POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni - MI Laurea Magistrale in Architettura 26 Aprile 2016
ABITARE IN-BETWEEN
Relatore: Ermes Invernizzi Tesi di laurea di: Giacomo Guazzolini Mat. 816738 Francesca Saini Mat. 815927 Anno accademico: 2014-2015
ABSTRACT Il percorso di tesi nasce dalla volontà di riflettere sulle modalità di crescita della città. Gli agglomerati urbani stanno subendo un notevole, rapido e inarrestabile processo di espansione a causa delle spinte immobiliari dovute alla crescita della popolazione a livello mondiale, ma è necessario tenere in considerazione che il suolo sia una risorsa finita e non riproducibile. Questo tipo di espansione sconfinata, costituita da un edificato a bassa densità ed estremamente frammentato, costringe a ragionare sulle conseguenze di una crescita incontrollata delle aree urbanizzate, quali la scissione e perdita su larga scala degli spazi naturali. Quello che possiamo fare oggi è cercare di fare in modo che, a fronte della crescita inevitabile che ci attende ancora, non vi corrisponda un ulteriore consumo di suolo. La cultura del progetto urbanistico, chiamata a una riflessione per trovare nuove risposte e soluzioni intelligenti al problema, propone la densificazione come tecnica per tornare verso il modello di “città compatta”. Le città, dunque, diventano luogo imprescindibile per l’evoluzione di strategie finalizzate allo sviluppo sostenibile, e la densificazione si dimostra il mezzo efficiente
Nowadays cities are facing a large, fast and irreversible process of expansion due to the constant population growth worldwide which inevitably leads to new inhabitations being built. However the soil is a finite and non-reproducible resource: it is simply not possible to keep up with the overbuilding and the wide built-up areas expansion without nasty consequences for the humanity. What we can do to avoid further losses of the natural open spaces is to respond with an intelligent densification to the problem of the need for new buildings. This strategy eventually leads
per il raggiungimento di tale obiettivo. Ragionare sulla ricompattazione delle città, sulla densificazione e sul riuso dei nostri centri urbani è quindi lo scenario che fa da sfondo a questo lavoro. Per rendere la crescita sostenibile però, è necessario che si selezionino con criterio i luoghi di questa attività: le città devono essere capaci di ricostruirsi al proprio interno, sfruttando gli spazi interstiziali e i vuoti urbani ma, al tempo stesso, migliorando la qualità dello spazio in un contesto denso. Lavorare con densità e qualità diventa dunque un criterio fondamentale. Nel nostro lavoro si pone quindi l’attenzione su un’operazione di progettazione dello spazio ancora libero e residuale, al fine di favorire un processo di rigenerazione urbana. Questi spazi abbandonati a se stessi all’interno della città consolidata sono riconoscibili come luoghi ambivalenti, aree invisibili nelle cartografie, ma evidenti nell’esperienza diretta, che diventano anche occasione per un ripensamento complessivo del disegno della città, superfici adatte a sviluppare (almeno in parte) un nuovo principio di urbanità grazie alla loro flessibilità e soprattutto all’indeterminatezza di uso. Il carattere effimero di questi spazi e la loro
to the so called “compact city”. To achieve the goal it is mandatory to carefully select the areas, within the cities, where it is possible to (re)build over: urban empty areas, urban “dead areas”, old and inefficient built-up areas, and so on. Our work aims at identifying classes of areas where it is possible to intervene (such as places not well visible in maps and charts, but immediately noticeable for a human eye in a real environment) and we also suggest guidelines for an intelligent re-use of those areas. While sometimes those areas may
ridotta scala d’intervento induce a ritenere che essi non possano mettere in atto cambiamenti nella macro scala, ma in realtà la capacità d’interferenza e azione di tali fenomeni si riflette in modo evidente nell’ambito urbano e territoriale. Negli interstizi urbani pertanto si posso realizzare micro-interventi che inneschino processi di influenza nel contesto circostante e che creino differenti prospettive spaziali e sociali. Per poter comprendere e definire le effettive potenzialità offerte dagli interstizi, è stato necessario provvedere ad una loro catalogazione, giungendo ad una serie di strategie operative da adottare per una loro qualificazione. Dall’analisi delle fessure localizzate all’interno del tessuto urbano, la nostra attenzione è ricaduta su quelle aree intercluse tra due fabbricati: gli spazi In-Between. Queste superfici che permettono la creazione di microarchitetture sono interruzioni di volumetrie, tendenzialmente prive di qualsiasi attività o individuate come aree verdi di risulta, posizionate principalmente nell’edificato storico.
seem ephemeral and one can think it is useless to invest money on their rebuilding, actually even microinterventions can achieve significant results both from the investment return point of view and from the emulation point of view: it is important to do something on (almost) all those spaces, and seeing someone starting can lead to a sort of “contest” in finding the spots as quickly as possible. By directly analyzing the urban areas in Milan we noticed the so called “InBetween areas”, which are the dead zones between two buildings. As the
Al fine di comprendere ancor meglio il modo in cui intervenire, sono stati analizzati una serie di casi studio che, attraverso l’utilizzo di strategie architettoniche intelligenti, ci potessero fornire delle linee guida da intendere come suggerimento per la successiva elaborazione della proposta progettuale. La nostra scelta di operare per interventi puntuali mira alla realizzazione di un sistema di ambienti che s’insedino nelle fessure del tessuto urbano andando a colmare i vuoti a terra di dimensioni minime, generando di conseguenza scene urbane continue. È stata dunque necessaria una mappatura delle aree presenti all’interno del territorio metropolitano di Milano, che potessero apparire come possibile ambito spaziale nel quale sperimentare il progetto. La tesi si pone dunque come obiettivo quello di progettare un modulo abitativo adattabile, un sistema che possa essere scalato in relazione ai caratteri morfologici del sito in cui si insedia. Variando il dimensionamento della cellula a seconda delle caratteristiche dell’edificato con cui si interfaccia, il nostro sistema ha la potenzialità di entrare a far parte di un intervento a larga scala: un singolo tassello da
term “dead” may suggest, those areas are generally empty, apparently useless and with a great potential for micro-interventions to gain some sort of productivity from them. In our work we propose a dynamic, context scalable and resizable “living module” to fit the characteristics of the aforementioned areas in order to fill the voids in a smart way. We also modelled a real use-case in one of the areas we identified in Milan near the Central Station: we show how to build a comfortable multifamiliar residence, despite the limited
inserire nei vuoti urbani all’interno del tessuto urbano che, nella dimensione dell’isolato, diviene un’unità autosufficiente in connessione con la rete di servizi cittadina. Come ultimo passo, la tesi propone lo sviluppo di caso applicativo in una delle aree milanesi, con l’obiettivo di mostrare la configurazione spaziale pensata. Nel lotto individuato vicino a stazione centrale, stretto e profondo, è stata quindi realizzata una residenza multifamiliare a sviluppo verticale che, modellandosi sulle specificità dell’area, miri a garantire il benessere abitativo se pur in condizioni estreme a cause delle dimensioni limitate del sito. Il nostro insediamento abitativo risulta quindi essere un esperimento spaziale che non si basa più sul semplice concetto di occupazione del suolo, ma prova ad utilizzare le potenzialità del contesto contribuendo contemporaneamente alla rigenerazione urbana, creando nuovi principi relazionali e dinamiche spaziali secondo un principio di saturazione e completamento graduale delle aree disponibili, senza un ulteriore consumo di suolo.
area available, by leveraging the (virtually) unlimited “vertical expansion” of buildings. In conclusion, our work shows how it is practical to intervene on empty and dead urban areas to avoid a chaotic and irreversible expansion of conurbations, expansion which would damage the natural environment.
INDICE
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INTRODUZIONE
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IL CONSUMO DI SUOLO
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La perdita della gerarchia Lo sprawl urbano La sostenibilità delle città Ripartire dalla città
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LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’ La città compatta Imparare a densificare la città Le linee guida della densificazione Le tecniche di densificazione urbana Crescere senza consumare: i vuoti urbani
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44 47 51 55 59 63
4
GLI SPAZI INTERSTIZIALI Un’occasione nell’interstizio Le tipologie di vuoti interstiziali Gli spazi In-Between Il rinnovato interesse per la microarchitettura Uno sguardo alle normative
5 6
69 73 79 89 95
I CASI STUDIO
100
IL PROGETTO
144
L’analisi delle possibili aree di intervento L’area di progetto La versatilità del sistema Il caso applicativo
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UNO SGUARDO AL FUTURO
147 155 159 171
186
8 9
BIBLIOGRAFIA
190
SITOGRAFIA
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1 CAPITOLO
INTRODUZIONE
L’obiettivo del nostro lavoro è quello di progettare un modulo abitativo adattabile, un sistema che possa essere scalato in relazione ai caratteri morfologici del cosiddetto spazio “in-between” in cui si insedia. La nostra proposta ha le caratteristiche per entrare a far parte di un intervento a larga scala, andando ad occupare quei vuoti urbani tra due edifici del tessuto consolidato che hanno la potenzialità per lo sviluppo di un progetto residenziale. La specificità degli spazi liberi residuali, ovvero la loro particolare configurazione architettonica e il carattere episodico e frammentario, richiede un approccio progettuale differente da quello tradizionale, andando ad indagare quelle che sono le dimensioni minime dell’alloggio. Per questo motivo, il nostro contesto scientifico di riferimento è duplice. Da un lato, la nostra ricerca si affianca ai progetti di catalogazione degli spazi urbani vuoti e abbandonati, quali ad esempio “Temporiuso1” e “Mappa-MI2”. Diverso è invece
il contesto in cui si muovono Marc Augé3 o Rem Koolhass4, i quali non si addentrano nella singola categoria degli spazi in-between, ma si soffermano su tutti quei residui urbani che non sono identitari perché solitamente risultato dello sprawl o dell’innesto di infrastrutture nel tessuto consolidato. Dall’altro lato, invece, la nostra ricerca prende spunto dall’indagine sull’alloggio minimo condotta inizialmente da Alexander Klein5 e proseguita poi durante il Secondo Congresso Internazionale di Architettura Moderna del 1929 con il tema dell’Existenzminimum (abitazione minima). In tempi recenti quest’analisi è stata ripresa dallo studio di architettura giapponese Atelier Bow-Wow, che sviluppa una serie di micro-architetture nelle fessure tra l’edificato della città di Tokyo.
1 “Temporiuso” è un progetto che si propone di utilizzare il patrimonio edilizio esistente e gli spazi aperti vuoti, in abbandono o sottoutilizzati di proprietà pubblica o privata, per riattivarli con progetti legati al mondo della cultura e associazionismo, dell’artigianato e piccola impresa, dell’accoglienza temporanea per studenti e turismo giovanile, con contratti ad uso temporaneo a canone calmierato. 2 “Mappa-MI” è una piattaforma interattiva che permette ad ogni cittadino di segnare su una mappa un’area che rappresenti per lui un motivo di interesse personale, legato a un ricordo, a una testimonianza, a un’impressione sul quotidiano o a un’idea per il futuro. 3 Augé M., Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano: Elèuthera, 2009. 4 Koolhaas R., Junkspace: per un ripensamento radicale dello spazio urbano, Macerata: Quodlibet, 2006. 5 Klein A., Rivolta M. B., Rossari A., Lo studio delle piante e la progettazione degli spazi negli alloggi minimi: scritti e progetti dal 1906 al 1957, Milano: Mazzotta, 1975.
2 CAPITOLO
IL CONSUMO DI SUOLO
In questo capitolo ragioniamo su quella che risulta essere una problematica odierna e ne spieghiamo le origini. La nostra preoccupazione riguarda il consumo eccessivo di suolo naturale al di fuori delle grandi città (e nelle zone ad esse limitrofe) per costruire nuovi edifici, fenomeno causato principalmente dallo sprawl urbano, il quale, a sua volta, ha radici in processi tra loro differenti, come l’aumento della popolazione, la tendenza dei costruttori a mirare a profitti sempre più ampi e la rivoluzione tecnologica che consente di collegare facilmente ai grandi nuclei cittadini anche le aree più periferiche. Come soluzione generica individuiamo il paradigma del “costruire sul costruito”, ovvero un processo di edificazione intelligente di aree entro i confini urbani che, per i motivi più disparati, sono sotto-sfruttate oppure completamente “morte”, nel senso di “cementificate”, ma abbandonate e completamente improduttive. Dal punto di vista numerico, citiamo alcuni dati su come in Italia e all’estero si cerca di approcciare il problema.
LA PERDITA DELLA GERARCHIA
A partire dalla seconda metà del XX secolo gli agglomerati urbani hanno subito un notevole, rapido e inarrestabile processo di espansione che prevedibilmente continuerà per un tempo indefinito, in un modo spazialmente complesso e spesso non lineare; in passato invece le città sono cresciute lentamente ma in modo abbastanza compatto e secondo un modello definito ad “anelli progressivi”. Oggi la superficie delle aree fortemente urbanizzate delle metropoli, aumenta a causa delle spinte immobiliari dovute alla crescita della popolazione a livello mondiale, ma è necessario tenere in considerazione che il suolo sia una risorsa finita e non riproducibile. Da un punto di vista ecologico/ambientale, e non solo, questo tipo di espansione sconfinata è destinato a causare una rapida e disordinata crescita degli insediamenti, con le conseguenti scissione e
perdita su larga scala degli spazi naturali. In Europa la città moderna prende forma nel XIX secolo, quando diventa città industriale e inizia ad attrarre masse di lavoratori dalle campagne. È allora che le città cominciano a espandersi nel periurbano, invadendo terreni agricoli e naturali. Durante questa fase la forma urbana predominante resta quella agglomerata, caratterizzata da un edificato compatto. Tuttavia l’espansione a macchia d’olio intorno ai centri antichi, che avviene per lo più secondo criteri di zonizzazione funzionale e, talvolta, di netta separazione fisica tra le diverse parti della città, getta le basi per lo sviluppo informe delle attuali metropoli e megalopoli. Negli anni è quindi venuto meno un principio di urbanità chiaramente leggibile all’interno della città consolidata, uno specifico rapporto tra spazio aperto e tessuto costruito,
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in cui il primo è l’elemento di connessione del secondo attraverso strade, piazze ecc. che erano e sono gli elementi dal carattere collettivo riconoscibile, in cui si svolgono i rapporti sociali più importanti. Oggi le stesse regole di connessione non sono più sufficienti a definire un principio insediativo che non sia debole e marginale, ma portano ad un risultato di un processo di accumulazione e frammentazione. Questo risultato è l’esito di un modello insediativo che ha raggiunto una precisa configurazione, grazie all’affermazione di nuovi stili di vita e di mobilità, e a
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
Fig.1 Rappresentazione dell’inclusione e della dispersione.
tendenze localizzative delle attività economiche che hanno privilegiato territori periurbani sempre più dilatati; ciò è accaduto grazie anche a una deregolamentazione urbanistica che ha avuto, un po’ovunque, per tutti gli anni ’80-’90 un discreto successo. L’Europa per sopperire a questo sfrenato consumo di suolo ha espresso tre principi strategici: limitare, mitigare e compensare. La Gran Bretagna ha stabilito che il 60% delle nuove urbanizzazioni dovrà avvenire su aree dismesse, in Germania, invece, dal 2020
non si potranno urbanizzare più di 30 ettari al giorno e una politica del genere per l’Italia significherebbe ridurre i propri consumi ad 1/56 di quelli attuali. A fronte di questa breve carrellata di dati, le azioni utili a contenere la crescita delle aree urbanizzate si possono riassumere nella densificazione delle aree già urbanizzate, sfruttando suolo già impermeabilizzato ma non utilizzato dalla società, andando così a definire dei nuovi limiti della città.
6 2A+P/A, Angelo Grasso, TSP00N. 5 minuti di recupero 2012
Fig.2 Immagine della città di Wuhan, Cina.
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LO SPRAWL URBANO
Possiamo affermare con una certa sicurezza che il consumo di suolo vede la sua causa maggiore nella dispersione della popolazione, meglio conosciuta come sprawl urbano. Il termine “sprawl”7 è stato coniato in America Settentrionale nella seconda metà degli anni ’60 quando il fenomeno iniziò ad essere analizzato. Componente fondamentale della definizione è l’incontrollata espansione
delle città su aree rurali o semi-rurali: ciò si traduce nella trasformazione di spazi aperti in spazi costruiti e, a lungo termine, nella crescita di una serie di esternalità ambientali negative. Questo modello urbano di sviluppo espansivo implica infatti una Fig.3 Rielaborazione del concept ideato dall’architetto Cedric Price. “The ancient city is boiled egg... The industry city is poached egg...The modern city is scrambled eggs...”
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scarsa pianificazione e controllo della suddivisione del territorio, e non è necessariamente caratterizzato da un incremento della popolazione complessiva della città, bensì da una sua redistribuzione (in genere si assiste ad una migrazione dalla città principale alla periferia). Il processo di diffusione o dispersione urbana, sin dagli anni ‘70, interessa gran parte delle metropoli americane ed europee, seppure in tempi e con intensità diverse. La città perde del tutto i suoi contorni, si sfrangia, diventa porosa, si espande in modo confuso e disordinato nelle aree agricole periferiche, con un edificato a bassa densità ed estremamente frammentato. Il più importante indicatore dello sprawl è la densità di popolazione, ma vi sono anche altri elementi di valutazione: la mancanza di alternative di trasporto, il consumo di suolo e la qualità della vita, ritenuta migliore al di fuori della città (su questo fattore i pareri sono contrastanti). Tra le principali cause dello sprawl vi sono i processi di decentramento residenziale nonché i
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
fenomeni di depolarizzazione e delocalizzazione delle industrie e dei servizi, i quali sarebbero a loro volta connessi sia alla rendita fondiaria urbana (differenziale tra il valore del suolo delle aree urbane centrali e quello delle aree rurali periurbane) sia alle migliori potenzialità logistiche di un posizionamento in aree periferiche dotate di elevata accessibilità. Vi sono però numerosi altri fattori che contribuiscono al fenomeno della città dispersa, i quali possono essere suddivisi in due gruppi: i motivi connessi alla residenza e quelli connessi all’economia. All’interno del primo gruppo si individuano: La percezione negativa della vita nelle aree urbane, dovuta all’elevata congestione, all’inquinamento, al rumore, alla bassa qualità degli spazi pubblici; L’evoluzione delle preferenze individuali verso abitazioni unifamiliari; La minore accessibilità delle aree centrali al traffico motorizzato privato; Fig.4 Espansione di Las Vegas, dal 1984 al 2009. Immagini del satellite della Nasa.
