Zibaldone di architetture
Appunti per la progettazione
Francesco Fulvi Andrea Luccaroni Simona Bernardoni Francesca Bonafede Nada Balestri Claudia Cognigni Alessandro D’Amico Marco De Luigi Annamaria Draghetti
anno accademico 2012-2013 a cura di Francesca Bonafede e Simona Bernardoni
Parte Teorica
Quod agas, id agas. Ciò che fai, fallo di proposito.
(Plauto)
www.architettureinviaggio.it 1 I
prefazione
Questo libro non è un manuale. Non pretende di offrire soluzioni, non si occupa di stabilire principi fondamentali. In effetti, più che altro, pone problemi. Non è una raccolta di casi significativi, perché allora sarebbe sistematico ed esaustivo, e la completezza è figlia del tempo e del desiderio assurdo di porsene al di fuori. Si potrebbe allora chiamarlo il racconto imperfetto di un metodo. Il metodo è quello che il Prof. Giorgio Praderio ci ha trasmesso in oltre venti anni dei corsi di Composizione Architettonica all’Università di Bologna, senza la presunzione di realizzare una costruzione perfetta, al contrario con l’orgoglio per un lavoro aperto al confronto con il presente e con le persone. Tanto dobbiamo a chi ce ne ha resi parte operante.
II 2
indice la teoria il paesaggio: uno strumento di progetto....................................................................1 La concezione del paesaggio Paesaggio e ambiente
lo spazio dell’uomo nell’architettura.........................................................................6 Geometria e topologia Dilemmi e dualismi Livelli, articolazioni e trame spaziali Spazi remoti e spazi virtuali Dall’antica classicità all’attuale teatralità urbana
progetto a scala urbana...........................................................................................13 La scala delle osservazioni Come analizzare il territorio Un’utopia Intervenire sul territorio Parametri e standard urbanistici
progetto architettonico............................................................................................19 Gli aspetti da considerare Alcuni riferimenti normativi
Il progetto degli interni: affinità con gli esterni o sorprese e contrasti?....................27 concept e metafore progettuali...............................................................................30 Introduzione: che cos’è l’architettura? “Usare la tecnica per generare un’emozione” Il quid finale dell’opera L’architettura ci parla Leggere e scrivere l’ambiente che ci circonda
dall’analisi ambientale al dettaglio costruttivo: progetto per un ospedale pediatrico in Darfur...........................................................................................................47
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1 il paesaggio: uno strumento di progetto Giorgio Praderio
La concezione del paesaggio
Dall’ alto: John Constable, La Cattedrale di Salisbury, 1825. William Turner,Venezia dal canale della Giudecca, 1840.
Il paesaggio è un “valore costitutivo” della coscienza umana: un valore che, in quanto tale, non solo fa parte della nostra storia e della nostra sensibilità, ma deve continuare ad essere percepito e infuso attraverso l’azione umana e l’architettura, attraverso un corretto sentire e un corretto progettare. E’ dunque un tema che richiede la nostra partecipazione e la nostra responsabilità, per tutelare e salvaguardare gli aspetti della nostra stessa cultura. Non a caso, l’attenzione a un tema di così grande importanza ci viene imposta dalla normativa. Il tentativo è quello di salvaguardare un “bene culturale a carattere identitario” (come di fatto oggi il paesaggio è considerato), imponendo dei vincoli su di esso ma anche cogliendone le opportunità. L’ordinamento che per primo ha dato voce a questi aspetti di tutela in Italia è stata la Legge 1497/1939, “Protezioni delle bellezze naturali”, poi sostituita dal D.Lgs. 42/2004, “Codice dei beni culturali e del paesaggio” (o “Codice Urbani”). Con questo ordinamento, a seguito della Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, fu stabilito cosa si intende per paesaggio, in una definizione che, tradotta da alcuni studiosi, descrive il paesaggio come: “..una Zona o territorio, quale viene percepito dagli abitanti del luogo o dai visitatori, il cui aspetto o carattere derivano dalle azioni di fattori naturali e/o culturali (antropici)”. (da A. Giordano, “Per codice di progetto del paesaggio”, in “Frammenti di architettura e paesaggio”, 2006). Emilio Sereni, pioniere degli studi sul paesaggio agrario, ha elaborato a questo proposito una definizione sintetica, efficace e persuasiva: “Paesaggio agrario significa quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale” . (da E. Sereni, “Storia del paesaggio agrario italiano”, 1961). Le caratteristiche del paesaggio dipendono pertanto, da un lato dal quadro ambientale e, dall’altro, dalla peculiarità culturale della società che si è trovata ad operare in un dato contesto ambientale. Tale interazione va vista in modo dinamico a causa della continua evoluzione dovuta alle modifiche delle tecniche produttive che hanno variato conseguentemente le modalità con cui l’uomo si è approcciato all’ambiente naturale. 4
In alto: Adriaan van Stalbemt, Paesaggio, 1620 circa. A sinistra: Caspar David Friedrich, Abbazia nel querceto, 1810.
Dall’ alto: Veduta del Foro di Nerva, Veduta del Pantheon e Ricostruzione immaginaria della Via Appia, di G.Piranesi della seconda metà del 1700.
Forse non si può dare una definizione ontologica a una realtà in continuo movimento, che appartiene all’essere umano. Il concetto di paesaggio infatti ha a che fare con molteplici aspetti: l’architettura, l’ambiente antropico e naturale, la civiltà presente e passata, la dimensione percettiva individuale, che lo rendono una realtà in continua trasformazione, una realtà che non è solo un fatto materiale, e pertanto non definibile univocamente. Il tema è sempre stato oggetto di grande riflessione e suggestione, nelle diverse culture e nelle diverse epoche. Il paesaggio come “concetto” simbolico e descrittivo viene fatto risalire da alcuni al XIV secolo: sarebbe stato infatti Petrarca il primo a darne una rappresentazione poetica nei versi dell’ “Ascesa al Monte Ventoso”. Si pensi poi all’Inghilterra romantica di fine ‘700 e ’800: nei dipinti di Turner, come nelle opere di altri autori importanti, veniva colta e rivelata l’intatta forza espressiva della natura, di fronte alla quale la dimensione umana era ridotta a pura spettatrice: il paesaggio naturale era rappresentato come “sede” di eventi al di fuori da ogni controllo umano. L’epoca del “romanticismo” fu quella che diede luce anche alla riscoperta della dimensione del borgo: la parola stessa, paesaggio, ha origine dal francese paysage, che a sua volta deriva da pays, e indica l’aspetto di un luogo, l’insieme delle sue forme e delle interazioni fra di esse, e ne denota la dimensione pittoresca. In Francia l’approccio culturale al tema è stato diverso da quello inglese, per una caratteristica propria della cultura francese di seguire una linea improntata sull’urbanistica, soprattutto sulla geografia e sull’antropologia, e quindi di dare più importanza alla modellazione del territorio, sino all’arte dei giardini. In Italia la linea paesaggistica ha avuto un periodo fiorente in pittura, ma è stata compromessa nel corso degli anni a favore di un approccio normativo e pianificatorio. La pittura di paesaggio era una tradizione che a Napoli risaliva già alla metà del Seicento, e per tutto il secolo successivo ebbe molta importanza la raffigurazione di pittoreschi paesaggi, indirizzati al mercato dei turisti che avevano a Napoli una tappa obbligata del loro Grand Tour italiano, compiuto per ammirare il Vesuvio, gli scavi di Pompei e di Ercolano, le isole del golfo. Con l’esaurirsi di questo momento, verso la fine dell’800, il concetto di paesaggio fu pian piano 5
Da sinistra: paesaggio urbano nella piazza principale di Wroclaw, Polonia: i colori come immagine viva della Bassa Slesia, in contrasto alla periferia. A fianco: Catherine Mosbach, giardino botanico, Bordeaux.
Paesaggio e ambiente
In alto: Frank Lioyd Wright, Fallingwater, Pensilvania (USA), 1937: esempio dell’ideale di Wright di raggiungere l’armonizzazione dello spazio moderno con il paesaggio naturale.
ignorato e prevaricato da una concezione politica utopica. Le utopie urbanistiche nel XIX secolo diedero il via ad una “cultura territoriale” di politiche abitative, riforme e piani regolatori. Il paesaggio in tutto questo programma di pianificazioni veniva trascurato, tranne che per un aspetto: la sua salvaguardia in quanto “bene”. Tale salvaguardia ha portato però ad un errore di valutazione: il valore del paesaggio di fatto è stato confuso con il bene in sé, al solo scopo di vincolarlo in maniera quasi assoluta. Se però si intende il paesaggio come una realtà in continua evoluzione, e -come detto prima“contaminata” da molteplici aspetti culturali e antropici, occorrerebbe che il vincolo da apporvi fosse relativo, cioè che passasse attraverso una “concezione attiva” del bene, ponendo l’accento sul rapporto che si può instaurare tra l’osservatore e il paesaggio stesso che viene veduto, goduto e percepito. Parlando da progettisti, risulta fondamentale che, tra il paesaggio e il progetto, si riesca ad instaurare una relazione: se al progetto viene negata a prescindere la possibilità di vedere un bene, di godere di una vista che è tutelata, se ne deduce che la qualità stessa del bene, di quella vista, possa “sfumare”, al limite annullarsi. Il paesaggio è invece un bene anche in quanto è possibile usufruirne in questo modo: questo senso ne esalta la capacità percezione attraverso la memoria. Secondo queste riflessioni, dunque, il paesaggio è definibile non solo come un bene ma anche come un’ immagine del territorio, poiché se ne privilegia l’aspetto “vedutistico” e percettivo: è un’ immagine dell’ambiente rispetto al progetto, l’immagine che una persona ha del territorio in cui vive, insomma una raffinata estrapolazione del contesto, immaginifica. Il concetto però non si esaurisce in questo: attraverso un insieme di consapevolezze maturate nella società nel corso degli anni, e a riflessioni che hanno dato seguito a dibattiti di notevole peso politico e culturale, il tema è entrato a far parte della questione ambientale, ritenuta sempre più importante dalla nostra società e -di conseguenza- dalla nostra normativa. L’ambiente può essere definito come un processo, ideativo e costitutivo, di uso del territorio: dunque ha una natura ciclica, dinamica, anche personalizzata. 6
In alto: gli alberi di Bernard Lassus, Parigi 2002-2007.
Entrata a far parte di questa dimensione, la concezione di “paesaggio” ha rinunciato ad una dimensione puramente estetica/vedutistica per lasciare spazio a una concezione integrale, che ne considerasse non solo la salvaguardia e la tutela in termini assoluti, ma anche la gestione e la pianificazione, secondo un approccio organico. L’immagine del paesaggio in questo senso è diventata quella di un oggetto “scandito dal tempo”, in continua trasformazione ad opera di fattori interni, definibile come un modo di considerare, disciplinarmente e progettualmente, la dimensione dell’intorno di un oggetto, sotto l’aspetto integrale del ciclo di vita ambientale. Dal punto di vista normativo, l’attenzione al tema ambientale ha assunto un ruolo sempre più rilevante a partire dagli anni ’70-’80 del 1900, quando venne emessa la direttiva UE sulle valutazioni di impatto ambientale (VIA , “Valutazione di impatto ambientale”, o EIA, da Environmental Impact Assessment per gli anglosassoni), con cui fu stabilita la necessità di valutare gli effetti di tutte le azioni su un territorio, e di studiarne gli impatti ambientali e i possibili sistemi di mitigazione, prevedendo anche le dovute sanzioni (“chi inquina, paga”). La finalità di tale studio è stata quella di inquadrare eventuali modifiche al progetto iniziale, qualora necessarie, al fine di mitigarne gli effetti entro i limiti consentiti dalla legge, fino all’opzione do nothing, che prevede la non realizzazione dell’opera stessa. A tal fine venne stabilito di predisporre il quadro normativo della zona di intervento, il quadro ambientale delle risorse (relativo ad acqua, suolo, paesaggio) e il quadro progettuale in itinere. La questione paesaggistica inserita nel quadro ambientale ha introdotto dunque la nozione di progetto come “azione di trasformazione”, in quanto trasforma sia la parte fisica che gli usi di un territorio, e produce inevitabilmente degli effetti che devono essere mitigati. Il paesaggio in questo senso è un valore acquisito, che a sua volta fornisce un valore all’architettura, un valore aggiunto che ne determina anche un maggior peso economico. In alto: i giardini verticali opera di Patrick Blanc nel Caixa Forum di Herzog e De Meuron (Madrid, 2007) e nel Museo delle arti primitive di Jean Nouvel (Parigi, 2006).
L’architettura costruita è essa stessa un organismo in trasformazione, pulsante, dove interno ed esterno sono stati di equilibrio instabile e la relazione col paesaggio è in costante dialogo. Nell’architettura, come nel paesaggio, entra in gioco anche la dimensione percettiva-sensoriale: 7
In alto e a sinistra: la Casa del fascio a Como (G. Terragni) e il suo rapporto con il duomo : il paesaggio che entra nell’opera e l’opera che entra nel paesaggio.
In alto: Jean Nouvel, Fondazione Cartier, Parigi 2004: giochi di riflessi e trasparenze nei tre piani di vetro paralleli in facciata creano un dialogo mutevole con il paesaggio.
l’uomo ha la capacità aggiuntiva di andare oltre al visibile, di percepire l’invisibile, ciò che non c’è ma che è presente nel ricordo o nell’immaginario. Dati quattro punti, l’uomo ne vede il centro, ne vede le diagonali, anche se fisicamente sono presenti solo quei punti: l’uomo ha la capacità di completare quello che vede con un approccio dinamico e culturale. Il paesaggio rientra in queste dinamiche, poiché è un concetto legato anche alla memoria di un luogo, o all’immaginario fantastico o progettuale: ciò a dimostrazione del carattere identitario e allo stesso tempo mutevole che connota questo bene dalla molteciplità di ingredienti. Il concetto di paesaggio è dunque legato ai territori e allearchitetture, all’ambiente, alla cultura, alla società. Anche i parchi urbani, riserve e giardini, costituiscono una precisa forma di paesaggio: una forma che è definita in uno spazio limitato, e allo stesso tempo è al centro di un processo che -in quanto tale- è dinamico, ma allo stesso tempo predeterminato da uno specifico pensiero progettuale. Il tema del paesaggio è legato anche all’etica e all’estetica: l’uomo percepisce il suo legame con l’ambiente, legame caratterizzato da una armonia dinamica, e ha la capacità di concepire azioni in grado di mantenere in equilibrio questo legame. “L’agire etico riconduce l’uomo ad assumere la responsabilità dei suoi paesaggi attraverso l’arte. (..). L’indirizzo etico della caratteristica del territorio ci indica (…) la realizzazione di giardini e paesaggi come nuova e antica necessità umana e urbana, capace di offrire occasioni multiple, ampie e articolate, adatte a soddisfare molteplici richieste e bisogni individuali e collettivi di spazi vitali”. In alto: Bjarke Ingels (BIG), The mountain, Copenhagen 2008: progetto di edilizia (Massimo Venturi Ferriolo, “Il progetto tra etica ed estetica in Architettura del Paesaggio”).
residenziale intensiva e paesaggio virtuale. Paradigma tra meccanico e paramento artistico (natura e artificio).
