I GIOVANI ITALIANI: CHI LI HA VISTI? IL PIL MANCATO DI UNA GENERAZIONE FANTASMA
STRATEGIE e PROPOSTE •
I giovani italiani sono uno straordinario patrimonio sprecato: la loro esclusione è il più importante freno alla crescita in Italia
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L’immobilismo dell’ascensore sociale in Italia è la più grave forma di ingiustizia verso i giovani
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Liberiamoci dal “falso mito” dei bamboccioni: non possiamo più dare alibi alla politica per disinteressarsi dell’emergenza-giovani
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Mettiamo in campo un piano straordinario per i giovani italiani: assunzioni meno costose per le aziende, fondo di garanzia pubblico per il credito ai giovani precari, welfare progressivo (più soldi, più flessibilità)
Chi li ha visti? I giovani italiani sembrano tenersi a distanza, almeno per ora, dai fermenti rivoluzionari che stanno animando i loro coetanei su entrambe le sponde del Mediterraneo. Ma la mitezza e l’iper-individualismo dei nostri ragazzi non possono più essere - per la politica italiana - l’alibi di ferro dell’inazione sul fronte della lotta all’emarginazione economica e sociale delle generazioni 80 e 90. Perché le più recenti indagini sul sentiment dei giovani italiani dimostrano che l’asfissiante carenza di opportunità e il blocco dell’ascensore sociale stanno provocando il dilagare d’un pericoloso (e in parte inedito) sentimento di rassegnazione, sia nei confronti della propria condizione individuale di outsider che delle speranze di cambiamento del sistemaPaese. L’immobilismo sociale italiano è una grave forma di ingiustizia. Perché oggi i giovani italiani non sono tutti uguali: le statistiche dimostrano che – nel 2011 – i figli degli operai nella grande maggioranza dei casi diventeranno operai, i figli degli avvocati diventeranno avvocati, i figli dei docenti universitari diventeranno docenti 1
universitari. In questo tipo di società la vita rischia di essere una storia già scritta in partenza, al momento della nascita….. ma è questa la società che vogliamo? Nell’era della dissoluzione delle garanzie, i giovani italiani chiedono soprattutto opportunità (e non tanto certezze, come comunemente si crede). Ma per darle loro, è necessario liberarsi prima possibile di due falsi miti fuorvianti e pericolosi. Il primo è quello dei “bamboccioni”: in realtà, i giovani italiani non sono né meglio né peggio dei loro coetanei europei, ma oggi hanno meno sogni e meno opportunità. E la mistica dei “bamboccioni” rischia solo di giustificare l’immobilismo della politica italiana, che negli ultimi 10 anni non ha investito neanche un euro per i giovani. Il secondo falso mito è l’esistenza di un patto generazionale. In Italia un “equo trattamento” tra generazioni non esiste più da almeno 15 anni, a partire dalla riforma Dini del sistema previdenziale. Ma la “bilancia generazionale” negli ultimi anni è diventata ancor più squilibrata a danno dei giovani: la mancata riforma degli ammortizzatori sociali sta costringendo i nostri ragazzi ad affrontare un mercato del lavoro molto flessibile con strumenti di supporto e protezione molto rigidi. La politica italiana non può continuare ad ignorare l’emergenza-giovani: rischiamo seriamente di bruciare un’intera generazione, che vive nel “deserto” causato dal dissolvimento delle certezze tradizionali. Inoltre, l’Italia della crescita-lumaca non può permettersi di soffocare la spinta vitale dei suoi giovani e, in questo modo, di bruciare grandi quote di sviluppo potenziale del Paese. Oggi più che mai è urgente un piano straordinario per i giovani italiani, che metta in campo misure immediatamente efficaci per recuperare quindici anni di opportunità perdute. Ma la leva decisiva da attivare non è – come comunemente si crede - quella della redistribuzione dei diritti sul mercato del lavoro tra insider e outsider. Proposte affascinanti (almeno sul piano intellettuale) e ricche di proseliti come il “contratto unico” sarebbero molto complesse da tradurre in legge nel Parlamento attuale, ma soprattutto ridurrebbero la flessibilità del mercato del lavoro senza colpire il vero “nemico” dei giovani in cerca di posto fisso: l’eccessiva convenienza economica dei contratti flessibili rispetto a quelli a tempo indeterminato. Perché alle imprese italiane, oggi, non conviene assumere. La crisi di futuro dei nostri ragazzi si nasconde, infatti, dietro un numero pressoché dimenticato dal dibattito pubblico. Oggi, in Italia, solo il 22 per cento dei ragazzi con contratti precari ottengono nel corso dell’anno successivo un lavoro a tempo indeterminato: nel nostro Paese il tasso di trasformazione dei contratti temporanei in assunzioni è molto più basso che nel resto dell’Europa avanzata. E’ il terreno fiscale, dunque, e non quello dei diritti il grande campo di battaglia delle disparità generazionali. In concreto, è possibile mettere in campo – fin da subito - tre provvedimenti di grande efficacia e dall’alto valore simbolico. Tre proposte innovative, capaci di “invertire il ciclo” della politica italiana nei confronti dei giovani: da problema complesso e irrisolto a straordinaria risorsa per rilanciare l’economia italiana nei prossimi anni. Sono proposte che – se realizzate subito - potrebbero cambiare il destino di almeno due generazioni, prima che decidano di seguire la strada dei coetanei “ribelli” di Madrid. Eccole.
