“La scossa del welfare aziendale” Il privato oltre il pubblico LE PROPOSTE
I. INTRODUZIONE In un’economia avanzata, il welfare aziendale dovrebbe svilupparsi come una naturale evoluzione degli interessi dell’impresa e dei propri dipendenti. Un’azienda puoò ricavarne un duplice beneficio, rispettivamente di tipo interno ed esterno. Sotto il profilo interno, una societaò che voglia essere competitiva sul mercato ha bisogno di motivare e rendere piuò produttiva la propria forza lavoro, dal top manager a scendere via via la scala gerarchica. Per questo, come dimostrano anche gli studi piuò recenti sulle applicazioni del welfare aziendale nelle realtaò piuò evolute (ad esempio, il Rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, dicembre 2011), le principali misure prese dalle imprese sono rivolte alla generalitaò dei propri dipendenti, in una chiave orizzontale (inclusiva) piuò che verticale (discriminatoria), laddove l’attrazione del talento, che eò pure un elemento fondamentale, passa maggiormente attraverso altri strumenti (principalmente monetari). Non si deve neppure trascurare come alcune di queste policy generino una riduzione dei costi (eò il caso del telelavoro, che non solo abbatte le spese di spostamento ma consente anche risparmi per le aziende, che possono prevedere sedi piuò piccole e minori costi di gestione). Ma non c’eò solo un fatto economico interno alle aziende. Sempre di piuò , buone politiche di welfare aziendale possono essere anche uno strumento di comunicazione e di marketing verso l’esterno, aumentando la reputazione complessiva, asset fondamentale soprattutto per le grandi aziende che si rivolgono al mercato consumer. La somma dei benefici interni ed esterni puoò essere significativa e rendere del tutto sostenibile l’investimento effettuato (oltre a generare in molti casi rilevanti esternalitaò positive per la societaò nel suo complesso). Ad esempio, una ricerca condotta qualche anno fa negli Stati Uniti ha dimostrato che le aziende piuò attente alla conciliazione lavoro-famiglia conseguono nell’arco di cinque anni
ritorni per gli azionisti del 22% piuò elevati rispetto a quelle che vi ripongono un’attenzione media e del 38% piuò alti rispetto a quelle che maggiormente trascurano questa tematica (Lau, 2000). Anche in Italia, si vanno diffondendo negli ultimi anni pratiche di welfare aziendale. Agli asili nido, una declinazione classica giaò in uso da tempo nelle realtaò private grandi e medio-grandi (e in tempi piuò recenti anche in quelle pubbliche), si vanno affiancando molti altri strumenti, che semplificando possono essere divisi in due macro-categorie: a. Flessibilitaò del lavoro (congedi, part-time, telelavoro, banca ore, ecc.) b. Servizi ai dipendenti e alle loro famiglie (spese sanitarie, polizze assicurative, servizi time-saving, servizi per l’infanzia, rette scolastiche e universitarie, ecc.) II. LE BEST PRACTICES Le 4 aziende multinazionali, alle quali abbiamo chiesto di raccontarci in maggior dettaglio le policy attuate in Italia nei confronti dei propri dipendenti, offrono un interessante microcosmo di esperienze in entrambe le aree di intervento. Nel campo della flessibilitaò del lavoro, c’eò ad esempio chi ha puntato decisamente sul telelavoro, prevedendo software ad hoc per facilitare la collaborazione da remoto e per abilitare videoconferenze di qualitaò elevata sul pc del singolo dipendente oppure supportando la connettivitaò in banda larga da casa (Microsoft); oppure sul lavoro part-time, opportunitaò che possono scegliere tutte le neo-mamme (Pernod Ricard). Per entrambe le imprese, ed eò anche la condizione per rendere sostenibile questo cambio di prospettiva, si eò reso indispensabile rivoluzionare l’organizzazione del lavoro: non piuò basato sulla presenza in ufficio ma sugli obiettivi da raggiungere da parte di ciascun dipendente. Rispetto ai servizi e benefit aziendali, particolarmente radicale eò stata l’opzione data ai propri dipendenti di trasformare fino al 70% della parte variabile del salario in un paniere ampio di beni e servizi a condizioni agevolate, dalle tasse scolastiche e universitarie alle prestazioni sanitarie e assicurative, fino ai libri scolastici e ai corsi di lingua (Vodafone). A partire dal 2012, in seguito a un accordo con le organizzazioni sindacali, eò partita l’iniziativa “Fiocco in rosa”, che fornisce supporto a 360 gradi (amministrativo, psicologico ed economico) alla maternitaò (TNT Post). Per i motivi elencati nell’introduzione, si puoò presumere che nei prossimi anni, compatibilmente con i tempi e la gravitaò della crisi economica che impatta in