Necessità urbana e umana: ecco da dove deve nascere un progetto, in qualità di “integrale” di tutte le variabili del sistema, compreso il paesaggio.
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2 lo spazio dell’uomo nell’architettura Giorgio Praderio
Geometria e topologia
In alto: Mies van der Rohe, Casa Farnsworth, Chicago, 1951. Lo spazio come relazione è la materia prima della composizione.
Il concetto di “spazio dell’uomo” può essere interpretato in modi diversi in base al punto di vista e al peso che si attribuisce ad esso. La nostra scuola riconosce a questo concetto un valore che lo rende uno dei componenti fondamentali dell’architettura; altre scuole invece lo considerano oggi come un concetto superato, che non ha un significato e un peso così determinante nell’architettura, dinnanzi all’irruzione di altri fattori o variabili (energia, media, ecc..). Anche fra quelli che riconoscono un valore allo spazio dell’uomo, è possibile individuare diversi accenti e interpretazioni di cui il denominatore comune è costituito dal concetto di “relazione” (spaziale), cioè dall’assumere lo spazio come fondamento per l’architettura nella versione link: una relazione che genera dualismi e quindi gerarchie. Il famoso storico dell’architettura Bruno Zevi, ha introdotto e dato peso allo spazio intendendolo proprio come relazione tra interno ed esterno, tra dentro e fuori, tra sopra e sotto, ecc., dunque accentuandone direzioni, movimenti, dinamiche: “L’architettura non deriva da una somma di larghezze, lunghezze e altezze degli elementi costruttivi che racchiudono lo spazio, ma proprio dal vuoto, dallo spazio racchiuso, dallo spazio interno in cui gli uomini camminano e vivono.. Lo spazio interno, quello spazio che... non può essere rappresentato compiutamente in nessuna forma, che non può essere appreso e vissuto se non per esperienza diretta, è il protagonista del fatto architettonico. Impossessarsi dello spazio, saperlo “vedere”, costituisce la chiave d’ingresso alla comprensione degli edifici.. L’esperienza spaziale propria dell’architettura si prolunga nella città, nelle strade e nelle piazze, nei vicoli e nei parchi, negli stadi e nei giardini, dovunque l’opera dell’uomo ha limitato dei “vuoti”, ha cioè creato degli spazi racchiusi.. Ora, dato che ogni volume edilizio, ogni scatola muraria costituisce un limite, una cesura nella continuità spaziale, è chiaro che ogni edificio collabora alla creazione di due spazi: gli spazi interni, definiti compiutamente dall’opera architettonica, e gli spazi esterni, o urbanistici, racchiusi entro quell’opera e le altre attigue”. (Bruno Zevi, “Saper Vedere l’Architettura”, 1948. Tratto dal capitolo “Lo spazio protagonista dell’architettura”).
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A sinistra: Renzo Piano, California Academy of Sciences, San Francisco. L’esaltazione del contesto nello spazio dà origine ad un progetto “mimetico”.
Nell’attuale fase postmoderna il link si tramuta in un’ “interfaccia”, già vetrina della modernità. E’ l’incalzare dell’approccio dei “network on line” a sua volta preludio al mondo gestionale. Dilemmi e dualismi
Il dilemma sull’interpretazione dello spazio come ambito confinato (cioè come pieno e vuoto, costruito e decostruito, tipico del decostruttivismo) o come relazione (collegamento) investe da sempre l’architettura. Il punto chiave sta nel considerare lo spazio come tendenzialmente statico (stanziale), radicato appunto nello spazio oltre che nel tempo o in movimento (dinamico, ubiquitario). “La geometria insegna le proprietà invarianti delle linee, delle superfici e dei corpi nello spazio. La geometria può aiutarci a capire come, in architettura, possiamo gestire il nostro rapporto con lo spazio. L’architettura conosce due possibilità fondamentali di creazione spaziale: il corpo chiuso che isola uno spazio all’interno, e il corpo aperto che racchiude una porzione spaziale connessa alla continuità infinita. Quando ci occupiamo dello spazio in qualità di architetti, ci occupiamo soltanto di una parte minima dello spazio infinito che abbraccia la terra. Ma all’interno di questo spazio infinito, ogni singola costruzione definisce un luogo”. (Peter Zumthor, “Pensare Architettura”). Il concetto di luogo (topologico) qui può essere inteso come un’estensione dello spazio (geometrico). L’ impostazione della nostra scuola rifugge dall’esaurirsi nelle definizioni precostituite e apodittiche che rischiano di portarci lungo strade ideologiche e letterarie. Preferiamo rifarci (risalire) all’esperienza che l’uomo conduce antropologicamente nell’architettura che “abita” e che essenzialmente è riconducibile ad un’esperienza (spaziale) tra SOGGETTI (persone), OGGETTI (cose) e AMBITI DI VITA (vissuti). Questo è dunque lo spazio come i cultori delle scienze umane lo descrivono (antropologi, geologi,..), essenzialmente come un vissuto umano che si esprime in ambiti riconoscibili e in qualche modo delimitati dove agiscono campi di forze (azioni e reazioni). 10
In alto, da sinistra: Tadao Ando, Fondazione Langen, Neuss, Germania. A destra: Norman Foster, Carré d’Art, Nimes, Francia. Il concetto di minimalismo nello spazio: l’architettura conduce l’uomo a fare una pausa e ad interrogarsi, fino a riprendere ed evocare gli archetipi classici in un linguaggio essenziale (ontologico).
Nella misura in cui questo è vero (la nostra scuola aderisce a questa concezione), lo spazio dell’uomo in architettura è proprio un’esperienza vitale tra persone,cose e ambiti da cui si apre la possibilità di descriverne i fondamenti e lineamenti secondo questo sistema, più o meno strutturato e reso inteleggibile di azioni e reazioni tra le parti, di effetti e contesti. Le interazioni acquistano senso per l’uomo (operatore, progettista, abitante) quando sono individuabili, non solo perché in possesso di una fisionomia distinguibile (ad esempio progetti di facciata), ma anche perché posseggono ed esprimono un proprio ordine (valori): rispondono al principio di economia (oggi sostenibilità) organizzandosi secondo strutture necessarie (costruzioni, sistemi di relazioni, ecc.), infine risolvendo gli interni dualismi (internalizzazioni ed esternalizzazioni). Tali fenomenologie, ben descritte dallo psicologo tedesco Rudolf Arnheim, sono alla base di meccanismi di approfondimento che caratterizzano l’uomo a partire dai suoi stadi infantili e che introducono l’approccio topologico invece che geometrico. “La geometria ci insegna che tre dimensioni bastano a definire la forma di qualsiasi solido e la collocazione relativa degli oggetti in qualsiasi momento dato.. Allo stadio della prima dimensione la concezione spaziale si limita al segno lineare. Non c’è specificazione della forma.. L’avvento della concezione bidimensionale reca due apporti preziosi: l’estensione nello spazio e.. la caratterizzazione della distanza.. Lo spazio tridimensionale offre infine una libertà completa: delle forme che si estendono in tutte le direzioni percepibili, illimitate possibilità di disposizione degli oggetti, mobilità totale pari a quella della rondine.. Anche un semplice punto luminoso che si muove avanti e indietro nel buio, o un punto animato che scorre su uno schermo vuoto si percepiscono come attivi nello spazio pieno e in relazione a quello spazio”. (Rudolf Arnheim, “Arte e percezione visiva”). Livelli, articolazioni e trame spaziali
La descrizione dello spazio può essere affrontata per livelli o articolazioni interne, partendo dai suoi oggetti interni, dalle loro traiettorie nei processi integrati di uso e consumo (impossessamento nel tempo), fino ad arrivare alla “scatola” dell’architettura. 11
A sinistra: il livello degli oggetti, lo spazio percepibile da oggetti e persone. Più in basso: due immagini dei grandi magazzini Harrods di Londra.
A sinistra: il livello dell’uomo, lo spazio come “abito”.
Molti partono impropriamente dalla definizione di quella che è la “scatola”, ovvero dalle regole geometriche che definiscono lo spazio confinato. Secondo la nostra concezione invece l’uomo è al centro topologico dello spazio. Per questo a noi interessa rappresentare in primo luogo le persone, i gruppi, la massa critica pulsante posizionata nel paesaggio, che si relaziona con gli oggetti, con gli arredi. Il tutto è poi delimitato (distingubile) da un confine “nebuloso”, cioè quel qualcosa che confluisce nella “scatola” confinata. Possiamo definire quindi diversi livelli di progressivo avvicinamento all’architettura allargando sempre di più la scala di osservazione: 1_ Livello dell’uomo, che corrisponde al primo modo di risolvere i problemi dell’architettura. Lo spazio è visto come “abito”, come pelle esterna al corpo umano che è in grado di definire un primo confine tra l’uomo e l’intorno. In base alle condizioni climatiche, alle situazioni estreme o in base a necessità. Ci si veste in modi diversi e appropriati, risolvendo così il primo livello dello spazio: l’abito è utilizzato come moda, come sicurezza, come divisa, come icona, ecc. 2_ Livello della “capsula”, cioè quell’ambiente minimo che è in grado di creare comfort o protezione ambientale per l’uomo. E’ il muletto, la cabina della gru in cui si crea un microclima interno riscaldato per gli operai; per gli automobilisti è l’auto ecc. 3_ Livello degli oggetti, della merceologia, dell’arredo, delle “utilities”. Questo è il livello che si percepisce all’interno dei grandi centri commerciali, dove non ci si rende conto della dimensione “confinata” dello spazio ma solo degli oggetti presenti e delle persone (addetti, visitatori..) che lo “popolano” e delimitano. E’ uno spazio che contraddice la definizione di “scatola” proprio perché i confini non si riescono ad individuare. Questo livello di rappresentazione dello spazio è interessante per la nozione intrinseca di ordine e struttura organizzativa. Esistono infatti due livelli di ordine: un ordine “anonimo”, di stivaggio, in cui vi è un metodico deposito di prodotti, e un ordine intelligente-metaforico dove tramite una metafora o un’atmosfera si riconoscono gli oggetti. Un esempio di questo ordine “intelligente” è quello dei grandi magazzini Harrods a Londra. Lo stesso principio di ordine e di ambienti dove si rievoca un’atmosfera, un mondo, una metafora, 12
A sinistra e in alto: il livello degli oggetti, lil Museo di storia naturale a New York.
si può trovare nei musei anglosassoni. Nel Museo di storia naturale di New York, per esempio, diversamente dai tipici musei Italiani, sono allestite vetrine che rappresentano ambienti integrali (cicli, ecosistemi, ecc..) con animali ricostruiti insieme al loro ambiente originario, all’ecosistema che li rappresenta. Non sono quindi esposti solo oggetti ma rappresentati in senso metaforico oggetti stessi con il loro habitat in una messa in scena teatrale, in una struttura figurativa e percettiva dello spazio. A questo livello lo spazio è quindi rappresentato come “integrale” degli oggetti che lo rappresentano, e questa integrazione fa in modo che gli oggetti trasmettano atmosfere e metafore o addirittura universi (mondi). 4_ Livello dello spazio confinato (casa, costruzione, edificio) posizionato nel contesto. Lo spazio confinato è quello che tende ad esaurire gran parte delle teorie architettoniche. Questo livello corrisponde al soddisfacimento dei bisogni che prima venivano affrontati (dall’abito e dagli oggetti), e che ora vengono svolti dalla costruzione intesa come “oggetto edilizio organizzato” per realizzare un “range” di motivazioni, esigenze e comfort. Nello spazio confinato, nella costruzione che gli è propria (che è proprio il costruire, un “mettere insieme le parti”), si fanno avanti diversi concetti come l’ordine funzionale, la struttura statico-costruttiva, il sistema, la sicurezza come elementi più concreti di quelli dei livelli precedenti. Questo livello comprende infatti strutture e sistemi, non solo oggetti in quantità variabile (dal minimalismo maturo al “collezionismo” sfrenato di oggetti) con cui si relaziona l’uomo: tavoli, mobili, quadri, ma anche muri, porte, finestre. Le finestre possono essere intese come “quadri funzionali”, che insieme ai quadri veri e propri, compongono la quinta dell’ambiente interno e insieme contribuiscono a creare uno sguardo verso lo spazio e oltre: le finestre sono l’elemento utile per uno sguardo verso l’esterno, verso il circostante, mentre i quadri permettono uno sguardo verso il passato o il futuro. Un chiaro esempio di questo binomio è la Cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp di Le Corbusier, dove le finestre hanno un significato estetico e metafisico. 5_ Livello dello spazio circostante, degli esterni, dei giardini, di tutto ciò che circonda l’edificio, che si vede. E’ la dimensione contestuale, che oggi ha acquistato particolare rilevanza, in una logica più che convincente di estrapolazione della stessa nozione di spazio abitato. 13
In alto: Cino Zucchi, vista da Ovest degli interventi residenziali all’isola della Giudecca, Venezia. Particolarità delle aperture nel livello dello spazio confinato: la partitura c è contraddistinta da variazioni di allineamento, dimensione, foggia, da variazioni materiche e di posizione rispetto al filo di facciata.
A sinistra: il livello dello spazio confinato, “finestre” e “quadri” nell’edificio di Wilhelmson Arkitekter ad Helsingborg, Svezia. In alto: finestre con significato estetico e metafisico nella Cappella di Notre Dame du Haut a Ronchamp, di Le Corbusier.
