Il Paradigma Smart City- Verso Smart City Exhibition- 2013

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Il paradigma Smart City. Verso SMART City Exhibition 2013

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Il paradigma Smart City. Verso SMART City Exhibition 2013 A cura di Claudio Forghieri e Andrea Mochi Sismondi Edizioni FORUM PA – Aprile 2013 ISBN 9788897169239

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Indice INTRODUZIONE

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Le dimensioni della Smart City

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Le tecnologie abilitanti

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I nodi da sciogliere

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Smart = collaborare e condividere

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Le parole dell’innovazione a SCE2013

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INTELLIGENZA COME VISIONE

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Progettare uno spazio pubblico intelligente

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La città sicura

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LA PIATTAFORMA TECNOLOGICA ABILITANTE

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L’infrastruttura di rete e la banda larga

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Smart personal device e alfabetizzazione informatica

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Cloud Computing

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Open Data e infrastrutture aperte

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Top Down e Bottom Up, i rischi di un approccio monodirezionale

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La massa critica

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Big Data

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Nuove modalità di informazione e interazione: verso i responsive public space

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La Geomatica al servizio della Smart City

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Spazi urbani e tecnologia: il ritorno delle fabbriche nel cuore della città

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IL MODELLO ORGANIZZATIVO

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UNA NUOVA IDEA DI CITTADINANZA

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La città creativa

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Social Innovation

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Dal mercato alla pianificazione inclusiva

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UN NUOVO PARADIGMA COMUNICATIVO

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Smart City e Social Media

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La città educante

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LA SOSTENIBILITÀ NELLA NUOVA CITTÀ

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La sostenibilità economica dei progetti di Smart City

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Sostenibilità ambientale ed efficienza energetica nella città intelligente

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Mobilità sostenibile in città

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CONCLUSIONI: CONDIVIDERE PER MIGLIORARE

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Introduzione

In un momento di grande difficoltà del Paese come quello che stiamo vivendo, pensare alle città e a ciò che significa farle evolvere verso comunità intelligenti è qualcosa di fortemente strategico. In questo paradigma, che poggia sui pilastri della partecipazione, dell’innovazione sociale e tecnologica, della sostenibilità, sono contenuti il senso di una rinascita necessaria e la forza della storia che caratterizzano l’Italia. Proprio per questo motivo la via italiana verso la Smart City non può che essere originale e peculiare per ogni diversa realtà territoriale. Gli spazi urbani concentrano oggi la maggior parte dei problemi ma anche le opportunità per risolverli. All’incertezza economica, accentuata da una crisi ormai cronicizzata, si sommano problemi sociali, ambientali e di governance. La qualità della vita diminuisce e per la prima volta forse dal dopoguerra, i genitori sentono che lasceranno ai figli meno di quello che hanno ricevuto dalle proprie famiglie. Lo spettro di una crisi energetica annunciata, che i governi tardano ad affrontare con decisione, incide sulla percezione del futuro delle imprese e delle famiglie. La politica perde di rappresentatività, nascono movimenti dal basso che vivono sulla rete e seguono traiettorie impreviste ma efficaci, rivoluzionando lo scenario elettorale con un forte impegno sulla dimensione locale. In questo contesto incerto si innestano però opportunità straordinarie, da cogliere in quel nuovo “spazio digitale della città”, fatto di connettività e apparati, di capacità di calcolo e storage, di applicazioni verticali e servizi che, se integrato con strumenti e soluzioni in grado di abilitare il civic empowerment, può portare a soluzioni nuove, innovative ed efficaci. Alla ricerca, quindi, di nuovi modelli operativi, nuove soluzioni condivise per risolvere problemi comuni ai quali, per ora, non si sono date risposte adeguate.

Le dimensioni della Smart City È in questo scenario che nasce l’impegno di FORUM PA, che lungi dal cavalcare una moda o l’hype del momento, segue invece una linea di continuità concreta che lega la Smart City con la dimensione dei piani strategici, l’importanza del marketing territoriale, la prospettiva dell’Open Government, l’attenzione costante all’innovazione sociale e tecnologica. Nascono e si sviluppano così le due grandi manifestazioni di riferimento – FORUM PA a Roma e SMART City

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Exhibition a Bologna – con l’obiettivo di aiutare i territori e le comunità a ragionare su questi temi, a individuare percorsi costruttivi che non si esauriscono con le parole d’ordine stagionali ma invece ne estraggono l’essenza positiva destinata a durare. È dunque dalle città che occorre ripartire, individuando le dimensioni feconde nelle quali tecnologia, partecipazione e innovazione sociale possono divenire i driver dello sviluppo e di una diversa percezione della qualità della vita. La dimensione economica e della crescita sostenibile, grande malata del nostro Paese, che dalle imprese innovative può trarre grande giovamento. Su di essa giocano un ruolo essenziale la capacità del territorio di attrarre talenti e finanziamenti, la volontà di creare un terreno favorevole per il sostegno della giovane impresa, la determinazione nel fare dello spazio urbano un laboratorio vivente di sperimentazione. È in questa dimensione che emergono con evidenza le profonde differenze fra le città connesse e quelle isolate, dove per connessione s’intende quella capacità di fare rete a livello locale, fra gli attori del territorio, ma anche a livello nazionale ed internazionale, nutrendo le relazioni virtuose che portano alla città idee, progetti, finanziamenti, opportunità, persone. La dimensione sociale, profondamente trasformata dall’avvento della rete e dei Social Media, che ne hanno influenzato le dinamiche, da un lato ampliando all’infinito le capacità relazionali – abbattendo le distanze e il tempo e al contempo inaridendone spesso la sostanza - dall’altro creando nuove sacche di emarginazione digitale. È la dimensione dove occorre ridefinire il perimetro dei beni comuni, dove lievita il valore dei beni relazionali, dove si gioca la battaglia dell’inclusione dei nuovi cittadini e dei vecchi esclusi. È qui che occorre esaltare le capacità delle nuove tecnologie affinché informazione e conoscenza divengano un bene condiviso e accessibile. La dimensione della governance, sempre più bisognosa di una visione sistemica che esalti le potenzialità degli stakeholder e ne connetta le risorse, in una nuova logica comunitaria che veda ridefinirsi profondamente la relazione fra amministrazione e amministrato, fra controllore e controllato. È qui che entrano prepotentemente in gioco i principi dell’Open Government, che si ridefiniscono i confini di trasparenza e di accountability dell’azione dei governi. Nuovi modelli operativi e nuovi approcci vengono messi in moto, che si nutrono sempre meno di possesso, di ownership, e sempre più di condivisione delle risorse, di disponibilità dei mezzi, di sharing. Sono nuove forme di bene comune, nuove modalità di trasmissione della conoscenza, che sono in grado di rivoluzionare i modelli di governo che conosciamo. È in questa dimensione che la partecipazione, esaltata dalle potenzialità della rete, è in grado di creare uno straordinario valore pubblico nelle varie forme della co-progettazione, del co-design, del civic hacking, del crowdsourcing, del participatory sensing. La dimensione culturale, dove nuove forme di creatività s’intersecano con la necessità di valorizzare lo straordinario patrimonio urbanistico, architettonico e artistico del Paese. È qui che occorre concepire nuove forme di accesso e contaminazione positiva; dove si può avviare un nuovo Rinascimento il quale, come seicento anni or sono, non può che nascere dalle città. È la dimensione dell’urban hacking, che modifica lo spazio urbano per adattarlo alle nuove esigenze dei cittadini; dei Living Lab, in grado di trasformare il territorio e i suoi abitanti in micro aree di sperimentazione consapevole; del contagio creativo che porta modalità nuove di problem solving negli processi decisionali e nei modelli di business. La dimensione ambientale, della sostenibilità, dell’efficientamento energetico e operazionale. È su questo piano che si sono sviluppati i progetti più significativi che caratterizzano le metropoli europee e del Nord America, dove si possono scorgere i benefici più immediati e tangibili. È la dimensione della mobilità sostenibile, dove si misurano le piste ciclabili e la walkability; dei mercati a kilometro zero, degli orti urbani e della riforestazione, alla ricerca di un rinnovato equilibrio fra natura e spazio urbano; di una diversa gestione del ciclo dei rifiuti e del controllo delle emissioni, in una rinnovata attenzione alla qualità del vivere in città che incide sulle scelte quotidiane, sulla logistica, sugli stili di vita.

Le tecnologie abilitanti A queste aree di lavoro si aggiunge quella nuova dimensione spaziale che permea il territorio, costituita da bit che s’integrano in modo inscindibile con gli atomi delle strade, la sostanza degli edifici e con le attività dei cittadini che le abitano.

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Le tecnologie che rendono reale e concreta questa dimensione trasformano la città in un organismo vivente costituito da strati connessi funzionalmente e gerarchicamente. Lo strato a diretto contatto con il territorio e i suoi abitanti, costituito da apparati per ricevere, trasmettere e acquisire dati: sensori, attuatori, videocamere, smartphone e apparati mobili di vario genere. Questo livello costituisce la condizione nuova e rivoluzionaria che per la prima volta nella storia dell’uomo abilita livelli straordinari di partecipazione e al contempo di controllo delle attività funzionali. Lo strato per comunicare, la rete fatta di cavi e onde che consente la circolazione dei dati. A questo livello, dove gli aspetti più importanti sono le performance e i costi, il Paese manifesta preoccupanti ritardi che solo una rapida applicazione delle azioni previste con l’Agenda Digitale possono iniziare a sanare. Lo strato di elaborazione e memorizzazione, teso a produrre una condizione di real time government, anche grazie alle straordinarie risorse oggi disponibili in Cloud Computing, che consente di concentrare le risorse di calcolo lontano dagli apparati. A questo livello occorre distinguere fra le applicazioni verticali, tese alla realizzazione di servizi specifici – telesorveglianza, traffico, monitoraggio ambientale, ecc. - e le indispensabili piattaforme d’integrazione e controllo che consentono il governo del sistema.

