Interrelazioni fra uomini e spazi

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Francesca Romana Forlini

INTERRELAZIONI TRA UOMINI E SPAZI Nov 2010

Interazione, sensazioni, emozioni, idee, fantasia, analisi e critica, progetti, oggetti, società e futuro, luce naturale, stroboscopica o diffusa. C’è tantissimo nella 12. Mostra Internazionale di Architettura, così tanti sono gli stimoli, così coinvolgenti sono le percezioni che ci si può affidare ad intuito ed udito piuttosto che agli occhi. Chiuderli ed ascoltare: che sia il brusio delle persone, che sia il silenzio della laguna, che sia quella sensazione ricorrente di essere circondati da qualcosa che forse, sottovoce, ci parla. Scappi poi dagli arabeschi d’acqua di un tubo impazzito che fino a poco prima ti aveva ipnotizzato e trovi rifugio tuffandoti nel rosso e blu che inondano l’orizzonte di Venezia, la sera, quando non c’è mai troppo silenzio per mettere a tacere quella voce che ha incessantemente sussurrato immagini nella tua mente. “Le persone s’incontrano nell’architettura”, si relazionano con essa e si relazionano fra loro all’interno di essa. Visitando Palazzo delle Esposizioni e Arsenale, sala dopo sala vengono impressionate, colpite, incuriosite dal mondo dell’architettura, da coinvolgenti installazioni, da percezioni sempre mutevoli. Un flusso di persone sperimenta dentro di se ciò che “artisti, architetti ed ingegneri di tutto il mondo hanno inventato e creato investigando a fondo sulle relazioni fra individui” (1). E’ interessante accorgersi di essere parte di una moltitudine d’identità che si muovono liberamente tra questi spazi, ognuno padrone di vivere le proprie impressioni, interprete a suo modo di ciò che vede, stimolato a condividere opinioni ed emozioni con qualcun altro. Poltrone, pouf, sedie, panchine, baracche... ogni luogo è a disposizione del confronto tra chi l’architettura si era sempre domandato cosa fosse, chi la studia, chi la fa e chi è comunque attratto da questo mondo.

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Percezione ed interattività sono indubbiamente alcune delle chiavi di successo della Biennale. Gran parte delle migliaia di spettatori ha visto per la prima volta realizzarsi un sogno condiviso: quello di poter viaggiare tra le nuvole (2), di avere la fortuna di Dante e come lui poter superare la vetta più alta del purgatorio per accedere al paradiso e poi scendere con titubanza negli abissi dell’inferno; un iter sensoriale, un flusso simile ad un nastro sospeso nelle nuvole, una salita e discesa quasi spiraliforme che sinuosamente ricalca i gironi danteschi. Un viaggio incredibile, come il susseguirsi degli spazi dell’Arsenale; fatto di architettura, di pannelli sulla ricostruzione e sulla vita, del canto soave di un coro inanimato (3), della poeticità nell’istante d’esistenza di un’immateriale architettura disegnata da un sottilissimo filo bianco (4), effimera e sfuggente come gli attimi di felicità. Architettura vissuta in quei materiali fatti di storia in ogni segno della loro usura (5). Materiali che si possono incidere come nel padiglione Ungherese, carrelli con piantine che si possono trasportare in quello Serbo, grattacieli che si possono estrudere, atmosfere aliene nelle quali ci si può catapultare, entusiasmanti e visionari video in 3D nei quali ci si può immergere.

Il tema della Biennale è stato analizzato e interpretato nei numerosi padiglioni secondo diversi punti di vista. Molti hanno adottato un approccio urbanistico, spesso proiettato nel futuro come nel padiglione Australiano, o la nuova New York nello Statunitense, più analitico come nel padiglione Francese e in parte in quello Giapponese, oppure semplicemente accennato come nella città “vista da sotto” del padiglione Olandese che in realtà lancia un messaggio critico riguardo gli edifici “vacanti”. Di particolare rilevanza sono state le interpretazioni in chiave sociologica come nel padiglione vincitore del Bahrain, “Reclaim” o quello del Cile che affronta il tema della ricostruzione dopo la disgrazia del terremoto, forse anche quello Italiano con le innumerevoli problematiche che bloccano il paese. Poi padiglioni sul disegno, sul desiderio, sull’architettura naturale, sulle scuole, sull’incontro nel quotidiano... tante idee, alcune più vicine di altre al messaggio lanciato dalla Seijima. Tutte “idee coraggiose trasferite in architetture capaci di coinvolgerci (...). Che siano interventi sul paesaggio od interventi grandi come una stanza non ha importanza. Quello che conta è che siano invitanti, che favoriscano gli incontri; che generino relazioni” (6). 2