6_ Livello del paesaggio lontano, di ciò che si avverte e si percepisce anche se non si vede. E’ l’ infinito. E’ il concetto di percezione che hanno i credenti con la fede, o quello di cui parla Leopardi nella poesia “L’ Infinito”, e comunque visioni e convinzioni che si traducono o discendono da una concezione urbana. Spazi remoti e spazi virtuali
Dall’antica urbana
classicità
all’attuale
teatralità
I livelli in cui è scomponibile lo spazio, nel loro ordine e/o disordine intrinseco, si sovrappongono e si compenetrano tra loro creando quel sistema di relazioni (dualismi e contrasti) che caratterizza lo spazio per l’uomo, oggi. Non solo, la nozione di spazio si apre e si estende rispetto alle chiusure del passato, è alla base di modi di intendere le architetture e le stesse città. (architetture di pietra, architetture liquide, ecc..). Il concetto di spazio, inteso per livelli di consapevolezze e conferimenti di ordine (valore) sempre più complessi, si arricchisce infatti di riferimenti metafisici, poetici e culturali (paradigmi, ecosistemi, ambienti) che corrispondono ai diversi “tagli” (visioni) che si danno all’architettura. In questa narrazione abbiamo privilegiato il rapporto relazionale tra entità variamente intese cioè secondo il modo moderno di intendere lo spazio come componente fondamentale dell’architettura. Lo spazio dunque risulta centrale nella nostra scuola avendo come livello costitutivo inferiore “gli interni” e come completamento d’ordine superiore il contesto esteriore cioè il profilo ambientale (i processi di trasformazione delle risorse) nel quale gli spazi si collocano come forma evoluta di intendere del contesto, dall’assimilazione al contrasto e/o mimesi. La nozione di spazio ha avuto un impoverimento nel tempo dovuto al macchinismo della modernità. La metamorfosi che aveva sorretto l’architettura è stata infatti quella del macchinismo abitativo e di “diagrammi a blocchi”, che ora sono entrati in crisi e vengono sostituiti da tendenze che coinvolgono e ampliano il concetto di spazio. Possiamo citare: -L’esaltazione del contesto e dell’ambiente: il progetto consiste in un “progetto ambientale”, a cui l’oggetto architettonico si adatta e può essere conseguenza, trasformarsi in progetto “mimetico”. -Il decostruttivismo: la costruzione viene “smontata” e ridotta ai suoi concetti minimi costitutivi. 14
A sinistra: Thom Mayne, New Academic Building, The Cooper Union for the Advancement of Science and Art, New York: lo spazio decostruito, con le “trame di rottura” che lo scolpiscono in modo antimonumentale e anticlassico.
La spazialità viene legata al frammento decostruito. E’ quel che succede nella scuola americana che, nelle sue esasperazioni, arriva a diventarere nichilismo, pessimismo, attesa del “big bang”. Il californiano Thom Mayne vive la crisi di Los Angeles e la riflette nella sua architettura: “L’idea del futuro è morta! Ora sappiamo che il mondo cambia in modi del tutto imprevedibili e che ogni atto umano rende l’aspetto del futuro completamente differente. Quindi è inutile elaborare idee per il futuro. Come architetto, ho bisogno di una visione del mondo? Ovviamente sì! Ma questa visione non si estende più in là di domani” (Thom Mayne). -Il minimalismo: l’architettura diventa quella “dei più e dei meno”. L’uomo è condotto a percorrere lo spazio, a fare una pausa e ad interrogarsi. -La tendenza ludico - fantastica - ricreativa: è quella che si legge ad esempio nel progetto dei parchi tematici, dei fumetti che vengono proposti come città futuribili (Cartoonia,ecc). Tutte queste tendenze corrispondono alle motivazioni primarie che l’uomo sente, ai suoi bisogni umani, e all’appagamento personalizzao dei propri sogni.
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3 progetto a scala urbana
La scala delle osservazioni
In alto: Richard Rogers, Deptford: analisi dei sistemi ambientali, delle connessioni e delle funzioni dell’area di progetto
“Non vedo differenza fra architettura e urbanistica, tra il progetto urbano e il progetto di un singolo edificio anche se ovviamente la scala delle osservazioni è diversa. Una delle grandi questioni e dei problemi che ha incontrato la gestione del territorio, cioè l’urbanistica …. è che il planning è sempre stato pensato, erroneamente, in due dimensioni. Una sorta di amnesia dello spazio per cui per molto tempo si è pensato che fosse sufficiente nella trasformazione delle dinamiche urbane pensare che il compito del progetto si esaurisse in un ruolo politicosociologico e nell’individuazione di strategie distributive delle funzioni, mentre è evidente che l’architetto e conseguentemente la città hanno necessità di una riflessione e di una azione legata all’aspetto morfologico”. (Richard Rogers, intervista). Appare chiaro che il progetto urbanistico e quello architettonico siano rappresentazioni a scale diverse, e quindi con livelli di dettaglio diversi, ma che il progetto urbano abbia in sé anche quello architettonico, e viceversa. Pertanto non si può prescindere da uno o dall’altro quando si interviene nel territorio. Comprendere le trame che realizzano un tessuto urbano, fatto di direttrici, di settori, di connessioni, di centri propulsori e di realtà degradate, è fondamentale per potere intervenire su di esso. Occorre un’analisi preliminare che sappia guardare a 360 gradi il tessuto nei suoi molteplici aspetti: fisici, morfologici, sociali e culturali, per capire le dinamiche che hanno dato vita alla realtà urbana, e che continuamente la modificano, e comprendere quali siano le risorse e le opportunità da fare emergere. Il progetto ha lo scopo di partecipare alla realtà in cui si colloca, plasmandola in base alle esigenze e alle opportunità presenti, costituendo così una sorta di “tassello mancante” di questo enorme puzzle in continuo evolversi che è il territorio. Le esigenze di un progetto non devono soddisfare meramente gli utenti attuali ma occorre guardare in prospettiva le scelte che verranno fatte nel tempo, i mutamenti sociali e culturali che connotano la realtà urbana.
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A sinistra e in basso: Richard Rogers, Arts Quarter Chelmsford: analisi a scala urbana dell’area di progetto che evidenzia le principali direttrici, naturali e artificiali, e analisi a scala ridotta per connotare più nel dettaglio criticità e potenzialità dell’area di intervento.
Come analizzare il territorio
Un metodo efficace, al fine di realizzare un progetto che si inserisca in maniera equilibrata e integrata, è costituito dall’approccio di lettura e di rilievo della situazione attuale. E’ più semplice operare in negativo: descrivere e analizzare criticamente lo stato di fatto, per conoscere la qualità del luogo e fare emergere ogni aspetto prestazionale, attraverso una chiara lettura che scomponga la complessità del costruito in differenti campi di analisi, per poi delineare una proposta in accordo al “genius loci”. Desiderio di identificazione, bisogni di appartenenza, sentimenti di libertà e mobilità, richieste di privacy: sono elementi che intervengono nel definire delle situazioni urbane come luoghi o come probabili luoghi. I cittadini sono desiderosi di vivere in un luogo, inteso come realtà partecipata, che sia accessibile, fruibile, confortevole; che l’ambiente antropizzato sia predisposto ad essere fruito, abitato, vissuto da tutte le popolazioni, di tutte le fasce di età; che si ristabilisca il rapporto con lo spazio pubblico, e che la città imponga al suo interno criteri di intervento sostenibili.
Un’utopia
“Sul pianeta Beh hanno inventato un marciapiede mobile che gira tutt’intorno alla città. Come la scala mobile, insomma: soltanto che non è una scala, ma un marciapiede, e si muove a piccola velocità, per dare alla gente il tempo di guardare le vetrine e per non far perdere l’equilibrio a quelli che debbono scendere e salire. Sul marciapiede ci sono anche delle panchine, per quelli che vogliono viaggiare seduti, specialmente vecchietti e signore con la sporta della spesa. I vecchietti, quando si sono stancati di stare ai giardini pubblici e di guardare sempre lo stesso albero, vanno a fare una crociera sui marciapiedi. Stanno comodi e beati. Chi legge il giornale, chi fuma il sigaro, si riposano. Grazie all’invenzione dei questo marciapiede sono stati aboliti i tram, i filobus e le automobili. La strada c’è ancora ma è vuota, e serve ai bambini per giocarci alla palla, e se un vigile urbano tenta di portargliela via, prende la multa”. (Gianni Rodari, Favole al telefono, 1977).
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A sinistra: Richard Rogers, Arts Quarter Chelmsford: analisi ambientale e sviluppo progettuale dell’area di intervento in rapporto al contesto.
Intervenire sul territorio
Come intervenire nell’effettuare una attenta analisi ambientale? Innanzitutto, occorre conoscere in che zona si colloca l’area in esame in base alle previsioni del Piano regolatore e dei piani attuativi ad esso associati, che definiscono infatti delle strategie da seguire e impongono determinati parametri urbanistici. Conoscere i parametri, gli standard urbanistici e quindi le “dimensioni” di ciò che ci apprestiamo a iniziare fondamentale per poter agire con coscienza. Contemporaneamente, occorre estrapolare le idee che l’area in esame ci suggerisce: valutarne le risorse, i vincoli, le opportunità legate al contesto o ad altri fattori visivi, percettivi, sensoriali, e stabilire una meta progettuale.
A destra: Richard Rogers, Arts Quarter Chelmsford: analisi progettuale dell’area di intervento in termini di volumetrie e livelli e schizzo planimetrico del progetto in rapporto al contesto, con il sistema del verde e dei percorsi. 18
A sinistra: Richard Rogers, Arts Quarter Chelmsford: schizzo planimetrico di una tipologia in linea del progetto, in rapporto al sistema del verde e dei percorsi, e esploso assonometrico che mette in luce il rapporto tra i volumi del progetto ai vari livelli. Parametri e standard urbanistici
Il processo di urbanizzazione e ristrutturazione urbana nelle varie zone del territorio comunale é regolato da determinati parametri urbanistici ed edilizi. Tali parametri relazionano il territorio in termini di superficie al numero di abitanti da insediare e alle aree necessarie a garantire modelli insediativi di qualità. Di seguito una descrizione dei parametri più significativi, con i relativi metodi di calcolo: St = Superficie territoriale. E’ il comparto, ovvero quella porzione di terreno interessata da una previsione del PRG e da un piano attuativo, che comprende: l’area da edificare (il lotto, ovvero la superficie fondiaria, Sf) e gli standard urbanistici (ovvero le aree destinate alla viabilità, al verde e alle attrezzature pubbliche, previste dal PRG per quella zona). Si misura in mq. It= Indice di fabbricabilità territoriale. Definisce il volume massimo edificabile su ciascuna unità di St. Si misura in mc/mq. Ut= Indice di utilizzazione territoriale. Definisce la massima SLP (=Superficie Lorda di Pavimentazione, intesa come la somma delle superfici lorde di tutti i piani dell’edificio, calcolata con sistemi specificati in ciascun Piano regolatore) realizzabile per ciascuna unità di St. Si misura in mq/mq. Dt= Indice di densità territoriale. Definisce il numero massimo di abitanti insediabli per ciascuna unità di St espressa in ettari (1ha=10000mq). Si misura in ab/ha.
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A sinistra: Richard Rogers, Arts Quarter Chelmsford: schizzo assonometrico “passeggiando per il quartiere” e sezione schematica.
Parametri e standard urbanistici
Sf= Superficie fondiaria. E’ il lotto edificabile, al netto delle superfici di urbanizzazione primaria e secondaria. Comprende eventualmente parcheggi e percorsi pedonali. Si misura in mq. Superficie pertinenziale= è la quantit di suolo all’interno della Sf non impegnata dall’edificio principale. Può essere in parte costruita e in parte impegnata da strutture pertinenziali. If= Indice di fabbricabilità fondiaria. Definisce il volume massimo edificabile su ciascuna unità di Sf. Si misura in mc/mq. Uf= Indice di utilizzazione fondiaria. Definisce la massima SLP realizzabile per ciascuna unità di Sf. Si misura in mq/mq. Df= Indice di densità fondiaria. Definisce il numero massimo di abitanti insediabili per ciascuna unità di Sf espressa in ettari. Si misura in ab/ha. Dc= Distanza minima dei fabbricati dal confine di proprietà. E’ sempre Dc> 3m (Codice Civile). Per stabilire il suo perimetro, il fabbricato viene proiettato a terra al netto dei corpi aggettanti aperti. Dff= distanza minima tra i fabbricati. E’ sempre Dff> 10m. Si misura sempre al netto dei corpi aggettanti aperti. Ds= Distanza minima dei fabbricati dalla strada. Si misura sempre al netto dei corpi aggettanti aperti. L’ingombro della strada comprende tutte le sedi viabili e le aree di pertinenza stradale (fossi, scoli, ecc.).
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Parametri e standard urbanistici
Sc= superficie coperta. Definisce la quantità di suolo effettivamente coperto dagli edifici sul lotto. Si escludono dal calcolo corpi aggettanti (ad es: balconi) con aggetto <1.20 m; pensiline di ingresso se inferiori a 8 mq; parti dell’edificio completamente interrate, ecc. Sfil= Superficie filtrante. Definisce la superficie sistemata a verde, non costruita. Su= Superficie utile dell’alloggio. Definisce la superficie delimitata dal perimetro esterno dell’alloggio diminuita delle superfici occupate dalle pareti perimetrali, dalle pareti esterne, dai pilastri, dai vani di porte e porte fnestre, dalle canne di areazione o fumarie, dai camini. Rc= Rapporto di copertura (%): definisce la massima quantità di superficie coperta (Sc) in rapporto alla superficie del lotto (Sf). Rp= Rapporto di permeabilità (%): definisce la quantità minima di superficie filtrante, ovvero della superficie del lotto da mantenere o sistemare a verde con esclusione di qualsiasi edificazione, anche sotterranea, o di qualsiasi pavimentazione.
In alto: Richard Rogers, Library of Birmingham: analisi del sito e del progetto a diversi livelli.
Ve= Volume edificabile. E’ il prodotto della Superficie Lorda di pavimentazione (SLP) per l’altezza virtuale (altezza interpiano, convenzionalmente pari a 3 m, stabilita da ciascun Comune). Definisce il volume massimo costruibile in un comparto edificatorio. Comprende la parte fuori terra delle costruzioni esistenti e/o da realizzare sul lotto; la parte interrata delle stesse costruzioni, se destinata a residenza, a uffici o ad attività produttive; i fabbricati accessori per la loro parte fuori terra. Si escludono i locali tecnici, le superfici adibite a ricovero di autovetture, le cantine, gli aggetti aperti, i portici, i sottotetti non abitabili. Può essere dedotto anche in base agli indici di densità edilizia ammessi dal PRG per l’area in oggetto, moltiplicando cioè la St o la Sf rispettivamente per It e per If.
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4 progetto architettonico
Gli aspetti da considerare
In alto: Richard Rogers, Library of Birmingham: plastico di studio.
