Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano
ANNO XVII - NUMERO 166 - NOVEMBRE 2010
Dennis Hopper UN RICORDO
Betty Page FINALMENTE LEI!
Non è venduta in edicola. Per averla hai una sola possibilità: sottoscrivere l’abbonamento annuale. 12 numeri 65,00 euro
Abbonamento 2010 (nuovo o rinnovo) in omaggio 1839-2009
Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita M A U R I Z I O
R E B U Z Z I N I
1839-2009 Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita
Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni
INTRODUZIONE
DI
GIULIANA SCIMÉ
F O T O G R A P H I A L I B R I
prima di cominciare IMPOSSIBLE (MA POSSIBILE!). Si sta avverando il sogno di molti, noi tra questi (nonostante nostri pessimismi, espressi anche pubblicamente e ufficialmente: sempre con dialogo, mai slogan). Impossible Project produce convincenti filmpack per fotografia a sviluppo immediato. Nulla in comune con gli originali Polaroid, dismessi da tempo, ma comunque qualcosa di affascinante, con il quale confrontarsi e relazionarsi, se e per quanto si intende frequentare la straodinaria espressività della fotografia pronta una manciata di secondi dopo lo scatto. Nulla in comune con gli originali Polaroid, ma emulsioni adeguate e indirizzate alla creatività espressiva, qualsiasi cosa significhi questa identificazione e collocazione: distribuzione Nital (via Tabacchi 33, 10132 Torino; www.nital.it). Tra tanto altro, del quale si dovrebbe parlare, Impossibile Project sta per rivitalizzare la straordinaria Polaroid 50x60cm, alla quale ci siamo riferiti giusto lo scorso mese in allineamento con il progetto Behind Photographs, del bravo Tim Mantoani. Per ora in via sperimentale, e a breve in produzione regolare, la nuova emulsione è stata appunto approntata anche nello straordinario grande formato 50x60cm, ancora una volta guidato dal suo operatore di sempre: Jan Hnizdo. Nell’ambito della Photokina 2010, della quale riferiamo (per modo di dire) su questo stesso numero, da pagina trentasette, è stata allestita una affascinante dimostrazione pubblica [qui sotto]. Sorpresa per il pubblico (non per noi): il ritratto realizzato, destinazione primaria della configurazione, appare rovesciato destra-sinistra, perché l’esposizione è diretta. Diavolo! Come i dagherrotipi delle origini (dall’agosto 1839). Evviva! Anche questo è un segno di Vita, della Vita che scorre e ritorna immancabilmente. Ieri, oggi e domani. E domani e domani e domani. M.R.
Spunti utili e proficui da Photokina 2010. Il ritorno. Antonio Bordoni, Angelo Galantini e Maurizio Rebuzzini Viviamo nell’epoca della rapidità a tutti i costi, della rapidità che ci siamo imposti e perseguiamo con stoltezza fuori dal comune. su questo numero, a pagina 40 Come individui, siamo liberi di essere ciò che vogliamo essere, mentre l’appartenenza e il richiamo a un qualsivoglia collettivo impongono un carattere storico, che è figlio di una definita continuità culturale. su questo numero, a pagina 41 Quando parliamo di fotografia, dovremmo specificare di cosa stiamo parlando: quella che noi consideriamo e intendiamo non è la sola fotografia possibile, ma è una delle tante “fotografia” che si esprimono nel mondo contemporaneo, in allungo dai decenni che ci hanno temporalmente preceduto. su questo numero, a pagina 51 La fotoricordo sottolinea lo scorrere del Tempo, allunga il passato sul presente, introduce il futuro. su questo numero, a pagina 51 e 52
Copertina Alla maniera di Ken Josephson (omaggio a?), tra le mani teniamo una cartolina di Colonia, con evidente richiamo fotografico al fotogramma 24x36mm (edizione Fotokunstwerkstatt; fotografia di Luis Cruz): trompe l’œil nella stessa strada, con Duomo sul fondo. Qui accanto, le due che ci siamo inviati (in redazione); serve ribadirlo? Insomma: Alla Photokina... e ritorno
3 Altri tempi (fotografici) Apparecchio stereoscopico Ernemann Bob, con coppia di obiettivi Aplanat, dal catalogo Ambrosio, anni Venti
7 Editoriale Garbo e galateo, nell’era della tecnologia digitale
8 Con Olympus Pen Grazie, Olympus Pen E-PL1. Anche per merito tuo è stata una buona Photokina (2010). Quante storie!
10 Notizie Attrezzature, vicende e altre segnalazioni
14 Ciao, Dennis. E grazie In ricordo di Dennis Hopper, mancato lo scorso maggio Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
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NOVEMBRE 2010
R , RIFLESSIONI IFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA SULLA FOTOGRAFIA
18 Fronte e profilo Due ottimi casellari di fotografie segnaletiche: anzitutto, Ritratti criminali; quindi, seconda edizione di Accusare. Con contorno di approfondimenti a tema
25 In Rete! Ancora: mille motivi per non averlo fatto fino a oggi; ne è bastato uno, per farlo oggi. Dalle 10,00 del 10-10-10: www.FOTOgraphiaONLINE.it. Un occhio dietro-le quinte
Anno XVII - numero 166 - 6,50 euro DIRETTORE
RESPONSABILE
Maurizio Rebuzzini
IMPAGINAZIONE Gianluca Gigante
REDAZIONE Angelo Galantini
FOTOGRAFIE Rouge
SEGRETERIA
30 Foto(romanzo) di cento anni fa Testimonianza di un ritrovamento, con restauro di Beppe Bolchi
37 Photokina 2010. Il ritorno Ancora: spunti utili e proficui sia al comparto tecnico e commerciale sia al modo della fotografia espressiva di Antonio Bordoni Angelo Galantini e Maurizio Rebuzzini
38 Da Alla Photokina e ritorno (2008) Un passo indietro (?), per richiamare riflessioni ancora attuali
39 In ricordo di Jin Yamaguchi La prima Photokina senza di lui (con Francesco Guccini)
40 Piano, piano. Lentamente Buoni ultimi. Con la dovuta calma: stile di vita e professione
43 Photokina: ricordiamo com’era. Valutiamo com’è In Photokina per sollevare la superficie, e guardarvi sotto
46 Ancora Leica a vite! Solo Leica immagina un rollerball con cappuccio a vite
46 Fotografia: per se stessa, non per altro La fotografia merita di essere apprezzata in quanto tale
47 Il più ricco del cimitero Etica del capitalismo: da Olivetti, di Ivrea, a Taschen, di Colonia
48 Il 3D nell’era dell’elettrodomestico Restituzione tridimensionale: parola d’ordine irrinunciabile (?)
50 I AM PHOTOKINA Headline che si rivolgono all’immagine fotografica. Evviva
50 Soprattutto, fotoricordo Non è nata per questo, la fotografia. Ma così si manifesta
53 Una mostra, tra tutte Emozionante: Fotokunst im Etablissement, a contorno
54 Saluti da Colonia Commiato, con le edizioni delle cartoline Thierhoff City Verlag
56 Betty! Dall’11 dicembre (secondo anniversario dalla morte) all’undici febbraio, alla galleria Contemporary Concept, di Bologna, Betty Page. Trentadue visioni più una di Angelo Galantini
Maddalena Fasoli
HANNO
COLLABORATO
Pino Bertelli Beppe Bolchi Antonio Bordoni Chiara Lualdi Olympus Pen E-PL1 Franco Sergio Rebosio Ciro Rebuzzini Filippo Rebuzzini Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.it; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 28219202 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard. ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano
Rivista associata a TIPA
64 Stefania Sapio Sguardi su una fotografia dell’impudore di Pino Bertelli
www.tipa.com
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editoriale G
alateo. Parliamo di questo: del galateo in epoca di tecnologie esuberanti. Magari, non del Galateo overo de’ costumi, di Giovanni Della Casa. Però, non è neppure detto: basterebbe adattarne le indicazioni, per essere a posto. Infatti, per quanto in mille e mille occasioni abbia preso le distanze dai pretestuosi e sterili dibattiti sulle attuali tecnologie digitali, applicate alla fotografia, per lo più condotte da chi non conosce l’argomento, non posso esimermi dal constatare come queste tecnologie implichino anche applicazioni di garbo ed educazione. Invece, alterate. A tutti gli effetti, una delle consecuzioni sociali della tecnologia digitale riguarda proprio il galateo, il garbo dei rapporti tra le persone. Infatti, la fotografia, come tanto altro, non è esercizio che si esaurisce in se stesso, ma implica proiezioni sociali. Ci sarebbe da parlare di come e quanto la fotografia influisca sulla vita, e come l’abbia -in definitivacambiata. Riflessione, questa, che dovrebbe essere svolta in tempi e luoghi preposti, nei quali poter allargare le considerazioni oltre i termini ristretti che solitamente riserviamo alla riflessione storica della fotografia, generalmente isolata dalla sua proiezione verso la società. Ricevo comunicazioni in forma tecnologica, come tutti del resto. A partire dalla posta elettronica, è cambiato il modo di comunicare tra le persone. Ebbene, con stoltezza, la posta elettronica ha sostituito quel franco e sereno dialogo che una volta si faceva a voce, magari anche soltanto per telefono. L’abuso di posta elettronica, anche per comunicazioni che andrebbero svolte a voce, soprattutto per queste, è segno dei tempi. Cioè è segno della passività con la quale accettiamo (pare che accettiamo) tutto. Diavolo, cosa ci vuole a comporre un numero telefonico, per avviare un dialogo che presuppone scambio di opinioni e visioni? Basta poco, per essere cortesi. Basta poco, per non essere schiavi e indolenti, per mettere effettivamente a frutto le possibilità tecnologiche, invece di umiliarle con comportamenti che ci fanno fare passi indietro, invece che in avanti. Per non parlare, poi, della non educazione all’invio e all’allegato: raramente definito con la chiarezza che ne consentirebbe la decifrazione (in allegato, “fotografia 1”, “fotografia 2”..., ma “1” e “2” di cosa?; in allegato, “comunicato stampa”, di che?). Se la fonte, se l’emittente è pressappochista, tutta la comunicazione ne risente, lungo il suo tragitto, fino al ricevente. Ovviamente, non affronto l’argomento privato, che si nasconde dietro le tecnologie per affarucci di basso cabotaggio. Insomma, l’adeguata applicazione delle straordinarie possibilità attuali si scontra con la modestia di troppe menti, che smettono di pensare con garbo, per agire con maleducazione. Questo sì, è un danno concreto e reale della tecnologia digitale. In fotografia, e non soltanto. Maurizio Rebuzzini
Da Nostalgia, del 1980, riflessione esistenziale di Valentina (fotografa), il personaggio a fumetti creato dalla penna di Guido Crepax. Sì, forse molti di noi si sarebbero espressi meglio altrimenti, che non con la fotografia. In assenza di intelligenza individuale, tutto quanto tocchiamo viene compromesso dalla nostra inadeguatezza, anche a comprendere e applicare le tecnologie.
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Parliamone di Maurizio Rebuzzini
CON OLYMPUS PEN
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Su questo numero della rivista, da pagina trentasette, riferiamo dalla Photokina 2010. Al solito, viaggiamo e procediamo di traverso, lasciando ad altri e altre opportunità il casellario delle novità tecniche, che ci paiono meno significanti di quanto non lo sia il sapore che il mercato fotografico svela e rivela in occasione del suo più importante appuntamento fieristico internazionale. Oggi, non ripetiamo l’esperienza di due anni fa, quando lo svolgimento della Photokina 2008 diede spunto a una tale e tanta consecuzione di riflessioni e ragionamenti, da indurci a riunirli addirittura in un libro. Quel Alla Photokina e ritorno non è affatto datato: la sostanza delle sue osservazioni e analisi è ancora di (stra)grande attualità, tanto che le sue parole calzerebbero a pennello persino alla recente edizione Photokina 2010. Senza alcuna autoreferenza, ma con lucida onestà, ne consigliamo vivamente la rilettura. Noi l’abbiamo riletto due volte: una, prima di partire per Colonia; e un’altra ancora, subito dopo avervi soggiornato per la settimana della Photokina 2010, dal venti al ventisei settembre scorsi. Comunque, pur senza ripetere pedissequamente quanto compilato due anni fa, la consistenza della nostra odierna relazione dalla Photokina 2010 ne riprende lo spirito e, in un certo modo, la presentazione: parole e immagini che scorrono in collegamento sulle pagine della rivista.
Giovedì ventitré settembre, verso la metropolitana, per andare in Photokina. Al solito, in ripetizione quasi ossessiva (sicuramente ossessiva!): autoritratto allo specchio. Autoritratto con Olympus Pen E-PL1 e immancabile Toscano tra le dita.
Su questo numero della rivista, da pagina trentasette, Photokina 2010. Il ritorno: con Olympus Pen E-PL1.
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Nella propria singolarità, le parole si presentano da sé; e le immagini altrettanto. Solo che le immagini a corredo reclamano una propria personalità ulteriore, che va certificata. Siamo andati alla Photokina 2010 con una Olympus Pen E-PL1, che ben interpreta la recente genìa delle compatte di profilo alto a obiettivi intercambiabili. Le identificazioni di questo comparto fotografico sono eterogenee, al minimo si sottolinea l’assenza dello specchio reflex in configurazioni che offrono la visione diretta attraverso l’obiettivo: live view dal monitor posteriore, piuttosto che dall’or-
mai immancabile mirino elettronico esterno coordinato (diciamola così). L’Olympus Pen E-PL1 si è rivelata buona compagna di viaggio; anzi, ottima compagna di viaggio. Senza troppe complicazioni, soprattutto in automatismo programmato, ci ha consentito di passare dalle inquadrature più generali agli avvicinamenti sul dettaglio, dalle fotografie in esterni (anche in città, a margine della Fiera) alla documentazione attenta degli eventi della Photokina commerciale e dei suoi corollari culturali. E poi, in sincerità, valori tecnici a parte, che possono essere anche
Parliamone Yoshihisa Maitani, progettista Olympus, dalla fine degli anni Cinquanta, padre di ardite interpretazioni fotografiche della casa giapponese, è mancato nel 2009. Con lui, sono finiti un tempo e un mondo nei quali il genio dell’individualità ha avuto senso e ha fatto l’autentica differenza. Questo ritratto posato ufficializza la reflex Olympus-Pen F, tra le sue mani. A noi piace notare anche (soprattutto?) la cravatta con raffigurazioni dell’apparecchio originario per dagherrotipia.
analoghi a quelli di tante altre macchine fotografiche dei nostri giorni, e che sicuramente lo sono (il livellamento tecnologico è oggi una clamorosa realtà con la quale dobbiamo fare i nostri conti), l’identificazione Olympus Pen appartiene al nostro cuore, è parte integrante di quella luminosa storia evolutiva della tecnologia fotografica che negli ultimi decenni ha rivelato interpretazioni a dir poco emozionanti. E in questa Storia, l’Olympus Pen occupa un posto di assoluto prestigio. Vale la spesa ricordarlo. L’Olympus Pen originaria è del 1959. È stato il progetto capofila di una lunga serie di eccellenti invenzioni di Yoshihisa Maitani, geniale ingegnere, mancato a fine luglio 2009: probabilmente l’ultimo dei personaggi leggendari della progettazione fotografica, che ormai ha abbandonato i richiami a genialità individuali, per frequentare altre strade. L’Olympus Pen propose il formato di esposizione 18x24mm (mezzoformato: ai tem-
pi, autentico boom in Giappone), con obiettivo Zuiko 2,8cm f/3,5, tempi di otturazione da 1/25 a 1/200 di secondo, più la posa B. Da qui, un’eterogenea serie di varianti, che si sono allungate per tutti gli anni Sessanta, sconfinando addirittura nei Settanta (Olympus-Pen EE 3, del 1973) e Ottanta (Olympus-Pen EF, del 1981). Ma, soprattutto, l’azzardata proposta mezzoformato, rispetto il fotogramma completo 24x36mm, fu interpretata dalla serie delle reflex Olympus-Pen F, a obiettivi intercambiabili (dal 1963): ardita interpretazione della visione reflex, senza pentaprisma, ma con prismi e specchi che consentirono un corpo macchina estremamente compatto ed efficace, curiosamente analogo a quello delle digitali dei nostri giorni, che ne ripropongono la definizione, attualizzandola. Grazie, Olympus Pen E-PL1. Anche per merito tuo è stata una buona Photokina. Un buon ritorno alla Photokina. ❖
Notizie a cura di Antonio Bordoni
LUMINOSO! Terzo Nikkor a focale fissa di generosa luminosità relativa f/1,4 (nel sistema ottico, sono già presenti le focali 24mm e 85mm), il primo di nuovo progetto. Il medio grandangolare AF-S Nikkor 35mm f/1,4G si offre e propone come nuovo punto di riferimento per la fotografia di reportage e di registrazione della vita quotidiana. È caratterizzato da un eccellente contrasto, che si combina con una risoluzione ottimale, anche in condizioni di scarsa luminosità. Progetto ottico completamente nuovo, con dieci elementi divisi in sette gruppi (tra i quali una lente asferica) e il diaframma a nove lamelle, mette a disposizione quell’apertura relativa che si traduce anche in pertinente controllo della messa a fuoco con aree circostanti adeguatamente sfocate. In un certo senso, soprattutto per coloro i quali hanno anche memoria storica, questa configurazione richiama il clamoroso Noct Nikkor 58mm f/1,2, di straordinaria efficacia fotografica. La costruzione ottica si avvale del rivestimento esclusivo Nano Crystal, che riduce al minimo e le riflessioni e le aberrazioni residue. Cioè, l’AF-S Nikkor 35mm f/1,4G restituisce le luci e le ombre con chiarezza naturale, ideale per le scene notturne e reportage. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
GRATIFICAZIONE MASSIMA. Proseguendo nella strada tecnologica intrapresa, anche le nuove compatte Sony
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Cyber-shot WX5 e TX9 comprendono le modalità Auto Superiore e 3D Swap Panorama, oltre la registrazione video 1080i Full-HD. Il sensore Cmos Exmor R esprime una risoluzione di 12,2 Megapixel. In definitiva, e nel concreto, si tratta di configurazioni che interpretano con decisione e concretezza le sollecitazioni commerciali dei nostri tempi, con interpretazioni leggere da tenere con sé e facili da usare. Insomma, fotoricordo con gratificazione e soddisfazione. Dici poco! Le impostazioni sono indirizzate automaticamente in relazione alla corretta interpretazione del soggetto inquadrato. Le Cyber-shot decodificano le informazioni provenienti ogni acquisizione, per elaborare immagini a basso rumore, con ampia gamma tonale e cromatica, analoga a quella propria e caratteristica delle reflex di più alto livello. Inoltre, la nuova modalità Defocus consente di regolare sfocature volontarie, adeguate alla raffigurazione del soggetto (per esempio, nel ritratto), analoghe a quelle che si ottengono con la regolazione consapevole dell’apertura generosa del diaframma. Di fatto, con applicazione ottimale delle attuali possibilità tecniche, queste Cyber-shot scattano automaticamente due fotogrammi, a differenti regolazioni di messa a fuoco. Quindi, l’informazione sulla posizione tra il primo piano e sfondo è analizzata automaticamente, per creare una singola immagine con il soggetto a fuoco e un sfondo adeguatamente sfocato.
Ancora: New Soft Skin, modalità per ritratti lusinghieri, con raffinata correzione dell’incarnato, dal quale sono rimosse automaticamente piccole rughe e macchie della pelle. Ma, soprattutto, funzione 3D, che ormai pare essere indispensabile, addirittura in versione esclusiva 3D Sweep Panorama. In assoluto, oltre che ripetizione: massima gratificazione nella fotoricordo. Cosa chiedere, o pretendere, di più? (Sony Italia, via Galileo Galilei 40, 20092 Cinisello Balsamo MI).
CFV-50. Nuovo dorso digitale per reflex medio formato del sistema Hasselblad V. CFV-50, da cinquanta Megapixel, si presenta e offre come opzione addizionale per trasformare la propria macchina fotografica in un potente dispositivo di acquisizione digitale.
Terza soluzione digitale per la comunità del sistema V, complementare ai dorsi già noti CFV-16 e CFV-39. L’attuale CFV-50 è stato appositamente concepito per il design e la funzionalità delle Hasselblad V. È compatibile virtualmente con tutte, compresi i modelli 202FA, 203FE e 205FCC, e permette un funzionamento senza cavi e un’integrazione finalizzata tra dorso, corpo e obiettivo. Facile da usare, offre diverse funzioni avanzate, tra le quali la tecnologia DAC Hasselblad di correzione dell’obiettivo per la maggior parte degli obiettivi Carl Zeiss del Sistema V. DAC corregge completamente la distorsione, l’aberrazione cromatica laterale e la vignettatura, esattamente come avviene con gli obiettivi del Sistema H. Inoltre, CFV-50 integra Hasselblad Natural
Color Solution, che impiega un profilo generico e quindi riproduce rapidamente e fedelmente i colori. Il dorso digitale offre anche flessibilità, con opzioni di formato quadrato e orizzontale. (Aproma, via Cimabue 9, 20032 Cormano MI).
DA 50D A 60D. Sostituzione della Eos 50D, la reflex Canon 60D è stata progettata per i fotografi che intendono ampliare le proprie competenze operative. Offre prestazioni elevate, una serie di funzioni creative, un display LCD ad angolazione variabile e una ergonomia migliorata. Ovviamente, è compresa la registrazione video Full-HD. Con un sensore APS-C di diciotto Megapixel, la Eos 60D propone alti livelli di dettaglio, per acquisire immagini in formato poster. Il potente processore Canon Digic 4 converte rapidamente le informazioni sull’immagine ripresa da quattro canali di uscita del sensore Cmos, fornendo una riproduzione ottimale del colore e consentendo riprese ad alta velocità a 5,3 fotogrammi al secondo, in sequenza fino a cinquantotto immagini Jpeg a piena risoluzione. La gamma standard di sensibilità, da 100 a 6400 Iso equivalenti, è estendibile fino a 12.800 Iso equivalenti, con i quali si ottengono immagini nitide con il minimo rumore in condizioni di scarsa illuminazione. Autofocus a nove punti a croce (AF), con un punto centrale extra-sensibile per obiettivi di apertura relativa di f/2,8. (Canon Italia, via Milano 8, 20097 San Donato Milanese MI).
Notizie INTERPRETAZIONE D’ATTUALITÀ. Qualche tempo fa, abbia-
POSSIBILE! Assolutamente diversa dalle emulsioni precedenti, l’attuale proposizione fotografica a sviluppo immediato, rilanciata da Impossible Project, si indirizza soprattutto alla creatività espressiva (soltanto a questa?). All’indomani dell’abbandono di Polaroid, l’impegno personale di Florian Kaps, manager, artista, e profondamente innamorato della fotografia a sviluppo immediato, e André Bosman, ex dirigente Polaroid presso lo stabilimento olandese di Enschede, si è concretizzato in una nuova interpretazione chimica adatta agli apparecchi Polaroid in circolazione (con intenzione fino al 50x60cm / 20x24 pollici [Prima di cominciare questo stesso numero, in Sommario]). I filmpack standard Impossible si basano su processi produttivi reinventati, in quanto molte componenti chimiche delle “vecchie” pellicole sono ormai fuori produzione. Comunque, le nuove emulsioni, che si rivolgono ad artisti, pubblicitari, grafici, designer e professionisti della moda, ribadiscono la stessa magica ed affascinante istantaneità che Edwin H. Land fece conoscere ed amare al mondo intero (a partire dal 1948 di origine). In Italia, la distribuzione Impossible è stata affidata a Nital, il cui marchio di riferimento è Nikon. In un tempo nel quale la fotografia digitale, che stabilisce anche uno stile di vita, è parte del nostro quotidiano, Impossible porta (o riporta) su un altro piano: alla magia, al fascino e all’emozione legata al processo inquadra-scatta-sviluppa e stampa-ammira il risultato. (Nital, via Tabacchi 33, 10132 Torino).
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mo riferito della fantastica personalità delle proposte ottiche della statunitense Lensbaby: in cronaca, in FOTOgraphia del dicembre 2006. Ora si segnala una nuova interpretazione allungata sull’attualità tecnologica: Lensbaby Composer con Tilt Transformer per apparecchi Micro QuattroTerzi e Sony Nex, le più recenti interpretazioni fotografiche mirrorless (o come diamine si devono/dovranno definire). Questa nuova configurazione estende le possibilità fotografiche dell’interpretazione volontaria e consapevole della messa a fuoco e sfocatura anche alle più recenti dotazioni fotografiche. La creatività implicita nell’uso degli obiettivi Lensbaby, con basculaggio ragionato, si allunga addirittura alla registrazione video, oggi alla portata delle compatte di ultima generazione. Fantastico! Ma non è tutto qui, e neppure si esaurisce tutto qui, perché in questi anni il sistema Lensbaby si è adeguatamente arricchito di proposte di semplice genialità, piuttosto che di geniale semplicità. In più, rilevazione ghiotta, ora si registra anche un distributore italiano consapevole delle possibilità creative implicite nell’impiego degli obiettivi basculabili: RaMa, via Moro 5/2, 35027 Noventa Padovana PD (www.ramaidea.it). Ne riparleremo. Promessa.
MULTIBLITZ E HEDLER. Già distributore del sistema fotografico Mamiya, Image Consult, di Milano, acquisisce anche la distribuzione delle linee di illuminazione Multiblitz e Hedler. La gamma Multiblitz offre e propone flash elettronici da studio, sia a gene-
ratore sia monotorcia (qui sopra, il monotorcia Profilux Eco 500); Hedler è specializzata in illuminazione continua, con unità di diversa potenza. (Image Consult, via Cavalcanti 5, 20127 Milano).
KAPPA CINQUE. Racchiusa in un corpo compatto, ma solido e funzionale, la nuova reflex Pentax K-5 dispone di tutta una serie di strumenti fotografici evoluti, per facilitare l’espressione creativa nei più svariati aspetti della
Windows e Sigma Photo Pro 4.2 per Macintosh: per compatte della serie DP e SD. Le migliorie introdotte da questa nuova release riguardano la compatibilità con i file grezzi Raw DP1x e il settaggio Modalità di regolazione, che può essere impostato di default nel menu Settaggi. I programmi si possono scaricare ai link: http://www.sigmasd.com/SD15/photopro.html, http://www.sigma-sd.com/SD14/ software/spp/, http://www.sigmadp.com/DP2s/photopro.html, http://www.sigma-dp.com/DP2/ photopro.html e http://www.sigma-dp1.com/software/spp/. (M. Trading, via Cesare Pavese 31, 20090 Opera Zerbo MI).
