Nova Traditione 1

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Nova Traditione "O frate, issa vegg'io", diss'elli, "il nodo che 'l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch'i' odo! Io veggio ben come le vostre penne di retro al dittator sen vanno strette, che de le nostre certo non avvenne; e qual pi첫 a gradire oltre si mette, non vede pi첫 da l'uno a l'altro stilo"

n째 I, Giugno 2015


Che cosa è Nova Traditione? Nova Traditione è una pubblicazione aperiodica gratuita che raccoglie componimenti di diversi autori che amano esprimere il proprio talento usando le forme tradizionali della poesia, perché credono che la poesia tradizionale non sia qualcosa di vecchio o desueto, sibbene una forma sempre attuale. Lo scopo di Nova Traditione è quello di diffondere l’amore per la poesia in metrica: si tratti di una metrica classica rinnovata di contenuti e figure oppure di nuovi esperimenti metrici tout court. Le opere qui presentate sono frutto dell’ingegno dei rispettivi autori ai quali appartengono tutti i relativi diritti e, pertanto, qualsiasi uso o citazione del materiale qui presentato deve contenere l’indicazione di paternità intellettuale. Oltre che un obbligo morale lo considero una forma di rispetto per coloro che si impegnano a creare e offrire gratuitamente in lettura i loro scritti. La raccolta è curata da Francesco Vitellini.

a te che leggi con passione a te che leggi a te


4 Sonetti, di Alfonso Vincenzo Mauro Sonetto classico schema: ABBA, ABBA, CDC, DCD

Sonetto classico schema: ABBA, ABBA, CDC, DCD

Rosario di pallenti brine il volto, l’etereo iri uno specchio di sereni mondi, giaciglio di sognanti i seni musiche, i crini äurëo raccolto

Più indarno, oh! quanti mi sconvolgono ogni àlidi affanni umile giorno sempre! Sappi, cuor mio, che stoltamente andrem precipitando così più neri sogni.

amai perché fossero i odierni alieni rimorsi, del mio poco perché il molto fossero, perché l’attimo irrisolto fossero su gli esistenziâi proscenii.

E quando par che il memore si stempre poco a poco disìo, e' diletti agogni scada da' miei più puntuai bisogni, allor riscopro le indifese tempre,

O aedofona Ligeia, oltre ragione, oltre il dovuto, oltre di tempo e spazio, oltre ogni noi che auna e si scompone

allora crepano i puntelli a cui un argine dovetti demandare alla fiumana di che cosa fui,

t’amo anche! e se riposto ho in te i più pazzi o più savii mé ‘gnoro, pur quell’alone d’affetti per l’eterno èrami dazio.

allor vieppiù malinconïe rare mi s'appollaiano in sui tetti bui delle angustie pletoriche ed avare.

Sonetto classico schema: ABBA, ABBA, CDC, DCD

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

I contrastanti de l'esistere oltre di noi infimi miei proponimenti ecco ritrarmi ai compromessi esenti dall'istanza a indugiar ch'entro mi poltre.

Lungo zittìi tempo le solte cose ond'è d'uopo, per essere, tacere, le mani che ti cercano nascose in intangibile imo dispiacere.

Questo baratto de li sentimenti è mestieri rimpiazzi ogni nostro oltremondano sguardo, una quando ebbra coltre ci riposava di piaceri? Ménti,

Ma stormi ne la mente di più ose idee rammentano or che più non c'è respiro le cui dovizie dispendiose non esàlino sue bellezze eteree.

cuor mio: colei che avanza altra una volta non può sostituirti che vessando la restante di là vita ancor molta.

Ella è colei donde principio e fine traggono le circonferenze estranee di tante memori ore vespertine,

Ma un tuo oblio se ìnstomi di rimando che acquieti la passione insepolta, non può che domandarmi: Quando? Quando?

ma non fu il suo concetto, non sarà, né è in qualche mio guisa innocente e fine che tante rime poi non renda vane.


4 Sonetti, di Giusy Carofiglio Sonetto classico schema inglese: ABBA, ABBA, CDDC, EE

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

Nessun dolore volle usar se stesso così vicino al cor da non capire s’è solo circostanza d’un ambire o quell’amore grande come adesso.

