percorso che sia cammino culturale condiviso. Ed è questo il caso dell'esposizione: due volte evento perché due volte intesa su basi certe, ritrovate e non ricreate. Novecento. Tensioni e figura approda infatti ad Arezzo, alla Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, perché quel direttore è aretino, ma procede poi per Bagno a Ripoli dato che quel gallerista viene dal grazioso comune fiorentino, lui come suo padre: responsabile d’avergli tramandato la passione per l’arte… La seconda sede sarà l’Oratorio di Santa Caterina, incantevole esempio pittorico trecentesco, per i suoi affreschi meravigliosi – compiuti da un affermato artista aretino dell’epoca, su incarico postumo di un autorevole committente, aretino anch’esso. Nella seconda metà del secolo XIV, Benedetto Alberti, notabile, lascia scritto che l’autore dovrà essere Spinello di Luca Spinelli. Arezzo e Bagno a Ripoli, dunque, insieme per arte: ritualità del nostro presente, in omaggio a quel passato.

Oratorio di Santa Caterina (ciclo ad affresco di Spinello Aretino, secolo XIV) Bagno a Ripoli - Firenze

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Novecento. Tensioni e figura FABIO MIGLIORATI

La semplicità è la base della bellezza, la quale è sempre prodotta dalla perfetta verità degli elementi; e tutte le opere grandi sono manifestate con mezzi tecnici semplicissimi. Giacomo Balla, lettera da Parigi, 1899. Scrive Umberto Boccioni nel 1912… “Pur ripudiando l’Impressionismo, noi disapproviamo energicamente la reazione attuale, che vuole uccidere la sua essenza, cioè il lirismo e il movimento. Non si può reagire contro la fugacità dell’Impressione, se non superandola. Nulla è più assurdo che combatterla adottando le leggi pittoriche che la precedettero”. Significa che il Divisionismo è stato un semplicistico parallelismo del Pointillisme; significa che la traduzione dal francese del termine ’Impressionismo’ è ’Futurismo’; significa che il Futuro che si respira – prima a Parigi, poi a Roma – si deve interpretare quale attimo costretto a rivelarsi: momento conquistato, tempo fisso in una gara con la morte… o meglio con la vita! Ma non con la fotografia. La pittura del primo Novecento esplora possibilità fino allora impensate: si raggiunge la rappresentazione di un pensiero tramite segno, geometria, colore, per dar vita a forme codificate in nuovi linguaggi, in immagini di un meccanismo immateriale, in stati d’animo. Soggettivo e oggettivo sposano la causa di una comune realtà; e l’intento dell’artista diviene tale amalgama. Ecco un’espressività nuova: nucleo di essere e descrivere, vivo fra figurazione e astrazione, che può e sa venire incontro all’esigenza individuale di comunicare l’intimità emozionata. Da questo slancio filosofico, che esalta la scienza quale attività caotica utile a una definizione imprevedibile di cultura, sorge il valore dinamico della conoscenza e perfino dell’esoterismo e dello spiritualismo, o comunque di quel sapere che è parallelo con la tradizione; è alternativa, reciprocità o simultaneità o complementarietà; è scelta inesplorata perché inesplorabile fino in fondo. Nel solco freudiano della Ragione nascosta, fra Giovanni Papini e Ardengo Soffici, s’incontra la pittura a scoppio, l’unità scenica teatrale, l’evento a sorpresa, la parola letteraria in libertà, perché l’io pensi se stesso e consenta di trovare addirittura più identità che convivono in noi. Sorge, così, la modernità: il progresso rivela il cambiamento; la tecnologia si dà come artificialità che s’avverte e si scorge in noi; il futuro manifesta la lontananza dell’uomo dall’uomo; il sentimento, quanto il numero o la parola o il rumore, svela l’appartenenza alla realtà umana. Astratto e figura collimano secondo equipollenza, poiché sorridono ambedue al loro destino di enti schiavi del reale. Quel reale, dunque, vige per appartenenza, per ibridazione: l’astratto è parto dell’umanità in carne e ossa; il vero è riproducibile oppure imitabile. Estetica e prassi, esistenza ed esperienza insieme, per generare nuovi universi… Di qui l’arte scenica, la scenoplastica, l’interdisciplinare che sarà, decenni dopo, situazione assurda, relazione aperta, 'motore immobile' nel paradosso di Fluxus. E l’arte, come la vita, guarda avanti: a rifondare, a forgiare di nuovo, fino alla guerra ’sola igiene del mondo’ di Filippo Tommaso Marinetti. Se esistere, sicché, è un viaggio