POTENZA STABILIZZATA. Po-
ripresa, dimostrando al contempo standard elevati di qualità immagine, velocità di elaborazione dei dati e prontezza operativa. Progettata a partire dall’apprezzata Pentax K-7, l’attuale K-5 ne eredita l’affidabilità, la praticità operativa, la completezza delle funzioni avanzate, oltre alla compattezza e alla leggerezza. Abbinando un nuovo sensore Cmos ad alta velocità e basso livello di rumore con le prestazioni del processore immagine Prime II, produce immagini di alta risoluzione e ricca gradazione, con 16,28 Megapixel effettivi, perfino scattando in modalità continua alla massima velocità di circa sette immagini al secondo. Offre anche un campo di sensibilità particolarmente ampio, da 80 a 51.200 Iso equivalenti (espanso con una funzione di personalizzazione) e la registrazione di filmati in proporzioni Full-HD a 1920x1080 pixel. (Fowa, via Tabacchi 29, 10132 Torino).
SIGMA PHOTO PRO 4.2. È possibile scaricare le versioni di Sigma Photo Pro 4.2.0.0 per
tente telezoom, dotato dell’efficace sistema di stabilizzazione VC (Vibration Compensation) e di un nuovo motore USD (Ultrasonic Silent Drive), entrambe tecnologie proprietarie, il Tamron SP 70-300mm f/4-5,6 VC USD vanta prestazioni ottiche di alto profilo. L’impiego di elementi in vetro XLD (Extra Low Dispersion), in un disegno di diciassette lenti in dodici gruppi, garantisce una qualità formale adatta a una ampia gamma di utilizzatori, anche professionali. A fuoco da 1,5m e scala dei diaframmi fino a f/32-45. (Polyphoto, via Cesare Pavese 11-13, 20090 Opera Zerbo MI). ❖
Cinema
di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini
CIAO, DENNIS. E GRAZIE
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Dennis Hopper è stato un fantastico attore e regista; di più, è stato un personaggio multi-talentico e di spicco della cultura statunitense del secondo Novecento. Conteggiando le sue duecentotré interpretazioni cinematografiche ufficiali, si è soliti sottolinearne la presenza in Gioventù bruciata, del 1955, immediatamente successiva a consuete partecipazioni televisive e cinematografiche di esordio. Accanto al protagonista James Dean, nell’epocale Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, di Nicholas Ray), Dennis Hopper interpreta l’amico Goon. Successivamente, i due attori si sono incrociati anche sul set di Il gigante (Giant, di George Stevens, del 1956, film che James Dean non ha completato, venendo tragicamente a mancare, prematuramente, durante le riprese). Tra tanto altro, ricordiamo Dennis Hopper anche nel cast della traspo-
In Apocalypse Now, di Francis Ford Coppola, del 1979, il fotogiornalista interpretato da Dennis Hopper entra in scena nella giungla, armato di quattro reflex Nikon F, con parata di obiettivi diversi. Attenzione scenografica: tutte le Nikon F sono adeguatamente sciupate e consumate dall’uso in situazioni estreme e ambienti avversi.
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sizione televisiva dell’Ottantasettesimo distretto (in Italia, 87° squadra, in originale 87th Precinct, del 1961-1962), il primo serial sulla e con la polizia protagonista, ricavato dai racconti di Ed McBain (al secolo, Evan Hunter), nei quali Gena Rowlands, nella vita moglie di John Cassavetes, interpreta Teddy Carella, nella sceneggiatura moglie del protagonista, il detective Steve Carella. Ma, soprattutto, Dennis Hopper ha cambiato il volto del cinema americano con Easy Rider, del 1969, che ha co-sceneggiato, diretto e interpretato. Effervescente e anticonformista, Dennis Hopper è mancato il ventinove maggio, a settantaquattro anni di età. Già minato dal male che lo avrebbe vinto, lo scorso inverno ebbe tempo per rispondere positivamente a una nostra richiesta: quella di utilizzare un suo ritratto in sequenza, realizzato da Terry Richardson, per la nostra copertina e quarta di copertina di dicembre. In vero, le nostre richieste furono due, a margine della presentazione della sua avvincente monografia Dennis Hopper: Photographs 1961-1967, pubblicata dall’immancabile Taschen Verlag. Sì, il ritratto in copertina, ma anche un taglio drastico delle inquadrature originarie, orizzontali, per la messa in pagina verticale. Ne chiese all’autore, e insieme ci diedero il loro consenso. In quella occasione, ci presentammo a Dennis Hopper, per telefono, ricordando un nostro precedente incontro dell’estate 1996, alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, durante il quale, lui, con una Nikon 35Ti tra le mani, si interessò alla nostra Camogli Panorama 617/90 Gold [FOTO graphia, novembre 1996]. Ne fu affascinato; è scontato: non capita tutti i giorni di incontrare una 6x17cm in legno con Schneider Super-Angulon 90mm f/5,6 dorato. Oltre il fascino assoluto, a tutti comprensibile, fece capolino la competenza fotografica dell’attore. Lo ricordiamo bene, Dennis Hopper accettò di farsi fotografare con in mano la straor-
Cinema dinaria combinazione fotografica, ma intervenne il suo agente, che glielo impedì. Nulla da fare... e l’incontro rimase in sospeso.
IN RICORDO Oggi, rendiamo omaggio al ricordo di Dennis Hopper, che fu anche abile e attento fotografo, capace di attraversare il proprio tempo [FOTOgraphia, dicembre 2009], ricordando una sua interpretazione cinematografica allineata alla nostra particolare visione della presenza della fotografia in sceneggiature e/o scenografie. Anche fotografo nella vita, dal 1961, a ventidue anni, quando la moglie (di allora) Brooke Hayward gli regalò una Nikon F, per il suo compleanno (diciassette maggio), Dennis Hopper interpreta il fotogiornalista di Apocalypse Now (di Francis Ford Coppola, del 1979). Nel film, non ha nome, e nel cast è appunto identificato come fotogiornalista. Non sta molto in scena, perché il film è orientato altrimen-
ti. Comunque, le sequenze di sapore fotografico sono sostanziose. Le proponiamo come si susseguono nella sceneggiatura. Così facendo, ricordiamo la personalità di Dennis Hopper, la cui parabola esistenziale ha caratterizzato una certa America dei secondi anni Cinquanta, dalla ribellione a schemi precostituiti alla proposizione di comportamenti innovativi, che si sono allungati fino all’arte e, perché no?, alla fotografia, senza alcuna soluzione di continuità. Eccellente vitalità di un mondo e un pensiero, entro i quali si sono formate generazioni, la nostra per esempio, verso i quali ancora oggi i giovani rivolgono i propri sguardi e le proprie attenzioni. Magari, anche le proprie speranze.
ravelle e una ciurma ha concesso, per quel viaggio tremendo, / per cercare di un mondo lontano ed incerto che non sa se ci sia, / ma è già l’alba e sul molo l’abbraccia una raffica di nostalgia. «E naviga, naviga via, / verso un mondo impensabile ancora da ogni teoria; / e naviga, naviga via; / nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria. «È da un mese che naviga a vuoto quell’Atlantico amaro, / ma continua a puntare l’ignoto con lo sguardo corsaro; / sarà forse un’assurda battaglia, ma ignorare non puoi / che l’Assurdo ci sfida per spingerci ad essere fieri di noi. / Quante volte ha sfidato il destino, aggrappato ad un legno, / senza patria, bestemmie in
SOGNI GENERAZIONALI Infatti, il segno dell’intelligenza è di quelli che non passano inosservati, che attraversano le stagioni, illuminandole, e offrendo materia con la quale ciascuno può alimentare i propri sogni. Ciascuno può credere nei propri sogni. Con la sua personalità artistica (e le sue trasgressioni manifeste), Dennis Hopper ha sostenuto e nutrito molti di questi sogni, tutti proiettati alla libertà di pensiero e azione. Alla scoperta individuale. E di questo gli siamo profondamente grati. Con Francesco Guccini (e Giuseppe Dati), Cristoforo Colombo, da Ritratti, del 2004. «È già stanco di vagabondare sotto un cielo sfibrato, / per quel regno affacciato sul mare che dai Mori è insidiato, / e di terra ne ha avuta abbastanza, non di vele e di prua, / perché ha trovato una strada di stelle nel cielo dell’anima sua. / Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo; / quell’attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo. / Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia, / e anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio, ormai salperà via. «E la Spagna di spada e di croce riconquista Granata, / con chitarre gitane e flamenco fa suonare ogni strada; / Isabella è la grande regina del Guadalquivir, / ma come lui è una donna convinta che il mondo non può finir lì. / Ha la mente già tesa all’impresa sull’oceano profondo; / ca-
Primi contatti del fotogiornalista con l’anomala situazione creata dal colonnello Walter E. Kurtz (interpretato da Marlon Brando), uscito dai ranghi, ai margini della guerra in Vietnam.
Il fotogiornalista (Dennis Hopper) al lavoro, per raccontare al mondo la controversa vicenda del battaglione anomalo creato dal colonnello Walter E. Kurtz.
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Cinema Ancora, il fotogiornalista inviato (Dennis Hopper) nell’accampamento del colonnello Walter E. Kurtz.
Giunti alla fine del ricordo di Dennis Hopper, attraverso la sua interpretazione cinematografica del fotogiornalista di Apocalypse Now, un classico del cinema di guerra: il fotografo coinvolto nella realtà dei combattimenti, a contatto diretto con la morte.
latino, quando il bere è l’impegno; / per fortuna che il vino non manca e trasforma la vigliaccheria / di una ciurma ribelle e già stanca, in un’isola di compagnia. «E naviga, naviga via, / sulla prua che s’impenna violenta lasciando una scia; / e naviga, naviga via; / nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria. «Non si era sentito mai solo come in quel momento, / ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto; / andrà a sbattere in quell’orizzonte, se una terra non c’è, / grida: “Fuori sul ponte compagni dovete fidarvi di me!” / Anche se non accenna a spezzarsi quel tramonto di vetro, / ma li aspettano fame e rimorso se tornassero indietro; / proprio adesso che manca un respiro per giungere alla verità, / a quel mondo che ha forse per faro una fiaccola di libertà. «E naviga, naviga là, / come pri-
ma di nascere l’anima naviga già; / naviga, naviga ma; / quell’oceano è di sogni e di sabbia, / poi si alza un sipario di nebbia / e come un circo illusorio s’illumina l’America. «Dove il sogno dell’oro ha creato / mendicanti di un senso, / che galleggiano vacui nel vuoto, / affamati d’immenso. / Là, babeliche torri in cristallo, / già più alte del cielo, / fan subire al tuo cuore uno stallo, / come a un Icaro in volo. / Dove da una prigione a una luna d’amianto, / “l’uomo morto cammina”; / dove il Giorno del Ringraziamento, / il tacchino in cucina; / e mentre sciami inquietanti d’aerei / circondano di ragnatele; / quell’inutile America amara, / leva l’ancora e alza le vele. «E naviga, naviga via, / più lontano possibile / da quell’assordante bugia; / naviga, naviga via; / nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria». ❖
Monografia Cinema di Angelo Galantini
FRONTE E PROFILO
P
Prima di tutto, una precisazione; addirittura, una confessione. Siamo sempre stati appassionati di fotografia giudiziaria. In tempi non sospetti, siamo persino arrivati a esprimere un paradosso, che forse non è proprio tale, ma una amara verità, che ha trovato conforto in riscontri internazionali: due tra le applicazioni più utili della fotografia sono state nei settori dell’antropologia e dei registri criminali. Un esempio eclatante è stata l’innovazione di Francis Galton della “fotografia composita” (riquadro qui sotto). Fondatore dell’ambigua scienza eugenetica, più e più volte mal inter-
Mata Hari (Margaretha Geertruida Zelle): ballerina di grande fama, assoldata dal controspionaggio francese, nel 1916, e poi accusata di fare il doppio gioco a favore della Germania. Condannata a morte, è stata fucilata lungo i fossati del castello di Vincennes, il 15 ottobre 1917.
FOTOGRAFIA COMPOSITA
pretata, fraintesa e applicata a sproposito, collezionava fotografie di criminali conclamati, mirando a trovare una relazione tra la tendenza (criminale) e le caratteristiche facciali ereditarie. In Italia, lo ha seguìto Cesare Lombroso, aggiungendovi altresì proprie considerazioni originali. In tutti i casi, in ogni caso, la fotografia segnaletica, parte sostanziosa della fotografia giudiziaria, che si estende alle analisi scientifiche del crimine e del luogo del crimine, è sempre stato un argomento perlomeno tabù, estraneo al percorso della Storia e interdetto dai salotti buoni della critica ufficiale; e lo stesso dicasi, in estensione, per la fototessera [FOTOgraphia, ottobre 2005]. Tanto che, fino a qualche anno fa, la bibliografia a tema è stata veramente povera di titoli (internazionali), per quanto caratterizzata anche da testi autenticamente infami, almeno uno italiano, che neppure merita di essere richiamato. Per decenni, testi seri ce ne sono stati pochi, fino a quando, qualche stagione fa, si sono resi disponibili volumi di straordinario valore e spessore (anche fisico), soprattutto statunitensi:
Abbecedario per una analisi in profondità della fotografia giudiziaria. Argomento intrigante, la fotografia segnaletica è un capitolo visivo discriminante. Ancora sottolineiamo come due tra le applicazioni più utili della stessa fotografia si individuino giusto nei settori dell’antropologia e dei registri criminali. Ancora di più, e in declinazione assoluta, c’è stato addirittura chi ha affermato che la fotografia sarebbe un esercizio inutile (se così fosse, noi sottolineiamo, la fotografia dovrebbe essere affrontata e realizzata con scrupolo e coscienza; infatti, se fosse utile, basterebbe a se stessa e ai propri scopi; in quanto inutile, sia almeno adeguatamente bella, in senso lato e complessivo). Al caso, la sola utilità della fotografia starebbe nello studio antropometrico e nell’oggettività segnaletica, che permette(rebbe) il riconoscimento certo dei criminali attraverso le relative fotografie segnaletiche. In tale direzione, un esempio eclatante è stata l’innovazione di Francis Galton della “fotografia composita”. Fondatore della controversa, discutibile e spesso fraintesa eugenetica (da Platone), il vittoriano Francis Galton (1822-1911) teorizzò una disciplina scientifica volta al perfezionamento della specie umana, attraverso lo studio e la selezione dei caratteri fisici e mentali ritenuti positivi e la conseguente eliminazione di quelli invece negativi.
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Ritratti criminali, di Raynal Pellicer; con testi di Massimo Picozzi; Mondadori, 2010; 288 illustrazioni; 280 pagine 19x23,5cm; 29,00 euro. ❯ Raynal Pellicer, regista, ha prodotto numerosi documentari e film per la televisione, che gli sono valsi prestigiosi premi. ❯ Massimo Picozzi, psichiatra e criminologo, è docente di Criminologia e direttore del Centro di Ricerca sul Crimine presso l’Università Carlo Cattaneo - LIUC, di Castellanza, in provincia di Varese.
Inutile rilevare come, in seguito, le sue idee furono sostanzialmente travisate: sopra tutti dal nazismo. Nonostante la pericolosità culturale e sociale di tali opinioni, che in Italia trovarono terreno fertile alla scuola di Cesare Lombroso, Francis Galton fu uno scienziato puro: cugino di Charles Darwin, educato nello stesso ambiente, fu esploratore, antropologo, meteorologo e tanto altro ancora (suo è il conio del termine anticiclone, e il relativo studio originario, e addirittura alcune fonti gli accreditano l’invenzione... del sacco a pelo). Per quanto ci interessa direttamente, annotiamo che Francis Galton basò sulla fotografia l’essenza delle proprie considerazioni antropometriche. Addirittura, compilò un approfondito saggio sulla materia, Analytical Photography, pubblicato dal The Photographic Journal, del 31 dicembre 1900: dove sono espresse le teorie sulla “fotografia composita”, dalla quale identificare tratti somatici distintivi. Ovviamente, collezionava fotografie di criminali, mirando a trovare una relazione tra la loro tendenza (criminale) e le caratteristiche facciali ereditarie. Per approfondimenti, consigliamo Lombroso e la fotografia, a cura di Silvana Turzio, Renzo Villa e Alessandra Violi (Bruno Mondadori, 2005; 192 pagine 14,5x21cm; 18,00 euro).
Monografia per non ritardare ancora il riferimento al titolo (ai titoli) di stretta attualità, soggetto principale di questa relazione, li riassumiamo in un riquadro pubblicato qui sotto, scandendoli opportunamente tra fotografia segnaletica e fotografia più ampiamente giudiziaria (anche in forma giornalistica).
RITRATTI CRIMINALI In distribuzione libraria dallo scorso giugno, l’edizione italiana di Ritratti
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
criminali, di Raynal Pellicer (dall’originaria Présumés coupables; Éditions de La Martinière, del 2008), per l’occasione con testi aggiunti di Massimo Picozzi, si offre e propone come un esaustivo punto di vista, osservazione e approfondimento sulla fotografia segnaletica. Rispetto altri testi analoghi, tra i quali possiamo includere anche quel Mug Shots, che abbiamo commentato nel marzo 2007, questo ha almeno un
Titoli di fotografia giudiziaria, soprattutto statunitensi forse soltanto statunitensi, quasi, nella casualità (e capacità) della nostra libreria personale. Dal generale allo specifico, con slittamento verso la fotocronaca. ❯ La police des images; a cura di Charlie Najaman e Nicolas Tourlière; Encre Éditions, 1980; 152 pagine 20,5x30cm; puro antiquariato. Un testo fondamentale, che affronta la fotografia giudiziaria in ogni suo aspetto. ❯ Police Pictures. The Photograph as Evidence; a cura di Sandra S. Phillips, Mark Haworth-Booth e Carol Squiers; Chronicle Books, 1997; 132 pagine 21,5x26,5cm, cartonato; 24,95 dollari. Catalogo di una mostra allestita al San Francisco Museum of Modern Art: tutto, dalla scena del crimine all’indagine scientifica, alla fotografia segnaletica. ❯ Death in Paradise. An Illustrated History of the Los Angeles County Department of Coroner ; a cura di Tony Blanche e Brad Schreiber; Four Walls Eight Windows, 1998; 192 pagine 20,5x22,5cm; 18,00 dollari. Poche immagini, molti testi che raccontano vicende criminali di Los Angeles. ❯ Evidence; a cura di Luc Sante; The Noonday Press, 1992; 100 pagine 26,5x21,5cm; 18,00 dollari (all’origine; quotazione attuale sui cento dollari). Luogo del crimine, cadaveri così come sono stati trovati dalla polizia. Fotografie dell’inizio del Novecento. ❯ Death Scenes. A Homicide Detective’s Scrapbook; a cura di Sean Tejaratchi; Feral House Book, 1996; 166 pagine 25,4x20,2cm; 22,95 dollari. Ancora cadaveri in fotografie di un detective della polizia; anni Quaranta e Cinquanta. ❯ Scene of the Crime. Photographs from the LAPD Archive; a cura di James Ellroy, William J. Bratton e Tim B. Wride; Harry N. Abrams, 2004; 240 pagine 20,4x33cm, cartonato; 70,00 dollari. Tra i curatori, una firma di prestigio: James Ellroy, autore di convincenti vicende poliziesche ambientate nella Los Angeles degli anni Cinquanta e Sessanta. Fotografia giudiziaria ufficiale. ❯ Crime Album Stories. Paris 1886-1902; a cura di Eugenia Parry; Scalo Verlag, 2000; 319 pagine (proprio dispari, il testo finisce sulla terza di copertina) 16x23cm, cartonato; 26,00 euro. Alle origini della fotografia giudiziaria, sulle orme del suo profeta Alphonse Bertillon: più parole che immagini. ❯ Moord in Rotterdam. Diverse Photografieën 1905-1967; a cura di Wil Pubben e Aad Speksnijder; Uitgeverij Duo/Duo, 1994; 92 pagine 24,5x21cm, cartonato con sovraccoperta; quotato 60,00 dollari. Soltanto cadaveri, così come sono stati trovati dalla polizia nella città olandese, nell’arco di tempo specificato. ❯ Local News. Tabloid Pictures from The Los Angeles Herald Express 1936-1961; a cura di Diane Keaton; Lookout Book, 1999; 144 pagine 20x25,5cm, cartonato con sovraccoperta; 35,00 dollari.
valore in più, assolutamente discriminante: non si limita alla sola curiosità aneddotica -come invece fatto da quell’altro-, e neppure si spinge oltre le proprie proposizioni -come fatto dall’orrendo testo italiano appena evocato, che non merita neppure di essere menzionato-. In un’idea, Ritratti criminali svolge la materia con competenza e intelligenza: doti non sempre presenti nel ristretto circolo della fotografia chiacchierata.
Proprio lei, Diane Keaton, l’attrice, esperta di fotografia [FOTOgraphia, novembre 2009], ha raccolto e commentato fotografie di cronaca nera: fotogiornalismo. ❯ New York Noir. Foto[grafie] di cronaca nera dagli archivi del Daily News; a cura di William Hanningan, con introduzione di Luc Sante; Rizzoli, 1999; 160 pagine 30x23cm, cartonato con sovraccoperta; 26,00 euro. Ancora fotocronaca nera, in edizione italiana dall’originaria statunitense. ❯ Shots in the Dark. True Crime Pictures ; a cura di Gail Buckland; Bullfinch Press Book, 2001; 160 pagine 23x28cm; 36,99 dollari. Raccolta storica, che attraversa i decenni del Novecento, basata sul programma televisivo americano CourtTv. ❯ Car Crashes & Other Sad Stories ; fotografie di Mell Kilpatrick; Taschen Verlag, 2000; 176 pagine 29,4x25,2cm, cartonato con sovraccoperta; quotato 80,00 euro. Personaggio curioso, l’autore fotografo. Sintonizzato sulle onde radio della polizia, arriva nei luoghi di incidenti stradali. Per fotografarli. Morboso? ❯ Least Wanted. A Century of American Mugshots ; a cura di Mark Michaelson e Steven Kasher; Steidl, 2006; 304 pagine 22x28cm, cartonato; 31,50 dollari. Curioso: la fotografia segnaletica elevata a forma estetica, e così considerata, tanto da impegnare la autorevole Steven Kasher Gallery, di New York (521west 23rd street). ❯ Prisoners ; a cura di Arne Svenson; Blast Books, 1997; 160 pagine 22,8x25,2cm; 22,45 dollari. Classici fronte-e-profilo negli Stati Uniti dei primi decenni del Novecento. ❯ Mug Shots - Celebrities Under Arrest ; a cura di George Seminara; St. Martin’s Griffin, 1996; 96 pagine 21x14cm; 8,95 dollari, all’origine. Fotografie segnaletiche di personaggi famosi, che sono transitati per i dipartimenti di polizia statunitensi in anni successivi [FOTOgraphia, marzo 2007; FOTOgraphiaONLINE]. ❯ Identiés de Disdéri au Photomaton ; a cura di Serge July; Photo Copies, 1985; 142 pagine 28x26cm; 60.000 lire, all’origine. Catalogo della mostra tenutasi al Centre national de la photographie, di Parigi: colto tragitto dalla carte de visite alla fotografia segnaletica, alle cabine per la fototessera automatica. ❯ Without Sanctuary. Lynching Photography in America ; a cura di James Allen; Twin Palms Publishers, 2000; 210 pagine 19x25,4cm, cartonato con sovraccoperta; 60,00 dollari. Fotografie di linciaggi, che spesso rivelano come si sia anche trattato di feste popolari, con tanto di edizione di cartoline ricordo. Con sito www.withoutsanctuary.org. ❯ Lynching Photographs; a cura di Dora Apel e Shawn Michelle Smith; University of California Press, 2008; 110 pagine 15,2x20,4cm; 19,95 dollari (cartonato, con sovraccoperta; 55,00 dollari). Poche immagini, soprattutto testo: ancora linciaggi.
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Monografia Rosa Parks: arrestata il Primo dicembre 1955, a Montgomery, in Alabama, per essersi rifiutata di cedere il posto su un autobus a un passeggero bianco. È considerata la “madre del Movimento per i diritti civili” negli Stati Uniti. Tra tante altre evocazioni, la sua vicenda è richiamata nel cinematografico La lunga strada verso casa ( The Long Walk Home), di Richard Pearce, del 1990.
Duecentocinquanta fotografie giudiziarie/segnaletiche fissano il ritratto di presunti colpevoli all’atto dell’arresto: presunti, perché in molti casi non si tratta di crimini effettivamente commessi, quanto di persecuzioni politiche. Al solito, e in adempimento delle regole stabilite fin dal 1882 dal prefetto di polizia di Parigi Alphonse Bertillon, che ha dato avvio alla fotografia segnaletica, visioni frontali e di profilo identificano il criminale e i suoi particolari somatici. Al giorno d’oggi, le fotografie segnaletiche degli arrestati (negli Stati Uniti per qualsivoglia infrazione) sono diventate un metodo di schedatura standard internazionale nel sistema giudiziario, necessario per mantenere la memoria di tutti coloro che hanno infranto la legge. Addirittura, per i Mondiali di Calcio in Italia, nel 1990, furono installate stazioni mobili di polizia fuori dagli stadi frequentati dai tifosi più “a rischio”: all’interno, e preventivamente, si sono scattate fotografie segnaletiche con intenzioni deterrenti. E le considerazioni e gli aneddoti collegati alla fotografia segnaletica sono infiniti: ne abbiamo raccontato nel già citato numero del marzo 2007 e replichiamo in FOTOgraphiaONLINE, dove ci allunghiamo anche sulla trasposizione in arte, e qui non è il caso di ripeterci (volendolo fare, ognuno si informi lì dove abbiamo indirizzato).