Tu porti amore e amore t’ho donato e tutte le maree mutano senso il vento che distorto s’è portato via d’ogni foglia al cielo nel suo immenso

Quand’anche non è sordo, lo confesso il ché una condizione da subire non v’è reputazione a recepire se perde l’occasione troppo spesso.

e se quel cuore fu sì malandato risorto a questa vita il ché se penso ogni ora che di buono ha già colmato la gioia tra le mani tue è un compenso.

Ei vive di ricordi ricorrenti che come spade passano nel petto e se d’amor saprà trovar rispetto potrà spostare le montagne e i venti.

Non c’è guerra che tenga, quando amore è regno così grande oltre la vita e non c’è mano, bocca, né dolore

Non è l’amore che, l’uomo distrugge ma chi d’amore uccide, e dopo fugge

Sonetto classico schema inglese: ABBA, ABBA, CDDC, EE

che falci per dividerci infinita poiché lo sai anche tu, le vie del cuore nessuno può toccar. – Guerra fallita.

Sonetto classico schema inglese: ABBA, ABBA, CDDC, EE

Sfiorisce il giorno sul suo viso stanco logoran pelle le parole usate e d’infinito tra stelle scordate sta là lei avvolta in un vestito bianco.

Ma ogni volta sai, tra dire e fare che la conquista sta nel tener duro esser deciso, tosto, come un muro non luce che riflette dentro il mare.

Rimembra il palmo al tocco sul suo fianco senza timore di quelle risate un sogno che poi fu, di sere andate riverbero di passi e dire franco.

Perché la sola forza ch’è amare l’amore saldo che rende sicuro è la speranza il sale del futuro ch’il sol calore sa rasserenare.

L’amor e il bene, non son stessa cosa or il destino beffa la natura il cor non teme e poi, non se ne cura e non sarà l’altare a far la sposa.

Nutrire la speranza è cosa buona seguir quand’anche il corso della vita perché sì, tutto passa, e indefinita su corde d’un amore un’arpa suona.

Se la ragione tua sarà difetto non aspettarti ancor ch’abbia rispetto

Lascia per strada ciò che fa soffrire trattieni il buono che sa far gioire


4 Sonetti, di Francesco Deiana Sonetto classico schema: ABBA, BAAB, CDC, DCD

Sonetto classico schema: ABAB, BABA, CDC, DCD

Io son democristiano

Non so come si fa a rigare dritto

Io, nella vita, son democristiano, dico tutto e il contrario di tutto, in fondo sono solo un farabutto, un vero prototipo d’italiano.

Non so come si fa a rigare dritto, ho confuso la causa con l’effetto, quello che scrivo è già stato scritto, quello che dico è già stato detto.

Quello che penso è soltanto il frutto di un calcolo accurato, d’un piano per prender decisioni che pian piano mi torneranno utili anzitutto.

Quello che penso è solo un concetto pensato dagli altri e preso in affitto, sono un fottuto copione, ammetto: avrei dovuto restarmene zitto.

Come mosso da un intento morale, che a ben vedere non è che un ricatto, vivo sospeso tra il bene ed il male,

Mi sono sempre chiesto quale fosse il segreto per scrivere col botto, ma forse ho cannato delle mosse,

e se ho fatto quello che ho fatto è solo perché reputo normale credermi Re restando un mentecatto.

perché mi metto e ci vado sotto: mi pigliano paturnie così grosse e smetto che mi sento tutto rotto.

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

Non sei il migliore

L’ingòmito che fosi

Non sei mica il migliore di ‘sto mondo, non sei il più bravo, né il più originale, non è importante andare fino in fondo, non per forza devi essere speciale.

Non sei mica il bellore di sto gorro, non sei il più glamo, ne il più doginale, non è ingrifante menare col giforro, non per forza devi essere benale.

Il primo non è meglio del secondo e, se ci pensi, l’ultimo è uguale, fammi un favore, fermati un secondo e smettila di farti così male.

Il cobo non si scimmia dal pantorro e il doriero, forse, è già crivale, coltìmati ogni tanto e lascia porro perché il bembo tira e lo sai che bale.

Credevi di trovar la perfezione? e non ti è mai venuto alcun sospetto che questo ti portasse depressione?

Berlavi coi tuoi stupidi rigosi, e non ti è mai ciulato sulle calle che fossi tu l’ingòmito che fosi?