I nodi da sciogliere Questi tre strati tecnologici sono abilitanti, costituiscono la base di gran parte dei progetti più innovativi, devono essere compresi dalle amministrazioni e introdotti nei piani di sviluppo della città. L’edizione 2012 di SMART City Exhibition ha proposto questa componente tecnologica sia affrontando in sessione plenaria il modello complessivo, sia declinando in seminari e convegni dedicati le diverse soluzioni verticali per temi come mobilità, energia, partecipazione. Ci sono però alcuni nodi da sciogliere che rischiano di limitare il potenziale dirompente delle Smart City. I progetti che prevedono l’installazione di reti di sensori si stanno sviluppando in tutto il mondo, fortemente sostenuti dalle imprese del settore forti dei risparmi che possono produrre nella gestione delle attività. Città come Santander, in Spagna, o Rio De Janeiro, in Brasile, dispongono già oggi di migliaia di dispositivi di controllo. Se in alcuni casi, come nel caso dei lampioni intelligenti, è semplice calcolare i vantaggi economici che si possono ottenere, per altre applicazioni la sfida è ancora aperta. La validità dei modelli di business in questo campo – dalla vendita dei dati alle imprese, alle partnership pubblico private – è ancora da dimostrare e la condizione dei bilanci pubblici e delle utilities locali non incoraggia forti investimenti. Servono progetti pilota che portino a comprendere come generare valore e in quali tempi, occorre individuare città laboratorio nazionali che siano il banco di prova della sostenibilità delle soluzioni. I modelli vincenti di partnership pubblico privata saranno sempre più determinanti per la realizzazione delle Smart City. È prevedibile una forte competizione fra le città che riusciranno a porsi come partner affidabili nei confronti delle imprese. La definizione di una visione chiara a medio/lungo termine degli sviluppi e delle priorità del territorio, la presenza di un management competente, le relazioni internazionali della città, diventeranno gli asset decisivi in questa competizione. Per il successo di molti modelli di partnership, divengono fondamentali nuovi strumenti puntuali di misurazione delle performance in grado di quantificare con certezza e tempismo i risultati operativi raggiunti. È poi necessario sperimentare modelli innovativi di procurement pubblico, basati sul concetto di success fee e in grado di aggirare gli ostacoli del patto di stabilità. È di fondamentale importanza che in questa fase di forte proliferazione di progetti sperimentali, il Paese riesca a indirizzare con chiarezza gli enti e le imprese verso l’adozione di standard condivisi, possibilmente a livello internazionale, in modo da rendere il più possibile interoperabili le soluzioni. Il ricordo della caotica fase di avvio dei progetti di e-Gov, quando sono state sviluppate soluzioni incompatibili fra Regioni confinanti, è ancora troppo vivo per non preoccupare.

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L’alfabetizzazione informatica del personale pubblico e dei cittadini è un pilastro fondamentale per la realizzazione delle Smart City. Serve far maturare una nuova consapevolezza che sia scintilla per l’innovazione a tutti i livelli. Questo è un compito della scuola, rispetto alle giovani generazioni, ma è anche e soprattutto delle città, che devono farsi carico di programmi capillari di sensibilizzazione. Le città possono disporre di strumenti straordinari per il controllo in tempo reale delle funzioni vitali del territorio, a patto che siano equipaggiate dei corretti supporti decisionali – in particolare di forme evolute di rappresentazione dei dati e delle informazioni – e che si attui una profonda trasformazione delle modalità organizzative, oggi ancora troppo legate a processi analogici, lenti ed inefficaci. Anche in questo settore, la formazione della leadership e di un management competente è di grande importanza. L’Agenda Digitale italiana affronta il tema delle Smart City nel cosiddetto Decreto “Crescita 2.0” parlando genericamente di “comunità intelligenti”, di un piano nazionale che ne dovrà indirizzare le attività e di un comitato nazionale per gestirne la governance con il supporto dell’Agenzia per l’Italia Digitale. È un approccio interessante e rispettoso delle complessità del Paese, ma allo stato attuale è forse troppo vago. Abbiamo bisogno di definizioni più precise: cosa s’intende esattamente per “comunità intelligenti”? A quale dimensione territoriale e a quale perimetro istituzionale si fa riferimento? Mentre in Europa si ragiona di Smart City e si definiscono i confini dei prossimi importanti finanziamenti comunitari, in Italia mancano ancora questi presupposti definitori e il rischio è ancora una volta la perdita di importanti opportunità di finanziamento.

Smart = collaborare e condividere Ma la Smart City, come abbiamo già avuto modo di affermare, non è solo tecnologia. Ci sono anche materie prime immateriali e “beni relazionali” che si chiamano partecipazione, collaborazione, condivisione, declinabili in numerosi approcci innovativi e stimolanti. Il crowdsourcing, che rivoluziona grazie alla rete la dinamica del bando pubblico estendendone la partecipazione a popolazioni sconosciute; il citizen sensing, che trasforma gli abitanti in antenne volontarie della città senziente; le tecniche di co-design, che consentono di inserire il punto di vista dei cittadini nelle fasi fondamentali della progettazione dei servizi e degli spazi urbani; le logiche di gamification, che applicano le tecniche dei videogiochi per realizzare simulazioni delle funzioni della città e supportare i processi decisionali; il co-working, che rimodella gli spazi produttivi su nuove forme più vicine alle esigenze del lavoratore. Queste moderne logiche collaborative e la ricerca di nuove forme di condivisione – del rischio, delle risorse, dei finanziamenti – indicano chiaramente che la squadra per giocare la partita della Smart City schiera a fianco delle amministrazioni locali non solo le imprese e lo Stato ma anche il terzo settore, i cittadini organizzati e le università. È un salto culturale profondo che viene richiesto a Sindaci e amministratori, migliorare la governance e le performance della città operando in una logica di rete con il supporto dalle tecnologie. È una strada a senso unico, pena il sorpasso ad opera degli stessi cittadini, che grazie alla rete si organizzano e intervengono laddove la città è assente. Come accade in Sud America, dove gruppi di volontari dipingono piste ciclabili e strisce pedonali che i progettisti hanno dimenticato di considerare.

Le parole dell’innovazione a SCE2013 Sono sufficienti le misure previste dall’Agenda Digitale italiana per raggiungere questi obiettivi? Probabilmente no. Così come non lo sono il Piano Città del Ministero per le Infrastrutture e i bandi 2012 del MIUR, che hanno avuto però il grande merito di stimolare finalmente l’attenzione delle imprese e delle amministrazioni locali italiane su questi temi. Non è un caso se per scrivere questo testo abbiamo dovuto fare necessariamente ricorso ad un numero elevato di parole in lingua inglese. Sono spesso neologismi, concetti innovativi che nascono, però, lontano dal nostro Paese e sono difficilmente traducibili.

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Siamo certi che anche in Italia sia possibile tornare a coniare le parole dell’innovazione, come è successo tante volte in passato. E’ con questo spirito, avendo ben chiaro il ruolo strategico dell’innovazione urbana, condizione indispensabile per lo sviluppo del Sistema Paese al di là delle definizioni più o meno passeggere, che FORUM PA e BOLOGNAFIERE hanno deciso di organizzare SMART City Exhibition. La prima edizione, SCE2012, svoltasi a Bologna dal 29 al 31 ottobre 2012, ha riunito i maggiori esperti italiani e internazionali provenienti da quindici nazioni, i policy maker di centocinquanta città e numerose imprese italiane. Un grande momento collaborativo e di lavoro che questo documento riassume solo in parte estrapolando alcune brevi frasi e l’essenza di circa cinquecento relazioni e presentazioni – disponibili sul sito www.smartcityexhibition.it - per le quali ringraziamo tutti i relatori e i partecipanti ai laboratori che non possiamo che considerare come co-autori. La prossima edizione, SmartCityExhibition 2013 si tiene ancora una volta a Bologna, dal 16 al 18 ottobre 2013, con alcune importanti novità. La manifestazione è pienamente integrata e contemporanea con il SAIE 2013, il Salone dell’Innovazione Edilizia, e presenta così ai visitatori una proposta più ampia e approfondita su tutto il tema delle costruzioni sostenibili e intelligenti. Il programma dei convegni conferma un’importante presenza di città europee ed esperti internazionali, per stimolare il confronto con le realtà nazionali e la nascita di nuove partnership sui progetti. Il programma dei laboratori - il format forse più innovativo della manifestazione, dove si incontrano esperti di varia provenienza con l’obiettivo di elaborare soluzioni tangibili – è stato arricchito per rispondere alla richiesta delle città italiane di avere momenti costruttivi di lavoro condiviso. L’area espositiva, ulteriormente ampliata per consentire l’integrazione con il SAIE, prevede ampi spazi per il networking e l’incontro domanda-offerta oltre ad alcune sezioni tematiche nuove, come quella sulla mobilità sostenibile. Mentre si confermano le solide partnership con ANCI, Regione Emilia Romagna e Comune di Bologna, veri volani del successo della prima edizione, si amplia il gruppo di amministrazioni che ha individuato nella manifestazione il luogo ottimale per presentarsi in una logica di community territoriale insieme ad enti e imprese locali.