Scendendo di scala, da quella urbana a quella architettonica, si inizia ad entrare nel cuore del progetto e ad indagare gli aspetti che realizzano nel concreto un edificio: molteplici aspetti, ricchi di sfaccettature e valutabili secondo diversi approcci, e che concorrono a dar vita all’organismo architettonico finale. L’edificio infatti altro non è che un organismo, dove ogni sua parte assolve a determinate funzioni, ma in cui nessuna può prescindere dalle altre nel soddisfare al massimo le prestazioni finali richieste Occorre valutare la progettazione dell’intervento considerando i tre principali attributi, che sono: -la funzione (destinazione d’uso) -la tecnologia (modalità con cui si assolve a particolari esigenze statico-funzionali, e per garantire determinate condizioni di benessere e comfort) -la forma (sviluppo spaziale del progetto). La destinazione d’uso dell’edificio è elemento imprescindibile per la progettazione dello stesso. A seconda della categoria di utenti, e delle funzioni che nell’edificio verranno svolte, sarà infatti opportuno adottare determinati materiali, studiare determinate configurazioni spaziali, seguire precisi criteri anche normativi. Occorrerà tenere conto di altri svariati fattori legati all’area in cui l’edificio sorgerà, legati ad esempio all’esposizione e all’orografia dell’area stessa, e correlarli alla necessità di creare accessi, prevedere parcheggi, zone verdi, zone attrezzate, ecc. E’ importante analizzare l’esposizione dell’area: un corretto orientamento dell’edificio è già un elemento progettuale importantissimo, che può avere implicazioni nelle scelte progettuali successive . I risultati delle analisi possono essere motivazione di scelte tecnologiche precise: ad esempio riguardanti determinati materiali o particolari forme, o l’installazione di determinati impianti, al fine di garantire benessere e comfort agli utenti finali. Per fare alcuni esempi nel nostro territorio, a nord è consigliabile collocare i locali (come mense, palestre,ecc.) che non hanno bisogno di particolare luce, riducendo così la presenza di finestre 22
A sinistra: David Chipperfield, EMV Social Housing a Madrid: pianta del piano terra e scorcio prospettico dell’edificio realizzato. In basso, a sinistra:Renzo Piano, due immagini del complesso della Central Saint Giles a Londra.
sulle facciate esposte su quel versante, che causerebbero perdita di calore per trasmissione senza apporto solare significativo. La facciata a sud, al contrario, può godere di diversi vantaggi grazie al sapiente utilizzo di vetrate. In genere è sufficiente un “ombreggiamento geometrico”, ovvero un ombreggiamento permesso da elementi sporgenti dalla facciata, per garantire l’ ingresso della luce naturale evitando al contempo il surriscaldamento. A est e ad ovest invece è preferibile ridurre le aperture in facciata poiché non è sufficiente un ombreggiamento geometrico a garantire le prestazioni richieste. Se non vi è la possibilità di un ombreggiamento geometrico, che caratterizza fortemente il volume della facciata, è possibile ricorrere a oscuranti mobili, da posizionare sempre all’esterno del serramento per evitare l’ingresso del calore negli ambienti. Le prestazioni migliori saranno date ad ovest da un frangisole verticale, e a sud da un frangisole orizzontale, per il fatto che il sole è più alto. A seconda del lato esposto e della regione geografica saranno preferibili determinati materiali isolanti al posto di altri: il tipo di clima infatti influisce enormemente nelle scelte materiche, che devono essere sempre improntate al risparmio energetico. Se l’area è fortemente ventilata può essere utile adottare idonee strutture frangivento e appropriati sistemi di impermeabilizzazione, o predisporre alberi perpendicolarmente alla direttrice dei venti dominanti per attenuare la forza percepita del vento stesso. Occorre analizzare inoltre la tipologia dell’area. I criteri distributivi del progetto possono infatti sfruttare le caratteristiche del lotto stesso, o esserne condizionati: dalle analisi del contesto, dall’evidenziazione dei punti di forza e di debolezza del lotto, dalla presenza di particolari coni prospettici e riferimenti visuali, oltre che di elementi fisici presenti nell’area, possono scaturire precise scelte progettuali che determinano forme e caratteri dell’edificio.
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Alcuni riferimenti normativi
Immagini: la qualità insediativa non è necessariamente misurabile in rapporti numerici tra costruito e verde.
STANDARD URBANISTICI E RESIDENZIALI D.M. 1444/1968 e s.m. >> divide il territorio in zone e definisce degli standard. Gli standard urbanistici indicano i rapporti fra spazi destinati ad insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. Gli standard edilizi indicano invece: densità edilizia, altezza massima, distanza fra i fabbricati. Introdotti dalla Legge Ponte n.765 del 1967, gli standard urbanistici e residenziali nacquero con il fine di garantire a tutta la popolazione una dotazione minima di aree e servizi pubblici o ad uso pubblico. La Legge Ponte si poneva infatti come momento di transizione tra la vecchia legislazione urbanistica e quella nuova, limitando le possibilità di edificazione nei comuni che erano sprovvisti di strumenti urbanistici. Introducendo gli “standard urbanistici”, stabilendo cioè che in tutti i piani urbanistici si dovesse prevedere la presenza di adeguati spazi per le esigenze collettive (il verde e lo sport, le scuole, le attrezzature per la vita civile, la sanità, il commercio, il culto, i parchi urbani e i parcheggi), le città si dotarono di piani regolatori in modo diffuso, e poiché la legge imponeva di fatto solo il rispetto di valori minimi di aree da vincolare, fu possibile adattare ad ogni singola realtà quegli standard che il legislatore aveva inteso come controllo minimo della progettazione urbanistica. Il decreto 1444/1968, che stabiliva in 18 mq la dotazione minima per abitante da riservare a spazi pubblici, attività collettive, verde pubblico e parcheggio fu, man mano che le Regioni si dotavano di una legislazione urbanistica propria, spesso superato proprio dalle legislazioni regionali. La definizione dei rapporti “minimi inderogabili” è ormai considerata obsoleta per la rigidità insita nella definizione di standard, e la difficoltà di tradurre le quantità prescritte in maggiori qualità insediative. DISTACCHI URBANI D.M. 1444/1968 e s.m + Codice Civile + R.E./R.U.E >>assegnano le fasce di rispetto da ferrovie, aereoporti, e altre opere, e indicano le distanze tra i fabbricati: tra pareti chiuse, tra pareti finestrate, dalla strada. 24
ALTEZZE D.M. 5 luglio 1975 + L.457/1978 + Leggi regionali + N.T.A., R.E./R.U.E. >> norme igienico sanitarie+norme per l’edilizia residenziale+leggi regionali+norme tecniche attuative: definiscono alcuni parametri tra cui le altezze minime degli ambienti residenziali. Nel D.M. del 5 luglio 1975, si legge che “L’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70 riducibili a m 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli” (Art.1). SUPERFICI D.M. 5 luglio 1975 + L.457/1978 + Leggi regionali + N.T.A., R.E., R.U.E. >> norme igienico sanitarie+norme per l’edilizia residenziale+leggi regionali+norme tecniche attuative: definiscono alcuni parametri tra cui le superfici minime degli ambienti residenziali. In particolare, nel D.M. 5 luglio 1975 e nei R.E./R.U.E. sono definite le superfici aeroilluminanti minime, variabili da Comune a Comune. PARCHEGGI L.122/1989 (Legge Tognoli) >> definisce le norme per i parcheggi residenziali privati.
Esempio di wc accessibile: tutte le distanze minime e le dimensioni di sanitari e porta sono riportate nella norma. In genere i sanitari sono di tipo sospeso e il locale deve permettere la rotazione della carrozzella di 360° (spazio privo di ingombri di diametro 150 cm).
ABBATTIMENTO DELLE BARRIERE ARCHITETTONICHE D.M. 14/06/1989, n.236 + LEGGE 09/01/1989, n.13 >> contengono rispettivamente: “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche” e “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”. Definiscono dunque le modalità per superare le barriere architettoniche nell’ambiente costruito, esterno e interno, definendo dei parametri e delle misure da rispettare nei locali e nei percorsi. A seconda della destinazione d’uso, nei locali di un edificio ad uso privato o pubblico devono essere garantiti i requisiti di accessibilità o adattabilità o visitabilità; le definizioni di questi termini si trovano nella norma. 25
Definizioni: a) la stabilità R è l’attitudine di un elemento da costruzione a conservare la propria resistenza meccanica sotto l’azione dell’incendio; b) la tenuta E è la capacità di un elemento da costruzione di non lasciar passare (nè tantomeno produrre) fiamme, vapori o gas caldi dal lato esposto a quello non esposto; c) l’isolamento I è l’attitudine di un elemento costruttivo a ridurre, entro determinati limiti, la trasmissione del calore.
PREVENZIONE INCENDI D.M. 16/02/1982 e s.m. >> elenca le attività che sono soggette alla prevenzione incendi. A titolo di esempio: locali di spettacolo e di trattenimento in genere con capienza superiore a 100 posti; alberghi, pensioni, motels, dormitori e simili con oltre 25 posti letto; scuole di ogni ordine, grado e tipo, collegi, accademie e simili per oltre 100 persone presenti; ospedali, case di cura e simili con oltre 25 posti-letto; autorimesse private con più di 9 autoveicoli, ecc. Questa norma contiene solo l’elenco delle attività. Per alcune attività esiste poi un’ulteriore specifica normativa, che definisce i criteri da seguire e i requisiti da rispettare al fine della prevenzione incendi (a titolo di esempio: il D.M. 1°febbraio 1986 per le autorimesse). D.M. 30/11/1983 >> contiene i termini, le definizioni generali e i simboli grafici di prevenzione incendi, richiamati nelle varie normative (ad esempio: la definizione di “filtro a prova di fumo”, di “scala protetta”, di “luogo sicuro”; ecc.). D.M. 15/03/2005 >> indica le caratteristiche di reazione al fuoco che devono possedere i materiali da costruzione installati in attività ricomprese nel campo di applicazione delle vigenti disposizioni tecniche di prevenzione incendi, in luogo delle classi italiane previste dal D.M. 26/06/1984 e s.m. La classificazione europea dei materiali da costruzione avviene in base alla reazione al fuoco degli stessi, ovvero in base al grado di partecipazione dei materiali alla combustione. Le classi sono 5: i materiali incombustibili nella classificazione europea sono quelli di classe A1 (ex classe 0 nella normativa italiana). Notare che la reazione al fuoco non va confusa con la resistenza al fuoco delle strutture. D.M. 16/02/2007 e D.M. 09/03/2007 >> riportano, rispettivamente, la “Classificazione di resistenza al fuoco di prodotti ed elementi costruttivi di opere da costruzione” e le “Prestazioni di resistenza al fuoco delle costruzioni nelle attività soggette al controllo del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco”. Il D.M. del 09/03/2007 apporta alcuni aggiornamenti alla definizione di resistenza al fuoco (REI) rispetto al D.M. 30/11/1983. Le classi sono le seguenti: 15, 20, 30, 45, 60, 90, 120, 180, 240, 360, espresse in minuti; esse rappresentano il tempo al di sotto del quale l’elemento costruttivo è in grado di mantenere e garantire le funzioni richieste in relazione allo 26
Dal 2005 la Provincia di Bolzano, prima in Italia, ha introdotto l’obbligo della certificazione energetica “CasaClima”, con la finalità di raggiungere gli obiettivi stabiliti dalla Comunità Europea in tema di abbattimento dei consumi di energia e di emissioni di anidride carbonica. Lo standard assegna agli edifici delle classi in base alla tabella sopra riportata.
specifico campo di impiego. RISPARMIO E EFFICIENZA ENERGETICA D.Lgs. 29/12/2006, n.311 >> contiene disposizioni correttive ed integrative al D.Lgs. 192/2005, recante attuazione della Direttiva europea 2002/91/CE. A sua volta il decreto 192/2005 aggiornava e integrava la Legge 10/1991, “Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia”, che fu la prima vera e propria legge sul risparmio energetico dopo quella (primissima, ma di scarso successo) che era stata emanata nel 1976 (la n.373). Il decreto 311/2006 è un decreto statale che introduce , rispetto al precedente, nuovi limiti in termini di trasmittanza e di fabbisogno di energia primaria; reintroduce la certificazione energetica per gli edifici esistenti, e introduce i tempi per la certificazione. Particolarità dell’Italia è che le Regioni sul tema dell’efficienza energetica hanno facoltà di rifarsi direttamente alla normativa europea, “prevaricando” quella nazionale. Dunque i termini e i parametri a cui riferirsi per la certificazione energetica in ogni Regione sono quelli stabiliti dalle Delibere dell’Assemblea Legislativa, e non dai decreti statali. D.A.L. 156/2008 >> Legge regionale (Emilia Romagna) integrata dalla D.A.L. 1366/2011. Fissa precisi limiti prestazionali di consumo e di efficienza energetica del sistema EDIFICIOIMPIANTI, e delinea una classificazione di “merito” per classi energetiche. Tale classificazione va dalla A alla G a seconda del consumo di Energia Primaria (EP) espressa in Kwh/mq*anno, per riscaldare l’ambiente e produrre acqua calda sanitaria. La stessa norma richiede poi che parte dell’energia consumata venga prodotta da Fonti di Energia Rinnovabile (FER) : in particolare il 50% del fabbisogno di acqua calda sanitaria , e almeno 1 kwh picco per alloggio. La norma impone anche un rapporto superficie volume massimo pari a 0,7 (mentre la legge nazionale 311/2006 lo impone pari a 0,98): valore che stimola una edificazione di volumi compatti e tendenti a svilupparsi verso l’alto.
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In alto: immagine rappresentativa delle sorgenti sonore interne e esterne all’edificio. Più in basso: tabella con la classificazione operata dalla UNI 11367/2010.