È normale aver qualche difetto, rilassati, non c’è una soluzione, e chiudi questo cazzo di sonetto!

Riplànati un momento e fuma galle, che l’ultimo dei tràgidi pilosi è il primo degli oraldi sgarrapalle.


4 Sonetti, di Maurizio Donte Sonetto classico schema: ABBA, ABBA, CDC, CDC

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

Quando il silenzio scende nella sera

Vorrei vivere per sempre

Quando il silenzio scende nella sera tutto intorno si placa ogni rumore: dentro di me si posa anche il dolore, ma nell'aria che lenta si fa nera

Vorrei vivere dentro il vostro cuore, annidato all'interno dei pensieri che corrono l'immenso, nell'amore, che splende come luce sui sentieri.

vibra una luce nuova per chi spera, splende dolce all'interno d'ogni cuore in cui ora lentamente torna amore, sola consolazione che s'avvera.

Vorrei un cielo senza quel dolore, che scivolava lento fino a ieri, nella sera, al cantar di onde sonore: crepuscolo, che svela i suoi misteri.

Sale nel vento il profumo dal mare che muove i sassi e lento li trascina. Quieta la Luna a te mi fa pensare,

Nasce dall'ombra strana melodia e sull'acqua distende l'ali e vola, mentre torna nel vento voce mia,

ma il tuo ricordo non so più d'amare. Danza il riflesso e l'ora s'avvicina, viene il mattino, tempo di tornare.

nella notte del mio canto non è sola: fra le stelle risuona l'armonia, del sommo Iddio che l'anima consola.

Sonetto classico schema: ABBA, ABBA, CDC, CDC

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

E quando il nulla...

Crepuscolo

E vien sfiorando il nulla la mia riva, lambisce l'onda l'orlo dei pensieri, rapida come l'ombra in cielo arriva la nube scura che mi porta a ieri.

Scendono le ombre a sfiorare la terra e mentre piano cala questo giorno, silente il mare il mio segreto serra e sale un canto che svanisce intorno.

E poi non vedo attorno anima viva, il vento danza e fischia sui sentieri, dove sempre la mia presenza schiva misura i passi e medita misteri.

Nebbia si stende, se la mano afferra il nulla, e sa che non vedrà il ritorno. Nessuno sa di quel che mi fa guerra e levo un grido disperato attorno.

Sale un raggio di sole sopra il muro di pietre a secco, segno del passato, un vecchio detto penetra l'oscuro,

Passa la vita e corre alla sua foce, come del fiume l'acqua arriva al mare, trascorre il tempo e quanto va veloce,

fuggono i giorni come un breve fiato, scintilla il rivo e va verso il futuro, ma non riporta quel tuo volto amato!

altra fede non ho, se non sperare che di me resti più che sola voce e esista altrove un Dio che sappia amare.


4 Sonetti, di Francesco Vitellini Sonetto rinterzato schema: AaBAaB, AaBAaB, CcDdC, DdCcD

Sonetto caudato schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD, dEE

Colei ch’i veggio reca con sé amore e vita pel mio core. Non mai sta ‘n lontananza al mio pensero il rosso delle labbra e il suo splendore. Oh, qual dolce candore! Non mai sorrise volto più sincero. Ov’ella passa regna quel Signore, tra vertute ed onore, che domina, padrone e forte e vero. D’ogni emozione è l’unico motore, e sempremai ei more colui che tien lo spirto gretto e nero. Sì tanto amore porta seco lei che senza me ne andrei, è spirto che sorregge l’alma mia dolcissima armonia di celestiali cori in fra gli dèi. Poteste voi veder la donna mia, la dolce cortesia d’ogni movenza che nasce da lei! Stareste come quei che sospirando vive in nostalgia.

Voi ch’intendete il verso, a me migliori, qui vengo a voi con una cerca annosa: se il metro ad ogni piede reca onori perché quel fior di Scozia non è Rosa?