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Una pianificazione meno stringente e vincoli istituzionali più deboli nelle aree esterne. Nel secondo gruppo, invece: L’elevato costo del recupero edilizio nelle aree centrali in contrasto con il basso costo delle localizzazioni extraurbane; La diffusione di attività back-office sempre più indipendenti dal fattore accessibilità; L’aumento della frammentazione fiscale ed amministrativa. A testimonianza dei principali caratteri dello sprawl urbano, il geografo francese Pierre Merlin nel 2009 ha pubblicato un volume significativo dal titolo “L’esodo urbano”8. Alcuni dati utilizzati da Merlin, reperiti dal registro nazionale dei consumi di suolo, aggiornato annualmente, mettono in risalto come le abitazioni unifamiliari e le infrastrutture stradali siano i maggiori consumatori di territorio aperto. Il dato più notevole è che nel periodo da lui analizzato, l’80% del territorio utilizzato per realizzare le abitazioni francesi era precedentemente dedicato alla produzione agricola. Il
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
caso citato della Francia, un paese tradizionalmente “ben pianificato”, ci conferma che la dispersione insediativa ha una grande forza propulsiva e che si tratta di un fenomeno complesso le cui cause sono molteplici: dipende dalla crisi e dai costi crescenti delle città dense; è alimentato dalla problematica politica fiscale dei comuni che tendono a fare cassa con gli oneri di urbanizzazione; è certamente anche il prodotto di preferenze individuali di famiglie e di imprese. Tutti questi elementi hanno contribuito al successo dei modelli espansivi urbani al punto che, anche la Commissione Europea ha dovuto prendere atto che lo sprawl urbano è uno dei fattori da tenere sotto controllo nella pianificazione e nella trasformazione delle città, in quanto esso comporta consumo di spazi verdi, alti costi energetici ed infrastrutturali, incremento della segregazione sociale e aumento della mobilità individuale, con conseguente dipendenza dal trasporto motorizzato privato. Nel 2012 infatti, è stato approvato un documento generale di indirizzo (CE, 2012).
Tale documento tenta di guidare l’azione degli Stati membri verso tre specifici obiettivi, gerarchicamente organizzati e attuabili in modo sequenziale: la limitazione, la mitigazione e la compensazione.9 Molte delle misure identificate dalla Commissione per contrastare il consumo di suolo sono state già da tempo sperimentate in ambito nazionale da diversi paesi. Tra le esperienze maturate in Europa quella britannica è la più antica e consolidata, essendo il Regno Unito il Paese che per primo ha dovuto affrontare le problematiche connesse alla diffusione urbana. La Germania, invece, ha intrapreso sin dagli anni Ottanta una fervente attività legislativa per regolamentare gli usi del suolo, tanto che si può parlare di un vero e proprio modello tedesco orientato verso un approccio più strettamente regolativo rispetto a quello inglese, che guarda anche al disegno morfologico della città. Nel 1998 è stato istituito, da parte dell’allora ministro per l’Ambiente Angela Merkel, l’Osservatorio Nazionale sul Consumo di Suolo, con l’obiettivo dichiarato di portare
entro il 2020 il consumo di suolo da 130 ettari al giorno (registrati nel 2000) a 30 ettari al giorno. La direttiva, immediatamente trasmessa alle amministrazioni locali è diventata esecutiva, con l’invito a definire le strategie e le politiche più idonee per raggiungere l’obiettivo. In Italia i temi della dispersione insediativa e del consumo di suolo sono rimasti a lungo racchiusi in ambito accademico. Solo di recente è stata riconosciuta l’esigenza di sviluppare attorno a tali tematiche una discussione politico-istituzionale. Tale interesse, sollecitato dall’allarme sul soil sealing lanciato dalla Commissione Europea, nonché da una maggiore sensibilità pubblica verso l’uso sostenibile del territorio, ha prodotto un proliferare di iniziative sul fronte legislativo. In conclusione, affinché si possa razionalizzare il consumo del territorio nella fase di espansione delle città, i principali soggetti che si occupano di urbanistica (politici, amministratori, architetti e urbanisti) dovrebbero contribuire a dare forma allo spazio ed efficienza alle attività che esso ospita, al fine di
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Fig.5 Espansione del Nevada dal 1984 al 2007. Immagini del satellite della Nasa.
garantire le migliori condizioni di vivibilità alle persone che lo abitano e vi lavorano. Con i nostri comportamenti tutti contribuiamo a modificare lo spazio ed il suo uso e quindi una maggiore consapevolezza degli effetti collettivi, originati dalla somma di tante scelte individuali che le nostre azioni producono sul territorio, rappresenta l’indispensabile passo nella direzione di uno sviluppo più sostenibile.
7 Mazzeo G., (2009). “Dall’area metropolitana allo sprawl urbano: la disarticolazione del territorio”. TeMA, Vol. 2 n° 04 pag. 7-20. 8 Il termine “esodo” sottolinea che ciò che è avvenuto in Francia negli ultimi decenni rappresenta per l’autore una sorta di fuga epocale dalla città, simile, anche se specularmente opposta, a ciò che avvenne quando l’industrializzazione determinò il grande esodo rurale. Tratto da: Gibelli M.C., “Governare l’esodo urbano e il consumo di suolo. Perché? Come?”. In Bonora P., Visioni e politiche del territorio. Per una nuova alleanza tra urbano e rurale, Archetipo Libro, 2012. 9 Bencardino M., (2015), “Consumo di suolo e sprawl urbano. Drivers e politiche di contrasto”. Bollettino della società geografica italiana, Serie XIII, vol. VIII, pp. 217-237.
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
LA SOSTENIBILITA’ DELLA CITTA’
Come già visto nel paragrafo 2.1, nella maggior parte dei Paesi occidentali si sono create realtà di vita suburbane: lo spazio urbano della città murata, che una volta caratterizzava la società occidentale, è stato appiattito e sostituito da uno sprawl a bassa densità tenuto insieme dalle telecomunicazioni e dal pendolarismo. La campagna ha lasciato spazio ad aree di sviluppo caotico, il paesaggio è diventato via via più frammentato, le aree di produzione agricola e gli habitat naturali si sono ridotti. Questo sviluppo incontrollato ha causato diversi problemi ambientali: la motivazione non è solo il traffico privato che ha portato ad un incremento delle emissioni di CO2, ma anche la casa suburbana stessa che, con la sua frammentazione in singole unità abitative, rappresenta un fenomeno inquinante, con un conseguente aumento del riscaldamento del pianeta. L’unico modo per risolvere
il problema è attraverso uno sguardo alla città: secondo statistiche recenti infatti, la città sarà presto lo spazio dell’abitare per la maggior parte della popolazione mondiale. Nelle città i trasporti urbani sono più accessibili, l’uso del suolo e la perdita di energia possono essere limitati da una costruzione verticale e compatta e, aspetto ancora più positivo, gli spazi pubblici offrono una maggior vita sociale. Molte città post-industriali oggi offrono buone possibilità di ri-densificazione del tessuto urbano. Una buone strategia è quindi quella di sviluppare la città all’interno del suo limite esistente piuttosto che espanderne i suoi confini, trovando usi originali per gli spazi urbani rimasti vuoti. Douglas Foy e Robert Healy, autori di un articolo pubblicato nel 2008 sull’International Herald Tribune, sostengono che più le città aumentano la propria densità più diventano
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Fig.6 Densità residenziale in diverse città, illustrazione di Duncan A. Smith, 2006
ecologicamente sostenibili. Per questi motivi la sostenibilità delle nostre città risulta legata alla loro forma e alla loro densità. Dopo decenni di dispersione insediativa e di progressiva occupazione di aree prima destinate all’agricoltura, la città sostenibile deve tornata a essere compatta, dando priorità ai processi di riuso e trasformazione dell’esistente secondo la strategia del “costruire sul costruito”: questo processo può avvenire solo se è possibile offrire tipologie appropriate per le famiglie.
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
Un esempio di quanto appena detto viene trattato nel libro “Green Metropolis”10 (2009) di David Owen, saggista ed editorialista del New Yorker, il quale argomenta una tesi contro-intuitiva: Manhattan è più sostenibile di qualsiasi altra città americana e la superiorità della principale isola di New York è legata alla sua densità, alla sua concentrazione insediativa. Il principio a favore del ragionamento di Owen è il consumo di energia pro capite: gli abitanti di Manhattan si confermano parsimoniosi in relazione agli abitanti di tante altre città americane. Ciò si spiega per due ragioni,
la prima delle quali è legata alla mobilità. L’alta densità del centro di New York (18.807 abitanti per km2) rende possibili spostamenti a piedi o in bicicletta, inimmaginabili in città a bassa densità le cui distanze e le cui relazioni fisiche e spaziali sono esclusivamente a misura di automobile. Inoltre, la densità rende efficiente una rete di trasporti pubblici altrimenti insostenibile sotto il profilo dei costi collettivi. L’esito è una mobilità con numeri davvero significativi: l’82% dei abitanti di Manhattan va al lavoro con i mezzi pubblici, in bicicletta o a piedi11. La seconda ragione è invece legata ai consumi energetici per la climatizzazione degli edifici: la densità insediativa contiene i consumi per effetto della riduzione delle superfici esposte e per l’interazione con gli immobili vicini. Nella città compatta, inoltre, le abitazioni sono più piccole e necessitano dunque di minore energia per essere climatizzate. In conclusione, la relazione fra sostenibilità e densificazione è da più parti richiamata sul piano della risoluzione di numerose
Fig.7 Evoluzione della città di Manhattan, dal 1860 al 2010.
problematiche urbane, dallo spreco di risorse territoriali alla congestione della mobilità, dall’impatto sul paesaggio alla sicurezza urbana, proponendo quindi insediamenti edilizi
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in condizioni urbane già infrastrutturate, con forme compatte, andando ad occupare spazi marginali. Le città, dunque, diventano luogo imprescindibile per l’evoluzione di strategie finalizzate allo sviluppo sostenibile, e la densificazione si dimostra il mezzo efficiente per il raggiungimento di tale obiettivo.
10 Owen D., Green metropolis: la città è più ecologica della campagna?, Milano: EGEA, 2010. 11 Carfagna D., Dolcetta B., Marin A., De Matteis M., Nuove qualità del vivere in periferia: percorsi di rigenerazione nei quartieri residenziali pubblici, Monfalcone: Edicom, 2013.
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
RIPARTIRE DALLA CITTA’
Dal secondo dopoguerra il territorio italiano ha subito un profondo cambiamento sulla spinta di diversi fenomeni. La ricostruzione post-bellica necessitava di tempi brevi: in molte città, case e quartieri sono stati costruiti rapidamente, non tenendo conto dei piani regolatori (peraltro non adeguati alla situazione che si sarebbe venuta a creare), laddove esistessero. Altri fenomeni che hanno generato il cambiamento sono stati il boom economico e demografico, lo sviluppo infrastrutturale del paese, le ondate migratorie, la crescita delle famiglie mononucleari e l’invecchiamento della popolazione. Anche la motorizzazione di massa ha giocato un ruolo determinante, ponendo le basi per l’inedito fenomeno di dispersione insediativa, legato alla possibilità di scegliere luoghi diversi e distanti dove risiedere rispetto ai luoghi di lavoro, di divertimento e di commercio.
Il consumo di suolo nelle aree metropolitane italiane è quindi cresciuto senza una programmazione integrata a livello ambientale, e spesso senza il supporto di progettazione efficace di reti di trasporto pubblico e di servizi12. Tutti questi fenomeni hanno concorso all’incremento della domanda di superfici abitative, produttive e destinate a servizi e infrastrutture. In un periodo storico in cui era impellente una costruzione rapida per soddisfare i bisogni primari della popolazione, si è lasciato da parte l’aspetto qualitativo, così che si sono gettate le basi per quell’edificazione priva di controllo che ha lasciato profondi effetti sul territorio. Purtroppo però ancora oggi si assiste a questo fenomeno: i comuni urbanizzano sempre più nuove aree libere per ricavare maggiori introiti relativi agli oneri di urbanizzazione. Il territorio italiano, considerato
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paesaggisticamente rilevante nella sua totalità, è iper-edificato: l’Italia è infatti tra i paesi che hanno consumato (e consumano) più risorse territoriali per dare agio ad un’urbanizzazione inefficiente, estesissima e sparpagliata; è come se ogni anno si costruissero tre nuove città della dimensione di Milano13. In uno studio presentato nel 2013 da Paolo Pileri14, viene mostrato come in Lombardia (e non c’è ragione di ritenere che ciò non avvenga su tutto il territorio nazionale) per ogni nuovo abitante insediato il consumo di suolo
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
nei piccoli comuni è nettamente superiore a quello dei comuni di più grande dimensione (figura 8). In particolare nello studio si evidenzia che il consumo più elevato riguarda i comuni piccolissimi15, ossia quelli di taglia demografica inferiore ai 500 abitanti, per i quali si arriva a misurare una variazione marginale di paesaggio agrario pari a -14.396 m2 pro capite. Ma ancor più significativo, anche se marginalmente inferiore, appare Fig.8 Una classificazione dei comuni italiani per taglia demografica a confronto con l’indicatore di Pileri.
il consumo dei 3.751 piccoli comuni (quelli di taglia compresa tra 1.000 e 5.000 abitati), che rappresentano il 46% dei comuni italiani e occupano circa il 41% del territorio nazionale, per una popolazione invece di circa 9 milioni di abitanti (solo il 15% della popolazione italiana). In Italia, amministrazioni comunali e governi, sia pure su scale diverse, si trovano quindi di fronte a una scelta: lasciar avanzare un’evoluzione spontanea, talvolta selvaggia, dell’occupazione dei suoli e della ripartizione delle diverse componenti dei complessi urbani, o prevenire la proliferazione delle città e pianificarne lo sviluppo in maniera logica e intelligente. Contrastare lo sprawl è una sfida epocale che non può essere affrontata con semplici misure di contenimento, ma richiede un vero e proprio cambiamento culturale, per riorientare tutte le forze e gli attori pubblici e privati, verso un modello di città compatta che cresce e si rigenera soprattutto attraverso il riuso dello spazio già urbanizzato, evitando così la speculazione edilizia e una cementificazione selvaggia del suolo. Per una serie di esigenze di vario
tipo, dal risparmio energetico ai risparmi nella fornitura di servizi urbanistici e sociali e, ancora, alla salvaguardia e tutela del poco spazio inedificato residuale, risulterebbe molto conveniente minimizzare l’espansione al di fuori delle zone già edificate, con l’ovvia eccezione delle infrastrutture di trasporto e logistica. Vi sarebbero altre molteplici ragioni che dovrebbero indurre ad opporsi con forza alla crescita scomposta degli insediamenti: la scarsa efficienza complessiva, gli elevati costi collettivi di tipo economico, ambientale e sociale, la compromissione del paesaggio e dell’ambiente, anche in contesti particolarmente delicati. Ciò non significherebbe depotenziare l’industria edilizia ma solamente riconvertila verso il recupero delle numerose zone che necessitano di sostituzione, ristrutturazione o riorganizzazione all’interno delle enormi aree urbanizzate esistenti. Ripartire dai vuoti urbani può essere la soluzione. La riconsiderazione del tessuto urbano, dunque, come qualcosa da completare a partire dal proprio interno, dai vuoti interstiziali.
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I vuoti urbani sono occasione di ricucitura, sistemazione, rinnovamento delle città. In un’epoca in cui il tema del riuso e della nuova vita data agli oggetti è cardine ed è una delle possibilità per frenare i problemi dati dallo sfruttamento delle risorse e del suolo, è necessario estendere la tendenza alla scala urbana. Non potendo intervenire rapidamente sul principale fattore causa dell’urbanizzazione selvaggia, ovvero la sovrappopolazione e l’aumento demografico che costringono comunque ad aumentare il numero di alloggi e uffici, è necessario iniziare a pensare a dei piani urbanistici a crescita zero: sarebbero una soluzione vantaggiosa per la salvaguardia dell’ambiente e contribuirebbero ad avere dati più esaustivi sul patrimonio edilizio esistente e non utilizzato. Si tratterebbe sostanzialmente di un grande programma di riqualificazione dello spazio urbanizzato, che chiami il governo, gli enti locali e gli attori del mercato delle costruzioni a collaborare ad azioni di trasformazione e recupero del patrimonio edilizio esistente e quindi di riciclo del territorio. Sarebbe uno sforzo
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
capace di conseguire, nel giro di alcuni anni, una catena di effetti virtuosi sull’economia e sul paesaggio del nostro Paese. La salvaguardia, la cura e la riqualificazione di determinati spazi e determinati vuoti è una soluzione che molti urbanisti e architetti dovrebbero adottare come punto di partenza di una riqualificazione dei paesaggi contemporanei focalizzata sul progetto di suolo, su un’architettura a volume zero, del riuso e del riciclo. Il contenimento dello sprawl, è quindi considerato un obiettivo cruciale, da affrontare prioritariamente attraverso riforme legislative, strategie e strumenti rinnovati di pianificazione territoriale ed urbanistica. Per rispondere ai problemi pregressi e alle esigenze di oggi, riorganizzando e riqualificando gli insediamenti esistenti, servono politiche molto più incisive di quelle attuali in quanto la frammentazione amministrativa e la deregolamentazione urbanistica hanno costituito una causa decisiva dell’elevata dispersione insediativa. Il modo in cui sono cresciute e tuttora si espandono le città, riflette un’idea anonima
Fig.9 Consumo di suolo comune per comune, anno 2012. La media italiana con cui è stato fatto il confronto fa invece riferimento all’anno 2013. Fonte: ISPRA 2015. I punti evidenziati rappresentano: - Province e consumo di suolo: con il consumo di suolo arrivato quasi al 35%, Monza e della Brianza è la provincia con il valore più elevato. Seguono le province di Napoli e Milano, che hanno valori compresi tra il 25 e il 30%. - I comuni più colpiti: diversi tra i comuni con il maggior consumo di suolo, fra cui Casavatore e Arzano, si trovano nei dintorni di Napoli. In queste due località oltre il 75% del territorio è stato coperto in maniera artificiale.
e volgare della modernità, assai poco attenta alle specificità locali, alla qualità, all’innovazione. Per questi motivi, e per quelli sopra spiegati, è evidente la necessità di porre un freno a questa crescita sregolata. In sintesi possiamo affermare che sarebbe necessario porre l’attenzione su un’operazione di progettazione dello spazio ancora libero e residuale, al
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fine di favorire un processo di rigenerazione urbana. Questi spazi abbandonati a se stessi all’interno della città consolidata, sono riconoscibili come luoghi ambivalenti e interstiziali, che inducono ad essere ripensati come luoghi adatti a sviluppare almeno in parte un nuovo principio di urbanità, realizzando nuovi interventi architettonici.
