ERCOLE MARTINA
GLI ESORDI
IN RICORDO DI ERCOLE
Cara famiglia, ma anche amici tutti, questo libro è per voi. Soprattutto per i nipoti. Il vostro nonno Ercole è morto, ci ha lasciati per tornare nella casa del Padre quando voi eravate ancora molto piccoli. Qualcuno non l’ha mai conosciuto. Nessuno di voi ha potuto sentire da lui il racconto così straordinario delle sue avventure. Ma forse anche gli altri, che l’hanno conosciuto, ci troveranno qualche ricordo utile, che non conoscono a fondo. Perché molte cose anch’io stessa le ho scoperte solo dopo la sua morte, riordinando le numerose tracce che Ercole ha lasciato della sua vita e della sua opera. Così questo scritto servirà per non fare andare perduti preziosi ricordi.
Marinella
1
L’INFANZIA
Possiamo dire che la vita di Ercole comincia in salita. Siamo nel 1930, a Palosco, quando sua mamma Gabriella Roda rimane incinta a 22 anni, dopo due anni di fidanzamento, di Franco, poco più grande di lei. Per quanto la loro unione fosse vista con favore dalle famiglie (specie quella di lei, che aveva accolto Franco come una seconda famiglia, dopo che i rapporti con la propria si erano guastati a causa del secondo matrimonio di suo padre dopo la morte di sua madre), Franco non poteva sposarla.
10 maggio 1934 - 3 anni e mezzo
Franco infatti era pilota dell’aeronautica militare, e a quei tempi 2 non era consentito che i militari si sposassero prima dei 28 anni. Non erano purtroppo tempi in cui queste situazioni potevano essere socialmente accettate e gestite con serenità. La mamma di Gabriella, Piera, decide di non dirlo al marito, Lazzaro. La gravidanza viene tenuta segreta, anche con periodi trascorsi fuori paese da Gabriella. Il parto avviene nell’ospedale di Bergamo il 2 novembre 1930 e subito il bambino viene affidato a una balia che abita a Vertova, un paese di montagna vicino a Clusone. Fino a 4 anni e 8 mesi Ercole ha vissuto con lei, che si chiamava Santina, con suo marito che in dialetto chiamavano Tata Gioachì (cioè Gioacchino) e con la loro figlia Elisa (anche se il suo vero nome è Emilia). Elisa aveva 5 anni più di Ercole e lui l’ha sempre considerata una specie di sorella maggiore. Quando abbiamo cominciato a passare le estati a Clusone, dal 1998, non mancavamo mai di andarla a trovare.
Vertova - settembre 1932 - con suo padre Franco
Vertova la casa oggi
Lei che non aveva avuto figli dal suo matrimonio sfortunato (il marito poco dopo il matrimonio era emigrato in Francia per lavoro e qui si era ricostituito una seconda famiglia), pur non avendo conosciuto le nostre figlie, ha pensato di assegnare a loro in eredità i gioielli che aveva…. E’ morta nel 2012. Quel posto è stato importante per lui. Gli hanno voluto bene. Elisa ricordava che a “Ercolino” era tutto permesso…. In paese avevano una vecchia casa, del ‘600, proprio nel centro di Vertova, dove anche Elisa ha vissuto fino alla fine. La struttura con i muri molto spessi, con un seminterrato adibito un tempo a stalla, a cui si accedeva attraverso una rampa in discesa, e la parte abitata sopra, rispecchiava proprio gli usi di un tempo, quando gli animali fornivano anche in parte il riscaldamento della casa…. Oggi, dopo la morte di Elisa, i nuovi proprietari hanno venduto e l’edificio è stato riconvertito come uffici, come possiamo vedere dalla foto. Era una famiglia contadina e aveva ‘la campagna’ sopra Vertova, a Bondo (che chiamavano “il prato”), sulla montagna sopra il paese. Lì c’era una baita, con la mucca e l’asino, le galline e i conigli, la stalla e il fienile.