TRA LE RIGHE In tutti i casi, l’ottimo Ritratti criminali raccoglie e riunisce i volti e le storie di malviventi, assassini, nemi-
CURIOSA COINCIDENZA
A ridosso di Ritratti criminali, e probabilmente soltanto per caso (straordinario, il Caso), all’inizio di settembre è arrivata in libreria la nuova edizione di Accusare, di Giacomo Papi, altrettanto dedicato alla fotografia segnaletica. Dopo l’edizione originaria del 2004, tradotta anche in altre lingue, questa nuova ne ribadisce il contenuto, presentandolo in una veste grafica alleggerita, forse di più facile lettura. Sicuramente, la copertina è oggi più accattivante, tanto quanto può esserlo (generazionalmente?) la segnaletica di Jane Fonda con pugno chiuso, arrestata il 3 novembre 1970 a Cleveland, Ohio, per aggressione e percosse. Al pari di Ritratti criminali, anche Accusare è un libro del quale fidarsi. Diffidate di altre cialtronerie. Accusare, di Giacomo Papi; Isbn Edizioni, 2010; 366 fotografie segnaletiche; 208 pagine 12x19cm; 13,00 euro.
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Da Accusare: potevamo non richiamare la segnaletica di Dennis Hopper, al quale riserviamo un ricordo particolare, su questo stesso numero, da pagina 14? Arrestato a Taos, New Mexico, il 2 luglio 1975.
Monografia Trockij, oppure Trotsky (Lev Davidovič Bronštejn): membro del Partito Operaio Socialista Democratico Russo dal 1896, è arrestato dalla polizia zarista nel 1898 e condannato a quattro anni di deportazione in Siberia; riesce a fuggire nel 1902.
CENTENARIO INTER
Tra le iniziative e celebrazioni del centenario del F.C. Internazionale, comunemente indicata come Inter, squadra di calcio di Milano, nel 2008, a cura di Oliviero Toscani fu realizzata una serie di Promocard (www.promocard.it) con l’intera rosa di calciatori, ognuno fotografato di fronte e profilo (destro e sinistro), alla maniera delle segnaletiche.
Amon Goeth: comandante del campo di concentramento di Plaszow, nei pressi di Cracovia, in Polonia, tra il febbraio 1943 e il settembre 1944. Riconosciuto colpevole della distruzione del ghetto di Cracovia e della morte di ventimila persone, in gran parte ebrei, è stato condannato a morte per impiccagione e giustiziato (13 settembre 1946). Nel film Schindler’s List, di Steven Spielberg, è interpretato da Ralph Fiennes.
ci pubblici riconosciuti, collaborazionisti, membri della Resistenza, militanti dei diritti civili... personaggi che in molti casi sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo. Sulle pagine illustrate del libro, in eccellente riproduzione litografica, i profili dei colpevoli schedati si susseguono in ordine sostanzialmente cronologico, con una divisione per capitoli e non di date: dalle lastre in bianconero dei “fuorilegge” ai tempi della Comune di Parigi agli ultimi cliché in argento della fine del Ventesimo secolo. A volte, i nomi sono apparentemente sconosciuti; però, le loro storie riportano immediatamente a casi di cronaca nera di avvincente eco mediatico. Ma sfilano anche personaggi diventati famosi nell’opinione pubblica per le tragiche imprese che hanno compiuto o nelle quali sono stati coinvolti: dagli anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, innocenti rispetto le accuse loro addebitate [FOTOgraphia, luglio 2007, nell’ottantesimo anniversario della morte/uccisione: 23 agosto 1927], al celebre mafioso Lucky Luciano, dalla saponificatrice di Correggio, Leonarda Cianciulli (tre omicidi accertati, all’inizio degli anni Quaranta), al mostro di Firenze, Pietro Pacciani (otto duplici omicidi dal 1968 al 1985), senza dimenticare le turbolente star del cinema e del rock, come Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jane Fonda. Opportunamente, i ritratti segnaletici sono accompagnati da una descrizione dei fatti, spesso tratta dai dossier giudiziari: brevi note che rievocano le storie criminali dei protagonisti fotografati, vicende dal movente spesso oscuro che restituiscono concretezza ai volti imperscrutabili che si incontrano sfogliando il volume. Ripetiamo e confermiamo: un ottimo libro. ❖
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Luigi Vegini, per tutti “Gigi”. È nato e vive a Valbrembo, a pochi chilometri da Bergamo. Ha iniziato ad approfondire la sua vita con la fotografia una decina di anni fa; frequentando fotografi e artisti, nonché leggendo libri e visitando mostre, in poco tempo ha come bruciato le tappe. Si esprime a livelli eccellenti. Più che eccellenti. L’ho conosciuto sei anni fa, in Toscana, a un workshop sulla fotografia polaroid condotto da Maurizio Galimberti; mi colpirono subito la delicatezza e raffinatezza delle sue fotografie: con le sue polaroid, e con estrema facilità (apparente), dote preclusa a tanti, racconta la quotidianità in modo sempre poetico. Feci subito amicizia, e notai che il suo modo di
esprimersi, la sua gestualità, il timbro della voce -sempre molto soft-, rappresentano lo specchio delle sue immagini, o viceversa. Mi disse che è uno chef; dal modo di descrivere il suo lavoro, mi fece capire che anche l’arte gastronomica, al pari di quella fotografica, è parte della sua vita. In entrambi i campi, si muove ed esprime con leggerezza, con quella leggerezza che va intesa come naturalezza, eleganza, delicatezza. Si iscrisse al Gruppo Polaser, e dopo poco tempo lo invitammo a presentarci la sua arte gastronomica. Organizzammo una cena Dada, evocandola come Poladadacenaser, per la quale, in poco tempo, Gigi preparò portate fantastiche, gioiose e giocose, insomma autenticamente
“dada”, con arditi abbinamenti che alla fine risultarono vincenti, come le opere di Tzara, Picabia e Duchamp. Nel dicembre 2004, partecipò alla mostra che esponemmo a Parigi, alla Maison d’Italie, nella Cité Universitaire, con due fotografie di paesaggio urbano; l’anno dopo, fu tra i partecipanti al progetto che dedicammo a Molière, ed esposto la prima volta, sempre a Parigi, nella galleria d’arte che ha sede nel palazzo dove visse e morì il grande drammaturgo francese. Pur continuando l’attività di gruppo nel Polaser, Gigi Vegini percorre un proprio tragitto espressivo, che l’ha portato ad esporre sue personali in gallerie d’arte: Polafiori e Il mio giardino. Polafiori è un progetto realizzato con pellicole Polaroid 669. Al di là della manipolazione e interpretazione ispirate all’impressionismo, colpisce la scelta dei soggetti. Non fiori importanti e di personalità propria, ma quelli che nascono spontanei nei campi, quali margherite e papaveri. Ancora una volta, espressione in (apparente) semplicità, che fa linguaggio delle sfumature cromatiche, armoniche, sobrie, musicali. Più recente, Il mio giardino [dal quale prendiamo le visualizzazioni in questa doppia pagina] è stato realizzato scattando per un intero anno, tutti i giorni, con una Polaroid 600, alla ricerca della poesia nei luoghi attorno la propria abitazione. Non ci sono interventi aggiuntivi, ma solo osservazione del mondo che conosce in modo profondo. Quando gli chiesi di dirmi qualcosa di questo lavoro, me lo presentò con un pensiero di Luigi Ghirri: «Le immagini riguardano più la percezione di un luogo che non la sua catalogazione o descrizione, quasi una geografia sentimentale dove gli itinerari non sono segnati e precisi, ma obbediscono agli strani grovigli del vedere; perché vedere è comprendere, giudicare, trasformare, immaginare, dimenticare, dimenticarsi». Pino Valgimigli
www.polaser.org
«La limitazione dei mezzi determina lo stile, dà vita a nuove forme e dà impulso alla creatività» Georges Braque Questa citazione dal pittore Georges Braque aiuta a comprendere lo slancio e spirito che guida e ispira gli artisti del Gruppo Polaser, eterogenei per interessi artistico-culturali e per provenienza da molte città italiane e anche dall’estero, accomunati dalla ricerca e sperimentazione di nuove possibilità espressive nelle molteplici forme dell’arte, dalla fotografia alla pittura, scultura, design, architettura, ceramica, letteratura, teatro, a altro ancora.
di Antonio Bordoni
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nnunciato per le 10,10 del dieci ottobre, in modo da confezionare una sequenza di cinque “dieci” identificativi (e scaramantici?), appunto 10,10 del 10-10-10, il sito www.FOTOgraphiaONLINE.it è stato avviato puntualmente. Non è stato facile, soprattutto per chi, come noi, è stato educato alla trasposizione giornalistica in forma cartacea; ma, con ammirevole abilità e capacità, Filippo Rebuzzini ha interpretato nella giusta chiave il contenuto preordinato e previsto. Alla resa dei conti, il sito è adeguatamente variegato e accattivante. Allo stesso tempo, ribadisce, confermandola, la filosofia di fondo con la quale intendiamo e interpretiamo la fotografia, a tutto campo e tutto tondo, spaziando in lungo e largo. A questo punto, si impongono delle considerazioni e precisazioni ulteriori, alcune delle quali rivolte a dare visibilità a quanto, pur oneroso nella preparazione, non riesce a mantenere la propria succosa personalità originaria nella trasposizione in Rete, online.
IN ALTRA EVIDENZA Prima di tanto altro, commentiamo la redazione della sezione Accadde oggi, che nella homepage si presenta avanti tutto, in alto a destra. A scorrimento, uno dopo l’altro fluiscono avvenimenti ricondotti alla data, giorno dopo giorno. La sequenza è presto identificata: in questo ordine, con anni a scalare, dal più vicino al più lontano, nati e morti tra i fotografi significativi della Storia, accadimenti riguardanti la fotografia, vicende del mondo. Nulla da aggiungere alle prime due sezioni, che non sono specificate come tali e si manifestano in uno scorrimento comunque sia continuo. Qualcosa da commentare per la terza, che risponde a criteri non proprio ortodossi, né codificati. Infatti, accanto a grandi eventi storici, incontestabilmente tali, ne indichiamo anche altri di nostro gusto e interesse personali. A ciascuno, i propri: i nostri, li teniamo in considerazione; e li esterniamo, per condividerli. Orbene, tanto lavoro di individuazione e compilazione, realizzato da Chiara Lualdi, non appare nel sito come meriterebbe. Non tanto per il lavoro svolto in se stesso, quanto per lo spessore di questa certosina ricerca, condotta con lodevole perizia. Tanto che, per esemplificare al meglio la questione, in un apposito riquadro di dimensioni consistenti, pubblicato sulla prossima doppia pagina 26-27, riprendiamo gli Accadde oggi di novembre: un autentico casellario, a certificazione e testimonianza di tanto. Avvincente, è dire poco. Ancora, dagli avvenimenti del mese, ne isoliamo uno, presentato come Accadde nel mese, e commentato. A ottobre, abbiamo ricordato il sesto anniversario dalla scomparsa di Richard Avedon (Primo ottobre 2004), evocando anche la
Solo parole -le immagini a corredo e commento qui non servono (?)-, per specificare qualche dietro-le-quinte del nostro sito www.FOTOgraphiaONLINE.it, avviato lo scorso dieci ottobre, alle fatidiche 10,10 del mattino (10,10 del 10-10-10). Retroscena e sottolineature di quanto è stato realizzato, nel consueto spirito secondo il quale la fotografia non deve mai essere un punto di arrivo, ma comporre i tratti di sollecitazioni in partenza. Al solito, verso la Vita e l’Esistenza (individuale e collettive che siano). Ripetiamolo, mille motivi per non averlo fatto fino a oggi, il sito. Ne è bastato uno, per farlo oggi sua statura individuale, certificata da un episodio che vale la spesa andare a leggere, o rileggere (dopo l’attualità, gli Accadde del mese restano in archivio nel sito). Per novembre, sul tavolo, si sono offerte e proposte numerose opzioni, tutte adeguatamente meritevoli. Tra le tante (troppe addirittura): primo novembre 1879, nasce Oskar Barnack, al quale dobbiamo l’ideazione di quell’involucro/esposimetro a rimando che sta alla base della Leica (il racconto approfondito in 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, del nostro direttore Maurizio Rebuzzini); 2 novembre 1958, il settimanale L’Espresso pubblica il reportage di Tazio Secchiaroli dello spogliarello di Aiché Nanà, al Rugantino (In Trastevere: La turca desnuda); 3 novembre 1957, nel proprio programma Sputnik (compagno di viaggio), l’ente spaziale sovietico lancia la capsula Sputnik 2, con a bordo la cagnetta Laika, che muore immediatamente dopo il decollo (episodio toccante, per la nostra generazione; assonanza Laika/Leica); 16 novembre 1887, su carta intestata The Eastman Dry Plate Film Co, antecedente la Eastman Kodak Company, che sarebbe sorta a seguito della produzione dell’originaria Box Kodak (1888), George Eastman invia una storia della fotografia ai propri procuratori legali, affinché vi individuino termini corretti per la richiesta di brevetto della Box Kodak in avanzata fase di studio [FOTOgraphia, novembre 1998]; 22 novembre 1963, il presidente degli Stati (continua a pagina 28)
IN RETE!
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ACCADDE OGGI (IN NOVEMBRE) Primo novembre 1983 Muore Charles Peignot 1973 Muore James Abbe 1926 Nasce Fulvio Roiter 1908 Nasce Cas Oorthuys 1889 Nasce Hannah Hoch 1879 Nasce Oscar Barnack 2004 The New Yorker pubblica (postumo) il servizio Democracy, di Richard Avedon, mancato il precedente Primo ottobre. 1962 In Italia, esce il primo numero di Diabolik, personaggio a fumetti creato dalle sorelle Angela e Luciana Giussani; il titolo Il re del terrore anticipa l’idea del ladro spietato. 1952 Test statunitense della prima bomba all’idrogeno, nome in codice “Mike” (“M” per Megaton), sull’isola di Eniwetok, nell’Atollo di Bikini, sull’oceano Pacifico. 1884 La conferenza internazionale sui meridiani, che si svolge a Washington, adotta il sistema dei fusi orari. 2 novembre 1990 Muore Eliot Furness Porter 1957 Nasce Stefan De Jaeger 1950 Muore George Bernard Shaw 1958 L’Espresso pubblica il reportage di Tazio Secchiaroli dello spogliarello di Aiché Nanà, al Rugantino (In Trastevere: La turca desnuda). 1975 All’idroscalo di Ostia, nei pressi di Roma, viene ucciso Pier Paolo Pasolini. 3 novembre 1943 Nasce Lindea Tee Cutchin 1941 Nasce Larry Fink 1903 Nasce Walker Evans 1994 Viene rilasciato il programma operativo Red Hat Linix 1.0. 1957 Nel proprio programma Sputnik (compagno di viaggio), l’ente spaziale sovietico lancia la capsula Sputnik 2, con a bordo la cagnetta Laika, che muore immediatamente dopo il decollo. 4 novembre 1949 Nasce Garo Aida 1946 Nasce Robert Mapplethorpe 1940 Muore Lewis Hine 1902 Nasce Pierre Verger 1899 Nasce Dmitrij Georgiyevich Debabov 2008 Con il 52,9 percento dei voti, il senatore democratico dell’Illinois Barack Obama vince le elezioni presidenziali, sconfiggendo il senatore repubblicano dell’Arizona John McCain; è il quarantaquattresimo presidente, il primo afroamericano. 1966 La piena dell’Arno raggiunge Firenze: alluvione di Firenze (stessa data dell’alluvione del 1333). 1961 La Rai comincia le trasmissioni del Secondo Programma, oggi RaiDue. 1960 Iniziano le riprese di Gli spostati (The Misfits), con Marilyn Monroe e Clark Gable (per entrambi l’ultimo film), le cui lavorazioni vengono seguite da uno staff di fotografi Magnum Photos, che si alternano sul set. 1956 Con l’invasione di truppe sovietiche, finisce la rivoluzione ungherese, iniziata il ventitré ottobre. 1918 Il Bollettino della Vittoria annuncia che l’Impero Austro-ungarico si arrende all’Italia, in base all’armistizio firmato a Villa Giusti, nei pressi di Padova, il tre novembre. 5 novembre 1940 Nasce Giulio Paolini 1891 Nasce Martin Chambi 1935 La Parker Brothers pubblica il gioco di società Monopoli. 1872 In violazione della legge, la suffragetta Susan B. Anthony, di Rochester, si presenta a un seggio elettorale,
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pretendendo di votare (viene multata di cento dollari). 6 novembre 2000 Muore Hilmar Pabel 1967 Muore Paul Nougé 1927 Nasce Hubert Grooteclaes 7 novembre 2009 Muore Humberto Rivas 1997 Muore Evgenii Khaldei (o Yvgeni Khaldi o Jewgenij Chaldej) 1922 Nasce Louis Stettner 1907 Nasce Mark Markov 1929 Apre al pubblico il MoMA, di New York (Museum of Modern Art). 8 novembre 1989 Muore Josef Ehm 1924 Nasce Robert Hausser 1904 Nasce François Kollar 1892 Nasce Walter Bosshard 1934 A Luigi Pirandello il Nobel per la letteratura. 9 novembre 1935 Nasce Romano Cagnoni 1924 Nasce Robert Frank 1913 Nasce Martina Galantini 1910 Nasce Irvin Klaw 1897 Nasce Ladislav Sutnar 2004 Mozilla Foundation lancia la release 1.0 del browser Mozilla Firefox. 1989 Viene abbattuto il Muro di Berlino, che divideva in due la città dal 1961. 1938 Notte dei cristalli (Reichskristallnacht), durante la quale, in Germania, vengono distrutti i negozi degli ebrei. 10 novembre 1988 Muore Reinhart Wolf 1901 Nasce Lisette Model 11 novembre 1950 Nasce Ferràn Freixa 1926 Nasce Samuel (Sam) Joseph Haskins 1868 Nasce Edouard Vuillard 1829 Nasce Carleton Eugene Watkins 1979 Stern pubblica il reportage Café Lehmitz, di Anders Petersen, raccolto in monografia da Schirmer/Mosel (riedizione 2004). 2006 In Giappone, viene lanciata la PlayStation 3. 1986 Sperry Rand e Burroughs si fondono in Unisys, che diventa la seconda azienda informatica del mondo. 12 novembre 1960 Nasce Tracey Moffatt 1933 Muore Fred Holland Day 1915 Nasce Roland Barthes 1839 Macedonio Melloni svolge la sua Relazione intorno al dagherrotipo, alla Reale Accademia delle Scienze di Napoli; è la prima voce ufficiale in Italia sulla fotografia [in 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, di Maurizio Rebuzzini; FOTOgraphiaLIBRI, 2009]. 1969 Seymour Hersh, giornalista indipendente, svela il massacro compiuto da soldati statunitensi della Compagnia Charlie, della Undicesima Brigata di Fanteria Leggera, a My Lai, il 16 marzo 1968: vennero uccisi trecentoquarantasette civili, principalmente vecchi, donne, bambini e infanti [servizio fotografico sul Cleveland Plain Dealer, del venti novembre, e su Life, del cinque dicembre]. 13 novembre 1905 Nasce Roger Parry 1890 Nasce El Lissitskij
1990 Viene scritta la prima pagina conosciuta del World Wide Web (www). 1982 A Washington, inaugurazione del Vietnam Memorial, memoriale dei caduti in Vietnam [copertina e servizio di National Geographic, del maggio 1985]. 14 novembre 1997 Muore Stefan Lorant 1974 Muore Marcel G. Lefrancq 1962 Nasce Igor Savchenko 2000 Viene rilasciata la release 6.0 di Netscape Navigator. 1950 Rotta del Po e alluvione nel Polesine [sostanzioso impegno di fotogiornalisti italiani]. 1922 In Inghilterra, iniziano le trasmissioni radio della British Broadcasting Corporation (Bbc). 1921 Viene pubblicato Moby Dick, di Herman Melville. 15 novembre 1946 Nasce Walerij Schtschekoldin 1912 Nasce Fosco Maraini 1971 Intel rilascia il primo microprocessore del mondo, il 4004. 1956 Negli Stati Uniti, esce il primo film con Elvis Presley (nei panni di Clint Reno): Love Me Tender, di Robert D. Webb. 1955 Inaugurazione della metropolitana di Leningrado (l’originaria San Pietroburgo, tornata al proprio nome originario il 7 settembre 1991). 1933 Nasce Giulio Einaudi Editore, fondata dal ventunenne figlio di Luigi, futuro secondo presidente della Repubblica. 16 novembre 1975 Muore Wynn Bullock 1942 Muore Annemarie Schwarzenbach 1905 Nasce Walter Boe 1887 Su carta intestata The Eastman Dry Plate Film Co, antecedente la Eastman Kodak Company, che sarebbe sorta a seguito della produzione dell’originaria Box Kodak (1888), George Eastman invia una storia della fotografia ai propri procuratori legali, affinché vi individuino termini corretti per la richiesta di brevetto della Box Kodak in avanzata fase di studio. 17 novembre 1976 Muore Ladislav Sutnar 1941 Nasce Sarah Moon 1876 Nasce August Sander 1970 Douglas Engelbart ottiene il brevetto per il primo mouse. 18 novembre 1999 Muore Horst Paul Horst 1976 Muore Man Ray 1975 Muore Walter Bosshard 1787 Nasce Louis Jacques Mandé Daguerre 1978 Jim Jones guida il suo Popolo del Tempio a un suicidio di massa; a Jonestown, in Guyana, si suicidano novecentrotredici fedeli, tra i quali duecentosettantasei bambini. 1971 Viene pubblicato il quarto album dei Led Zeppelin; non ha titolo, ma viene comunemente identificato come Led Zeppelin IV, a seguito dei primi tre semplicemente titolati Led Zeppelin (1969), Led Zeppelin II (1969) e Led Zeppelin III (1970). 1926 George Bernard Shaw rifiuta il denaro del suo Premio Nobel per la letteratura: «Posso perdonare Alfred Nobel per aver inventato la dinamite, ma solo un demone con sembianze umane può aver inventato il Premio Nobel». 1626 Viene consacrata la Basilica di San Pietro, in Vaticano. 1477 William Claxton pubblica Dictes and Sayings
of the Philosophers, primo libro inglese stampato con una pressa. 1397 [Leggenda] Guglielmo Tell colpisce con una freccia una mela tenuta sul capo da suo figlio. 19 novembre 1999 Muore Alexander Liberman 1961 Nasce Igor Moukhin 1961 Muore Gino Girolimoni 1927 Nasce Lisl Steiner 1902 Nasce René Zuber 1895 Nasce Louise Dahl-Wolfe 1998 In undici minuti, l’Autoritratto senza barba, di Vincent van Gogh (1889), viene venduto a un’asta di Christie’s New York per settantuno milioni e mezzo di dollari, dai quattordici di partenza. 20 novembre 1911 Nasce David Seymour (Chim) 1909 Nasce Marianne Breslauer 1816 Nasce Guido Rey 1969 Il Cleveland Plain Dealer è il primo giornale statunitense che pubblica fotografie esplicite del massacro di My Lai, in Vietnam, rivelato dal giornalista Seymour Hersh, il dodici novembre. 1945 Inizia il processo di Norimberga, contro ventiquattro criminali di guerra nazisti della Seconda guerra mondiale. 21 novembre 2001 Muore Seydou Keïta 1933 Muore Frederick Hollyer 1898 Nasce René Magritte 1895 Muore Alfred Noack 2004 Negli Stati Uniti, viene commercializzato Nintendo DS. 1990 Esce Super Nintendo; rimarrà sul mercato fino al 1999. 1975 Esce il più celebre e apprezzato album dei Queen: A Night at the Opera. 1969 Viene allacciato il primo collegamento Arpanet (Advanced Research Projects Agency NETwork), il cui primo collegamento da computer a computer era stato realizzato il precedente ventinove ottobre. 1964 Apre al traffico il Ponte di Verrazzano, di New York, ai tempi il ponte sospeso più lungo al mondo. 1934 A diciassette anni, la cantante jazz Ella Fitzgerald esordisce all’Apollo Theater, di Harlem, New York. 1905 Sugli Annalen der Physik, Albert Einstein pubblica la Teoria della relatività ristretta. 1877 Thomas Edison annuncia l’invenzione del fonografo, apparecchio che registra suoni. 22 novembre 1996 Muore Terence Donovan 1953 Nasce Nikos Economopoulos 1907 Nasce Dora Maar 1974 Esce l’album The Lamb Lies Down on Broadway, dei Genesis. 1968 Primo bacio interraziale nella storia della televisione: il tenente Nyota Uhura (l’attrice Nichelle Nichols, prima attrice afroamericana a figurare in un ruolo di comando nella storia della televisione) bacia il capitano James Tiberius Kirk (William Shatner) nell’episodio Umiliati per forza maggiore, di Star Trek. 1963 Il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy viene assassinato a Dallas, in Texas: uno degli episodi oscuri della Storia, con almeno due corollari fotografici (l’uccisione di Lee H. Oswald e il Super8 di Abraham Zapruder). 1936 La Bbc inglese è la prima emittente televisiva al mondo a fornire un servizio regolare. 1928 All’Opéra, di Parigi, prima esecuzione del Bolero, di Maurice Ravel.