Una sezione specifica della manifestazione sarà dedicata ai progetti finanziati dai bandi MIUR 2012, in modo da consentire un costante aggiornamento sullo stato di avanzamento dei lavori. Non abbiamo dubbi sul fatto che ci sia bisogno di un’occasione di lavoro come SMART City Exhibition per consolidare lo sforzo innovativo che stanno facendo tante città italiane. È per questo motivo che il programma della manifestazione è aperto alle proposte e ai suggerimenti che ci auguriamo giungano numerosi nei mesi che ci separano dalla manifestazione. I capitoli che seguono si propongono di cominciare concretamente il lavoro di definizione della Smart City, partendo proprio dalle parole d’ordine della scorsa edizione di SMART City Exhibition. Tratteggeremo quindi brevemente i concetti principali che da lì sono usciti, ne vedremo gli esempi più convincenti, ci soffermeremo sui punti ancora in sospeso, con la profonda convinzione che siamo davanti ad una sfida epocale che non possiamo permetterci di perdere, né tantomeno di sottovalutare.

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Intelligenza come Visione Perché le nostre aree urbane possano competere a livello internazionale occorrono visione politica e strumenti adeguati che permettano al tema del Change Management di conquistare il centro dell’Agenda. E questo si ottiene restituendo alle città la possibilità di fare investimenti. (Graziano Delrio – Ministro per gli Affari Regionali e delle Autonomie)

La Smart City che emerge dai numerosissimi interventi dei protagonisti di SMART City Exhibition 2012 è una città intesa prioritariamente come insieme di reti funzionali in grado di decodificare i dati che le nuove tecnologie mettono a disposizione per interpretare la sua vocazione e scegliere il suo ruolo nella relazione con i propri cittadini e all’interno del panorama internazionale. Una città in grado di relazionarsi con il momento che stiamo vivendo attraverso la produzione di interpretazioni condivise e partecipate, capace di aprirsi agli stimoli interni ed esterni, di proporre e abilitare nuovi stili di vita più sostenibili, e di generare nuovi processi di crescita e produttività che sorgano dal basso.

Il modello delle Smart City si basa sull’integrazione della componente di sensing con quella di actuation. Questo è quello che accade a tutti noi quando incontriamo gli altri perché qualsiasi sistema dinamico vivente si basa sulla raccolta di informazioni e sulla risposta ad esse. Quando i sensori e la tecnologia saranno diffusi potremo finalmente dimenticarcene e grazie ad essi tornare a creare spazi sociali e a vivere in buone condizioni ambientali. (Carlo Ratti – MIT Boston) Tra eletti ed elettori esiste un gap informativo che fa funzionare male la politica. Se le persone potessero osservare lo stato delle città in cui vivono attraverso degli indicatori che ne misurano il benessere equo e sostenibile prenderebbero delle decisioni più accurate e la selezione dei politici sarebbe migliore. (Enrico Giovannini – Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali)

Il primo passaggio – su cui concordano tutti i relatori – è quindi quello dell’adozione di una visione di mediolungo termine, certamente al di là delle scadenze di mandato, intorno a cui consolidare un consenso che superi la dimensione della macchina amministrativa. Non esistono infatti comuni intelligenti, ma città intelligenti che si realizzano grazie allo sforzo congiunto dell’amministrazione pubblica, dei partner privati, dei protagonisti del terzo settore, delle università, dei centri di ricerca e naturalmente di quella cittadinanza che, se messa nelle condizioni di esprimersi, si è sempre dimostrata attiva. Abbandonare il solipsismo dell’amministrazione ed entrare in contatto con le forze attive in città significa anche – per i Comuni – cogliere l’opportunità di ri-orientare il public procurement utilizzando le nuove tecnologie per raggiungere importanti obiettivi di contenimento della spesa. Parliamo di una vocazione che si fa strategia, anche attraverso l’adozione di pratiche, come il Pre-Commercial Procurement (PCP), che permettono di incentivare la ricerca sul proprio territorio e di guidare lo sviluppo di soluzioni innovative in grado di soddisfare le esigenze cittadine.

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In quest’ottica si profila la necessità di ripensare l’organizzazione dei servizi e delle strutture che li erogano a partire anche dall’idea di città che si vuole proporre. Un servizio offerto in una logica smart è infatti orientato principalmente alla domanda e non può presupporre settorialità che ne parcellizzino il percorso. Le esperienze internazionali più interessanti indicano ad esempio nella riorganizzazione delle strutture dirigenziali comunali su piattaforme trasversali piuttosto che su settorialità verticali un passaggio di dimostrata efficacia per l’attivazione di politiche finalizzate all’ottimizzazione dell’habitat urbano. Apertura dei dati, interoperabilità delle reti, perdita di dominio esclusivo su singoli servizi sono passaggi necessari che permettono alle città di mettere a sistema i propri asset e raggiungere una potente integrazione delle proprie attività. Ciò vale sia dal punto di vista della macchina amministrativa che da quello della cittadinanza, perché permettere al cittadino di monitorare – anche attraverso nuovi indicatori – le dimensioni che riconosce come prioritarie per il proprio benessere, significa gettare le basi per una ricostruzione del rapporto con la politica. Si tratta di una visione nuova che si interseca fecondamente con dinamiche specifiche della riforma istituzionale in corso, basti pensare alle nuove funzioni affidate alle costituende Città Metropolitane e alla ridefinizione del ruolo delle Province. In questa logica è auspicabile una virtuosa competizione tra territori nell’attrarre investimenti, talenti e visitatori, ma la massima attenzione va posta nell’evitare nuovi conflitti tra ruoli istituzionali. Si profila così – a partire dalle visioni prodotte dalle comunità intelligenti – una governance delle aree metropolitane (in cui sempre di più si concentra l’innovazione e la percentuale di produzione di PIL) che avrà il suo principale banco di prova nella capacità di intercettare le risorse della prossima programmazione europea 2014-2020.

Progettare uno spazio pubblico intelligente Una città smart è una città in grado di progettare spazi pubblici accoglienti e capaci di facilitare le relazioni. Lo spazio pubblico è spesso il luogo della manifestazione del conflitto e proprio per questo un obiettivo primario nella sua concezione e manutenzione è quello di abilitare la compensazione degli interessi conciliando domande d’uso divergenti. Questa funzione mediatrice può essere efficacemente sostenuta dall’utilizzo di tecnologie in grado di far interagire tra di loro i cittadini in luoghi pubblici “parlanti” progettati per superare barriere linguistiche e generazionali. Luoghi che si raccontano attraverso la propria storia e le persone che li hanno attraversati. Ma l’incontro non è da intendersi solo come virtuale, ed in questo senso sono da mettere a sistema esperienze di laboratori civici di co-progettazione e di utilizzo sociale di strutture sotto-utilizzate. Gli urbanisti sottolineano come sia necessario, parallelamente, accompagnare il processo con programmi di riqualificazione dello spazio urbano e con politiche di fluidificazione della mobilità sostenibile che permettano di ridare continuità agli spazi cittadini, ricollegando il centro alle periferie. Ciò significa – allargando lo sguardo – ridurre la corsa al consumo di suolo per dedicare energie e risorse alla messa in sicurezza e alla valorizzazione del patrimonio immobiliare esistente. Ridurre le entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione costringe però a ripensare la fiscalità locale, che si trova nel momento attuale a dover sostenere bilanci comunali messi in crisi dalla contrazione dei trasferimenti. Emerge, in conclusione, la necessità di una nuova legge urbanistica nazionale che sostituisca quella attuale emanata nel 1942 e si ponga come caposaldo per conciliare sviluppo economico, riqualificazione della città e tutela del paesaggio.

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La città sicura Perché un contesto urbano accolga ed esprima forme innovative, sostenibili e più democratiche di convivenza deve configurarsi come uno spazio sicuro, intendendo la sicurezza come una componente basilare dello stato sociale, configurata quindi non in senso punitivo o sanzionatorio bensì con la funzione di mediazione dei conflitti sociali. L’innovazione tecnologica può essere fattore abilitante per l’integrazione delle informazioni e delle azioni necessarie all’espletazione di questa funzione, permettendo anche un più razionale uso delle risorse, ma va considerato che si tratta di un settore altamente sensibile nel quale le tecnologie possono incidere sui diritti fondamentali e spesso si manifesta il timore che possano recare pregiudizio alla vita privata, si rende quindi necessaria un’accurata valutazione degli effetti sociali delle iniziative. Il sistema di sicurezza italiano è fra i più diseconomici al mondo a causa soprattutto della sovrapposizione di molteplici forze dell’ordine, ma su questo aspetto ci sarebbero ampi margini di manovra. La sostenibilità dei progetti per città più sicure e una migliore integrazione fra i soggetti può essere assicurata ad esempio attraverso la condivisione di una Infrastruttura Smart City Multi-Funzione (destinata a scopi di sicurezza, ma anche di mobilità, gestione risorse ed energia, e di interazione con i cittadini) e con nuovi modelli di business tra gli operatori (Security as a Service). Parliamo della realizzazione di una piattaforma di servizio per la cooperazione sicura, strutturata ed in tempo reale tra enti, organizzazioni, pubbliche e private, nazionali ed internazionali. Risulta quindi evidente che le nuove tecnologie offrono sì la possibilità di comunicare in tempo reale ed in maniera digitale con i cittadini per aumentarne la percezione della sicurezza, ma occorre modificare anche gli schemi organizzativi dell’Amministrazione e delle Forze dell’Ordine.

