La scossa il manifesto (ultima versione) doc

Page 1

Il manifesto

L’Italia è un Paese immerso nel buio, vittima di un terribile black out di energie politiche, economiche e valoriali Un Paese stanco, rissoso e rassegnato al declino, che sembra aver smarrito il senso dell’interesse nazionale e del bene comune. Un Paese nel quale i giovani sono lasciati soli nella costruzione dei loro valori, in balìa di modelli che non premiano il merito, l’impegno, il rispetto delle regole e la trasparenza, ma che - al contrario - sembrano esaltare la scorciatoia, l’affiliazione, l’iper-individualismo. Un Paese nel quale le donne sono troppo spesso escluse dai percorsi di carriera e “vissute” alla luce di un paradigma culturale declinato al maschile. Un Paese nel quale l’asticella della legalità è a disposizione di interessi privati, in cui domina l’idea che tutto è possibile perché prima o poi anche l’illecito diventerà lecito. Un Paese nel quale dilaga l’irresponsabilità individuale, l’etica del dovere rischia di essere una scelta costosa e le conoscenze sono più importanti della conoscenza. Un Paese nel quale più del 70% degli italiani prova “disgusto, diffidenza e rabbia” nei confronti di quella classe politica che dovrebbe guidare uno sforzo straordinario di rilancio.

E’ inaccettabile per la nostra generazione - chiamata a gestire il presente e ancor più il futuro prossimo del Paese - che l’Italia si stia privando delle sue migliori energie e di gran parte del suo potenziale di crescita In Italia nessuno sembra preoccuparsi dell’immobilismo sociale. Oggi i giovani italiani non sono tutti uguali nei punti di partenza e nelle opportunità: le statistiche dimostrano che – ancora nel 2011 – i figli degli operai nella grande maggioranza dei casi diventano operai, i figli degli avvocati diventano avvocati, i figli dei docenti universitari diventano docenti universitari. Non funzionano in Italia né il sistema universitario, esempio clamoroso di meritocrazia negata, né l’accesso ai mestieri manuali, tecnici e artigiani – storico patrimonio del mondo del lavoro italiano - che negli ultimi decenni sono stati abbandonati dai nostri ragazzi, in nome del falso mito del lavoro intellettuale a tutti i costi. Ma una società immobile è incapace anche di integrare gli immigrati e di dar loro la speranza d’un futuro migliore. Oggi gli immigrati sono residenti di serie B e continueranno ad esserlo, finché non avremo il coraggio di ridurre il tempo necessario per concedere loro la cittadinanza, senza che ciò significhi rinunciare a chiedere il rispetto della nostra cultura e delle nostre leggi. Perché paradossalmente I figli degli immigrati nati in Italia, ai


quali è negata la cittadinanza fino alla maggiore età, si sentono spesso più italiani dei loro coetanei d’origine italiana che vivono all’estero, ma incredibilmente - pur avendo perduto ogni legame con l’Italia - sono chiamati a votare chi ci governerà. In una società siffatta, la vita rischia di essere una storia già scritta in partenza, al momento della nascita. Ma è questa la società che vogliamo?

La crisi di credibilità dell’Italia, che ha radici profonde, non è solo una questione politica. Ma alla classe politica sono clamorosamente mancate, finora, visioni ed energie per rilanciare il Paese Nell’era globale l’Italia ha già consumato la sua “rendita”, dopo un quindicennio di sostanziale immobilismo: nessuna scelta strategica, nessuna riforma coraggiosa, nessun tentativo di innovazione radicale. Eravamo un Paese che coltivava leadership. Oggi siamo un Paese che si consuma nelle followership. Ciò è accaduto anche perché il nostro Paese è stato la vittima più illustre nel mondo occidentale della “trappola del consenso”: in un sistema caratterizzato da una tornata elettorale all’anno, dalla debolezza dell’opinione pubblica, dalla mancanza della volontà di capire ed incontrare le esigenze della collettività e da un’esasperata mediatizzazione del confronto politico, paga molto di più la conservazione. In questo modo, l’Italia non riparte. Negli ultimi 15 anni l’andamento del PIL italiano è il peggiore dell’area OCSE e la nostra economia è oggi la “grande malata” dell’Occidente. Non c’è da sorprendersi, quindi, se il nostro Paese è vittima di una “crisi di credibilità” che ci ha trascinato violentemente nel gorgo della speculazione internazionale. Ma per quanto tempo ancora vogliamo tirare a campare, asserragliati in una drammatica trincea nella speranza di evitare l’uscita dalla zona euro?