Le persone dunque s’incontrano nell’architettura? Sì, la Biennale ha effettivamente raggiunto il suo scopo: non solo perché è riuscita a ricreare nel suo piccolo un mondo fatto di persone che interagiscono tra di loro e con l’esposizione stessa, ma anche perché ha stimolato le tante generazioni di nuovi architetti. L’ha fatto non solo in termini di spunti creativi o attraverso le conferenze ne’ “I Sabati dell’Architettura” ed all’iniziativa “Universities meet in Architecture”, ma anche perché si è fatta promotrice di un messaggio forse più semplice ma estremamente positivo, reso necessario dal fatto che l’architettura stava lentamente perdendo il suo rapporto con l’uomo. Ed è come se questo messaggio risuonasse nell’intervento di F. Galiano alla conferenza “Life after Metamorph: the last six years of architecture”. Il suo eroe è l’architetto-lattaio, idea nata dalla vecchia foto di un lattaio che sulle macerie di una Londra post-bellica fiero e pieno di speranza nel futuro continua a portare il latte agli abitanti: una tenacia e uno spirito che secondo lui gioverebbero a questa società. In sei anni infatti siamo passati dal lirismo ed eroicità dei Maestri dell’architettura ad una società colpita dalla crisi, segnata da catastrofi naturali, ancora in difficoltà in troppe parti del mondo. Ecocompatibilità, sostenibilità, architetture poco costose, attenzione all’uomo, quindi, sono i principi del lattaio che è, per Galiano, agli antipodi dell’architetto-icona che ormai siamo soliti vedere nelle riviste di tutto il mondo. E’ necessario dunque un maggiore senso di responsabilità dell’architetto ed un richiamo all’etica, alla sensibilità nel percepire e risolvere i bisogni dell’uomo piuttosto che il pubblicizzare architetture ed architetti spesso impegnati in una ricerca esasperata della forma. Forma che ormai è modellata dai nuovi avanzatissimi strumenti tecnologici a disposizione dei progettisti; strumenti che come dice K.W.Forster nella stessa conferenza, devono rimanere solo un utile mezzo per la realizzazione dell’immaginazione personale.

Ed è la tecnologia il motore centrale della nostra società, la stessa che oggi permette di informarci e di comunicare velocemente. “La sensazione diffusa è quella di vivere in una società post-ideologica. Siamo più che mai parte della Rete. La comunicazione mediata condiziona le relazioni interpersonali. La nostra cultura, così come la nostra economia, da tempo sono diventate globali. 3


Tutto ciò ha cambiato non solo le condizioni materiali del nostro presente, ma anche il modo in cui lo concepiamo. In questo contesto, siamo convinti che l’architettura abbia il potere di aprire nuovi orizzonti” (7). E in quest’ottica, come spiega la Seijima stessa, è stata realizzata la 12. Biennale. E com’è stato già detto (8) questa “mostra di architettura è così densa di senso, eppure chiara” tanto che può essere riassunta in questa significativa frase della direttrice: “L’idea è di aiutare gli individui e le società a relazionarsi con l’architettura, aiutare l’architettura a relazionarsi con gli individui e la società, e aiutare la società e gli individui a relazionarsi fra di loro” (9). Questi rapporti si traducono dunque in una maggiore sensibilità nel comprendere l’uomo all’interno della società in cui vive, ascoltarne le aspettative, soddisfarne i bisogni, ricreare per lui ambienti confortevoli, spazi che lo facciano sentire sempre a proprio agio ed in comunicazione con la società con cui necessariamente si relaziona. La Biennale rappresenta il primo passo per una nuova, semplice e importante conquista: recuperare il dialogo fra l’uomo e l’architettura. Quell’architettura di qualità perché nasce e vive secondo i principi esaminati fin ora, perché realizzata da menti consapevoli che ne plasmano le forme creando spazio di vita.

E’ così che il sogno di una giovane studentessa di architettura prende vita: il colorato insieme di stimoli e creazioni della 12.Mostra Internazionale invade le città di tutto il mondo, popola le strade e gli edifici di Venezia. Esplodono numerosissime altre idee e commenti nel seminario portato avanti dalla Prima facoltà d’Architettura di Roma. Di pari passo nascono dibattiti. Gli urbanisti sposano l’idea dell’architetto-lattaio criticando l’eccesso di astrazione, mentre gli architetti difendono la poeticità della mostra chiarificando il significato del fare buona architettura. E’ però condivisa e viva la convinzione che la Biennale abbia raggiunto ancora una volta il suo scopo: oltre al vastissimo pubblico, gli studenti si sono effettivamente incontrati nell’architettura ed in quell’aula seminariale ci stavano dentro più di quanto avrebbero mai potuto immaginare. 4


1. Intervista video di K. Seijima, Sito internet della 12. Biennale di Venezia 2. Transsolar&TetsuoKondoArchitects(Arsenale) 3. Installazione di Janett Cardiff (Arsenale) 4. junia.ishigami+associates (Arsenale) 5. Padiglione Belgio “usus/usures” (Giardini) 6. articolo“Apre la 12.Biennale di Architettura”, Sito internet della 12. Biennale di Venezia 7. Intervista video di K.Seijima e traduzione su articolo “Relazioni immateriali” di M.Vinelli, Sito internet della 12. Biennale di Venezia. 8. detto nell’articolo“l’eloquenza del progetto”di A.Valenti, Sito internet della 12. Biennale di Venezia. 9. Intervista video di K.Seijima e traduzione su articolo “Incontrare l’architettura” sul Sito internet della 12. Biennale di Venezia. Fotografie di Francesca Romana Forlini

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