Bianchi D., Zanchini E., Ambiente Italia 2011: il consumo di suolo in Italia, Milano: Edizioni Ambiente, 2011. 13 2A+P/A, Angelo Grasso, TSP00N. 5 minuti di recupero 2012. 14 Pileri P., (2013) “La frammentazione amministrativa consuma suolo” in convegno ISPRA, CRA e Università La Sapienza, Il consumo di suolo, lo stato, le cause e gli impatti, Roma. 15 Bencardino M., (2015), “Consumo di suolo e sprawl urbano. Drivers e politiche di contrasto”. Bollettino della società geografica italiana, Serie XIII, vol. VIII, pp. 217-237. 12
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capitolo 2 IL CONSUMO DI SUOLO
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3 CAPITOLO
LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
In questo capitolo analizziamo la soluzione anticipata nel capitolo precedente: ridensificare i nuclei cittadini per evitare un’espansione incontrollata. Dopo una prima esposizione e analisi critica delle soluzioni proposte da scuole di pensiero conservatrici e progressiste, enunciamo i canoni da seguire per ridensificare i nuclei cittadini in modo scientifico, con annessa analisi dei più comuni metodi dello stato dell’arte impiegati oggi per risolvere il problema e delle aree più comuni d’intervento. A tal proposito, infine, introduciamo la notazione di “vuoti urbani” e spieghiamo perché essi sono una potenziale area in cui si può intervenire per raggiungere l’obiettivo di una ridensificazione intelligente, nonché le principali cause che hanno fatto sì che, storicamente, le loro potenzialità siano state sistematicamente ignorate.
LA CITTA’ COMPATTA
Prendendo in considerazione quanto detto nel secondo capitolo della tesi, i processi di sviluppo urbano devono far riferimento alla cosiddetta città compatta16, considerata il modello che più di ogni altro può garantire uno sviluppo urbano sostenibile. La città compatta rappresenta l’antitesi del fenomeno della dispersione Fig.9 F. Furiassi
urbana17, che ha caratterizzato lo sviluppo insediativo durante il secolo scorso e che oggi è ritenuto un modello di sviluppo non più sostenibile: l’eccessivo consumo di suolo, i fenomeni di congestione urbana, l’aumento dei costi di infrastrutturazione e il peggioramento delle condizioni di salute della popolazione sono solo alcuni degli effetti più evidenti dovuti proprio alla dispersione urbana.
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capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
Fig.10 Mappa delle aree metropolitane. Confronto tra il 1950 e il 2010.
La città compatta sembra essere quindi il modello di riferimento capace di risolvere tali problematiche. Essa non è solo un modello di sviluppo urbano di densità elevata, ma anche un modello caratterizzato da mix funzionali vari, da adeguate dotazioni di servizi pubblici e di aree verdi, da edifici e spazi di elevata qualità architettonica, capaci di garantire elevate prestazioni in termini di risparmi energetici, di emissioni e di sicurezza. Tale modello si basa inoltre su un sistema di trasporto e su una mobilità altamente efficienti, che riescono a promuovere alternative di trasporto diverse dal mezzo motorizzato privato, sfruttando le distanze ridotte tra abitazioni, servizi e luoghi di lavoro, consentendo una riduzione dei consumi energetici e dell’inquinamento. Il ritorno alla città compatta significa promuovere politiche di densificazione, basate sul concetto di densità oggi considerato un elemento chiave per determinare contemporaneamente gli aspetti
quantitativi e qualitativi dei nuovi sistemi urbani18. Il modello di città compatta deve confrontarsi però con numerose critiche proprio in relazione alla possibilità di garantire ambienti urbani maggiormente vivibili, efficienti e sufficientemente appetibili rispetto ad aree suburbane a densità minore19. Alla luce di tali considerazioni, le politiche di densificazione, per essere credibili in un’ottica di sostenibilità che impone la riduzione degli impatti delle attività umane sull’ecosistema naturale terrestre, devono quindi tendere verso processi di crescita basati sulla trasformazione della città esistente. La densificazione è un tipo di politica urbanistica che mira ad ottimizzare lo sfruttamento del territorio, per ridurne il consumo e per evitare l’espansione incontrollata della città. La sua progressiva affermazione, è il segno di un cambiamento di fase del processo di urbanizzazione. Densificare quindi la città già costruita, e valorizzare le sue aree permeabili che ne formano la rete ecologica, rappresenta la base di nuovo modello di sviluppo urbano e sociale.
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La città compatta, CPRE - Campaign to Protect Rural England 17 Neuman M., (2005) “The Compact City Fallacy”. Journal of Planning Education and Research, vol. 25, n. 1, pp 11-26. Indovina, F., Dalla città diffusa all’arcipelago metropolitano, Franco Angeli: Milano, 2009. 18 Baioni M., Gibelli MC., Salzano E., No sprawl: perché è necessario controllare la dispersione urbana e il consumo di suolo, Firenze: Alinea, 2006. 19 Beatley T., Manning K., The ecology of place: planning for environment, economy, and community, Washingotn: Island Press, 1997. 16
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capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
IMPARARE A DENSIFICARE LA CITTA’
Con densificazione urbana si intende un aumento della densità edilizia delle aree urbane, ottenuta con un processo di riempimento degli spazi morti di aree già urbanizzate, oppure demolendo e ricostruendo, con incentivi volumetrici per ottenere una maggiore superficie. L’obiettivo è quello di non consumare nuovo suolo e di razionalizzare la vita all’interno della città in termini di servizi pubblici di ogni genere, a partire dai trasporti. In fisica, la densità è espressa dal rapporto tra una grandezza e l’area o (il volume) sulla quale essa agisce (tralasciando la densità lineare, poco utile nel nostro contesto). Se si traferisce questo principio alla città, possiamo considerare il rapporto fra numero di elementi costruiti dall’uomo (ad esempio spazi abitativi o uffici) e superficie di terreno occupata, trascurando l’altezza di tali elementi. In altri termini la densità
rappresenta attraverso un semplice numero lo spazio che viviamo: ne definisce gli aspetti qualitativi, le caratteristiche morfologiche, le potenzialità e le debolezze. È quindi un parametro molto prezioso per chi si occupa di progettare la città, pianificandone gli assetti interni e le possibili linee di sviluppo. Paradossalmente però, gli unici valori che la normativa urbanistica e i regolamenti edilizi sembrano riconoscere come determinanti per fornire indicazioni progettuali e normare la crescita urbana rimangono gli stessi da moltissimi anni: Il rapporto di copertura, che indica quanta superficie coperta insiste in una data area, espresso in metri quadri su metri quadri; L’indice di edificabilità, che indica la cubatura realizzabile in una data area, espressa in metri cubi su metri quadri. Saturare, congestionare, densificare, stratificare, così
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come i loro opposti, diventano strumenti di progetto e di verifica da utilizzare agendo anche sulle abitudini e sui comportamenti delle persone che abitano la città. La densificazione, se vista come mero dato numerico e funzionale, e non come una possibilità di crescita per la città, porta a domandarsi cosa ci sia di nuovo, di utile e di positivo in questa strategia. Dal secondo dopoguerra si è fatta strada una speculazione edilizia su larghissima scala che rappresenta in qualche modo una sorta di densificazione: questa è però una densificazione non governata che assume un’accezione negativa. Inoltre questa densificazione è stata messa in crisi in tempi recenti dai vari piani regolatori che cercano di evitare, ove possibile, il mantenimento di un ritmo forsennato di costruzione di nuovi edifici con l’unico scopo di accumulare capitali a scapito dell’ambiente. Se la città restasse qualitativamente com’è e, anzi, replicasse e moltiplicasse i suoi difetti ma con molti metri cubi in più, la conseguenza sarebbe negativa: una densificazione urbanisticamente sbagliata
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diventerebbe un’aggravante e non un vantaggio per la città. La parola densificazione (quella positiva, non quella negativa appena descritta) è di facile comprensione; il fatto che però tutti la riescano a capire, ma scarseggino in quanto a volontà di metterne in pratica i principi, si può tradurre concretamente in un’opposizione all’applicazione di questa. Per la scuola di pensiero più conservatrice, densificare la città risulta una scelta infelice che nuoce alla stessa, che pone le basi per il collasso della città per congestione da traffico, inquinamento, ipertrofia funzionale del tessuto urbano e altro ancora. Essa viene quindi vista come una tendenza giustificata dalla filosofia della città compatta, ottenuta attraverso la nuova edificazione, la sopraelevazione o ampliamento; questi metodi di densificazione sono pensati come l’unica possibilità per la salvaguardia del territorio ma, in realtà, si traducono in una cementificazione sistematica di tutti gli spazi liberi, senza minimamente salvaguardare nessuna parte del territorio. Quindi, per la scuola di pensiero
capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
più conservatrice, il concetto di densità permette di demolire e ricostruire aumentando di volumetria, lasciando così libero spazio alla costruzione selvaggia. La resistenza alla densificazione è quindi molto diffusa per un pregiudizio culturale, poiché manca una vera e propria esperienza di densità applicata nella corretta maniera. A fronte Fig.11 Calcolo della densità in alloggi su ettaro: tre diverse tipologie insediative determinano un livello differente di occupazione del suolo a parità di densità.
della situazione urbana in cui oggi ci troviamo infatti, densificare è necessario ma non è sufficiente: quella che conta è la qualità con cui si decide di densificare una città. Questa non è un insieme di caratteristiche note e declinabili in modo meccanico: essa non rappresenta un dato, bensì la necessità di buone intenzioni tradotte in regole ben definite che ovviamente spettano al buon senso delle amministrazioni, le quali devono imporre un’idea nuova di città con determinati
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confini. Tenere insieme densità e qualità rappresenta dunque il fine principale. Essendo però ad oggi però la città compatta ancora spesso classificata come un grigio deserto di cemento, dove il cittadino si sente oppresso dal costruito, è importante tenere in considerazione un ulteriore parametro: lo sviluppo dei servizi. Durante il processo di densificazione urbana si ha la necessità di un significativo potenziamento delle dotazioni territoriali, altrimenti la città rischia di caratterizzarsi per le esternalità negative legate all’assenza di una mobilità pubblica e di verde: in altre parole, una città dalla quale è meglio allontanarsi privilegiando scelte localizzative di carattere periurbano. Lo spazio pubblico deve essere quindi definito come un bene comune aperto a tutti anche se, in alcuni contesti, può essere visto come una sorta di fastidio, portatore di disordine sociale. Realizzando zone verdi strategicamente ben pianificate e progettate, le città potrebbero tornare ad essere nuovamente attrattive. Un investimento nel verde urbano
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da parte del settore pubblico porterebbe un vantaggio anche per il settore privato, aumentando il valore delle proprietà attigue: l’abitante urbano usufruirebbe quindi di una migliore qualità dell’aria e di un contatto con la natura. La visione pessimistica del concetto di densificazione è comprensibile nel caso in cui una città compatta non ben pianificata possa collassare ed essere invasa da una situazione di caos incontrollabile. Ipotizzando invece che la città diffusa di oggi tornasse ad essere una città compatta, dove si favoriscono minori distanze da percorrere e così anche minori inquinamenti, i guadagni sarebbero sicuramente maggiori delle perdite. Densificare non deve solo significare un aumento spropositato della popolazione in una porzione limitata di territorio: quando si decide di densificare una città, occorre tenere in considerazione una molteplicità di fattori (tra cui efficienza, qualità e sostenibilità) che scatenano una riflessione sulla struttura della città stessa e sulle capacità che quest’ultima ha di assorbire un numero sempre crescente di popolazione.
capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
LE LINEE GUIDA DELLA DENSIFICAZIONE
A rafforzare la strategia della densificazione si stanno diffondendo esperienze internazionali di grandi aree metropolitane, come Amsterdam e Berlino, che provano a concentrarsi su loro stesse utilizzando gli spazi abbandonati, o mal adoperati, al loro interno, dalle aree dismesse alle infrastrutture in disuso. Spazi urbani non utilizzati che vengono visti strategicamente, come delle risorse da utilizzare per costruire nuovi parti di “città dentro la città” e non più come punti di debolezza. Densificare la città già costruita per ridurre al minimo l’ulteriore estensione di un’area metropolitana alle limitrofe zone rurali, ma anche valorizzare le aree permeabili che formano la rete ecologica, rappresenta la base di nuovo modello di sviluppo urbano e sociale che sta caratterizzando le recenti scelte delle grandi metropoli. Le politiche20 di smart-growth
diffuse negli anni ‘90, hanno ripreso piede nel nuovo millennio e sono sistemi di regole pensate per ridurre lo sprawl suburbano e governare la crescita: tendono a incoraggiare le persone ad abitare più vicine, a distanze percorribili a piedi da negozi e uffici, e di raggruppare gli abitanti entro densità maggiori per mantenere ampie zone di spazi aperti. I piani urbanistici, che vedono nella densificazione urbana la strategia prioritaria per il soddisfacimento del fabbisogno abitativo secondo un sistema sostenibile, prevedono molteplici linee guida per la progettazione della “città compatta”: riutilizzare il suolo urbanizzato e gli edifici dismessi; massimizzare il potenziale dei siti; creare o potenziare la sfera pubblica e gli usi misti; essere accessibile, usabile e permeabile per tutti gli
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utenti; rispettare il contesto locale, il carattere e la comunità; rispettare il patrimonio storico della città; assicurare trasformazioni urbane confortevoli e sicure per gli utenti. Per riuscire ad effettuare una strategia di densificazione funzionate è utile definire una gerarchia di intervento. Ipotizzando una serie di livelli21, il primo sarebbe quello dell’indagine e definizione delle condizioni tecnico-urbanistiche che regolamentano l’intervento, sottoponendo un’ipotetica area di progetto ai vincoli urbanistici e edilizi. Un secondo livello lo si può identificare con l’analisi dei flussi, prestando attenzione soprattutto agli spostamenti pedonali, connettendo luoghi interni all’area, ma anche esterni ad essa. L’area ipotetica si può configurare come un vuoto urbano interno al tessuto della città consolidata, difficilmente attraversabile, ma con la particolare caratteristica di essere in una posizione strategica. Infine, il terzo livello concerne
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l’individuazione di alcuni principi di base nel configurare la qualità dello spazio compreso tra l’edificio e il resto della città: l’introspezione dentrofuori, la varietà funzionale, l’attenzione all’arco temporale quotidiano di funzionamento dei servizi, la tipologia in grado di favorire la mixitè sociale e l’articolazione degli spazi, da quelli privati, interni all’alloggio, a quelli esterni. Nell’insieme questi tre livelli si configurano come prodotti volti a chiarire i diversi elementi che si possono intrecciare nel progetto di densificazione di una città e che include il riciclo di una porzione di quest’ultima. Le misure maggiormente adottate per rendere effettiva la densificazione urbana sono lo sviluppo verticale degli edifici, prevedendo una concentrazione residenziale equilibrata in relazione agli spazi aperti pubblici o collettivi, la riduzione della dimensione delle unità abitative, per aumentarne le quantità, e la riduzione della dotazione di standard. La densità delle abitazioni prevede contemporaneamente una loro varietà all’interno del sistema, offrendo un certo
capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
numero di tipologie e al tempo stesso rivolgendosi a classi sociali differenti. Inoltre è buona prassi prevedere l’integrazione e la mescolanza di elementi diversi (mixitè funzionale) che sappiano stimolare vitalità e varietà dell’ambiente urbano, per determinare oggi una nuova qualità dell’abitare e adeguarsi alle esigenze odierne, sia sociali che ambientali. Per concludere, l’operazione di densificazione necessita di trovare rapporti di densità equilibrati ed intermedi tra quelli della soffocante ed insalubre città antica e quella razionalista, dispersiva e diffusa. Parlando in termini numerici, le città europee consolidate hanno una densità media di 93 abitazioni/ha, mentre alcune città della Cina arrivano anche a 1250 abitazioni/ha22: risulta quindi oggi necessario densificare le città esistenti e le nuove espansioni, sia per l’abitante ed il buon abitare, che per la sostenibilità urbana e l’ambiente. Un indice idoneo, per la realizzazione di una città a basso consumo, è quello di una densità pari a 170 abitazioni/
ha, in modo tale da privilegiare i trasferimenti pedonali e di conseguenza ridurre il traffico veicolare. Solo a partire da valori elevati, superiori all’ordine di grandezza di 200 abitazioni per ettaro (500-600 abitanti), la densità può cominciare ad incidere negativamente sui consumi energetici, poiché intervengono fattori come l’ostruzione all’accesso al sole (dovuta alla vicinanza degli edifici), l’orientamento e le dispersioni connesse con la tipologia edilizia23. Lo studio della densità è dunque un momento decisivo nella progettazione architettonica e urbana: il parametro densità può essere utilizzato come strumento critico e analitico di interpretazione dei fenomeni urbani, ma anche come strumento progettuale di prefigurazione rapida per scenari futuri.
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Reale L., Densità città residenza: tecniche di densificazione e strategie anti-sprawl, Roma: Gangemi, stampa 2008. 21 Tesi di Laurea: Densità e intensità nella città da ristrutturare, Valentina Signore, Università Roma Tre, 2008, Relatore G. Caudo. 22 De Matteis M., (2012). “Rigenerazione urbana e social housing. Un confronto tra Venezia e Seoul in un’esperienza formativa”. Università IUAV di Venezia, Venezia. 23 Saullo G., (2009). “Densità e consumi energetici”. Urbanistica. Informazione, n.226, pp. 43. 20
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capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
LE TECNICHE DI DENSIFICAZIONE URBANA
L’analisi dei principi di densificazione svolta nel paragrafo 3.3, indica la necessità di intervenire nella città diffusa e monofunzionale con densificazioni, ricuciture e innesti. Per ottenere una città più compatta e polifunzionale, si possono mettere a punto delle vere e proprie tecniche di densificazione urbana: più che procedure direttamente operative sono ipotesi di lavoro. Le tecniche di massimizzazione della densità, possono essere riunite in tre famiglie: gli edifici-bordo, i grandi attrattori urbani, le operazioni di infili e ricucitura. Queste tre tecniche, così invasive rispetto al contesto, hanno un carattere fortemente emblematico e non si presentano dunque come dei modelli: costituiscono invece degli spunti operativi per intervenire sulla crescita urbana. È chiaro che le tecniche possono essere utilizzate in maniera combinata,
si possono ibridare tra di loro, non esauriscono affatto le possibilità di operazioni antisprawl possibili. Edifici-bordo È l’operazione di densificazione più estrema in quanto si basa sulla realizzazione di un grande edificio o un sistema di edifici fuori scala rispetto al tessuto ma confrontabili con la forma di un intero quartiere o settore urbano, e a volte direttamente raffrontabili col paesaggio più che con la città. In questi casi, infatti, l’edificio stesso diventa una sorta di limite della città, segnando una netta distinzione tra il dentro e il fuori della stessa, segnalando quindi l’inizio dello spazio aperto o campagna. Nello specifico i casi applicativi soddisfano esigenze diverse: protezione, interruzione, demarcazione. La complessità degli elementi che relazionano città, edificio e paesaggio, assieme al tema
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di come interrompere un insediamento urbano verso i vuoti che lo circondano, introducono questioni percettive, anche lontane dall’ambito dell’architettura. Ci si trova di fronte a territori abitati con densità talmente basse, che la connotazione di urbano o suburbano, dentro o fuori la città, diventa del tutto insignificante rispetto alla continuità di un’indistinta materia edilizia dispersa su quel territorio che,
Grandi attrattori urbani È l’operazione di densificazione meno legata alla modellistica urbana tradizionale. Si basa sull’introduzione di forti concentrazioni di densità (di consistenze fisiche, ma anche di funzioni e attività rare e quindi di capacità attrattive) all’interno di tessuti dal carattere molto omogeneo, almeno per quanto riguarda la tipologia e l’altezza degli edifici. Ne risulta uno sviluppo urbano
“Per porre nuovi confini allo sprawl bisogna prima capirne le regole di produzione. Progettare in un terreno aperto, rarefatto, ci obbliga ad indagare in che modo possa essere affrontato il problema della visibilità e della delimitazione dell’architettura. La contiguità fisica non è necessariamente una continuità funzionale”.24
fino a qualche decennio fa, era campagna. Segnare quindi i limiti di un’area urbana attraverso la realizzazione di edifici-bordo può contribuire a determinare nuovamente ciò che costituisce un tessuto urbano e ciò che va protetto dalla crescita di questo stesso tessuto.