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La piattaforma tecnologica abilitante Il benessere e il miglioramento della qualità della vita nei nostri centri urbani rappresenta una leva straordinaria per l’incremento di produttività del nostro sistema economico. Da parte delle imprese che usano e producono tecnologie e che vogliono instaurare partnership con le amministrazioni dico che bisogna guardare alle Smart City basandosi su tre principi fondamentali: integrazione, cooperazione e riorganizzazione. (Stefano Parisi – Confindustria Digitale)

Esiste una nuova dimensione spaziale nelle città, fatta di bit che si integrano in modo inscindibile con gli atomi delle strade, degli edifici e con le attività dei cittadini che le abitano. Le città diventano sempre più simili ad organismi viventi dotati di organi autonomi e connessi funzionalmente:

per acquisire dati, tramite i sensori oggi disponibili a costi sempre inferiori e i device mobili come tablet e smartphone; per comunicare, attraverso la rete fatta di cavi e onde che consente la circolazione dei dati; per elaborare, sia grazie a processori sempre più performanti installati su computer e device, sia soprattutto - grazie alle straordinarie risorse oggi disponibili in Cloud Computing, che consentono di concentrare le risorse di calcolo al di fuori degli apparati; per memorizzare e gestire l’enorme massa di dati disponibili e trasformarli in risorse utilizzabili. Il potenziale di questa nuova dimensione è straordinario, ma richiede la disponibilità e una gestione intelligente di tecnologie abilitanti senza le quali la strada verso la Smart City non è percorribile.

L’infrastruttura di rete e la banda larga Le reti in fibra ottica e i mobile networks sono gli elementi fondanti più costosi da costruire, ma la connettività a banda larga diffusa rappresenta una risorsa essenziale per sbloccare il potenziale delle Smart City. Le videocomunicazioni, i consumi multimediali, il Cloud Computing porteranno ad una richiesta esponenziale di disponibilità di banda, e l’Unione Europea ha previsto obiettivi importanti da raggiungere entro il 2020 sia in termini di velocità sia rispetto ai consumi. L’Italia si trova in una condizione di grave ritardo che rischia di mettere a rischio le capacità di crescita del Paese. La rete dovrebbe essere intesa come servizio universale paragonabile ad diritto all’acqua, all’energia elettrica e alla linea telefonica.

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Oltre agli ostacoli di tipo economico, oscure barriere burocratiche si frappongono allo sviluppo delle banda larga nel Paese. A volte a fronte di scavi per la posa della fibra ottica che si realizzano nell’arco di una settimana, occorre attendere mesi per le autorizzazioni che afferiscono ad una miriade di enti diversi in grado di bloccare i lavori a tempo indeterminato. Si rende indispensabile una forte azione di governo per semplificare gli aspetti burocratici e stimolare con fondi specifici la qualificazione della rete italiana.

Smart personal device e alfabetizzazione informatica Oggi fasce sempre più ampie della popolazione urbana sono dotate di smartphone o tablet, disponibili a prezzi sempre più accessibili. Questi apparati sono in grado di comunicare non solo con voce o testo, ma dispongono di accesso a Internet ad alta velocità, possono mostrare video ad alta risoluzione e sono dotati di strumenti di geoposizionamento. I costi continueranno a scendere contemporaneamente a una ulteriore crescita delle funzionalità. Questi sofisticati device sono una importante sorgente di dati legati al loro uso e al comportamento di chi li possiede. Accanto agli indubbi problemi di tutela della privacy e al rischio di controlli non giustificati, si scorgono straordinarie opportunità che possono essere fortemente limitate da una normativa italiana che ancora si muove su presunzioni non allineate con gli sviluppi della tecnologia e con uno scenario che vede agire player internazionali svincolati dalle leggi italiane. E’ di fondamentale importanza operare per una maggiore consapevolezza dei consumatori italiani che devono essere messi nelle condizioni sia di poter contribuire attivamente con i loro comportamenti allo sviluppo delle Smart City – per esempio adottando le applicazioni delle città – sia di comprendere i rischi dell’adozione di strumenti che non consentono il controllo dei livelli di privacy dei propri dati, che possono essere usati per scopi illegali o indesiderati. Iniziative come Pane e Internet, una campagna diffusa di alfabetizzazione sull’uso di Internet e delle moderne tecnologie promossa dalla Regione Emilia Romagna, possono essere un importante supporto in questa direzione. Il potenziale delle App connesse alla vita urbana è ancora da scoprire compiutamente. Alcune città americane, come Chicago o Boston che hanno un vero e proprio ufficio per la Urban Mechanics, stanno ponendo questo tema al centro della strategia politica dell’amministrazione con lo sviluppo di applicazioni che puntano al miglioramento della qualità dei servizi e delle funzioni della città delegando una parte delle attività ai cittadini stessi.

Cloud Computing Gli analisti prevedono una straordinaria concentrazione di capacità di storage e calcolo nei prossimi dieci anni, con la diffusione a livello mondiale del Cloud Computing. Anche apparati relativamente economici e leggeri potranno fornire a basso costo servizi qualificati grazie a questo spostamento delle funzioni complesse nella nuvola, aiutando l’accesso a importanti servizi anche da parte di fasce di popolazione povere ed isolate, a patto che siano connesse con la rete. Per le amministrazioni pubbliche e le città italiane si tratta di una straordinaria opportunità per ridurre i costi dell’IT e contemporaneamente incrementare la qualità dei servizi. Occorre però definire sia strategicamente che dal punto normativo la strada italiana verso il G-Cloud, un settore di fondamentale importanza per lo sviluppo delle Smart City che rischia di tramontare prima ancora di esser nato.

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Open Data e infrastrutture aperte Sull’onda della ricerca della massima trasparenza, i governi democratici di tutto il mondo stanno investendo verso l’apertura dei dati pubblici. Dai dati grezzi oggi disponibili ma assai poco utilizzabili, si passerà sempre di più verso Linked Open Data e interfacce aperte in grado di consentirne un uso sempre più produttivo ed efficiente da parte delle stesse amministrazioni e di terze parti. Anche in Italia sono stati fatti passi avanti con la nascita del portale nazionale e l’azione decisa di alcune città. Il processo richiede però una spinta ulteriore per fare in modo che l’apertura e la disponibilità dei dati pubblici divenga il normale comportamento delle amministrazioni locali e centrali, a cui si dovrebbe affiancare un’azione di normalizzazione degli standard e dei tracciati record dei servizi più importanti. Oggi infatti, in molti casi, i dati aperti vengono usati per dimostrazioni o prototipi, ma mancano ancora risorse adeguate per realizzare servizi realmente interessanti per il mercato o per svilupparvi servizi di benchmarking rilevanti. A SMART City Exhibition la città di Barcellona ha presentato il progetto europeo I-City, che punta ad aprire non solo i dati ma anche le stesse infrastrutture della città, per stimolarne un uso in termini di co-creazione di servizi di pubblica utilità anche da parte di terzi.

Top Down e Bottom Up, i rischi di un approccio monodirezionale Appare evidente come lo scenario sia globale che nazionale sia ricco di opportunità ma anche di rischi. In questo momento le città e i governi si stanno muovendo in modo scoordinato alla ricerca delle migliori soluzioni, stimolati da grandi e piccole imprese ansiose di proporre i loro prodotti. Senza la definizione di alcuni denominatori comuni questi progetti rischiano di arenarsi ben presto. Servono standard minimi condivisi, simili come modello a quelli sviluppati alcuni decenni or sono per il protocollo TCP-IP, che ha consentito la diffusione globale di Internet. La sfida è doppiamente complessa, gli scenari sono molteplici e si tratta di operare sia sul campo nazionale – tenendo presente, e a volte modificando, le normative locali – sia non dimenticando che lo sviluppo tecnologico avviene in gran parte in altre zone del globo e che muoversi autonomamente può rappresentare una strategia perdente. Si tratta di una grande sfida oggi nelle mani dell’Agenzia per l’Italia Digitale, chiamata a fornire quello scenario di standardizzazione minima, coerente con ciò che accade nel resto del mondo, per far sì che città italiane e imprese possano investire in un contesto chiaro e replicabile. A questo approccio, che deve necessariamente essere Top Down, per consentire uno sviluppo sostenibile delle soluzioni (anche per non ripetere i grandi errori di mancata definizione dei fondamentali ai tempi dei bandi per l’e-government, una scelta che ha portato il Paese a livelli di inefficienza digitale tuttora evidenti), occorre affiancare una visione invece aperta nei confronti delle iniziative che nascono dal basso. Appoggiandosi sulla risorsa rappresentata dai dati, sia pubblici che generati dagli utenti stessi. Citizen hacktivist, data journalist e gruppi organizzati promuovono, infatti, un uso delle informazioni spesso più democratico, inclusivo e in grado di modificare positivamente i comportamenti cittadini. Questa potenzialità non può essere sprecata ed è compito delle città sviluppare strategie locali di stimolo e valorizzazione della partecipazione digitale e dell’innovazione che nascono dal basso.

La massa critica Gran parte dei progetti di successo legati ai paradigmi del Web 2.0 presuppongono due fattori: la rinuncia a una parte del controllo per consentire che siano gli utenti a generare valore; la presenza di una massa critica di

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utilizzatori del servizio che con la loro azione contribuiscano al prodotto finale. Gli esempi sono innumerevoli: sistemi come TripAdvisor hanno successo perché delegano il controllo di una parte del contenuto, limitandosi a fornire le piattaforme di accesso multidevice e una struttura generale del servizio altamente usabile. Ma la loro fortuna dipende anche dal numero di utenti attivi. Senza una massa critica di recensioni il valore di TripAdvisor sarebbe nullo. Lo stesso si può dire di Wikipedia e di tante altre applicazioni del Web 2.0. Questa considerazione dovrebbe far riflettere molto bene le città impegnate nello sviluppo di App a livello locale. Non tutti i modelli che sono risultati vincenti a livello mondiale possono continuare ad esserlo se portati a scala ridotta, perché si perde la capacità autocorrettiva della massa e acquisiscono eccessivo valore le eccezioni e le soggettività.

