Associazione Arma Aeronautica Sezione di Parma con la collaborazione del Comune di Sala Baganza
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
a cura di Maurizio Zanella, Carlo Migliavacca ed Enzo Vicini Associazione Arma Aeronautica Sezione di Parma Presidente: Col. Claudio Bernardini Vicepresidenti: Luigi Soncini e Antonio Ing. Martini Segretario: M.llo Sc. Lelio Cav. Petrucci Tesoriere: M.llo Sc. Antonio Cav. Pecoraro posta@parmaeronautica.it Comune di Sala Baganza Sindaco: Cristina Merusi
Progetto grafico: Francesca D’Onofrio Š 2013 Associazione Arma Aeronautica Sezione di Parma Finito di stampare nel mese di marzo 2013 da Stamperia scrl.
INDICE
Biografia di Athos Maestri
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Enzo Vicini
Savoia-Marchetti S.M.81 “Pipistrello”
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Maurizio Zanella
CRDA CANT Z.1007bis “Alcione”
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Maurizio Zanella
L’ultima notte
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Carlo Migliavacca
“ . . . a ghe’ Maestri! ”
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Carlo Migliavacca
Motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare
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Biografia di Athos Maestri
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Enzo Vicini
Famiglia Maestri. In piedi: Filiberto, la moglie Tina, Athos e Aniceto. Seduti: i genitori Angiolina e Mario.
Nato a Talignano (PR) il 14 aprile 1913 da Mario e Angiolina Bontempi nella casa materna, frequentò le scuole elementari a Collecchio (PR) presso la nonna paterna. Nel 1925 la sua famiglia si trasferì a L’Aquila dove fu iscritto alla Scuola Industriale. Tuttavia il suo rendimento scolastico non era dei migliori tanto che fu consigliato di lasciare gli studi per entrare nel mondo del lavoro. Infatti fu assunto in una ditta edile dove però, a causa della durezza del lavoro, si ammalò. Ristabilitosi, in seguito fu invitato a riprendere gli studi come privatista ottenendo il diploma di Maturità Classica nell’anno scolastico 1930-31 presso il Regio Liceo-Ginnasio D. Cotugno a L’Aquila. Nel 1932 si iscrisse all’Università Bocconi di Milano alla Facoltà di Scienze Economiche e Commerciali. Ma il suo desiderio primario era il volo e così nel febbraio 1933 iniziò il corso di pilotaggio come Aviere AUC (Allievo Ufficiale di Complemento) a Parma e nell’aprile successivo fu ammesso al corso per allievo pilota presso la Scuola Civile di Pilotaggio Breda di Sesto San Giovanni (MI). Conseguito il brevetto civile nel luglio dello stesso anno, in agosto raggiunse il campo di Grottaglie (TA) presso la Scuola di Osservazione Aerea, 2a Squadriglia Addestramento, dove prese quello militare in settembre. Come
risulta dai libretti di volo relativi alle fasi addestrative, a Sesto San Giovanni volò su numerosi tipi di velivoli Breda (A.2, A.3, A.4, A.9 e SC.4) e Ansaldo (SVA.5 e SVA.9), mentre alla Scuola di Grottaglie utilizzò l’Ansaldo A.300/6. Come S. Ten. Pil. Cpl. fu assegnato al 7° Stormo Bombardamento Terrestre (BT), 4° Gruppo, 14a Squadriglia di Lonate Pozzolo (VA) su velivoli Caproni Ca.101. Nel 1934, con grande rammarico, fu congedato per fine servizio di prima nomina e riprese gli studi universitari. Nel febbraio 1935, in seguito alla mobilitazione per la campagna in Africa Orientale, chiese ed ottenne il reintegro in servizio raggiungendo nuovamente il 7° Stormo BT. Ma egli non desiderava un reparto stanziale, voleva volare e combattere, e la sua aspirazione fu appagata con la partenza nel febbraio 1936 come legionario di aviazione per l’Eritrea. In questo reparto, durante la Campagna d’Etiopia (1935-36), si guadagnò la sua prima Medaglia d’Argento al Valor Militare a seguito di un’azione in cui rimase ferito. Nel 1936 fu decorato della Croce di Guerra al VM ed ebbe la promozione a Ten. Pil. in SPE. Volò anche sul bombardiere SIAI S.81 “Pipistrello” nei ranghi della 62a Squadriglia, 29° Gruppo, 9° Stormo BT insediato a Gura, Eritrea. Degno di menzione è l’episodio che testimonia la bontà d’animo di Maestri che, comandato di procedere ad una azione di rappresaglia contro gli etiopi resisi responsabili di un massacro di nostri connazionali, cercò di limitare al massimo i danni collaterali verso la popolazione inerme ed innocente. Nel 1938 fu nuovamente ferito in azione e rimpatriato e gli fu conferita la seconda Medaglia d’Argento al VM. Il 3 luglio 1939 convolò a nozze con Concetta Branchi. Il 28 ottobre 1939 fu promosso Capitano. Inabile per ferita in servizio di guerra, in quanto subì la mutilazione dell’astragalo del piede, e destinato ad attività sedentaria, riuscì ad ottenere, per intercessione del Viceré il Duca d’Aosta, il rientro in servizio operativo e nel 1940 all’entrata in guerra, si trovava ancora in Africa Orientale. Fu dapprima comandante della Squadriglia Stato Maggiore del Comando Settore Nord ad Asmara il 13 marzo e poi della 118a Squadriglia BT il 4 agosto 1940. Volando sul Caproni Ca.133 “Caprona” e S.81 prese parte a moltissime azioni nel Sudan angloegiziano e a bombardamenti di convogli nel Mar Rosso.
Athos Maestri in alta uniforme. Dicembre 1933.
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Biografia di Athos Maestri
Athos Maestri durante la campagna d’Etiopia, ritratto con un gruppo di nativi. Nella pagina a fianco: il Comandante Maestri ritratto davanti al suo velivolo S.M.81.