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Giacomo Balla Torino 1871 - Roma 1958

Il dipinto è da collocare negli anni prossimi al soggiorno parigino di Balla, avvenuto fra il settembre 1900 e il marzo 1901, anni in cui l’artista si mostra particolarmente sensibile ai temi cari al socialismo umanitario. È proprio in queste tematiche che Balla sperimenta un’obbiettività naturalistica, una ’verità’ che va oltre la mera rappresentazione oggettiva, ma si sofferma a cogliere le implicazioni sociali del racconto e le mille sfaccettature dell’animo umano. Realizzata a Roma, la tela segue da vicino la serie della Macchiette romane, dedicate a figure caratteristiche del popolino romano, venditori ambulanti soprattutto, molto graditi al mercato d’arte di quegli anni. “A differenza del carattere bozzettistico insito nello stile volutamente corsivo e commerciale delle Macchiette, il dipinto in questione è pienamente realizzato, finito e definito quasi come una summa, un punto d’arrivo che supera il dato occasionale ed estemporaneo del divertissement” (Morozzi). Dal punto di vista formale il pittore dimostra una straordinaria maturità nell’impostazione dinamica della scena, chiaramente memore delle esperienze fotografiche degli anni precedenti, che si concentrano sulla cadenzata definizione di piani orizzontali (la strada, il marciapiede, l’edificio sullo sfondo) e di piani verticali, segnata dalla serie di personaggi maschili, indagati con spietata ironia, nei baffi a manubrio, nell’ostentata eleganza borghese, ma privi di effettive definizioni fisiognomiche, quasi a sottolinearne la coralità ma anche l’assenza di carattere e la partecipazione superficiale ed acritica ad uno spietato gioco di società. Sia per il taglio orizzontale che per la disposizione degli elementi compositivi risulta evidente in quest’opera il precoce interesse dell’artista per lo studio delle figure in movimento, tema che sarà dominante ed estremamente proficuo nei successivi anni dedicati all’esperienza futurista. Dalla descrizione della Sopraintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Etno-antropologico e per il Polo Museale Fiorentino a firma della Dott.ssa Giovanna Damiani e della Sopraintendente Cristina Acidini.

Giacomo Balla Grande serata nera al Salone Margherita. Serata nera (1903-1904) olio su tela, cm 60x130

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Umberto Boccioni Reggio Calabria 1882 - Sorte (Verona) 1916

C’è in Boccioni un’esigenza primordiale, per cui sente i valori espressivi con una corposità tattile: è sempre la terra, con le oscure passioni e i sentimenti semplici ma forti. Questa sua tensione si ritrova nel segno, nel modellato, non è puro gesto; il gesto ha importanza per lui, perché può permettere unità di tensione, carica di lotta, ma la sua pittura e la scultura non sono di gesto, nascono da analisi, da studi lunghi, da tenaci insistenze per raggiungere la sintesi. Da: Boccioni, la vita e l’opera, a cura di Guido Ballo, Il Saggiatore, Milano 1982.