Santuario di san Patrizio
Cappella San Lucio
Un ricordo della famiglia è anche conservato presso il Santuario di San Patrizio, sopra Vertova: una tavoletta votiva per ricordare un evento miracoloso avvenuto al padre di Santina, quando, caduto da una scala, era rimasto illeso. In quei luoghi Ercole è tornato anche dopo che non viveva più con loro, e ci passava le vacanze. Da lì ha assorbito l’amore per la montagna, e ‘quelle’ montagne. Il matrimonio tra i suoi genitori è finalmente avvenuto il 18 gennaio del 1935. E poco prima era avvenuta la dolorosa rivelazione a suo nonno Lazzaro, che ha molto più disapprovato il segreto che la situazione in sé. Segreto che ha comportato che, se suo padre era per Ercole una figura in qualche modo conosciuta (non so come inquadrata…) perché si muoveva liberamente e lo andava a trovare, anche insieme a sua sorella e alla sorella di Gabriella, sua madre era invece praticamente una sconosciuta per lui.
Bracciano - 5 anni abbracciato all’elica del suo papà...
E’ andato a vivere con i suoi genitori quando Franco è stato trasferito a Bracciano, nell’estate del ’35, come pilota di idrovolanti. Il primo vago ricordo di Ercole è proprio quel viaggio, che l’ha portato a Roma. Dopo di allora è stato in tanti posti, nelle basi militari dove facevano trasferire suo padre. A Bracciano è legato un altro ricordo infelice, la morte a 7 mesi per polmonite del suo fratellino Luigi. Sono stati poi ad Arezzo, dove Franco era istruttore pilota, e dove è nata sua sorella Liliana il 25 febbraio del 1938. E in seguito sono stati trasferiti a Salerno, vicino a Napoli, dove hanno trascorso i primi anni di guerra. C’è un foglio di appunti, mai sviluppato, in cui Ercole ha raccolto i suoi primi ricordi. C’è l’agnellino nero allevato nel prato di Bracciano, quando aveva 6 anni; il ricordo dell’incidente (per fortuna senza gravi conseguenze) subito da suo padre ad Arezzo, quando un suo allievo
Arezzo, Giostra del Saraceno, 1937, in prima fila con sua mamma (4° e 5° da sn)
Cantoniera della Presolana 06.01.1939 con zia Ines e suo papà Franco (a dx)
ha capottato l’aereo in atterraggio; ma anche ricordi dei ritorni al nord, come quando ha visto a Bergamo la festa di rientro dei soldati reduci della guerra di Spagna; ricordi delle elementari frequentate ad Arezzo o dell’esame di caposquadra dei ‘balilla moschettieri’ e del saggio ginnico di fine anno scolastico a Salerno. Poi i ricordi si intrecciano con la seconda guerra mondiale.
Bracciano - giugno‘35
Salerno - Liliana e Ercole
LA GUERRA Quando Ercole aveva appena 9 anni è scoppiata la guerra, la seconda guerra mondiale (la prima guerra mondiale era finita da non molto, solo 20 anni prima….). E’ durata 5 anni. Come sappiamo, all’inizio gli italiani non combattevano, ma dopo un anno, nel 1940, anche l’Italia è entrata in guerra. Diventava tutto più pericoloso, anche perché il papà di Ercole guidava proprio quegli aerei che andavano a bombardare le città nemiche. ‘Fortunatamente’ per un po’, essendosi ferito, ha fatto solo l’istruttore di altri piloti, senza dover volare anche lui. Erano in quella fase a Salerno, proprio quel Sud su cui c’era maggior pressione degli Alleati nemici. Così di Salerno c’erano ricordi belli: una casa moderna, al quinto piano, con aranceti profumati sul retro (Ercole ricordava anche l’indirizzo, via Marino Paglia 16, in una via ancora sterrata), i prigionieri alleati in aeroporto che gli davano il cioccolato, l’emozione di vedere i caccia Macchi 201 dei cui piloti suo padre faceva l’istruttore. Ma c’erano anche ricordi molto brutti. La guerra vuol dire innanzitutto pericolo.