Il 30 marzo 1941 nacque la sua primogenita, Annarita. Nel giugno 1941 ebbe il comando della 261a Squadriglia, 106° Gruppo, 47° Stormo BT, dotato di CRDA CANT Z.1007bis “Alcione” a Grottaglie, prima di trasferirsi a Rodi (Mar Egeo). Il 10 settembre riportava la sua terza ferita in combattimento e nel gennaio 1942 riceveva la terza Medaglia d’Argento al VM e poi una citazione nel Bollettino di Guerra per azioni di bombardamento contro la flotta inglese proveniente da Alessandria d’Egitto. Proprio su questa base aeronavale, nella notte fra il 31 luglio e il 1° agosto 1942, cadde nel corso di un violento combattimento aereo. Venne successivamente decorato della quarta Medaglia d’Argento al VM e poi della Medaglia d’Oro al VM alla Memoria. Il suo corpo non venne mai ritrovato e, a 71 giorni dal suo presunto decesso, l’11 ottobre 1942, nacque il tanto desiderato figlio maschio, Fabio, che non ebbe la fortuna di vedere. Ebbe anche la Laurea Honoris Causa in Fisica e Matematica alla memoria. Al Cap. Pil. Athos Maestri sono state intitolate la Sezione di Parma dell’Associazione Arma Aeronautica e una piazza del quartiere Montebello di Parma. É da ricordare, inoltre, che le famiglie Bontempi-Maestri vantano una solida tradizione aeronautica. Infatti Il nonno Ettore Bontempi fu Serg. Magg. pilota nella 1a Guerra Mondiale, dove si guadagnò due Medaglie di Bronzo al VM, combattendo anche nel 2° conflitto mondiale. Filiberto, fratello di Athos, nel 1929 partecipò come secondo pilota alla Crociera del Mediterraneo Orientale su idrovolante Savoia-Marchetti S.55, inoltre durante la 2a Guerra Mondiale fu assegnato ai reparti di idrovolanti di soccorso, salvando numerose vite e meritandosi decorazioni al VM. Fu poi Comandante di aerolinea civile. L’altro fratello, Aniceto, ottenne giovanissimo il brevetto di volo a vela e a motore. Sergio Bontempi, figlio del nonno Ettore, collaborò alla formazione della Scuola di volo a vela di Parma nel 1935 con altri giovani entusiasti destinati a diventare nomi illustri nella storia aeronautica locale: Mantelli, Cenni, Alessandrini. Infine Paolo Bontempi, nipote di Gino fratello di Ettore, pilota nell’Aeronautica Militare dapprima e poi nelle linee civili.
Biografia di Athos Maestri
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Savoia-Marchetti S.M.81 “Pipistrello”
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maurizio zanella
Tipo / Impiego
Bombardiere
Produttore
S.I.A.I. Savoia-Marchetti
Progettista
Ing. Alessandro Marchetti
Primo volo
8 febbraio 1935
Equipaggio
4 / 5 persone
Impianto propulsivo
tre: Gnome-Rhône 14K da 650 CV oppure Piaggio P.X RC.35 radiali da 670 CV oppure Alfa Romeo 125 RC.34 da 680 CV
Apertura alare
24,0 m
Lunghezza
17,80 m
Altezza
4,45 m
Superficie alare
92,2 m²
Peso a vuoto
6.300 kg
Peso mass. al decollo
10.500 kg
Velocità massima
340 km/h a 1.000 m di quota
Tangenza pratica
7.000 m
Autonomia
2.000 km
Armamento
Di norma 6 mitragliatrici Breda-SAFAT da 7,7 mm di cui quattro disposte in coppie in due torrette, una dorsale e l’altra ventrale rettrattile e le restanti due installate in postazioni laterali. Un carico di bombe fino a un massimo di 2.000 kg
Produttori esterni o su licenza
Rinaldo Piaggio, Aeronautica Macchi, C.R.D.A. Cantieri Riuniti dell’Adriatico, C.M.A.S.A. Costruzioni Meccaniche ed Aeronautiche Società Anonima.
Esemplari prodotti
534
Uno dei più caratteristici aerei da bombardamento della Regia Aeronautica,il SavoiaMarchetti S.M.81 al suo apparire rappresentò un netto passo avanti nella evoluzione del materiale allora in dotazione all’aviazione militare. Veloce, abbondantemente armato, dotato di una larga autonomia, inaugurò la formula trimotore, che sarebbe poi diventata caratteristica negli aerei della Regia Aeronautica. Punto di partenza per la realizzazione del bombardiere fu il Savoia-Marchetti S.M.73, fortunato aereo civile che era apparso nel 1934 riscuotendo un immediato successo commerciale. Del predecessore, lo S.M.81 manteneva la configurazione di trimotore monoplano, ad ala bassa e carrello fisso, con struttura mista in legno e metallo e rivestimento in legno e tela. Il SIAI-Marchetti S.81 “Pipistrello” può anche chiamarsi Savoia-Marchetti S.M.81 in quanto un brevetto reale del 1913 autorizzava l’azienda SIAI a fregiarsi del nome Savoia. Il 6 aprile 1937, si approvó la nuova ragione sociale della Società che divenne: S.I.A.I. (Società Italiana Aeroplani e Idrovolanti) Savoia-Marchetti. La differenza stava nel fatto che precedentemente S.I.A.I. significava: Società Idrovolanti Alta Italia. La ditta, che inizialmente nacque per la specifica costruzione di idrovolanti, ora si orientava anche verso la costruzione di plurimotori terrestri e per questo cambiava il suo nome. Durante la Seconda Guerra Mondiale la ditta impiegò oltre 10.000 tra impiegati e operai nelle sue fabbriche di Sesto Calende, Borgomanero e Vergiate. Prima della fine della guerra, nel 1944, la ditta abbandonò il nome monarchico Savoia nel marchio, tornando alla vecchia denominazione di S.I.A.I. Marchetti (Società Italiana Aeroplani Idrovolanti). La designazione venne mantenuta fino agli anni ottanta.
Trittico delle viste del Savoia-Marchetti S.M.81.