Una scossa per riaccendere l’Italia e gli italiani L’Italia potrebbe tornare a crescere, perché ha energie vitali straordinarie: un’innata capacità d’innovazione di prodotto, un sistema industriale vivo e radicato sul territorio, famiglie solide e risparmiose, talenti e ricchezze che il mondo ci invidia. Per tradurre questa vitalità degli italiani in sviluppo del Paese, dobbiamo dare un forte impulso alla produttività dei fattori, all’occupazione e alla domanda interna. Dobbiamo accendere i riflettori sul ceto medio, in particolare sui lavoratori dipendenti del settore privato e di quello pubblico. Sono loro la risorsa-chiave per il rilancio dei nostri consumi e delle nostre aspettative verso il futuro. Eppure, nessuno se ne occupa. Oggi la middle class italiana è impoverita e sfiduciata, si sente tartassata e “tradita”, cerca e non trova una vera rappresentanza politica dei propri interessi. Dobbiamo recuperare il ruolo formativo della scuola, fin dall’inizio del percorso di studi, come luogo decisivo di creazione del senso critico e del pensiero civico, come laboratorio fondamentale del merito e straordinario strumento di competitività. Dobbiamo restituire ai cittadini la certezza di poter ricevere giustizia in tempi certi e ragionevoli, per dare nuova linfa e consistenza al senso di legalità. Dobbiamo diffondere la cultura della misurazione, perché la valutazione delle nostre azioni sia oggettiva, trasparente e soprattutto concreta.


Dobbiamo investire con determinazione sulle politiche per la natalità, in un Paese nel quale le donne sono costrette ancor oggi a scegliere tra maternità e lavoro. Inoltre, nessuno sembra più occuparsi del Mezzogiorno: stretto in una terribile morsa fatta di depressione culturale ed economica, pervasività delle criminalità organizzate e rassegnazione sociale, il Sud continua ad affidarsi solo a flussi di spesa pubblica sempre meno consistenti. Per farlo rinascere non c’è alternativa ad una strategia-shock fondata sulla leva fiscale, per attrarre nuovi capitali e nuovi imprenditori, e sull’abbattimento dell’immane zavorra dell’intermediazione politico-burocratica. Un Paese capace di produrre sviluppo si preoccupa e si occupa anche dei più poveri. Per far questo abbiamo bisogno di coniugare la sussidiarietà con la solidarietà, che anima ancora l'azione di molti italiani. C'è bisogno di puntare concretamente su associazioni di volontariato e di promozione sociale, perché sono soggetti capaci di interpretare e rispondere ai bisogni dei cittadini, specialmente di quelli più poveri. Al tempo stesso, l’Italia potrebbe e dovrebbe riprendere un ruolo-guida in Europa e nel Mediterraneo. Stiamo vivendo una fase in cui non possiamo solo chiedere all’Unione Europea aiuti finanziari, ma dobbiamo ricominciare a “dare” alla costruzione europea attenzione politica e coerenza di comportamenti. Noi amiamo l’Italia, ma non ci riconosciamo in questa Italia. Perché il nostro Paese ha bisogno di una scossa d’ambizione e d’orgoglio: l’ambizione di innovare e di pensare in grande, l’orgoglio di costruire qualcosa che non c’era. Perché il nostro Paese ha disperatamente bisogno di esempi credibili - di persone oneste in tutti i partiti, più che di “partiti degli onesti” - e di italiani che abbiano voglia di battersi per lasciare ai figli più speranze che debiti. Perché il nostro Paese deve ripensarsi e ritrovarsi come comunità nazionale, “dichiarando guerra” alla follia secessionista. E deve superare gli steccati corporativi e sociali. E’ meglio nuotare in un mare aperto, denso di nuove opportunità, che rimanere in un lago apparentemente rassicurante ma avviato ad un inarrestabile prosciugamento. Perché se esiste una generazione che può provare a dare la scossa all’Italia e agli italiani, è la nostra. Oggi siamo la classe anagrafica più numerosa e siamo l’unica generazione che può - al tempo stesso - immaginare qualcosa che vada oltre il quotidiano e mettere in campo le leve per realizzare il futuro. In tutto il mondo avanzato è la nostra generazione che sta dando la scossa. Perché non provarci anche in Italia?


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.