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Per la fascia più dinamica e innovativa dei giovani italiani – quelli che cercano una chance per migliorare la condizione dei padri - dobbiamo costruire un sistema di flessibilità “positiva”. Finora tutto il peso della flessibilità, infatti, è stato caricato sulle spalle dei giovani che entrano nel mercato del lavoro: la flessibilità per loro è stata solo un costo, uno svantaggio nei confronti di chi li ha preceduti. Ma per la Generazione Tuareg la flessibilità può diventare anche un vantaggio. •
In concreto, si potrebbe attivare un fondo di garanzia pubblico per spingere le banche a finanziare i giovani che – senza particolari garanzie familiari alle spalle - vogliano frequentare un master all’estero (sulla base di un curriculum scolastico brillante), aprire un’impresa (per realizzare una buona idea di business), comprarsi una casa (sulla base di un contratto precario). Questo fondo – che darebbe a 2 milioni di giovani lavoratori precari la possibilità di investire sul proprio futuro, con il supporto delle banche – costerebbe ogni anno soltanto 200 milioni di euro (la previsione è basata sul presupposto che usufruiscano del fondo, ogni anno, circa 200.000 giovani precari). Il fondo garantirebbe le banche esclusivamente nel caso di “fallimento” del finanziamento erogato ai giovani precari e, dunque, la sua presenza agirebbe come moltiplicatore degli investimenti delle banche a favore dei giovani italiani. Ma non è tutto. Il fondo si attiverebbe solo a favore delle banche che decidano di abbattere lo spread applicato ai giovani precari di almeno 300 punti-base. In questo modo il fondo offrirebbe ai nostri ragazzi una “doppia garanzia”: ¾ la possibilità di accedere ad un finanziamento, in situazioni nelle quali oggi il mercato non lo consente ¾ la certezza di pagare tassi d’interesse più bassi sule somme prese a prestito.
Per la maggior parte dei giovani italiani - quelli che cercano la certezza del posto fisso – mettiamo in campo altre due proposte innovative: •
Incentiviamo le imprese ad assumere, tagliando del 5% il cuneo fiscale sulle assunzioni degli under 35 Il contratto a tempo indeterminato dev’essere reso più conveniente in termini fiscali e previdenziali per l’azienda e per i lavoratori, alleggerendo - per i giovani fino a 35 anni - il peso fiscale e contributivo che grava sul lavoro dipendente. E’ possibile tagliare il cuneo fiscale del 5% rispetto al peso attuale (costo dell’operazione 4.2 miliardi di euro). E’ l’unica soluzione concreta per affrontare il punto debole del lavoro italiano: il tasso di trasformazione dei contratti a tempo determinato in assunzioni è molto più basso che nei principali Paesi europei. Perché non possiamo permetterci una società di precari a tempo indeterminato.
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Realizziamo un modello di welfare progressivo: più soldi, più opportunità Per riequilibrare un mercato del lavoro “duale” ed ancora troppo iniquo, per dare una risposta ai tanti giovani italiani altamente qualificati che stanno 3
cercando all’estero un percorso di affermazione personale e per stimolare la dinamicità dei salari, costruiamo un rapporto di lavoro nel quale il livello di flessibilità dipende dall’entità del compenso che viene riconosciuto al lavoratore. Maggiore è la retribuzione, maggiore è la flessibilità disponibile. Per le professionalità più deboli - cui il mercato riserva i compensi più bassi - deve continuare ad operare il tradizionale Statuto dei lavoratori, incentrato sul modello del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (con limitate e qualificate eccezioni per il ricorso ai rapporti di lavoro temporanei). Al crescere dell’entità del compenso deve corrispondere, invece, una maggiore flessibilità che – salvaguardando la tutela dei diritti fondamentali del lavoratore - consenta al lavoratore ed all’azienda: a) una maggiore libertà di scelta tra le diverse tipologie contrattuali (anche tra lavoro autonomo e subordinato); b) la possibilità di personalizzare le tutele del lavoratore sulla base delle concrete esigenze delle parti che stipulano il contratto di lavoro. Con la realizzazione di un modello di welfare progressivo si eviterebbe di concentrare (come avviene oggi) alti livelli di flessibilità su soggetti privi di un reddito in grado di sostenerla e si incentiverebbe il sistema produttivo ad alzare il livello dei salari, per attivare le fasce di flessibilità richieste dalla produzione.
Quest’ultima proposta non ha un costo economico, perché agisce sul terreno dei diritti. Le prime due proposte definite da questo documento - il taglio del cuneo fiscale sul lavoro e la creazione di un fondo pubblico di garanzia per il credito ai giovani – hanno invece un costo rilevante e non possono essere finanziate in deficit, nell’era “rigorista” della gestione dei bilanci pubblici. Per trovare la “copertura” necessaria, la soluzione più giusta per gli italiani e più efficiente per il sistema-Paese risponde all’idea di ricostruire un livello accettabile di equità generazionale. Si può fare, proponendo uno scambio padri-figli: una riforma coraggiosa della previdenza, che elimini l’anomalia italiana delle pensioni d’anzianità, in cambio di investimenti sui giovani in grado di creare centinaia di migliaia di posti di lavoro in più a tempo indeterminato. In concreto, per finanziare gradualmente le prime due proposte esposte in precedenza, proponiamo di: • anticipare al 2012 l’obbligo del raggiungimento di quota 100 per andare in pensione, salvo naturalmente che per i lavori usuranti, in linea con quello che già accade nei principali Paesi europei. In questo modo si otterrebbero risparmi di spesa pari a 1,2 miliardi di euro nel 2012, 2 miliardi di euro nel 2013, 2,8 miliardi di euro nel 2014 e 3,5 miliardi di euro nel 2015. • anticipare al 2012 l’adeguamento dell’età pensionabile per le donne nel settore privato. In questo modo avremmo a disposizione nel 2015 – a regime – una “dote” di 5 miliardi di euro complessivi.
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