CLASSIFICAZIONE ACUSTICA Direttiva 2002/49/CE >> Direttiva europea che ha l´obiettivo primario di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi dell´esposizione al rumore ambientale, attraverso la determinazione dell´esposizione al rumore (per mezzo di una mappatura acustica realizzata sulla base di metodi comuni agli Stati membri), l’informazione al pubblico relativamente al rumore ed ai suoi effetti ed infine l’adozione di piani d’azione. D.lgs. 26/10/1995 n. 447 + L.R.15/01 >> Normativa nazionale “Legge quadro sull’inquinamento acustico” e normativa regionale “Disposizioni in materia di inquinamento acustico”: prevedono l´attuazione di una complessa e articolata serie di azioni, in capo a soggetti diversi, volte alla riduzione ed alla prevenzione dell´inquinamento acustico: classificazione acustica del territorio e piani di risanamento comunali, piani di risanamento delle aziende nonché piani di contenimento e abbattimento del rumore per le infrastrutture di trasporto, valutazioni previsionali di impatto acustico e di clima acustico. UNI 11367/2010 >> Norma tecnica pubblicata il 22 luglio 2010 dal titolo “Classificazione acustica delle unità immobiliari”, che definisce per la prima volta in Italia la procedure per classificare acusticamente le unità immobiliari sulla base di misurazioni fonometriche eseguite sull’immobile. La norma si applica a tutti i tipi di edifici, tranne a quelli ad uso agricolo, artigianale e industriale. Nell’ambito di applicazione della norma, i requisiti acustici di ospedali, cliniche, case di cura e scuole sono definiti da una specifica appendice. Molta parte del lavoro speso per la redazione della norma UNI 11367 è stato fatto in relazione all’’indicazione, pervenuta da parte dei responsabili del Ministero dell’Ambiente, di definire una norma che potesse, tra le altre cose, correggere gli errori del DPCM 5/12/1997, “Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici”, decreto che in Italia stabilisce i limiti di isolamento dai rumori negli edifici. La UNI 11367 prevede quattro differenti classi di efficienza acustica: si va dalla classe 1, che identifica il livello più alto (più silenzioso), alla classe 4 che è la più bassa (più rumoroso): va considerato che, seppure il livello prestazionale “di base” sia rappresentato dalla terza classe, la stragrande maggioranza degli edifici italiani attualmente esistenti non raggiunge 28
neppure la quarta classe. ATTIVITA’ EDILIZIA D.P.R. 06/06/2001, n. 380 >> “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, aggiornato dal D.lgs. n. 301/2002. Contiene disposizioni in merito all’attività edilizia, in particolare relativamente a: titoli abilitativi, agibilità degli edifici, vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia con le relative responsabilità e sanzioni, normativa tecnica per l’edilizia. LAVORI PUBBLICI D.Lgs 12/04/2006, n. 163 >> “Codice dei contratti pubblici”: sostituisce la legge Merloni 109/1994 e definisce i tre stadi di progettazione (preliminare, definitiva e esecutiva) che il progetto e la esecuzione dei lavori pubblici prevedono. Ogni stadio descrive gli elaborati di progetto minimi che devono essere presentati al Responsabile unico del procedimento, che rappresenta la Pubblica Amministrazione. Il codice attuativo è il D.P.R. 207/2010, che sostituisce il D.P.R. 554/1999. Rispetto alla Legge Merloni vi sono diverse novità; tra queste, la richiesta di maggiore rigore in tutte le fasi progettuali, con particolare attenzione alle possibili interferenze delle opere, in particolare di quelle a rete, che dovranno essere individuate e risolte tutte in fase progettuale. BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI D.Lgs 22/01/2004, n. 42 e s.m.i. >> “Codici dei beni culturali e del paesaggio”: contiene le disposizioni atte alla tutela, fruizione e valorizzazione del “patrimonio culturale”, comprendente beni culturali e beni paesaggistici. La più importante novità del decreto è stata proprio quella di recepire la definizione di paesaggio come bene culturale. Il decreto abroga, e quindi sostituisce, la precedente fonte legislativa costituita dal D.Lgs. 29/10/2009 n. 490, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali”.
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5 Il progetto degli interni: affinità con gli esterni o sorprese e contrasti? Giorgio Praderio
Casa via del Rey, Los Angeles, James Walter. Un esempio di trasparenza che risolve la continuità (affinità) del rapporto tra esterni e interni.
Padiglione Francese, Barcellona, Mies Van Der Rohe. Un esempio alternativo di relazioni tra esterni ed interni, dove i secondi si organizzano in una logica di “spazio percorso” sorprendente rispetto alla prevedibile assialità circostante.
Progettare gli interni non vuol dire agire planimetricamente sul progetto architettonico, esplicitandone attribuzioni funzionali, prestazioni, ecc.. ma scandagliarne le “N dimensioni” costituitive dello spazio architettonico, secondo relazioni e giustificazioni legate al sistema dei valori, cioè alla civiltà (necessità) e alla tipologia o meglio ai caratteri delle unità abitative (compatibilità e sostenibilità). Vengono quindi privilegiate sì le prime 3 dimensioni spaziali (x,y,z), considerando tutta la volumetria spaziale, ma anche altre caratteristiche quali i comportamenti, la sicurezza, i contrasti ed i dilemmi. Rispetto alla dimensione paesaggistica classica degli esterni, il progetto degli interni è dunque una sorta di rovesciamento “duale”: cioè consiste essenzialmente nel “portare dentro” ai singoli ambiti di vita una sensibilità progettuale tipica delle grandi estensioni territoriali (la città, ad esempio, oppure l’arte), considerate tradizionalmente esterne. Il che significa affrontare il progetto degli interni in nome e ragione di significati architettonici complessivi (iconici, motivazionali, simbolici, funzionali), risolti per affinità (continuità) tra interni ed esterni o per dissonanze e contrasti compositivi. Il ricordo ai linguaggi formali diviene necessario. “Per Architettura Organica io intendo un’architettura che si sviluppi dall’interno all’esterno , in armonia con le condizioni del suo essere, distinta da un’architettura che venga applicata dall’esterno”. (Frank Lloyd Wright, “For the Cause of Architecture”, The Architectural Record, 1914). Questo ragionamento porta ad attribuire un valore aggiunto, che è nel paesaggio, agli spazi interni. Le tipologie di “giardini d’inverno”, dove il verde viene portato dentro l’edificio, sono un esempio di rivoltamento di uno spazio confinato in uno spazio infinito; sono un esempio della connessione per contrasto tra paesaggio esterno ed interno. Viene portato vicino qualcosa che è lontano, è reso naturale ciò che è artificiale.
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A sinistra, due esempi di pitture trompe l’oeil: “trucchi” progettuali o “messa in scena” ?
Sopra: giardino d’inverno, convento delle Clarisse, Ronchamp, Renzo Piano.
“Architettura, nè casa nè città, ma sintesi di entrambe.” (B.Rudofsky). Progettare gli interni significa anche e soprattutto conferire allo spazio di vita, anche quotidiano, una serie di virtualità espressive e funzionali che tendono a dilatarlo e amplificarlo andando oltre la stessa fisicità, che passa in secondo piano (sul fondo del progetto). Un classico esempio è quello della tecnica pittorica “trompe l’oeil” (“inganna l’occhio”) dove l’osservatore ha l’illusione di avere davanti a sè oggetti reali che invece sono dipinti su una parete per farla sparire alla vista: funzionando da amplificatore, deviatore, acceleratore prospettico di spazi, oltre il previdibile e verso la sorpresa. Progettare gli spazi interni significa essenzialmente riprendere quelle cure e attenzioni dell’architettura mitica, epica, sacra, che produssero capolavori e opere d’arte nel passato: soffitti dipinti come fossero cieli (tipico dei palazzi storici e delle architetture sacre), pavimenti colorati e disegnati, non neutri (un esempio è l’albero della vita nei pavimenti delle chiese), pareti a strati come squarci di futuro e passato intrecciati. Si tratta quindi di fare ricorso ad un disegno accurato e profondo degli ambienti interni, che possiamo trovare nelle famose opere di Antonì Gaudi. In casi estremi il circostante è modellato in contiguità/continuità con gli ambienti della città, mentre gli interni replicano “ambienti altri”, per contrasto: casi di scomparsa dell’architettura confinata, dove interno ed esterno si confondono.
Casa Milà di Antoni Gaudì in Barcellona.
“…La chiusura planetaria compiuta dalla mondializzazione economica, le frontiere che si annullano una ad una, non solo tra globale e locale ma soprattutto tra mobile e immobile, ci portano allora ad assistere ad una specie di rovesciamento topologico in cui, per la prima volta alla scala del globo terrestre, non c’è più differenza tra esterno ed interno, non c’è più distinzione chiara e netta tra il dentro e il fuori: il globale è ormai l’interno di un mondo finito, la cui stessa finitudine pone numerosi problemi e il locale è l’esterno, la periferia… In questo modo, “l’esternità” non è più quella della superficie di un territorio qualsiasi, ma è tutto ciò che è in situ, più precisamente localizzabile qui o là, fermi così come in movimento, allo stesso 31
A sinistra: Parc Andre Citroen, Parigi, Patrick Berger. A destra, Villa Farnsworth, Mies van der Rohe, Plano - Illinois - America Del Nord.
modo…l’animale braccato, l’uomo o i suoi veicoli”. (Paul Virilio, urbanista francese). L’interno è esterno e l’esterno è interno. Un esempio può essere quello di casa Farnsworth di Mies van der Rhoe dove lo spazio interno non si proietta verso l’esterno, ma si dispone ad essere pervaso da questo, conservando una sua identità. W. Blaser scrive a riguardo: “…è difficile immaginare un’ulteriore soppressione di materiale, una maggiormente decisiva riduzione della forma, una più grande intensificazione di apertura sia interna (attraverso l’uso della pianta simmetrica) che verso il mondo esterno..” “..lo spazio vola sotto la casa; vola sopra e attraverso questa”.
A sinistra: schema di Architetture radicate e confinate; al centro: schema di Architetture duali trasparenti, smaterializzate; a destra: schema del contrasto tra locale iconico e globale che “irrompe”; più a destra: rappresentazione dell’interno che si proietta all’esterno.
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6 concept e metafore progettuali
Introduzione: che cos’è l’architettura?
“Usare la tecnica per generare un’emozione”
Il progetto di architettura, guidato da un preciso concept (una concezione, una prefigurazione) tende in qualche modo ad esprimere una “visione del mondo”, non solamente come fatto privato, di chi disegna quell’opera, ma come coinvolgimento a 360 gradi della comunità che lo ospita e che lo “vive”. Si potrebbe quindi affermare che riuscire a coniugare il progetto di un’opera a tutti gli aspetti sociali e culturali emergenti in cui viviamo, ad esprimere e soddisfare una visione sociale condivisa, a rispondere alle esigenze della società con l’uso appropriato di forme, materiali e spazio, sia lo scopo utimo del progettare. Citando i maestri: “L’architettura è l’arte di dare rifugio alle attività dell’uomo: abitare, lavorare, curarsi, insegnare e, naturalmente, stare insieme. E’ quindi anche l’arte di costruire le città e i suoi spazi, come le strade, le piazze, i ponti, i giardini. E, dentro la città, i luoghi di incontro. Quei luoghi di incontro che danno alla città la sua funzione sociale e culturale. Ma naturalmente non è tutto. Perché l’architettura è anche una visione del mondo. (….)”. (Renzo Piano, intervista con P. Odifreddi). Perseguendo l’obiettivo di soddisfare le esigenze della società, l’opera dia architettura in quanto tale può infondere nel suo visitatore/utente finale un messaggio, così come una melodia o un dipinto può essere in grado di suscitare un’emozione alle orecchie o agli occhi di chi osserva e ascolta, “utilizzando la tecnica per generare un’emozione” (cit. Renzo Piano): perchè l’architettura è, prima di tutto, un’arte; senza dimenticare che, a differenza delle altre arti, deve essere vissuta in tutte le dimensioni, e quindi non può assumere il carattere puramente espositivo di una tela. Il concept dell’opera non scaturisce solamente da una suggestione artistica fine a se stessa o dalla volontà di tradurre a scala urbana un manifesto di idee: esso è molto di più; esso nasce da diverse fasi che consistono nell’ osservare, analizzare, conoscere il contesto, fatto di realtà fisiche, culturali, sensoriali, tenendo sempre a mente qual è nel concreto il fine ultimo che l’opera si propone di perseguire. Solo così è possibile fare proprio un linguaggio, fatto di spazio, di proporzioni, di luce, di materia, per tradurre quel concept nella realtà.
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A sinistra: Palazzo Ducale di Urbino, XV secolo. A destra: Cattedrale di Bayeux, Francia, 1077. Due temperamenti contrastanti comunicati dalle diverse architetture.
Il quid finale dell’opera
“Dire che un’opera architettonica o un’opera di design è bella significa individuarvi un’interpretazione dei valori essenziali alla nostra prosperità, una transustanziazione in materia dei nostri ideali individuali”. (Alain de Botton, “Architettura e felicità”). Da sempre l’uomo rintraccia un significato nelle forme e nei colori degli oggetti che lo circondano: fa parte di quel processo percettivo del mondo fenomenico, al cui studio si sono dedicati nel corso dei secoli varie correnti di psicologi, tentando di spiegare il meccanismo con diversi approcci. Per alcuni, questo processo fa sì che siamo portati a percepire un singolo elemento in maniera diversa da come lo percepiremmo inserito in un contesto più ampio. In particolare, secondo la corrente della psicologia della Gestalt (corrente nata in Germania agli inizi del XX secolo) non è giusto dividere l’esperienza umana nelle sue componenti elementari, e occorre invece considerare l’intero. A tale proposito è esplicativa la famosa frase “l’ insieme è più della somma delle sue parti”, che riflette la posizione dell’ emergentismo, corrente nata in Inghilterra sempre agli inizi del ‘900: secondo gli emergentisti, quel qualcosa che fa sì che una totalità sia maggiore della somma delle parti è proprio ciò che “emerge” da essa. Dunque ci sono: le parti, la loro somma, il quid emergente. Anche in architettura accade lo stesso: l’edificio altro non è che un organismo, e le sue singole parti non possono essere considerate separatamente dalle altre, perchè è con esse che concorrono a dar vita al quid finale dell’opera.
L’architettura ci parla
“La nostra capacità di individuare nelle forme, nelle trame e nei colori un parallelo con gli esseri umani è tale che anche nella forma più umile sappiamo rintracciare un carattere. Una linea è più che eloquente: una retta fa pensare a una persona rigida e monotona, una linea ondulata dà l’impressione di frivolezza e calma, una frastagliata sembra arrabbiata e confusa.”(...) “Nonostante oggetti ed edifici abbiano un grande potenziale espressivo, sono ancora rari i dibattiti su ciò di cui parlano. A quanto pare, scavare nei significati antropomorfici, metaforici o 34
A sinistra: Foster and Partners, The Sage Gateshead, Londra 2005. A destra: Hijjas Kasturi Associates, Putrajaya Convention Centre, Malesia 2003. Giganteschi “animali” emergono nello skyline delle due città.
Leggere e scrivere l’ambiente che ci circonda
evocativi non ci fa sentire a nostro agio quanto riflettere sulle fonti storiche o sui tropi stilistici. Fa ancora uno strano effetto discutere di che cosa dice un edificio. Troveremmo la cosa più facile se gli elementi architettonici fossero più esplicitamente legati a ciò che esprimono, se per esempio esistesse un dizionario che stabilisse una corrispondenza sistematica tra mezzi e forme da un lato ed emozioni e idee dall’altro. Fornirebbe utilissime analisi di materiali (alluminio e acciaio, terracotta e cemento) e di stili e dimensioni (di tutti i possibili angoli di un tetto e di ogni tipo e spessore di colonna). Vi figurerebbero voci sul significato delle linee concave e convesse, del vetro riflettente e di quello trasparente. Il dizionario assomiglierebbe a quei giganteschi cataloghi che forniscono agli architetti informazioni sugli accessori per l’illuminazione e gli articoli di ferramenta, ma invece di concentrarsi sulle prestazioni meccaniche e sulla loro conformità alle norme spiegherebbe le implicazioni di ogni singolo elemento di un insieme architettonico. Occupandosi in modo esauriente di queste minuzie, il dizionario riconoscerebbe che, proprio come cambiare una sola parola può mutare il senso di una poesia, anche l’impressione che noi abbiamo di una casa si trasforma quando un architrave piatto di pietra viene sostituito con uno lievemente curvo di mattoni. Con l’ausilio di una risorsa simile potremmo diventare lettori, oltre che scrittori, più consapevoli dell’ambiente che ci circonda”. (Alain de Botton, “Architettura e felicità”).