9 settembre 1943 Lo Sbarco degli Alleati a Salerno nome in codice Operazione Avalanche
Alle 17 si sentivano gli scoppi nella non lontana Napoli, per i bombardamenti quotidiani degli Alleati; per fortuna Salerno non veniva bombardata. Ma proprio il giorno del suo decimo compleanno è scattato il primo allarme aereo. A quel punto tutti devono correre nei rifugi, che sono di solito quasi sotto terra, come cantine, in cui si stava tutti ammassati. Ma a Salerno il rifugio era soltanto a pianterreno…! Non c’era tempo di portare con sé le proprie cose, se non proprio quelle più importanti: così se bombardavano per sfortuna la tua casa, quando gli aerei nemici se ne erano andati non avevi più niente di tuo e magari neppure più un posto dove abitare… La guerra intanto si metteva male. Nel maggio 1943, aumentando la pressione nemica a sud (guardate 3 nella nota il contesto storico) con sua madre e sua sorella è scappato in treno al Nord, a Clusone. Lì si era trasferito per il suo lavoro all’ENEL, come produttore di energia idroelettrica, suo nonno Lazzaro con sua nonna Piera e sua zia Ines. Nella stazione di Napoli sono stati sorpresi da un allarme aereo, trovando ricovero in un rifugio; ma per fortuna il bombardamento non ci fu.
Appena in tempo, si può dire, in quanto da settembre sia Salerno che Napoli sono state teatro di sanguinose vicende belliche. Ci sono stati altri anni di guerra anche mentre Ercole stava a Clusone (fino al 1945), ma con un grado di pericolo inferiore: gli aerei nemici bombardavano soprattutto le città grosse, per fare più danni e colpire vie di comunicazione e industrie. Non c’era quasi niente da mangiare: se gli uomini dovevano combattere, come facevano a coltivare la terra, a fare i soliti lavori? C’era poco o niente. Ercole ricordava che andava a piedi con sua nonna (la mamma di sua mamma, Piera, di cui erano ospiti: la casa c’è ancora, è in via Carpinoni) fino a un paese più in basso, Cerete, dove c’era una cascina di cui conoscevano il proprietario. Lui dava loro magari un uovo, poche patate, un po’ di latte. Il pane era nero, e conteneva molti fili di paglia. Poi c’era di peggio: perché in guerra ci si uccide. E chi capita capita: non ci vanno di mezzo solo i soldati, ma anche donne e bambini, o quelli troppo vecchi per combattere.
Anche a Clusone passavano aerei bombardieri: Ercole ricordava che una volta aveva visto un aereo che inseguiva radente un carretto che arrancava sulla strada, tirato da un asino, e il pilota ‘si divertiva’ a sparare a quel pover’uomo, che non era un soldato e non aveva armi. Per l’impulso di proteggerlo aveva preso lui il fucile che c’era in casa e aveva preso la mira contro il pilota. Per fortuna ha sbagliato il colpo…. Un’altra volta un pilota nemico la sera, mentre lui si trovava a cena in casa, ha sganciato due spezzoni in viale Gusmini, poco lontano, dove c’era allora la caserma, colpendo a morte un giovane soldato e la sua ragazza. Hanno vegliato tutta la notte i cadaveri, nella casa di via Piero Fogaccia…. Intanto tutto diventava sempre più complicato. Da un lato c’erano le forze regolari (di cui faceva parte anche suo padre) e dall’altra la milizia clandestina, i ‘partigiani’, che faceva guerriglia contro e in alleanza con quelli che erano ufficialmente i nemici. Alcuni si nascondevano in montagna per combattere. Ercole mi raccontava di aver conosciuto due ‘partigiani’ alla cascina della sua balia, nascosti nel fienile. Ridevano e scherzavano, cantavano anche; ricordava anche quale canzone, un successo
dell’epoca che faceva “malinconia, malinconia di chi non ha 4 fortuna...”. La balia gli aveva dato da mangiare e loro avevano giocato con lui, perfino facendolo sparare in alto con il loro fucile, nel bosco. Pochi giorni dopo erano stati catturati e fucilati. Perfino i ragazzi perdevano la testa. Ercole si ricordava che il suo compagno di banco (era in terza media, proprio a Clusone) ha sparato a un altro compagno proprio mentre erano in classe: non si è mai saputo perché quei due si odiavano. Fatto sta che uno aveva una pistola, e anche se era un ragazzo, ha pensato di usarla, nascondendola subito dopo… Pazzesco… Per fortuna il compagno colpito è stato solo ferito al ventre, poi operato e guarito. La sera poi non si poteva uscire, bisognava tenere tutto chiuso e le luci spente, per non farsi vedere dagli aerei nemici: si chiamava ‘oscuramento’. Dallo spiraglio della finestra di via Carpinoni, Ercole ricorda che vedeva i soldati tedeschi passare sotto, rasenti i muri, in perlustrazione. Intanto Mussolini il 25 luglio 1943 era decaduto dalla carica di capo del governo. Il giorno dopo, con suo stupore aveva trovato nel tombino sotto casa un ritratto del Duce , prontamente fatto sparire, certo per timore di rappresaglie