23 novembre 1966 Muore Alvin Langdon Coburn 1944 Nasce Peter Lindbergh 1890 Nasce El Lissitskij 1943 Vittoria dell’Armata Rossa a Stalingrado. 1936 Esce il primo numero del settimanale Life; copertina di Margaret Bourke-White. 1889 Al Palais Royale Saloon, di San Francisco, California, Usa, entra in funzione il primo Juke box. 24 novembre 1990 Muore Marion Post Wolcott 1946 Muore Laszlo Moholy-Nagy 1940 Nasce Arthur Tress 1868 A piazza del Popolo, a Roma, vengono ghigliottinati i rivoluzionari Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti: con relativa fotografia di documentazione. 1991 Consumato dall’Aids, a Londra, muore Freddie Mercury, cantante e leader dei Queen. 1976 Ultima esibizione pubblica del gruppo rock The Band: Martin Scorsese lo filma e produce il film-documentario The Last Waltz (L’ultimo valzer). 1963 Lee Harvey Oswald, presunto assassino del presidente John Fitzgerald Kennedy (ventidue novembre), viene ucciso da Jack Ruby, in diretta televisiva e davanti ai fotoreporter. 1951 Al Fulton Theatre, di Broadway, New York, Audrey Hepburn debutta in Gigi, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice francese Colette; l’attrice inglese vinse il Theatre World Award per i debutti teatrali, avviando una brillante carriera nel cinema. 1859 Il naturalista inglese Charles Darwin pubblica On the origin of species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life (Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita), nel quale sostiene che gli organismi si sono evoluti gradualmente attraverso una selezione naturale; milleduecentocinquanta copie di tiratura esaurite in un solo giorno, a testimonianza dello straordinario valore delle teorie sull’evoluzione (attenzione: si tratta dell’ultimo studio scientifico condotto senza l’apporto della fotografia). 1826 A Firenze, nasce Carlo Lorenzini; con lo pseudonimo di Carlo Collodi, nel 1881, scrive Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, che verrà pubblicato nel 1883 dalla Libreria Editrice Felice Paggi, con illustrazioni di Enrico Mazzanti. 25 novembre 2000 Muore Mario Giacomelli 1900 Nasce Sonya Noskowiak 1891 Muore William Notman 1966 Nell’anniversario, Life pubblica i fotogrammi del filmato Super8 di Abraham Zapruder, che ha registrato l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. 1994 Akio Morita, fondatore di Sony, annuncia il ritiro dalla carica di Ceo (Chief Executive Officer, amministratore delegato). 1970 A Tokyo, lo scrittore Yukio Mishima (etichettato come fascista, ma in realtà nazionalista nostalgico; “conservatore decadente”, per Alberto Moravia) si suicida in diretta televisiva, con un rituale preordinato. 1963 Solenni funerali del presidente statunitense John F. Kennedy, sepolto nel cimitero nazionale di Arlington con onori militari. 1952 All’Ambassador Theatre, di Londra, debutta l’opera teatrale The Mousetrap (Trappola per topi), di Agatha Christie, la commedia andata in scena per il maggior numero di anni nella storia (da 1974, al St. Martin’s Theatre). 1915 Nel suo taccuino, Albert Einstein annota le equazioni di campo, formula che racchiude il destino dell’Universo.
26 novembre 1930 Nasce Bernard Pierre Wolff 1925 Nasce Tazio Secchiaroli 2009 Avviato il sedici ottobre, scritto e prodotto in un mese esatto (fino al diciassette novembre), viene pubblicato 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, di Maurizio Rebuzzini (cinquecentoquarantacinque ore di lavorazione redazionale); avrebbe potuto essere tipograficamente pronto due giorni prima, martedì ventiquattro, ma l’autore ha optato per una coincidenza di date con la prima vendita Polaroid [anche questi omaggi occulti, queste trasversalità, queste scaramanzie fanno parte della personalità di FOTOgraphia e contorni, della quale andiamo particolarmente fieri]. 1948 Ai grandi magazzini Jordan Marsh, di Boston, Massachusetts, inizia la vendita del primo apparecchio fotografico Polaroid, il Model 95 originario. 1942 All’Hollywood Theatre, di New York, prima del film Casablanca, di Michael Curtiz, con Humphrey Bogart (Rick Blaine) e Ingrid Bergman (Ilsa Lund); dal 1989, tra i film preservati dal National Film Registry, presso la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. 1922 The Tool of the Sea, di Chester M. Franklin, debutta a New York: è il primo film effettivamente distribuito che applica la tecnologia Technicolor a due toni. 1862 Con lo pseudonimo di Lewis Carroll, il diacono, matematico, docente e anche fotografo inglese Charles Lutwidge Dodgson invia il manoscritto di Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie a Alice Liddell. 27 novembre 2000 Muore Pierre Boucher 1903 Nasce E.L.T. Mesens 1922 Gli archeologi ed egittologi inglesi Howard Carter e lord George Herbert, quinto conte di Carnavon, entrano nella tomba del faraone Tutankamun. 1895 Alfred Nobel, chimico svedese inventore della dinamite, sottoscrive il proprio testamento, con il quale istituisce i riconoscimenti universalmente noti come Premi Nobel. 28 novembre 1946 Nasce David Doubilet 29 novembre 2009 Muore Leonard Freed 1982 Muore Paolo Monti 1956 Muore Helmar Lerski 1904 Nasce Giuseppe Cavalli 1897 Nasce Germaine Krull 1881 Muore Giacomo Brogi 30 novembre 1991 Muore Irena Bluhovà 1940 Nasce Krauss Rosalind 1933 Nasce Jeanloup Sieff 1923 Nasce Ernst Scheidegger 1912 Nasce Gordon Parks 1893 Nasce Felix H. Man 2010 Ultimo giorno utile per inviare pellicole Kodachrome al trattamento presso i laboratori affiliati Kodak. 1979 I Pink Floyd pubblicano l’opera rock The Wall. 1943 Riunitisi a Teheran, il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, il primo ministro inglese Winston Churchill e il segretario del Partito comunista sovietico Josif Stalin si accordano per l’invasione dell’Europa, il successivo giugno 1944: nome in codice Operazione Overlord. 1908 Negli Stati Uniti è varata una legge a tutela dei minori, massicciamente impiegati in lavori duri in fabbrica; la legge si deve anche all’opinione pubblica resa consapevole dalle fotografie di Lewis W. Hine. 1886 A Parigi, aprono le Folies Bergère.
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(continua da pagina 25) Uniti John Fitzgerald Kennedy viene assassinato a Dallas, in Texas (uno degli episodi oscuri della Storia, con ulteriore coda “fotografica” il successivo ventiquattro novembre, quando Lee Harvey Oswald, presunto assassino del presidente, viene ucciso da Jack Ruby, in diretta televisiva e davanti ai fotoreporter); 23 novembre 1936, esce il primo numero del settimanale Life, con copertina di Margaret Bourke-White; 24 novembre 1859, il naturalista inglese Charles Darwin pubblica On the origin of species by means of natural selection, or the preservation of favoured races in the struggle for life (Sull’origine delle specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita), nel quale sostiene che gli organismi si sono evoluti gradualmente attraverso una selezione naturale (attenzione: si tratta dell’ultimo studio scientifico condotto senza l’apporto della fotografia). Tra tutti, abbiamo optato per la lettera autografa di George Eastman, del 16 novembre 1887. Domani, l’anno prossimo, gli anni prossimi, si vedrà.
PAROLE FOTOGRAFICHE E non soltanto fotografiche, ma riconducibili tutte al vivere con e nella fotografia. Anche il Pensiero del giorno, che scorre nella colonna di sinistra della stessa homepage, richiede attenzione e, spesso, pazienza. Quando è breve e fulmineo, fluttua via in fretta; per esempio, il primo pubblicato, il dieci ottobre, ha ripreso, ribadendola, una dizione che certifica la nostra edizione cartacea, fin dal primo numero di FOTOgraphia, del maggio 1994, estendendosi anche a quella online: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)». Altrettanto ermetica, quella del successivo undici ottobre: «Se me lo dicevi prima» (Enzo Jannacci, 1989). Però, il più delle volte, il pensiero è articolato e si allunga, così da imporre una sosta in lettura. Ma ne vale la pena, lo garantiamo senza alcuna autoreferenza, ma con l’onestà intellettuale che ci è propria e caratteristica. Altre parole, solo parole (non cerchiamo parole che facciano la differenza nelle nostre vite, ma forse le incontreremo), saranno inserite nell’apposito rimando, che per ora è soltanto preordinato, e si presenta ancora vuoto: infatti, siamo in dubbio. Vanno divise per autore di riferimento, oppure per argomento, finalità? Non abbiamo ancora deciso, anche se opteremmo per la seconda ipotesi, andando poi a trovare il modo di segnalare opportunamente i nuovi inserimenti che via via si aggiungono.
IMMAGINI A parte gli articoli di analisi e approfondimento di argomenti fotografici, scomposti e divisi secondo propri riferimenti identificativi, le immagini in quanto tali sono presenti in www.FOTOgraphiaONLINE.it soprattutto in due modi, per ora in due modi; domani, chissà! Entrambe con rotazione mensile, la Galleria e l’Autore si presentano in un formato sfogliabile, diciamola così, con relativo ingrandimento volontario sulle singole immagini selezionate. La Galleria del mese è scandita al ritmo di sei autori alla volta, introdotti da un testo essenziale e presentati con una significativa serie di immagini, inviolabilmente a tema (portfolio?). A ottobre, sono stati in passerella Azzurra Piccardi (Ossimoro), Angelo Mereu (Con il telefonino), Gabriele Caproni (Mondo cane), Liderno Salvador (Stravaganti defor-
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mazioni ), Francesco Mancusi (London Fashion Week) e Roberto Francomano (Dal camion). A novembre, li stanno seguendo Ernesto Fantozzi (Corsia dei Servi ), Antonio Bordoni (In viaggio con Eura), Silvio Canini (Mare di Silenzio), Attilio Pavin (Street jazz), Franco Zampetti (Visioni zenitali ) e Urs Bernhard e Gudrun Thielemann (Occhio quadrato). L’Autore del mese dà vita a una mostra ipotetica e virtuale, via via allestita in spazi di fantasia, idonei alla corretta visualizzazione dell’insieme delle immagini. A ottobre, l’esordio con Gianni Berengo Gardin, anche in omaggio ai suoi ottant’anni, compiuti proprio il dieci ottobre (di avvio del sito); a novembre, è di scena Massimo Sestini, in scomposizione tra reportage e ritratti (sempre per il giornalismo). Per la serie Sfoglia, sono state già inserite numerose edizioni di FOTOgraphia (cartacea), che verranno ancora caricate a ritroso fin dove sarà possibile; ovverosia da quando la rivista è prodotta con lavorazione digitale, della quale abbiamo archiviato i file. È sfogliabile anche 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, mentre si deve aspettare per il precedente saggio di Maurizio Rebuzzini, Alla Photokina e ritorno, la cui edizione, alla fine del 2008, ha incontrato disagi produttivi dovuti all’imprevisto accavallamento di software.
CURIOSITÀ Alcune curiosità parallele sono già presenti sul sito. Altre arriveranno nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Con orgoglio, in alto a sinistra della homepage presentiamo un contatore a ritroso che conteggia quanto manca alla cessazione ufficiale del Kodachrome (mesi, giorni, ore, minuti, secondi), fantastica pellicola, sapore di un tempo e un’epoca di gloria della fotografia, stabilito per il prossimo trentuno dicembre. Addio, Kodachrome [FOTOgraphia, dicembre 2005 e ottobre 2009]. Con altrettanto orgoglio, ci permettiamo di osservare una nostra ironia dichiarata ed esplicita tra le pieghe della presenza della fotografia nei fumetti. Mentre sulla rivista, per anni, abbiamo visualizzato situazioni curiose e gradite, soprattutto riferite alla raffigurazione di apparecchi fotografici, qui andiamo sottotraccia, annotando imbecillità assolute, che rivelano stereotipi e archetipi con i quali e per i quali invitiamo al sorriso. Per esempio, a ottobre, in silhouette, lei abbraccia lui, dichiarando «È una cosa eccitante essere amata da un famoso reporter di guerra!». Filologicamente: da Onirico infrarosso (in Il monello, numero 31, del 4 agosto 1978); in commento: una gustosa scema d’amore. A novembre, un’altra dichiarazione grottesca del fotoreporter coprotagonista della storia, da Mary Perkins - Flash Story, di Leonard Starr (Usa, 1974; in Italia, 1971): «Ho dedicato tutta la mia vita a scattare foto[grafie] che io solo potevo fare... Ho i riflessi rapidi e la mia macchina è pronta sempre un secondo prima che qualcosa accada... Sono io stesso come una macchina...»; inevitabile (!?): vieni avanti, cretino! In anticipo, a dicembre: da Fotografa di successo offresi (in Il monello, numero 5, del Primo febbraio 1978), una nuova regina, non della casa (diamine!), ma della camera oscura. E poi, ancora, gli Attori della settimana, immancabilmente con macchina fotografica: Clint Eastwood, da I ponti di Madison County (Nikon F); Faye Dunaway, da Gli occhi di Laura Mars (Nikon FE o FE, o similare); Harvey Keitel, da Smoke (Canon AE-1); Jude Law, da Era mio padre (anonima 4x5 pollici a soffietto, con flash). E domani, e domani e domani. Il tempo scorre a piccoli passi. ❖
trentadue visioni più una dalla Collezione di Maurizio Rebuzzini fotografie di Irving e Paula Klaw a cura di Filippo e Maurizio Rebuzzini responsabile del progetto e art director Gaetano La Mantia
via San Giorgio 3, 40121 Bologna 340-0710216 www.contemporaryconcept.it info@contemporaryconcept.it Dall’11 dicembre all’11 febbraio 2011 lunedì-venerdì 9,30-13,00 - 15,30-19,00 sabato 10,00-19,00 domenica su appuntamento Con il contributo di
I AM BETTY PAGE
FOTO Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita]. La Storia, appunto: spesso trascurata e dimenticata, relegata a citazioni pseudo dotte, noiosa o resa noiosa dagli insegnanti a scuola [speriamo non da tutti gli insegnanti], relegata dagli addetti a disquisizioni fini a se stesse e non portata a “magistra vitae” (maestra di vita), come converrebbe. Non solo in Politica, ma anche e soprattutto in tutti i campi, non escluso quello della Fotografia [La storia non può insegnarci niente se scegliamo di dimenticarla e anche E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi; entrambi sottotitoli da Alla Photokina e ritorno]. Cosa meglio della Fotografia consente di recuperare la Memoria, che altro non è che la Storia stessa? Ognuno di noi ha un proprio vissuto, ha luoghi che ha visitato, nei quali ha trascorso giorni, settimane, mesi, anni, persone che ha incontrato, parenti, famiglia, amici, nemici, fronteggiando situazioni allegre, tristi, entusiasmanti, deludenti.
IL SENSO DEL TEMPO Il capofamiglia (e fotografo?).
di Beppe Bolchi
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uesto progetto nasce da lontano, pur se la sua formulazione e attuazione sono relativamente recenti; mentre, la sollecitazione a scriverne, per descrivere e commentare l’intera operazione, è partito dalla lettura di retrovisioni storiche, pubblicate su questa rivista, con particolare riferimento alla storia relativa all’invenzione e al brevetto del primo apparecchio Box Kodak, del 1888 [FOTOgraphia, novembre 2007; Alla Photokina e ritorno (2008), capitolo Tanti auguri a voi, paragrafo 1888-2008: Box Kodak, la prima; ma, soprattutto il capitolo 1888. Box Kodak, la prima, che approfondisce una delle quattro svolte senza ritorno analizzate in 1839-2009. Dalla Relazione di
Storia di una famiglia e della costruzione di una linea ferroviaria, a cavallo tra Ottocento e Novecento, in Piemonte, tra le province di Torino e Cuneo. Testimonianza di un ritrovamento, con restauro conservativo e catalogazione 30
Quanti di questi ricordi, di questa memoria, di questa storia si perdono tra le pieghe della vita convulsa, che ormai siamo (saremmo) costretti a vivere. Invece, quanto sarebbe legittimo e rievocativo poter avere una serie di immagini, cronologica e per argomenti, proprio di quei luoghi, quelle persone, quelle situazioni, che ci consenta di riportare a galla il nostro vissuto, rivivendo con distacco o partecipazione momenti ora sì indimenticabili? Certo, qualcosa facciamo: i figli che crescono, le vacanze, i luoghi storici che visitiamo. Ma chi si ricorda con precisione le case che ha abitato, gli ambienti nei quali ha vissuto, la fisionomia e non solo delle persone con le quali ha lavorato, l’evoluzione di tutto questo, delle mode, degli oggetti, delle stagioni. Quando vediamo immagini “storiche”, recuperate e riprese da giornali, riviste e televisione, spesso ci sorprendiamo di scoprire quanto eravamo/siamo stati diversi dieci, venti, trenta anni fa. Pensiamo sempre che diversi sono gli altri, e noi immutabili nel tempo; invece, eravamo proprio noi ad esserlo (diversi): parte di quella storia, di quella memoria. Quasi nessuno pensa di costruirsi e raccontare il proprio romanzo per immagini; e, pur vivendo nella cosiddetta “civiltà delle immagini”, ci siamo abituati a sorbire soprattutto (soltanto?)
(ROMANZO) DI CENTO ANNI FA quelle che ci propongono i media. Pur avendo fantastici strumenti a disposizione, li usiamo quasi solo per lavorare o giocare, e non li sfruttiamo come potremmo e dovremmo.
UN PASSO INDIETRO Ora racconto il progetto, da me curato con Paola Guerriero. Prima di farlo, richiamo parole e concetti da uno dei primi, antichi manuali sulla fotografia, pubblicato da Ulrico Hoepli Editore, di Milano, che nel 1902 era già approdato alla sua quinta edizione. Il titolo è lirico: Come dipinge il Sole, redatto dal dottor Giovanni Muffone, autentico esperto oltre che ispirato poeta [a pagina 33; con l’occasione, e a questo proposito, richiamiamo anche e ancora che prima di definirla “fotografia”, gli sperimentatori pionieri dell’azione della luce su materiali sensibili pensavano nei termini della “natura che si fa di sé medesima pittrice”]. Annota Giovanni Muffone: «Poiché pulsato egli ebbe, il sole, alle porte empiree per aprire il secolo XX, radioso si lanciò per la nuova via ed ebbe certo a vedere il brulicante sciame dei terrestri armato di multiformi arnesi atti a far prigioniera la nuova luce, e un assordante ripetìo di scatti avvertì che la prima istantanea era fatta! «Il secolo novello è nato con la fotografia, amico, ed ormai la statistica muta le parti, e numera solo, con ben scarse cifre, quelli che non sono fotografi [...]. «Occhi lucenti di vetro ti guardano per le vie e nelle case, sul turf, sulla piattaforma dei bagni, in piroscafo e in pallone e tu vieni colpito e tramandato con spaventevole semplicità ai più lontani nepoti». Non solo poesia, sia per forma sia in contenu-
to, ma soprattutto una grande intuizione, o semplicemente la constatazione di una realtà: la Fotografia è diventata pratica comune e quotidiana, nel 1902! E noi che pensiamo di essere così “avanzati”, con la nostra tecnologia così evoluta! Certo, non parlava a vanvera Giovanni Muffone, tanto che, a quei tempi e forse anche prima, c’era chi usava la fotografia per documentare la propria vita, la propria attività, la famiglia, gli amici, le gite, i luoghi. Esattamente come ho appena annotato: già allora, si era capito come e quanto la fotografia rappresentasse l’elemento principe per la propria Memoria, la propria Storia, da tramandare e far rivivere.
RITROVAMENTO E STORIA Ecco che il ritrovamento di una cassetta di legno contenente oltre duecentocinquanta lastre fotografiche in vetro, abbastanza ben conservate, ha
Ritrovata una cassetta di legno contenente oltre duecentocinquanta lastre fotografiche in vetro, abbastanza ben conservate, si è scatenato il desiderio di recuperarle e capire chi, dove, cosa, come e perché avesse vissuto dietro quelle immagini, in quei luoghi, con quei vestiti.
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Ingegneri ferroviari verificano la posa dei binari. Gruppo di lavoro accanto a una locomotiva.
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scatenato il desiderio innanzitutto di recuperarle, ma soprattutto di capire chi, dove, cosa, come e perché avesse vissuto dietro quelle immagini, dentro a quei luoghi, con quei vestiti. Attraverso interventi mirati e altamente specializzati, Paola Guerriero, restauratrice d’arte e appassionata di fotografia, specializzata nel restauro fotografico, si è dedicata al recupero e alla catalogazione dei preziosi reperti. Per conto mio, ho subito istituito un Fondo nell’ambito della mia attività identificata come Fare Fotografie, finalizzata al recupero storico e culturale delle immagini. Il primo compito è stato quello di “fotografare” la situazione, riproducendo con cura tutte le lastre, in acquisizione digitale, attraverso una scansione di alta qualità, così da avere a disposizione file da cui poter trarre sia la doverosa documentazione di riferimento, sia eventuali stampe ad alta definizione su carta. Subito dopo, l’attività ha seguìto due strade ben
distinte. La prima, per restituire a nuova vita e per rendere nuovamente fruibili le immagini originarie, mediante interventi di restauro conservativo, assolutamente necessari per preservare nel tempo tutto ciò che è rimasto, e quindi per evitare un ulteriore deterioramento; quindi, in simultanea, ogni lastra è stata schedata, catalogata e inserita nell’Archivio Nazionale di Catalogazione SIRBeC (Sistema Informativo dei Beni Culturali della Regione Lombardia), per darne completa disponibilità a ricercatori e studiosi. Il secondo intento è stato quello di approfondire e definire il contesto sociale dei personaggi delle fotografie, l’identificazione dei luoghi rappresentati e la documentazione della situazione attuale, attraverso ricerche mirate e visite in loco. La realizzazione e stampa di specifiche schede di pre-catalogazione ci ha consentito di effettuare le prime indagini e valutazioni, per orientare le successive ricerche, finalizzate alla ricostruzione dei contesti nei quali le immagini sono state realizzate; con la proposta collegata di coinvolgere le aree geografiche illustrate nelle fotografie in un processo di rivisitazione storica e culturale sulla realtà locale di circa cento anni fa. Ritengo assolutamente fondamentale questo aspetto; infatti, mi sembra del tutto inutile recuperare immagini storiche, senza poi farle rivivere, senza collocarle esattamente nel contesto entro il quale sono state realizzate. In questo caso, le immagini in questione mostrano aspetti assolutamente fantastici, non solo per l’epoca, di come ha vissuto una famiglia, dei suoi viaggi e, quindi, dei luoghi che ha visitato. È altresì registrata e documentata la costruzione di una ferrovia, ad opera del Genio dell’Esercito, con annessi di vita militare. Non mancano, infine, amici e parenti e palpitanti testimonianze della vita in cascina. Dunque: uno spaccato di vita reale, puntigliosamente documentato da uno o più fotografi (ipotesi più probabile), tutti desiderosi di tramandare le proprie gesta. Una Storia racchiusa in uno scrigno, che è fortunosamente e fortunatamente arrivato ai nostri giorni, e che sta rivelando un mondo e un’epoca che ha segnato grandi eventi politici, tecnologici, sportivi, letterari, artistici, musicali e (non ultimi) fotografici.
QUEL TEMPO NEL QUALE Partendo dai pochi riferimenti certi, quali sono le stazioni ferroviarie di Airasca e Bricherasio, in provincia di Torino, le indagini condotte in zona hanno consentito di identificare diverse altre località, quali Pinerolo, la Val Pellice, la Valle Po, da Crissolo a Moretta, e Saluzzo, tutti luoghi riconosciuti attraverso le architetture che non sono state alterate negli ultimi cento anni, come la sagoma di campanili e chiese. Ulteriori ricerche via Internet hanno poi permesso di riconoscere altri luoghi, anche se non tutti sono stati svelati; per cui gli studi e approfondimenti continuano.
Concentrandoci sulle locomotive rappresentate, identificandone marca e tipo di locomotore, abbiamo stabilito un’epoca certa: a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. La datazione è confermata anche da altri particolari di complemento, relativi sia ad aspetti storici sia a posture dei soggetti fotografati. Ufficialmente, manca l’avvallo definitivo, ma pensiamo che ogni ulteriore valutazione non possa presentare alcuna sorpresa, ormai. La conferma alle nostre deduzioni, la loro certezza, arriverà dalla individuazione dei personaggi, attraverso registri comunali, parrocchiali e, perché no, andandoli a ritrovare sulle lapidi dei cimiteri della zona. Oltre al mondo figurato dalle immagini, una successiva fase di indagine ha rivelato che ai tempi il momento storico fu talmente dinamico e in fermento, da surclassare ampiamente i nostri giorni, che siamo soliti considerare pieni di vita, innovazioni e tecnologia utile. Qualche esempio? In politica, l’Italia avvia il periodo di espansione coloniale in Eritrea e Somalia; re Umberto viene assassinato e gli succede re Vittorio Emanuele III, che insieme al presidente del Consiglio dei ministri Giovanni Giolitti realizza riforme sostanziose. Sono di quegli anni l’introduzione della previdenza sociale, la definizione degli orari di lavoro e il
Come dipinge il Sole, di Giovanni Muffone; Ulrico Hoepli Editore, quinta edizione, 1902. Il manuale dal quale sono state riprese alcune evocazioni che rivelano come la fotografia era intesa all’alba del Novecento.
riposo festivo. In Russia, Lenin attua la rivoluzione socialista, facendo nascere il Bolscevismo. In letteratura, brillano gli astri di Giovanni Verga, Giosuè Carducci, Marcel Proust, Arthur Rimbaud, Lev Tolstoj, Anton Cechov, George Bernard Shaw, Benedetto Croce; e poi, anche Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Luigi Pirandello. Nella musica, cito Giuseppe Verdi, Pietro Mascagni, Giacomo Puccini, Claude Debussy, Maurice Ravel, Jules Massenet, Nikolaj Rimskij-Korsakov, Sergej Rachmaninov. Il mondo dell’arte è vivace: Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir hanno ormai aperto nuovi orizzonti, che fermentano nel Cubismo di Pablo Picasso e George Braque, nell’Astrattismo di Wassily Kandinsky e Piet Mondrian, nel Futurismo di Tommaso Marinetti, Carlo Carrà, Umberto Boccioni e Aldo Palazzeschi (con accompagnamento fotodinamismo futurista dei fratelli Arturo e Anton Giulio Bragaglia).
Simulazione di duello. Gruppo di famiglia.
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FOTOGRAFIA D’EPOCA
Il viale di accesso ad Airasca (Torino). La torre civica di Scalenghe, in provincia di Torino.