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A sinistra: l’edificio Turning Torso in parallelo all’essere umano in uno schizzo di S. Calatrava, e alcune immagini dell’edificio realizzato. Lo spazio antropomorfo e teatrale.
Santiago Calatrava, Turning Torso, Malmo, Svezia. Anno 2005.
>>architettura e anatomia Riferendosi alla teoria di Alain de Botton relativa agli edifici che parlano, ecco un esempio piuttosto recente ed esplicativo: il grattacielo residenziale più alto della Svezia, realizzato a Malmo ad opera di Santiago Calatrava con l’intento di ristabilire nella città uno skyline riconoscibile, e che era rimasto “orfano” dopo la sparizione del Kockumskranen (“La Gru Kockum”) nel 2002, la gru situata a meno di un chilometro dell’attuale posizione dell’edificio, utilizzata per la costruzione di barche nei cantieri dell’impresa Kockum. Essa simboleggiava, in qualche modo, le radici di Malmo come città industriale. L’edificio che tenta di prenderne il suo posto come simbolo e “richiamo”, è un grattacielo di 54 piani per un totale di 190 metri di altezza, caratterizzato da una struttura che si torce su se stessa di 90 gradi dalla base al piano più alto. Il concept alla base del progetto è chiaramente la raffigurazione di un corpo umano che si torce su se stesso: più in particolare, l’edificio prende ispirazione proprio da una scultura realizzata dallo stesso Calatrava negli anni ‘90, che raffigura un torso umano. La “colonna vertebrale” del torso è il principale elemento strutturale della torre: un nucleo in cemento armato di 10,6 metri di diametro, il cui centro corrisponde all’asse di rotazione dei vari piani, raggruppati in 9 “cubi rotatori” da sei piani ciascuno. I primi due moduli ospitano uffici, gli altri residenze. All’esterno l’edificio si ricopre di circa 2800 di pannelli di alluminio e vetro. L’opera è stata realizzata in quattro anni, e ha fatto parte de “Questo edificio – dichiara Calatrava - ha preso vita come una scultura che rappresentava un torso che si gira, e proprio come un bambino che impiega un anno per imparare a fare affidamento sulla propria colonna verticale per stare dritto, così c’è voluto del tempo perché noi trasformassimo questa forma astratta in un edificio funzionale”.
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A sinistra: vista de La Grand Arche lungo l’asse urbano. Sotto: schizzo assonometrico con le emergenze architettoniche che si collocano lungo l’asse.
Johan Otto Vonn Spreckelsen, La Grande Arche de la Defense, Parigi, Francia. Anno 1989.
Sopra: vista aerea della città con evidenziato l’asse storico (in rosso) che attraversa la Senna, e alcune emergenze (bolli azzurri): da sinistra: la Grande Arche, l’Etoile, Place de la Concorde e Le Louvre.
>>un asse storico: continuità e chiusura Il sito destinato ad ospitare il progetto vincitore del concorso internazionale indetto nel 1982, e inaugurato 7 anni dopo, si trova a Parigi nel quartiere della Defence a Ovest del centro storico. L’area di intervento sulla quale doveva sorgere il nuovo edificio è situata lungo l’asse dove sono presenti e allineati numerosi monumenti di Parigi: il museo del Louvre, la Piramide del Louvre, l’arco di trionfo del Louvre, i giardini delle Tuileries, la Place de la Concorde e l’obelisco di Luxor, l’avenue degli Champs Elysées, l’arco di Trionfo. Al concorso parteciparono numerosi e illustri progettisti, dei 424 presentati vinse l’architetto danese Johann Otto Von Spreckelsen. Il tema più importante da risolvere fu quello di trovare una soluzione progettuale che tenesse conto della forza simbolica rappresentata da quell’asse. Bisognava progettare un’emergenza architettonica su un’emergenza architettonica (l’asse) costellata da emergenze. Dal punto di vista urbano bisognava decidere se lasciare aperto o chiudere l’asse generato 8 km prima dal Louvre. Johan Otto Von Spreckelsen progettò un nuovo arco, un cubo di circa 110 m di lato, un volume monumentale simbolo di solidità e purezza, che nello stesso tempo conserva leggerezza e dinamismo, come l’arco di trionfo voluto da Napoleone. La Grande Arche ha il merito di proseguire anche la visibilità e la continuità dell’asse, tuttavia la stessa è stata ruotata di 6,33° rispetto all’asse che la unisce al Louvre, questa rotazione è anche la stessa per cui differiscono le due ali del Louvre rispetto al medesimo asse. Concettualmente questa rotazione permette di considerare l’asse urbano nello stesso tempo chiuso e aperto. Come il Louvre chiude fisicamente l’asse, così la Grande Arche lo chiude concettualmente attraverso la stessa rotazione, ma nello tesso tempo la conformazione dell’arco ne lascia aperta la continuità fisica e visiva.
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A sinistra e in basso: le moucharabieh,viste dall’interno e dall’esterno, e i suggestivi giochi di luce negli ambienti dell’edificio.
Jean Nouvel, Institut du monde arabe, Parigi, Francia. Anno 1987.
In basso: scorcio laterale dall’ esterno dell’edificio.
>>sintesi tra due culture Il progetto dell’Istituto del mondo arabo a Parigi nacque a dimostrazione della volontà di ampliare le relazioni diplomatiche tra Francia e Paesi Arabi, attraverso un edificio che fosse centro di scambio e di cultura e che riuscisse a coniugare il lato moderno a quello della tradizione medio-orientale, i due volti della capitale francese. L’edificio si colloca su un lotto triangolare che segue la curva meridionale della Senna, di fronte al Pont de Sully, in un’area a cavallo tra due tessuti consolidati della città, uno tradizionale e l’altro più discontinuo e di stampo moderno: a sud si trova la Parigi moderna con Jussieu, a nord la città storica con l’Ile Saint Louis e l’Ile de la Cité. L’Istituto funge da cerniera tra due culture, tra due storie: Il fronte sud dell’edificio rivela un carattere “modernamente orientale” grazie all’utilizzo di una trama di quadrati e altri poligoni, molto simili a quelli che si trovano nell’Alhambra di Granada, e che costituiscono una rivisitazione moderna delle tradizionali moucharabieh in legno arabe. Il fronte nord, che simboleggia invece il rapporto con la città antica, con cui si amalgama perfettamente, si offre come specchio della cultura occidentale. Per adattarsi alle condizioni ambientali di Parigi, certamente diverse da quelle di una città del nord-Africa, i diaframmi della facciata a sud che si ispirano a quelli della cultura araba non usano però la stessa tecnologia: non sono fissi, bensì apribili grazie a cellule foto-sensibili, che permettono così l’ingresso modulato della luce all’interno dell’edificio, in un gioco particolare di geometrie che cambia a seconda dell’orario e delle stagioni. Come nelle grandi opere architettoniche arabe, la luce viene dunque utilizzata come un “materiale”, in una reinterpretazione della tradizione coniugata all’uso della moderna (per quel tempo) tecnologia. Anche all’esterno, questo meccanismo permette di dare alla facciata un’immagine diversa durante tutto l’arco della giornata.
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In alto: particolare della facciata con i profili tubolari di diversi colori in base alle loro funzioni. A sinistra: immagine notturna della scala mobile sulla facciata principale. Richard Rogers e Renzo Piano, Centre Georges Pompidou, Parigi, Francia. Anno 1977.
In alto: due viste da sud e da ovest.
>>la macchina della cultura Il Centro Pompideau, eretto nell’area denominata plateau Beaubourg, è un’opera che si pone come espressione della cultura francese nello spirito del presidente Pompidou, che agevolò lo sviluppo di esperimenti urbani come il Front de Seine. Nato dal concetto di Maison de la Culture, introdotto negli anni ’60 da André Malraux nella volontà di produrre cultura attraverso investimenti pubblici, l’edificio ha assunto fin dalle sue origini svariati ruoli: da biblioteca fino a Museo nazionale di arte moderna. Con i suoi sei piani e campate di 48 metri, il progetto attinge al concetto di flessibilità spaziale (già introdotto da La Maison du Peuple a Clichy (1939) di Jean Prouvé): tutta la “macchina impiantistica” è portata all’esterno per lasciare all’interno uno spazio totalmente flessibile e adattabile alle sue svariate funzioni. E’ più volte stato definito “una macchina urbana” per via dell’aspetto apertamente industriale che lo connota, quasi una sfida al formalismo e una rivelazione dell’immaginario tecnologico dell’epoca (gli anni ’70). La facciata est è scandita da un reticolo di condotti tubolari, mentre una scala mobile inserita in un tubo di vetro si arrampica sui 166 metri della facciata ovest. Ciascun tubo dell’esterno è dipinto in un colore differente, poiché ogni colore corrisponde ad una diversa funzione: il blu all’impianto di climatizzazione, il giallo a quello elettrico, il rosso alla circolazione e il verde ai circuiti d’acqua, nell’intento di fornire distinzione e riconoscibilità alle varie funzioni. Va sottolineato come l’esperimento di questa gigantesca “macchina urbana” sia stato tanto apprezzato quanto discusso. Allo stesso atelier di Renzo Piano il progetto è stato descritto come “una provocazione”, e definito come una “creatura sterile in cui l’ostentazione di tubi e di metallo dai colori vivaci assolve a una funzione urbana espressiva e simbolica, non tecnica”. Tuttavia, riconosciuto il fatto che il concetto della flessibilità sia un elemento fondamentale per un’opera di questo tipo, va inoltre osservato che proprio l’espressività di cui si carica la facciata abbia avuto un ruolo fondamentale per mantenere viva e attuale quest’opera nel corso degli anni. 39
In alto: particolare della facciata con i profili frangisole in ceramica bianca. In basso, a sinistra: veduta aerea.
Renzo Piano, The NY Times Building, New York, USA. Anno 2007.
>>la trasparenza nei rapporti Il grattacielo che ospita la sede del New York Times Building è situato nella parte occidentale del Midtown di Manhattan, a New York. Sede della New York Times Company, società editrice di quotidiani come The New York Times, The Boston Globe e l’International Herald Tribune, fu realizzato per sostituire la storica sede di Times Square, a pochi isolati di distanza. Il progetto, che consta di una struttura di 52 livelli per un totale di 347 m di altezza (compresa l’esilissima antenna in carbonio posta in sommità, alta più di 100 m), si configura come una struttura “aperta”: al piano terra la lobby è occupata da spazi pubblici e giardini destinati ai cittadini e ai turisti che possono usufruire di negozi, di ristoranti e di un auditorium. Nei piani superiori si sviluppano invece le aree operative della redazione, e in sommità è presente un giardino, che consente ai suoi utenti un rapporto privilegiato con la natura e con il cielo della città. La particolarità del progetto, dal punto di vista concettuale ma anche tecnologico, è quella di volere rivelare il maggior grado possibile di apertura e trasparenza, come simbolo del rapporto tra il giornale e la città. Questo concept è stato tradotto da Piano tramite l’utilizzo di una doppia pelle in vetro extra-chiaro, e la realizzazione di uno spazio “permeabile” al flusso di persone, ad esprimere l’intrinseco legame tra il giornale locale e a città. Ciò che accade all’interno è così costantemente comunicato all’esterno. Alla doppia facciata in vetro si sovrappone una trama di profili in ceramica bianca, sospesi a 61 cm di distanza dall’involucro di vetro, che funge da frangisole ovviando la necessità di ricorrere a vetri oscuranti. “È sottile e non utilizza vetri a specchio o oscurati che trasformano le torri in soggetti misteriosi ed ermetici -si legge nel comunicato diffuso dallo studio Renzo Piano Building Workshop-“al contrario, l’impiego di vetro trasparente combinato con modelli di ceramica permettono che l’edificio si adatti ai colori dell’atmosfera: azzurro dopo un acquazzone, rosso tremolante dopo un tramonto”.
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In alto, da sinistra: due vedute interne all’edificio e una veduta esterna notturna che mettono in evidenza la traiettoria interna.
In basso: veduta esterna di una facciata laterale dell’edificio.
>>la traiettoria Le ambasciate come vengono concepite ai nostri giorni sono edifici che hanno il compito quasi “didattico” di rappresentare un’atmosfera, un carattere, un’identità di una Nazione in un contesto straniero, e allo stesso tempo di assicurare al loro interno senso di sicurezza e stabilità. L’ambasciata olandese progettata da Rem Koolhaas a Berlino svolge in parte questa funzione, ma non si esaurisce in questo: la peculiarità del progetto è stata quella di affrontare, fin dalla concezione, le idee divergenti sulla costruzione/ricostruzione della ex Berlino Est. Le linee programmatiche tradizionali della ex Berlino Ovest chiedevano infatti per i nuovi edifici del quartiere (la Roldandufer a Mitte) di rifarsi allo stile architettonico locale del 19° secolo, mentre i funzionari della ricostruzione della ex Berlino Est erano più aperti all’innovazione. Come risultato, lo studio OMA ha combinato un approccio “rigoroso”, sfruttando il perimetro regolare del lotto, ad un approccio innovatore: la realizzazione di un cubo isolato di otto piani di altezza con un concetto originale dei percorsi al suo interno. Il concept alla base del progetto è infatti “la traiettoria”: un corridoio di rampe e scale che attraversa ed unisce ai vari livelli spazi pubblici e semipubblici, fino a sfuggire alle logiche del cubo in cui si inserisce e fuoriuscire dalla facciata per unire i due edifici collegati (il cubo vero e proprio che ospita gli uffici e il muro sui due lati che crea una corte interna protetta). La traiettoria dà vita a una concezione dinamica degli spazi di lavoro e delle sale di rappresentanza che si collocano alle varie altezze: delineandosi come unico percorso guida dei vari ambienti, e determinando la disposizione degli stessi, permette una assoluta libertà di circolazione. Riesce inoltre a sfruttare il rapporto con il contesto esterno: attraverso la facciata vetrata si stabilisce un contatto visivo con il fiume Spree, il parco e gli altri edifici del distretto governativo. Il tutto sempre in addizione alla “protezione” assicurata dal cubo che la ospita. La traiettoria è il perno del progetto anche perchè i setti che separano le rampe dagli uffici assolvono a funzioni strutturali, per liberare il più possibile gli ambienti dai sostegni verticali. Del progetto (premio Mies Van der Rohe 2005) è stata premiata proprio“la qualità della riflessione urbana e l’intelligenza dell’idea realizzata, soprattutto per quanto riguarda il concetto senza precedenti di “traiettoria” ed il nuovo potenziale che conferisce ad un progetto di grande complessità”. 41
In alto: vista della laguna con i dieci padiglioni. A destra: particolare della struttura esterna dei frangisole in legno e vista generale di una parte del complesso. In basso: analogia tra l’opera e le capanne kanak.
Renzo Piano, Centro Culturale J.M. Tjibaou, Nouméa, Nuova Caleidonia, Francia. Anno 1993.