da parte degli avversari. Complicate le vicende che hanno coinvolto suo padre Franco in quest’ultimo scorcio di guerra. Denunciato per non aver eseguito l’ordine di bombardare (cosa che intimamente si era sempre rifiutato di fare, pur prestandosi a tutti gli altri servizi richiesti di collegamento, trasporto e simili), era stato incarcerato. Prima deportato per 15 giorni in Germania (per fortuna chissà come si era ritrovato con suo fratello Toni) dove aveva patito la fame, mangiando la sera le bucce delle patate pelate a pranzo, era poi stato trasferito in altre due caserme, tra cui anche quella di Clusone. Qui, interrogato e picchiato, non sapendo che fine avrebbe fatto, aveva chiesto di salutare figli e moglie, nonostante fosse irriconoscibile. Poi la vicenda si è sciolta, per la sua buona condotta precedente: ma potete immaginare che paura. Fortunatamente la guerra è finita, 5 anni dopo. Il 25 aprile del 1945, Ercole ricordava la sfilata in via Carpinoni dei partigiani che sparavano in alto col mitra, ai fili della luce. Oppure alcuni che si erano sdraiati al sole sul Monte Polenta. Aveva 15 anni.
Ma anche dopo, passato il peggio, non ha avuto una vita familiare tranquilla. Il dopoguerra era pieno di difficoltà. Una volta congedato dall’esercito, il padre di Ercole ha dovuto trovare un’altra collocazione e non è stato facile. Con l’aiuto di un amico (Geo Ferrari) ha trovato lavoro in calzificio, prima come dipendente, poi come dirigente, e alla fine come imprenditore. Anche i luoghi di residenza sono stati diversi, prima aiutati a Palosco dai genitori di Gabriella, poi indipendenti a Botticino e Ospitaletto, con un tenore di vita modesto per anni. Ma la famiglia ha potuto vivere unita solo a tratti. Per gli anni delle elementari Liliana è stata affidata ai nonni materni che stavano all’epoca a Clusone; ed Ercole ha frequentato il liceo scientifico come interno in collegio a Brescia, per poi passare all’università a vivere alla Casa dello Studente a Milano.
CLUSONE Come avrete già capito, Clusone era un posto molto importante per Ercole. Era il paese dove hanno vissuto per anni i suoi nonni materni, a cui voleva molto bene; e come abbiamo visto, è stato un punto di riferimento più stabile delle abitazioni itineranti dei suoi genitori quando era adolescente. Poi Clusone è stato il paese dove si è salvato dalla guerra. Lì ha fatto anche le scuole medie (anche durante la guerra i bambini andavano a scuola) e si è fatto gli amici. Abitando in montagna, quando la situazione sembrava un po’ più tranquilla, e poi, finita la guerra, quando tornava per le vacanze nella casa dei nonni, con gli amici facevano cose divertenti che non si possono fare in città. Per esempio in inverno andavano a sciare il pomeriggio dopo la scuola. Andavano sotto la montagna di San Lucio, in un luogo che si chiama La Spessa e poi anche a San Lucio, al Pianone: tutti posti che si vedono dal balcone della casa che abbiamo posseduto fino al 2016. Si portavano gli sci, che erano molto più pesanti di adesso, sulle spalle; e poi dovevano risalire a piedi la montagna, perché non c’erano seggiovie e skilift, che sono stati inventati dopo. Poi giù, verso il piano…
Ercole a Clusone, agosto 1951
Clusone
Quando c’era neve, di sera Ercole e i suoi amici portavano nelle strade più alte di Clusone le slitte e poi giù, velocissimi, per le strade ghiacciate in discesa del paese… Tanto non c’era in giro nessuno… Clusone era molto diversa da come è ora. Ora è molto bella e piena di opere d’arte tutte restaurate, che val la pena di conoscere. Ma Ercole l’amava molto di più come era prima e l’ha descritta in un suo scritto, che troverete tra poco. Capirete quanto era diversa la vita allora. C’erano contadini e stalle con gli animali anche vicino alla nostra casa. C’erano molti meno alberi, perché nel bosco venivano tagliati per bruciarli nei camini e riscaldarsi. Non c’erano strade asfaltate, ma con i ciottoli grossi: le automobili erano pochissime. Per guadagnare qualche soldo Ercole si svegliava prestissimo in estate, quando era ancora buio, e con la lanterna andava sul monte a cercare i funghi appena nati per venderli.