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basato sull’alternanza di episodi, costituiti da edifici ultra-densi, rispetto alla regola di un tessuto insediativo, che può al limite anche avere i caratteri di un impianto suburbano. Infill La riconnessione nella trama urbana di spazi residuali, la sostituzione o la ricostruzione di volumi ed isolati, l’assorbimento di interventi episodici in nuovi
capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
spazi connettivi e di aggregazione, costituiscono tutti buoni esempi di densificazione leggera. In alcuni casi la riqualificazione urbana può avvenire con l’inserimento di frammenti che possono produrre trasformazioni anche strutturali modificando, per punti o per eventi episodici, un tessuto esistente. La tecnica dell’infill è la più adatta alla densificazione di una situazione esistente: un centro storico in cui si deve ricucire un’area rimasta vuota per un crollo dovuto ad eventi bellici o naturali, oppure quando si presenta la necessità di colmare, diversificare, arricchire i grandi vuoti presenti all’interno di un intervento di matrice modernista, in cui lo spazio verde ai piedi dell’edificio è troppo ampio per essere percorso e troppo ridotto, o troppo trascurato, per essere considerato un parco urbano o di quartiere. L’individuazione di tecniche e strategie operative di densificazione urbana genera una sorta di abaco di soluzioni possibili alle diverse scale del progetto e segna l’apertura verso nuovi modi di progettare la città. In condizioni in cui la
Fig.13 Tecnica di densificazione attraverso edificio-bordo, grandi attrattori urbani e infill.
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pianificazione non è possibile, come nel caso di situazioni già fortemente urbanizzate, si può agire alle diverse scale, ad esempio con operazioni di infill, e le stesse procedure intercalari possono essere adoperate, anche più volte, durante la redazione di un progetto urbano, nel passare dall’idea complessiva al particolare architettonico. Con una maggiore libertà di azione dovuta proprio all’utilizzo della densità come parametro di calcolo, si è in grado di anticipare quante più possibili configurazioni della materia urbana, a partire dalle regole esistenti e dalla situazione spaziale del contesto di progetto.
Zucchi C., (2002). “La complessità dello spazio urbano”. Modulo, n. 4, marzo.
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capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
CRESCERE SENZA CONSUMARE: I VUOTI URBANI
“La città produce tanti più residui quanto più il suo tessuto è rado. I residui sono scarsi nel cuore delle città, vasti e numerosi in periferia”.25
Sul piano urbanistico la continua evoluzione e crescita sregolata dei processi economici, che caratterizza lo sviluppo recente, oggi più che mai, genera sistematicamente vuoti urbani: spazi morti che occupano quantità di superficie, di grandezze e forme diverse l’una dall’altra,
che divengono un’occasione per la città di costruire al suo interno senza edificare nuove aree. Il vuoto urbano aveva un’accezione completamente differente per la città storica: si Fig.14 Hong Kong, la regione è secondo posto al mondo per la sua densità abitativa. Fotografia di Peter Stewart.
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basava su una relazione fisica tra pieni e vuoti, una relazione definita in termini di proporzioni e qualità percettive. Nella città aperta del moderno questa relazione è, invece, concepita come intervallo e distanziamento tra gli edifici. Nella città moderna, dunque, lo spazio vuoto è stato interpretato come elemento astratto al negativo: il vuoto come risultante dei pieni dell’architettura. Ai progettisti moderni è mancata quella sensibilità topologica che ha contraddistinto la pianificazione della città storica: oggi domina l’isolamento dei volumi, posti a buona distanza gli uni dagli altri e distribuiti uniformemente sul terreno. Questa scelta deriva dalle teorie igieniste della scuola urbanistica tedesca, che fanno dipendere una vita sana da aria, luce, separazione delle vie di comunicazione pedonali e veicolari. L’utilizzo attento dell’insieme dei vuoti urbani e degli ambiti sottoutilizzati può dunque costituire un elemento di rilevante interesse e altamente qualificante per una progettazione urbanistica innovativa, una progettazione
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che sappia coniugare le necessità disciplinari e culturali dell’urbanistica più avanzata con le esigenze delle diverse attività e la crescente domanda di qualità della vita da parte della collettività urbana. L’obiettivo da porsi è quello di scommettere sulla capacità di questi spazi di entrare a far parte delle dinamiche urbane, di essere cioè un nuovo sistema di relazione, capace di ospitare una molteplicità di usi, grazie alla loro flessibilità e soprattutto grazie all’indeterminatezza di uso. Sfruttando e reinventando questi spazi già esistenti possono infatti nascere nuovi parchi, nuovi servizi, nuove abitazioni e nuovi spazi collettivi. L’unione di una politica di densificazione della città associata al riciclo degli spazi urbani, scartati dalla società, trova una possibile risposta nell’architettura interstiziale. Questa strategia permette di compiere dei ragionamenti non indifferenti sulla città e sul suo sviluppo, offre l’opportunità di attivare un processo che consente di poter migliorare l’ambiente urbano riducendo i consumi del suolo ma aumentando la densità urbana.
capitolo 3 LE NUOVE CONDIZIONI DI URBANITA’
La parola vuoto sottolinea l’elemento in sé, isolandolo dal fitto sistema di relazioni in cui è inserito e ne cancella le caratteristiche e le specificità. Sostituendo la parola “vuoto” con la parola interstizio, smettiamo di parlare di vuoto assoluto, ma di vuoto tra le cose o dentro le cose.
Clément G., Manifesto del Terzo paesaggio, Macerata: Quodlibet, 2005.
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4 CAPITOLO
GLI SPAZI INTERSTIZIALI
In questo capitolo analizziamo nel dettaglio le possibilità d’intervento nelle zone identificate come “appetibili”, che a loro volta suddividiamo in categorie. In particolare introduciamo i cosiddetti “spazi In-Between” e spieghiamo, oltre alle loro caratteristiche, anche le possibili applicazioni che si possono realizzare in questi spazi di dimensione minima. Partendo dall’idea di realizzare edifici a crescita verticale che garantiscano un elevato livello di funzionalità, ci confrontiamo con quelle che sono state le ricerche precedenti in materia di alloggio minimo, fornendo anche una visione d’insieme delle normative a livello internazionale.
UN’OCCASIONE NELL’INTERSTIZIO
La città contemporanea è per sua natura instabile, luogo di cambiamenti frequenti e improvvisi: aree industriali abbandonate e rimpiazzate altrove, edifici abbattuti, nuovi quartieri edificati, centri storici svuotati o recuperati, e così via. Frammento, disordine, casualità, eterogeneità, caos: sono queste le parole che definiscono la città contemporanea in alcune letture di rilievo. Nelle grandi metropoli è comune imbattersi in aree di piccole dimensioni alle quali non si attribuisce una dignità: vengono identificate dalla collettività come presenze involontarie, il costo da sostenere per la rapida evoluzione della città. Queste superfici, localizzate all’interno del tessuto urbano tra gli edifici, vengono percepite negativamente: ad esse, di solito, non viene attribuito nessun significato. Infatti, agli occhi del comune passante, i micro-spazi appaiono unicamente per lo stato
di abbandono in cui versano, riconosciuti come la principale causa dei fenomeni di degrado del luogo in cui si trovano. È dunque necessario porre l’attenzione su quegli spazi che negli anni non sono stati oggetto d’intervento: risulta doverosa una programmazione urbana che trasformi in appetibili queste zone. Questa ricerca nei moderni territori della diffusione dovrà indagare innanzitutto i vuoti, che comprendono le aree interstiziali, le aree dismesse ma anche gli spazi aperti al margine della città. Lo spazio vuoto è uno spazio non occupato o non caratterizzato, quindi un luogo disponibile, che può farsi protagonista dell’architettura come elemento generatore del progetto. Oggi che il suolo è una risorsa in via di esaurimento tutt’altro che facile da riprodurre, costruire negli spazi residuali è un compito virtuoso.
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Non viene difatti considerato il potenziale che questi spazi potrebbero avere per gli abitanti, e neppure le occasioni che offrirebbero se valorizzati: con questi interventi, si ha la possibilità di aumentare il numero e la qualità degli spazi pubblici e metterli in connessione con quelli esistenti, contribuendo ad innescare nuovi flussi urbani. L’idea è che, la realizzazione di complessi edilizi completamente
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ex-novo in aree libere, possa lasciare il passo ad ipotesi di micro-interventi diretti alla densificazione di aree in disuso all’interno del tessuto urbano, in accordo con il modello della città compatta. Questa operazione, definita infill, già descritta del paragrafo 3.4 è realizzata tramite azioni minute di ricucitura, completamenti, Fig.15 Cedric Price, The capacity for Linkages.
innesti urbani, aumento delle unità abitative: queste perseguono l’obiettivo di miglioramento della qualità urbana anche attraverso l’implementazione di sistemi di trasporto pubblico altamente efficienti, di servizi e di mix funzionali maggiormente diversificati26. È quindi importante trovare quali saranno gli spazi di questa nuova edificazione: ogni città è fatta di pieni e di vuoti ma, mentre i pieni consistono nei volumi degli edifici, l’analisi dei vuoti invece è più complessa. Come detto nel capitolo precedente, sostituendo la parola vuoto con la parola interstizio, smettiamo di parlare di vuoto assoluto, ma esaminiamo il vuoto tra le cose o dentro le cose. La nostra ricerca pone l’attenzione su quegli spazi definiti interstiziali, ovvero quei “luoghi e non-luoghi” presenti nelle crepe del tessuto strettamente urbano. Analizzando i non-luoghi della contemporaneità, si è deciso di prendere in considerazione quelli che Marc Augè27 identifica come spazi in cui il troppo-pieno e il vuoto si avvicinano: si tratta di suoli dell’urbano lasciati in stato di degrado e abbandono,
micro-aree percepite come ambienti di risulta, tessuti striati e frammentati all’interno di un edificato denso e saturo. Questi spazi spesso si infiltrano nella città stessa, andando a costituire delle zone di incertezza. Lo spazio interstiziale è quell’area urbana che solitamente non è visualizzata nelle cartografie a causa delle ristrette dimensioni ma che, al contrario, si palesa nell’esperienza diretta di chi vive quotidianamente questi spazi per l’assenza di un preciso valore funzionale, estetico, storico o ambientale e perciò si presta a stati di abbandono. In quest’ottica anche le amministrazioni hanno precisi compiti: esse devono redigere piani per la salvaguardia di emergenze e il miglioramento della qualità di vita dei cittadini, ma hanno il limite, difficilmente superabile, di poter osservare il territorio solamente da un’altezza troppo elevata, che non dà la possibilità di esaminare la città alla scala più bassa. È quindi comprensibile l’esclusione degli interstizi nella progettazione urbana e nelle cartografie tecniche, ma non è possibile elaborare una gestione cittadina senza esaminare
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ogni elemento che compone il paesaggio, anche quello che si ritiene più insignificante. Il carattere effimero di questi spazi e la loro ridotta scala di intervento induce a ritenere che essi non possano mettere in atto cambiamenti nella macro scala, ma in realtà la capacità di interferenza e azione di tali fenomeni si riflette in modo evidente nell’ambito urbano e territoriale. Negli interstizi urbani pertanto si posso realizzare microinterventi che inneschino processi di influenza nel contesto circostante e che creino differenti Fig.16 Addizione puntuale di nuovi “innesti”.
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prospettive spaziali e sociali. L’architettura interstiziale rappresenta per gli architetti un vero e proprio strumento di lavoro: un dispositivo per costruire il mondo o, almeno, per cercare di farlo. 26 Burton E., Jenks M., Williams K., The compact city: a sustainable urban form?, London: E & F.N. Spon, 1996. Frey H., Designing the city: towards a more sustainable urban form, London: E & F.N. Spon, 1999. Neuman M., (2005) “The Compact City Fallacy”. Journal of Planning Education and Research, vol. 25, n. 1, pp 11-26. Rogers R. a cura di (2005), Towards a Strong Urban Renaissance, Urban Task Force, London. 27 Augé M., Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano: Elèuthera, 2009.
LE TIPOLOGIE DI VUOTI INTERSTIZIALI
Un interstizio è uno spazio non isolabile in se stesso: esso acquista un significato proprio per il suo essere intervallo tra elementi vicini, non esiste a sé stante. Il concetto di interstizio è quello che più di ogni altro oggi esprime le relazioni, i significati e le tensioni della città contemporanea. Analizzando le aree localizzate all’interno del tessuto urbano, è possibile fare una catalogazione dei vuoti interstiziali. Sebbene a questi spazi non venga attribuito un reale significato, sia perché non modellati sia perché percepiti negativamente dal cittadino, offrono la possibilità di dare nuovi significati e ruoli all’esistente tramite l’inserimento di nuove volumetrie. Vuoti in aree In-Between Tra gli edifici del tessuto urbano si possono generare interruzioni di volumetrie. Questi spazi residuali a terra, sommariamente individuati
come aree verdi di risulta, sono presenti principalmente nell’edificato storico. Sono superfici che permettono la creazione di micro-architetture; Vuoti lungo la linea di gronda All’interno del tessuto urbano, vi sono differenti altezze della linea di gronda. Questi spazi, interpretati come interruzione della linea urbana, permetto la realizzazione di cubature rialzate da terra che tentano di risolvere la discontinuità del fronte urbano; Vuoti in aree degradate All’interno del tessuto urbano vi sono lotti vacanti, spazi inutilizzati che pur avendo un potenziale enorme rimangono spesso in disuso. Questi luoghi, sfuggiti al controllo delle amministrazioni, sono generati dalla perdita di funzionalità che può avvenire dall’abbandono dell’attività specifica di un’area o essere il prodotto di un cambio
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d’uso. Essi hanno quindi un grande potenziale per essere riconvertiti con funzioni comuni legate alla città; Vuoti lungo le infrastrutture viarie e ferroviarie L’inserimento di grandi arterie di comunicazione nel tessuto urbano consolidato provoca inevitabilmente la creazione Fig.17 Esempio di vuoto in area In-Between
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di spazi residuali lungo il loro perimetro. Queste cubature, a cui difficilmente viene destinata una funzione specifica, sono spesso lasciate in stato di degrado e abbandono. In questi spazi si possono effettuare alcuni interventi rivolti al ripristino delle alterazioni Fig.18 YUUA Architects & Associates, hanno realizzato un’abitazione in 2,5 metri di larghezza tra due edifici esistenti a Tokyo.
prodotte dall’infrastruttura mediante completamenti edilizi della maglia urbana. È possibile riabilitare qualitativamente il tessuto consolidato inserendo nuove funzioni, che generino una nuova permeabilità attraverso l’apertura delle stesse alla città.
La classificazione effettuata è una prima operazione di riordino e selezione degli spazi interstiziali in cui è possibile effettuare un’operazione di infill. A questa è stata affiancata una schematizzazione grafica di possibili aree d’intervento
Fig.19 Esempio di vuoto lungo la linea di gronda
Fig.20 TheCube, ristorante itinerante realizzato dallo studio di architettura Park Associati nell’anno 2011, costruito sulla base di un sistema modulare.
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(nel comune di Milano) e un’esemplificazione di casistiche specifiche di progetto (a livello globale). Sebbene questa, in un primo momento, possa sembrare una forzatura, è una scelta necessaria per la loro lettura e trasformazione: si vuole infatti suggerire la possibilità di operare rispetto a tessuti Fig.21 Esempio di vuoto in area degradata
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abbandonati e talvolta degradati, tramite l’inserimento di nuove entità indipendenti e autonome che restituiscano alla città nuove possibilità di comprensione, lettura, uso e fruizione.
Fig.22 Espai MGR, Habit Make Us Blind. Strutture in Lego riempiono trame di lotti incolti di Valencia, 2011.
Fig.23 Esempio di vuoto lungo la infrastruttura viaria e ferroviaria
Fig.24 Koizumi Atelier, intervento di recupero ad attività culturali degli spazi sottostanti la linea ferroviaria sopraelevata di Yokohama. Il progetto è stato affidato a cinque studi di architettura e si estende per un tratto lungo circa 100 metri.