Umberto Boccioni Impressioni di paesaggio (1908) olio su tavola, cm 24,5x34,5

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Carlo Carrà Quargnento (Alessandria) 1881 - Milano 1966

Questa severa coscienza di uomo, in un tempo come il nostro, quando i problemi di dottrina sembrano noiosi, e la confusione nell’arte è confusione di idee, ha vissuto pensieri eroici ed ha costretto moltissimi a riflettere, a pensare, a mettersi come si dice di fronte alla propria anima [...]. Si potrebbe rivolgere a Carrà la lode che egli stesso fa a Paolo Uccello: “conoscitore perfetto delle cose naturali”. Egli parla con un linguaggio di tale semplicità, da farci pesare maggiormente la confusione ed i compromessi altrui. L’artista è un’espressione della natura, non contaminata, ma più umile, più selvaggia e primitiva. Carrà esprime appunto, questo ‘tipo’ intramontabile di natura: un uomo che par venuto dai nostri lontani tempi di splendore, l’artista italiano più italiano, e dunque più europeo. La giudiziosa parola di Worringer servirà a chiarire anche questo aspetto di Carrà: “Una immensa forza di convinzione rivela il segreto del Pino – e, aggiungiamo, di tutta l’opera del pittore – al nostro spirito; e il suo silenzio, la sua semplicità sono latentemente carichi di alta tensione cosmica. La parola ‘cosmico’, tanto disprezzata, non si può evitare. Poiché cosmica è la serietà, cosmica la tristezza che parlano da questo quadro desolato e abbandonato”. L’arte di Carrà ci riporta a qualche cosa di grande e di immutabile che è stato nel tempo, forse al nostro trecento, ad una lirica universale; non ad una umanità provvisoria o particolare, ma ad una classicità eterna della natura. Se è uomo di genio chi riassume nelle opere di ogni arte, con potenza di rivelazione o con straordinaria preveggenza, ciò che alla gente meccanica è velato; se è uomo di genio chi interpreta le aspirazioni altrui, e le definisce: questo pittore ha del genio. Da: Pier Maria Bardi, Carrà e Soffici, Belvedere, Milano 1930.

Carlo Carrà Marina con palo (1951) olio su cartone intelato, cm 50x60

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Primo Conti Firenze 1900-1988

È una figura importante perché rivela, mi pare, che nell’animo del pittore è venuto a galla qualcosa di nuovo: il segno di una fiducia tutta aperta alla speranza di poter accostare il vero lasciando che l’opera d’arte sia soltanto un mezzo per accostare il vero, appunto, e niente altro: non certo i capricci dell’immaginazione o i doni sovente di seconda mano della cultura. Bisogna ricordare questa figura, come certamente la ricorda Primo Conti, perché il suo lento tortuoso viaggio all’indietro riconduce il pittore sempre a quel punto, sembra anzi che di lì cominci. È infatti un viaggio a ritroso verso la propria origine; ad incontrare, sì, di nuovo, l’immagine di se stesso, ma soprattutto a riscoprire un mondo fatto di cose, di sentimenti e di sogni, al quale allora il pittore fanciullo, travolto dall’urgenza e dall’impazienza del fare, poteva soltanto reagire meccanicamente, mentre adesso, maturato attraverso gli urti e le ferite di tante esperienze che hanno premuto sulla vocazione del pittore e sulla sorte dell’uomo, può catalogarli con la pazienza del saggio, può ascoltarne i richiami, intrecciare un dialogo che è senza testimoni tra le proprie interrogazioni e le proprie risposte, dentro un involucro d’ombre e di memorie. Da: Luigi Carluccio, Primo Conti, Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo, Torino 1967.

Primo Conti Paesaggio (1940) olio su tela, cm 72x51

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Giorgio de Chirico Volos (Grecia) 1888 - Roma 1978