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Savoia-Marchetti S.M.81 “Pipistrello”
Athos Maestri in cabina di pilotaggio. Nella pagina a finaco in alto: Formazione di bombardieri S.M.81. In basso: un giovanissimo Athos Maestri ritratto davanti al suo velivolo.
Il Savoia-Marchetti S.M.81 entrò in servizio nella Regia Aeronautica nella primavera del 1935 e, quando il 3 ottobre 1935 l’Italia invase l’Abissinia, venne impiegato oltre che come bombardiere, anche per la ricognizione e il trasporto. Gli S.81 furono tra i primi aerei inviati a sostegno del Generale Franco nella guerra civile spagnola dove conseguì positivi risultati. Come per molti altri aerei italiani, il banco di prova della guerra di Spagna portò a valutazioni tecniche e militari fuorvianti. Gli strateghi dell’epoca, infatti, non si soffermarono troppo a considerare che le operazioni belliche in Spagna erano state condotte in condizioni del tutto particolari cioè con la quasi totale assenza di un antagonista valido e alla presenza di una opposizione aerea del tutto inadeguata e tecnicamente inferiore. Come conseguenza, la produzione si concentrò su alcuni tipi di macchine che sarebbero rimaste in linea per molti anni e che avrebbero mostrato tutti i loro limiti tecnici e operativi di fronte ai futuri avversari. Così fu anche per il “Pipistrello” che rimase in servizio per tutta la durata della seconda guerra mondiale anche se, con l’entrata in servizio del Savoia-Marchetti S.M.79, cominciò ad essere gradualmente ritirato dal servizio di prima linea sul territorio metropolitano per operare poi prevalentemente come trasporto sul fronte africano e su quello russo. Dopo l’armistizio, solo quattro S.M.81 operarono al sud con l’Aeronautica Cobelligerante Italiana fino al dicembre 1944, mentre al nord venne costituito il Gruppo Trasporti “Terracciano”, che operò sul fronte orientale con insegne tedesche.
Savoia-Marchetti S.M.81 “Pipistrello”
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CRDA CANT Z.1007bis “Alcione”
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maurizio zanella
Tipo / Impiego:
Bombardiere medio
Produttore:
C.R.D.A. Cantieri Riuniti Dell'Adriatico – C.A.N.T. Cantieri Aeronautici e Navali Triestini
Progettista:
Ing. Filippo Zappata
Primo volo:
11 marzo 1937 il prototipo Z.1007
Equipaggio:
5 / 6 persone
Impianto propulsivo:
tre: Piaggio P.XI bis RC.40 , 14 cilindri a doppia stella raffreddati ad aria da 1.000 CV
Apertura alare:
24,80 m
Lunghezza:
18,35 m
Altezza:
5,22 m
Superficie alare:
75,0 m²
Peso a vuoto:
9.395 kg
Peso mass. al decollo:
13.620 kg
Velocità massima:
465 km/h a 4.000 m di quota
Tangenza pratica:
8.200 m
Autonomia:
1.750 km alla velocità di 380 km/h e massimo carico bellico interno
Armamento:
Una torretta dorsale Breda M o Caproni-Lanciani Delta E, munita di una mitragliatrice Scotti o SAFAT da 12,7 mm, un armamento analogo nella postazione ventrale dietro alla stiva-bombe e due mitragliatrici articolate laterali SAFAT da 7,7 mm, oltre a un carico massimo interno di 1.200 kg di bombe o uno massimo esterno di 1.000 kg
Produttori esterni o su licenza:
IMAM Industrie Meccaniche Aeronautiche Meridionali (102 esemplari)
Nel 1936 i Cantieri Riuniti dell’Adriatico accolsero la proposta dell’ing. Filippo Zappata (uno dei maggiori progettisti aeronautici di tutti i tempi) di sviluppare in proprio un Bombardiere Medio Terrestre da proporre alla Regia Aeronautica. Era un fatto insolito, in quanto la macchina non rispondeva a nessuna richiesta dell’Arma Aerea, collocandosi semmai, per le caratteristiche di massima, a metà strada tra il Concorso per un Bombardiere Medio Bimotore Diurno e Notturno del 1934 e quello per un Bombardiere Normale, che però sarebbe stato bandito solo nel gennaio 1938. Tuttavia la bontà del progetto e l’esito non troppo soddisfacente del primo Concorso richiamarono sul velivolo dei CRDA l’attenzione degli organi tecnici dell’Arma che inizialmente ordinarono la costruzione di due prototipi, poi cancellati, e successivamente la costruzione di una prima serie di 18 aeroplani, in seguito gradualmente aumentati sino a 64. Denominato CANT Z.1007, la macchina era un trimotore con fusoliera a guscio, ala media a sbalzo e piani di coda controventati e di costruzione interamente lignea. I posti di pilotaggio erano in tandem e il puntatore trovava posto, in posizione prona, in un angusto abitacolo sfinestrato ricavato alla radice dell’ala destra. I motori inizialmente prescelti furono gli Isotta Fraschini Asso XI RC.15 a 12 cilindri a V da 825 CV ed equipaggiati con eliche bipala a passo variabile in volo. Il primo Z.1007 fu portato in volo l’11 marzo 1937 e subito furono riscontrati malfunzionamenti ai motori mentre nulla fu rilevato a carico della struttura e dell’aerodinamica. In pratica l’aereo non confermò mai le caratteristiche di progetto e quelle rilevate sul modello nella galleria del vento. I motori non raggiunsero mai la potenza nominale, in quanto afflitti soprattutto da gravi problemi di raffreddamento. Presso l’Officina Sperimentale dei Cantieri incominciò allora la via crucis delle modifiche al sistema di raffreddamento, mediante ripetuti cambiamenti del tipo, della forma e della
Trittico delle viste del CANT Z.1007bis.