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GLI SPAZI IN-BETWEEN
Come detto nel capitolo 4.1, lo spazio interstiziale interno al tessuto urbano è un luogo senza una specifica connotazione, senza nessuna identità: le relazioni con gli edifici circostanti, l’accessibilità e la riconoscibilità sono critici se non inesistenti, provocando il conseguente isolamento dello stesso rispetto al contesto oltre a problematiche di carattere sociale ed amministrativo. L’interstizio assume forme e caratteri sempre differenti, poiché si presenta quale esito di processi di origine vari; tuttavia, è possibile rintracciare alcuni elementi ricorrenti: spontaneità di formazione, disponibilità di spazio, stato di degrado ed abbandono. Queste porzioni di territorio, non contemplate nei piani regolatori e senza una funzione ben precisa, sono quindi aree di progetto che oggi non possono più essere ignorate e che si offrono come probabile occasione per la
riqualificazione di parti della città contemporanea: suoli su cui insediare nuovi principi abitativi e distributivi che assumono un importante ruolo a livello estetico, funzionale, relazionale ed identitario. Durante i sopralluoghi tra le vie di Milano, la nostra attenzione è ricaduta su quei quegli spazi abbandonati che permettessero innanzitutto di insediare una costruzione di dimensioni fruibili e che fossero parte di un luogo con la necessità e la potenzialità di essere reinventato. Con il termine “in-between” si identificano quegli spazi interclusi tra due fabbricati, che si affacciano ai bordi delle strade mostrando il lato corto del proprio perimetro. Queste superfici, spesso tra due muri ciechi, solitamente si presentano prive di qualsiasi attività e quindi come aree vuote ed abbandonate: talvolta, per ragioni di sicurezza, vengono delimitate da recinzioni per impedirne l’accesso. In altri
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Fig.25 Tussen-ruimte, realizzato dallo studio Jarrik Ouburg, Amsterdam, 2013.
casi, ma in un numero limitato, in questi luoghi si trovano piccoli fabbricati con funzioni secondarie (ad esempio deposito), dovute alle loro dimensioni ridotte. La nostra scelta di operare per micro-architetture e interventi di ricucitura mira alla realizzazione di un sistema di ambienti che s’insedino nelle fessure del tessuto urbano andando a colmare i vuoti a terra di dimensioni minime, generando di conseguenza scene urbane continue. L’intento è quindi di lavorare con la città, come essa si presenta, con interventi puntuali in zone urbane di natura instabile: il nostro progetto architettonico genererà una differente identità del luogo, una nuova qualità di spazio, un inatteso concetto di estetica con l’obiettivo di costruire un senso di completezza urbana. Il nostro sistema, carico di significato se considerato nella sua unicità, si adatta particolarmente per essere riproposto nelle diverse vie milanesi e far dunque parte di un intervento a larga scala. Considerando di dover intervenire
negli spazi in-between in un tessuto stratificato come quello di Milano, in particolare nel centro storico della città, tra le diverse alternative abbiamo preferito optare per la realizzazione di sistemi abitativi che, nella dimensione dell’isolato, divengono unità autosufficienti in Fig.26 Luigi Moretti, edificio per la residenza, il terziario e i servizi realizzato a Milano in Corso Italia, 1955.
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connessione con la rete di servizi cittadina. Queste microscopiche e fantasiose costruzioni inserite negli interstizi rappresentano possibilità impossibili, il paradigma dell’esiguità dello spazio: hanno l’obiettivo di essere piccole ma di contenere in sé elementi di funzionalità, tecnologia e anche fascino. Poiché le città sono oggi spesso inadeguate agli stili di vita che mutano in fretta, gli architetti sono incoraggiati a immaginare prototipi abitativi più piccoli, per adattarsi alla famiglia contemporanea, rinnovando quindi l’interesse verso questa tipologia. La Pet Architecture Negli anni passati, ci sono stati diversi artisti ed architetti che si sono focalizzati su piccole porzioni di terreno vacanti e sul loro possibile riuso. Il primo ad approfondire l’argomento è Gordon MattaClark, all’inizio degli anni ’70.
Egli si concentra sul tema dello spazio residuo, quei vuoti che popolano le periferie delle metropoli americane e che saranno successivamente definiti da Marc Augé28 i “non-luoghi”: cortili derelitti, discariche o residui della città, all’epoca luoghi malfamati in stato di totale abbandono. La sua opera “Reality Properties: del 1973 Fake Estates”29 documenta infatti l’acquisto da parte dell’artista di ben quindici proprietà collocate nel quartiere del Queens: queste aree, che altro non sono che appezzamenti rimasti incastrati tra lotti edilizi più grandi divenendo quindi irraggiungibili o inutilizzabili, vengono comprati per una cifra che varia dai 25 ai 75 dollari l’una. Successivamente, a cavallo tra i secoli XX e XXI, lo studio di architettura Atelier BowWow conia il termine “Pet Architecture”31: edifici inseriti in spazi urbani residuali di dimensione esigua, in contesti abitativi compatti (come ad esempio quello del Giappone),
“Scarti antropici dello sviluppo urbano, brandelli di spazi, non-spazi in effetti, materia inerte e trascurata, a loro volta abbandonati a ricoprirsi di inutile polvere”.30
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Fig.27 Minuscoli lotti di terreno acquistati da Gordon Matta-Clark nel 1973-74, spesso di forma irregolare e sempre inutilizzabili, situati tra vari edifici nel Queens e a Staten Island, New York.
risultando in forme curiose e soluzioni innovative. Nella città di Tokyo, palazzi ponti e strade ricoprono la superficie fino all’orizzonte. Lo spazio scarseggia e rimangono unicamente a disposizione esigui ritagli di terreno: superfici a portata di mano ma difficili da individuare, perché inaspettati e spesso ricavati nelle fessure tra due muri. Partendo da questa situazione, gli architetti analizzano questi piccoli spazi e ne desumono non
solo l’attenzione per l’interstizio, ma anche la valorizzazione dell’effimero. È quindi negli spazi in-between che realizzano edifici dalle più svariate forme, adibiti soprattutto ad uso residenziale o commerciale, e derivanti da un iter progettuale basato sull’attenzione al dettaglio. Al pari degli animali domestici dunque, queste costruzioni vivono gli spazi marginali, sono informali ed attraenti, e generano una sorta di sottosistema urbano indipendente. Tramite l’utilizzo di scale e piani intermedi, lo studio è in grado di mettere in comunicazione visiva ambienti differenti della stessa unità abitativa, se pur distanti
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tra loro. In aggiunta, invece di utilizzare divisioni rigide tra le stanze, utilizzano il senso di occupazione per dare una sottile articolazione allo spazio continuo: è proprio per questo motivo che la loro architettura necessita dell’aiuto degli abitanti per raggiungere le intenzioni alla base del progetto. Altre applicazioni Oltre agli interventi che vedono nell’insediamento abitativo la risoluzione al problema degli spazi residuali, vi sono anche esperienze che provano ad approcciarsi alla tematica in maniera differente. Queste sperimentazioni si basano sul coinvolgimento degli abitanti per trasformare vuoti urbani, aree abbandonate, dismesse o prive di alcun indirizzo progettuale, in spazi di aggregazione sociale o per eventi. Questi interventi, di esigue dimensioni, hanno un campo di opportunità molto ampio: gli usi temporanei attribuiti agli spazi interstiziali evidenziano infatti la capacità degli individui di pensare al di fuori delle regole formali, assumere un ruolo progettuale attivo e usare questi luoghi come campo di sperimentazione.
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Tali fenomeni possono attivare una grande varietà di processi e produrre effetti a medio-lungo termine, oltre a rappresentare un punto di riferimento verso un nuovo concetto di pianificazione. Il “RedBall Project” è un’installazione itinerante che da più di dieci anni sta facendo il giro del mondo fermandosi ogni volta per qualche settimana in una città, spostando la sua installazione in contesti e circostanze accattivanti. L’idea di Kurt Perschke, artista americano, esplora le città giocando con i suoi spazi scultorei. Il suo scopo è quello di denunciare la fisicità degli spazi pubblici come luoghi pregni di un potenziale creativo inutilizzato: attraverso il progetto si riscoprono infatti fessure all’interno della città su cui tendenzialmente non si pone mai particolare attenzione. L’artista gioca con la materia e con i passanti che diventano i veri attori del suo intervento artistico: Fig.28 Red Ball Project, Kurt Perschke. Installazione itinerante che da circa dieci anni sta facendo il giro del mondo fermandosi ogni volta per qualche settimana in una città, spostando la sua installazione in contesti e circostanze accattivanti.
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il rosso cangiante, l’elasticità e le dimensioni dell’oggetto catturano l’attenzione e stimolano l’immaginazione di chi ci cammina accanto. Il progetto chiamato “TussenRuimte” (o “Between-Space”) è un tentativo di dimostrare il
Fig.29 Tussen-Ruimte è un tentativo di dimostrare il potenziale di trasformazione di spazi piccoli e invisibili nell’area dei canali di Amsterdam. Realizzato dall’architetto Jarrik Ouburg.
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potenziale di trasformazione di spazi piccoli e invisibili nell’area dei canali di Amsterdam. L’architetto Jarrik Ouburg cataloga circa quaranta aree e sviluppa interventi architettonici che si occupano di questi vicoli e piccole corti nascosti “tra” e dietro le case dei canali della città. Questi residui urbani, di sole poche decine di metri quadrati, sono oggi raggiungibili unicamente tramite le proprietà circostanti: in passato erano
accessibili dai canali, ma durante gli anni sono stati chiusi per ragioni di sicurezza o perché annessi a case esistenti o nuove costruzioni. Il risultato è dunque che i passanti non ne percepiscono la presenza, se non tramite cancelli o piccole porte che ne permettono una vista limitata dai canali. Ispirandosi a Gordon MattaClark e all’Atelier Bow-Wow, l’architetto vuole creare piccoli spazi pubblici nelle crepe della città aggiungendo funzioni e attività temporanee. Il più piccolo spazio pubblico è pensato per una sola persona e il tipo di attività varia dalla contemplazione del silenzio ad un minuscolo palcoscenico per performance Fig.30 Tussen-Ruimte. dell’aree residuali.
Possibili
utilizzi
artistiche o attività sportive, fino a diventare un semplice luogo di ritrovo per più cittadini.
28 Augé M., NonLuoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano: Elèuthera, 2009. 29 Gordon Matta-Clark’s “Reality Properties: Fake Estates” (1973). 30 Grazioli E., La polvere nell’arte, Milano: Mondadori, 2004. 31 Atelier Bow-Wow, Pet Architecture Guide Book, Tokyo: World photo press, 2002.
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IL RINNOVATO INTERESSE PER LA MICRO-ARCHITETTURA
Il recente interesse per la micro-architettura e per alloggi di taglia sempre più ridotta è un movimento sociale ed architettonico nato da esperienze condotte tra i Paesi Bassi e la Germania. Queste abitazioni, solitamente di dimensione inferiore ai 46 mq, sono caratterizzate da una compattezza formale e dimensionale: lo spazio, generalmente inteso come elemento positivo di benessere, si riduce ai minimi termini, e la dimensione “a misura” diviene poco a poco qualità apprezzabile. Il vantaggio delle case compatte non è tanto la cieca riduzione delle dimensioni rispetto ad un alloggio tradizionale, quanto l’utilizzo ottimale del poco spazio a disposizione per garantire livelli di vivibilità non inferiori a quelli di spazi più ampi, ma meno ottimizzati. Le sperimentazioni sul tema dell’alloggio minimo non sono di per sé una novità:
particolarmente significative sono le ricerche compiute attorno a questo tema in Germania, negli anni ‘20 del secolo scorso: al termine della Grande Guerra, il bisogno di risolvere la pressante domanda di alloggi poneva in primo piano la necessità di pensare ad un mercato abitativo di piccole dimensioni con elevate caratteristiche di funzionalità.32 In linea con queste prime sperimentazioni di conciliare spazi minimi ed elevata praticità, Alexander Klein33 si interessa in particolare al problema dell’abitazione: egli studia le piante, condividendo l’idea che la pianta è la generatrice del progetto e senza questa c’è disordine. Klein inizia quindi una serie di studi per trovare un metodo scientifico sul quale fondare il rigore della pianta. Dopo una prima fase in cui le sue analisi sono elaboratati pieni di tecnicismi, Klein rielabora uno modello di pianta dove, a parità
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di requisiti e parametri, ne varia la profondità e quindi l’ingombro di facciata; questa tecnica gli permette di individuare la metrica più opportuna non solo per il singolo alloggio, ma anche per l’edificio che la sua ripetizione produrrà. Fig.31 Metodo degli incrementi successivi. Esempio di paragone e valutazione di alcuni diagrammi di piante ridotte alla stessa scala (1 soggiorno, 1 camera da letto matrimoniale, 1 camera da letto singola).
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Klein giunge così a definire le caratteristiche tipologiche dell’alloggio minimo indipendentemente dai materiali o dai metodi costruttivi: l’abaco di piante fra loro confrontabili da lui sviluppato diventa un’icona della concezione razionalista del progetto. In seguito a questi studi, il Secondo Congresso Internazionale di Architettura Moderna (CIAM II), tenutosi nella
città di Francoforte nel 1929, si concentra attorno al tema dell’Existenzminimum (abitazione minima), segnando il culmine di questo intenso periodo di sperimentazioni edilizie in suolo tedesco. La teoria dell’Existenzminimum vuole rispondere ai bisogni abitativi attraverso una serie di norme bio-fisiologiche, dimensionali e una serie di principi distributivi, funzionali e organizzativi dello spazio dell’alloggio. Fig.32 La copertina del catalogo del “Congresso Internazionale di Architettura Moderna” del 1929 tenutosi a Francoforte sul Meno in Germania in cui tema centrale furono le teorie dell’Existenzminimum.
Le riflessioni sui temi dell’abitare sono, in questo ambito, improntate sul come soddisfare i bisogni, elementari e complessi, attraverso il progetto dello spazio abitativo, in modo razionale e scientifico: l’abitazione è perciò, lo spazio artificiale costruito dall’uomo per l’uomo, all’interno del quale soddisfare i bisogni biologici e sociali della propria esistenza. Le ragioni che spingono oggi architetti e committenti verso un rinnovato interesse per la micro-architettura (e una sua valutazione in chiave positiva) sono, però, alquanto diverse da Fig.33 Il “Modulor” di Le Corbusier.
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quelle che circa un secolo fa spingevano i progettisti europei a sondare le caratteristiche dell’Existenzminimum. Nonostante il permanere, talvolta, di alcune esigenze economiche, legate al costo dei terreni e dei costi di produzione, ma anche al ridursi progressivo della taglia degli appezzamenti edificabili all’interno dei centri metropolitani, si sostituisce oggi un ventaglio di altre motivazioni, che vanno dall’ambito culturale a quello sociale ed ecologico, non più dettate da necessità, ma da scelte consapevoli e non necessariamente più economiche. Nella società giapponese contemporanea ad esempio, la compattezza è per tradizione una qualità apprezzabile e di conseguenza gli alloggi di piccole dimensioni sono diventati particolarmente frequenti. Oltre a motivazioni di carattere puramente culturali, vi sono anche altre ragioni. Il gruppo Droog & KesselsKramer, presente all’interno della Biennale di Architettura di Venezia del 2008 con l’installazione “Singletown”, ha in quell’occasione offerto ad un pubblico internazionale il frutto
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delle proprie pluriennali ricerche riguardanti l’evoluzione degli spazi abitativi all’interno della società contemporanea. Queste ricerche hanno evidenziato come i nuclei familiari delle società maggiormente sviluppate si stiano progressivamente riducendo nelle dimensioni, per lasciare sempre più spazio ai “single”, i quali al contrario sono in rapida espansione34. Analizzando infatti le statistiche riguardanti i nuclei composti da un singolo componente e il tasso di occupazione di alloggi da parte degli stessi, l’andamento dell’attuale tendenza appare innegabile.35 Sulla base di questi dati, questa evoluzione comporterà, come naturale conseguenza, un graduale, quanto inevitabile, cambiamento in ambito architettonico e urbano, soprattutto in termini di alloggi, allo scopo di creare spazi adatti a questa nuova fetta di popolazione. Se dunque le motivazioni che spingono oggi a costruire alloggi di dimensione ridotta sono molteplici, la tendenza verso la miniaturizzazione sta acquistando un’importanza crescente e degna di nota.
All’interno di questo scenario, in cui la dimensione domestica assume nuove dimensioni, un passaggio necessario è il confronto con la normativa, la quale oggi rappresenta un grande limite, in particolar modo in Italia.
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M. A. Segantini (2004), op. cit., pag. 7.
Klein A., Rivolta M. B., Rossari A., Lo studio delle piante e la progettazione degli spazi negli alloggi minimi: scritti e progetti dal 1906 al 1957, Milano: Mazzotta, 1975. 34 Querzé R.,“Milano, i single sorpassano le famiglie”. Il Corriere delle Sera, 13 gennaio 2010. “Dati Istat, Milano è la capitale dei single”. Il Giornale, 8 giugno 2010. 35 Le statistiche qui riportate sono tratte dal giornale informativo distribuito durante l’evento, e ancor oggi consultabile presso il sito http://www.s1ngletown.org, all’interno della sezione “pr kit” dedicata alla stampa. 33
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UNO SGUARDO ALLE NORMATIVE
Stabilita la presenza di un rinnovato interesse per gli alloggi di taglia sempre più ridotta, la nostra ricerca ha provato a indagare il modo in cui le vigenti normative italiane ed internazionali entrano in gioco per facilitare (oppure ostacolare) la realizzazione di microarchitetture. La nostra volontà è quella di mettere a confronto lo standard minimo per l’abitabilità italiano con quello di altri paesi nei quali il modello di casa verticale è più sviluppato e pratica comune. Per fare ciò, sono stati confrontati i regolamenti edilizi a livello europeo e internazionale, generando infine uno schema di confronto tra Italia (Milano)36, Olanda37, Regno Unito (Inghilterra)38 e Cina (Hong Kong)39 nel quale si indagano le superfici minime delle funzioni abitative. La maggior parte degli Stati membri della Comunità Europea
si è dotata, nel corso degli anni, di strumenti normativi a carattere nazionale in grado di assicurare la messa a disposizione dei cittadini di alloggi adeguati sotto un profilo igienico-sanitario. Tali norme stabiliscono anche i cosiddetti “standard minimi dimensionali” da applicare ad ogni nuova costruzione: si tratta per lo più di dimensioni riguardanti la superficie complessiva delle abitazioni e/o delle stanze che le compongono. Mettere a confronto standard di Paesi diversi non è stata impresa agevole: alcuni Stati non si sono dotati infatti di norme di carattere nazionale, mentre altri evidenziano differenze considerevoli tra loro. Prendendo in analisi la superficie totale dell’alloggio per esempio, l’Olanda vanta il maggior numero di requisiti prestazionali (corrispondenti ai vari tipi di stanze), ma ha degli standard complessivi piuttosto bassi; la Svezia, che impone un numero
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Fig.34 Schema di confronto delle normative in Italia (Milano), Olanda, Regno Unito (Inghilterra) e Cina (Hong Kong).