U.S. PALOSCO - 1950-51 - Campionato II divisione
IL CALCIO Quando Ercole ha avuto 13 anni ha cominciato anche a giocare a calcio, che è sempre rimasta una sua passione. Ha cominciato proprio in oratorio a Clusone, già nell’estate del 1943 (uno dei pochi lati positivi di quel periodo). Il loro allenatore era Cortellazzi, un mediano dell’Inter, che l’ha introdotto anche nei ‘pulcini’ (cioè gli aspiranti giocatori giovanissimi) nell’Inter. L’Inter da allora è sempre rimasta la sua squadra del cuore; insieme all’Atalanta, squadra di Bergamo, città con cui si è costruito una appartenenza, sulla base del suo luogo di nascita, quasi a voltare in positivo quella difficile storia iniziale (dei bergamaschi si attribuiva addirittura il carattere, citando spesso “Caràter de la rassa bergamasca:…. sóta la sènder brasca”). Quando ha avuto 20 anni ha cominciato a giocare ‘seriamente’: era in una squadra di 2° categoria, l’A.C. Palosco (a Palosco abitavano i suoi nonni paterni).
U.S. PALOSCO - 1950-51 - Campionato II divisione
Lì ha giocato per due anni ed erano tra i primi in classifica. Insieme a lui nella squadra c’erano il suo giovane zio Gabriele, e i cugini Luciano e Italo, che abitavano appunto a Palosco: suo papà Franco era presidente della squadra. Era una specie di squadra di famiglia…. Giocava da mezz’ala o da mediano, proprio quelli che ‘tengono su’ il gioco. Negli anni successivi (‘53-’54) suo papà Franco è diventato presidente di un’altra squadra, l’U.S. Ospitaletto, campione regionale di I divisione: ma lì non l’ha voluto, per timore di essere accusato di favoritismi verso il figlio. Comunque quando ha dovuto scegliere tra giocare a calcio seriamente o fare alpinismo seriamente, Ercole ha scelto la seconda attività, come leggerete dopo. Così non è diventato un grande calciatore…. Però quando Simone ha cominciato a giocare, lui gli è stato vicino e ha sempre aiutato molto anche il gruppo con cui giocava (L’Arca).
LA MONTAGNA Proprio a Clusone Ercole aveva conosciuto dei ragazzi coraggiosi e avventurosi, che con pochi mezzi, una bici, una moto Lambretta, qualche corda da arrampicata (ce n’erano ben poche a quei tempi e una era proprio sua), hanno cominciato a scalare le montagne intorno. Da allora in paese (nei paesi spesso vengono dati dei soprannomi alle persone, che si conoscono tutte) hanno cominciato a chiamarlo “il corda”, proprio perché lo ricordavano così, sempre pronto a prendere la corda per arrampicare. E’ stato per lui una grande passione. Gli piaceva arrivare sulle cime, dove non era arrivato mai nessuno prima di lui o per vie nuove mai fatte da altri. Era pericoloso e sua mamma aveva paura: a lei, infatti, e “alle sue ansiose attese”, è dedicato il libro che scriverà nel 1967 sull’alpinismo invernale. Qualche volta lo faceva di nascosto. Anche i suoi amici a volte lo facevano di nascosto: si ricordava uno che una volta era ‘fuggito’ di casa il mattino presto scendendo a corda doppia dal balcone. E qualche volta l’ha fatto anche lui…. Una volta si è trovato davvero in difficoltà e hanno dovuto dormire all’aperto perché non riuscivano a scendere. Si tratta della memorabile salita alla Corna delle Quattro Matte, nel febbraio 1952, ripresa anche nelle cronache nei giornali locali.