>>cultura locale, natura e innovazione Il progetto di Piano per la realizzazione di questo centro culturale in Nuova Caleidonia, un’isola dell’Oceano Pacifico facente parte del territorio francese, trae ispirazione dal tradizonale intreccio di vimini della cultura kanak dell’isola e dalla organizzazione dei villaggi locali in capanne, così come dagli alberi (i famosi pini colonnari, alberi principe in Nuova Caleidonia) e da altri elementi naturali offerti dal luogo che lo ospita. Vista dalla laguna, versante che è preda di forti venti, la conformazione finale dei dieci padiglioni è quella di un insieme di vele, alte dai 9 ai 28 metri, che sembrano gonfiarsi dal vento mentre emergono idealmente dall’acqua. Il complesso è organizzato secondo tre “villaggi funzionali” che raggruppano i dieci padiglioni: il primo ospita le aree pubbliche e gli spazi espositivi, tra cui una sala dedicata al ricordo di JeanMarie Tjibaou, leader storico del popolo kanak assassinato nel 1989; il secondo l’auditorium, la mediateca e le sale riunioni, e il terzo le aree amministrative e didattiche. I tre villaggi sono collegati tra loro da un corridoio in parte coperto, che ricorda le vie cerimoniali dei tradizionali villaggi kanak. Non vi è dunque un unico approccio teorico, ma un insieme di concetti guida, di metafore che ha guidato Piano nell’ideazione di questa opera. Il forte e ricercato legame alla cultura kanak, così come il chiaro rapporto che instaura l’opera con la natura circostante, è un tentativo di restituire un’ immagine identitaria al popolo kanak, e di assolvere la proposta del governo francese che promosse la realizzazione di quest’opera in seguito alle numerose difficoltà affrontate a partire dagli anni ‘80 con la popolazione della Nuova Caleidonia. Oltre a trarre ispirazione dagli elementi tradizionali del luogo, culturali e naturali, l’opera sfrutta fin dalla sua concezione anche i sistemi della tecnologia contemporanea: le pareti ricurve che si affacciano sulla laguna, poste come pelle esterne della facciata in vetro apribile, e sorrette da una dtruttura in acciaio, permettono l’ingresso modulato della brezza e della luce solare, favorendo al contempo l’espulsione dell’aria più calda grazie a un naturale effetto di tiraggio, e sfruttando così la ventilazione naturale sul versante (quello della laguna) più colpito dai venti.
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A sinistra: in alto, vista del coronamento dell’edificio affiancato al giardino verticale opera di Blanc. In basso, particolare dell’angolo dell’edificio e dell’innesto del nuovo intervento nell’edificio esistente. A destra: particolare delle lastre in rame che rivestono l’intervento al di sopra della fascia in pietra esistente. Herzog & de Meuron, Caixa Forum, Madrid, Spagna. Anno 2007.
>>ridare alla luce un’antica centrale elettrica L’edificio, museo di arte contemporanea e sede di diverse attività culturali, è situato nel centro di Madrid nel cosiddetto “triangolo culturale” della città, dove sono collocati anche il Museo del Prado, il Museo Reina Sofia e il Museo Thyssen-Bornemisza. L’opera consiste in un particolare recupero e ampliamento di un vecchio edificio industriale dismesso, un’antica centrale elettrica, che è stato “scavato” alla base e al suo interno per lasciare spazio alla nuova opera, conservandone però la facciata originale composta da due sezioni contigue a timpano realizzate in mattoni. L’edificio finale consta così di 7 piani, di cui due interrati, per un totale di 8000 mq di superficie. Lo zoccolo in granito dell’antico edificio è stato rimosso per dare spazio al piano terra ad una piazza pubblica aperta sui quattro lati, su cui l’edificio si attesta e sembra quasi “lievitare”, poiché tutta la struttura ha un unico punto di appoggio e quindi consente la quasi totale permeabilità del piano terra. Ai nuovi piani superiori, sovrapposti al volume dell’edificio originario, sono stati collocati i nuovi locali; la nuova facciata, che si pone in addizione a quella esistente, utilizza un involucro in rame traforato che fa da mediatore tra l’interno e l’esterno. L’opera nasce quindi non con l’idea di sostituirsi all’antico, ma piuttosto di coniugarsi ad esso per valorizzarlo. L’edificio in sé si affianca a un giardino verticale (opera del botanico francese Patrick Blanc), un muro alto 24 metri, con 15000 piante di 250 specie diverse, che si affianca all’opera principale diventandone al tempo stesso elemento “integrante”. La presenza di questo giardino vuole essere un monito alla città, dettare i principi di una nuova filosofia urbana : “La mia teoriaafferma Blanc- è che piante ed architettura devono essere integrate in un tutt’uno, solo così le città possono assumere un nuovo punto di vista. Parcheggi, stazioni ferroviarie, metropolitane, in tutti quei difficili spazi dove non ci si aspetta di vedere un angolo verde, quella è la mia reale sfida, dove la Natura è in grado di poter “riprendersi” una piccola parte di terra. Viviamo sempre più in città dove gli unici spazi accessibili alla vegetazione sono le pareti verticali e questo può creare un piccolo benessere per le nostre città.”
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In alto, da sinistra: vista dell’edificio dalla scalinata principale, vista esterna del muro laterale e vista interna con il moumento dell’Ara pacis.
Richard Meier, Museo dell’ Ara Pacis, Roma, Italia. Anno 2006.
>>celebrare l’antichità con un linguaggio contemporaneo Il progetto, nato per sostituirsi alla teca utilizzata in epoca fascista, ha uno scopo ambizioso: “racchiudere” l’antico con l’intento di valorizzarlo, in un linguaggio contemporaneo che sappia accogliere anche la tradizione. Nel perseguire tale obiettivo, il museo di Meier (che è stato di fatto oggetto di elogi quanto di polemiche) utilizza forme semplici e regolari, ma che sappiano emergere come punto di richiamo nella città. La scelta dei materiali è finalizzata all’integrazione con l’ambiente circostante: il travertino, come elemento di continuità coloristica, l’intonaco bianco autopulente, e il vetro temprato in lastre di grande formato, in grado di offrire una compenetrazione tra interno ed esterno, un contemporaneo effetto di pieno e vuoto. Dal punto di vista spaziale-distributivo l’opera si presenta suddivisa in tre settori principali. Il primo settore, una galleria chiusa alla luce naturale, è accessibile da una scalinata che supera il dislivello tra via di Ripetta e il Lungotevere e raccorda l’opera alle chiese neoclassiche antistanti. La scalinata presenta un carattere minimalista ma con un richiamo al passato, suggerito da due elementi: una fontana, memoria del Porto di Ripetta che insisteva proprio su quest’area, e una colonna che misura dall’Ara la stessa distanza che, in età augustea, la separava dall’obelisco della grande meridiana. La galleria, che ospita i servizi di accoglienza, assolve la duplice funzione di introdurre la visita al monumento e di “schermare” l’Ara dal Sud. Superata la sua penombra, si entra nel Padiglione centrale, dove di giorno l’Ara è immersa nella luce diffusa dei lucernari. Questa soluzione ha comportato il montaggio di oltre 1500 mq di vetro temperato, in lastre grandi fino a tre metri per cinque, tali da annullare l’effetto “gabbia” del Padiglione e garantire massima visibilità. Il terzo settore, a nord, ospita una Sala per convegni disposta su due piani e fornita di un locale per ristorazione. L’opera è stata tanto acclamata quanto discussa. Se a detta di alcuni critici è riuscita a compiere l’ardua impresa di dare una degna dimora ad un monumento storico, fungendo al tempo stesso da elemento “di richiamo” per la città (è infatti il primo grande intervento attuato nel centro di Roma dopo il Fascismo), per le giurie più conservatrici è risultata invece un’opera realizzata più allo scopo di autocelebrarsi che di celebrare. 44
A sinistra e in alto: vista del museo dall’esterno e vista da un locale interno, con evidenziati i percorsi e i tagli di luce in faccia. In basso: particolare dei percorsi interni.
Daniel Libeskind, Jüdischen Museums, Berlino, Germania. Anno 1999.
>>il manifesto di un popolo Il museo della cultura ebraica a Berlino si configura come un’opera di architettura nata come un simbolo, un emblema di speranza. E’ un luogo che racconta la memoria di un popolo senza essere commemorativo, fungendo da manifesto non solo per la città che lo ospita ma per l’intera umanità. L’edificio nasce come ampliamento del museo esistente, il barocco Kollegienhaus, in cui è collocato l’unico accesso, e si struttura in maniera molto articolata, a partire dalla forma a “zig zag” della pianta che è metafora della stella di David “distorta”, “decostruita”. La distribuzione interna dello spazio non risponde in particolare a nessuna criterio di funzionalità: la linea guida seguita per la realizzazione del progetto è stata quella di raccontare la storia degli ebrei, in particolare degli ebrei in Germania, e i percorsi che il visitatore è chiamato a seguire sono suggeriti dalla luce naturale proveniente dai tagli presenti sui setti inclinati in facciata e dai sistemi di collegamento interni. Tali percorsi, che raccontano la storia del popolo, consistono in tre diverse vie, metafore dei diversi destini del popolo ebraico: l’esilio, l’olocausto, la continuità della storia del popolo ebraico. Seguendo i percorsi l’attenzione è richiamata dai suggestivi giochi di pieno e vuoto, di luce e ombra, e dagli oggetti utilizzati in maniera simbolica come la scala, via di fuga verso la salvezza, o il labirinto di pilastri nel giardino di E.T.A. Hoffmann, simbolo dell’esilio e quindi di disagio e desiderio di evasione. Grazie all’uso sapiente degli spazi l’opera dà vita, così, a percorsi che sono prima di tutto simbolici che funzionali, nel tentativo di rendere partecipe il visitatore e di suscitare una riflessione interiore su ciò che sta percependo e che fa parte della storia umana. Un museo, quindi, che non è tale solo per le opere che custodisce, ma che si fa esso stesso partecipe e protagonista.
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In alto: particolare dell’edificio. A destra: due viste esterne che mostrano il rapporto tra l’edificio, il fiume e la città.
Frank Gehry, Museo Guggenheim, Bilbao, Spagna. Anno 1997.
In basso: vista dell’edificio emergente dall’acqua.
>>il caos come elemento ordinatore Nato come parte di un piano di rivalutazione urbanistica della città di Bilbao, il museo Guggenheim si colloca a nord del centro della città, sul luogo di un vecchio terreno industriale in prossimità del fiume Nerviòn. Occupa una superficie complessiva di 24.000 mq, di cui 10.600 adibiti a spazi espositivi, configurandosi come una specie di nave o di grosso animale marino rivestito di “squame”. Caratteristico é infatti il rivestimento in lastre di titanio (oltre 33 mila) dal colore brillante, simili alle squame di un pesce, che ricoprono quasi totalmente la struttura, ad eccezione di alcune parti. Le forme organiche che la contraddistinguono appaiono “mescolate” e affiancate in maniera apparentemente caotica, ma all’interno rivelano la loro precisa ragion d’essere dando vita a spazi che assolvono alle loro funzioni: le sale interne che ospitano le opere sono state pensate proprio in vista della loro funzione, e concepite partendo dalle caratteristiche delle opere stesse che erano destinate ad accogliere, alcune di grandi dimensioni. La struttura si sviluppa su tre livelli, più un quarto destinato a contenere gli impianti di condizionamento. Dall’enorme atrio interno di 650 mq e di 50 metri di altezza, su cui si affacciano e prendono luce anche i piani superiori, si percorrono gli spazi attraverso gallerie e passerelle sospese o collegamenti verticali vetrati. Alcune gallerie presentano forme irregolari e sono rivestite esternamente in titanio; altre hanno forme tradizionali e sono distinguibili perchè rivestite eternamente in pietra. Gehry, nel raccontare la nascita di questo progetto, ha affermato di aver seguito con la mente ciò che la matita liberamente tracciava sul foglio, guidata dalla sua mano: il risultato è stato il concepimento di quest’opera dall’articolazione molto complessa. Grazie ad appropriati software di calcolo, gli stessi che si utilizzano nella progettazione areonautica, è stato poi possibile ingegnerizzarla e renderne fattibile la cantierizzazione. Pur rimanendo un’opera unica nel suo genere e degna di nota, sia dal punto di vista tecnologico che concettuale, l’opera ha subito alcune critiche a causa non solo dell’ingente somma economica spesa per la sua realizzazione, ma anche per la sua (a detta di alcuni) scarsa capacità di celebrare le opere, in quanto opera eccessivamente celebrativa di se stessa. 46
A sinistra: viste esterne dell’edificio che mostrano il distacco e la continuità con le rovine gotiche. A fianco: una vista interna, con la passerella realizzata per ammirare i reperti archeologici.
Peter Zumthor, Kolumba Museum, Colonia, Germania. Anno 2007.
In alto e a destra: viste che mostrano nel dettaglio l’innesto di elementi nuovi nel preesistente.
>>il “museo della contemplazione” nella continuità tra antico e nuovo Nato sulle rovine di una chiesa tardo gotica, andata distrutta durante la seconda guerra mondiale, il museo progettato da Zumthor a Colonia offre come tema chiave la continuità fra antico e nuovo, in un sapiente utilizzo di fome e spazi e un appropriato studio della luce come “rivelatrice” di luoghi. Il tentativo dell’opera è stato quello di dare all’architettura il ruolo di riportare l’enfasi sulle opere artistiche esposte, preservandone e accrescendone l’aura. In questo senso, il museo è stato denominato da molti “l’Anti-Guggenheim” per il fatto che l’opera di Gehry a Bilbao concentrava l’attenzione sul foyer e sugli spazi pubblici in rapporto con la città, mettendo in secondo piano gli ambienti destinati alle collezioni e le opere stesse. Il bando del progetto richiedeva soluzioni ardite poichè imponeva, oltre alla conservazione della cappella di Böhm, realizzata negli anni ‘40 per preservare una statua della Madonna rimasta intatta durante i bombardamenti, e alla conservazione della cappella del Sacramento, progettata dallo stesso Böhm nel 1957 (e le cui pareti, in basalto, sono oggi inglobate nella nuova costruzione), anche l’inserimento nel museo dell’area romana e medioevale ritrovata durante gli scavi archeologici compiti negli anni ‘70. Zumthor ha assolto a tali richieste progettando, nell’area delle rovine, una grande hall delimitata nella parte bassa da muri di mattoni, quali segni di prosecuzione delle antiche pareti della chiesa, e facendo sì che nella parte alta i muri pieni si “alleggerissero” tramutandosi in pareti traforate, fungendo non solo da mediatrici di luce e di aria ma anche da artefici di suggestivi giochi di luce. “Questo è il procedimento che preferisco –racconta a questo proposito Zumthor nel testo Atmosfere (Electa, Milano 2007)–: dapprima pensare l’edificio come fosse una massa d’ombra e solo in un secondo tempo, come in un processo di scavo, mettere le luci, far filtrare la luce nell’oscurità(…). Il secondo procedimento consiste nel sistemare consapevolmente i materiali e le superfici in una certa luce. Poi bisogna guardare come riflettono i materiali e a quel punto si scelgono per creare un insieme coerente”. Attraverso strette scale ricavate fra i muri, dalle stanze prive di luce naturale al piano primo si raggiungono agli ambienti del secondo piano, illuminati grazie ad ampie finestre: il rapporto con la città, che sembrava negato, ricompare sotto forma di contemplazione. 47
A sinistra: genesi della forma e vista delle terrazze a sud del complesso Mountain Dwellings. In basso: scorci da nord e da sud (a volo d’uccello) dell’intervento nel suo complesso.