Ed è in questo rendersi visibile che può farsi concreto nell’opera l’evento favoloso perseguito dall’artista, I’immagine magari al limite dello spettacolo capace di trasformare la ‘cosa’ in fatto drammatico e mitico [...]. Ecco porsi il problema di riconsiderare i ‘valori classici’, cioè la realtà e la storia, quella della tradizione figurativa europea meno prossima da rielaborare allegoricamente come esperienza visiva e dato del pensiero e della memoria [...]. Il diffuso richiamo alla classicità vuol dire essenzialmente coscienza di comunicazione, cioè magia dell’immagine nella sua universale comunicabilità, capace di valersi degli apporti culturali come di uno strumento flessibile: arte e realtà quindi non più distinte e in antagonismo bensì termini di una sintesi armonica di pensieri di sentimenti e di forme [...]. Un classicismo romantico, che sempre li deve rendere espliciti, i miti mediterranei, espliciti a sé prima ancora che agli altri: con tutto il loro carico di valori letterari, perciò [...]. ll cavaliere ariostesco davanti alla villa romana, come il cavallo galoppante oppure pietrificato fra templi e rovine della spiaggia egea, o gli archeologi o i tanti autoritratti coi loro eccessi di narcisismo, oppure le opulente nature morte, sono sì dati reali costitutivi dell’immagine, ma sono al tempo stesso accadimenti fiabeschi, esiti del sentimento visionario e dell’emozione: cioè forze e atti prima di essere oggetti [...]. Risulta pure un confronto serrato con la pittura antica, teso a rinnovarne significati e valori: con una preoccupazione costante di soluzioni stilistiche e tecniche che in quel confronto rappresentano un momento di vivace tensione. Se la struttura di questi quadri è di impianto classico [...]. Non mancano tuttavia impennate in direzione surrealista, o qualche esplicita declinazione alla maniera di Delacroix, di Renoir o di Courbet, e addirittura d’impronta barocca, alla Rubens, anticipando quella che sarà ancora un’altra stagione. Da: Massimo Carrà, La terza stagione in “De Chirico, gli anni Venti”, catalogo della mostra, Palazzo Reale, Mazzotta Editore, Milano 1987.

Giorgio de Chirico Cavallo e cavaliere (1930) olio su cartone su tela, cm 46x55

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Giorgio de Chirico Volos (Grecia) 1888 - Roma 1978

Forse Giorgio de Chirico, che ha replicato con violenza ai rimproveri di ’letteratura’, rivolti ai pittori che propongono una visione originale del mondo, ha voluto sostituire la parola ’metafisica’ alla parola ’poetica’, ritenuta troppo debole per provocare l’attenzione. Naturalmente la ’poesia’ rimane un concetto troppo vulnerabile, e anche troppo variabile, per essere applicato con rigore alle novità specifiche e radicali che Giorgio de Chirico ha introdotto, durante la sua lunga carriera, nella pittura e nella sua interpretazione. La sua ’metafisica’ è anche un’ingiuria che si rivolge contro coloro che ne parlano. Essendo stato accusato io stesso di essere un poeta ’filosofico’ o ’metafisico’, per il semplice fatto che mi permettevo di introdurre delle ’idee’ nel corpo della poesia, so di che cosa parlo. La pittura di Giorgio de Chirico non trasforma idee in quadri, ma l’insieme dell’esperienza sensibile da lui avuta dal mondo in quadri. La sua metafisica comincia ’prima’ dell’espressione delle idee, nel momento in cui si produce lo choc che gli darà delle idee (sul mondo, e sui quadri). Essa precede piuttosto che seguire il suo lavoro di pittore. Corrisponde allo ’scatto’ mentale senza il quale ogni creazione non è che la realizzazione più o meno laboriosa di un progetto. Apre tutto, invece di chiudere tutto. Non decide dell’estetica, ma suscita un turbamento, un’inquietudine riguardo all’estetica. Non separa l’arte dal mondo, dalla vita e dalla morte, ma la invita anzi a gettarvisi, a obliarvisi, a perdervisi. Da: Alain Jouffroy, La metafisica di Giorgio de Chirico, in ”De Chirico”, a cura di Isabella Far de Chirico e Domenico Porzio, Arnoldo Mondadori Editore, Milano1979.