Nei due articoli riporati trovate sia la descrizione di Ercole (sintetica, nei suoi quaderni c’è la cronaca dettagliata, con perdita e recupero di una piccozza, e poi di un intero zaino...), sia degli amici che si sono improvvisati soccorritori. Le prime montagne sono state quelle intorno a Clusone. Ha cominciato anche a scrivere del suo rapporto con la montagna. Accanto alle puntuali descrizioni delle ascensioni che faceva, si trovano nei suoi quaderni scritti a mano pensieri ed emozioni commoventi. Ecco alcuni pensieri che ho trovato nei suoi quaderni.
In vetta al Pizzo del Diavolo (mt.2914) Vito - Angelino - Ercole
Fra i miei monti!
Quando salgo in montagna, penso che sto veramente vivendo la mia vita. E’ una vita intensa, ma riposante…. E’ una vita forse in pericolo, ma per questo lontana dal morire. E’ una vita semplice d’istinto…. Il pericolo mi dà un senso di benessere, perché so di poterlo affrontare; la bellezza e la gioia, talvolta, mi fanno piangere…. Dicono: “anima e corpo sono in contrasto”. Quando sali su per i monti, il corpo si affatica, lo spirito riposa. Il dualismo di spirito e materia!
Pensieri L’essenza dell’anima. Dio. Problemi senza soluzione. L’uno integra l’altro; ciascuno vive di se stesso, e dell’essere dell’altro. E l’alpinista, l’uomo, è spinto alle vette, perché l’anima è spinta a Dio. Motore di questa vita è l’amore. Ed anche l’amore per la Montagna è una ragione di vita: “e di questo amore, non pochi hanno fatto la religione della propria vita” (G. Rey). Quando, salito per una difficile cresta, o per un facile sentiero da capre, sono sbucato sulla cima del monte…. Quando, strisciando fra un albero e l’altro, osservo di tra l’intrico dei rami dei pini il cielo azzurro e il monte…. Quando, seduto su di un liscio sasso, contemplo con gli occhi fissi nel vuoto le azzurre acque di un lago alpino….. Quando, veloce, scivolo sul fresco scintillante nevaio…. “….sono io che ho conquistato la Montagna, oppure è Lei che mi ha?...”.
Il primo quaderno, anteriore al 1949, descrive l’innamoramento. Quando uscii per la prima volta con la corda, per andare ad arrampicare, avevo già fatto alcune salite, che mi avevano profondamente impressionato, benché facili (1946; 1947; 1948). Pizzo Formico (la mia prima salita in montagna); Monte Alben (Cima della croce); Monte Ferrante; Presolana Occidentale; Cima del Fop; Pizzo Arera; Diavolo di Tenda; la traversata Gleno-Tre confini-Recastello (la seconda con la corda); la salita del Pizzo di Coca (m.3052) per la normale con discesa per il canalone Ovest (Salvadori) abbastanza difficile anche a causa della forte nevicata precedente; parte della cresta Ovest della Presolana Occidentale (prima con la corda). Cominciai così a conoscere la montagna, i suoi pericoli, la sua bellezza, attraverso una lunga serie di camminate impegnative. Poi venne la corda, il martello, vennero i chiodi. Ma non ho dimenticato e mai dimenticherò quelle sane sgroppate che mi portarono per la prima volta a contatto con la Montagna. Anzi, le ricordo con nostalgia…. Come non ricordare, ad esempio, l’effetto che mi fece, la prima volta, la parete Nord della Presolana? Era la prima vera parete che vedevo e giammai, allora, mi sarei sognato che più tardi mi sarei attaccato a quella muraglia per risalirla, fino in cima! Però, anche se il mio modo di avvicinarmi e di salire la Montagna è cambiato, per nulla invece è mutato il mio sentimento per lei: è sempre il mio Ideale maggiore, la mia Meta ultima, la Fonte di speranza, di forza, di amore…
Altri tre quaderni scritti a mano e corredati da precisi schizzi delle montagne salite e delle vie tracciate, nonché da notazioni e impressioni, seguono quel primo quaderno. Dalla introduzione del secondo quaderno (“Alpe I”, del 1949) comprendiamo il perché di quelle note. Non è certo mio pensiero quello di comporre un libro dei “ricordi” e tanto meno di filosofia della montagna; cercherò di fissare sulla carta tutte le varie impressioni, i ricordi che mi balzano in mente intorno ad argomenti affini. …… E’ in questo modo, cioè scrivendo, che sfogo il mio desiderio immenso di essere “sempre” della Montagna, ed essendo ciò impossibile, limiterò, con lo scrivere, le mie aspirazioni, riducendole a più modesti sogni. Spero però che questi pochi si avvereranno. Grande gratitudine esprime per chi gli è stato compagno sulla montagna: parole commoventi sono dedicate ad Angelino Longo, amico con cui ha condiviso le prime esperienze. E successivamente per tanti altri: molti morti ben prima di lui e proprio in montagna. Che cosa è la felicità? La maggior parte delle volte essa consiste nel ricordo di quei momenti che si sono vissuti insieme agli amici più cari, di quelle situazioni in cui ci si è accorti di “essere” veramente, di avere uno spirito vivo. …Così per me questa felicità, la vera felicità l’ho trovata vivendo sulla Montagna, nella Natura più che mai viva e palpitante…. Al ricordo dell’Alpe sarà sempre ed indissolubilmente legata la tua sembiante, Angelino, primo compagno delle mie avventure alpine.