Big Data Per la prima volta nella storia, la possibilità di misurare e monitorare le attività della città in tempo reale appare concreta. Il prossimo decennio sarà caratterizzato da un continuo incremento della capacità di raccolta di dati sempre più sofisticati, provenienti sia da sensori sia dai device mobili a disposizione dei cittadini. La domanda principale di questi dati ad oggi proviene dalle amministrazioni alla ricerca di una migliore pianificazione, ma la vera sfida non è solo la capacità di sviluppare strumenti di real time government. È riuscire a sviluppare soluzioni di supporto alle decisioni che abbiano un reale impatto sulla qualità della vita delle città, che migliorino le condizioni delle fasce di popolazione povere e marginalizzate, che sviluppino partecipazione, resilienza e Social Innovation. Non ci sono garanzie che i prodotti offerti oggi dai grandi produttori multinazionali siano effettivamente in grado di rispondere pienamente a questi bisogni, specialmente se le città sceglieranno soluzioni chiuse e proprietarie. Accanto a questa offerta sta nascendo un vivace movimento di civic hackers e attivisti che propone un diversa visione della città, meno orwelliana e più rispondente ai bisogni della base, e allo stesso tempo meno pianificata e coordinata. Il successo delle città è probabilmente legato alla capacità di integrare entrambi questi approcci, combinando le innovazioni che nascono dal basso con i benefici delle grandi piattaforme. Si pone al contempo un problema legato alla sicurezza dei dati e alla privacy, concetti che stanno assumendo connotati sempre più relativi alla luce delle enormi differenze che si evidenziano non solo fra le diverse culture e le corrispondenti normative nazionali, ma anche per la brusca accelerazione imposta dal rapido propagarsi sia di social network globali – come Facebook – usati da milioni di individui in tutto il globo, sia di forme di automazione dello scambio di dati. Basti pensare a tutte le informazioni inviate quotidianamente da uno smartphone connesso a sistemi di Cloud Computing.

Nuove modalità di informazione e interazione: verso i responsive public space La diffusione e i costi accessibili di alcune tecnologie di base – per esempio gli schermi a led, le videocamere e i sensori di vario genere – stanno consentendo la nascita di interfacce pubbliche di grande effetto ed efficacia, in grado di modificare in modo sostanziale la capacità informativa della città che può divenire bidirezionale e consentire una fruizione di gruppo e non più solo individuale. Le modalità di input possono combinare testo con gesti e voce, consentendo livelli di interazione impensabili. Alcune aziende stanno già proponendo postazioni virtuali che consentono di decentrare gli sportelli pubblici presso altre strutture – per esempio uffici postali o banche – avvicinando i servizi digitali a fasce di popolazione oggi in condizione di digital divide. Al contempo nuove soluzioni interattive sono disponibili per le fermate dei bus e dei treni e per i luoghi di attesa in genere. Il mercato manifesta un interesse crescente verso il segmento pubblicitario out of home ed è ipotizzabile che questo tipo di soluzioni siano finanziabili direttamente con la pubblicità.

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La Geomatica al servizio della Smart City L’informazione geografica digitale rappresenta una componente di infrastruttura fondamentale per la realizzazione delle Smart City e dell’Agenda Digitale italiana. La Legge n. 221/12 stabilisce la realizzazione dell’Archivio Nazionale delle Strade e dei Numeri Civici georeferenziati e del Sistema Informativo Nazionale delle Infrastrutture del Sottosuolo: due iniziative complesse e impegnative che sono però in grado di dare nuovo vigore allo sviluppo di servizi fondamentali per l’innovazione del Paese. I dati geospaziali possono trovare applicazione in innumerevoli situazioni – per esempio mobilità, traffico, trasporto pubblico locale, gestione delle emergenze – e sono uno degli aspetti tecnici su cui è auspicabile che le amministrazioni pubbliche investano scegliendo con attenzione formati aperti e strutture dei dati in grado di integrarsi facilmente fra enti diversi. Uno dei problemi principali, attualmente, è infatti la necessità di scambiare informazioni sul territorio gestite da molteplici enti che se integrate possono moltiplicare il loro valore.

Spazi urbani e tecnologia: il ritorno delle fabbriche nel cuore della città Siamo agli albori della terza rivoluzione industriale, quella delle macchine che sono in grado di generare gli oggetti on demand direttamente dove occorrono, che consentono la decentralizzazione della produzione grazie alla rete e a moderne tecnologie di stampa, taglio e incisione. Un’epoca dove sempre più lavoratori possono essere altamente produttivi senza necessariamente recarsi in ufficio e possono operare da casa o da luoghi comodi, vicini e condivisi. Ad Amsterdam, ad esempio, la strategia dell’amministrazione per migliorare la mobilità ha consentito di sviluppare una rete di centri di co-working che idealmente devono collocarsi a non più di cinque minuti di bicicletta dalle abitazioni. In questo scenario alcune produzioni possono essere collocate nuovamente al centro delle città e gli spazi produttivi non sono più idealmente separati da quelli abitativi e di socializzazione. La flessibilità degli ambienti e la loro capacità di adattarsi alle dinamiche esigenze dei cittadini/lavoratori diverrà sempre più un valore. Alla base, come sempre, ci sono alcune tecnologie abilitanti: l’ampia disponibilità di banda larga, la facilità di accesso alla rete Wi-Fi, una rete di trasporto pubblico efficiente, la capacità delle amministrazioni locali e delle imprese di stimolare l’innovazione locale. Esempi interessanti stanno nascendo un po’ ovunque e anche in Italia: la rete dei FAB LAB, presente a Reggio Emilia, che mette a disposizione stampanti 3D e apparecchiature digitali per sostenere i makers locali; le reti dei centri di co-working, come l’italiana COWO che consente di condividere spazi inutilizzati all’interno di imprese esistenti, oppure l’europea The Hub, oggi presente a Milano, Rovereto, Trieste, Roma e Siracusa con moderne strutture che fanno dell’interazione fra competenze diverse la chiave del loro successo. E’ un modo nuovo d’intendere l’ufficio, più centrato sulla flessibilità, l’efficienza, lo scambio e, non ultimi, la sostenibilità ambientale e la piacevolezza dei luoghi. Perché in un contesto di tecnologia diffusa ed efficiente essa diventa trasparente e scontata e i cittadini possono tornare ad occuparsi delle cose che realmente ritengono importanti nella loro vita.

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Il modello organizzativo Ciò che di più importante sta cambiando oggi nelle nostre città sono le forme in cui le persone si organizzano. Il modo nel quale sceglieremo di organizzarci all’interno delle comunità sarà l’elemento più dirompente della nostra vita. (Ger Baron – Amsterdam Innovation Motor)

Gli obiettivi che si pone una Smart City sono normalmente così ampi da rendere impensabile una azione solitaria dell’amministrazione comunale. Serve il coinvolgimento delle utilities, che sono i reali erogatori di molti dei servizi essenziali per il cittadino e che possono incidere in misura significativa sulle performance ambientali di un territorio. E’ importante coinvolgere il mondo della ricerca e dell’università, che può sviluppare progetti innovativi, ma soprattutto fare da integratore con ciò che accade all’estero e monitorare il reale impatto delle politiche locali al confronto con il resto del Paese e del mondo. Occorrono le imprese dell’area, per le quali la città rappresenta il terreno dove sperimentare soluzioni innovative e con ciò avvantaggiarsi della rinnovata competitività del proprio territorio. E’ opportuno coinvolgere alcuni grandi player internazionali, che possono portare la propria esperienza e soluzioni di sistema che non potrebbero essere sviluppate su piccola scala. Vanno coinvolte le associazioni professionali e di categoria, utili per contribuire a quella cultura diffusa della Smart City senza la quale i progetti rischierebbero di cadere nel vuoto. E infine, bisogna ricordarsi dei cittadini, che pur essendo formalmente rappresentati dal Consiglio Comunale possono portare il proprio contributo anche attraverso il terzo settore o tramite momenti più o meno strutturati o virtuali di partecipazione ai progetti. Le esperienze italiane più avanzate in termini di sviluppo di modelli organizzativi per i progetti Smart City fanno capo fondamentalmente a tre filoni: associazioni, fondazioni, percorsi partecipativi. L’associazione ha il vantaggio della leggerezza amministrativa. L’esempio più noto è quello della città di Genova. Recentemente anche Bergamo ha deliberato in tal senso. La fondazione – Torino è il caso più conosciuto – ha caratteristiche simili con una forma giuridica diversa. Entrambe le soluzioni prevedono un’ampia partecipazione delle imprese e delle istituzioni locali che si organizzano per condividere una visione generale e specifici progetti. Il vantaggio principale consiste nel legittimare un’azione comune che finalmente rappresenti non il singolo ente bensì la città nel suo complesso, sia sul piano locale e nazionale, sia soprattutto su quello europeo, dove occorre muoversi con livelli di coerenza e determinazione significativi per potersi relazionare con i partner internazionali e ottenere i finanziamenti dei progetti.