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I campi della tecnologia, della scienza, delle comunicazioni e dei trasporti non hanno mai avuto un’evoluzione così rapida e fantastica. Di quel periodo, sono l’attivazione delle prime centrali idroelettriche, l’invenzione del motore diesel, la scoperta del siero antidifterico e del bacillo del colera, l’invenzione del cinema da parte dei fratelli Auguste e Louis Lumiére, la scoperta dei Raggi X e, soprattutto, l’invenzione della radio, di Guglielmo Marconi. Nasce l’Aspirina, e i fratelli Orville e Wilburg Wright aprono le frontiere dell’aria, mentre Albert Einstein formula la teoria della relatività. Socialmente pratiche sono l’invenzione delle resine sintetiche e il primo frigorifero moderno, della statunitense Frigidaire (inventato nel 1916 da Nathaniel B. Wales e Alfred Mellowes); mentre il Corriere della Sera inizia le sue pubblicazioni (1876). Oltre alla Ford, che avvia le prime catene di montaggio, nascono Benz, Fiat e Renault: viaggiare in automobile diventerà sempre più facile e veloce. Nello sport, prende avvio la prima Olimpiade moderna, e gli inglesi divulgano il football, che attecchisce subito anche in Italia, con Pro Vercelli (1892), Genoa (1893), Juventus (1897), Milan (1899) e Football Club Internazionale Milano (Inter, 1908, da dissidenti dal Milan).
E per quanto riguarda la Fotografia? Come già riportato, da Come dipinge il Sole, di Giovanni Muffone, Ulrico Hoepli Editore, quinta edizione, 1902: «Il secolo novello è nato con la fotografia [...]. E tu vieni colpito e tramandato con spaventevole semplicità ai più lontani nepoti». La fotografia esce dagli studi e dalle sale di posa e si offre al vasto pubblico, con apparecchi semplici e portatili, benché rudimentali ai nostri occhi [il momento discriminante è stabilito dalla Box Kodak, del 1988, e consecuzioni, che permise l’osservazione della vita nel proprio svolgimento]. Domina l’“istantanea”, in contrapposizione alla “posa”, e chiunque, a partire da «tre ore dopo l’alba e fino a tre ore prima del tramonto», può realizzare le sue immagini. Nel caso specifico del ritrovamento sul quale e a partire dal quale sto riflettendo è stato utilizzato un apparecchio che può caricare fino a dodici lastre in vetro 9x12cm, montate su telaietti di metallo che scorrono su opportune guide all’interno dell’apparato fotografico, consentendo persino una rapida sequenza di immagini al ritmo di uno scatto al secondo o anche qualcosa di più (meglio), in funzione della abilità e rapidità del fotografo. Le lastre potrebbero essere state sensibilizzate dallo stesso fotografo, applicando formule pienamente disponibili, al pari di quelle di sviluppo e fissaggio. Giusto per la tipicità delle riprese in ambito familiare, lavorativo, di svago e di viaggio, è improbabile che, per il proprio trattamento, le lastre siano state affidate a un professionista. Questo tipo di apparecchio fotografico era ormai popolare, come documentano molte immagini del conte Giuseppe Primoli, di Giovanni Verga e Vittorio Sella -per ricordare nomi di fotoama-
tori celebri e celebrati-, tanto che proprio in quell’epoca nascono i primi circoli fotografici: a Roma (Associazione degli Amatori di Fotografia, 1888), Firenze (Società Fotografica Italiana, 1889), Milano (Circolo Fotografico Lombardo, 1889) e Torino (Società Fotografica Subalpina, 1899). In questo ambiente, in questa atmosfera di grandi cambiamenti e di altrettanto ampia evoluzione, i fotografi dei quali abbiamo testimonianza attraverso il ritrovamento che sto raccontando hanno immortalato e documentato esattamente il proprio mondo, senza formalismi, senza prosopopea, senza inserire concetti e filosofia. Hanno fotografato e rappresentato la realtà della loro vita, magari consapevoli di consegnarla alla Storia e a chi avesse un giorno voluto e potuto farla rivivere di nuovo, come cerchiamo di fare noi oggi, umilmente, consapevoli di “toccare” reliquie, che devono essere conservate, preservate e valorizzate. Quanto erano belle e potenti quelle locomotive, quanto naturali e sereni quei ritratti familiari, quanto serio e burbero quell’Esercito, con la sua attività costruttiva e la gioiosa aggregazione dei commilitoni, quanto pacifici e operosi quei luoghi e quelle cascine, quanto divertenti e rigeneranti quelle scampagnate, quelle gite a piedi o a dorso di mulo, quanto romantiche messaggere di pace e di tranquillità quelle chiese e quei campanili, quanto rilassanti e aperti quei paesaggi! Che bel mondo ci è stato tramandato. La Grande guerra è ancora lontana, tanto lontana; tecnologia e progresso rendono la vita più agevole e avvincente; la Fotografia, quella vera, si è già affermata e fa parte della vita quotidiana. Foto(romanzo), l’abbiamo definito: e penso sia l’identificazione più calcante. Ma, soprattutto, sia un chiaro esempio di come la Fotografia dovrebbe entrare e essere utilizzata nella nostra vita di tutti i
giorni, a documentare situazioni, persone e luoghi che sono parte integrante della nostra storia, della nostra memoria. Di più: chiave fondamentale per poter ricordare e tramandare il nostro vissuto. Come accennato, il lavoro che stiamo realizzando con queste immagini non è terminato, anche se abbiamo già fatto molto. Ora siamo nella fase nella quale cerchiamo di coinvolgere enti e istituzioni locali -a partire dalla Regione Piemonte, le province di Torino e Cuneo, i vari Comuni e le Comunità-, per completare l’operazione di indagine, datazione e localizzazione. Soprattutto, per iniziare a valorizzare le immagini attraverso mostre e pubblicazioni, così che diventino ampiamente fruibili. ❖
La Grotta di Rio Martino, alle sorgenti del Po, in provincia di Cuneo. Il Castello di Saluzzo, in provincia di Cuneo. Il Po, a Crissolo, in provincia di Cuneo.
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MAURIZIO REBUZZINI
PHOTOKINA 2010
IL RITORNO di Antonio Bordoni, Angelo Galantini e Maurizio Rebuzzini
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ue anni fa, al rientro dalla Photokina 2008, abbiamo tanto esteso le nostre osservazioni al riguardo, da riunirle addirittura in un libro: Alla Photokina e ritorno, scritto dal nostro direttore Maurizio Rebuzzini (edizione dal titolo selettivo e disarmante: anzitutto, bisogna sapere cos’è la Photokina; quindi, deve importare qualcosa saperne di più). Da ridere, oppure no?, fatti salvi pochi riferimenti temporali, tecnici e di altre date (i compleanni, per esempio), quel testo è ancora immancabilmente di attualità: potrebbe essere riferito anche allo svolgimento della più recente edizione Photokina 2010, con annessi e connessi. Tra concretezze e consistenze (tante) e imbecillità (altrettante, nessuna delle quali iscrivibile alla Photokina in sé, ma da imputare ad altri corollari, italiani soprattutto, a partire dal grottesco Photokina Day, che si ripete imperterrito!), pare che sia proprio vero: «Tutto cambia, per poi restare sempre uguale. 1839-2009 [2010... e avanti ancora]. Centosettanta anni dopo», amara conclusione dell’avvincente Storia 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, ancora di Maurizio Rebuzzini. Comunque, per mille motivi, molti dei quali perfino intuibili, quest’anno evitiamo la ripetizione. Ma! Ma, pur non compilando un libro autonomo, riserviamo alla Photokina una consistente quantità di riflessioni, osservazioni e commenti sulla foto-
grafia, che offriamo ancora come spunti utili e proficui sia al comparto tecnico-commerciale sia al mondo della fotografia espressiva e creativa (in ripetizione da Alla Photokina e ritorno). Allo stesso momento, ci auguriamo che la quantità sia analoga alla qualità: almeno è quanto ci proponiamo di perseguire, proponendoci altresì di finirla qui. Poi basta: comunque vadano le cose, comunque si manifestino gli svolgimenti, non ci sarà una analoga Photokina 2012. È una promessa (minaccia?). Da cui, a seguire, affrontiamo una serie di temi e considerazioni ispirate dai giorni e dal clima della Photokina, che non si esauriscono con il suo solo svolgimento, ma si proiettano oltre, fosse anche soltanto di lato. In una messa in pagina che concilia la struttura e natura giornalistica della rivista con la messa in pagina che ha qualificato i due saggi appena ricordati, volgiamo lo sguardo ad ampio raggio, mantenendo il soggetto rigorosamente fisso sull’idea che abbiamo della fotografia e di quanto e come la fotografia faccia parte della nostra esistenza (e la influenzi): senza soluzione di continuità, dal piacere alla conoscenza, dall’impegno professionale al valore estetico e visivo. Una volta ancora, mai una di troppo, si manifesta quella voglia di condividere (e forse capacità di farlo) che proietta la Fotografia oltre la propria apparenza: mai punto di arrivo, ma sempre fantastico s-punto di partenza. Verso la Vita.
Immancabile autoritratto in ombra, che riprende e replica la copertina di Alla Photokina e ritorno, pubblicato due anni fa in riferimento alla Photokina 2008 e dintorni (qui sotto). Tra tanto altro, testo che nel frattempo non ha perso nulla del proprio smalto originario: è ancora immancabilmente di attualità!, da leggere o rileggere. Nel proprio insieme, descrive anche la Photokina 2010.
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In volontaria ripetizione dall’incipit di Alla Photokina e ritorno, di Maurizio Rebuzzini, alle cui riflessioni è oggi obbligatorio richiamarsi, considerata anche la loro attualità -ancora dopo la Photokina 2010-, che non ha perso nulla dello smalto originario, di due anni fa (in riferimento all’edizione 2008): replica della targa che identifica l’Heinrich-Böll-Platz, nel centro storico di Colonia, a due passi dal Duomo, dal Ludwig Museum e dalla stazione ferroviaria. Fotografia scattata domenica ventisei settembre, la mattina presto. Tra le tante mostre fotografiche che hanno accompagnato la Photokina 2010, una più che straordinaria: La Bohème, al Ludwig Museum.
Da Alla Photokina e ritorno, di Maurizio Rebuzzini (FOTOgraphiaLIBRI, 2008) Sono un clown, e faccio raccolta di attimi Da e con Heinrich Böll (da Opinioni di un clown)
Arrivata a porta Venezia, Milano finalmente sorride Giuseppe Marotta (da A Milano non fa freddo)
Solo a giochi fatti, è ovvio, le ore assumono tutta la loro importanza Georges Simenon (da Senza via di scampo)
Rivedo un viso mormoro un nome ma non ricordo quando né come Charles Trenet (da Che cosa resta)
Tutto ciò che raccontava era in effetti possibile, ma non per questo certo Milan Kundera (da Lo scherzo)
Come gli aeroplani che si parlano tra di loro e discutono e non si dicono mai niente Enzo Jannacci (da Come gli aeroplani )
Missione della fotografia è spiegare l’uomo all’uomo e ogni uomo a se stesso Edward Steichen (in occasione del suo novantesimo compleanno, 27 marzo 1969)
Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono Giorgio Gaber e Sandro Luporini (da Io non mi sento italiano)
La storia non può insegnarci niente se scegliamo di dimenticarla Anne Perry (da I peccati di Callander Square)
Con la primavera, a centinaia di migliaia, i cittadini escono la domenica con l’astuccio a tracolla. E si fotografano Italo Calvino (da L’avventura di un fotografo)
Da un pullman di turisti mi sembra che una giapponese stia fotografando Georges Perec (da Tentativo di esaurire un luogo parigino) «Che bello! Non avevo mai visto un cane poliziotto». «Non l’hai visto neanche stavolta. Questo è il cane di un poliziotto» Il bambino prodigio Steve Spielberg [Lee H. Montgomery] e il tenente Colombo [Peter Falk] (da L’omicidio del professore)
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E quando ci domanderanno che cosa stiamo facendo, tu potrai rispondere loro: ricordiamo. Ecco dove alla lunga avremo vinto noi Ray Bradbury (da Fahrenheit 451) La distanza è più questione di tempo che di spazio W. Somerset Maugham (da Acque morte) Citarsi addosso Da e con Woody Allen
In ricordo di Jin Yamaguchi, la prima Photokina senza di lui Certo, una canzone, la canzone. Ma ciascuno di noi, per ciò che è e per come vive, può sostituire il soggetto con qualcosa di intimo.
Francesco Guccini: Una canzone (da Ritratti, 2004) La canzone è una scatola magica spesso riempita di cose futili ma se la intessi d’ironia tragica ti spazza via i ritornelli inutili; è un manifesto che puoi riempire con cose e facce da raccontare esili vite da rivestire e storie minime da ripagare fatta con sette note essenziali e quattro accordi cuciti in croce sopra chitarre più che normali ed una voce che non è voce ma con carambola lessicale può essere un prisma di rifrazione cristallo e pietra filosofale svettante in aria come un falcone.
La canzone è una stella filante che qualche volta diventa cometa una meteora di fuoco bruciante però impalpabile come la seta. La canzone può aprirti il cuore con la ragione o col sentimento fatta di pane, vino, sudore lunga una vita, lunga un momento. Si può cantare a voce sguaiata quando sei in branco, per allegria o la sussurri appena accennata se ti circonda la malinconia e ti ricorda quel canto muto la donna che ha fatto innamorare le vite che tu non hai vissuto e quella che tu vuoi dimenticare.
Perché può nascere da un male oscuro che è difficile diagnosticare fra il passato appesa e il futuro, lì presente e pronta a scappare e la canzone diventa un sasso lama, martello, una polveriera che a volte morde e colpisce basso e a volte sventola come bandiera. La urli allora un giorno di rabbia la getti in faccia a chi non ti piace un grimaldello che apre ogni gabbia pronta ad irridere chi canta e tace. Però alla fine è fatta di fumo veste la stoffa delle illusioni, nebbie, ricordi, pena, profumo: son tutto questo le mie canzoni.
Per decenni, Jin Yamaguchi è stato il braccio destro di Tosh Komamura, produttore giapponese di apparecchi grande formato a banco ottico e folding con il marchio Horseman. Amico sincero, amico vero, del tipo che non si incontra spesso nella vita, Jin è mancato lo scorso sette febbraio. In genere, da tempo, le nostre Photokina cominciavano con il nostro incontro, il giorno prima dell’apertura dei padiglioni, con gli stand ancora in allestimento. Scambio di saluti e doni. Quest’anno, no. In un certo modo, è stata una Photokina diversa, anche amara, nel suo ricordo: qui in una testimonianza dal Sicof 1985, accanto un banco ottico Horseman. Altri tempi, altro spirito, altre vite, altre esistenze. Le nostre, sopra tutte. Da lunedì venti a domenica ventisei settembre, per la Photokina 2010: metropolitana-tram dall’albergo all’ingresso Ovest. Due passi a piedi, il primo Toscano. E poi... fotografia.
MAURIZIO REBUZZINI (4)
La canzone è una penna e un foglio così fragili fra queste dita, è quel che non è, è l’erba voglio ma può essere complessa come la vita. La canzone è una vaga farfalla che vola via nell’aria leggera, una macchia azzurra, una rosa gialla, un respiro di vento la sera, una lucciola accesa in un prato, un sospiro fatto di niente ma qualche volta se ti ha afferrato ti rimane per sempre in mente e la scrive gente quasi normale ma con l’anima come un bambino che ogni tanto si mette le ali e con le parole gioca a rimpiattino.
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KOELNMESSE
MAURIZIO REBUZZINI
PHOTOKINA 2010. IL RITORNO
Allo stand Kodak della Photokina 2010 è stato riproposto il celebre ritratto di George Eastman, con l’originaria Box Kodak tra le mani, scattato sull’USS Gallia, in viaggio per l’Europa (1890). Dopo la certificazione in C’era una volta... Storia della fotografia dal 1839 a oggi, video del Mnaf (Museo Nazionale Alinari della Fotografia) [ FOTOgraphia, ottobre 2008], per la prima volta, il ritratto è attribuito ufficialmente: a Frederick F. Church, suo procuratore legale e amico. In ripetizione, nell’allestimento dello stand Nikon alla Photokina 2010: I AM (io sono!).
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Piano, piano. Lentamente. Lunedì venti settembre, in anticipo sull’apertura ufficiale dei padiglioni espositivi della Photokina, il più consistente appuntamento fieristico del mercato fotografico, che richiama a Colonia, in Germania, operatori da tutto il mondo, si sono svolte rituali conferenze stampa per la presentazione ai giornalisti di novità tecniche. Uno immediatamente dopo l’altro, due incontri temporalmente ravvicinati hanno fatto migrare la folla dei giornalisti da una sala a un’altra, senza il tempo di riprendere fiato. Niente di sconvolgente, sia chiaro: è comunque meglio e più gratificante di lavorare in fabbrica, otto ore al giorno, cinque giorni la settimana, quarantotto settimane l’anno, tutti gli anni della propria vita. Dunque, a margine, ma neppure troppo a margine, nessuno (di noi) si lamenti troppo. Ma non è questo il problema, ammesso e non concesso che questo sia anche un problema. L’osservazione è un’altra: e comunque è ancora un’osservazione che si propone come uno degli spunti utili, che intendiamo seminare lungo il tracciato di queste pagine dedicate. Quindi, da una conferenza all’altra, riprendiamo, in migrazione compatta e chiassosa. Alla seconda conferenza stampa, un collega straniero accanto a noi è armato di immancabile (?) computer portatile, palesemente collegato in Rete. Ascolta nulla di quanto si sta dicendo, ma edita freneticamente le fotografie scattate nel corso della prima conferenza stampa. Non ascolta, ma si lancia in tempo reale, per trasmettere al mondo, al mondo che ascolta il suo sito, che non può aspettare qualche istante di più. Da cui, eccoci, viviamo nell’epoca della rapidità a tutti i costi, della rapidità che ci siamo imposti e perseguiamo con stoltezza fuori dal comune. Computer, con tecnologie ispiratrici e conseguenti: strumento eccezionale, strumento magico, strumento capace di fare mille e mille differenze. Computer, con tecnologie ispiratrici e conseguenti: trappola mortale, prigionia dell’oggetto in quanto tale. Non lo richiede, il computer; ma molti (troppi?) così agiscono: trasformandolo in arma della non riflessione, del non approfondimento. Non è in reazione a questo episodio, a questo aneddoto, per quanto significativo possa essere, ma solo per nostro stile personale, di vita e mestiere: noi continuiamo a camminare con un altro passo, privilegiando il pensiero e la sua coltivazione alla frenesia delle superficialità. In una idea eretta a ideologia e ispirazione, continuiamo imperterriti a privilegiare riflessioni, osservazioni e commenti che possano essere spunti utili. E che così e per questo vengono declinati e offerti. Non tanto cronaca a sé, magari anche soltanto tecnica (come si verifica altrove, secondo intenzioni esplicite di ciascuna rivista di settore), ma riflessione di mercato e sua consistenza e sue caratteristiche. Dunque, nessuna velocità fine a se stessa, ma ancora e immancabilmente adeguata lentezza consapevole, oltre che volontaria, che si accompagna, ne siamo convinti, con rapidità di pensiero e comprensione. Per questo, una volta ancora, una di più, mai
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una di troppo, non siamo corsi a scrivere della Photokina 2010, ma ci siamo concessi tempo, per maturare considerazioni, approfondire e riflettere, invece di riferire e basta. Giornalisticamente, arriviamo buoni ultimi, e neppure abbiamo scritto di Photokina sul nostro sito appena avviato (alle 10,10 del 10-10-10). Con la dovuta calma, dovuta sia al nostro stile di vita, sia al rispetto che abbiamo per coloro verso i quali ci rivolgiamo, siamo qui ora con un racconto trasversale, alla nostra consueta maniera: di palo in frasca, senza abbandonare mai il soggetto fotografia (così come la intendiamo e condividiamo). Pochi i prodotti tecnici (nessuno, addirittura!), che comunque sono stati già percepiti da tutti quanti sono interessati a conoscerli, che hanno attinto a fonti di informazione rapide, istantanee addirittura. Soprattutto, nessuna novità isolata per se stessa, ma casomai riferita e richiamata a un’idea sottotraccia. Molte, speriamo, le riflessioni, le osservazioni e i commenti che consideriamo e reputiamo identificativi e distintivi del mondo della fotografia, che nei giorni della Photokina (ventuno-ventisei settembre) non si limita alla sola passerella tecnologica, che pure ne rappresenta il richiamo ufficiale e più appetibile. In ripetizione d’obbligo dall’avvincente Alla Photokina e ritorno, redatto due anni fa dal nostro direttore Maurizio Rebuzzini, sull’onda lunga dell’edizione 2008 (che nel frattempo non ha perso nulla del proprio smalto originario: è ancora immancabilmente di attualità!, da leggere o rileggere), vanno riprese alcune considerazioni di fondo che motivano il nostro modo di vedere (non soltanto guardare) e riferire. Nessuna giustificazione, non sarebbe legittima né necessaria, ma proprio motivazioni e decodifiche indispensabili. Prima di tutto, bisogna intendersi. Sono almeno due le funzioni che il giornalismo fotografico deve svolgere: da una parte, si rivolge al proprio pubblico; dall’altra, contribuisce a comporre i tratti del mondo verso il quale si rivolge e del quale testimonia. Sia in ambito squisitamente tecnico, sia indirizzandosi all’immagine e all’approfondimento di aspetti espressivi e culturali, l’azione giornalistica non può venir meno al doppio dovere appena enunciato, con il sostanzioso carico e bagaglio di etica e deontologia che tutto questo comporta. Quindi, vanno comprese le differenze che intercorrono tra l’individuo singolo (il giornalista, il lettore, l’operatore del mercato fotografico, l’autore...) e il collettivo al quale si riferisce e richiama: ovvero, bisogna essere consapevoli che ognuno è parte di una società che possiede una cultura e una storia. In sintesi, come individui siamo liberi di essere ciò che vogliamo essere, mentre l’appartenenza e il richiamo a un qualsivoglia collettivo impongono un carattere storico, che è anche figlio di una definita continuità culturale. Nel collettivo, ciascuno trova la propria cifra più vera e unica. Da solo, nessuno può raggiungere una qualsiasi conclusione che sia diversa da quanto gli fanno credere i propri sensi, ma un collettivo sì. Da soli, non avremmo una logica, che è una
Alla maniera di un negozio newyorkese di qualche decennio fa, lo sand Olympus alla Photokina 2010 ha presentato scenografie con oggetti di uso comune in ingrandimento esasperato, accanto ai quali i visitatori si sono fatti fotografare. Anche questa, come molto altro, è fotoricordo. Rolleiflex ha celebrato l’avvincente storia della biottica: con richiami fotografici ben scanditi. Ancora la galleria espositiva Carl Zeiss, all’interno della quale è stata celebrata un’eccellenza ottica.
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Due anni fa, furono allestite all’interno della Photokina. Quest’anno, le impeccabili fotografie di sale cinematografiche degli Trenta (fino ai Cinquanta), di Karl Hugo Schmölz, sono state presentate in un ristorante del centro pedonale di Colonia: sempre visioni affascinanti e impeccabili. Sulla strada, sul piazzale di ingresso al Museum für Angewandte Kunst Köln, dove è stata esposta l’antologica Das Werk, di René Burri (avvincente!), il pubblico di Colonia ha potuto incontrare il crudo reportage di vita e morte Rosanna, Astrid, Peter and the others, di Michael von Graffenried. Sotto una tenda all’aperto, Uwe Ommer ha realizzato altri ritratti della sua serie sulle famiglie: ovviamente, Kölner Familien, con il supporto attivo e fattivo (non chiacchiere) di Foto Lambertin.