LA PRESOLANA Ecco un appunto che ci parla del filtro dei suoi occhi e della regina, per lui, tra tutte le montagne della giovinezza: la Presolana.
“Quadretto” Mattino al Rifugio Coca. Seduto su uno sgabello di legno, dinanzi al tavolo, sto facendo colazione. Alzo gli occhi dalla fumante tazza di latte e spingo lo sguardo verso la finestra spalancata: oltre l’inferriata vedo la Presolana… … Dai dolci pendii sottostanti s’alza la muraglia settentrionale: le rocce rosee, contro il cielo di un pallido azzurro… La Corna delle Quattro Matte, dominanti Colere… Le Quattro Matte, esili dentini stagliati nel cielo… Lo spigolo Nord della cima orientale, verticale, che divide luce e ombra: la luminosa conca del Fupù, con la sua immane parete, ed il versante, scuro e tetro, del Polzone.
… La muraglia della Centrale che sembra pronta a ricevere l’urto degli elementi infuriati…. La lenta salita diagonale della cengia Bendotti, che porta alla vetta Occidentale: sotto, la liscia Nord pallidamente illuminata dal sole del mattino. Poi una riga netta, verticale, separa le rosee rocce baciate dal sole dalle tenebre ancora regnanti sulla parete Ovest: è lo spigolo Nord, prua minacciosa di una nave solcante il “mare in burrasca”. Contro questa prua vanno a infrangersi le onde di Cima Verde… Dalla porta spalancata del Rifugio entra un’aria pura, dorata, inebriante: è l’aria del mattino in montagna…. Esco sulla piccola terrazza rocciosa dinnanzi al Rifugio: sotto, dinnanzi a me, i boschi del Monte Cimone fremono, illuminati dalla luce obliqua del sole, in un fantastico gioco di chiaroscuri.
Poi ha cominciato a pubblicare parte di quelle avventure in montagna.
Finalmente la conquista del desiderato Spigolo Nord della Presolana
Presto, già tra i 20 e i 21 anni, ha cominciato a ‘volere di più’: su montagne note, tracciare vie nuove e più ardite, tante “prime salite”. Puntare ad altitudini sempre maggiori. Arrampicare da solo, senza altri compagni, contando solo sulle sue forze. Era una sfida alla montagna, in cui si ricaricava, anche se non negava la paura. Poi scalare in inverno, con la neve e il ghiaccio: gli piaceva quando tutto era immobile, neppure l’acqua, gelata, faceva rumore…. L’avventura alle “4 matte” del 1952 ne è già un esempio. Ormai le montagne di casa non gli bastavano più. Dai suoi quaderni, fino al ’67 (e vedremo perché) si deduce l’allargarsi dei suoi orizzonti alpinistici, con periodici ‘ritorni a casa’ per rivisitare in forma nuova ‘vecchie’ cime. Ortles-Cevedale, Adamello, Alpi Venoste, “…al Gruppo del Bianco, infine...”, il Cervino, “la montagna perfetta”, le Pale di San Martino, le Dolomiti di Brenta, il Gruppo del Sella, la Presanella…. Sempre più nuovo, più difficile, più da solo. Per arrivare a fare quelle cose difficili si allenava anche tutti i giorni, facendo lunghe camminate in salita, per scaldare i muscoli e sviluppare i polmoni.
