EXHIBITION
BRAMANTE È UN ARCHISTAR
curated by Laura Calderoni [OPEN CITY ROMA] photographies by Gianluca Fiore financed by Instituto Italiano di Cultura Tirana
Negli ultimi vent’anni la diffusione della cultura digitale ha rivoluzionato il processo ideativo dell’architettura, ridefinendo di conseguenza anche le sue modalità di narrazione. Parole mutuate da altre discipline fanno ormai parte del vocabolario architettonico contemporaneo, utilizzato non solo dagli architetti, ma più in generale dai media e dagli stessi fruitori. Ma cosa accadrebbe se questo nuovo vocabolario fosse applicato anche alle architetture del nostro patrimonio storico? “Bramante è un archistar” è una
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mostra fotografica sull’architettura italiana riletta attraverso sei architetture contemporanee messe in relazione con sei architetture storiche scelte a partire da altrettante parole/neologismi. Resiliente, Parametrico, Mediatico, Landmark, Archistar, Realtà aumentata, sono concetti che fanno parte del nostro immaginario architettonico contemporaneo, ma che possono allo stesso tempo aiutarci ad attualizzare il passato. La mostra è una riflessione che va oltre il divertissement, una lettura inedita che ci stimola a pensare a un’architettura capace di collegare il presente con il passato e il tangibile con l’intangibile. Gli scatti di Gianluca Fiore, con uno sguardo che va aldilà della forma e della materia, colgono quegli elementi inattesi che
riportano l’architettura fuori dal dominio del tempo. Negli edifici
fotografati, opere notevoli di autori illustri, la materia si trasfigura in “concetto” permettendo l’apertura di un dialogo tra epoche diverse.
twithin vibrant independent scene produce alternative communication and business models not because of the neo-marxist formulas and forced political correctness but because there is no other way in societies that haven’t grasped design as an economic booster and hipster paradise. In a certain way, this “peripheral moment”3 enables authors to develop their improvisational skills and social sensitivity, developing their own creative languages and styles thus avoiding clichés of western design practices. The question remains, how well the designers in the region will use this open space and influence in the development of societies and economies of Balkans.