minore di requisiti prestazionali, ha, invece, nel complesso, i più alti standard europei.40 Uno studio del 200341 ha comparato gli “standard minimi dimensionali” imposti all’interno di alcuni Stati della Comunità Europea, mettendo in evidenza le differenze, talvolta anche significative, che intercorrono tra Stato e Stato. Se in Belgio, ad esempio, i criteri spaziali imposti su scala nazionale stabiliscono la superficie lorda abitabile minima per occupante, la Francia e l’Italia si interessano di quella netta, sempre in relazione al numero di occupanti. In Olanda, in Svezia e in Danimarca, ci sono ugualmente degli standard posti a tutela della superficie totale dell’alloggio, ma questa volta sono indipendenti dal numero di abitanti. In Germania e in Norvegia gli standard minimi determinano l’area delle singole stanze, senza entrare nel merito della superficie totale dell’alloggio. L’altezza minima all’interno degli ambienti abitabili è anch’essa variabile: questa è
fissata a 2,40 metri in Belgio, Germania, Norvegia e Svezia, mentre in Francia scende a 2,30 metri; in Danimarca varia da 2,50 a 2,30 metri, a seconda che si tratti di appartamenti o di case individuali. In Olanda, il valore assegnato è di 2,60 metri, mentre in Italia s’impongono 2,70 metri per i locali adibiti ad abitazione e 2,40 metri per tutti gli altri. Nel nostro Paese, sebbene ogni Comune possa decidere autonomamente riguardo agli standard minimi da applicare all’alloggio abitabile, tramite le norme d’igiene contenute all’interno dei vari regolamenti, queste ultime rimandano di solito ai valori imposti dal Decreto Ministeriale del 5 luglio 197542, il quale precisa che il più piccolo alloggio accettabile, quello per una persona, dovrà avere una superficie minima, comprensiva dei servizi, di 28 mq. Questo valore sale a 38 mq nel caso in cui l’abitazione sia destinata a due occupanti. Nel resto d’Europa, invece, metrature inferiori rappresentano la norma. In Francia ad esempio, la legge nazionale consente una superficie minima per gli alloggi di nuova costruzione di 14 mq, nel caso di un alloggio per una
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persona, e di 28 mq se destinato ad una coppia. In merito ad abitazioni di nuova costruzione, altri stati europei si collocano in una situazione intermedia tra quella italiana e quella francese: in Belgio la superficie totale di 20 mq è sufficiente per un alloggio destinato ad una sola persona, 28 mq se il numero degli occupanti sale a due; l’Olanda invece fissa la superficie minima abitabile a 24 mq. Sebbene la normativa francese sembri troppo permissiva, la situazione è ancora differente in Inghilterra e Galles, i quali non si sono dotati di alcuna norma a carattere nazionale per garantire standard minimi nelle dimensioni degli alloggi: in questi due Paesi, la definizione dei programmi edilizi per gli interventi di nuova costruzione è interamente relegata alle autorità dipartimentali. Come normale conseguenza, la superficie media degli alloggi costruiti a Londra è attualmente tra le più basse registrate su scala internazionale.43 Per concludere, dopo un sguardo veloce alla situazione normativa a livello globale, è possibile
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capitolo 4 GLI SPAZI INTERSTIZIALI
dedurre che la casa oggi non è più la macchina per abitare, con lo stesso motore e la stessa carrozzeria per tutti gli utenti, ma tende a diventare invece qualcosa che si modifica per accogliere abitudini e modi di vita di chi la abita. La nuova casa è finalizzata al raggiungimento del massimo comfort abitativo, il quale è però principalmente una qualità soggettiva che risponde ai desideri individuali.44 Gli architetti sono quindi incoraggiati a immaginare prototipi abitativi più piccoli, per adattarsi alla famiglia contemporanea, provando a realizzare moduli che, se pur di limitate dimensioni, riescano a garantire un elevato comfort abitativo.
Regolamento Edilizio di Milano, Comune di Milano 2014. 37 Building Regulations in Europe. 38 London Housing Design Guide. 39 The unlivable dwellings in Hong Kong and the minimum living space URL https://www. hongkongfp.com 40 Comparative Study of the Control and Promotion of Quality in Housing in Europe, ODPM. 41 Meijer F. M., Sheridan L., Visscher H.J., (2003)“Building Regulations in Europe, Part II: A comparison of the technical requirements in eight European countries”, University of Delft, ripreso in AA. VV., (2006) ”Housing Space Standards. A report by HATC Limited for the Greater London Authority”, Londra, GLA. 42 Il Decreto Ministeriale 5 luglio 1975 (G.U. 18-7-1975, n. 190) sulle “Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione” stabilisce, all’art. 3, che “l’alloggio mono-stanza, per una persona, deve avere una superficie minima, comprensiva di servizi, non inferiore a 28 mc e non inferiore a 38 mc, se per due persone”. All’art. 2, si precisa che per ogni abitante successivo si aggiungeranno altri 14 mc di superficie abitabile; questo valore scende a 10 mc dopo il quarto abitante. 43 Si veda il già citato AA. VV., Housing Space Standards. 44 Mazzoleni P., Abitare la densità: la città delle cooperative di abitanti, Macerata: Quodlibet, 2011. 36
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5 CAPITOLO
I CASI STUDIO
In questo capitolo analizziamo alcuni esempi di progetti realizzati ritenuti significativi, in quanto rappresentativi delle dinamiche tipiche dell’architettura negli spazi inbetween. Questi casi studio riescono nell’intento di edificare residenze monofamiliari perfettamente abitabili in porzioni minime di suolo, nonostante l’apparente vincolo del poco terreno disponibile. La selezione dei progetti da utilizzare come riferimento è avvenuta in conformità con i parametri chiave per la successiva elaborazione del nostro caso applicativo. Tra questi criteri troviamo: la necessaria localizzazione in un contesto prettamente urbano, le dimensioni minime delle aree a disposizione e l’utilizzo di un sistema costruttivo prefabbricato per risolvere lo sviluppo architettonico. Quello che noi andremo a indagare è quindi la strategia che questi progetti utilizzano per riconfigurare il territorio prima lasciato vuoto.
KERET HOUSE ARCHITETTO Jakub Szczesny ANNO DI COSTRUZIONE 2012 LUOGO Varsavia, Polonia DIMENSIONI 0,92-1,52 x 11,79 m Si trova in Polonia la casa più stretta, la Keret House di Jakub Szczesny e dello studio di architettura Centrala. Situata nel quartiere Wola in uno spazio di risulta. In soli 14 mq, con una larghezza che va dai 92cm ai 152cm, sono stati ricavati cucina, bagno e camera da letto. La struttura è composta da un telaio metallico rifinito con compensato, pannelli isolanti e polistirolo, il tutto ricoperto da un sottile strato di cemento. Non vi sono finestre e l’unica luce filtra dalla tamponatura in acciaio forellato che si trova sulla parete della camera da letto. Non solo le misure fanno parlare della casa,ma anche l’attenzione per le tecnologie degli impianti. Altra particolarità è l’ingresso, la struttura è sopraelevata da terra e si raggiunge tramite una scala che si apre sul pavimento del primo piano. Inizialmente era previsto che il primo piano si trasformasse lui stesso in scala tramite telecomando. Per risparmiare spazio le scale che protano da un piano all’altro sono retraibili. Nel progetto inziale, steso inizialmente nel 2006, erano previste misure di 72-120 centimetri, in seguito riadattate. Date le misure la casa non rispettava i codici dello stato riguardo le abitazioni e perciò è stata classificata come installazione artistica nonostante ci sia qualcuno che ci vive.
HOUSE IN JAPAN ARCHITETTO YUUA Architects ANNO DI COSTRUZIONE 2012 LUOGO Giappone DIMENSIONI 2,00 x 10,35 m Progettato da YUUA Architects in Giappone , questa casa in miniatura è larga solo 2 metri e profonda quasi 11 metri, mentre in altezza si sviluppa per tre piani. Con il suo design pulito e minimalista, ogni camera in questa casa serve ad un unico e ben definito scopo, e rende ogni piccolo spazio vitale una sorpresa. In realtà, la maggior parte delle camere hanno il proprio piano. L’ingresso dell’edificio permette l’accesso al piano terra, dove si è accolti immediatamente da una rampa di scale, da qui si può scegliere di andare al seminterrato e scoprire una sorprendente quantità di spazio di deposito, oppure andare al piano superiore al salotto studio. Il salone studio è caratterizzato da un pavimento in legno non verniciato che da all’area un’atmosfera moderna e rustica. La rampa di scale poi prosegue e porta ad una piccola camera da letto, che ha spazio sufficiente solo per un piccolo letto. Infine si denota come salendo le scale è possibile vedere dove il soffitto di una stanza diventa il pavimento di un altra , e di come questo abbia uno spessore molto ridotto.
THE FOUR ROOM HOUSE ARCHITETTO Pieter Peelings e Silvia Mertens ANNO DI COSTRUZIONE 2003 LUOGO Belgio DIMENSIONI 2,40 x 5,50 m La Four Room House, sede degli architetti belgi Pieter Peeling e Silvia Mertens, si sviluppa su quattro piani diversi, caratterizzata da una sola stanza per piano. Il design compatto di questa casa verticale è interessante esmpio di micro-abitazione: le camere sono modeste e la purezza del design è sempre intatta. La sequenza di base per ogni piano vede un lungo e snello spazio con una funzione specifica (dormire, mangiare, lavorare, ecc) e un vetro frontale, il quale permette l’ingresso della luce e la vista verso l’esterno. Il primo piano è uno spazio di lavoro, la cui finestra apre completamente la vista sul marciapiede. Successivamente si sale su un altro piano con la scala a chiocciola e ci si trova direttamente in cucina. Infine il piano superiore è costituito dal soggiorno. Uno schermo di proiezione si abbassa nel piccolo spazio per la visualizzazione di video. Il piano superiore è la camera da letto e bagno, con una splendida vista dal letto verso fuori grazie alla parete frontale in vetro . La particolarità del progetto è il particolare posizionamento delle vasca da bagno posta sul tetto.
CASA A NIPPONBASHI ARCHITETTO Waro Kishi ANNO DI COSTRUZIONE 1992 LUOGO Osaka, Giappone DIMENSIONI 2,50 x 13,00 m La casa a Nipponbashi è stata costruita su un minuscolo lotto di terreno, nel centro di Osaka, largo solo 2,50 metri. La facciata dell’edificio, che rivela la struttura interna, occupa l’intero fronte del sito. La casa è profonda 13,00 m, e i tre piani inferiori hanno l’altezza minima consentita. L’abitazione è conclusa da un piano superiore dove è collocata la sala da pranzo. Con un soffitto alto 6 m, la sala da pranzo occupa i due terzi della pianta; il terzo restante è riservato a una terrazza a cielo aperto. Come risultato, la struttura non solo enfatizza l’asse verticale, ma sfrutta appieno la profondità del lotto ristretto. L’edificio sviluppa due temi principali: il primo è la verticalità della vita urbana mentre il secondo è la creazione di uno spazio di soggiorno sospeso, svincolato dal frastuono della strada e vicino alla natura. Per fare questo, sono bastati i pochi metri quadrati di una parcella inserita in una fila di case a schiera e una superficie di soli 30 mq per l’edifi cio, compresa l’ampia sala da pranzo.
KIM HOUSE ARCHITETTO Waro Kishi ANNO DI COSTRUZIONE 2011 LUOGO Osaka, Giappone DIMENSIONI 2,58 x 16,20 m Questa piccola casa si trova in una delle zone del centro commerciale di Osaka, dove case unifamiliari a schiera con porzioni di terreno fiancheggiano vie disseminate di fabbriche e magazzini. Per fare spazio all’edificio, è stata demolita parte di una casa a schiera. Nell’area così liberata, è stata eretta una struttura d’acciaio a due piani - con una sezione a campata unica, larga 2,58 m, e profonda tre campate da 5,40 m ciascuna - con un minuscolo cortile al centro. I pavimenti del cortile e della sala da pranzo sono rivestiti entrambi con piastrelle bianche, così da formare, quando le porte di separazione sono completamente aperte, uno spazio unitario, senza distinzione tra interno ed esterno. Per raggiungere il massimo livello di razionalizzazione costruttiva, è stato escogitato un metodo particolare, simile alla prefabbricazione, che riduce al minimo il lavoro in cantiere. In primo luogo, sono stati sistemati in opera quattro telai d’acciaio a bordo largo, a intervalli uguali, lungo il lato maggiore del lotto rettangolare. Poi, sono stati eseguiti il solaio di copertura e le fondamenta in calcestruzzo, completando, così, l’armatura strutturale. Tutto ciò che occorreva dopo, era montare sul telaio i pannelli di tamponamento stampati in cemento e i serramenti, porte e finestre, d’alluminio.
TOWER MACHIYA ARCHITETTO Atelier Bow-Wow ANNO DI COSTRUZIONE 2010 LUOGO Tokyo, Giappone DIMENSIONI 2,70 x 5,90 m La torre Machiya è un progetto residenziale che si sviluppa su quattro piani, su un lotto di terreno largo quanto un’unica automobile. Il progetto riprende alcuni elementi della tradizionale casa in legno giapponese, la “machiya”, che vengono però sviluppati in maniera verticale nella torre con l’intento di guadagnare più spazio abitabile possibile. I padroni di casa, rigidi praticanti della cerimonia del te, hanno desiderato che nella casa fosse sistemata anche una stanza apposita. Essendo l’edificio limitato sia frontalmente che in profondità, gli spazi si sviluppano lungo l’asse verticale; la sala da te è stata sollocata al piano superiore e la scala funge da “giardino” o da sentiero per condurre gli ospiti nella stanza della cerimonia. In linea con l’estetica nelle “machiya”, la facciata al piano terra è celata da una serie di separatori in legno; sottili cornici in ferro ad ogni piano consentono la creazione di piccoli balconi profondi 45 cm.
TOWER HOUSE ARCHITETTO Atelier Bow-Wow ANNO DI COSTRUZIONE 2006 LUOGO Giappone DIMENSIONI 3,00 x 6,00 m La Tower House occupa uno scampolo di metropoli: 42,29 metri quadrati. Nasce in uno spazio interstiziale in una zona ad alta densità abitativa. Il committente desiderava un’abitazione flessibile che potesse in qualche modo adattarsi alla crescita della sua famiglia. Gli architetti decidono per una soluzione che enfatizzi l’altezza, creando una torre in cemento armato, di 3 x 6 metri in pianta e alta 11,5 metri. Nell’interno mancano le pareti, sono i salti di quota a separare i nove ambienti, mentre ad annodarli è una scala sospesa con tiranti in acciaio che corre dal piano terra al terrazzo. Tre gradini separano la sala da pranzo dalla cucina, qualcuno in più serve a salire nel living, fino al terrazzo semi-aperto sulla cima. Dal pavimento al tetto, vi è una suddivisione dell’altezza in dieci piccole solette su due lati dell’abitazione, collegati da una scala centrale continua e la stessa enfatizza la continuità dello spazio.
SAIGON HOUSE ARCHITETTO A21studio ANNO DI COSTRUZIONE 2015 LUOGO Ho Chi Minh City, Vietnam DIMENSIONI 3,00 x 15,00 m Lo studio A21studio ha progettato una casa per nove persone in tre metri di larghezza, realizzata in Vietnam. L’abitazione è stata pensata per una famiglia con sette bambini. Due muri preesistenti fanno da supporto a un grappolo di stanze sospese le une sulle altre, collegate da scalette e piattaforme che si rincorrono in un girotondo di colori. Da una facciata grigia che passa inosservata tra le insegne sgargianti della strada si passa a un ambiente ricco di trame, spessori e materiali, un interno domestico che ingloba la sensazione di simultaneità della città in uno spazio minimo.
AZUMA HOUSE ARCHITETTO Tadao Ando ANNO DI COSTRUZIONE 1976 LUOGO Osaka, Giappone DIMENSIONI 3,20 x 12,80 m Una delle prime opere dell’architetto Tadao Ando è la Azuma House, dove la casa è divisa in spazi dedicati alla vita quotidiana con l’inserimento di uno spazio astratto per giochi di vento e di luce. La Azuma House si sostituisce una delle case tradizionali della zona costruita in legno. Vi è un netto contrasto tra questa “scatola di cemento” e i suoi edifici circostanti. Questo appartamento è costruito su un terreno di 57,3 mq. La metratura totale di 64,7 mq è divisa in tre parti uguali: due piani e un patio. L’edificio, centripeto per quanto riguarda la sua organizzazione, ha una struttura tripartita centrata attorno ad un cortile scoperto. Al piano terra si trovano il soggiorno e la cucina, separati dal cortile esterno centrale e la scala che conduce al piano superiore, dove le due camere da letto sono unite da una passerella. L’area centrale scoperta è l’unica fonte di luce naturale in tutta la casa. Il cortile, che agisce come il fulcro della vita quotidiana in casa, separa il soggiorno dalla cucina e dal bagno, posizionandoli alle due estremità. L’edificio presenta una facciata cieca verso la strada, ma a presenza di una porta ne suggerisce il suo utilizzo. Il cemento armato utilizzato in questa casa si presenta come l’ornamentazione per la facciata.
CASA A HIGASHINADA ARCHITETTO Waro Kishi ANNO DI COSTRUZIONE 1997 LUOGO Kobe DIMENSIONI 3,30 x 16,00 m Si tratta di una tipica abitazione urbana giapponese in cui vivono due persone, madre e figlio. Il sito su cui doveva sorgere l’abitazione era lungo e stretto, compreso tra altre due abitazioni già esistenti, e vicino ad un grande parco lungo l’altro lato della via. Il progetto nasce dall’idea di beneficiare della vista del parco, e pertanto sono state previste grandi vetrate che occupano tutta la facciata. I committenti volevano una casa in cui percepire in ogni momento la presenza dell’altro in casa, e il risultato è un’abitazione su tre piani, in cemento armato, caratterizzata da uno spazio interno continuo, aperto. Il volume abitativo è largo 3,3 metri e profondo 16 metri. Esiste una composizione spaziale interna divisa in due parti, e le porte sono ridotte al minimo. La zona giorno ha un soffitto alto 3,9 metri ed è aperta sui due lati corti, in tal modo è esposta molto bene alla luce naturale: peculiarità di questo spazio è la scala con gradini molto bassi e ravvicinati che conduce ad una terrazza di mezzo livello superiore. La casa galleggia sopra la città e in tal modo gli abitanti della casa possono godersi la vista sulla città.
HOUSE 77 ARCHITETTO DIONISO LAB ANNO DI COSTRUZIONE 2010 LUOGO Povoa de Varzim, Portugal DIMENSIONI 3,80 x 28,00 m Lo studio Portoghese DIONISO LAB ha realizzato un’abitazione con una facciata comprendente persiane in alluminio perforato con dei simboli. Le serrande quadripaertite coprono l’intera altezza delle finestre, creando una zona balconata tra le due facciate e fornendo privacy quando richiesto. I simboli relativi al territorio, un villaggio di pescatori, forano gli schermi metallici. L’interno dell’edificio è diviso in livelli sfalsati e si affaccia su un piccolo giardino sul retro. La casa era un’opportunità per rilanciare alcuni dei ricordi della città e di partecipare alla panoplia di colori e materiali che caratterizzano la strada. Le aree sociali si trovano ai piani inferiori e le aree private sui livelli superiori. La larghezza del lotto ha vincolato la scala, che in realtà, è diventata il cuore della casa. In questo modo, la casa, nel centro di “Bairro Norte”, condivide alcuni dei ricordi e riferimenti della città con la popolazione e rivitalizza un patrimonio che è stato progressivamente dimenticato e abbandonato.