LE SOLITARIE 1959 - 5 luglio. Ercole Martina, da solo, sale e scende dall’Aiguille d’Entrèves da Est, per una via su neve e misto. PD. - Gruppo della Tour Ronde - Massiccio del Monte Bianco. 1959 - 17 luglio. Ercole Martina, solo, ripete da Sud-Ovest il Col de Saussure. Per raggiungerlo supera il canale nevoso alto circa 300 m. (il suo fondo diventa roccioso a estate inoltrata). - Gruppo della Tour Ronde - Massiccio del Monte Bianco. 1959 - 19 luglio. Ercole Martina, da solo, raggiunge la cima della Tête Carrée, salendo per il canale Est e la cresta Nord. - Canale nevoso lungo e regolare, che con andamento obliquo collega il Ghiacciaio del Miage con la cresta Nord. Bella via, la migliore dal versante italiano e utile anche per la discesa. Inclinazione sui 40°, in alcuni tratti fino a 45°; caduta di sassi nelle ore calde. Dislivello 1200 m. Difficoltà AD-. - Gruppo Glaciers-Trélatête - Massiccio del Monte Bianco. 1960 - 24 agosto. Ercole Martina, realizza sulla bella parete Nord della Tour Ronde la 1° solitaria, superando la crepaccia terminale, alta e difficile, risalì direttamente tutta la parete dal pendio inferiore sulla destra (dove sulle rocce si trovano dei chiodi, alti), per passare nella strettoia al centro della parete e il pendio superiore sulla destra, dove di solito la neve è migliore. Uscì sulla bella e aerea cresta Nord-Ovestche verso sinistra permette di aggirare il torrione roccioso sommitale, dal quale si sale da Sud-Est. - Gruppo della Tour Ronde - Massiccio del Monte Bianco.
‘61 - Sul Koh i Kol mt. 5.010 sullo sfondo il Mehnagak mt. 4.909
‘65 - Cresta del Breithorn Occidentale mt. 4.165
La sua vita intanto era cambiata. Dopo la laurea in geologia, nel 1957 aveva avuto un primo posto di lavoro in Sicilia, a Caltanissetta: anche lì aveva esplorato i Monti Peloritani…. Poi ha abitato a Milano, dove già aveva vissuto durante gli anni di Università, presso la casa dello Studente.
“L’Eco di Bergamo” DA TUTTA LA PROVINCIA Mercoledì 20 Febbraio 1963
Fedele all’idea che “scrivere di montagna” fosse “stare con la montagna”, oltre ai resoconti di scalate ha coniugato professione e passione anche in altri modi. Giovedì 20 Febbraio 1964
Domenica 23 Agosto 1964
IL PRIMO LAVORO Quando Ercole ha dovuto scegliere un lavoro, ha deciso che avrebbe fatto il geologo minerario. Ha fatto un passaggio di un anno alla facoltà di ingegneria, per accontentare i suoi genitori, che ritenevano che quella facoltà gli avrebbe garantito una migliore posizione lavorativa. Ma poi ha cambiato facoltà, ed è entrato nel numero dei privilegiati che riescono a coniugare passione e lavoro. Soprattutto, lui voleva stare in montagna. Quando, dopo la laurea, gli hanno offerto un lavoro in cui avrebbe potuto guadagnare di più cercando il petrolio, ha preferito scegliere di occuparsi di miniere. Dove? Proprio vicino alle ‘sue’ montagne, nel bergamasco e nel bresciano (Torgola). Per esempio una miniera era proprio sotto la Presolana. Si estraeva fluorite, un minerale viola, di rilevanza nell’industria chimica in cui lavorava (la Montedison). Ora il minerale non è più presente nella quantità economicamente utilizzabile, e le miniere sono chiuse (in parte visitabili). Nelle vicinanze c’è il Rifugio Albani, meta turistica oggi, e si vedono ancora sotto le baracche dove vivevano i minatori.
Non solo lavoravano sotto terra tante ore, ma poi la sera non si poteva tornare tutti i giorni al paese: si doveva andare a piedi ed era lunga e faticosa la strada, specie se c’era la neve in inverno. Non c’erano seggiovie. Così tornavano a casa loro soltanto la domenica o nei turni di riposo: per il resto del tempo, vivevano lassù, isolati dal resto del mondo. Era vita dura.