maniera diversa su ciascuna realtaò produttiva, saranno sempre di piuò le aziende che anche in Italia offriranno ai propri dipendenti opzioni di welfare aziendale. Giaò oggi, alcune delle migliori esperienze nazionali si registrano in imprese a capitale italiano (es. Elica, Ferrero, Kiton, Luxottica, ecc.). Nelle realtaò piuò grandi, gli ostacoli appaiono piuò di carattere culturale che non finanziario. E’ il caso soprattutto della flessibilitaò del lavoro, che come detto impone un cambio radicale dell’organizzazione delle risorse umane e una capacitaò non solo e non tanto di implementazione iniziale ma soprattutto di direzione e di valutazione quotidiana, mensile e annuale dell’operato di ciascuna unitaò di lavoro da parte dei manager. Tuttavia, quando dalle grandi imprese si passa alle PMI, la prospettiva cambia, perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi. In quel caso, non solo gli ostacoli culturali aumentano di intensitaò , a causa di una minore esposizione a buone pratiche di HR, ma le barriere di carattere finanziario diventano piuò alte e piuò difficili da scalare. Si tratta di un macigno sulla strada di un’adozione di standard moderni di welfare aziendale, visto che le piccole e medie imprese costituiscono in Italia oltre il 95% delle aziende e occupano l’81,4% dei lavoratori del settore privato. Se a queste problematiche del settore privato aggiungiamo le difficoltaò finanziarie e organizzative che limitano l’adozione di questo modello nel settore pubblico, che impiega altri milioni di lavoratori, ci rendiamo conto che, senza interventi esterni, la flessibilitaò del lavoro e i servizi offerti ai dipendenti rischiano di rimanere fenomeni isolati, vere e proprie oasi nell’avanzante desertificazione delle risorse pubbliche e private dedicate al welfare. Con questo spirito abbiamo immaginato tre proposte che favoriscano la graduale adozione di modelli di welfare aziendale anche in realtaò diverse dalle grandi aziende. II. LE MISURE PROPOSTE 1. FAMILY AUDIT Il family audit eò uno strumento che permette da un lato di focalizzare l’attenzione dell’azienda sulle migliori misure che possano aumentare il benessere dei propri dipendenti, dall’altra, alla fine del percorso di implementazione, di valutare la qualitaò degli interventi effettuati e di poterla quindi certificare, in base al rispetto di determinati parametri. In questo momento, eò stata appena avviata una sperimentazione nazionale, promossa dal Dipartimento per le Politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri insieme alla Provincia di Trento, la prima istituzione a
dotarsi di linee guida sul family audit. In base a un avviso, pubblicato nel marzo 2012, sono state selezionate a partecipare alla sperimentazione 50 organizzazioni pubbliche e private. Naturalmente, si tratta di un progetto pilota, su piccola scala, che coinvolge una larga maggioranza di istituzioni pubbliche (in particolare piccoli Comuni) e cooperative. Poche le aziende presenti (tra queste, le piuò significative sono Enel, Nestleé , Holcim e ATM). Nella sperimentazione, cosìò come nell’esempio trentino, giaò partito da qualche tempo, la certificazione non daò luogo a vantaggi monetari. Se vogliamo che forme come il family audit, che sono potenzialmente un driver importante per la diffusione di buone pratiche di welfare aziendale, si diffondano occorre probabilmente prevedere, almeno per le realtaò mediopiccole, anche benefici di carattere monetario. Ad esempio, alle aziende si potrebbe chiedere la disponibilitaò a farsi valutare, e dunque a mettersi in gioco e ad appoggiare un sistema che certifichi la qualitaò della propria offerta di welfare presente e futura (secondo un Piano di attivitaò certificato), in cambio di benefici fiscali (sgravio IRES e/o IRAP) o di un punteggio aggiuntivo nei bandi pubblici. Il sistema potrebbe essere costruito e inizialmente gestito da un’amministrazione pubblica centrale (es. INPS), in attesa che possa nascere un mercato privato della certificazione (opportunamente vigilato), sulla falsariga di altri giaò esistenti (es. certificazione ambientale o contabile). Il family audit dovrebbe comprendere almeno i seguenti campi di indagine all’interno delle aziende: -
Congedi parentali Flessibilitaò dell’orario di lavoro Flessibilitaò del luogo di lavoro (es. telelavoro) Sistemi di accesso e di promozione non discriminanti rispetto alla genitorialitaò Servizi offerti (es. asili nido, attivitaò ricreative, assicurazione sanitaria) Contributi finanziari (es. voucher aziendali per baby-sitting, borse di studio ai figli dei dipendenti)