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

Sonetto classico schema: ABAB, ABAB, CDC, DCD

L’occhio immoto e dorate trecce sciolte, ristava assorta, pensoso il bel viso, lo sguardo cesellato, mille volte avrei potuto vivere e un sorriso

Remota indugi tra pensieri sparsi con l’occhio silenzioso in lontananza, la bianca eternità può rivelarsi soltanto a te che cerchi con costanza

non avrebbe sfiorato quelle corte ciglia, tanto tristezza l’aveva ucciso. Intorno a lei soltanto cose morte parevano le genti, ognun reciso,

e quando la vedrai, gli occhi rïarsi, saranno l’altre luci a dar speranza luci che spingono l’alma a librarsi e ad iniziar con gioia la sua danza.

ferme all’istante del suo pensiero, immobili nel tempo le figure. Anch’io per un istante più non c’ero,

Qual malinconica farfalla al sole così tu miri a giungere compìta lieve respiro, un alito d’amore,

prigione di visioni antiche e scure l’animo tenebroso e il cuore nero l’orgoglio e l’arroganza e le paure.

a quella condizione d’infinita felicità che ottenebra il dolore, libera e non mai più triste e ferita.

Loquire con costanza sol d’amori o ricercare il male d’ogni cosa, è questo, in tempo pieno di dolori, in cui nel poetare non c’è posa, e quei che tien se stesso ser deluso non fa che sanguinare in ogni stanza, al vile suo intelletto solo aduso in canoscenza manca e sottiglianza. Se ancora la Ragion non v’ha confuso, chiedete al vostro cuor: «C’è ancor speranza?». In questa antica danza stimate più cortesi intendimenti o cronache d’atroci ferimenti?


Il Poëta dell’Autunno

(di Massimiliano Zaino di Lavezzaro) Canzone-sonetto Ballata romantica a Schema nuovo, con Inversione delle Rime, con tre Quartine in Polimetro e tre Quartine saffiche, e con Caudo classico finale Eternamente scialbo ‘l ciel si giace, e l’alba è lenta e torva, e ‘l vespro svelto di cupe forme veste, e canta un Celto coll’arpa infausta e cruda la lagnanza che ‘l cardo, e ‘l vento e i fior invita a danza, e nel tramonto l’eco ormai si tace. Così al morir del Sole e al truce aspetto delle tenebre eterne, e a’ monti e agl’ermi e a’ inquieti sassi e inermi e al cippo gretto, e al villaggio silente e al muto tetto e con quest’occhi fermi febbrilmente mi volgo, e a’ cupi germi dell’aër schietto. Così al ciel, alla Luna, e al suo cospetto bianca larva d’argento e scialbi vermi gli ansiosi guardi e infermi rivolgo; e un detto dal smorto labbro n’esce, e di tormento a’ campi insani e amari e rei e mietuti ferocemente geme, e in turbamento a’ salci muti; e alfin la pelle n’ode ‘l fiero vento, e l’occhio in pianto scorge i fior caduti, e nell’autunno, o Notte, un vil spavento dovunque incuti. Allor nel mite gelo che vien lento e in su’i pini e i carpin alfin perduti tenendo in cor - e tanto - un patimento soffio a’ miei liuti. Ma amaro m’è in su’i campi ‘l cener cupo, presso gli arsi covoni, e i secchi rivi, e m’opprimon le brume, e ‘l negro lupo

e i freddi clivi, e in su’i sepolcri antichi e su’un dirupo quest’occhi son di pianto - e ognor - sorgivi; e vagolando quivi come un bardo ne canto e molle e orbata all’autunnale Notte una ballata. Un giorno in quest’autunno un uom soffrente dell’Estate sen stava al cimitero, e in sull’attiguo e tristo monastero col cieco vischio e ‘l salce e colla ghianda pietosamente fea gentil ghirlanda, e coll’erbe gelate e colle mente. Ne canterò di lui che uccise un fiore, allorquando intrecciava un pegno insano, e ‘l posava a una tomba, inquieta mano, e ‘l pianto gli era amico in mezzo al core. L’acciaro ne brandì, e ‘l fior ne recise, e l’ansia linfa andava, e fu vitale, e di sangue le mani or sempre intrise e in strazio ne mostrava e al maëstrale, e al sasso oscuro e mesto e sepolcrale i petali recisi e al suol posava, e una nenia feroce al ciel lagnava, e tristo s’inquietava e in reo dolore. Così l’ansia ghirlanda a questa fossa quest’ombra che gemeva a stento pose, intrecciate tra lor perfin le rose, e co’ petali estremi ‘l ciel estivo nell’autunno ei piangeva, e presso un rivo anche l’aura ne fu - e nel cor! - commossa. Ho cantato di lui che uccise un fiore, allorquando intrecciava un pegno insano, e ‘l posava a una tomba, inquieta mano, e ‘l pianto gli era amico in mezzo al core;