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Formazione serrata di bombardieri CANT Z.1007bis
CRDA CANT Z.1007bis “Alcione”
collocazione dei radiatori. Alla fine si trovò la soluzione migliore con l’installazione di tre Asso XI RC.40 con compressore ottimizzato per la quota di ristabilimento di 4.000 m ed eliche tripala con ogive e radiatori anulari della Secondo Mona, chiusi da capottature Magni. In tale configurazione il velivolo fu valutato, a partire dal 15 marzo 1938 dal Col. Tadè della R.A. presso il costruttore e da lui ritirato il successivo 15 aprile con trasferimento a Centocelle unitamente ai tecnici delle Officine Aeronautiche per proseguirne la messa a punto. Il velivolo raggiunse poi Guidonia presso il Centro Studi ed Esperienze Aeronautiche per le prove di qualificazione previste dall’Arma Aeronautica, mentre a Monfalcone incominciavano a uscire dalla catena di montaggio le prime macchine di serie. Successivamente passò in carico al 1° Centro Sperimentale, con esercitazioni e prove di sgancio sul poligono di Furbara, per rientrare a Monfalcone esattamente tre mesi dopo, il 15 luglio. Della macchina impressionò la manovrabilità, ritenuta eccezionale per un trimotore di tali dimensioni, ma furono anche rilevati evidenti errori di progettazione. In primo luogo si mise in evidenza la precarietà dell’ubicazione della cabina di puntamento, che impediva all’addetto di indossare il paracadute: se ne richiese l’aumento dimensionale e delle vetrature. I serbatoi di carburante furono giudicati troppo vulnerabili, mentre il carico bellico trasportabile, 500 kg, doveva essere aumentato. Il 1007 rientrò in Cantiere per le modifiche: i 10 serbatoi furono
CRDA CANT Z.1007bis “Alcione”
riprogettati. Le ali vennero dotate di tre travetti ciascuna, adatti al trasporto di sei bombe da 50 kg portando così il carico bellico totale a 800 kg. Con questi ulteriori interventi lo sviluppo del 1007 poteva ritenersi finito, ma l’ing. Zappata decise di installare su una delle macchine di serie tre motori stellari Piaggio P.XI RC.40 da 1.000 CV. Nonostante l’aumento del 30% della superficie frontale, l’aereo raggiunse sia pure alleggerito delle installazioni belliche i 475 Km/h in quota, contro i 430 dei velivoli in costruzione e senza problemi di raffreddamento. Tale esperimento diede il via allo sviluppo del successivo CANT Z.1007bis, che sarebbe divenuto il bombardiere tipo della Regia Aeronautica durante tutta la Seconda Guerra Mondiale. Esaminato e valutato il progetto della nuova macchina, la Regia Aeronautica decise di interrompere con effetto immediato la produzione del 1007 al 34° esemplare (ultima macchina per la quale erano stati acquisiti tutti i componenti necessari al suo completamento) e di convertire l’ordine per i rimanenti 30 in altrettanti 1007bis. Il nuovo aereo differiva dal suo predecessore per la fusoliera più larga, raccordata ai nuovi motori e per l’adozione di una lunga gondola ventrale, molto simile a quella dell’idrovolante CANT Z.506B, ove trovavano posto innanzitutto la nuova cabina di puntamento, la nuova stiva bombe e la postazione difensiva inferiore. L’armamento consisteva in due mitragliatrici Scotti da 12,7 mm, la prima installata nella consueta torretta superiore Caproni-Lanciani Delta E a rotazione manuale, e la seconda nella postazione ventrale a difesa del settore inferiore/posteriore. Ai lati della fusoliera, subito dopo la postazione radiotelegrafica, occultate da portelli scorrevoli, due SAFAT da 7,7 mm. I posti di pilotaggio rimasero in tandem. Il primo 1007bis di serie venne completato nella primavera del 1939 ed effettuò le prove di accettazione a Guidonia tra il luglio e l’agosto 1939, ove confermò le ottimali prestazioni previste da Zappata. Oltre alle caratteristiche di velocità e tangenza, le prove dimostrarono l’eccellente stabilità in volo della macchina, esente da tendenze a imbardare o assumere assetti pericolosi. I primi quattro esemplari di serie furono consegnati nell’ottobre del 1940 al 47° Stormo BT di Ghedi e successivamente equipaggiò tutte le unità di punta della specialità del Bombardamento della Regia Aeronautica. Durante il periodo di produzione il 1007bis fu costantemente migliorato negli impianti, nella struttura (a partire dal 12° esemplare della Serie IV i piani di coda divennero bideriva, modifica introdotta per il miglior controllo direzionale di un trimotore e per ampliare il campo di tiro della mitragliatrice dorsale nel settore posteriore) e nei motori, passati dalla Serie V ai P.XI bis RC.40, di pari potenza ma dal migliore rendimento. Dalla Serie XII la torretta dorsale venne sostituita da una Breda V, comandata oleodinamicamente e dotata di una mitragliatrice SAFAT, sempre in calibro 12,7 mm. L’ultima variante dell’“Alcione” fu il 1007ter, dotata di motori Piaggio P.XIX RC.45 da 1.175 CV, capace di una velocità massima di 500 km/h. Complessivamente furono costruiti non meno di 663 CANT Z.1007 di tutte le versioni: il numero effettivo non è conosciuto in mancanza di dati certi per i 1007ter realizzati a Monfalcone e a Finale Ligure dopo l’Armistizio e consegnati all’Aeronautica Nazionale Repubblicana o alla Luftwaffe. Del velivolo furono ordinate 17 Serie di produzione per complessive 769 macchine, di cui 567 ordinate ai CRDA, 102 alla
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CRDA CANT Z.1007bis “Alcione”
Athos Maestri, comandante della 261a Squadriglia, appoggiato alla fusoliera del suo CANT Z.1007bis.