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costruzione eminentemente collettiva. Da soli, non avremmo una scienza, prodotto di una continua interazione tra uomini e tra uomini e vita. Per essere Uomo, l’uomo deve essere sociale. In definitiva, questo è lo spirito che definisce la personalità giornalistica di FOTOgraphia, e ora anche di FOTOgraphiaONLINE. Tutte le (molte) individualità di FOTOgraphia sono proiettate al collettivo del mondo fotografico, al quale propongono e offrono le proprie (presunte) competenze. Così è anche, se non già soprattutto, per l’attuale lungo cammino comune a margine della Photokina 2010, compilato proprio per proporre spunti di riflessione utili e proficui all’intero comparto della fotografia. Ogni due anni, nell’autunno di quelli pari, la Photokina di Colonia, in Germania, rappresenta un appuntamento irrinunciabile della fotografia mondiale, anzi per il mondo dell’imaging, visto e considerato che qualcuno, ma non certo noi, reputa superata e restrittiva la definizione di sola “fotografia” (puro e semplice restyling fonetico: estetica delle parole). Anche se in tempi adeguatamente recenti altri appuntamenti fieristici e merceologici hanno acquisito consistente credibilità commerciale, camaleonticamente capace di adattarsi ai nuovi equilibri, ai nuovi climi tecnicocommerciali, la Photokina non ha mai perso per strada il proprio smalto originario: ancora oggi, soprattutto oggi, svolge un ruolo unico e imbattibile. Ovviamente, non ignoriamo, né sottovalutiamo, le sostanziali perplessità sulla sua reale necessità ed efficacia: soprattutto alla luce del ritmo frenetico con il quale si susseguono le trasformazioni tecnologiche -al quale ci siamo appena riferiti, deprecandolo-, che rende ormai superfluo ogni appuntamento fieristico cadenzato e programmato, e dell’attuale rapida veicolazione delle informazioni, che raggiungono ciascuno in tempo reale attraverso la rete Internet. Addirittura, in tempi non sospetti, nell’Editoriale del settembre 2008 di FOTOgraphia, siamo stati espliciti e trasparenti, come sempre, del resto: «La domanda è legittima: perché allestire ancora il grande e oneroso circo della Photokina? Forse, per incontrarsi tra addetti al lavoro. Probabilmente, per lanciare segnali ottimistici al mercato. Sicuramente, perché rinunciarvi è peccato». Senza altre intenzioni, senza alcuna intuizione, della quale oggi potremmo farci vanto, mentendo spudoratamente, rilevammo anche che «L’appuntamento fieristico con la Photokina non è quello che è stato nei decenni passati. [...] Non c’è più nulla da scoprire e, peraltro, anche la funzione giornalistica è diversa rispetto al passato. [...] La prevedibilità delle evoluzioni tecnologiche ha cancellato le attese: sappiamo tutti verso quali interpretazioni tecniche sta camminando la progettazione fotografica. [...] Allora, qual è lo spirito giornalistico ancora capace di fare la differenza?». Risposta: l’individuazione di altri modi di intendere l’azione fotografica, per la quale la configurazione tecnica è soprattutto necessaria, non soltanto sufficiente, al risultato finale, che rimane la Fotografia: la sua espressione e il suo linguaggio. Ancora oggi, dopo l’edizione 2008 di Alla Pho-
Photokina: ricordiamo com’era. Valutiamo com’è. Per diritto di anagrafe, possiamo esprimere confronti (dobbiamo farlo?). Richiamando analisi già espresse nel saggio Alla Photokina e ritorno, pubblicato due anni fa, e forti di diciannove edizioni visitate, dal 1974, annotiamo che da qualche tempo è sparita la frenesia dei decenni passati. Sciolta l’antica dipendenza della suddivisione geografica dei padiglioni, con i marchi tedeschi avanti a tutti, all’ingresso principale, l’attuale Photokina esprime una scomposizione espositiva dichiaratamente merceologica. Dopo aver registrato una affluenza significativamente inferiore e dopo aver registrato una certa assenza di visitatori professionali del passato (laboratori e negozianti, sopra tutti: crisi economica incombente?), più e diversamente che in altre edizioni, quest’anno abbiamo rilevato una consistente presenza di visitatori giovani e di donne. I giovani sono quella realtà sulla quale il mercato dovrebbe riflettere, se e per quanto ne ha ancora le capacità: anche in Italia, molti giovani stanno avvicinandosi alla fotografia, invertendo la tendenza contraria che cominciò a manifestarsi durante gli anni Novanta. A differenza dei giovani del passato, la generazione attuale rivela di essere più interessata all’immagine che ai modi per ottenerla: come si deduce dalla lo-
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tokina e ritorno, le cui considerazioni sono ancora attuali e fresche, ci incontriamo e condividiamo con un’altra riflessione sostanziosa che incorpora in sé lo stato dell’arte della tecnologia fotografica attuale, con doveroso contorno di tanti altri sapori collegati. Infatti, ribadiamo come, quanto, più e meglio di ogni altra manifestazione fieristica della fotografia, sia internazionali sia nazionali, in virtù di un benefico camaleontismo, la Photokina abbia saputo riconvertire il proprio ruolo, affermando una personalità forte, decisa e concreta. Considerati i tempi, non è più (solo) una fiera di (sole) novità. Oggi, il suo rapporto con le novità tecniche annunciate e presentate dai singoli espositori è assolutamente relativo: una volta, si andava in Photokina per scoprire; oggi, la Photokina è un contenitore di concetti, soggetti e virtù della fotografia. Anzitutto, la Photokina è uno spirito, che interpreta l’anima di un mondo (quello del commercio fotografico). Simultaneamente, e non in subordine, la Photokina è ciò che ognuno di noi va cercando nel mercato fotografico. Non si sovrappone a nulla, ma permette a ciascuno di esprimersi. Tutti siamo stati protagonisti della Photokina 2010, nei padiglioni della Koelnmesse, in Germania, dal ventuno al ventisei settembre scorsi. La Fiera si è come fatta da parte, per lasciare che le luci della ribalta si accendessero, alternativamente, su ognuno di noi: espositori, visitatori soltanto curiosi e visitatori professionali (giornalisti, operatori, fotonegozianti, laboratori). Guardandoci attorno, parliamo di fotografia. Oggi (e domani?). Piano, piano. Lentamente.
Ribadiamo che le mostre presentate nell’ambito della rituale Visual Gallery, che da tempo affianca la Photokina, all’interno dei suoi stessi padiglioni espositivi (così come in passato fu per la Sezione Culturale curata da Fritz Gruber), sono comunque allestite in uno spazio fieristico. Con questo, le scenografie sono sempre adeguatamente accurate e accattivanti: nulla è lasciato al caso, nulla è sottotono, nulla si nasconde dietro alibi di comodo (come invece accade troppo spesso in Italia). La nostra documentazione fotografica è stata realizzata in anticipo sull’apertura al pubblico. Tra le tante mostre distribuite nei corridoi di collegamento, ne segnaliamo una che si riallaccia al nostro numero dello scorso ottobre: in stampe digitali di dimensioni identiche agli originali polaroid 50x60cm, i ritratti del progetto Behind Photographs, dello statunitense Tim Mantoani.
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Attento interprete della fotografia a sviluppo immediato, Beppe Bolchi sta dando un contributo solido e concreto al progetto di rinascita, condotto da Impossible Project, ora in dirittura d’arrivo. Oltre le proprie creatività, la Lomography offre anche opportunità di riposo. Lentamente. Ancora lui, sempre lui: dall’Arizona, Keith Canham propone la fotografia in grande formato 50x60cm!
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ro presenza tra le mostre, sia interne alla Koelnmesse, sia in città. Quindi, il mercato deve imparare a parlare in termini che non siano soltanto di pixel e contorni, ma di risultato finale, di gratificazione ed espressività della fotografia. Sa farlo? Per quanto riguarda le donne interessate alla fotografia, l’Italia è sostanzialmente esclusa dal fenomeno, perché questo aspetto dipende da componenti sociali di indipendenza e consapevolezza acquisiti che per il momento ci sono estranei (in linea di massima e in generale, casi particolari esclusi). Però, sulla capacità del mercato italiano di affrontare l’aria nuova abbiamo sostanziosi dubbi e motivate perplessità. Infatti, nel proprio microcosmo settoriale, la fotografia commerciale italiana rispecchia un clima nazionale, ormai endemico: un paese nel quale gli apparati burocratici non agiscono più (mai) per razionalizzare le procedure, appianare le problematiche e svolgere il proprio compito istituzionale, ma solo per accrescere la propria influenza. A cascata e per imitazione, i manager (anche della fotografia) e le associazioni di categoria sono estranei a qualsivoglia osservazione della realtà. I primi, per incapacità, magari; le seconde, per interessi privati, per affarucci convenienti (a loro). In chiave di mercato, proseguendo nelle considerazioni, la Photokina 2010 ha confermato che, volente o nolente, tutto continua a ruotare attorno il mondo 35mm (e derivati). Impegni professionali a parte, entro i quali le reflex derivate continuano a insidiare le prestazioni potenziali dei dorsi ad acquisizione digitale di immagine (va detto), l’intera infrastruttura fotografica si basa sulle applicazioni originarie del piccolo formato: a partire dalla fotoricordo e fotografia familiare, per le quali sono previste sempre più opzioni di trasformazione. In chiave di lettura di ciò che la Photokina può rivelare, confermiamo le nostre amareggiate perplessità sulle capacità e volontà degli operatori italiani. Per quanto personalmente consideriamo che le parole siano pietre, la fotografia commerciale italiana ipotizza che le parole siano piume, da lasciar disperdere dal vento. Quanto esibizionismo delle parole e attraverso le parole abbiamo incontrato!: «Quest’anno, non ho visto niente» [raccolta in uno stand di un produttore italiano leader, proiettato nel mondo]. Diciamo pure che si tratta di un esibizionismo fonetico in autoreferenza (magari fosse questo), che però esprime una sorta di scetticismo attraverso il quale qualcuno eleva se stesso sopra gli altri. Ma sopra che cosa, poi? A parte la considerazione secondo la quale molto probabilmente si vede sempre ciò e per come si è prestabilito di guardare, all’interno del contenitore complessivo, tra le pieghe delle tante Photokina coabitanti (a ciascuno, la propria), l’edizione 2010 ha confermato ancora di non essere più soltanto Fiera di novità tecniche: che ci sarebbero state anche senza mettere in piedi una tale kermesse e che si sarebbero conosciute comunque, indipendentemente dall’appuntamento ufficiale di Colonia, in Germania, della fine di settembre. Non è più un problema di novità di mercato, come
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è stato fino a qualche anno fa, quando si andava in Photokina per annotare le nuove interpretazioni fotografiche realizzate e proposte dall’industria, che avrebbero caratterizzato il mercato dei mesi/anni immediatamente a seguire. Mentre nei decenni scorsi si andava a Colonia per registrare l’insieme delle novità tecniche, da annotare come tali e valutare per quanto avrebbero rappresentato nel proprio complesso, oggi si deve osservare con altro occhio, con differente attenzione. Le novità tecniche non attendono più l’appuntamento biennale della Photokina per essere annunciate e, addirittura, proposte al mercato. Per quanto riguarda la comunicazione, il tempo reale di Internet assolve egregiamente e risolve. A conseguenza, alla Photokina più che limitarsi all’apparenza (a tutti visibile?), si deve soprattutto annusare: sollevare la superficie per guardarvi sotto, per trarre altre deduzioni e, addirittura, conclusioni. Qual è, a nostro avviso (a nostro avviso) lo spirito fotografico che almeno dal 2004 la Photokina evidenzia, fino ad elevarlo a cifra stilistica di un settore? Soprattutto è quello di un’industria produttrice che si è perfettamente resa conto che l’elemento fotografico non dipende soltanto dalle statistiche commerciali e dai volumi di vendita, ma a monte di tutto sta il fatto che l’esercizio della fotografia, a ogni proprio livello, dalla semplice fotoricordo all’impegno altamente professionale, non può prescindere dalla soddisfazione personale e individuale. Ovvero, come abbiamo annotato in tempi antecedenti a oggi, in tempi non sospetti, il valore aggiunto è proprio questo: la fotografia finale che ciascuno realizza. In conferma e per ribadire, una annotazione si impone su ogni altra: la Photokina non è più un insieme di novità, da raccontare per settori merceologici o censire in stretto ordine alfabetico -a ciascuno la propria relazione-, ma definisce e delinea lo spirito di un intero mercato. Cioè, la Photokina ha un rapporto relativo con le novità che i produttori annunciano e presentano. L’anima, il senso e lo spirito attuali della Photokina prescindono, quindi, dalla quantità e qualità di novità espresse nei suoi giorni, che pure ne compongono l’irrinunciabile ossatura. In un tempo tecnologico e commerciale come è l’attuale, le alternanze ed evoluzioni tecniche (e commerciali) prescindono ormai da un qualsiasi appuntamento fieristico: per cui è più che grottesco circoscrivere e limitare il valore della Photokina a questo. Sia alla luce del ritmo con il quale i prodotti fotografici si inseguono sugli scaffali di vendita, sia in considerazione dei nuovi/innovativi veicoli di informazione verso il pubblico, la tecnica fotografica è un divenire continuo e inarrestabile. Soprattutto per questo, ma non soltanto per questo, la Photokina si esprime e manifesta al di là della somma algebrica delle novità annunciate con la sua occasione, delle quali ne sollecita e favorisce soltanto la presentazione. Ripetiamo, ribadiamo e concludiamo: la Photokina è oggi l’espressione più chiara, trasparente e concreta di tutti questi intrecci, legami e collega-
Certo che un “Camera Test” offerto al pubblico, in uno dei padiglioni di collegamento della Photokina, con modella in topless per la verifica cromatica della scala colore dipinta sul suo corpo, sulle sue tette (con franchezza), ha i numeri per richiamare l’attenzione dei passanti. Si poteva evitare. Si doveva. Tra i tanti richiami negli stand della Photokina, tutti finalizzati all’uso dei propri apparecchi fotografici, il pubblico si è sbizzarrito con le evoluzione degli skateboard offerti da Sony. Velocità e colpo d’occhio.
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menti. Photokina non sono i soli strumenti della fotografia. Alla Photokina e con la Photokina, l’intero mercato della fotografia manifesta spiriti e filosofie trasversali, da decifrare per allineare e finalizzare ogni personalità commerciale quotidiana; anche quelle giornalistiche, sia chiaro.
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ANTONIO BORDONI
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Rollerball Troika, personalizzato Leica: cappuccio con innesto a vite. Exilim Digital Art Gallery. No! La fotografia ha valore per se stessa, non in relazione ad altre paternità altrove acquisite o mutuate. La fotografia ha un proprio linguaggio e un lessico che la definiscono.
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Ancora Leica a vite! Anche questo va annotato (?). In un tempo, come è questo attuale, nel quale e durante il quale si ricercano praticità e funzionalità semplificate anche nelle piccole cose e nei piccoli contorni quotidiani, e dunque, per esempio, si predilige (privilegia) l’uso di penne a sfera a pulsante, agevoli con una sola mano (ed io ho esteso addirittura a una stilografica analogamente a pulsante, per sposare insieme amore per inchiostro verde e agilità di impiego), in un tempo così definito, soltanto Leica può immaginare (aver immaginato) di regalare una penna preziosa, con cappuccio inviolabilmente a vite: impegnativo (e gradito) rollerball Troika, design Anne Rieck, 126x13x15mm. Nella propria imponenza, certificata anche dalle dimensioni appena riferite, pur interamente metallico, il corpo del rollerball è certo lontano dalle Leica M senza tempo, seppure, nel proprio ambito e specifico, ne è in qualche modo e misura parente stretto. In allineamento, anche il passo della vite del cappuccio è di dimensioni sostanziosamente inferiori al 39x1 (passo Leica), di memoria storica. Però, si tratta pur sempre di una combinazione “a vite”, in un’epoca di praticità “pulsante”, di una linea a un tempo moderna e classica (come la Leica M, indipendentemente dalla cifra conclusiva, fino alla M7 per pellicola, dalla M8 ad acquisizione digitale di immagini?). Scrittura lenta, scrittura concentrata. Forse. Anzi, certamente. Fotografia: per se stessa, non per altro. Nome e cognome, la cui rivelazione esplicita potrebbe procurarci disagi, ci procurerà certamente disagi (anche così va il mondo): Casio Exilim EX-ZR10. Tra le sue innumerevoli prerogative tecniche, tutte ammirevoli, tutte da ammirare, questa compatta propone un’opzione in più, attorno la quale, alla Photokina, Casio ha addirittura allestito il proprio stand. Una volta acquisita un’immagine, premendo un pulsante predisposto la si può trasformare in quadro. Non abbiamo approfondito se l’effetto “artistico”, così come è presentato e vantato, sia a scelta, ovverosia se si possa, come presumiamo probabile, selezionare anche lo stile pittorico, oppure se si debba dipendere da una artisticità di fondo, senza altro pretendere. Diavolo! Quando si mostra una propria fotografia ad amici o parenti, chiedendo un parere, un’opinione, si è autorizzati a picchiare l’interlocutore se e quando questo dovesse apprezzare la fotografia, bella “che sembra un quadro”. Non c’è offesa peggiore per la fotografia; forse c’è, ma non andiamo a indagare, quantomeno qui e ora. La fotografia merita di essere apprezzata, se e quando lo merita, in quanto tale: fotografia. Non perché assomiglia a qualcosa
Il più ricco del cimitero. Etica del capitalismo. Se ne parla e dibatte da tempo, andando a identificare realtà produttive che non si votano al solo e assoluto reddito a tutti i costi e a qualsiasi prezzo: fino allo sfruttamento di popolazioni del Terzo mondo (bambini compresi). In Italia, ne abbiamo avuto uno straordinario esempio, antesignano delle parole (spesso vuote e prive di senso) sprecate sull’argomento. L’Olivetti, di Ivrea, quella originaria dell’imprenditore Adriano Olivetti, non quella più recente, protagonista di affarucci nazionali, è stata un modello luminoso di lungimiranza e, perché no?, etica. Chi vuole, chi è interessato, può approfondire: le fonti non mancano di certo. Qui e ora, ci basti annotare la realizzazione di posti di lavoro ri-
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d’altro, non perché imita qualcosa d’altro, non perché indossa abiti altrui. I suoi, che dipendono da un linguaggio straordinario e variegato, bastano e avanzano per definirne la qualità espressiva, piuttosto che, all’opposto, l’eventuale infamia. Dunque, la fotografia è “artistica” in relazione ai e dipendenza dai propri valori lessicali e grammaticali, non certo in subordine all’acquisizione di altri parametri. Il discorso parrebbe secondario, se non che non possiamo, né vogliamo, ignorare come e quanto gli equilibri concettuali attorno la fotografia si basino su intrecci infiniti, all’interno di una vicenda che, senza soluzione di continuità, e con percorso di andata e ritorno, passa dalla tecnica alla creatività, dalla produzione all’utilizzo, dal proprio ambito alla società, dal linguaggio alla comunicazione. E tanto altro ancora. Soprattutto per questo, ma non soltanto per questo, consideriamo quantomeno disdicevole questa indicazione industriale, che riporta indietro l’ipotesi fotografica di decenni, se non secoli, addirittura. Anche senza averne avuta l’intenzione (escludiamo che l’industria produttrice abbia tanta competenza storica), in un certo senso torniamo allo stucchevole pittorialismo del secondo Ottocento, quando la fotografia pietiva di accedere all’arte, dimostrando di saper imitare e applicare gli stereotipi della raffigurazione pittorica (appunto). A distanza di decenni, in avanti, furono altri gli autori che offrirono alla fotografia l’agognata patente, applicando esclusivamente il linguaggio esplicitamente fotografico. Storia antica, storia nobile, della quale dobbiamo essere fieri. Nessuna elemosina deve essere richiesta, ma si deve esigere riconoscimenti per se stessi e per le proprie prerogative ed espressività. La fotografia che sembra un quadro, magari buona per le pareti del salotto di nonna Speranza (rinvigorite dal cattivo gusto al quale sta educando la televisione dei nostri giorni), non è né una né l’altra. Smette di essere dignitosamente se stessa, senza peraltro fare alcun balzo avanti (?). Sia professionale, dal giornalismo alla moda, alla pubblicità, sia espressiva, sia fotoricordo, la fotografia resti sempre e soltanto fotografia. Tanto basta, senza peraltro mai avanzare. Tanto ci basti.
Fading Away (1858), di Henry Peach Robinson, il più accreditato dei pittorialisti del secondo Ottocento, quando la fotografia pietiva un riconoscimento artistico andando a imitazione della pittura.
Taschen Verlag: a Colonia, in Hohenzollernring 53.
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spettosi dei lavoratori, di quartieri operai progettati da architetti invitati ad anteporre la qualità della vita ad altre condizioni (a proposito, il quartiere operaio originario, progettato nel 1937 dagli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, sarà iscritto nei beni culturali del Patrimonio Mondiale indicato dall’Unesco), di retribuzioni generose, di asili nido e assistenza alle lavoratrici-mamme (prima e più abbondantemente dei termini successivamente stabiliti per legge), di tanto altro ancora. Bene, Adriano Olivetti è stato un industriale che ha tratto consistenti redditi dalla propria impresa. Non ha vissuto di stenti, ma agiatamente, come i suoi mezzi gli hanno consentito. Certe ricchezze dei giorni nostri, da quelle ottenute con facilità dai rapper americani a quelle di molti personaggi italiani, si manifestano in modo diverso: moltiplicazione di ville, lussi sgraziati, offesa al senso comune dell’esistenza. Anche Benedikt Taschen è ricco. Trae legittimi redditi da un impero editoriale che ha fatto bandiera della qualità dei propri libri. La sua sede, a Colonia, città nella quale si svolge la Photokina, a margine della quale abbiamo approfittato per incontrare da vicino questa eccezionale realtà libraria, è esemplare: arredata con opere d’arte, fino alla pavimentazione della sala della mensa. Escludiamo che Benedikt Taschen viva modestamente. Ma al suo lavoro rende almeno per quanto ha ricevuto. La differenza tra Olivetti e Taschen, e tanti altri (ma pochi ne conosciamo), e i ricchi supponenti (tanti ne vediamo, anche in fotografia) è sostanziale, di sostanza. Alle rispettive fine, i ricchi supponenti saranno anche i più ricchi del cimitero.
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Panasonic Lumix G 12,5mm f/12: il primo obiettivo 3D dell’era attuale. Interpretazione 3D dalla Cina: una delle tante che si è accodata alla gran cassa tridimensionale.
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Il 3D nell’era dell’elettrodomestico. Inevitabile, prevedibile, previsto... stucchevole, persino! La visione/restituzione fotografica tridimensionale si esprime in molteplici interpretazioni, tutte tese a far credere alla novità assoluta, alla novità che fa la differenza. Ovviamente, la fotografia si accoda al consistente successo planetario del cinema 3D, che ha avuto il proprio profeta nell’originario Avatar, del vulcanico James Cameron. In avanguardia, due anni fa, Fujifilm anticipò l’attuale stagione con la sua proposta FinePix Real 3D, che ora è stata affiancata da una eterogenea serie di configurazioni analogamente indirizzate. Alla Photokina 2010, “3D” è stata una delle parole d’ordine più frequentate e strillate, sia da marchi di prestigio e consistente personalità commerciale, sia da produttori minori e marginali, che sperano di acquisire quote sfruttando la luminosa scia del sogno tridimensionale. Personalmente, siamo privilegiati: conosciamo le logiche e i princìpi della fotografia 3D da lungo tempo, sapendo distinguere tra restituzione stereo, anaglifica, lenticolare e altro ancora. Siamo privilegiati, perché sappiamo. Non soltanto, sappiamo; addirittura, abbiamo amato e frequentato la fotografia tridimensionale (soprattutto stereo) in stagioni non sospette, in clima di appagante clandestinità. Dunque, al solito, ne riferiamo con cognizione di causa. La fo-
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tografia tridimensionale è una autentica bufala. Serve a niente, e l’apparenza del giorno d’oggi serve solo a coprire altre inconsistenze e incapacità. Diciamolo con doverosa franchezza. In termini oggettivi, la fotografia non ha bisogno di suppellettili tridimensionali, la cui affascinante restituzione in profondità è soltanto una gratificazione effimera (per quanto appagante per chi la realizza, soprattutto); infatti, la resa prospettica appartiene a pieno titolo agli stilemi del linguaggio fotografico, e ne assolve la restituzione della terza dimensione, in profondità, appunto, della e sulla raffigurazione a due dimensioni. Comunque sia, siamo perfettamente coscienti come e quanto l’esuberanza tridimensionale sia oggi indispensabile per attirare l’attenzione e far parlare di sé, soprattutto nell’era dell’elettrodomestico. E dunque ne prendiamo atto, dopo averne prese le distanze. Tra tanto, l’oggetto 3D più affascinante tra quanti visti in Photokina è l’obiettivo Panasonic Lumix G 12,5mm f/12 (3D). Alla maniera di configurazioni antiche, tra le quali si individua almeno il prototipo Stemar di Leica (1939 e versione postbellica), questo Panasonic è il primo obiettivo 3D dell’era attuale (non il primo in assoluto, come vantato). L’accoppiamento di obiettivi accostati permette di effettuare riprese tridimensionali con reflex Micro QuattroTerzi, con una prospettiva equivalente a quella della focale 28mm della fotografia 24x36mm, inevitabile riferimento d’obbligo. Due sistemi ottici sono installati all’interno della montatura dell’obiettivo, per creare immagini stereoscopiche da processare con un software di elaborazione delle immagini 3D. Per il resto, nulla di travolgente, se non la registrazione di quanti-tanti si siano messi in coda, ripetiamo, per sfruttare la luce riflessa di questo fenomeno tanto sbandierato: laboratori che producono/trasformano stampe tridimensionali (in anaglifo, da osservare con gli immancabili occhialini rosso/verde), accessori, monitor televisivi, apparecchi fotografici a obiettivi accostati (soprattutto dalla Cina). E quant’altro. Così che, non possiamo non ricordare l’entusiasmante Horseman 3D, che nel 2006 celebrò in grande stile (senza avere l’intenzione di farlo) la pellicola fotosensibile: ai tempi, la elevammo addirittura a simbolo della Photokina 2006, riservandole persino la copertina del nostro numero di novembre. Dal prototipo di Yoshiyuki Akutagawa, fotografo e designer (in queste rispettive vesti: FOTOgraphia, luglio 2000 e marzo 1999), intravisto alla precedente Photokina 2004, alla effettiva realizzazione, la Horseman 3D ha raffinato la propria configurazione, derivata dall’Hasselblad XPan (apparecchio appunto disegnato dallo stesso Yoshiyuki Akutagawa: in originale Fujifilm TX-1 [FOTOgraphia, novembre 1999]): per coppie di fotogrammi stereo 24x30,5mm sull’area immagine originaria 24x65mm (inquadratura Panorama). La coppia di obiettivi di ripresa Fujinon 38mm f/2,8 (quattro lenti in tre gruppi) è distanziata su una congeniale base stereo di 34mm.
Dal Lussemburgo (alla Photokina): Jos Wagener con combinazione stereo autoprodotta, su base Sony. Dalla Photokina 2006: Horseman 3D, l’ultima 35mm per pellicola fotosensibile, in forma stereo.
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I AM PHOTOKINA. Elaborando a misura una propria identificazione recente, in occasione della Fiera di Colonia, Nikon ha coniato un headline sintonizzato: appunto, I AM PHOTOKINA, ripetuto in mille circostanze e troneggiante sull’ingresso principale della stessa manifestazione. Già, headline. Già, presentazione. Da tempo, ogni marchio ha un proprio headline identificativo, un proprio richiamo ideologico (diciamola anche così): l’attenzione di tutti è rivolta all’immagine, ovverosia al risultato finale. I richiami sono molteplici e variegati, ma tutti sono indirizzati all’immagine fotografica: ripetiamo e ribadiamo. Nikon: At the heart of the image (Al cuore dell’immagine). Canon (globale): You can (tu puoi). Samsung: Why Capture? Create! (Perché acquisire [soltanto]? Creare!). Leica: My point of view (Il mio punto di vista). Olympus: Your Vision, Our Future (La vostra visione, il nostro futuro). Panasonic (globale): Ideas for life (Idee per la vita). Sony (globale): Make. Believe (Fai. Credici).
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I AM PHOTOKINA e successive declinazioni mirate. In ogni caso, I AM: io sono!