2. SVILUPPO DI FORME AGGREGATIVE DI SERVIZI DI WELFARE AZIENDALE (ES. ASILI NIDO E ALTRI SERVIZI PER L’INFANZIA) NELLE REALTAÀ LAVORATIVE MEDIO-PICCOLE A fronte di agevolazioni fiscali per le imprese e per i dipendenti, si dovrebbe incentivare la messa in comune di servizi rivolti ai dipendenti e ai loro figli, prevedendo forme di defiscalizzazione per strutture che abbiano una sufficiente
massa critica (per evitare sprechi in assenza di economie di scala minime). In alternativa, si potrebbero premiare le aziende che giaò offrono servizi ai propri dipendenti e che scelgono di aprirli alla comunitaò nella quale sono insediate (naturalmente non in forma gratuita ma ad esempio a rette almeno inferiori di una determinata percentuale al costo medio delle strutture private presenti nella zona, secondo apposite tabelle del comune di residenza). Concretamente, si potrebbero defiscalizzare i costi delle aziende fino al 50%, per un massimo di € 2000 l’anno per ciascun minore. 3. DIFFUSIONE DEL TELELAVORO Il telelavoro ha evidenti benefici per la societaò , oltre che per le aziende e per i dipendenti. Permette infatti di ridurre al minimo le congestioni (riducendo gli spostamenti o quantomeno spalmandoli nell’arco della giornata e della settimana), generando risparmi di tempo e benefici di carattere ambientale per l’intera comunitaò . In questo caso, le misure potrebbero essere di due tipi: - obbligare le aziende con un numero di dipendenti superiore a 50 di predisporre, secondo un format standard, un piano triennale che preveda azioni e obiettivi (facoltativi) di sviluppo del telelavoro. In questo modo, a fronte di costi decisamente limitati, ogni azienda sarebbe costretta a ripensare periodicamente la propria struttura organizzativa e a valutare soluzioni piuò efficienti. Le aziende piuò virtuose potrebbero utilizzare il piano come strumento di comunicazione interna e, in alcuni casi, anche esterna. - anche in questo caso, si potrebbero immaginare benefici di tipo monetario per le aziende che adottino in maniera massiccia piani di telelavoro, a parziale riconoscimento degli investimenti necessari iniziali (ad esempio, primo anno di connessione a banda larga, dotazione di computer portatili, software per la condivisione del lavoro e per videoconferenza, ecc.). Peraltro questo sostegno consentirebbe di aumentare sensibilmente il tasso di innovazione del Paese (ulteriore esternalitaò positiva), a prescindere dalle ricadute per l’azienda e per il singolo lavoratore.
IV. POSSIBILI MODALITAÀ DI COPERTURA FINANZIARIA Occorre distinguere una prospettiva di breve termine da una di lungo termine. E’ infatti probabile che nel medio-lungo periodo, la totalitaò se non una parte
significativa di questi costi possano essere ripagati dalla maggiore produttivitaò del lavoro e dai maggiori benefici sociali che comportano (in particolare, nel caso del telelavoro). Occorre anche ricordare che, ad esempio, la seconda misura potrebbe essere almeno in parte sostitutiva dell’espansione dei servizi pubblici per l’infanzia, richiesta dall’Europa e programmata dallo Stato, che ci vede in una situazione di pesante gap da colmare nei prossimi anni. Ciononostante, nel breve periodo i costi potrebbero essere significativi. Non si puoò dunque immaginare un’attuazione immediata su ampia scala delle tre misure proposte ma un percorso di implementazione graduale e modulare, in base alle disponibilitaò di bilancio. Tuttavia, vogliamo formulare un menu di ipotesi di intervento, al fine di rendere credibile l’adozione dei provvedimenti auspicati entro una tempistica ragionevole. Ad esempio, le prime due misure potrebbero essere finanziate mediante una o piuò delle seguenti modalitaò : a. nell’ambito della riduzione del cuneo fiscale e contributivo di cui si sta dibattendo in queste settimane parla da tempo e che dovrebbe realizzarsi grazie al processo di graduale spending review b. destinando una parte del budget disponibile relativo alla detassazione dei premi di produttivitaò c. infine, in un’ottica di piuò lungo periodo, si potrebbe immaginare un percorso piuò rapido di crescita dell’etaò pensionabile per le donne nel settore privato, devolvendo esplicitamente i benefici per le casse dello Stato almeno in parte in programmi di welfare aziendale (rivolti in misura importante alla conciliazione del lavoro femminile). Sarebbe anche da un punto di vista simbolico una misura equa e di grande rilevanza, purcheé naturalmente credibile e vincolante per lo Stato. Infine, relativamente alle misure monetarie in favore del telelavoro, si potrebbe attingere a una parte dei fondi per la banda larga e per l’attuazione dell’agenda digitale.