IMAM (solo bis) e 100 alla Piaggio (solo ter). L’esordio operativo dell’“Alcione” avvenne nelle file del C.A.I. in Belgio, quando 5 velivoli appartenenti alla 172ª Squadriglia da Ricognizione Terrestre parteciparono marginalmente alla “Battaglia d’Inghilterra”, poi fu impiegato massicciamente su tutti i fronti, nei Balcani, in Russia e nel Mediterraneo. In Russia e in Libia operarono esclusivamente velivoli ricognitori. L’“Alcione” fu uno dei principali velivoli da bombardamento italiani schierati durante il secondo conflitto mondiale, soprattutto dopo il “dirottamento” dell’SM.79 verso la specialità aerosiluranti. Il suo impiego in climi particolarmente severi, come quello africano e quello russo, mise in risalto una certa debolezza strutturale, derivante dalla costruzione interamente in legno dell’aereo. Dopo l’8 settembre i velivoli presenti al Nord, assommanti a una ventina di esemplari, successivamente integrati dai pochi ter ulteriormente prodotti, vennero inquadrati nella Squadriglia Autonoma Bombardamento Terrestre “Ettore Muti”, ma impiegati unicamente in attività addestrative. Poco o niente invece si conosce dell’uso delle macchine confiscate dalla Luftwaffe. 25 macchine, tra bis e ter, si ritrovarono invece al Sud, quasi tutte provenienti dal Raggruppamento Bombardieri di Perugia. Vennero impiegati solo come aerorifornitori in appoggio alle forze partigiane di Tito e alla Divisione “Garibaldi”, unità costituita da truppe dell’Esercito Italiano prima sbandate e poi riunitesi sotto un’unica bandiera in funzione antitedesca in Bosnia e alleatesi ai succitati partigiani. Alla fine delle ostilità sopravvissero solo una dozzina di macchine considerate efficienti. Furono impiegate per un breve periodo quali macchine da collegamento e da trasporto. Poiché il susseguente Trattato di Pace proibiva all’Italia il possesso di bombardieri, la loro conversione in velivoli passeggeri, come fatto per gli SM.79 e 82, non fu possibile a causa delle ristrette dimensioni della fusoliera e quindi vennero avviati alla demolizione. L’ultimo di cui si ha notizia era ancora visibile a Furbara nel 1947.
L’ultima notte
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carlo migliavacca
Dopo la calura della torrida giornata di fine luglio appena trascorsa, una tiepida brezza proveniente dal mare color cobalto rinfresca l’aeroporto di Gadurrà, base della Regia Aeronautica sull’isola di Rodi. Il Capitano Athos Maestri è immobile all’estremità della pista di decollo che si affaccia sul mare. Il suo sguardo si perde nell’orizzonte blu che tanto contrasta con il color mattone dell’isola. Com’è lontana e diversa la sua Talignano, con le sue dolci e verdi colline, dove i filari di vigna sono carichi di grappoli d’uva. Avrebbe dato qualunque cosa per poter bere un bicchiere della sua malvasia e sentire in bocca il sapore della sua terra lontana… maledetta guerra. In quel momento di tranquillità la guerra sembra essersi fermata, l’intenso profumo di mirto ed erbe selvatiche si confonde con l’odore salmastro del mare. Lo stridio dei gabbiani gli riporta alla mente il viaggio di nozze sulla costa adriatica con la sua Concetta, ora in dolce attesa del secondo frutto del loro amore. Purtroppo quel momento magico di pace e serenità svanisce con il pensiero che di lì a poco, la squadriglia da lui comandata, sarebbe dovuta decollare per una difficile e pericolosa missione di bombardamento della base aeronavale di Alessandria d’Egitto. Il Cap. Maestri ha chiesto con insistenza di partecipare a questa missione, nonostante sia ancora convalescente per una ferita alla testa, omaggio dei cacciatori inglesi durante una battaglia aerea avvenuta solo due settimane prima. Quella missione l’ha ideata e studiata lui e per niente al mondo avrebbe voluto mancare. I suoi uomini hanno bisogno della sua rassicurante presenza e niente l’avrebbe fatto desistere dall’andare con loro. Era un pilota e comandante generoso, coraggioso e irruento, sempre volontario per le missioni più impegnative, un autentico esempio per i suoi uomini; questo era il modo di intendere la guerra per il “Bocia”, come l’avevano soprannominato fin dai tempi dell’Etiopia per il suo aspetto da eterno ragazzo. Ora si incammina lentamente lungo la pista polverosa in direzione del mare. A lato della pista, riparati da muretti antischegge, si trovano i fedeli trimotori “Alcione”. Come il nome mitologico con cui erano stati battezzati, i sei velivoli scelti per quella missione notturna sembrano giganteschi uccelli addormentati. Sono i CANT Z.1007bis, i migliori bombardieri di cui l’Italia poteva disporre in quel conflitto. Nella stiva di ognuno sono già agganciate 10 bombe dirompenti da 100 kg, i serbatoi sono stati riempiti fino all’orlo e sono state caricate anche taniche supplementari di carburante. La missione di quella notte infatti sarebbe andata ben oltre l’autonomia massima del velivolo che è di circa 1.750 km a pieno carico. L’audace piano consiste nel decollare da Rodi in direzione Sud, attraversare il mare fino alla costa africana, per
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L’ultima notte
proseguire poi inoltrandosi nel deserto. Una larga virata con direzione Nord-Est, avrebbe portato poi la formazione di bombardieri alle spalle del nemico cogliendolo di sorpresa. Sarebbero giunti infatti a bombardare il porto di Alessandria provenendo dal deserto e non dal mare, da una direzione da cui gli Inglesi non si aspettano attacchi. Sganciate tutte le bombe sul porto, si doveva proseguire il volo riattraversando il mare fino ad atterrare sui nostri campi della Sicilia meridionale. Sempre di notte, con pochi punti di riferimento, la bussola, le stelle e l’audacia dei nostri aviatori. C’è da far tremare i polsi anche al più esperto dei nostri piloti, ma si sa, la fortuna aiuta gli audaci, e se questo è vero ne avremmo avuta sicuramente tanta. Gli armieri e i motoristi sono impegnati negli ultimi controlli ai velivoli. Il pericoloso decollo a pieno carico sarebbe avvenuto all’imbrunire, con l’ultima luce