e soffriva d’Amore, e l’Estate dormiva in tomba arcana, avvolta nelle brine, e spenta e vana, e intorno ed insapore come ‘l ghigno fremente e bieco d’Unno, atrocemente v’era ‘l sol autunno, e nelle selve more che la Notte copriva e all’orno e al cardo vêr l’Ignoto riedeva ‘l mesto bardo. Or che cantai quest’ode io son Poëta degli autunnal istanti e della sera, melanconico in core e in terra fiera, e come un fior ghiacciato io son solingo, eternamente in duolo, e vo’ ramingo, e sempre l’alma in petto va e s’inquieta. Ma pur dolci mi sono queste foglie, e queste dolci tinte impallidite, quest’acero ramato e ‘l salce in doglie e ‘l tiglio mite, e di riso ‘l granel che al campo toglie la falce, e queste ripe ormai assopite, e i cadenti carpin, le querce spoglie a’ vie smarrite. Allor tra ‘l gaudio e ‘l sdegno in ciel respiro l’incantevole labbro in vento molle del verno che verrà, e lontano ammiro un cupo colle, e in quest’aër confuso e qui sospiro, come ‘l fumo al camin che inquieto or bolle; e vien la brina folle, come la Luna in cielo, ‘l bianco a’ campi, e tu d’argento, oh ramo, e tu n’avvampi!

Nota esplicativa dell’autore. Canzone-sonetto una mia invenzione: tre quartine con alternanza di endecasillabi, settenari e quinari e con alternanza delle rime a schema AbB(a) BaA(b) AbB(a) e con due terzine a schema CdC dC(d) con la possibilità di un Caudo normale e classico. Alcune mie più complesse varianti aggiungono spesso dopo le tre quartine altre due Quartine in stile saffico a schema EFE(f) EFE(f). Altre varianti aggiungono poi altre due quartine normali GHGH GHGH. Spesso tra una tipologia di quartina e l'altra aggiungo un caudo. Cosicchè la mia Canzone-sonetto più complessa ha uno schema così: AbB(a) BaA(b) AbB(a) aCC DED(e) DED(e) dFF GHGH GHGH hII LmL mL(m) mNN per un totale di 46 versi circa.


Ottobre

(di Massimiliano Zaino di Lavezzaro) Canzone-sonetto con Inversione delle Rime, con tre Quartine in Polimetro, tre Quartine saffiche, due Quartine classiche e con Caudo classico finale Alfin l’arsa campagna in ansie muore, e ‘l ciel presto s’oscura, e giacciono ai carpin della radura le foglie, e un fiore

Quest’è dunque l’istante or della sera, e ‘l sacro bronzo geme, e ‘l vento dell’autunno in posse ‘l teme, e la preghiera

nel vèspero si gela, e l’aura oscura nel tristo tenebrore un freddo vento irrora, e ‘l truce umore della Natura

dalla pieve risòna e l’alta speme nella divina sfera all’ara e santa e ligia e pia s’incera, e a’ salmi insieme

la bianca brina stilla, e ‘l cacciatore dal bosco e dall’altura la vittima ne porta e in bieca cura, e in fier dolore;

del fedele ‘l desiro or forse avvera, e una membranza freme e in pianto e in lagne e in grida e dolce preme la diurna fiera;

e tra’i nembi ‘l grigiore dell’autunno si mostra e i campi inghiotte tra l’albe brume orrende e l’orba Notte.

e nella Notte nera e nel notturno volto e insano e immenso dalla chiesa s’espande un fior d’incenso.