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Inoltre, l’unione di tanti soggetti, comprese le imprese (che normalmente pagano una quota di partecipazione), consente di finanziare le attività di networking indispensabili per assicurarsi l’accesso ai finanziamenti comunitari e mantenere il passo delle realtà più avanzate. Questo agire uniti può portare ad azioni particolarmente interessanti, come i protocolli d’intesa di Genova, che trasformano gratuitamente la città in un terreno ideale per sperimentare prototipi innovativi da parte delle imprese. Bologna e Firenze sono fra le città che maggiormente hanno investito in percorsi partecipativi propedeutici alla costruzione della piattaforma per la Smart City locale. Nella città emiliana si è lavorato sulla costruzione dell’Agenda Digitale locale, un lavoro lungo e intenso che ha portato ad un ampio e qualificato coinvolgimento del tessuto sociale e imprenditoriale cittadino. A Firenze si è operato con azioni più dirompenti, come le 100 Assemblee contemporanee nei luoghi chiave della città per rilevarne i problemi e tracciarne il futuro. Il successo di entrambe le esperienze dimostra come sia possibile mobilitare fasce significative della popolazione attorno ai temi dell’innovazione e di come il “sapere” del territorio possa essere utilmente convogliato verso la definizione della città del futuro. È però inevitabile notare come ancora manchino dei passaggi per la definizione di quale sia la formula ideale per governare il processo verso la Smart City. Se a livello nazionale c’è una importante convergenza verso l’Osservatorio dell’ANCI come occasione per le città di condividere metodologie e percorsi vincenti, a livello locale si nutrono ancora molti dubbi su cosa sia consentito in termini normativi. È lecito per un Comune associarsi formalmente in una nuova entità giuridica per svolgere azioni che sono in qualche modo connesse ai propri obiettivi istituzionali, seppur non esclusivi? Chiarire questo dubbio può essere un passo importante per sostenere il lungo percorso delle città italiane.

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Una nuova idea di cittadinanza Uno dei compiti principali della Smart City è quello di rendere visibile l’invisibile per utilizzare l’ambiente fisico come stimolo di cambiamento dei pattern comportamentali. Dobbiamo imparare a progettate l’ignoto perché essere creativi significa operare sul bordo e non al centro della propria competenza. (Charles Landry – Comedia)

Già da queste prime pagine emerge come un elemento fondamentale per la realizzazione di comunità più intelligenti sia rappresentato dalle strategie di abilitazione dei cittadini e del territorio per la pratica di nuove forma di partecipazione alla vita pubblica. Come suggerito dal titolo di una delle sessioni plenarie di SCE2012, la sfida è quella di spostarsi dall’idea – che pure ha portato ad una serie di esperienze positive – di una città citizen centred ad un contesto urbano citizen driven Ma cosa significa una città condotta dai cittadini? In che modo le questioni di interesse collettivo possono essere individuate ed affrontate grazie alla partecipazione attiva dei cittadini secondo una governance che realmente preferisca la co-progettazione alla rigidità di politiche regolative Top Down? Uno strumento che emerge in tutta la sua potenzialità è quello dei Living Lab: ecosistemi di sviluppo dell’innovazione nei quali i cittadini utenti partecipano alla co-creazione di servizi, prodotti e modelli di business sperimentandoli in contesti di vita quotidiana insieme ai ricercatori, alle aziende e alle istituzioni pubbliche. Esigenze del mercato, necessità degli utenti e obbiettivi a lungo termine delle amministrazioni cittadine convergono in questo nuovo approccio, che ha già portato a numerose esperienze virtuose in Europa e in Italia, come dimostrano i 12 Living Lab attivi nel nostro Paese e le attività dell’European Network of Living Labs. Il concetto di intelligenza cittadina si configura quindi come capacità di far interagire le nuove tecnologie con i contesti locali di applicazione in modo che le loro potenzialità non si trovino ad essere neutralizzate dai problemi sociali e materiali della vita quotidiana dei cittadini a cui sono rivolte. Uno stimolo forte alla partecipazione civica – soprattutto dei più giovani – può essere inoltre offerto da quel complesso di azioni che pongono il cittadino al centro dell’attività pubblica attraverso situazioni e meccanismi di gioco. Viene appunto chiamato gamification l’insieme di pratiche – adottate in via sperimentale in molte città europee – che promuovono nuove sfide collettive per la risoluzione di problematiche proprie di specifici contesti urbani, e ne sottolinea la potenzialità nella valutazione in tempo reale dei processi di decision making. Né vanno sottovalutati fenomeni quali il civic hacking per la creazione di specifiche App che permettano al cittadino di farsi sensore e comunicare problematiche specifiche per poi proporre soluzioni all’amministrazione cittadina tramite canali diretti. Si tratta di elementi complementari a quei percorsi più tradizionali - ma efficaci per fasce di popolazione più anziane o meno attive sul Web - di consultazione preventiva e condivisione assembleare delle scelte realizzati attraverso incontri in presenza nelle sedi decentrate delle municipalità. Il paradigma della Smart City sembra dunque presentare un nuovo approccio alla sussidiarietà che supera l’idea di condivisione e di validazione delle politiche pubbliche da parte di una minoranza accorta di cittadini attivi per manifestarsi in tutte le fasi della

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progettazione strategica della nuova città dimostrandosi capace di coinvolgere nel processo decisionale ampi strati di cittadinanza in grado di prefigurare e sperimentare l’applicazione delle soluzioni - tecnologiche e non – nei contesti pubblici.

La città creativa Un città intelligente può prendere forma solo attraverso la composizione di elementi infrastrutturali e capacità umane, e per questo la creatività emerge come elemento chiave del processo di sviluppo urbano. Dall’accoglienza degli atti più provocatori degli urban hacker – che evidenziano bisogni e possibilità di sviluppo inaspettate - alla valorizzazione del patrimonio culturale per attrarre talenti e visitatori, dall’incubazione delle Start-Up all’assorbimento di modalità creative nel problem solving della macchina amministrativa, la sfida è quella di trasformare il pensiero e la sensibilità creativa in servizi e prodotti che possano essere messi a disposizione dei cittadini e del mercato per lo sviluppo economico dei territori e una migliore qualità della vita. Se il compito di una città smart è quello di permettere nel proprio territorio l’emergere di soluzioni creative che si rivolgano ai nuovi problemi allontanandosi da procedimenti routinari ormai incapaci di affrontarli, l’azione va strutturata nella predisposizione delle condizioni perché questo accada. È dimostrato infatti che contesti cosmopoliti e culturalmente aperti, con burocrazie leggere e ampie possibilità di interazione, permettono la crescita di talenti nuovi, il raccordo tra i prototipi e i prodotti, e attirano le migliori menti capaci – in un circolo virtuoso – di manifestarsi nella loro diversità arricchendo il sistema e producendo contemporaneamente valore per il territorio che li accoglie.

Social Innovation Non a caso i bandi MIUR si sono rivolti contemporaneamente a progetti per le Smart Community e all’Innovazione Sociale. Il tema del rapporto tra i due paradigmi è stato al centro di un seminario dedicato a SCE2012, ma ne ha attraversato di fatto tutto il programma congressuale. L’approccio Bottom Up per lo sviluppo di soluzioni innovative dedicate alla risoluzione di specifiche problematiche sociali porta a non identificare la città intelligente con il suo apparato istituzionale, ma con una comunità nella quale le funzioni di servizio alla cittadinanza sono distribuite a diversi livelli tra attori appartenenti al mondo pubblico, a quello privato e alle organizzazioni del terzo settore. Un’ottica di per sé innovativa perché presuppone che non si possa parlare di cabine di regia senza tener conto della vitalità dei tessuti produttivi e relazionali, e viceversa. Si tratta dunque di un passaggio dalla leadership individuale alla leadership diffusa, nel quale il gioco di squadra diviene fondamentale. E se il valore primario risiede nei legami tra le persone, l’intelligenza cittadina si misura allora dalla capacità dell’amministrazione di creare le condizioni per la generazione di laboratori e nel saperne mettere a valore i risultati: siano essi efficaci modelli di gestione della conflittualità, servizi pubblici innovativi o prodotti di nuova generazione in grado di trainare lo sviluppo economico di un territorio.

Dal mercato alla pianificazione inclusiva Le Smart City possono rappresentare un’ottima occasione di business poggiato sulla reale opportunità di agire sulle leve della crescita economica, e di una maggiore sostenibilità ambientale ed energetica. In realtà ci sono opportunità ben più ampie di sviluppare innovazioni di lunga durata e di maggiore efficacia, che dipendono dalla capacità o meno di privilegiare modelli fondati sull’open innovation e la partecipazione democratica superando una visione esclusivamente legata alla tecnologia e al mercato. Le pratiche di gaming e simulazione delle decisioni, gli strumenti di visualizzazione dei dati, la capacità di usare i dati dei social network anche a livello locale, possono abilitare livelli di partecipazione oggi sconosciuti. Restano aperti il grande tema delle competenze necessarie ai cittadini per poter intervenire in modo proattivo in questo processo e la questione di quali siano le interfacce e le modalità di ingaggio più efficaci.