Studio PLOT -JDS + BIG, VM Houses, ØrestadCopenhagen, Danimarca. Anno 2008.
In alto: vista delle terrazze triangolari della V house.
>>esigenze di residenza e nuovi esperimenti Il complesso residenziale VM houses e Mountain Dwellings consta di tre edifici realizzati in due tempi successivi sulla direttice che collega il quartiere Ørestad al centro di Copenhagen. L’opera rappresenta la visione dei progettisti di come provvedere a fornire al più largo numero di residenti la luce e le visuali migliori in spazi ristretti e relativamente a basso costo. Il nome VM deriva dalla forma dei due edifici che, vista dall’alto, vengono a formare le due lettere dell’alfabeto. Il progetto reinterpreta l’Unité d’Habitation di Le Corbusier, sviluppando oltre 80 tipologie di alloggi di varie metrature, tutti contenenti spazi a doppia altezza verso nord e ampie viste panoramiche verso sud. Alla base l’edificio a forma di V si stacca da terra per lasciare posto ad uno spazio pubblico continuo, completamente permeabile. Ulteriore riferimento a Le Corbusier sono i corridoi centrali, pensati come strade coperte, luminosi e con spazi creati apposta per la socializzazione. L’utilizzo della forma diagonale che spezza la linearità dell’intervento, sia nella forma principale che nelle terrazze, ha permesso non solo la generazione di svariate tipologie di alloggi (simplex, duplex e triplex), ma anche di fornire ottime visuali verso l’esterno, negando al tempo stesso quelle tra appartamenti adiacenti. I balconi triangolari sono stati studiati inoltre al fine di fare meno ombra possibile agli appartamenti sottostanti. L’edificio a ovest, M, è stato fratturato ulteriormente allo scopo di fornire maggiore luminosità e una miglior vista ad ogni appartamento. Con Mountain Dwellings, edificio successivo posto più a est, Bjarke Ingels ha completato l’intervento. Il progetto prevedeva 2/3 di parcheggi e 1/3 di residenze, e la scelta singolare è stata quella di realizzare un’unica opera che prevedesse i parcheggi a nord, e le residenze a sud, in una “cascata” di dieci livelli coperta da tetti giardino e terrazze ideate per fornire l’apporto migliore di sole e aria. La scelta formale forte è stata quella di realizzare un edificio a “montagna”, in contrasto col panorama pianeggiante danese. L’edificio è composto così da 80 appartamenti di diverse tipologie e 480 posti auto. E’ stato studiato inoltre un diverso trattamento delle facciate: una serigrafia per l’immagine della montagna, piastre d’alluminio perforato sulle facciate nord ed ovest, che consentono all’aria e alla luce di penetrare fino alle aree interne del parcheggio, e infine listelli di legno nella facciata a sud. 48
In alto: vista interna della sala della musica e vista dell’edificio dalla piazza esterna.
Rem Koolhaas | Studio OMA, Casa da Musica, Porto, Portogallo. Anno 2005.
In alto: vista delle scale interne.
>>una cerniera per la città Il progetto per la “Casa della musica” a Porto è stato concepito come cerniera tra le due parti della città, la vecchia e la nuova Porto, con l’intento di dare luce ad un incontro positivo tra due modelli distinti di città. Il volume dell’edificio, un blocco squadrato e irregolare in calcestruzzo bianco che ospita al suo interno una superficie di 22000 mq, è stato concepito come un “meteorite” caduto dal cielo per lasciare un segno: ciò al fine di dimostrare, con i suoi usi e le sue funzioni, che sia possibile un dialogo tra le due parti della città, grazie alla definizione di un nuovo spazio dedicato ad attività culturali e ricreative e dunque di incontro e apertura alla società nel suo complesso. A questo proposito, l’edificio si erge come un volume “in contrasto” agli edifici dei vecchi isolati del centro, fungendo da elemento di richiamo, nel suo ruolo ambizioso di centro unificante e propulsore. Oltre alla forma esterna, certamente di forte impatto visivo pur nella sua semplicità, particolare cura è stata data anche agli ambienti interni, dove la scelta dei colori è decisamente in contrasto all’ambiente esterno, e non è stata casuale: la sala blu è stata studiata per suscitare calma e tranquillità e quindi indurre le persone al silenzio una volta giunte all’ingresso; la sala con il tappeto arancione è stata studiata per accogliere le sedute di bambini e ragazzi; altri locali sono stati decorati con le tipche maioliche della tradizione portoghese; ogni angolo rivela una scoperta, ed ha un preciso significato. Anche l’esterno è stato studiato attentamente: l’edificio è circondato da una pavimentazione in lastre di pietra che presenta insenature, tagli e pieghe, per connotare lo spazio con una varietà di funzioni in continuo mutamento: spettacoli, luoghi di sosta, di ritrovo, di passaggio. “Non più una ferita tra la vecchia e la nuova Porto, ma un incontro positivo di due differenti modelli di città. Attraverso il simbolismo - si legge nella descrizione del progetto fornita dallo studio olandese – visibilità e accesso sono risolte in un solo gesto”.
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7 Dall’analisi ambientale al dettaglio costruttivo: progetto per un ospedale pediatrico in Darfur Annamaria Draghetti
In questo paragrafo si propone un esempio di sviluppo di un tema progettuale prendendo come base una tesi di Laurea in Architettura e Composizione Architettonica, discussa nel 2010 presso il Corso di Laurea in Ingegneria Edile\Architettura di Bologna. Il titolo della tesi è “progetto di un’unità sanitaria ospedaliera ad indirizzo pediatrico in Darfur, Sudan” di Annamaria Draghetti, relatore prof.ing. Francesco Fulvi, correlatori prof.ing. Giorgio Praderio, prof. ing. Nada Balestri, arch. Raul Pantaleo. L’obiettivo è quello di schematizzare l’iter di lavoro seguito, che si compone di numerose fasi, dall’analisi all’approccio progettuale; in questo senso, le varie fasi non sono da considerarsi temporalmente consecutive, ma piuttosto contemporanee: dall’unione dei diversi aspetti sono nate le successive considerazioni progettuali. >> nascita del tema progettuale Il tema di progetto nasce da un incontro con lo studio tamassociati ed in particolare con l’arch. Pantaleo, collaboratore dell’associazione umanitaria italiana Emergency; emerge la possibilità di effettuare uno studio di ricerca per la realizzazione di una clinica pediatrica, in un lotto situato in periferia est della città di Nyala, in Darfur. Vengono quindi stabilite delle vere e proprie consegne: le dimensioni del lotto, la tipologia, gli elementi che necessariamente devono essere presenti, come il numero di posti letto, le sale operatorie, etc.
In alto: un’immagine giocosa degli elementi naturali tipici africani In basso: una vista aerea di un villaggio
>> analisi socio-culturale: il profilo di una regione In prima battuta si è analizzata la regione Darfur, in termini di costumi, tradizioni e società, al fine di far emergere le peculiarità culturali del territorio entro il quale ci si appresta a progettare come ad esempio le tipicità africane, il rapporto con l’Islam e la difficile situazione umanitaria nel quale versa il Paese. Scendendo di scala, si sono analizzati gli stili di vita, il nomadismo e la cultura del villaggio che andranno in seguito a comporre l’ossatura del progetto stesso. 50
In alto: schemi che riassumono le metafore progettuali, il tema della casa ed il rapporto con il cortile e il patio arabo A sinistra: immagine del lotto di progetto. In basso a sinistra: analisi ambientale del lotto di progetto In basso a destra: primi studi dell’area di intervento e relativa accessibilità
>> analisi e lettura ambientale L’analisi ambientale si è strutturata con un primo studio delle caratteristiche geografiche, climatiche e vegetative di questa regione per lo più desertica e ricca di baobab e acacie. Il dato più rilevante da un punto di vista progettuale è sicuramente l’alta temperatura giornaliera, tipica delle regioni del Centro Africa. In seguito, uno zoom sulla città di Nyala, tessuti urbani e principali vie di comunicazione. Infine il lotto di progetto: esposizione solare, venti principali, rapporto con centro ed il contesto circostante. >> metafore progettuali Le metafore progettuali nascono dall’intersezione di diversi elementi rintracciati durante la fase di analisi, come gli schemi mostrano: da un lato lo studio del lotto abitativo tipo dall’altra la forte influenza araba.
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In alto: una serie di schizzi preliminari riguardanti gli schemi distributivi, la maglia strutturale ed le volumetrie
>> Schizzi e plastico di studio Una serie di schizzi,disegni preliminari mostrano i primi studi volumetrici e compositivi. Altro strumento fondamentale è il plastico di studio, in questo caso in scala 1:500, realizzato con poliplat e spugna, utilizzando una foto dell’area di progetto. Dall’intreccio di queste considerazioni deriva la scelta di un volume unico a maglia regolare. Alcune di queste maglie vengono scavate, e diventano patii e cortili. >> Il progetto distributivo Scelta la volumetria si sono delineati gli accessi esterni, la circolazione ed i diversi blocchi che lo compongono; scendendo nel dettaglio sono state inserite le funzioni mediche previste dalla consegna, all’interno di una maglia regolare e studiati i percorsi principali interni dei diversi operatori che gravitano all’interno della struttura. In alto: plastico di studio
In basso: schema distributivo, schema degli accessi e schema dei percorsi di progetto 52
Ricostruzione Scuole Provvisorie della Sagrada Familia, Antonì Gaudì.
Chiesa di Atlantida, Montevideo, Eladio Dieste
>> analisi tecnologie e tecniche costruttive Essendo il lotto di studio collocato in una fascia climatica equatoriale, è risultato utile studiare alcuni principi di mitigazione climatica naturale proposti dall’architetto egiziano Hassan Fathy; sostanzialmente Fathy spiega come la corte influenzi positivamente temperatura e pressione nei climi caldi. Tali principi sono stati applicati al progetto mediante la scelta tipologica della corte, caratterizzata da patii e giardini interni. >> tecnica costruttiva Un’ulteriore studio è stato effettuato sulle tecniche di costruzione di coperture voltate in laterizio, che non prevedano l’utilizzo di centine, e siano facilmente riproducibili anche da maestranze non qualificate. I due casi presi in esame sono le opere dell’architetto uruguaiano Eladio Dieste e la volta catalana ripresa da Antonì Gaudi, quest’ultima utilizzata nel progetto.
Schema della sezione trasversale dell’edificio
Schema delle luci della copertura mediante la volta catalana
Schemi di regolazione climatica naturale, Hassan Fathy 53
Vista di un patio di progetto
Vista di un patio di progetto e camera di degenza
>> Dettagli costruttivi Dal punto di vista climatico, la temperatura si mantiene molto alta a Nyala, i venti secchi e polverosi predominanti soffiano da nord ovest per quasi tutto lâ&#x20AC;&#x2122;anno, tranne qualche mese dove soffiano i venti umidi da sud est, che portano le poche piogge stagionali. Per questo motivo si è scelto un pacchetto murario esterno altamente performante, caratterizzato da due blocchi di laterizio con interposto isolante fatto di Kenaf, una fibra vegetale locale, che ha ottime prestazioni isolanti. >> Il progetto del verde Importante è stata anche la progettazione degli spazi esterni, come parte integrante del tema progettuale stesso. I patii infatti rappresentano un elemento costituente lâ&#x20AC;&#x2122;intero ospedale, collocati in modo da poter esser visti in ogni punto dello stesso. Nello specifico, si sono poi scelte adeguate piante locali, che rispondono anche ad un principio secondo il quale la vista di zone verdi migliori il percorso di recupero dei degenti ricoverati.
Sopra e a destra: sezioni di dettaglio cielo-terra 54
Plastico 1:20 dellâ&#x20AC;&#x2122;innesto pilastro-volta catalana
Plastico 1:200 del complesso ospedaliero
>> Plastici e viste In ultima battuta sono stati realizzati due modelli finali, uno dellâ&#x20AC;&#x2122;intero ospedale in scala 1:200 ed un altro in scala 1:20 riguardante la stratigrafia della volta catalana ed il suo relativo innesto con il pilastro in acciaio. Entrambi sono stati realizzati utilizzando un supporto di compensato, mentre i vari elementi sono in listelli di balsa e betulla. Nel primo plastico sono stati poi inseriti anche omini stampati su acetato, sempre nella scala appropriata. A corredo finale, alcune viste seppur schematiche, permettono di mettere in luce alcuni degli aspetti fino ad ora trattati, evidenziando lo schema compositivo ed il rapporto tra interno ed esterno.
Sopra: vista dallâ&#x20AC;&#x2122;alto dâ&#x20AC;&#x2122;insieme A destra: viste interne delle camere di degenza
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Lo Staff
Ing. Francesco Fulvi - Tutor didattico contact: francesco.fulvi@unibo.it
Ing. Andrea Luccaroni - Tutor didattico contact: andrea.luccaroni@unibo.it
Ing. Nada Balestri - Tutor didattico contact: nada.balestri@unibo.it
staff di a3a, anno accademico 2012-2103 http://www.architettureinviaggio.it/MovingBlog/ page/Moving-Architectures-Staff.aspx
Ing. Simona Bernardoni - Cultore della materia contact: simona.bernardoni@gmail.com
Ing. Francesca Bonafede - Cultore della materia contact: fra.bonafede@gmail.com
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Alessandro Dâ&#x20AC;&#x2122;Amico - Cultore della materia
contact: contact: alessandro_damico@hotmail.com
Claudia Cgnigni- Cultore della materia contact: cla99psg@hotmail.it
Marco De Luigi - Cultore della materia contact: marco_deluigi@hotmail.it
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UniversitĂ degli studi di Bologna FacoltĂ di Ingegneria Edile-Architettura Dipartimento di Architettura e Piantificazione Territoriale Corso di Architettura Composizione Architettonica 3 parte a Titolare: prof. Alessio Erioli Responsabili: Prof. Francesco Fulvi, Prof. Andrea Luccaroni http://www.architettureinviaggio.it
Architetture in viaggio