Allor la strige canta, e al pioppo nero che ‘l fogliame ne piagne in duol ferino infreddolito un lupo or geme altèro, e al muto pino,

Frattanto ogni ansia foglia impallidisce, e ‘l pioppo è falbo e cupo, e ‘l tiglio ha fame, e l’acero gemendo or s’appassisce e l’alte fronde tinge in fioco rame,

e ‘l salce a un fonte giace, e ignudo e chino tra’i rami ne ricopre e in reo mistero un funesto recinto, e un cardellino, e un cimitero,

e quest’ottobre insano già finisce, e novembre sen viene e ‘l reo fogliame col pianto de’i defunti ne colpisce, delle vedove e meste e inquiete dame.

e l’orizzonte è un scialbo e smorto cero, e pallido si tace e un lumicino da un sepolcro s’irrora, e ‘l spettro fiero grida; e al Destino

Allora io qui ne gemo, e i campi ammiro, e l’arsa paglia fresca, e gli arboscelli ignudi della pesca, e ne sospiro,

sen va de’i morti - e in fino cadaverica e cupa e l’orba Luna nel nembo ch’è una bara ombrosa e bruna.

e pe’i boschi m’aggiro, e ne contemplo la desolazione, melanconicamente ‘l fosco cielo, e del morente melo le fronde prone,


e in un recordo dolce ancor ne giro, un volto che m’adesca, la sorridente fronte che donnesca or m’è martiro, e nel meschin respiro questo mio core va in palpitazione, ed ella fia l’Estate, e un caldo velo, e m’ispira nel gelo una canzone. Ma quest’ottobre oscuro è tanto forte che dal labbro mi toglie ‘l gaudio ameno, e come in mar crudele e all’onde assorte quest’allegria del core or mi vien meno, e quivi ormai n’affogo, e sento Morte nel cupo firmamento, un bieco seno; e l’autunno è veleno, e nel suo vel ne trovo un Sentimento, indefinito e arcano, e un turbamento, e all’appassito fieno, e a’ smorti tigli e agli orni e a’ campi in pire ne vò parlar ma ignoro or cosa dire, e al tramonto mi sveno, un desio mi serpeggia in mezzo al core, forse paüra insana, o forse Amore…. E tu… e tu, oh dolce fiore! Or nell’autunno pasco la tua assenza… nell’orizzonte un senso or d’impotenza, e ora m’è ‘l labbro muto, e quel che dir non riesco, ‘l dica ‘l liuto!


Inquietudine in una Sera d’Autunno (di Massimiliano Zaino di Lavezzaro)

Canzone-sonetto con Inversione delle Rime, con tre Quartine in Polimetro, tre Quartine saffiche, due Quartine classiche e con Caudo classico finale -

Indefinito ‘l vespro si taceva, e ‘l nembo s’oscurava, e fiocamente in ciel la Luna andava, e ne fremeva

Così lontan n’andavo, e in sulla sera alla Luna or volgevo, e cupamente muto ne gemevo, e una preghiera

la cesia bruma a’ tetti, e ‘l vento urlava cotanto che pareva un latrato feroce, e l’eco ardeva, e si velava

all’Ecate tremenda e bieca e altèra spasimando fremevo, e ‘l ciel notturno e insano ne scorgevo in scialba cera.

l’orizzonte nebbioso, e ‘l guardo aveva d’un spettro che balzava dal freddo e muto avello, e singhiozzava e si gemeva;

Ell’era meco! E tacque insonne ‘l core, e ‘l silenzio regnava, e ‘l petto ardente or mesto s’inquietava e per timore in inquieti sospir non dissi niente,

e l’ansia si schiudeva nella Notte fatale e inquieta e bruna, e in su’i boschi, e in su’i rivi e in su’ una cuna.

e io, invece, ne bramavo un po’ d’Amore io, nel sogno fatale - e mestamente co’ tristi passi andavo in su’un dolore che crudo mi straziava in fin la mente;

Eppur a me un recordo impallidiva del trapassato maggio e dell’Estate, e febbrilmente in core trasaliva, e l’ansimate e vane e triste spemi e l’inquietate m’andavano le posse, e illividiva un mesto sogno e arcano - or forme alate e m’assopiva la Notte taciturna che gradiva le pene del Destino, e trucidate brame, e i sonni melliflui, e mi feriva, misero Vate; e le stagion dorate dell’arsa Primavera or rimembravo, e silenziosamente mi lagnavo.

e forse fui demente, nell’aëre funesto e silenzioso un singhiozzo represso e doloroso!.... Maggio nel petto ansante! In Notte cieca! Un tramonto ferino! La sventura fatal! La biblioteca! Vittima del Destino! La fiamma che non parla, e tace bieca! Addio, oh Divino! E tanto son meschino, e a terra allora giacio, e in mezzo al fango, e sempiternamente, in duol ne piango.


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