del crepuscolo, poi la notte. I velivoli erano sovraccarichi di bombe e carburante, il decollo si presentava come una sfida. Un piccolo problema ai fedeli motori Piaggio stellari da 1.000 CV durante il decollo e la missione sarebbe finita con un disastro ancor prima di cominciare. Pochi minuti prima dell’ora X stabilita per l’inizio della missione, gli equipaggi si avvicinano ai loro aeroplani e, aiutati dagli avieri in servizio, salgono a bordo. Il Comandante Maestri ha una parola d’incoraggiamento per tutti i suoi uomini che considera come fratelli ed è l’ultimo a salire in cabina. Dopo i controlli alla strumentazione di bordo vengono accesi i motori. La tranquillità dell’aeroporto viene rotta dal rombo dei motori in fase di riscaldamento. Alcuni minuti e poi gli avieri a terra tolgono i tacchi alle ruote. Il CANT Z.1007 del Comandante è il primo a rullare per portarsi in testata pista. Come al solito vuole dare l’esempio ai suoi uomini nel difficile decollo. Maestri deve sfruttare tutta la lunghezza della pista e, con il peso extra che l’“Alcione” si deve portare addosso, ne avrà certamente bisogno. L’aereo è ora allineato in fondo alla pista calcinata dal sole. Una spuntata di motore per pulire le candele. Un razzo rosso si alza verso il cielo, è il momento. Via! Il motorista di bordo porta i Piaggio al massimo numero di giri, poi aziona il +100, via i freni, l’“Alcione” si muove lentamente poi sempre più veloce. La coda si alza. L’aereo corre veloce al centro della pista che lo porta verso un mare scuro sempre più vicino. Le mani del Comandante stringono con forza il volantino, lo sguardo è fisso sull’indicatore di velocità: “Alzati maledizione! Forza, forza! Tirati su!”. In fondo alla pista già si scorge la spuma bianca delle onde che si infrangono sulla battigia, mentre il fedele “Alcione” stacca finalmente le ruote dal suolo sfiorando l’acqua. Maestri fa rientrare il carrello, l’aeroplano è in volo. Ma il Comandante vuole accertarsi che anche gli altri riescano in quell’intento, anche a costo di sprecare preziosa benzina sorvolando la zona fino a quando tutta la squadriglia avrà decollato. Quando l’ultimo aeroplano raggiunge la formazione in volo, Maestri effettua la prima e ultima comunicazione radio: “Ragazzi rotta verso sud; occhio alle stelle ed alla bussola; massima attenzione ai cacciatori inglesi; da ora in avanti totale silenzio radio e spegnere tutte le luci di navigazione. Buona fortuna, ci rivediamo al circolo di Gerbini, birra pagata per tutti!”.
L’ultima notte
Con una lenta salita i sei velivoli raggiungono la quota prestabilita di circa 4.000 metri. Il volo è tranquillo, il navigatore prevede di sorvolare il mare per circa 2 ore prima di vedere la terra ferma. Come previsto, dopo poco più di 2 ore una linea scura si staglia all’orizzonte: la costa africana. Il piano prevede una penetrazione di circa 100 km all’interno del deserto. Nel buio più totale, senza punti di riferimento, il navigatore guarda la bussola e le mappe, confrontando la loro posizione con le amiche stelle, che si stagliano su un cielo incredibilmente limpido, come solo il cielo del deserto può essere. Athos non può fare a meno di guardarle e restarne affascinato, ma è solo un attimo, non c’è tempo, deve restare concentrato sulla missione… maledetta guerra. Gli occhi del Comandante bruciano cercando di leggere gli strumenti di bordo illuminati da una fioca luce rossa. Ma l’oscurità è amica dei bombardieri, li accompagna e li protegge. Al punto prestabilito larga virata con direzione Nord-Est; la rotta intrapresa li dovrebbe portare diritti sul porto di Alessandria, una delle più importanti basi aeronavali inglesi del Mediterraneo e per questo potentemente difesa da decine di cannoni e mitragliere antiaeree. Il porto si annuncia da lontano, già si scorgono le fotoelettriche che sciabolano il cielo notturno alla ricerca del nemico. Gli aeroplani italiani vengono avvistati ma sono scambiati per bombardieri amici. Nessun nemico è mai arrivato da quella direzione. La sorpresa riesce, gli Inglesi non si aspettano un attacco proveniente dal deserto. Maestri afferra saldamente il volantino per mantenere stabile l’aereo e dar modo al puntatore di far bene il suo lavoro. L’addetto al lancio apre la stiva bombe, traguarda il porto nemico attraverso il congegno di puntamento, poi tira le leve di sgancio. Il pesante bombardiere, finalmente alleggerito del carico mortale, fa un balzo verso l’alto. Le bombe scendono fischiando verso il loro obiettivo. Tardivamente le difese nemiche comprendono l’inganno e all’improvviso tutte le bocche da fuoco poste a difesa del porto cominciano a sgranare il loro rosario di morte contro i nostri bombardieri. È un inferno: i CANT Z.1007 sono squassati dalle esplosioni delle granate antiaeree e centinaia di shrapnel vengono scagliati in tutte le direzioni. Il Cap. Maestri con la consueta freddezza tranquillizza l’equipaggio: “Calma ragazzi, ne abbiamo visto di peggio, il più è fatto. Missione compiuta, si torna a casa”. Alla massima velocità possibile i sei CANT fanno rotta Nord-Ovest per attraversare il Mar Mediterraneo in direzione Sicilia. Ma i bombardieri italiani devono fare i conti con la sete di vendetta dei cacciatori inglesi decollati per inseguirli: i potenti e veloci caccia bimotori pesanti notturni Bristol “Beaufighter”, armati con ben 4 cannoni da 20 mm e soprattutto dotati di radar. I velivoli italiani vengono intercettati in mare aperto e nel buio più totale non vedono arrivare i caccia inglesi, mentre questi possono perfettamente inquadrarli sullo schermo del radar di bordo. Come neri fantasmi gli aeroplani della RAF sbucano dall’oscurità della notte e cominciano a mitragliare i nostri velivoli. Con la sua grande esperienza il comandante Maestri vira subito di lato costringendo il suo bestione ad una ripida picchiata verso la superficie del mare.
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L’ultima notte
Schematizzazione grafica dell’ultima missione avvenuta la notte tra il 31 luglio e il 1° agosto 1942.