HOUSE IN SHOWA-CHO ARCHITETTO Fujiwaramuro Architects ANNO DI COSTRUZIONE 2007 LUOGO Osaka, Giappone DIMENSIONI 3,94 x 17,89 m L’abitazione progettata dallo studio giapponese Fujiwaramuro architects nel centro di Showa-cho, è parte di una casa a schiera e Le dimensioni del lotto e le situazioni a contorno hanno determinato le scelte progettuali, il prospetto principale è completamente vetrato per catturare quanta più luce possibile e per rendere la strada parte della casa stessa. Per non limitare l’illuminazione naturale anche le pareti interne sono in vetro e opportuni tagli nei pavimenti e nei solai permettono alla luce che proviene dall’alto di filtrare attraverso i piani e illuminare l’interno invaso con effetti suggestivi. Al centro della composizione è la scala che distribuisce le funzioni ai piani in base al grado di privacy da assicurare agli ambienti, i solai non occupano mai per intero la superficie disponibile e da ogni livello si può osservare la vita in quelli inferiori.
GARDEN AND HOUSE ARCHITETTO Ryue Nishizawa ANNO DI COSTRUZIONE 2010 LUOGO Tokyo, Giappone DIMENSIONI 4,00 x 8,00 m La casa progettata è disposta su quattro livelli in un microscopico lotto urbano per rispondere al risoluto desiderio di una coppia di business partner di risiedere in un quartiere centrale della città, a stretto contatto con i luoghi delle loro attività. Incastrato tra alti palazzi, lo stretto edificio di Nishizawa non è percepibile dalla strada principale e insiste nel mantenere la sua riservatezza, assegnando una funzione di schermo alle piante e ai vasi di fiori che, allo sguardo del passante, potrebbero farlo scambiare per un misterioso giardino verticale. Senza un vero prospetto, emergono in facciata solo anonime solette in cemento, sostenute da tre robusti pilastri ai quali fanno da compendio solo le grondaie. Non c’è muro che suddivida le superfici in “stanze”. Solo le tende e i vetri a tutta altezza stabiliscono la separazione tra interno e gli apparati all’esterno. Qui, per passare da un momento all’altro, occorre usare le scale, che percorrono l’intera altezza dell’edificio attraverso fori
NYH ARCHITETTO aat+makoto yokomizo, architects Inc. ANNO DI COSTRUZIONE 2006 LUOGO Osu, Naka-Ku, Nagoya giappone DIMENSIONI 4,00 x 9,00 m NYH è un’ abitazione con moltiplici funzioni al suo interno: casa, studio e galleria per un grafico. Viene realizzata attraverso una struttura prefabbricata, disposta su quattro livelli con un tetto giardino. Il sito su cui si insedia è largo solamente 4 metri e molto profondo. La disposizione interna è composta da uno studio posto al primo piano, al secondo vi è un soggiorno e una cucina, infine al terzo camera e bagno. Gli spazi interni sono suddivisi da sottili pareti curve come una sorta di membrane avvolgenti, abolendo così la tradizionale gerarchia fra corridoio e spazi funzionali.
RETHINKING THE SPLIT HOUSE ARCHITETTO Neri & Hu Design and Research Office ANNO DI COSTRUZIONE 2012 LUOGO Shanghai, China DIMENSIONI 4,00 x 12,50 m Neri & Hu è stato commissionato per ricostruire una lane house fatiscente lasciata con quasi nulla, tranne il suo glorioso guscio nella storica e artistica zona Tianzifang a Shanghai, e la missione è stata quella di trasformarla in tre unità abitative distinte. In questo progetto è stata ripensata la tipologia della lane house mantenendo la formazione su due livelli, e aggiungendo interesse spaziale attraverso nuovi inserimenti e lucernari per accentuare l’integrità architettonica di tale tipologia, rendendola contemporanea per lo stile di vita di oggi. Le lane house, spesso occupate da singole famiglie durante la fine del secolo, sono cambiate nel corso dello sviluppo economica della città. Ora sono in genere occupate da tre o più famiglie, che condividono la scalinata pubblica e il pianerottolo, in modo che i vicini che vivono su diversi livelli abbiano la possibilità di interagire entrando o uscendo dalle loro unità personali. Per mantenere vivo lo spirito di questa tipologia, una nuova scala di metallo continuo è stata inserita per sostituire la vecchia e decadente scala di legno che non era a norma. Essa serve da collegamento verticale ai tre livelli, ma allo stesso tempo è un elemento architettonico.
MUJI’S PREFAB VERTICAL HOUSE ARCHITETTO MUJI with Kengo Kuma ANNO DI COSTRUZIONE 2014 LUOGO Tokyo DIMENSIONI 5,80 x 11,50 m Dopo aver guadagnato seguito in tutto il mondo per i sui semplici, chic immobili e articoli per la casa, l’azienda giapponese Muji ora offre un’esperienza più coinvolgente grazie alla sua sensibilità progettuale, con disegni di case prefabbricate. Negli ultimi anni, un gran numero di queste case personalizzabili, le cui parti sono fabbricati in un luogo separato e poi messe insieme in loco, si sono resi disponibili in tutto il mondo. Essi sono disponibili in varie forme e dimensioni, e tendono verso il moderno, eco-friendly, e minimalista. Nello specifico la Vertical House, è stata costruita per adattarsi a spazi urbani ristretti. Eliminando pareti e porte rendendo piccole aree più grandi. Solo perché è prefabbricata, non significa che i proprietari non possono incorporare un po’ del loro stile e fascino: Muji ha detto che le case, saranno disponibili in Giappone in sette varianti.
BLACK PEARL ROTTERDAM SOUTH ARCHITETTO Studio Rolf.fr i.p.w Zecc Architecten ANNO DI COSTRUZIONE 2010 LUOGO Zwarte parel Rotterdam DIMENSIONI 5,60 x 12,30 m Questa casa fa parte di un programma della riconversione di Rotterdam che desiderava rivitalizzare zone svantaggiate con la vendita di case ai privati . Queste case hanno in comune il fatto di essere state trascurate negli anni e di dover quindi essere restaurate. Gli edifici di solito consistono in una serie di piccoli appartamenti , uno per ogni piano. L’obiettivo del comune con la vendita degli edifici è quello di attirare gli abitanti con più capacità economiche. La condizione di vendita è che la proprietà debba essere rivalorizzata entro un periodo specifico e successivamente trasformata in una casa . Questo fa sì che, ipoteticamente, ci saranno meno case, ma di dimensioni maggiori. Questa è la tendenza opposta a quanto accade in molti centri urbani, dove le case più grandi sono suddivise in più piccoli appartamenti.
V23K16 ARCHITETTO Pasel and Kuenzel ANNO DI COSTRUZIONE 2009 LUOGO Leiden, Paesi Bassi DIMENSIONI 5,80 x 14,00 m Con questo progetto di casa privata lo studio Pasel Kuenzel Architects ha vinto un concorso per prototipi di case urbane. La casa realizzata nel centro storico di Leiden è stata costruita grazie all’approvazione di una nuova legge che permette ora ai privati olandesi di costruire il 30% delle nuove abitazioni. Gli architetti Pasel e Kuenzel hanno realizzato diverse abitazioni a Leiden, Olanda, le residenze tutte diverse sono costruite al di sopra dei garage collettivi in particolare per la casa V23K16 si è tenuto conto di due necessità fondamentali per le abitazioni cittadine: la luce e lo spazio aperto. La struttura è divisa in due parti, ben visibili per la differenziazione dei materiali usati in facciata. La prima più ampia è destinata alle camere e al living, che grazie alle alte vetrate della facciata sono illuminati maggiormente dalla luce solare. Nella seconda parte stretta e lunga sono concentrati i locali di servizio: bagni, cucina, locali tecnici e scale. La copertura non è piana ma presenta una leggere inclinazione che all’interno della casa favorisce la massima illuminazione delle camere da letto e consente agli abitanti di ammirare le stelle, mentre all’esterno isola il tetto giardino dalle abitazioni vicine e dalla strada.
INFILL HOUSE ARCHITETTO RT+Q Architects ANNO DI COSTRUZIONE 2009 LUOGO Singapore DIMENSIONI 6,50 x 23,70 m L’abitazione viene realizzata in un ambito urbano consolidato, caratterizzato da edifici alti due o tre piani, nati originariamente con il piano terra adibito all’attività mercantile e il primo livello destinato alla residenza vera e propria. I lotti in cui sono inserite queste case a schiera sono particolarmente profondi e caratterizzati dalla presenda di un giardino. Nel caso della Infill House, questo ampio spazio a disposizione ha permesso l’ampliamento mediante l’innesto della casa esistente con un nuovo volume dal linguaggio contemporaneo. Sulla strada principale, è stata mantenuta la facciata principale con il portico al piano terra. Qui il progetto ha previsto lo sviluppo della zona giorno con l’inserimento di una nuova “scatola” per i servizi e il collegamento verticale. Al piano superiore, la camera da letto padronale occupa un doppio volume su cui è stata inserita una scala elicoidale, collegata con il sottotetto. Su questo doppio livello si affaccia un volume rivestito in legno che contiene diversi ambienti accessori. Il nuovo volume in cemento è accessibile al piano terra dal patio interno e al primo livello da un ponte vetrato. All’interno il legno è il materiale più utilizzato, sia sulle superfici orizzontali sia in quelle verticali, mentre esternamente prevalgono invece acciaio e vetro.
KAMIYA HOUSE ARCHITETTO RT+Q Architects ANNO DI COSTRUZIONE 2009 LUOGO Giappone DIMENSIONI Collocata nel distretto commerciale nel centro di Tokyo, la costruzione è composta da 7 piani con una superficie di circa 165 m2. Il secondo piano accoglie una clinica, dal terzo al quinto piano si trovano unità residenziali singole e il sesto e il settimo piano consistono in appartamenti di tipo maisonnette. L’idea era di proporre un prototipo in cui esplorare una “costruzione urbana a piccola scala”, per qualsiasi tipo di funzione, con una struttura di dimensioni convenzionali in una tipica area urbana commerciale. L’architetto propone le unità residenziali a più livelli. In altre parole, “unità verticali a più livelli con uno sviluppo orizzontale aperto”. Ogni piano ha delle aperture dal pavimento al soffitto sull’estremità orientale e occidentale. Queste due aperture assicurano la pianta aperta, stabilendo allo stesso tempo una relazione con la città. Nella parte orientale, il muro e il patio che circondano le estremità nord e sud mediano i concetti opposti di “aperto” e “chiuso”. La facciata è una grande finestra di vetro dal pavimento al soffitto con lo scopo di essere aperta alla città.
6 CAPITOLO
IL PROGETTO
In questo capitolo esponiamo la parte pratica del nostro lavoro. In una prima fase abbiamo identificato potenziali aree di intervento incrociando i dati delle mappe della città di Milano con i riscontri visivi acquisiti da ispezioni dirette. La zona scelta è stato quindi uno spazio presente in via San Gregorio, vicino Stazione Centrale. Nella seconda fase abbiamo esaminato l’area progettuale per adattare il più possibile il nostro programma sia alla superficie disponibile che agli edifici circostanti. Abbiamo scoperto che, nonostante tutti i vincoli, potevamo permetterci un certo livello di versatilità nelle decisioni progettuali. Nell’ultima fase abbiamo svolto la parte più tecnica del nostro lavoro: la progettazione di una residenza multifamiliare. Siamo riusciti infine anche ad identificare alcuni possibili interventi applicabili in future revisioni.
L’ANALISI DELLE POSSIBILI AREE DI INTERVENTO
In seguito alla catalogazione di alcuni progetti che potessero chiarire ancor meglio le possibili applicazioni all’interno degli spazi interstiziali, è stato necessario costruire una mappatura dei siti all’interno della città di Milano, in cui poter sviluppare un caso applicativo. Partendo da una visione più ampia dell’area urbana, abbiamo cercato di capire quali fossero i luoghi liberi su cui intervenire: spazi abbandonati, percepiti negativamente da chi li vive, che permettessero innanzitutto di insediare una costruzione di dimensioni fruibili e, soprattutto, che fossero parte di un ambiente che avesse la necessita e le potenzialità per essere reinventato. Fin dalle prime fasi di studio, nel tentare di individuare le aree idonee per l’inserimento di un nuovo elemento nel tessuto urbano, è sorto il problema di una loro visualizzazione efficace nelle mappe: i microspazi infatti, per le
loro dimensioni e caratteristiche funzionali, non sono, quasi mai, visibili alle scale urbane. La letteratura urbanistica ha prodotto finora numerosi studi dei luoghi abbandonati delle città e dei loro possibili utilizzi: si parla però, nella maggior parte dei casi, di vaste aree e non esiste ad oggi un vero approfondimento delle superfici più minute, invisibili nelle cartografie ma evidenti nell’esperienza diretta. Una volta riscontrata l’impossibilità di rilevare tutte le aree in-between presenti a Milano, è diventato necessario identificare alcune aree campione per la ricerca, zone che per le loro caratteristiche rappresentassero punti strategici della città. Grazie alla centralità delle zone interne al centro storico e negli immediati dintorni, è stato possibile individuare nella “circonvallazione filoviaria” (l’anello viario fissato nel 1884 dal Piano Beruto, che fino alla fine
147
Fig.35 Mappatura delle possibili aree di intervento all’interno della città di Milano.
della seconda guerra mondiale ha pressappoco delimitato l’estensione urbana della città) i giusti limiti del rilievo: la nostra riflessione si sofferma quindi sui microspazi presenti nelle prime due cerchie di Milano. Gli spazi presenti all’interno di questo perimetro, frammenti generati dalla sedimentazione e sovrapposizione delle differenti soglie storiche, si trovano in posizioni strategiche della città: dalla compattezza del tessuto storico si può usufruire di un alto valore connettivo, tanto sul piano sociale che su quello architettonico; essi assumerebbero quindi un ruolo fondamentale all’interno delle dinamiche cittadine quotidiane, oltre a rappresentare terreni con un alto valore economico che genererebbero il massimo profitto tramite il nostro intervento. Dopo aver previsto una
possibile delimitazione dell’area campione, è stato necessario capire come effettuare un rilievo che sapesse identificare i microspazi all’interno della trama urbana: come visto in precedenza, queste aree sono di difficile individuazione a causa della scala di rappresentazione della cartografia comune. È stato necessario, quindi, cambiare il rapporto d’ingrandimento, non solo grafico ma principalmente percettivo, per avvicinarsi alla città, con la consapevolezza di dover analizzare una serie di luoghi del tessuto urbano raramente presi in considerazione. L’esperienza diretta è stata quindi il metodo utilizzato: camminare tra le vie di Milano ha consentito di rilevare i microspazi che si nascondono al suo interno, avvalendosi della fotografia quale strumento per la catalogazione degli spazi presi in esame.
“Da sempre la pratica del camminare ha prodotto architetture e paesaggi, questa pratica quasi del tutto dimenticata dagli architetti è stata ripristinata da poeti, filosofi e artisti, capaci per l’appunto di vedere quello che non c’è per farne scaturire qualcosa.”45
150
capitolo 6 IL PROGETTO
Solamente dopo aver acquisito un considerevole numero di superfici all’interno del settore campione, è stata possibile una loro mappatura nella cartografia urbana: si è voluto quindi partire dal criterio di rendere visibile ciò che è invisibile nelle comuni rilevazioni, fornendo uno strumento puramente quantitativo (e non qualitativo) che serva alla definizione di uno studio capillare sugli interventi attuabili nel territorio milanese. Sebbene la nostra ricerca volesse dare una visione complessiva della presenza di queste piccole aree presenti nelle città, senza compiere un’indagine specifica delle singole ma fermandosi all’analisi di una categoria di spazi e del loro significato a livello urbano, è stato possibile individuare una serie di caratteristiche comuni di questi spazi. I lotti individuati, stretti e lunghi, si trovano in aree di fronte urbano compatto: essi variano la loro geometria in riferimento al rapporto con la strada e agli edifici adiacenti. La dimensione del fronte, tra gli esempi raccolti, rispecchia generalmente la posizione nel tessuto urbano (dimensione ridotta nelle aree più
1:2
1:1
2:1
1:3
1:4
Fig.36 Schemi delle caratteristiche comuni degli spazi in-between mappati: proporzioni tra i lati del lotto.
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centrali), garantendo unicamente un accesso pedonabile o al massimo carrabile. Da un punto di vista generale, il rapporto tra fronte strada del lotto ed il suo sviluppo in profondità rispecchia la proporzione di 1:3 o 1:4. I muri ciechi degli edifici adiacenti, che segnano i margini volumetrici, consentono solitamente uno sviluppo in alzato che parte dai tre piani, per arrivare anche fino a otto. Un’altra caratteristica comune a queste superfici è la ricorrenza della tipologia di affaccio: tutte le aree presentano o un doppio fronte su strada pubblica oppure uno su strada pubblica ed uno su corte interna, usata nella maggior parte dei casi come Fig.37 Schemi delle caratteristiche comuni degli spazi in-between mappati: tipologia di affaccio.
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capitolo 6 IL PROGETTO
ricovero per auto piuttosto che spazio verde. Possiamo quindi affermare che le aree in-between libere presenti all’interno dell’area metropolitana di Milano, appaiono quale possibile ambito spaziale nel quale sperimentare un progetto analogo a quello giapponese della “Pet Architecture”, valorizzandone anche le potenzialità inespresse. Durante la nostra ricerca, abbiamo individuato numerose aree di progetto per dimostrare come, in base all’area, non solo cambino i vincoli normativi, ma anche come cambino le dimensioni spaziali con cui ci si deve approcciare: attraverso la progettazione del caso studio, che svilupperemo nei capitoli seguenti, si vuole dimostrare come si potrebbe migliorare l’utilizzo dell’area interessata,
confrontandosi con i limiti e le potenzialità finora visti.
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b
Gilles A. TIberghiern, filosofo francese, nell’introduzione “La città nomade” di Walkscapes. Camminare come pratica estetica a cura di Francesco Careri, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2006, pag.VII.
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c
Fig.38 Schemi delle caratteristiche comuni degli spazi in-between mappati: potenzialità di inserimento all’interno del tessuto consolidato e differenti larghezze delle aree di insediamento.