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Soprattutto, fotoricordo. Volendolo fare, volendo andare a cercare contraddizioni tra le pieghe delle manifestazioni commerciali della fotografia, la Photokina è un esempio clamoroso, oltre che lampante. Parliamone. Per il suo svolgimento, impegna milioni e milioni di euro: investiti dalle singole aziende espositrici, ciascuna per sé e in relazione alla propria presenza, ordinata con le rispettive personalità tecniche e proposizioni di mercato e sul mercato. Per un rimbalzo verso le vendite e le relazioni giornalistiche, in Photokina si parla di qualità e caratteristiche, andando a vivisezionare i valori che ciascun marchio vanta per i propri prodotti. Ognuno di loro ne riferisce in due direzioni: verso i commercianti del settore che convengono a Colonia, sede della Photokina, e con i giornalisti delle riviste specializzate, che passano da uno all’altro stand senza soluzione di continuità. Si parla e analizza fin nel minimo dettaglio, come se queste considerazioni fossero poi effettivamente discriminanti nel quotidiano del commercio. Invece, se dobbiamo vederla con onestà (quantomeno intellettuale), alla resa dei conti, i valori che valgono al momento della vendita conclusiva sono assolutamente altri: il prezzo di acquisto, prima di tutto; quindi, e poi basta, la volontà del negozio e sfumature conseguenti, molte delle quali indipendenti dall’oggetto in questione, dalle macchine fotografiche a tutte le componenti fotografiche dei nostri giorni. Ancora, e in sovramercato, in Photokina e sulle riviste si parla e scrive soprattutto di attrezzature di profilo alto, mentre il mercato nel proprio complesso è invece quantificato da tutt’altro, a partire dalle compatte di più larga fascia. Insomma, ad essere ottimisti, in Photokina, avvincente punta affiorante dell’iceberg del commercio fotografico, ci si occupa di quanto rappresenta una fascia modesta delle vendite reali. Pero! Però,
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l’equilibrio complessivo prevede tempi e passi del mercato, in un equilibrio sostanzioso che nessuno vuole compromettere o minare. La domanda è esplicita, la risposta meno: se eliminassimo le spese ingenti della Photokina, il mercato fotografico continuerebbe a manifestare le cifre che ancora rivela? Nel dubbio, non si cambia nulla nella squadra che sta vincendo, che vince. Ancora, non si può fare a meno dei discorsi teorici (qualità), nonostante il pubblico effettivamente consumatore non sappia neppure di cosa si tratti: in fotografia, sia chiaro, come anche in altri comparti. Per esempio, si possono esprimere le medesime considerazioni riferendo dei grandi discorsi tecnici vantati dai produttori di televisori, che si scontrano con quanto vediamo nelle case di amici e conoscenti (e nella nostra?), dove imperano schermi dai colori improbabili, dalla sintonizzazione approssimativa, dall’audio disturbato. Ma va bene così. Rientrando in fotografia, e affrontando il concreto del mercato, che non è certo definito dalle reflex o dalle compatte di più alto livello, quelle alle quali noi addetti e appassionati riserviamo le nostre attenzioni, ma da compatte di basso costo, dobbiamo essere trasparenti. Volente o nolente, oppure nonostante ciò che noi vediamo soltanto (non soprattutto), l’espressione più viva e palpitante della fotografia contemporanea non passa certo attraverso le nostre intenzioni e i nostri riferimenti (d’élite), ma è definito dalla fotoricordo, che viene frequentata in quantità di scatti a dir poco impressionanti. Per paradosso, ogni giorno, nel mondo, si scattano più fotografie, molte più fotografie, di quante noi consideriamo appartenenti alla nostra Storia. Non è nata per questo, la fotografia. Ma in questo oggi si manifesta e propone la propria personalità più concreta e tangibile. Per cui, quando parliamo di fotografia, anche tra noi, dovremmo specificare di cosa stiamo parlando: quella che noi consideriamo e intendiamo non è la sola fotografia possibile, ma è una delle tante “fotografia” che si esprimono nel mondo contemporaneo, in allungo dai decenni che ci hanno temporalmente preceduto. Le compatte del giorno d’oggi sono straordinariamente in linea e sintonia con il pubblico al quale il mercato si rivolge. Esigendo di passare dalle cifre di vendita che un tempo erano declinate per soli appassionati, ovverosia approdando ai milioni di pezzi da vendere ogni anno, non si va più tanto per il sottile, e si cerca di avvicinare più clienti possibile, indipendentemente dalle effettive competenze di uso e intendimento fotografico. Così, diciamolo con legittima e doverosa franchezza, è più che opportuno che le macchine fotografiche abbiano abbandonato gli aspetti caratteristici del proprio passato (per quanto luminoso), per affrontare confronti e paralleli con gli oggetti di uso quotidiano al giorno d’oggi. Svincolate dall’apparenza degli apparecchi fotografici dell’altro ieri, le compatte a parallelepipedo, di design (?), sono perfettamente integrate nel nostro tempo e sono perfettamente accettate e accettabili da un pubblico nuovo, diverso dagli ap-
La fotoricordo sottolinea lo scorrere del Tempo, allunga il passato sul presente, introduce il futuro. Domenica ventisei settembre, mattina presto, Roncalliplatz: Urs Tillmanns, giornalista svizzero, scrittore di fotografia (tra tecnica e storia, anche lui, soprattutto lui), in partenza alla conclusione della Photokina 2010: fotoricordo (con rimando di fotoricordo) nel monitor della Sony Nex-5. Domenica ventisei settembre, mattina presto: autoritratto riflesso sull’ingresso del Ludwig Museum. Sabato venticinque settembre, tramonto: fermata tranviaria in Barbarossplatz, con ombra.
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Giovedì ventitré settembre, mattina presto, prima dell’apertura dei padiglioni, sul piazzale antistante l’ingresso principale della Koelnmesse, ovvero della Photokina, nell’area di parcheggio: autoritratto in ombra, con Toscano. Immancabilmente, fotoricordo (o altro?). L’abbiamo appena rilevato: la fotoricordo sottolinea lo scorrere del Tempo, allunga il passato sul presente, introduce il futuro. Del resto, guardiamoci negli occhi, non è forse questo il senso della Fotografia, con consueta maiuscola consapevole e volontaria? Non pensiamo soltanto alla fotografia che scrive la Storia, ma anche -e qui soprattutto- a quella fantastica fotoricordo che racconta la Vita nel proprio svolgersi, giorno dopo giorno. La fotografia può farlo; forse, deve farlo. Fin dalle proprie origini, e nella sua lunga evoluzione espressiva, la fotografia offre Tempo, che arricchisce il cuore, la mente, i sentimenti. Eccolo qui il concetto della fotografia che supera l’usura degli anni e che si arricchisce di questa.
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passionati di un tempo. Serve parlarne? Allo stesso momento, e in coincidenza di intenti, le attuali compatte assolvono bene, e al meglio, il proprio compito istituzionale. Per quanto voci diverse si alzino in contestazione, vantando valori e spessori della (precedente) fotografia analogica, con pellicola fotosensibile, il discorso neppure merita di essere affrontato: le intenzioni di sostanza sono tutt’altre, e ognuna va rispettata per quello che è e rappresenta. Anche la fotoricordo nell’era digitale, così libera, fresca, brillante, felice, in confronto al più recente passato, merita e vanta diritto di considerazione, non soltanto di ospitalità. Ben vengano gli automatismi diffusi, il monitor liberizzatore e quanto altro. E chi agisce diversamente, continui a farlo: per se stesso, non certo in contrapposizione. Però, nessuno sottovaluti come la forma della fotografia non dipenda più, non si basi più sulla consecuzione (ormai antica) scatto-attesa-copia cartacea, ma si manifesti e concentri attorno il momento dello scatto. Ma, sì! Nitidezza, qualità, caratteristiche, prestazioni (sempre più differenziate ed esaltanti). Ma, no! L’attuale personalità della fotoricordo, che continua quel processo di democratizzazione (?) della realizzazione di immagini avviata con l’invenzione del 1839, è edificata sulla semplicità e sicurezza di uso, alle quali consegue una gratificazione assicurata. La liberalizzazione dello scatto è la più attuale espressione del tema di democrazia (?, ancora) che impegna il cammino della fotografia fin dalle proprie origini. A questo punto, parliamo soltanto dell’applicazione puramente ed esclusivamente fotografica della tecnologia digitale. Cioè, per ora, lasciamo stare (ma non perdere) le sinergie, gli intrecci e le innumerevoli trasversalità aggiuntive e aggiunte di gestione e/o contorno; in sovramercato, riferiamoci soltanto alle compatte rivolte al più ampio pubblico possibile e potenziale, tralasciando volontariamente e consapevolmente tutto quanto riguarda le reflex, volenti o nolenti di profilo tecnico e indirizzo espressamente diverso, quantomeno commercialmente più alto. Così agendo, ribadiamo un’idea appena espressa: per quanto sia nata con altri intendimenti e proposizioni, la fotografia quotidiana oggigiorno è soprattutto fotoricordo, appagante declinazione frequentata da tutti, senza la benché minima soluzione di continuità. Clamoroso nella propria evidenza: l’attualità della tecnologia applicata, che si esprime in forma e personalità digitale, ha superato e risolto in un batter di ciglia controversie tecniche che la fotografia si è portata appresso fin dalle proprie origini. Per esempio, oggi non ci sono più problematiche di sensibilità alla luce, tanto è vero che la fotografia “al buio” registra e rivela anche quanto è invisibile a occhio nudo, registra e rivela più di quanto la vista riesce a percepire e distinguere. Ancora. Oggi non ci sono più possibilità di errore, dal caricamento del supporto “sensibile” (ormai con uno scarto di definizione) all’esposizione, all’otteni-
Una mostra, tra tutte. Ci spiace per chi, trovandosi a Colonia in occasione della Photokina, non ha avuto modo di visitare una straordinaria mostra fotografica, in assoluto una delle più affascinanti e avvincenti tra quante abbiamo visto negli ultimi tempi. Ci spiace anche per coloro i quali, e sono tanti (tutti?), hanno ignorato i programmi fotografici di appoggio alla Photokina, che al solito hanno registrato centinaia di appuntamenti, dalla Visual Gallery, all’interno della Fiera, alle mostre di contorno, altrettanto complementari alla Photokina merceologica, alle mostre e altre opportunità collaterali in città. Ci spiace per tutti loro, ma, allo stesso momento, e sinceramente, non ce ne frega niente. Se questo è il modo di vivere la fotografia da parte dei nostri operatori nazionali, sappiamo farcene una ragione e buona pace. Loro e nostra. Allora. Allestita sui quattro piani dell’Ehemaliges Hotel Timp, albergo di antichi splendori (modesti) riconvertito all’arte contemporanea, Fotokunst im Etablissement ha confezionato un coinvolgente tragitto attraverso la fotografia creativa dei nostri giorni, con puntate al passato (tra l’altro, una stampa vintage di un celebre nudo di Edward Weston: Tina [Modotti] on Azotea, del 1923). C’è poco o niente da dire, perché bisognava esserci. Mai come in questo caso l’allestimento scenico è stato tutt’uno con le opere presentate, molte delle quali confezionate addirittura a misura. Soltanto una annotazione, se serve e può bastare: la mostra ha dato fiato alla combinazione fotografica che ha fatto da contorno alla Photokina 2010: Visual Gallery 2010; mostre distribuite tra i padiglioni fieristici; ventesima edizione di Internationale Photoszene Köln, fitta di appuntamenti, censiti, riassunti e presentati in un agile volumetto-catalogo, distribuito gratuitamente in città; :kölnfotografiert’ 10, denso contenitore di incontri, seminari, workshop, mostre (ancora) rivolti al grande pubblico. E l’Italia sta a guardare.
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mento di una matrice per la stampa (oggi, file). Tutto quanto ha cercato di realizzare la tecnologia fotografica in epoca di pellicola fotosensibile e costruzione meccanica è stato scartato a lato: ormai, non c’è più nessun problema, alcuna difficoltà. La scheda di memoria e archiviazione non può essere inserita nel proprio vano (slot) in altra maniera che quella giusta, in barba al caricatore Kodak Instamatic (immediatamente affiancato dall’interpretazione in risposta diretta Agfa Rapid), alla successiva miniaturizzazione Pocket Instamatic e alla parola d’ordine di partenza delle sfortunate cartucce Aps. Non è possibile sbagliare, neanche volendo. Allora, ci domandiamo, se il mercato è rivolto/indirizzato al largo consumo, per il quale spende le proprie capacità progettuali e costruttive, a chi sono rivolti i richiami (antichi, riconoscibili soltanto per età) degli obiettivi Carl Zeiss, Leica e Schneider? Misteri della fotografia. Forse, magia della fotografia. Anche.
Sui quattro piani dell’Ehemaliges Hotel Timp, albergo di antichi splendori (modesti) riconvertito all’arte contemporanea, Fotokunst im Etablissement ha allestito un coinvolgente tragitto attraverso la fotografia creativa dei nostri giorni, con puntate al passato.
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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (4)
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Kölsche Scheiblette (Thierhoff City Verlag). Diagnose: Unheilbar (Thierhoff City Verlag). Ein Hätz für Dich & für Kölle! (Thierhoff City Verlag). Alle Wege führen zum Dom (Thierhoff City Verlag). Con in mano una cartolina edita da Fotokunstwerkstatt (fotografia di Luis Cruz; Köln, 2005).
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Saluti da Colonia. Abbiamo già riferito della serie di cartoline di Colonia, pubblicate da Thierhoff City Verlag, che utilizza l’inconfondibile silhouette della facciata occidentale del Duomo gotico di Colonia, con la stilizzazione dei suoi due alti campanili, anche come proprio logotipo aziendale (www.thierhoffcityverlag.de). Una prima volta, ne abbiamo scritto a conclusione di Alla Photokina e ritorno, pubblicato due anni fa (e anche oggi concludiamo allo stesso modo questo attuale Ritorno); in ripetizione, abbiamo pubblicato in FOTOgraphia del novembre 2009. Alla maniera dei soggetti delle campagne della vodka Absolut (soprattutto, ma non soltanto, in FOTOgraphia del novembre 2001), l’edizione turistica di Thierhoff City Verlag interpreta il simbolo di Colonia, via via riferendolo a una identificata serie di avvincenti richiami. In allineamento con le combinazioni Absolut, che nell’inevitabile paragone nulla tolgono all’originalità del Duomo di Colonia elaborato in cartolina da Thierhoff City Verlag, anche queste interpretazioni turistiche sono selettive: occorre ammetterlo e riconoscerlo. In definitiva, questi Saluti da Colonia puntano e si rivolgono a un target medio-alto, intellettualmente curioso e intelligentemente ironico. Di fatto, nelle particolari e affascinanti cartoline pubblicate e distribuite da Thierhoff City Verlag, raramente il Duomo di Colonia appare in quanto tale; in generale, ne è sempre interpretata la personalità a tutti nota, tanto da essere immediatamente riconoscibile, sia in trasformazione stilizzata sia in stravolgimento volontario del reale. I soggetti sono eccezionalmente eterogenei: con estrema disinvoltura, passano dalla colta citazione d’arte al richiamo più popolare, dall’evocazione geografica altisonante a riferimenti apparentemente terra-a-terra, dall’alterazione della realtà all’omaggio a culti visivi, dall’abbondante e ridondante al minimale. Compito primario dell’edizione di queste cartoline è quello di stravolgere l’immaginario turistico nei confronti di Colonia, identificata dall’inconfondibile silhouette del proprio Duomo gotico e/o dalla sua architettura. Ed è un compito che viene svolto con una creatività continua e progressiva, ma anche con controllo e rigore, per non cadere nella banalità o nell’eccesso, per non abbassare il tono, per non cedere a facilonerie di maniera. Da cui, eccoci, quattro nuovi soggetti che si sono aggiunti nel corso dei due anni trascorsi dal 2008 di riferimento precedente. Saluti da Colonia. Alla Photokina (2008) e ritorno. Photokina 2010. Il ritorno. Alla Photokina 2012: dal diciotto al ventitré settembre (salvo ripensamenti). ❖
BETTY!
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di Angelo Galantini
E
splicito, diretto e trasparente: Betty Page. Trentadue visioni più una dalla collezione di Maurizio Rebuzzini è una mostra a cura di Filippo e Maurizio Rebuzzini, che la Galleria Contemporary Concept, di Bologna, allestisce dall’undici dicembre al successivo undici febbraio. Ancora: Il prossimo ventinove gennaio, viene presentato il libro Betty Page, a cura di Maurizio Rebuzzini, pubblicato dalla casa editrice La Reclame, di Trento. Ognuno per sé e i due insieme, questi accadimenti definiscono la più avvincente esposizione fotografica al mondo mai realizzata dedicata alla regina delle pin-up. Come identificato, la mostra presenta trentadue ingrandimenti più uno, in dimensioni generose (84x110cm e 38x50cm), ma anche tutte le quattrocentottantanove fotografie originarie (stampe vintage?), che compongono la collezione di Maurizio Rebuzzini, considerata e conteggiata come la più completa e ragionata tra quante ne esistono; per quanto (magari) quantitativamente più abbondante, ogni altra collezione non supera il confine della casualità e della raccolta senza approfondimento. Nel proprio complesso, quella di Maurizio Rebuzzini (nostro direttore, anche) è composta da fotografie attribuite a Irving Klaw, ma più realisticamente realizzate dalla sorella Paula, tra il 1951 e il 1956. Paula e Irving Klaw: due eccezionali interpreti di un mondo e un’epoca (oltre che di una intenzione esplicita), che non si trovano in alcuna Storia della fotografia. Anche così va il mondo anche così si protegge (?) la fotografia accademica. Ma la Fotografia vera, quella che ha influito e influisce sulla Vita, non è soltanto quella accademica. Anzi, spesso è vero l’esatto contrario! In presentazione giornalistica, a seguire riportiamo le considerazioni Scabrosa e sorridente Betty, con le quali Maurizio Rebuzzini accompagna la mostra e introduce la monografia collegata e, addirittura, conseguente. A completamento, una doverosa nota tecnica, che sottolinea come la mostra è stata realizzata.
In coincidenza di date con il secondo anniversario dalla scomparsa, 11 dicembre 2008-2010, alla Galleria Contemporary Concept, di Bologna, si celebra Betty Page, una delle più avvincenti e variegate icone del secondo Novecento, quantomeno in un identificato ambito. A cura di Filippo e Maurizio Rebuzzini, la selezione Betty Page, senza ulteriori fronzoli, ma con sottotitolo esplicativo (Trentadue visioni più una), compone i tratti di un punto fermo su una vicenda fotografica che si è indelebilmente proiettata sulla storia del costume. E non soltanto su questa 57
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empre attribuite a Irving Klaw, le più note fotografie di Betty Page (per qualcuno e in altre documentazioni “Bettie Page”), quelle che ne hanno avviato il mito, furono invece scattate dalla sorella Paula. Me lo ha confessato lei stessa, in una tiepida serata di novembre, qualche anno fa, quando a New York si registra un sostanzioso ritorno di caldo estivo: noi definiamo quei giorni “Estate di San Martino”, negli Stati uniti è l’“Estate indiana”. Così, complice un clima favorevole, ma, soprattutto, merito di un buon vino italiano, che mi portai appresso per l’occasione, consapevole del suo palato raffinato, le parole tornarono indietro di decenni; con un ardito balzo temporale, i ricordi affiorarono dai primi anni Cinquanta. Quarant’anni e più furono superati in pochi istanti. Un’emozione palpitante per chi, come me, vive con il cuore cocciutamente rivolto indietro, proprio e soprattutto verso quegli anni Cinquanta, durante i quali la Fotografia (mio territorio esistenziale) ha realizzato e donato fantastiche immagini, insuperate monografie e avvincenti interpretazioni tecniche. Senza soluzione di continuità, da Henri Cartier-Bresson (Images à la Sauvette) a William Klein (New York), a Robert Frank (The Americans), per limitarci al minimo indispensabile; e poi, su altro fronte, dalla Leica M3 alle Nikon a telemetro (la reflex Nikon F sarebbe arrivata a fine decennio), all’Hasselblad, alle Rolleiflex più belle, all’originaria Sinar. Ma anche alla fotografia a sviluppo immediato, polaroid in gergo e per tutti. In tempi recenti, un film indipendente, che si è imposto nella stagione cinematografica statunitense del 2006, non riuscendo
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poi a ripetersi oltre i confini nazionali (in Italia è andato in onda soltanto attraverso il circuito delle pay-tv), ha dato merito a Paula Klaw, al suo essere stata fotografa capace di anticipare espressività visive che altri avrebbero abilmente messo a frutto, nei decenni a seguire. Così che, a margine e completamento di una fantasiosa e consenziente biografia cinematografica di Betty Page, il film The Notorius Bettie Page (regia di Mary Harron, su sua sceneggiatura scritta a quattro mani con Guinevere Turner; Gretchen Mol protagonista; Usa, 2005) ha rivelato e ufficializzato la distribuzione di ruoli all’interno dello studio fotografico al 212east della 14th street di New York City, ufficialmente indirizzato verso la produzione di Pin-up Photos, ma più esplicitamente interprete di una pornografia a buon mercato, svolta e proposta con adeguata ingenuità fotografica [FOTOgraphia, maggio 2006]. Il titolare Irving Klaw gestiva l’infrastruttura, i rapporti commerciali, le vendite dirette e per corrispondenza e affrontava le controversie legali avviate dalla campagna moralistica dell’intransigente senatore Estes Kefauver. In sala di posa, Paula Klaw produceva immagini scabrose, destinate a un pubblico voglioso di erotismo esplicito; tra queste, rilevazione d’obbligo, sono sopravvissute soprattutto quelle di Betty Page (qualche altra modella potrebbe essere citata, ma nessuna raggiunge la sua straordinaria espressività). Oggi, a distanza di sessant’anni, e in un clima ancora più lontano di quanto possa stabilire lo scorrere del tempo, non ci scandalizziamo, né impressioniamo, per una fotografa donna, non abbiamo più bisogno di sole figure maschili: l’erotismo visivo accetta oggi una parità allora impensabile e improponibile. Tutto questo per affermare che la personalità di Betty Page, figura divenuta mitica e leggendaria all’indomani della sua repentina e improvvisa scomparsa dalla scena pubblica, è merito di un allineamento tutto al femminile, che possiamo addirittura definire complicità. Paula Klaw era tanto e talmente consapevole dell’immaginario maschile (per esperienza diretta?: a domanda specifi-
ca, non ha risposto, limitandosi a un sorriso compiaciuto), da mettere insieme sceneggiate fotografiche assai apprezzate. Oggi, per lo più avviciniamo queste fotografie con altro spirito e una sorta di imperturbabilità culturale, ma in cronaca venivano vendute in quantità consistenti, sia come stampe originali, sia pubblicate in giornalini a tema, proprio per l’esplicita raffigurazione erotica, spesso condita di deviazioni verso il bondage, la sottomissione. Tra gli anni di New York, presso lo studio di Irving e Paula Klaw, e l’esilio volontario, all’indomani del paginone centrale su Playboy, del gennaio 1955, in costume natalizio, un’altra fotografa ha accoppiato il proprio nome a Betty Page. Ex modella, a quel tempo, Bunny Yeager era appena passata dall’altra parte della macchina fotografica, rimanendo legata alla raffigurazione di giovani e compiacenti donne di poco vestite. Il suo stile è sempre stato morbido e opposto alla ambigua morbosità delle sceneggiate di Paula Klaw, che si rivolgevano a un pubblico di altro stampo, lontano ed estraneo alle situazioni che Bunny Yeager creava nella solare Florida (e che corrispondono ad analoghe raffigurazioni di nudo degli anni Cinquanta e Sessanta che si sono espresse nell’altrettanto solare Los Angeles: un nome sopra tutti, per citare il fotografo Peter Gowland). Ancora in tempi recenti, alla fine degli anni Novanta, Bunny Yeager, che è sempre vissuta e ha sempre lavorato a Miami, dove ha altresì presieduto anche l’associazione di categoria Fmpta (Florida Motion Picture & Television Association), ha testimoniato che Betty Page è stata la migliore modella con la quale abbia mai lavorato. Interpellata al proposito, ha dichiarato che «all’inizio della mia carriera, lavorare con Betty è stato molto positivo. Rispetto a una banale figura di ragazza carina, con lineamenti regolari, che si può trovare a ogni angolo di strada, Betty aveva un’espressione del viso unica: una luce che mancava alle altre modelle. Inoltre, Betty era molto scrupolosa, e provava i costumi di scena prima di ogni sessione fotografica». Quindi, e ancora, tanti altri hanno fotografato Betty Page: per-
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UNA BOTTA E VIA
Una botta e via! Un flash e via! Un flash e nulla di più: ma, lei! Sorridente e scabrosa Betty. Trentadue visioni di Betty Page, più una, dalla collezione di Maurizio Rebuzzini, che comprende quattrocentottantanove stampe bianconero 10x13cm, con soggetto centrato 8,5x11cm. È così che Paula e Irving Klaw commercializzavano, negli anni Cinquanta, la loro produzione fotografica. È così che le fotografie di Betty Page, e di altre modelle coeve, sono sempre state stampate. Per quanto la Storia (quantomeno del costume) attribuisca oggi valori e significati a queste immagini, una nota è doverosa: formalmente fanno letteralmente schifo. Totalmente estranea a qualsivoglia altra intenzione, oltre la redditività della propria impresa, l’azione fotografica dei fratelli Paula e Irving Klaw non ha avuto alcun tratto in comune con i tempi e modi dell’evoluzione del linguaggio fotografico: è stata fotografia, perché era la forma più pratica e frequentabile per vendere le proprie donnine. Punto e basta. Così, il gesto fotografico è stato ridotto al minimo indispensabile, come anche sono state limitate le ambientazioni sceniche, ossessivamente ripetitive e ripetute: una Speed Graphic, un flash diretto e niente di più. Addirittura, neppure la leggendaria Speed Graphic 4x5 pollici (10,2x12,7cm), che ha contribuito a scrivere tanti capitoli della storia della fotografia, soprattutto tra le mani di intrepidi fotoreporter e fotocronisti (un nome ci basti: Weegee). Ma una Speed Graphic per pellicole piane di dimensioni ridotte, dalle quali le copie 8,5x11cm stampate a contatto. Ancora, nessuna abilità compositiva, né interpretativa, né capacità in camera oscura, là dove la sapiente applicazione di sviluppo e stampa ha prodotto le perle che definiscono la Storia. Sviluppi dozzinali, chimici esauriti o inadatti, pellicole rimediate in saldo: tutto per ridurre al minimo indispensabile i costi di produzione, con conseguenti maggiori guadagni e congrua redditività di impresa.