Giorgio de Chirico L’ addio dell’amico che parte all’amico che rimane (1950) olio su tela, cm 40x50

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Franco Gentilini Faenza 1909 - Roma 1981

II mondo di Gentilini ha qualcosa della poesia di uno Chagall e di un Campigli, ma soprattutto ha molto di quella sua delicatezza apparentemente impacciata con la quale l’artista coglieva tutte le manifestazioni, di una disarmante e fine ingenuità che faceva dimenticare la sua raffinata tecnica artigianale. Un’atmosfera poetica sorreggeva tutte le figure di Gentilini. [...] La sua gioia di dipingere, di ’fare’, si coglie chiaramente se si osserva la cura dedicata alla preparazione dei colori; la si coglie nella materia pittorica sabbiosa e piena, che conferisce alla superficie dei suoi quadri il loro carattere di affresco, e con ciò un fascino particolare che impreziosisce quel che è ruvido e grezzo. E questa materialità del colore, arricchita dalla sabbia, che gli dà modo di realizzare un connubio particolarmente intimo tra la figura e lo sfondo, che sempre mi è parso essere l’espressione del fiducioso ’sentirsi legato al mondo’ dell’artista. Figura e sfondo vanno insieme, figure modellate corporeamente e figure abbozzate con semplici linee, spettrali, stanno tranquillamente vicine le une alle altre, un accenno di prospettiva, mai pedante, spesso giocoso e svagato, riporta lo spazio nella superficie. Da: Wieland Schmied, Il mondo dei giardini, in “Franco Gentilini. Dipinti e disegni”, a cura di Erich Steingräber, Arnoldo Mondadori Arte, Milano 1991.

Franco Gentilini Torre di Pisa e biciclette (1952) olio su tela, cm 93x66

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Osvaldo Licini Monte Vidon Corrado (Ascoli Piceno) 1894 - 1958

L’arte di Licini nasceva dalla percezione dell’infinito come spazio libero, aperto, senza confini. Tale sensazione postulava la presenza di un’altra realtà, specularmente opposta: la cognizione dello spazio chiuso, cieco, con limiti precisi. Questo spazio divenne la casa di Monte Vidon Corrado. Il tetto e la terrazza diventarono i luoghi nei quali l’infinito si palesava. Da quei punti di osservazione, Licini si librava, fino ad immergersi in una sorta di bagno mistico nella notte, osservato dalla luna. La cantina, con le sue frescure misteriose, lo invitava ad un’ideale discesa agli inferi, dove il pittore sfogava una tensione mistica che ostinatamente si rifiutava di riconoscere. Licini era un artista notturno. Le calde atmosfere mediterranee non lo incantavano. La luce, nei suoi quadri, nasce da un processo di partenogenesi, insito nel colore. Esso, a sua volta, si sviluppa sotto l’incalzare di una furia interiore che deborda dagli argini del calore domestico. La casa culla il deposito segreto dei sogni fino a quando, a contatto con la notte, i sogni si liberano. Licini era sensibile ai sapori, al clima, al senso intimo della casa. Dal testo di Stefano De Rosa in Osvaldo Licini, Ed. Artificio, Firenze 1994.

Osvaldo Licini Studio per l’angelo blu (1955) olio su carta su paniforte, cm 36x31

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Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964

Né forse alcuno, prima di Morandi, aveva parlato con tale intensità attraverso l’evocazione di oggetti inanimati, poiché, oltre i supremi valori figurativi – le squisite ricerche cromatiche, le audaci soluzioni spaziali – vi è qualcosa, in queste Nature morte, che oltrepassa, non dico certo il soggetto, ma il loro esser pittura, e sommessamente canta l’umano. Nel momento stesso che quelle fiasche e quelle bottiglie si affermano davanti ai nostri occhi in modo indimenticabile e incomparabile, la loro forma cede ad un afflato che lo scompone, e riconduce diritto all’animo, all’uomo. Nulla è meno astratto, meno avulso dal mondo, meno indifferente al dolore, meno sordo alla gioia, di questa pittura, che apparentemente si ritira ai margini della vita, e si interessa, umbratile, ai pulverulenti ripostigli della cucina. Da: Morandi, a cura di Cesare Brandi, Edizioni Le Monnier, Firenze 1942.