La manovra è coraggiosa e spericolata, ma Maestri sa perfettamente che solo fuggendo a pelo delle onde si potranno salvare, almeno in questo modo i caccia britannici non potranno attaccarli dal basso. Gli inglesi non mollano, inseguono la loro preda, sanno che il loro aereo è superiore e meglio armato, dotato di un occhio in grado di vedere anche attraverso la più buia delle notti: il radar. I nostri mitraglieri cercano di rispondere sparando raffiche con le 12,7 mm, praticamente alla cieca. I loro unici punti di riferimento per inquadrare il bersaglio sono le vampe spaventose dei cannoni nemici, e i bagliori spettrali che escono dai tubi di scarico dei loro motori. È una lotta impari e disperata. Il mare è ormai vicinissimo, bisogna cabrare. In quel momento una raffica devastante di proiettili da 20 mm colpisce il bombardiere ed i suoi occupanti. Il velivolo è condannato, Maestri tenta disperatamente un ammaraggio di emergenza ma l’aeroplano, ormai incontrollabile, si schianta nell’acqua. Pochi secondi e l’“Alcione” affonda. È la notte fra il 31 luglio ed il 1° agosto 1942. Il mare pietosamente ricopre i resti del nostro velivolo e quando ormai si è fatto giorno non c’è più traccia della tragedia avvenuta durante la notte, solo un punto giallo galleggia sulle calme acque del Mediterraneo. È il giubbotto salvagente del secondo pilota, sbalzato dal velivolo al momento dell’impatto. Del resto dell’equipaggio nessuna traccia. Il Capitano Pilota Athos Maestri è per sempre scomparso con i suoi uomini in quel remoto tratto del “Mare Nostrum”.
L’ultima notte
Una lancia di salvataggio inglese avvista quella macchia di colore, si avvicina, vedono un uomo semisvenuto tenuto a galla dal salvagente, respira a fatica ma è ancora vivo. Lo tirano a bordo, è prigioniero ma salvo, finirà la guerra in un campo di prigionia. Dopo pochi giorni a Talignano arriverà il laconico e temuto messaggio del Ministero dell’Aeronautica: “Il velivolo del Capitano Athos Maestri non è rientrato alla base dopo una pericolosa missione. Aeroplano ed equipaggio sono dispersi. Le ricerche sono in corso”. Papà e mamma Maestri sono colti da disperazione. La giovane moglie incinta è annichilita dal dolore. Ma il corpo di Athos non è stato ritrovato, quindi c’è ancora una scintilla di speranza, forse è stato ritrovato vivo e preso prigioniero dagli Inglesi. Ed è a questa speranza che i congiunti di Athos si aggrappano con tutte le loro forze. Pochi mesi dopo arriva la conferma dei loro peggiori presentimenti: da un campo di prigionia inglese in Africa, giunge una lettera inviata dal secondo pilota sopravvissuto dell’equipaggio di Maestri. È indirizzata ai genitori e racconta di come il velivolo si sia inabissato senza lasciare scampo al resto dell’equipaggio, lui è l’unico superstite. Ai genitori resterà una Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria, ed il ricordo e l’orgoglio di quel figlio un po’ ribelle ed irrequieto ma dal grande cuore. Alla giovane sposa una figlia piccola da crescere ed un altro in arrivo, quel figlioletto maschio che Athos tanto aveva desiderato e che non potrà mai veder crescere. Maledetta guerra ...
rodi
alessandria d’egitto
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Concetta Branchi indossa per gioco l’uniforme del fidanzato. A fianco: Concetta e Athos nel giorno delle loro nozze.
“ . . . a ghe’ Maestri! ”
Capitano Pilota Athos Maestri Medaglia d’Oro al Valor Militare (alla memoria)
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carlo migliavacca
motivazione
Sul finire degli anni ‘30 gli abitanti di Felino assistevano spesso alle ardite evoluzioni aeree dell’allora Sottotenente Pilota Athos Maestri. Infatti in quel periodo i felinesi correvano spesso fuori dalle loro case attirati dal rombo di un motore d’aeroplano che sopraggiungeva a bassa quota. Si trattava di Athos che, alla guida di un biplano Caproni Ca.100 detto “Caproncino” tipico velivolo da collegamento ed addestramento dell’epoca, veniva a compiere acrobazie nel cielo del paese. Per i cittadini ovviamente quelle evoluzioni costituivano un autentico spettacolo, raro ed inconsueto per quell’epoca, che veniva a rompere la monotonia del piccolo paese. Soprattutto per i bambini era un autentico divertimento ed al grido “a ghè Maestri!” tutti correvano in cortile con il naso all’insù. Dopo alcune di queste “esibizioni” i felinesi si accorsero che la zona sorvolata era sempre quella: il cielo sopra Via Roma dove si trovava il salumificio della famiglia Branchi. Ci volle poco a capire il perché: Cupido aveva lanciato una delle sue frecce d’amore che aveva colpito il cuore di Athos. La bella Concetta Branchi, figlia del noto imprenditore, aveva fatto innamorare il nostro baldo pilota, il quale non perdeva occasione per sorvolare lo stabilimento della sua innamorata per lanciarvi nel cortile delle “bombe” d’amore. Athos riempiva calze con la sabbia al cui interno nascondeva dei bigliettini con scritte frasi d’amore appassionate per la sua bella Concetta. Queste “bombe” venivano poi sganciate con grande abilità e precisione esattamente al centro del cortile dello stabilimento, fra lo stupore ed il divertimento delle maestranze. Questi arditi attacchi volanti ottennero il loro scopo, la bella Concetta cadde sconfitta tra le braccia del nostro pilota e da lì a poco convolarono a giuste nozze. L’Arma Azzurra aveva conquistato la vittoria anche sul campo dell’amore!