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Allora? Allora, noi oggi abbiamo tra le mani stampe fotografiche originariamente modeste (a essere buoni). Per questa mostra, oltre una ricercata alternanza e affinità di soggetti (in allestimento scenico preordinato), sono state individuate anche fotografie particolarmente significative dell’eterogeneità formale della produzione di Paula e Irving Klaw. Dopo l’acquisizione a scanner, per la conversione in file digitale, dal quale si sono ottenuti ingrandimenti formalmente appaganti, ogni soggetto è stato pazientemente lavorato (da Filippo Rebuzzini): spuntinature certosine, intervento di bilanciamento delle luci, saturazione o desaturazione di toni. Ovverosia, è stato fatto ciò che originariamente avrebbe dovuto essere fatto in fase di stampa e finissaggio, se solo Paula e Irving Klaw avessero in qualche misura assecondato la propria azione fotografica. Infatti, l’espressività della fotografia dipende anche dalla sua forma, dal suo aspetto. L’attualità dei software è paragonabile a quanto si è sempre fatto in camera oscura.
fino Weegee (Weegee - The Famous, diceva di se stesso)! E poi una miriade di non professionisti, per i quali Betty Page ha posato in sessioni fotografiche antesignane dei workshop di nudo dei nostri giorni attuali. Ma! Ma il mito e la leggenda di Betty Page dipendono poco, o nulla addirittura, da queste altre frequentazioni. Sì, le fotografie di Bunny Yeager, per dirne una, si impongono all’attenzione più e meglio di altre pose casuali, ma si iscrivono in altri fenomeni; le possiamo includere in altri contenitori genericamente maliziosi, forse persino erotici, adeguatamente stile anni Cinquanta e contorni. Mentre, il mito e la leggenda sono inviolabilmente legate e conseguenti alle fotografie di Paula (e Irving) Klaw! Affermazione perentoria. Da qualche tempo, molti parlano di Betty Page. Fino a qualche stagione fa, era conosciuta soltanto presso una identificata cerchia di cultori. Il cambio di rotta è stato avviato per merito e a causa di un film di David Lynch, Lost Highway (in Italia, Strade perdute; nelle sale dal giugno 1998), nel quale la protagonista si ispira esplicitamente al modello esteriore di Betty Page. Comunque, oggigiorno, la fama acquisita è ormai tanto universale che per la sua scomparsa, l’11 dicembre 2008, si sono impegnate tutte le agenzie giornalistiche internazionali. In Italia, tutti i quotidiani e tutti i telegiornali e giornali radio ne hanno dato ampia notizia. Però, da solo, il pur noto e apprezzato David Lynch, introverso regista alternativo, sempre osservato con attenzione dalla critica, avrebbe potuto fare poco se il suo film non fosse arrivato alla distribuzione statunitense in coincidenza di date con la pubblicazione di una attesa biografia: Bettie Page. The Life of a Pin-Up Legend, redatta a quattro mani dalla scrittrice Karen Essex e dall’avvocato di famiglia James L. Swanson (General Publishing Group; Los Angeles, 1996). Così che, registriamolo subito, Betty Page è immediatamente passata dalla clandestinità (che ha alimentato la leggenda) alla notorietà ufficiale. Tanto che, in quei giorni di quindici anni fa, circa, in Ita-
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lia fu trasmesso un efficace servizio televisivo (all’interno del programma Target, di Canale 5, domenica 20 aprile 1997) e pubblicato un esaustivo approfondimento giornalistico sul supplemento femminile di La Repubblica (La Repubblica delle Donne, numero 54, del 10 giugno 1997). Nata il 22 aprile 1923, come appena rivelato, Bettie Mae Page è mancata l’11 dicembre 2008, a ottantacinque anni. Autoesiliatasi, dopo le stagioni di palcoscenico fotografico è vissuta in California e si è completamente estraniata dal proprio mito, che è nato sostanzialmente per caso e che si è alimentato soprattutto alla fonte del mistero della sua scomparsa, ormai ufficialmente sciolto e svelato nella biografia appena citata. In precedenza, l’ipotesi più diffusa si rifaceva alla decisa attività della commissione antipornografia guidata dal senatore Estes Kefauver, che aveva puntato la propria attenzione sugli studi newyorkesi che negli anni Cinquanta proponevano bizzarre interpretazioni dell’erotismo visivo. Nella biografia, Betty Page racconta che la sera di San Silvestro del 1957 una serie di coincidenze le procurarono una crisi mistica, per la quale abbandonò la ribalta fotografica nella quale si era definitivamente affrancata. Tagliati i ponti con il proprio più recente passato, sparita dalla scena dalla sera alla mattina, ha vissuto un’esistenza sobria e tranquilla, lontana dai clamori che nel frattempo erano sorti attorno la sua personalità. Ora, corre l’obbligo precisare la cronologia ufficiale del mito. Ovviamente, come molte coetanee, anche Betty Page, o Bettie, ha cominciato tentando la strada del cinema, nel quale non è ri-
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uscita a entrare per colpa di un accento troppo marcato. Dalla natia Nashville, nel Tennessee, celebre per la musica country e rock & roll, si trasferì a New York, dove intraprese presto la carriera di modella. Non era bellissima, non era travolgente, ed era anche oggettivamente bassa con fianchi larghi (le fotografie meno riuscite dell’epoca denunciano e rivelano tutte queste imperfezioni), ma sapeva posare, era allegra e trasmetteva una leale e trasparente carica erotica, addirittura unica. Assieme a molte colleghe più appariscenti di lei, alle quali la Storia non ha però assegnato alcun ruolo (e dal mucchio oggi possiamo salvare soltanto i nomi di Lily St. Cyr, Blaze Starr e Tempest Storm, con lei nella scuderia di Irving e Paula Klaw), Betty posava sia nei Camera Club, circoli per fotografi non professionisti, sia nella sala di posa nella quale Irving e Paula Klaw producevano immagini maliziose e scabrose, commercializzate attraverso circuiti di vendita per corrispondenza sostanzialmente furtivi, occulti, sul filo della legalità. Ai tempi malvisto dalla cultura puritana anglosassone, tanto da essere perfino indagato dall’Fbi, che lo accusò di traviare la gioventù (e più precisamente di favorire, con le sue immagini, la vendita di giubbotti in pelle e coltelli a serramanico), oggi Irving Klaw è considerato un maestro e un caposcuola. Però, come rivelato, era la sorella Paula che fotografava: dunque è a lei che vanno attribuiti tutti gli eventuali meriti. Attenzione: non si tratta di fotografia raffinata e ben composta, come quella della moda e di altre applicazioni professionali in sala di posa. La tecnica fotografica di Paula Klaw era primitiva e semplificata -un colpo di flash e via-, lo studio era indigente e rimediato -un tavolinetto, una tenda, un divanetto e niente più-, la sua fantasia era misera; nonostante questo, e nonostante la limitatezza delle sue idee, ha preso forma una miscela esplosiva, che ha proiettato le proprie influenze avanti nei decenni. A conti fatti, la fotografia di Paula Klaw ha ispirato una genìa di interpreti dell’erotismo moderno: dalla fotografia di genere alla fotografia di moda (Horst P. Horst, Paul Outerbridge, Erwin Blumenfeld, Hel-
mut Newton), al fumetto, all’illustrazione, al cinema. Merito di tutto è proprio Betty Page, che ha interpretato talmente bene le modeste sceneggiature (sceneggiate?) di Paula Klaw da far precipitare in secondo piano tutta la povertà della sua fotografia. Ragazza solare (della porta accanto?), davanti all’obiettivo Betty Page si trasformava in seducente maliarda che indossava con disinvoltura audaci guêpière e improbabili guarnizioni in pelle. Sia presentandosi per se stessa, in biancheria intima che oggi possiamo definire abbondante (nelle dimensioni), sia interpretando le più acrobatiche situazioni bondage (sottomissione oggettivamente casereccia, fatta di fibbie, lacci e brividi assolutamente improbabili), Betty Page domina la scena e l’inquadratura. Il suo è stato un successo travolgente, estesosi su sette anni, dal 1950 al dicembre 1957, che raggiunse il proprio apogeo nel gennaio 1955 grazie al già citato paginone centrale di Playboy, realizzato da Bunny Yeager. Comunque sia, è doveroso inquadrare la dimensione moderna e attuale del fenomeno Betty Page all’interno del contesto sociale che a mio modo di vedere l’ha favorito. Per questo scarto un poco a lato, rilevando che l’interesse odierno per Betty Page non va considerato solo per se stesso e basta, ma va anche inquadrato nella più ampia rivalutazione -prima statunitense e poi planetaria (del mondo occidentale)- degli anni Cinquanta. Ovverosia di un’epoca nella quale ciò che Betty Page ha rappresentato (lo scandalo e la licenziosità) ha fatto parte di un più generale clima di speranze e allegria. All’indomani del buio di un devastante conflitto mondiale, il dopoguerra portò con sé uno stile di vita e una narrativa positivi. Lo stato d’animo era ottimista; le automobili, i primi elettrodomestici per la casa e perfino le persone erano splendide e brillanti. Dopo la depressione della guerra, sia negli Stati Uniti, sia nel resto del mondo, la visione di una esistenza solida e tranquilla si concretizzò nelle menti di tutti: ogni ipotesi e ogni conclusione parevano felici. Ufficialmente, non c’erano problemi.
E quelli che anche c’erano, ce li siamo ormai dimenticati. Nel momento in cui abbiamo assegnato agli anni Cinquanta l’aggettivo di “favolosi”, abbiamo altresì filtrato lo sguardo con lenti colorate in ammorbidenti toni rosa. Ecco perché nel corso dei decenni la solare allegria di Betty Page -il cui fisico era inferiore a quello di molte sue colleghe dell’epoca, l’ho già sottolineato- ha finito per prevalere su tutto e per imporsi come specchio dei tempi, come specchio di quei tempi, così come ci ostiniamo a considerarli oggi. Dall’introduzione a Betty Page Confidential, monografia illustrata pubblicata nel 1994 da St. Martin’s Press, New York; Buck Henry ricorda: «La prima volta che la vidi, fu alla metà degli anni Cinquanta. Stavo in piedi fuori del palazzo della 14th street sulla cui facciata era dipinta la gigantesca scritta “Irving Klaw Pinup Photos”. Una porta si aprì, e lei uscì sulla strada. Uomini e donne si voltavano per guardarla, per guardare la nera, nera, nera frangia dei capelli proprio sulla fronte. E, naturalmente, il sorriso. Era il sorriso che ti spezzava il cuore». ❖ Betty Page. Trentadue visioni più una dalla collezione di Maurizio Rebuzzini (fotografie di Irving e Paula Klaw), a cura di Filippo e Maurizio Rebuzzini; postproduzione di Filippo Rebuzzini; in collaborazione con Nital (distributore di Nikon) e Roland DG Mid Europe. Contemporary Concept, via San Giorgio 3, 40121 Bologna; 340-0710216; www.contemporaryconcept.it, info@contemporaryconcept.it. Dall’11 dicembre all’11 febbraio 2011; lunedì-venerdì 9,30-13,00 - 15,30-19,00, sabato 10,00-12,30, domenica su appuntamento. ❯ 29 gennaio 2011: presentazione del libro Betty Page, a cura di Maurizio Rebuzzini, pubblicato dalla casa editrice La Reclame, di Trento, con testi critici ed esplicativi di Maurizio Rebuzzini e Filippo Rebuzzini.
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Sguardi su Cinema
di Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 7 volte ottobre 2010)
L
STEFANIA SAPIO
La fotografia dell’impudore o dell’intimità rende autentica la vita di un uomo, di una donna o di un bambino che muore per fame ai quatto venti della Terra. Perfino un assassino è più vero dei suoi delitti, quando la sua faccia insanguinata cade in una fotografia. La fotografia mercantile, come la politica, si condivide con la criminalità e la volgarità, sempre. L’iconografia dell’intimità o dell’impudore mostra che la malinconia è più singolare o estraniante dell’alterigia e dell’entusiasmo consumati nei gazebi del consenso generalizzato (non solo elettorale). È umano, troppo umano forse, vedere il «mondo come un’opera d’arte che genera se stessa» (Friedrich W. Nietzsche); in virtù della poesia, le passioni più profonde godono di loro stesse e si trascolorano in specchio/riflesso dell’intera umanità. Una fotografia bella è una gioia per l’eternità. Il dire senza steccati è sempre una sfida all’indicibile, è vivere se stessi come verità che denuncia l’impensato.
SULL’ICONOGRAFIA DELL’INTIMITÀ La fotografia dell’intimità di Stefania Sapio contiene una filosofia del “privato” o una visione dell’“intimo” che va oltre l’autoritratto, il racconto familiare o la figurazione documentale della dolente vita quotidiana. Le sue immagini sono frammenti di vita affabulati in metafore esperienziali, che vanno a toccare le corde profonde dei sentimenti struccati. C’è dolore e c’è amore, nelle sue fotografie; più di ogni cosa, il suo sguardo veicola e testimonia qualcosa che è caduta e risorgenza al contempo: il canto figurale di una frantumazione del sogno a occhi aperti, che inventa un tempo imperfet-
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to e si disperde nel presente. C’è il tempo del piangere e il tempo del ridere: lo stesso tempo, aveva annotato. La fotografia dell’impudore di Stefania Sapio non reca nessun rispetto alla storiografia dell’immagine consumata nello splendore del falso d’autore, bensì ha il coraggio di demistificarla. La sua acerbità estetica è anche la sua forza, il coraggio di fotografare il dolore che conosce. Lascia il desiderio emergere da ogni fotografia fabbricata e respinge tutte le intenzionalità estetizzanti care agli artisti bruciati nell’autoincensamento.
re luce alla bellezza di una realtà che viene. Stefania Sapio dice di sé: «Ho trentacinque anni. Vivo in Irlanda, a Cork, da nove anni. Sono madre separata di due bambine, di sei e otto anni. Ho iniziato a fotografare all’età di ventitré anni. Ho frequentato un corso serale part time al Saint John’s Central College, di Cork, e un corso a tempo pieno di tre anni nello stesso college. Questo lavoro è iniziato negli anni del college, quando la mia passione per la fotografia è nata e cresciuta assieme a un importante cambiamento nella mia vita personale: la maternità e il ten-
«Felice colui che scivola in volo sulla vita, e comprende senza sforzo il linguaggio dei fiori e delle cose senza voce» Charles Baudelaire C’è sempre un pizzico di follia, nell’amore che si confronta con i valori e le moralità dominanti. L’insolenza delle sue immagini fruga intimità familiari, amicali -è vero-, tuttavia è il carattere di una donna in cammino verso la felicità, che cerca e vede in una casa borghese la bellezza innocente dei suoi bambini, un letto sfatto di sogni o un uomo che di spalle guarda la sua solitudine in un giardino fin troppo pulito... di più. Il suo immaginale raccoglie le spoglie di una dimenticanza, una giovinezza sfiorita, antiche speranze andate in frantumi e lascia il fantasma del proprio sentire a chi legge le sue icone disadorne. Il talento, ancora non espresso completamente, non è qui un ornamento, ma un mezzo per finire di nascondersi e da-
tativo di costruire una famiglia, seguito velocemente da una separazione inevitabile. «Al college, usavo una compatta con pop-up flash. Le fotografie erano istantanee, veloci, emotive e il soggetto limitato al mio nucleo familiare. Ora uso una Zenza Bronica, medio formato; il mio approccio è più lento, meditativo e anche più aperto. Le mie fotografie sono testimonianza del mio vissuto quotidiano, così come un invito a riflettere e condividere dubbi, pensieri, sensazioni con qualsiasi essere umano interessato. Sono un’esplorazione di quell’ambiguità di fondo dell’uomo, espressa attraverso la fotografia come mezzo più consono ad esprimerla. Parlo di quell’istintivo senso di appartenenza al mondo della natura, a un territorio sconfinato senza
punti di appiglio, opposto al bisogno di sentirsi ancorati a un terreno più solido, espresso nella tendenza a voler delineare la propria identità, trascriverla in una specie di diario visuale, una storia fatta di immagini, ed espanderla continuamente, arricchendola di nuove passioni e significati. Fluttuare liberi in un’immagine, senza un contesto ben definito e un tempo narrativo, o cercare di visualizzare una memoria, un ricordo di un’esperienza significativa. «Questi rettangoli di realtà trasformano esperienze vissute, luoghi e volti incontrati in una più generale “visione del vivere” o senso di “stare al mondo”. Tutti i soggetti delle mie fotografie sono persone vicine a me, familiari, amici. Questo si riflette nell’intimità delle immagini, intimità che è anche fragile e a volte illusoria. Quel legame affettivo tanto ambìto, o senso di appartenenza a volte si rivela troppo stretto, quasi una costrizione alla libertà individuale». Straordinario modo di parlare di sé, della propria fotografia e di ciò che è l’amore, l’odio, l’ira... sopiti nella terribilità di essere donna/uomo su questa Terra. Ciascuno detiene il coraggio di ciò che veramente sa, o è solo poca cosa di fronte all’inavvertenza di tutte le cose. La bellezza si difende da sé e nessuno (o pochi) la capiscono. Motto di spirito: chi fa fotografie dal vero non vuole essere celebrato, ma compreso fuori dal pregiudizio. Nella fotografia dell’intimità realizzata da Stefania Sapio non ci sono né partenze né ritorni, ma tracce, attraversamenti, luoghi “respirati” nella singolarità dell’evento... chiarezze intuitive, dove la sola salvezza è uscirne, e cammini o infiniti sguardi dell’ignoto dispiegati verso l’indomani. Vi so-
Sguardi Cinema su no fotografie che fanno alzare la voce, altre che impongono il silenzio; le prime sono parte del vuoto spettacolarizzato della cultura dominante, le altre piccoli rettangoli di verità non prostituite al feticismo della merce. Si tratta di non amare altro che quello che si vive, in modo da non approssimarsi troppo in fretta a ciò che muore nelle banalità dell’ordinario. Il fare-fotografia nella trasparenza del vero significa infrangere il cantico della famiglia, l’apologia del lavoro, l’adorazione dei simulacri dottrinari, politici, sapienziali: mostrare la sofferenza e il sangue dei giorni, lavorare nella solitudine, nel disagio, nel disinganno, ma anche comprendere che l’amore e solo l’amore può essere la chiave o l’uovo fecondo dal quale si schiuderà il mistero, la meraviglia o lo stupore di un’epoca. Va detto. Al fondo della fotografia dell’intimità c’è il dissidio, lo strappo, la rivolta contro l’ordine costituito, credo: una poetica del distacco da tutto quanto è ragione, regola, genuflessione ai comportamenti indotti; ancora, c’è la ricerca di una vita autentica fuori dall’avidità e nell’intemperanza sognata di destini incrociati come ri/appropriazione di sé. «Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo» (Charles Baudelaire, diceva). Nelle acque gelide della realtà, sovente si affogano affetti familiari, amicali, relazionali. La vergogna attanaglia anche gli spiriti più nobili, e ciascuno è prigioniero delle proprie abitudini; la menzogna diventa pratica condivisa e tutto muore nella falsità dell’inautentico. Là dove la libertà è una necessità interiore e mostra differenze e contraddizioni, più di ogni cosa, l’esercizio della libertà è il modo migliore per infrangere tutte le sacralità delle tavole comandamentali (dell’imperativo conviviale) e chiede solo la fine del dolore. Bellezza, bene e giustizia sono alla base di una vita autentica, e la verità, sotto ogni
aspetto, è il coltello che affonda nel cuore dell’ingiustizia, la disvela e la rende innocua. La fotografia dell’intimità è un gioco di specchi, linguaggi, creatività che mostrano quello che per i poeti è diritto, per i politici un crimine legalizzato. Ogni forma d’arte è tanto più umana quanto più è libera.
SULLA FOTOGRAFIA DELL’IMPUDORE La fotografia dell’impudore o dell’intimità non ha niente a che vedere con tutto quanto circola o viene smerciato nel pornografico galleristico o museale. È una liberazione di spiriti che stanno in catene, o di anime belle che si chiamano fuori dalla mediocrità. In questa scrittura visuale del margine, ma non marginale, il disprezzo contro il conforme e il prestabilito è forte. Al fondo della malinconia, c’è tanto la caducità, quanto la grandezza della felicità, diceva. Pretendere di possedere ed essere posseduti in amore non è solo una presunzione imbecille, è uno stato d’innamoramento senza verità: l’inclinazione dello schiavo a farsi tiranno e fare dell’amore dell’uomo per l’uomo un immondezzaio di consuetudini e arroganze accettate, al di là del bene e del male. «Eravamo amici [eravamo amanti] e siamo diventati estranei. Ma è giusto così e non vogliamo dissimulare come se dovessimo vergognarci» (Friedrich W. Nietzsche). Non esiste infelicità più grande tra Cielo e Terra che la fotografia non sia in grado di catturare nella falsa coscienza della storia. La fotografia dell’impudore di Stefania Sapio racconta la sua intimità familiare. I corpi, volti, gesti, luoghi che coglie con la macchina fotografica sono tasselli della propria esistenza. L’immagine di lei nuda con i suoi bambini nudi (una bambina stringe una bambola nuda al corpo), il ritratto del nonno morto, il bambino un po’ “svantaggiato” che gioca in un parco con un cane e un pupazzo di neve
(che riproduce il cane), la madre nuda, distesa sul letto con il marito accanto, vestito, con una mano appoggiata sulla sua pancia, il braccio della sorella proteso verso gioielli, orologi, anelli, catenine d’oro, il salotto illuminato dal sole, un angolo della casa e un giornale semiaperto sul divano (da una vetrata, un albero in fiore raccoglie lo sguardo) sono immagini che suggeriscono uno stato interiore delicato, dolce e allo stesso tempo ritagliano una lacerazione, una responsabilità, un’investitura o un flusso ereticale che sconfigge l’indifferenza e, in forma di bellezza, articola il coraggio del nuovo. Soltanto chi sa dove il suo cuore lo porta, sa anche qual è la poetica che lo dirige verso i suoi meriti etici. A tratti, il taglio delle fotografie di Stefania Sapio è scolastico (i piedi incrociati su un lenzuolo bianco), altre volte è affettivo (la bambina con gli occhi chiusi, la sabbia sul viso e l’ombra della madre dietro di lei), o descrittivo (l’uomo seduto in una poltrona, con in mano un orsetto di pezza, che guarda una ragazza in jeans, inquadrata fino al seno). L’insieme delle sue immagini, comunque, resta lì sulla pelle del vissuto e dissemina un’iconologia sensuale contro la cattività, l’oppressione e l’irragionevolezza dell’inferno. I colori, i bianconeri, i controluce propongono un’educazione alla sensibilità e diventano discorso intelligibile di un’anima fragile e forte insieme. Esprimono il sovvertimento dei valori costituiti e si fanno portatori di un modo differente di affrontare il mondo. Nella loro garbata riservatezza scoperta, le immagini del privato di Stefania Sapio annunciano la conversione degli opposti e sembrano dire che il destino dell’uomo dipende dal suo modo di affrontare la realtà. Il fascino estraniante o stregato di queste fotografie rimanda alla parola mai detta, all’infelicità mascherata, alla
violenza esasperante della quotidianità mai affrontata. L’amore è sempre dove non si guarda; l’amore ama nascondersi nel florilegio di bellezze incolte, ma lascia segni profondi o tracce indelebili nei nonluoghi dell’anima. L’amore è sempre altrove, ma solo l’amore si accorda con quella situazione di verità che restituisce alla vita la bellezza che le è propria. L’amore immaginato come liberazione rompe il potere di chiunque, e l’irruzione di un’immagine nel confortorio della ragione imposta porta in sé la seminagione di altre felicità senza protervia. In questa fotografia della condivisione estrema o dell’imperfezione, l’oblio vince sull’ordine e si abbandona alla purezza che combatte l’impostura. La fotografia dell’impudore raccoglie la verità in rovina; non è né confessione, né rimorso: è l’innocenza del divenire, che prendere in eredità la speranza di nuovi sogni, legge le cancellature dell’anima ferita e si coniuga al futuro che avanza. Ciascuno diventa colui che la vita non gli ha consentito di essere, epifania di un silenzio troppo a lungo sopportato ed eversione contro l’ignoto che sanguina dolore. È un fare-fotografia del fuori, un linguaggio esplorato di possibilità scritturali che differiscono per affermare l’impossibilità di essere normali. La fotografia dello spirito è l’immagine che scalfisce quanto incide, un’ostentata resurrezione dell’anima in amore che si dispiega oltre gli orizzonti del sogno. A un discepolo, secondo il quale la fotografia dell’impudore non era così perfetta come credeva, il maestro rispose: «L’angoscia della fotografia così fatta è di non sapere mai veramente che sia profondamente bella, ma è proprio in questo [bella] che risiede il suo mistero». E aggiunse: «Forse non c’è fotografia veramente “bella” se non quella che aderisce alle capacità di ciascuno di esprimere l’amore sen-
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Sguardi su za steccati, e si può vedere due volte senza bruciarla! Ciascuno è padrone della propria fame di bellezza». Fotografare il reale è dissotterrare i paletti del limite, disvelare gli spazi truccati, capovolgere la situazione data: riportare il visibile alla luce e sconfiggere la visione perversa del buio. Non si tratta di rinunciare alla propria riservatezza, al proprio pudore, ma di accentuarlo. L’inquietudine degli spiriti liberi è l’interrogazione e la risposta a tutte le insicurezze o le sopraffazioni. Per la libertà, come per la bellezza, non ci sono catene. La fotografia della verità offende. La scrittura fotografica dell’impudore non s’impara a scuola, ma nella strada. Lewis Carroll, E. J. Bellocq o Man Ray, dall’alto delle loro differenze espressive immortali, hanno
incentrato le proprie opere sulla bellezza dell’impudore; e bambine, puttane, mogli, compagne sono icone di una psicologia del profondo, che manifestano il volo in libertà dell’anima bella... e l’anima a sempre a che fare con la bellezza... il coraggio del cuore di battersi per le sue emozioni. Quando tutto sembra perduto, la bellezza dell’anima di ciascuno porta a rileggere i significati del proprio destino. La ricerca del vedere dentro, dell’intuizione, della percezione dell’altro è al fondo del fotografare. E la libertà, il desiderio, la bellezza del vero che si spinge fin dove può penetrare (la fotografia del profondo) è una fusione di corpi, di comportamenti, di accidenti, che cercano una dimora e a partire da dove si è vanno a costruire le immagini più autentiche della nostra epoca. ❖
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