Giorgio Morandi Natura morta (1930) olio su tela, cm 34x39

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Zoran Music Gorizia 1909 - Venezia 2005

La sua poetica piÚ personale trova il suo avvio con i suoi vecchi motivi dalmati trasposti a distanza dalla memoria. Ecco riapparire, decantati e condensati, i mercati rustici, le contadine e i loro muli sui sentieri pietrosi, i bovini caricati sulle barche piatte e, superba creazione, i cavallini dalle zampe sottili senza zoccoli, usciti dalle grotte della preistoria, dalle steppe delI’Asia o dai sogni deIl’infanzia e che si profilano come corsieri da leggenda, nei toni delle gemme e dei fiori, simboli della fuga perpetua del tempo, sullo sfondo rotondo delle colline. Dal testo introduttivo di Jean Leymarie in Music, Electa, Milano 1985.

Zoran Music Contadine del sud (1955) olio su tela, cm 89x116

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Ottone Rosai Firenze 1895 - Ivrea 1957

Anche il sommario e ingenuo abbozzare corpi e vestiti non manca di una vivace carica di verità e di emozione, di ferma dolcezza nei confronti di queste larve di sottoproletari, all’orlo della coscienza: gli errori elementari e ostinati del disegno, quello sformare le immagini come vecchie cose usate, diventano delle esigenze tipiche e quindi una precisa conformazione dello stile. L’aria del classico siparietto rosaniano è densa e compatta; una sonorità nuova, quasi felpata e arcana, rende suggestivo il tessuto della scena: egli dipinge e rivela le sue figurine con l’abilità e l’assiduità dell’artigiano che scolpisce burattini, ma per un teatro vero nel mondo reale che rappresenta un’umanità decisamente in declino, un genere tutto particolare di commedia spietata e di cerimoniale popolano, ancora da comprendere interamente nell’evocazione dei suoi congegni emotivi, costruito nel grottesco dell’Occidente fatto a brandelli dalla guerra, sopravvissuto solo come spettro, senza più istinto civile. Da: Luigi Cavallo, Ottone Rosai, Edizioni Galleria il Castello, Milano 1973.

Ottone Rosai Omini all’aperto (1941) olio su tela, cm 40x50

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Alberto Savinio Atene 1891 - Roma 1952

A partire dal 1928 il lavoro di Alberto Savinio subisce una fase di netta trasformazione rispetto al periodo precedente: la fissità iconica lascia spazio al divenire e al perenne farsi e mutarsi degli elementi, finalizzati ora alla creazione di una realtà estremamente vitale e definita da un profondo senso di mutamento in tutti i suoi aspetti. Questo movimento universale, inteso come energia e vitalità interna dei processi naturali, può anche essere fonte di precarietà. Di conseguenza è all’origine dell’angoscia e della crisi dell’uomo, specialmente quella dell’intellettuale moderno. In questo particolare processo artistico è fondamentale in Savinio l’influenza del movimento surrealista, in particolar modo nel considerare l’immaginazione come il più efficace strumento per la comprensione di una verità completamente spogliata dei suoi aspetti più scontati e banali. Se negli anni precedenti queste inedite realtà dipinte nascevano unicamente dalla particolare organizzazione degli elementi dell’opera, ora, grazie a quest’immaginazione ricchissima d’invenzione, l’incongruo è il risultato sia della deformazione di immagini del tutto nuove rispetto all’esperienza sensibile, sia il frutto di un processo del tutto fantastico teso ad assorbire continui e nuovi significati. Il tema del ritorno all’infanzia è sicuramente un aspetto fondamentale delle opere di questo periodo, soprattutto nel ciclo dei Giocattoli, dove il gioco è inteso come processo finalizzato alla libertà, all’autenticità ed alla spontaneità dell’individuo non ancora sottoposto a costrizioni. Ma sarebbe piuttosto riduttivo vedere nell’azione ludica e nel mito positivo dell’infanzia la sola chiave di lettura di questi dipinti. Come lo stesso Savinio affermerà in diversi scritti “Ricordiamoci quanto torbida è l’infanzia e quanto piena di inconfessabili segreti”. Così la spontaneità e la serenità del gioco si appropria anche di aspetti inquietanti; l’assemblaggio apparentemente allegro di queste opere si trasforma in qualcosa di estremamente lontano ed instabile che sembra indurci a riflettere sull’ambiguità e sulla profonda complessità del mondo occidentale. Da: Alberto Savinio. Catalogo generale, a cura di Pia Vivarelli, Electa, Milano 1996.

Alberto Savinio La famille (1930) olio su tela, cm 46x38

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Mario Sironi Sassari 1885 - Milano 1961

Ci limiteremo a rammentare ancora una volta gli ultimi quadri, di elevatissima qualità, ispirati dalle Laudi di Jacopone; le vedute apocalittiche coi muri franati e gli alberi fulminati, e quei ’reliquiari’ della natura e della storia che sono le composizioni, vaste talvolta, di frammenti scultorici del mondo classico e medioevale, allineati con animo sgomento, intramezzati da figure semplificate o da memorie paesistiche con montagne aspre, e rade pezze verdi sotto cieli di metallo. Fino alla morte Sironi ha dipinto, con rara consapevolezza dell’ufficio dell’arte, opere che lo collocano al vertice delle nostre vicende civili e nel numero dei pochissimi artisti grandi del secolo, in Europa e fuori, intesi a lavorare per l’eterno nell’adesione stretta alla cronaca troppo più spesso dolorosa che serena dei loro anni, come dei nostri che vedono aggravarsi paurosamente la sminuizione della persona. Da: Sironi, catalogo della mostra, a cura di Fortunato Bellonzi, Electa, Milano 1985.

Mario Sironi Madonna col Bambino (1956) olio su tela, cm 90x70

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Ardengo Soffici Rignano sull’Arno (Firenze) 1879 - Forte dei Marmi (Lucca) 1964

In Soffici fu chiaro, allora, quello che era il suo interesse più vero, il suo temperamento tutt’altro che votato alla disgregazione dell’avanguardia. Si rifugiò, sebbene più che di rifugio si trattasse di una stabile dimora, nei confini, anche morali, di Poggio a Caiano, senza più nostalgie o ritorni di fiamma verso quelle esperienze parigine o lacerbiane che, in definitiva, non facevano parte delle sue più intime disposizioni o necessità artistiche. Tolte le sovrastrutture che lo avevano, però, fatto diventare famoso, raccolse il suo pensiero in modo unitario, cercò di ricomporre e riprendere in esame quei valori che, prima del futurismo, tra il 1907 e il 1912, gli avevano fatto concepire ed esprimere le forme in termini di chiara armonia toscana. La sequenza teorica di questo atteggiamento si ha nella poetica del ’realismo sintetico’ che egli imposta, dando così sfogo ad uno sviluppo non contraddetto del proprio pensiero: il principio del movimento dinamico del futurismo, è convertito nella staticità e nella contemplazione; alla base di tale modulato creativo pone la rinnovata affermazione dei valori plastici e della loro forma. Da: Giuseppe Raimondi, Luigi Cavallo, Ardengo Soffici, Nuovedizioni Enrico Vallecchi, Firenze 1967.

Ardengo Soffici Paesaggio (1947) olio su tavola, cm 70x54

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Indice delle opere

Afro - Mazzetto di fiori (1940), olio su tela, cm 62x44

pag. 19

Pietro Annigoni - S. Antonio che predica ai pesci (1985), tecnica mista su carta su tavola, cm 56x45 (bozzetto per affresco)

pag. 21

Giacomo Balla - Grande serata nera al Salone Margherita. Serata nera (1903-1904), olio su tela, cm 60x130