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Un nuovo paradigma comunicativo Per fare le Smart City bisogna mettere insieme tecnologia smart con democrazia smart. Un tempo il feedback dei cittadini veniva dato ogni quattro anni attraverso le elezioni, è arrivato il momento di valorizzare al massimo il feedback permanente che i cittadini ci rimandano attraverso i nuovi canali di comunicazione. (Hannes Astok – Baltic Intitute of Finland) La Smart City è una città che si ripensa in termini di comunicazione sia verso l’esterno che nella relazione con i propri cittadini. Il primo passaggio di questo percorso è costituito dalla definizione di una propria identità specifica: una vocazione territoriale attraverso cui la comunità si racconta e si propone nella competizione internazionale per attrarre investimenti, talenti e visitatori. Questa definizione identitaria non è da considerarsi delineata a priori da politici e dirigenti, ma si vuole impostata e messa a fuoco in maniera sempre più precisa attraverso meccanismi di ascolto della cittadinanza, partendo dalla mappatura dei bisogni e da un’analisi delle prospettive proposte dai diversi stakeholder pubblici e privati. Solo preparando il terreno, infatti, si permette l’emersione di modelli di sviluppo inaspettati e paradigmi immaginativi nuovi. La comunicazione della nuova città si struttura così su più livelli: se da una parte permane la necessità e il consolidamento di canali informativi attraverso cui rendere trasparente l’attività amministrativa, dall’altra appare urgente la creazione di luoghi - virtuali e non - in cui le diverse anime cittadine possano raccontarsi e mettere a fattor comune la propria idea di città. Compito dell’amministrazione è abilitare, animare, moderare e rendere incisivi verso l’esterno questi ambiti narrativi cittadini e di contestualizzarli nel panorama socio-economico nazionale e internazionale, così da arrivare all’individuazione di direttrici interpretative nette, su cui orientare la programmazione strategica e le azioni di marketing territoriale. Certamente in questo senso assumono valenza prioritaria i portali istituzionali cittadini di nuova generazione, che possono rappresentare sia il canale privilegiato per gettare uno sguardo su quella “casa di vetro” che dovrebbe diventare ogni amministrazione pubblica, permettendo un effettivo controllo sociale, sia il punto di accesso per la fruizione di servizi pubblici integrati, sia l’agorà nel quale far convergere le nuove idee di città e restituire le vocazioni prioritarie adottate. Non viene quindi a perdersi il tradizionale concetto di campagna di comunicazione, i cui canali possono essere di diverso tipo, e prevedono anche specifiche declinazioni per cittadini meno avvezzi all’uso delle tecnologie, ma essa si struttura come azione a valle di un processo elaborativo condiviso. Una città, quindi, che non deve solo informare i propri cittadini, ma che utilizza nuovi strumenti per abilitare la relazione con loro e tra di loro e si propone in una prospettiva continua di apprendimento/insegnamento: elementi speculari di una pulsazione intrinsecamente accogliente ed educante.

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Smart City e Social Media Lo sviluppo del Web 2.0 ha permesso alle amministrazioni locali di utilizzare Internet per re-impostare le relazioni con i cittadini. Si tratta di un nuovo paradigma che presuppone la condivisione di informazioni e contenuti per creare nuovi servizi e rinsaldare il rapporto fiduciario tra amministratori e amministrati, sfumando anche la linea di confine tra i due mondi attraverso un fenomeno parallelo a quello che – nel mondo delle ICT – ha visto nascere la figura del prosumer. Emerge in questo contesto il forte l’impatto che l’utilizzo dei Social Media può avere nello scambio di informazioni tra cittadino ed ente, ma anche nella riorganizzazione dei processi all’interno dell’amministrazione stessa. Se la capacità di ascolto è alla base del produttivo utilizzo degli strumenti social, si tratta dunque di diffondere, all’interno di tutta l’organizzazione, una cultura del servizio e di interazione con i propri stakeholders. I Social Media evidenziano due dimensioni fortemente critiche nel sistema pubblico, lungo le quali è di vitale importanza confrontarsi e operare: quella dell’integrazione tra back office e front office e tra diversi uffici o settori e quello della flessibilità, ovvero della capacità di rispondere con tempestività nei diversi contesti, compresi quelli di emergenza nei quali la resilienza cittadina ha già dimostrato di dipendere in larga misura da un utilizzo accorto e creativo degli strumenti del Web 2.0.

La città educante L’identificazione della Smart City come città educante è al centro dell’elaborazione progettuale di alcune delle proposte di sviluppo territoriale più innovative in Italia. Il paradigma offre interessanti margini di lavoro principalmente su due prospettive: la città che si conosce e la città che si racconta. La città che si conosce non è quella che moltiplica esclusivamente i dati, moltiplicando i sensori, ma quella che sa connettere e interpretare i dati che già ha in maniera accorta e condivisa creando quella conoscenza di sé e del proprio posizionamento che rappresenta la base del consolidamento comunitario, della veloce soluzione dei problemi e della proiezione nel futuro. D’altra parte, in questa prospettiva, raccontare significa includere: una città che sa educare – che sa “condurre fuori” le potenzialità dei propri cittadini, bambini e adulti - è una città che sa mettere in relazione diritti e doveri in ambito pubblico per delineare le caratteristiche specifiche della declinazione di democrazia a cui tende. All’interno di questa visione le piattaforme tecnologiche, gli strumenti di crowdsourcing e le potenzialità del Web 2.0 rappresentano lo strumento prioritario per condividere metodi, strategie e servizi.

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La sostenibilità della nuova città Una delle sfide delle città del futuro è quella di spostarsi dall’accumulazione di dati all’elaborazione del significato. Il che significa spostarsi dalla civiltà delle macchine a quella delle persone. (Nikolas Gorjestani – The World Bank)

La sostenibilità economica dei progetti di Smart City Non è certamente la partecipazione ai bandi di finanziamento ciò che fa diventare una città più smart. La componente progettuale è di fondamentale importanza e accanto alla definizione di obiettivi misurabili - sia rispetto al miglioramento della vita dei cittadini che all’efficienza e all’efficacia della Pubblica Amministrazione - occorre valutare la ricaduta dei processi sul tessuto produttivo locale, che può diventare coproduttore di tecnologie e servizi legati alla Smart City. La sostenibilità economica dei progetti è uno degli aspetti più controversi del momento, sia per le difficoltà finanziarie delle città che per la difficoltà di misurazione di molte delle esternalità presenti nei processi. Ad esempio, nel caso della riduzione del traffico, che si traduce in un minor inquinamento e in una maggiore salute, il travaso del valore economico che si crea dagli automobilisti ai cittadini deve essere catturato con modelli di business. Il coinvolgimento del privato con varie formule nel finanziamento dei progetti è una opzione ormai consolidata e il Project Financing – già ampiamente praticato per la realizzazione di opere pubbliche – può non essere l’unica soluzione percorribile. Nei paesi anglosassoni si iniziano ad usare i Social Impact Bond, strumenti finanziari finalizzati alla raccolta, da parte del settore pubblico, di finanziamenti privati. La remunerazione del capitale investito tramite questi strumenti è agganciata al raggiungimento di un determinato risultato sociale che produrrà un risparmio per la Pubblica Amministrazione e quindi un margine che potrà essere utilizzato per la remunerazione degli investitori. In Italia occorre il contesto normativo per introdurre con successo questo genere di strumenti. Anche formule di Revenue Sharing stanno entrando nella prassi operativa, per esempio nel settore dell’efficientamento energetico. Si tratta però di soluzioni applicabili facilmente solo dove il calcolo delle esternalità è di grande semplicità. Il processo del Pre-Commercial Procurement – fortemente sostenuto a livello comunitario – può rappresentare per i committenti pubblici un efficace strumento di stimolo all’innovazione permettendo la realizzazione di progetti di forte impatto sociale e offrendo all’imprese nuove possibilità di sviluppo a livello internazionale. Occorrerà verificare se questa formula può risultare praticabile anche su dimensioni cittadine medio piccole.

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Sostenibilità ambientale ed efficienza energetica nella città intelligente L’iniziativa europea del Patto dei Sindaci, attraverso la quale i firmatari si impegnano a raggiungere e superare l’obiettivo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020, ha registrato in Italia oltre 2.000 adesioni da parte di Comuni. Il Patto si configura comunque come un ingrediente di una visione molto più ampia che comprende: smart grid; piani di gestione dei cicli dei rifiuti e delle acque; edifici intelligenti che producono energia inseriti in quartieri e distretti ecosostenibili posti in rete; sistemi d’illuminazione pubblica telegestiti che consentono elevati risparmi. Queste soluzioni, insieme ad altre tecnologie abilitanti, rappresentano diversi segmenti di un complessivo piano di promozione della green economy su scala urbana che può permettere importanti passi in avanti in una logica di competitività e di promozione dei territori, oltre che di sostenibilità e di qualità della vita dei cittadini. Si tratta di azioni che possono essere impostate attraverso la programmazione comunale, ma che richiedono investimenti - di sicuro ritorno - che spesso si scontrano con i limiti imposti dal Patto di Stabilità. Lo sviluppo delle città del terzo millennio non può però che passare da scelte di questo tipo, per le quali i Comuni, le Province e le Regioni possono fare molto, ad esempio istituendo meccanismi di premialità per aziende e cittadini, lavorando attraverso le ESCo (Energy Service Company) e impostando meccanismi di partnership con i diversi stakeholder che prevedano l’assunzione di obiettivi, investimenti e ritorni condivisi. Molti altri sono gli strumenti a disposizione delle amministrazioni, tra cui: il Green Public Procurement, che va strutturato in Piani specifici per incentivare la responsabilità ambientale del sistema economico territoriale; la pubblicazione dei dati ambientali; una nuova progettazione del verde urbano sostenibile e a misura di cittadino; le politiche di promozione della ciclabilità e della pedonalità nei centri storici in relazione alla predisposizione di azioni strutturate per la mobilità intelligente. Non va sottovalutato inoltre il fatto che dal 2014 su questi settori – metodologie di misurazione, creazione di standard e convergenza di soluzioni tecnologiche per la mobilità e l’efficienza energetica – si concentrerà la gran parte dei fondi dedicati alle Smart Community dalla nuova programmazione europea Horizon 2020.