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L’AREA DI PROGETTO
Partendo dalla mappatura delle possibili aree di progetto sviluppata nel capitolo precedente, si è deciso di intervenire sullo spazio situato in via San Gregorio 55. Questa area possiede un enorme potenziale grazie alla sua posizione strategica all’interno della città, la quale
Fig.39 Localizzazione dell’area di intervento
è un’opportunità al fine di moltiplicare e amplificare i guadagni spaziali e sociali in seguito ad una sua riattivazione: essa si trova infatti in prossimità di Via Vittor Pisani, arteria importantissima che collega Stazione Centrale con Piazza della Repubblica. La scelta di un suolo in una zona urbana fulcro di servizi, deriva dalla consapevolezza della possibilità di interagire
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con un sistema di relazioni e servizi cittadini denso e molteplice: il nostro obiettivo è quindi la creazione di un nuovo
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capitolo 6 IL PROGETTO
insediamento leggero, che si fonda sull’esistente per l’utilizzo di infrastrutture di trasporto e funzioni necessarie a chi lo abita.
Fig.40 e Fig.41 Localizzazione dell’area di intervento.
L’area di progetto, che rappresenta una interruzione della cortina architettonica compatta, è affiancata da edifici con funzione residenziale su ambo i lati. Al piano terra di questi troviamo invece esercizi commerciali di svariati tipi. Le dimensioni della nostra superficie sono di 4,20 metri di larghezza e 14,20 metri di profondità. Dovendo interagire con gli edifici laterali, alti entrambi cinque piani, anche il
Fig.42 Planimetria dell’area di intervento.
nostro edificio si svilupperà in alzato di questa volumetria. Mentre uno dei due fronti dell’area si affaccia su una via carrabile a senso unico, l’altra facciata apre la visuale su una corte interna, che allo stato di fatto è un’area cementificata piuttosto degradata, utilizzata principalmente per il ricovero di poche macchine dei residenti. Il nostro insediamento abitativo risulta quindi essere un esperimento spaziale che non si basa più sul semplice concetto di occupazione del suolo, ma prova ad utilizzare le potenzialità del contesto contribuendo contemporaneamente alla
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rigenerazione urbana, creando nuovi principi relazionali e dinamiche spaziali secondo un principio di saturazione e completamento graduale delle aree disponibili, senza un ulteriore consumo di suolo.
Fig.43 Foto dal prospetto su strada dello spazio in-between selezionato.
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capitolo 6 IL PROGETTO
Fig.44 Foto dal prospetto interno dello spazio in-between selezionato.
LA VERSATILITA’ DEL SISTEMA
Dopo un’accurata analisi dei casi studio di “Pet Architecture” più attinenti al caso nostro, come visto nel capitolo 5, è stata sviluppata una tipologia di possibile intervento per lo spazio in-between selezionato nel paragrafo 6.2. Il nostro progetto parte dalla considerazione dell’alloggio tradizionale e prova a ricostituirlo nei suoi elementi fondamentali, nel tentativo di creare un’abitazione con spazi minimi ma qualitativamente confortevole. Pensato per vuoti urbani con una larghezza minima di 3,45 metri, fino ad una massima variabile, ogni modulo, inserendosi nello spazio vuoto tra due edifici, chiude l’esistente linea di sviluppo della strada. Essendo però i siti di progetto
tutti diversi tra loro, il sistema deve essere capace di adattarsi sotto tre punti di vista in base alle differenti configurazioni dell’area in cui s’inserisce. I parametri da tenere in considerazione sono quindi: larghezza tra gli edifici; profondità dei due corpi di fabbrica adiacenti (in media 10-14 metri); geometria del suolo. La specificità degli spazi liberi residuali catalogati risiede, infatti, proprio nella loro configurazione e nel loro carattere episodico e frammentario. Questa particolarità richiede quindi l’elaborazione di uno specifico modello analitico che muova dal tradizionale approccio progettuale: il dimensionamento della cellula varia in relazione ai caratteri morfologici
“I metodi del costruttore devono dunque variare in ragione della natura dei materiali, dei mezzi di cui dispone, delle necessità che deve soddisfare e della civiltà in seno alla quale nasce.”46
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TRAVI in acciaio sezione a doppia C 12x6 cm per permettere il passaggio degli impianti TRAVI in acciaio sezione HE 12x12 cm
INFISSO in acciaio
PANNELLI OSCURANTI
PARAPETTO in vetro
SOLAIO A SECCO orditura primaria e secondaria realizzata in legno, 34 cm
NUCLEO CENTRALE pareti con prestazioni di protezione passiva dal fuoco, 19 cm
TRAVI DI BORDO in acciaio sezione a doppia C 12x6 cm
MURO DI TAMPONAMENTO pareti a ridosso del muro dell’edificio adiacente, 10 cm
PILASTRI in acciaio sezione tubolare 15x15 cm
Fig.45 e Fig.46 Rappresentazione delle componenti costruttive del sistema progettato.
dell’edificato consolidato della città. In questo modo, diventa requisito indispensabile che la statica della costruzione sia indipendente dalle vicine costruzioni per non gravare su di esse: gli elementi strutturali del progetto diventano così componenti funzionali e parte principale del progetto. Per rispondere a questa prerogativa, la nostra attenzione si è focalizzata su una struttura prefabbricata in acciaio, costruita con una tecnologia di assemblaggio a secco: questo tipo di costruzione ci permette infatti di ottenere ottime prestazioni statiche con ridotte dimensioni della struttura stessa, togliendo funzione portante ai tamponamenti verticali che possono così ridurre il loro spessore al minimo (solo 10 centimetri nel nostro caso). La progettazione di un edificio con questo principio permette una grande libertà compositiva, sia in pianta che in alzato: utilizzando infatti un sistema puntiforme piuttosto che un sistema composto da elementi
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a pannelli strutturali (es. Xlam), è possibile ricoprire qualunque forma geometrica di un eventuale lotto, senza doversi limitare a forme rettangolari o trapezoidali. Date le ridotte dimensioni delle aree di progetto raccolte a campione, l’applicazione di un sistema costruttivo prefabbricato assemblato a secco ci permette di comporre la parte portante del modulo, piano dopo piano, senza il bisogno di attrezzature di cantiere ingombranti, sfruttando al massimo lo spazio edificabile, ottimizzando i tempi e riducendo di conseguenza i costi. La soluzione abitativa diventa così più economica, offrendo la possibilità di costruire un alloggio urbano che possa essere accessibile anche ad utenti meno abbienti, oltre che a rappresentare un possibile modello ripetibile ad ampia scala. Per rispondere alla necessità di totale adattabilità sia in larghezza (distanza tra gli edifici adiacenti) che in lunghezza (profondità del lotto), abbiamo pensato ad una struttura con un nucleo centrale: questa parte della costruzione, che incorpora gli elementi di connessione verticale, funge da elemento portante dal quale
le travi partono a sbalzo; nel compito di fornire supporto a tutta la costruzione, al “nocciolo” centrale si affiancano i pilastri, i quali, essendo allineati con quest’ultimo, permetto di aumentare ulteriormente lo sbalzo nel senso longitudinale del lotto. Adottando questa soluzione, è stato quindi possibile definire un ingombro minimo del nostro modulo (3,45 metri), ma lasciare una totale libertà per quanto riguarda la larghezza massima che si può coprire: dimensionando, infatti, le travi in base ai carichi che dovranno supportare, è possibile creare aggetti del solaio fino a riempire tutta la superficie utile tra i due edifici adiacenti. La decisione di assumere il corpo scala come punto invariabile posto sempre al centro della pianta (cui si aggancia anche il locale dei servizi), deriva da una serie di studi da noi effettuati sulla circolazione interna. Come si può notare dagli schemi a fianco, la tipologia e la forma della scelta di scala potrebbe essere prettamente funzionale, oppure fornire un’esperienza emozionale/percettiva durante la salita. La nostra decisione
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di optare per una maggiore funzionalità, ci dà il vantaggio diretto di grande compattezza, seppur inferiore a quella della scala in linea, la quale obbliga però a percorrere tutto il piano per raggiungere la rampa successiva. Considerano la conformazione dei lotti catalogati (e in particolare di quello scelto per il caso applicativo), si è deciso di evitare di collocare il sistema di risalita verticale in facciata, in modo da non ostruire la portata di luce naturale. Diventa quindi interessante analizzare come la posizione del corpo di percorrenza verticale non sia propriamente l’elemento generatore dello spazio (come il camino nelle case di Wright), ma influenzi l’organizzazione generale del piano, la Fig.47 Schemi di possibili tipologie di funzioni pensate per il piano terra dell’edificio.
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sistemazione delle stanze e la possibile convertibilità. Sebbene il nostro modulo possa prevedere una varietà di configurazioni spaziali, le quali potrebbero mutare a seconda della conformazione del sito, nel progetto l’ambiente giorno e l’ambiente notte sono stati collocati ai lati opposti della scala: questa rappresenta quindi un elemento ai lati della quale si dispongono i diversi ambienti secondo omogeneità funzionale. Il piano terra, invece, è da noi trattato come uno spazio filtro tra la strada e l’ambiente domestico, separando così sfera pubblica e privata. Questo è pensato come uno spazio flessibile, condizionato dalle esigenze delle famiglie e dal contesto urbano che lo circonda, specializzandosi
Fig.48 Schemi di possibili soluzioni per la facciata dell’edificio.
di volta in volta con modalità differenti: il volume potrà quindi accogliere al suo interno funzioni di carattere pubblico, da spazi espositivi a spazi per la condivisione, mantenendo in qualche caso anche una gestione separata degli accessi in base alle necessità (es. ingresso commerciale/comune da una parte, e privato dall’altra). Come ultimo elemento, è bene fare un’analisi anche della gestione differente dei due affacci dell’edificio. Essendo il nostro un intervento pensato per essere ripetuto ad ampia scala, il problema maggiore risulta essere il rapporto di questo col contesto. In una Milano stratificata negli anni, contraddistinta da tracce consolidate nel tempo, sorge il problema di come porsi nei confronti dell’esistente, cioè se con una soluzione omologante il contesto urbano o con un intervento che si discosta da questo, sia dal punto di vista dei materiali che degli allineamenti principali. L’intento principale diventa quindi quello di trovare un
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metodo di costruzione che permetta una totale versatilità dal punto di vista dell’aspetto architettonico. Per questo motivo, il sistema costruttivo da noi pensato permette una completa intercambiabilità per quanto riguarda il materiale di rivestimento della facciata, grazie a pannelli che consentono di ottenere soluzioni sostenibili, con costi contenuti e montaggio rapido, assecondando le diverse tendenze architettoniche. Il nostro sistema, in questo modo, può essere personalizzato in base al caso specifico, consentendoci di non avere vincoli a livello estetico e compositivo.
Viollet-le-Duc, voce Construction, in Dictionnaire raisonneé de l’architecture francaise du XI au XVU siècle, Parigi 1854-68.
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capitolo 6 IL PROGETTO
IL CASO APPLICATIVO
Nel caso applicativo da noi sviluppato, più moduli sono assemblati tra loro per formare un complesso edilizio. Il volume residenziale s’inserisce nel lotto con dimensioni di 4,20 metri (larghezza) e 14,20 metri (profondità), sviluppandosi per un’altezza totale di 16,15 metri con cinque piani fuori terra. La superficie complessiva è quella di 298 mq, quasi 60 mq lordi ad unità. Il sistema aggregativo è composto da appartamento monofamiliare, duplex e piano terra con funzione semi-pubblica. Partendo dall’analisi dell’alloggio disposto su unico piano, gli ambienti funzionali inseriti sono: una zona giorno, composta da cucina e sala da pranzo; una zona notte, composta da camera matrimoniale a cui si affianca un locale per i servizi. Come già spiegato in precedenza, le due aree funzionali si dispongono ai lati opposti
del vano scala: per via della conformità del lotto, infatti, il fronte dell’abitazione può essere composto da una sola stanza. Per aumentare lo spazio utilizzabile, in corrispondenza del fronte, sono stati progettati dei setti che accentuano l’orizzontalità degli edifici adiacenti e degli spazi serventi interni, permettendo così la realizzazione di spazi all’aperto usufruibili dagli utenti. L’alternativa a questo modulo residenziale, che consente l’alloggio di due persone, è invece rappresentata dal duplex, abitazione che consente la sistemazione di quattro utenti. In questa seconda configurazione, mentre al piano inferiore viene aggiunta solo una scala interna, al livello superiore sono stati inseriti una seconda camera da letto (doppia) e un soggiorno. La particolarità della nostra soluzione architettonica risiede nel fatto che questa non vuole essere una residenza scomposta
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in microspazi isolati, ma un ambiente fluido nel quale l’individuo recupera la sua dimensione intima e definisce modi e tempi d’uso personali. Di conseguenza, gli ambienti interni non sono definiti da separazioni nette: le partizioni interne, anziché essere soglie fisiche, sono il risultato di cambiamenti percettivi, sensoriali dell’ambiente. Al piano terra, invece, troviamo l’area d’ingresso all’edificio: questa si presenta con una grande vetrata che, dal fronte principale, è permeabile alla vista, lasciando intravedere parte della corte interna. Sul fronte più privato invece, è previsto uno spazio di ricovero per le biciclette. Per quanto riguarda le facciate dell’edificio, queste sono state trattate in maniera diversa tra loro. Essendo la facciata intesa come il piano verticale che separa gli spazi chiusi da quelli aperti, questa diventa uno strumento di relazione e comunicazione tra esterno e interno. Per questa ragione, mentre nella zona giorno si è deciso di creare una parete permeabile alla vista che consentisse l’ingresso della
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luce esterna e una completa vista sulla corte interna, per il prospetto che affaccia su strada abbiamo ragionato nella maniera opposta: questo fronte, caratterizzato da un aspetto massiccio a cui si contrappone la leggerezza generata dalla totale permeabilità visiva del piano terra, rispecchia nelle sue geometrie lo sviluppo degli ambienti interni, creando delle aperture in corrispondenza degli spazi serventi dell’abitazione. Per quanto riguarda gli allineamenti principali e i materiali utilizzati, abbiamo cercato di omologarci il più possibile agli edifici adiacenti: il tessuto edificato circostante diventa quindi matrice d’insediamento del nuovo intervento, creando un dialogo tra innesto e morfologia esistente. L’altezza dell’interpiano del piano terra si allinea con quello del tessuto storico, per poi ridursi nei piani sovrastanti dove vi sono le funzioni residenziali. Per quanto riguarda il materiale invece, è stato scelto un rivestimento in pannelli di pietra con la stessa tonalità del rivestimento dell’edificio confinante, risultando nella realizzazione di un volume
snello e compatto che dialoga con l’omogeneità dei disegni di facciata esistenti. Come ultimo elemento, abbiamo pensato ad un sistema di oscuramento per le finestre che rispecchiasse l’attività degli abitanti sulla facciata dell’edificio: tramite l’installazione di oscuranti a pacchetto, è quindi l’utente finale che fa modificare il volto dell’edificio, aprendo o chiudendo di volta in volta gli elementi di chiusura. La nostra ipotesi progettuale, per via della situazione dimensionale limite dell’area di progetto presa in considerazione, propone una configurazione architettonica che ovviamente trova difficoltà a livello di normativa e contrapposizioni a livello di
concetto di benessere abitativo. L’obiettivo che però si vuole raggiungere con questa soluzione è la realizzazione di un alloggio a dimensione di uno o due individui, recuperando un’area urbana (senza ulteriore consumo di suolo) che presenta grandi potenziali per essere riconvertita ma che, al tempo stesso, si insedia tra due edifici, comportando di conseguenza difficoltà progettuali non indifferenti. Questo caso applicativo vuole quindi essere una proposta di come poter occupare uno spazio nelle medesime condizioni, offrendo la possibilità di ripensare gli ambienti interni in presenza di condizioni meno restrittive.
“Lo spazio è un vuoto, una manciata di aria racchiusa da materia che ne definisce il limite. La sua precisione coincide con l’esistenza necessaria del suo intorno, che gli conferisce identità. Disegnare spazi è disegnare possibilità di vita, materializzandone il limite.”47
Aires Mateus, Voids, XII Biennale di Venezia, Venezia 2010.
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7 CAPITOLO
UNO SGUARDO AL FUTURO
Dalle analisi sviluppate durante il nostro progetto, appare che le politiche di densificazione debbano tendere verso processi di crescita basati sulla trasformazione della città esistente, piuttosto che su uno sfrenato consumo di suolo. Densificare la città già costruita, potenziando i servizi territoriali, progettando spazi pubblici e valorizzando aree verdi, rappresenta la base di nuovo modello di sviluppo urbano e sociale. Con una maggiore libertà di azione dovuta proprio all’utilizzo della densità come parametro di calcolo, è possibile anticipare le configurazioni della materia urbana, a partire dalle regole esistenti e dalla situazione spaziale del contesto di progetto. Attraverso le analisi di carattere urbano e, in seguito, attraverso le ipotesi di carattere progettuale, si è voluto mettere in evidenza le opportunità relative all’utilizzo dell’insieme dei vuoti urbani (e in particolare degli spazi inbetween) come elemento altamente qualificante per una progettazione urbanistica innovativa, che sappia coniugare le necessità culturali con la crescente domanda di qualità della vita da parte della collettività urbana.
Tramite la progettazione di un caso applicativo di microarchitettura residenziale, si è voluto porre le basi per lo sviluppo di un sistema che s’insedi nelle fessure del tessuto urbano andando a colmare i vuoti a terra di dimensioni minime, generando di conseguenza una soluzione di continuità con l’edificato esistente. Lavorando per interventi puntuali in zone urbane di natura instabile, ci si è dunque scontrati con la problematica di trovare un metodo di costruzione che permettesse una totale versatilità dal punto di vista del carattere architettonico, dovendosi inserire in spazi interstiziali con forma e caratteristiche proprie, i quali per di più si relazionano col contesto in maniera differente. Da questa esigenza, nasce dunque l’elaborazione di un sistema costruttivo che prevede una varietà di configurazioni spaziali, le quali possono mutare a seconda della conformazione del sito. La potenzialità del nostro sistema non si limita però alla possibile variazione prevista a livello costruttivo: in un
ipotetico sviluppo futuro, infatti, è possibile pensare a un ulteriore avanzamento a livello compositivo (quindi a livello di funzioni all’interno dell’abitazione) del sistema progettuale, senza influire sull’impianto tecnologico del modulo. Il nostro caso applicativo, a causa delle condizioni estreme dell’area di progetto presa in considerazione, propone solamente una configurazione architettonica, cercando di garantire il benessere abitativo in una situazione limite. In una eventuale continuazione progettuale è possibile, partendo dagli studi di Alexander Klein e del CIAM del 1929 (analizzati nel progetto di tesi), ipotizzare una diversa conformazione spaziale, proponendo un repertorio di azioni mirate a soddisfare ulteriormente quello che è lo standard di benessere abitativo e di qualità degli ambienti richiesto dall’utente.
8 CAPITOLO
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