pag. 23

Giacomo Balla - Luce nella luce (1928), olio su tela, cm 131x131

pag. 25

Renato Birolli - Estate n. 2 (1954), olio su tela, cm 110x151

pag. 27

Umberto Boccioni - Impressioni di paesaggio (1908), olio su tavola, cm 24,5x34,5

pag. 29

Antonio Bueno - Vaso di fiori secchi (1955), olio su tela, cm 35,5x30

pag. 31

Massimo Campigli - Pomeriggio d’estate (1958), olio su tela, cm 82x100

pag. 33

Felice Carena - Natura morta (1964), olio su tela, cm 35x45

pag. 35

Carlo Carrà - Marina con palo (1951), olio su cartone intelato, cm 40x50

pag. 37

Felice Casorati - Nudo di schiena, in piedi davanti alla finestra (1939), olio su cartone, cm 70x50

pag. 39

Giuseppe Cesetti - Natura morta (1927), olio su tela, cm 39x66

pag. 41

Primo Conti - Paesaggio (1940), olio su tela, cm 72x51

pag. 43

Giorgio de Chirico - Cavallo e cavaliere (1930), olio su cartone su tela, cm 46x55

pag. 45

Giorgio de Chirico - L’addio dell’amico che parte all’amico che rimane (1950), olio su tela, cm 40x50

pag. 47

Giorgio de Chirico - Nudo (1930), olio su tela, cm 81x65

pag. 49

Filippo De Pisis - Fiori in un interno (1930), olio su tela, cm 60,5x46

pag. 51

Franco Gentilini - Torre di Pisa e biciclette (1952), olio su tela, cm 93x66

pag. 53

Renato Guttuso - Testa di donna (1960), olio su tela, cm 50x40,5

pag. 55

Osvaldo Licini - Studio per l’angelo blu (1955), olio su carta su paniforte, cm 36x31

pag. 57

Mino Maccari - La parata (1954), olio su tavola, cm 52x90

pag. 59

Alberto Magnelli - Collina a Careggi (1922 ca.), olio su tela, cm 52x44

pag. 61

Marino Marini - Composizione astratta verde-rossa(1958), gouache su carta, cm 81x58

pag. 63

Giorgio Morandi - Natura morta (1930), olio su tela, cm 34x39

pag. 65

Giorgio Morandi - Marina all’Ardenza (1924), olio su tavola, cm 27x33

pag. 67

Ennio Morlotti - Studio per spiaggia n. 4 (1964), olio su tela, cm 85x160

pag. 69

Zoran Music - Contadine del sud (1955), olio su tela, cm 89x116

pag. 71

Fausto Pirandello - Bosco (1960), olio su tavola, cm 70x100

pag. 73

Ottone Rosai - I miei amici della notte (1913), olio su cartone, cm 72x60

pag. 75

Ottone Rosai - Omini all’aperto (1941), olio su tela, cm 40x50

pag. 77

Bruno Saetti - Paesaggio con sole (1957), olio su tela, 27x29,5

pag. 79

Alberto Savinio - La famille (1930), olio su tela, cm 46x38

pag. 81

Alberto Savinio - Les atlantes (1939), matita e pastelli su carta, cm 28x36

pag. 83

Gino Severini - Natura morta con galli e pesci (1936-37), tempera su carta telata, cm 64x105

pag. 85

Mario Sironi - Madonna col Bambino (1956), olio su tela, cm 90x70

pag. 87

Ardengo Soffici - Cabina sul mare (1949), olio su cartone, cm 49x72

pag. 89

Ardengo Soffici - Paesaggio (1947), olio su tavola, cm 70x54

pag. 91

Lorenzo Viani - Vagero (1918), olio su cartone, 98x70

pag. 93

94


Ringraziamenti a Roberto Casamonti Tornabuoni arte staff Ufficio Cultura Comune di Arezzo Ufficio Cultura Comune di Bagno a Ripoli ATAM S.P.A. Collezionisti e prestatori Liletta Fornasari Archea Associati Cristiano Stocchi - Atlantide

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Questo volume è stato stampato nel mese di marzo 2012 da Lito di R. Terrazzi per Forma Edizioni




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