Mobilità sostenibile in città In una Smart City ci si muove più razionalmente, si hanno più percorsi e mezzi a disposizione per raggiungere la propria destinazione, si consumano meno risorse e si riducono le emissioni tossiche. Recenti ricerche dimostrano come la messa a sistema di investimenti tecnologici pregressi per la realizzazione di programmi di smart mobility possa portare ad un incremento complessivo del 5% di PIL a livello nazionale senza la necessità di mettere in cantiere investimenti per la costruzione di nuove infrastrutture fisiche. Esistono in Italia numerosi esempi di Intelligent Transportation System (ITS) attivi ed efficaci che devono essere valorizzati e messi a sistema creando raccordi funzionali e offrendo loro più ampia diponibilità di dati. Dati in possesso delle amministrazioni che devono poter essere messi a disposizione dell’utenza attraverso l’elaborazione in tempo reale dei sistemi informativi cittadini per risultare massimamente funzionali in relazione all’applicazione nei contesti specifici. Visti gli ingenti risparmi che si potrebbero realizzare, i protagonisti del confronto attuale sul tema propongono la creazione di un Fondo Nazionale di sostegno all’investimento per la realizzazione di sistemi di collaborazione tra ITS efficienti. Investimenti che alimentino il tessuto industriale dedicato e la componente accademico–scientifica coinvolta nei processi di ricerca e sviluppo. Le piattaforme ITS per il traffico marittimo, per i rifiuti, per il trasporto ferroviario, per la rete dei porti e degli interporti e per le operazioni doganali hanno avuto ricadute positive concrete per la filiera del trasporto e per l’utenza; ciò evidenzia la necessità di elevarne il livello e la qualità di collaborazione in un virtuoso progetto nazionale che si autoalimenti. Nelle città intelligenti si tratta di comprendere in programmi complessivi le numerose tecnologie già esistenti: dai cruscotti di controllo del traffico ai sistemi di pedaggio elettronico, dalle chiamate di emergenza all’interpretazione dei dati provenienti dai sensori distribuiti lungo le strade, dall’identità elettronica dei veicoli ai motori elettrici, ibridi, a biofuel o a pile combustibili.

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A tal proposito un importante passo riguarda l’incentivazione e l’incubazione di Start-Up orientate alla creazione di App per la mobilità che possano ad esempio essere utilizzate dalle aziende di Trasporto Pubblico Locale. Ciò consentirà di mantenere e sviluppare una rete di piccole e medie aziende che possano operare nel segmento ITS, aziende in grado di collaborare con università e centri di ricerca e di partecipare anche ad iniziative di grande respiro sotto l’egida dei pochi attori nazionali, necessari per la realizzazione delle grandi infrastrutture immateriali. L’integrazione di grandi infrastrutture immateriali e applicazioni per la fruizione “sull’ultimo miglio” potrebbe favorire lo sviluppo di piattaforme davvero efficaci per l’intermodalità, raccordando i servizi TPL ferro/gomma con la mobilità individuale sostenibile per giungere fino all’integrazione con gli spostamenti a piedi e in bicicletta. Dal punto di vista finanziario, è stato rilevato come gli investimenti del mondo industriale e i finanziamenti agevolati a fondo perduto dei programmi nazionali ed europei possano consentire di realizzare le nuove infrastrutture ITS e di migliorare quelle esistenti, ma non potranno garantire nel medio periodo un’adeguata sostenibilità del sistema di mobility nel suo complesso. Bisogna quindi recuperare una quota minoritaria dei risparmi economici derivanti dal minor tempo speso per il trasporto e dall’efficientamento della filiera per favorire lo sviluppo dei sistemi ITS e coinvolgere efficacemente il settore finanziario. Risulta altresì necessario il coinvolgimento dei centri di ricerca nazionali specializzati in economics per definire le regole di bancabilità per l’esercizio dei sistemi ITS, determinando il ROI sociale dei progetti e dei programmi. Last, but not least si manifesta, nel confronto attuale, l’esigenza di una campagna d’informazione nazionale declinata nei diversi contesti urbani - sui vantaggi della mobilità intelligente per comunicarne i benefici e coinvolgere i cittadini. In quest’ambito, sarà necessario comunicare anche attraverso i Social Media, evidenziando gli aspetti di inclusività e partecipazione propri della smart mobility in città.

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Conclusioni: condividere per migliorare In una crisi economica come quella attuale gli accordi tra le amministrazioni pubbliche e i produttori di tecnologie contribuiscono a creare una nicchia di opportunità notevoli e in controtendenza per migliorare l’offerta di servizi pubblici al cittadino. (Inigo de la Serna - Red Española de Ciudades Inteligentes) Aver inserito il tema delle comunità intelligenti all’interno di una legge dello Stato e destinare gran parte dei fondi pubblici per la ricerca alla progettualità sulle Smart City vuol dire scegliere di restituire rendicontabilità sociale ai budget per la ricerca tecnologica. Significa connettere il sistema dei bisogni emergenti nelle nostre città con l’Agenda della ricerca industriale del nostro Paese. (Mario Calderini – Politecnico di Torino)

Qualche tempo fa il CIO della città di Barcellona, Manel Sanroma’, ha assimilato il percorso in direzione della Smart city alla leggendaria corsa verso il Far West. Chi si avventava da solo in quelle terre sconosciute spesso finiva male, e solo riunendosi in carovane numerose e organizzate la lunga avventura dei pionieri si concludeva in un successo. Dobbiamo oggi chiederci cosa occorra alle città italiane per raggiungere il medesimo risultato.

Siamo consapevoli che molte esperienze importanti di Smart City si stanno sviluppando lontano del nostro Paese. Ci sono condizioni più favorevoli, una maggior diffusione e facilità di accesso alla rete, una migliore padronanza delle tecnologie sia a livello decisionale sia nelle famiglie. Pur avendo ben chiare le specificità della realtà italiana, è di fondamentale importanza conoscere ciò che sta accadendo a livello internazionale e far sì che le nostre città entrino massicciamente nei network europei che sperimentano nuove soluzioni, anche grazie ai finanziamenti comunitari. Sarebbe un grande errore degli amministratori locali valutare la dimensione progettuale europea esclusivamente dal punto di vista economico, ovvero del rapporto fra ciò che si può intascare e l’investimento necessario in trasferte e impegno del personale. Le città italiane più attive sul piano della progettualità europea sono anche quelle che hanno le amministrazioni più dinamiche e innovative, perché la frequentazione di circuiti di eccellenza stimola amministratori e dirigenti a far meglio. È quindi importante promuovere l’accesso motivato alle reti e agli eventi europei, consentendo con norme specifiche le trasferte del personale dipendente e abbandonando per sempre il falso moralismo di chi pensa che ai convegni si vada in vacanza. Si può fare molto anche a livello nazionale. In Spagna, per esempio, è nata la Red Española de la Ciudades Inteligentes (RECI) che si pone come obiettivo primario la condivisione dei progetti e delle soluzioni. In Italia sta sorgendo una forte aggregazione intorno all’osservatorio Smart City dell’ANCI, una iniziativa che vede FORUM PA coinvolto attivamente nel tentativo di fornire un punto di riferimento alle decine di realtà nazionali interessate.

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A livello internazionale, l’iniziativa più promettente è il City Protocol, lanciato nel 2012 dalla città di Barcellona con l’intento di creare un ambiente aperto e internazionale per definire l’anatomia della Smart City e migliorarne le performance in termini di sostenibilità ambientale, competitività, qualità della vita, servizi. Al centro dei lavori – a cui partecipano realtà provenienti da tutti i continenti – ci sono la volontà di innovare in modo radicale i modelli di governance delle città, di coinvolgimento dei cittadini, di uso dell’ICT nella gestione delle funzioni urbane vitali. Questo approccio sistemico, che vede la città come un organismo vivente in grado di mutare ed evolvere continuamente, punta a stimolarne alcune caratteristiche vincenti: la resilienza, l’adattività, la capacità di imparare e di attrarre risorse dall’esterno. Nel corso del 2013 l’iniziativa dovrebbe dar vita alla City Protocol Society, un organismo strutturato in grado di sostenere lo sviluppo dell’ambizioso programma che vede la partecipazione insieme alle città anche di aziende, università e associazioni. Per orientarsi lungo il percorso verso la Smart City, servono alle città strumenti adeguati per valutare se le proprie scelte strategiche e operative stanno dando i frutti sperati. I-City Rate nasce per rispondere a questo bisogno. Non una banale classifica, bensì uno strumento di lavoro che consente di valutare i punti di forza e di debolezza del proprio territorio e confrontarsi con gli altri. Lanciata nel 2012 in occasione della prima edizione di SMART City Exhibition, I-City Rate vede oggi svilupparsi al suo fianco I-City Lab: una piattaforma evoluta di analisi socio-economica on line che aspira a divenire un pilastro importante per le scelte strategiche delle città italiane mettendo a disposizione soluzioni efficaci per le attività di benchmark, di analisi avanzata e di progettazione. La sua forza risiede nell’ampia gamma di dati multisettoriali presi in considerazione per la costruzione degli indici, ricavati dalle migliori ricerche oggi disponibili nel Paese. Probabilmente la qualità che caratterizza oggi le città più smart in Europa è la capacità di stringere accordi e lavorare con gli altri attori coinvolti nei processi innovativi. Imprese, rappresentanze, cittadini, istituzioni, tutti devono fare la propria parte, ed è definitivamente tramontata, se mai è esistita, l’era dei comuni autoreferenziali in grado di fare e decidere in modo autonomo.

SMART City Exhibition vuole rappresentare il punto d’incontro ideale e funzionale fra tutte le reti europee che operano nel campo delle Smart city, le imprese e le città italiane interessate a migliorare le proprie performance. I risultati dell’edizione 2012 hanno dimostrato che questo obiettivo è possibile e il nuovo appuntamento a Bologna (16-18 ottobre 2013) punta a rafforzare questa dimensione di lavoro, confronto e valorizzazione delle opportunità.

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