Ardimentoso comandante di squadriglia, volontario nella guerra d’Etiopia, riportava per ben due volte sul corpo, i segni dei duri combattimenti sostenuti e sul petto le insegne di quattro ricompense al valore. Affrontava l’attuale conflitto, benché già mutilato di guerra, con identico entusiasmo e superba infaticabile operosità, trascinando il suo reparto al conseguimento di continui brillanti successi in un’aurora di epico eroismo coronato da duri, cruenti sacrifici. Primo e volontario sempre nelle più rischiose azioni, recava al nemico considerevoli accertati danni, sia che ne attaccasse le navi rabbiosamente difese, che le basi aero-navali più munite e lontane. Ferito per la terza volta in seguito a combattimento con la caccia avversaria notturna, riprendeva, non ancora completamente ristabilito, con immutata lena ed entusiasmo, il comando del suo reparto che, dal suo indomito esempio, traeva lo spirito e la volontà di perseverare, durante tutto un anno, in una lotta senza soste contro un nemico invano annidato al di là di un mare. Da una difficile e pericolosa azione, alla quale aveva chiesto insistentemente di partecipare, condotta sugli apprestamenti aeroportuali posti a difesa della munitissima base navale di Alessandria, non faceva ritorno. Ma rimane indelebile il luminoso ricordo di un puro eroismo spinto oltre ogni limite. Cielo Mediterraneo orientale, 28 agosto 1941 – 1 agosto 1942 (B.U. 1945 – Disp. 23 – Pagina 1028)
A destra: foto aerea scattata dal velivolo di Athos Maestri sorvolando i dintorni di Addis Abeba.
RINGRAZIAMENTI
La signora Gabriella Parenti in Maestri per le molte fotografie, documenti e oggetti appartenuti ad Athos Maestri, gentilmente messi a disposizione per la realizzazione di questa pubblicazione e della mostra dedicata al Cap. Pilota MOVM. La famiglia Bontempi, per diverse fotografie e per la squisita ospitalità che si rinnova ogni anno il 14 aprile, nell’accogliere l’Associazione Arma Aeronautica Sezione di Parma nella casa di Talignano che vide i natali di Athos. L’Ufficio Storico dell’Aeronautica Militare (AUSSMA - Archivio Ufficio Storico Stato Maggiore Aeronautica) con sede a Roma, preziosa fonte di informazioni. L’Associazione Storico Culturale “Obiettivo Storia” per la fondamentale collaborazione nell’allestimento della mostra dedicata ad Athos Maestri. Il Museo Virtuale di Archeologia Industriale del Comune di Monfalcone per buona parte delle informazioni relative al velivolo CRDA CANT Z.1007bis “Alcione”.
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
Nel centenario della nascita del Capitano Pilota Athos Maestri Medaglia d’Oro al Valor Militare, l’Associazione Arma Aeronautica Sezione di Parma a lui intitolata, organizza una settimana di eventi per celebrarne il valore umano e militare insieme alla gente del territorio che gli ha dato i natali. Questa pubblicazione nel fornire gli elementi più importanti che hanno caratterizzato l’esperienza di questo giovane pilota, rappresenta nel contempo un esempio dei temi e degli argomenti che l’A.A.A. si trova ad affrontare costantemente. La ricerca della verità storica e la valorizzazione delle capacità aeronautiche nazionali sul piano tecnicoindustriale come nell’ambito operativo della difesa, hanno sempre rappresentato i principali scopi della A.A.A. fin dai primi anni della sua fondazione. Ma è soprattutto nel tener viva la memoria di uomini valorosi che in ogni scenario bellico hanno scritto pagine indimenticabili di coraggio, iniziativa, senso del dovere e dell’onore, che si identifica la vera e profonda missione della A.A.A.. Uomini come Athos Maestri, ai quali l’esperto militare americano Marvin W. McFarland rivolse il suo pensiero quando nel secondo dopoguerra espresse queste sue convinzioni: «L’Italia poté impegnare nel conflitto un totale di 10.000 aeroplani, tra quelli che aveva prima e quelli che riuscì a costruire dopo il 1940. I termini di paragone sono spaventosi. Non sappiamo con esattezza la cifra della produzione della Germania e del Giappone, ma sappiamo che la prima perse 57.000 aeroplani e il secondo 50.000. La Gran Bretagna costruì più di 150.000 aerei e gli Stati Uniti l’incredibile cifra di 294.000. Non occorre dire altro per giustificare l’affermazione che gli aviatori italiani hanno compiuto un miracolo a combattere per tre anni!»
Associazione Arma Aeronautica Sezione di Parma con la collaborazione del Comune di Sala Baganza
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA
Nel centenario della nascita del Capitano Pilota Athos Maestri Medaglia d’Oro al Valor Militare, l’Associazione Arma Aeronautica Sezione di Parma a lui intitolata, organizza una settimana di eventi per celebrarne il valore umano e militare insieme alla gente del territorio che gli ha dato i natali. Questa pubblicazione nel fornire gli elementi più importanti che hanno caratterizzato l’esperienza di questo giovane pilota, rappresenta nel contempo un esempio dei temi e degli argomenti che l’A.A.A. si trova ad affrontare costantemente. La ricerca della verità storica e la valorizzazione delle capacità aeronautiche nazionali sul piano tecnicoindustriale come nell’ambito operativo della difesa, hanno sempre rappresentato i principali scopi della A.A.A. fin dai primi anni della sua fondazione. Ma è soprattutto nel tener viva la memoria di uomini valorosi che in ogni scenario bellico hanno scritto pagine indimenticabili di coraggio, iniziativa, senso del dovere e dell’onore, che si identifica la vera e profonda missione della A.A.A.. Uomini come Athos Maestri, ai quali l’esperto militare americano Marvin W. McFarland rivolse il suo pensiero quando nel secondo dopoguerra espresse queste sue convinzioni: «L’Italia poté impegnare nel conflitto un totale di 10.000 aeroplani, tra quelli che aveva prima e quelli che riuscì a costruire dopo il 1940. I termini di paragone sono spaventosi. Non sappiamo con esattezza la cifra della produzione della Germania e del Giappone, ma sappiamo che la prima perse 57.000 aeroplani e il secondo 50.000. La Gran Bretagna costruì più di 150.000 aerei e gli Stati Uniti l’incredibile cifra di 294.000. Non occorre dire altro per giustificare l’affermazione che gli aviatori italiani hanno compiuto un miracolo a combattere per tre anni!»
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA