UN AGGIORNAMENTO DEL QUARTIERE INA-CASA
LA MERIDIANA analisi - storia - progetto
Università di Bologna - Tesi di laurea in Architettura e Composizione Architettonica
Francesco Pagani
UN AGGIORNAMENTO DEL QUARTIERE INA-CASA
LA MERIDIANA analisi storia progetto
Alma Mater Studiorum - UniversitĂ di Bologna Scuola di Ingegneria e Architettura DA - Dipartimento di Architettura Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico di Ingegneria Edile-Architettura Tesi di Laurea in Architettura e Composizione Architettonica a.a. 2015/2016 Candidato: Francesco Pagani Relatore: Prof. Arch. Matteo Agnoletto Correlatore: Ing. Luigi Bartolomei
giugno 2016 - marzo 2017
A Maria Chiara e alla mia famiglia.
indice abstract 007 /01 cenni storici 009 01.1 __ la Legge Fanfani 009 01.2 __ i fascicoli INA Casa 010 01.3 __ l’architettura INA Casa 015 01.4 __ il patrimonio INA Casa 019 /02 l’INA Casa a Bologna 023 02.1 __ spazio e comunità 026 02.2 __ il problema delle localizzazioni 026 02.3 __ Borgo Panigale 034 02.4 __ Cavedone 036 /03 il quartiere “La Meridiana” 039 03.1 __ la fase preliminare 042 03.2 __ la realizzazione 046 03.3 __ le modifiche e la manutenzione 049 03.4 __ il progetto preliminare 052 03.5 __ il progetto definitivo 059 03.6 __ la costruzione 074 03.7 __ i nuovi ingressi: gli interventi del 1969 086 03.8 __ il ripristino conservativo 092 03.9 __ lo stato attuale 098 /04 il Grattacielo 103 04.1 __ inquadramento urbanistico 104 04.2 __ viabilità 107 04.3 __ spazi verdi 111 04.4 __ tessuto urbano 113 04.5 __ metaprogetto 114 04.6 __ il Grattacielo 116 04.7 __ la struttura portante 136 04.8 __ i prospetti 138 04.9 __ questionario 152
/05 il progetto urbanistico 161 05.1 __ ricucitura urbana 163 05.2 __ il nuovo parcheggio 173 /06 il progetto architettonico 187 06.1 __ strategie progettuali 187 06.2 __ piano terra 200 06.3 __ esoscheletro e balconi 210 06.4 __ belvedere e skygarden 222 appendice 241 bibliografia 253
abstract
La presente tesi nasce dalla volontà di indagare le possibilità di intervento a livello architettonico, urbano e sociale sul comparto edilizio INA Casa La Meridiana, costruito a Bologna agli inizi degli anni Sessanta; la ricerca è incentrata in particolare sul Grattacielo, elemento principale del quartiere, che riveste notevole importanza nel panorama architettonico bolognese per la sua altezza (per anni è stato l’edificio più alto della città, secondo solo alla Torre degli Asinelli) e per il suo saper essere punto di riferimento nel territorio. L’inquadramento storico iniziale è necessario per comprendere la genesi del quartiere, che nel tempo si è evoluto per poi essere inglobato all’interno del tessuto cittadino. A questo segue un’ampia analisi delle vicende storiche che hanno caratterizzato il Grattacielo dalla sua costruzione fino ai giorni nostri, per ottenere un quadro di partenza su cui sviluppare una proposta di ri-disegno e di aggiornamento dell’immagine come landmark e “porta di Bologna”. Il progetto si sviluppa su due fronti. Da un lato viene preso in considerazione l’aspetto urbano, approfondendo il tema dello spazio pubblico e proponendo un intervento di riqualificazione basato sulla valorizzazione delle aree verdi e pedonali, liberando – per quanto possibile – la superficie dall’eccessiva presenza di automobili in sosta. Dall’altro si affronta il tema del Grattacielo, cercando di intervenire con un progetto che elimini o attenui le attuali carenze (snellezza e accessibilità in primis) e allo stesso tempo valorizzi i punti di forza (panoramicità) attraverso implementazioni spaziali e volumetriche, senza però essere distruttivo nei confronti dell’esistente. Il progetto si concretizza in un esoscheletro d’acciaio che, addossato all’edificio, permette la realizzazione di nuove terrazze a servizio delle singole unità, incrementando così la qualità e il valore delle stesse; tale struttura, inoltre, sostiene una nuova volumetria in cima all’edificio, utilizzata come belvedere pubblico e dotata di dispositivi (Tuned Liquid Mass Damper) volti a ridurre le vibrazioni indotte da azioni orizzontali (sisma e vento).
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Quartiere INA Casa Sacca, Modena (1957-65)
L. Montedoro (a cura di), La cittĂ razionalista. Modelli e frammenti, Modena, RFM, 2004.
/01 cenni storici
Il patrimonio INA Casa – costituito da edifici, complessi edilizi e interi quartieri – è il risultato di un vasto e organico piano di edilizia residenziale pubblica attuato in due settenni, tra il 1949 e il 1963, nella fase di passaggio dalla ricostruzione postbellica al boom economico. Alla sua realizzazione lavora quasi un terzo degli ingegneri e degli architetti italiani applicando gli indirizzi programmatici, le procedure operative e un linguaggio architettonico appositamente elaborati dagli uffici tecnici e amministrativi dell’ente. Per la concezione unitaria del programma edilizio, per la consistenza del costruito (quasi 355.000 alloggi, circa il 10% degli alloggi costruiti in quel periodo) e per la sua diffusione capillare sul territorio nazionale, questa esperienza costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione della costruzione italiana del Novecento.
01.1 LA LEGGE FANFANI Al termine della Seconda Guerra Mondiale viene presentato un piano di costruzione di alloggi popolari che sarà gestito dall’ente pubblico INA Casa. Alla fine di febbraio del 1949, dopo un iter parlamentare iniziato nell’anno precedente, viene approvata la legge n. 43, Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori, presentata da Amintore Fanfani, al tempo Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale. La legge, che dà inizio al Piano INA Casa, assegna all’edilizia un ruolo particolare nella ricostruzione del Paese. L’obiettivo principale, infatti, è quello di soddisfare l’ingente fabbisogno abitativo accumulato prima e durante il conflitto e, allo stesso tempo, dare lavoro a un gran numero di disoccupati, i quali, senza nessuna specializzazione, non avevano possibilità di
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trovare sbocchi occupazionali in un Paese dal tessuto produttivo pressoché distrutto. Il settore edilizio fu quindi scelto dal Governo come il più adeguato per impiegare tutta quella manodopera senza particolari competenze. Le risorse necessarie all’attuazione del Piano furono reperite tramite un sistema di finanziamento misto, con l’intervento cospicuo, oltre che dello Stato, dei datori di lavoro e degli stessi lavoratori, attraverso una trattenuta sul salario mensile (risparmio obbligatorio). La differenza, dal punto di vista normativo, tra il primo e il secondo settennio della gestione INA Casa riguarda i soggetti partecipanti ai diversi piani e quindi la fonte delle risorse economiche. Nel primo settennio gli alloggi sono costruiti mediante il sistema del “risparmio obbligatorio”, mentre nel secondo è prevista anche la partecipazione di risparmiatori privati, associati in cooperative, che anticipano parte del costo di costruzione dell’alloggio. Così impostata, però, la legge Fanfani genera una situazione paradossale: all’interno di un processo di globale e radicale trasformazione sociale, politica ed economica che l’Italia sta affrontando, il settore delle costruzioni viene bloccato nel suo stato di arretratezza tecnica. Per raggiungere i suoi obiettivi, infatti, la legge impone un alto impiego di manodopera e bassa meccanizzazione, determinando una sorta di congelamento del livello tecnologico del settore stesso e rinunciando così al progresso tecnico che, nel resto dell’Europa, si sta muovendo verso la prefabbricazione. È vero che il provvedimento in esame riguarda un piano ben delimitato e della durata di appena sette anni, ma è altrettanto importante sottolineare che il piano verrà prorogato per un secondo settennio e che, alla fine, le case Fanfani costituiranno una percentuale altissima rispetto al complesso dell’edilizia residenziale pubblica realizzata nel periodo. Gli effetti di questo provvedimento sul sistema edilizio italiano non possono quindi essere sottovalutati, anche in considerazione del grandissimo numero di progettisti coinvolti (circa un terzo dei 17.000 architetti e ingegneri italiani attivi in quel periodo), che hanno fatto del Piano INA Casa la propria palestra di formazione.
01.2 I FASCICOLI INA CASA Il primo luglio del 1949 il Piano INA Casa entra in funzione e procede subito a pieno regime. Esso prevede che l’ente pubblico si limiti a svolgere a livello centrale la gestione complessiva, coordinando e tenendo sotto stretto controllo una fitta rete capillare di operatori del settore delle costruzioni: i promotori locali, le stazioni appaltanti (Comuni, IACP, INCIS, ecc.), il mondo
/FORMELLE Formelle di ceramica smaltata identificative di un quartiere INA Casa. http://www.torrespaccata.org/
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/CANTIERE Cartello di cantiere.
http://www.torrespaccata.org/
/CANTIERE Un cantiere INA Casa.
http://www.torrespaccata.org/
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professionale degli architetti e degli ingegneri e le imprese di costruzione. L’ente nazionale appositamente istituito per attuare il piano, l’INA Casa, è composto da due organi fondamentali, il Comitato di attuazione e la Gestione INA Casa. Il primo di questi ha poteri deliberativi e fa capo al Ministero del Lavoro (e dunque a Fanfani stesso), consentendo così di alleggerire i compiti del Ministero dei Lavori Pubblici (che controlla l’intero settore dell’edilizia residenziale pubblica) e di snellire le procedure burocratiche. Il secondo organo, invece, coordina gli aspetti tecnici e progettuali, garantendo il controllo dell’ente sulle fasi attuative del piano. Risolto l’aspetto politico-gestionale, si rende necessaria una regia che indichi agli operatori - di diversa formazione e appartenenti a diverse aree geografiche e culturali - le linee guida per il disegno degli alloggi e dei quartieri. La via scelta per la progettazione, infatti, esclude elaborazioni centralizzate di progetti tipo e prevede il coinvolgimento dell’intera classe professionale degli architetti e degli ingegneri, organizzati in un albo speciale INA Casa. Dunque, allo scopo di coordinare l’attività dei diversi progettisti, all’interno della struttura di Gestione viene istituito l’Ufficio Architettura, diretto da Adalberto Libera fino al 1952. Per impedire la frammentazione degli interventi sul territorio e prevenire un eccessivo liberismo progettuale, l’Ufficio produce un insieme di indicazioni, raccomandazioni e norme raccolte in diversi fascicoli, i quali affrontano i diversi aspetti della progettazione, definendo una precisa linea urbanistica, architettonica e tecnologica. L’obiettivo di fondo è quello di stimolare e garantire efficienza ed elevata qualità nelle fasi progettuali e in quelle realizzative, ma anche di convogliare la libera interpretazione del singolo operatore all’interno di una strategia unitaria. I quattro fascicoli normativi1 sono veri e propri manuali prodotti allo scopo di facilitare il compito dei progettisti. Essi comprendono suggerimenti, orientamenti, schemi ed esempi per la progettazione alla scala urbana e a quella edilizia, fino al dettaglio delle soluzioni costruttive. Le “quasi norme” non sono cogenti, ma risultano particolarmente persuasive e suscitano, in genere, il consenso e l’entusiasmo del progettista2. In ogni caso, sia in fase di approvazione del progetto sia in fase realizzativa, il rispetto di queste indicazioni viene controllato dall’Ufficio stesso. Gli schemi, illustrati e commentati con brevi note, sono distinti per tipologie edilizie (casa multipiano continua con due alloggi per piano, casa multipiano isolata con due alloggi per piano, casa a schiera ad un piano, casa a schiera a due piani con alloggio in verticale), per capacità di alloggio (una, due o tre stanze da letto) e per abitudini di vita che si riflettono nel rapporto cucinasoggiorno-pranzo (cucina a sé stante, cucina in nicchia, cucina-
/FASCICOLI Le copertine del secondo e terzo fascicolo per la “guida” alla progettazione.
/1 I fascicoli, tutti intestati “Piano Incremento Occupazione Operaia. Case per lavoratori”, sono definiti come: 1. Suggerimenti, norme e schemi per la elaborazione e presentazione dei progetti. Bandi dei concorsi (1949); 2. Suggerimenti, esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo (1950); 3. Guida per l’esame dei progetti delle costruzioni INA-Casa da realizzare nel secondo settennio (1956); 4. Norme per le costruzioni del secondo settennio estratte da delibere del Comitato di attuazione del Piano e del Consiglio direttivo della Gestione INA-Casa (1956). /2 Poretti S., Dal piano al patrimonio INA Casa, in Capomolla R., Vittorini R. (a cura di), L’architettura INA Casa (1949-1963). Aspetti e problemi di conservazione e recupero, Roma, Gangemi Editore, 2003, p.12.
/3 L’aumento delle dimensioni dell’alloggio nel secondo settennio è dovuto sia al cambiamento delle esigenze rispetto all’immediato dopoguerra, sia alla partecipazione al Piano dei risparmiatori privati, i quali avevano sicuramente una maggiore conoscenza delle esigenze dei futuri proprietari. /4 Fascicolo n.2, Suggerimenti, esempi e norme per la progettazione urbanistica. Progetti tipo (1950), p.8. /5 Fascicolo n.1, Suggerimenti, norme e schemi per la elaborazione e presentazione dei progetti. Bandi dei concorsi (1949), p.9. /6 ivi, p.7.
pranzo-soggiorno in unico ambiente). Tra tutte le indicazioni presenti, le prescrizioni più vincolanti sono quelle che riguardano la superficie dell’alloggio in relazione al numero di posti letto e alla composizione del nucleo familiare: gli alloggi realizzati nel primo settennio hanno una superficie utile non inferiore a 30, 45, 60, 75 e 90 mq, dimensioni che rispecchiano l’urgenza di fornire un tetto al maggior numero di persone; nel secondo settennio vengono invece eliminati gli alloggi di estensione più ridotta e aumentate le dimensioni dell’abitazione più grande secondo una sequenza che prevede superfici di 50, 70, 90 e 110 mq3. Per quanto riguarda l’aspetto urbanistico, i fascicoli suggeriscono, per i nuovi quartieri, composizioni “varie, mosse e articolate, tali da creare ambienti accoglienti e riposanti, con vedute in ogni parte diverse e dotate di bella vegetazione, dove ciascun edificio abbia la sua distinta fisionomia, ed ogni uomo ritrovi senza fatica la sua casa”4. Queste indicazioni portano, nel primo settennio, a impianti caratterizzati dall’accostamento di diverse tipologie edilizie, come nel quartiere Harar a Milano, di Borgo Panigale a Bologna e di Valco San Paolo a Roma, solo per citare alcune realizzazioni. Nel secondo settennio, invece, i nuovi quartieri sono organizzati prevalentemente con corpi edilizi lineari, variamente articolati e fondati su alloggi aggregati in linea. Ma i fascicoli, oltre a definire tipologie edilizie, superfici degli alloggi, sistemi costruttivi e a indicare gli schemi planimetrici ritenuti più adatti, raccomandano anche “…l’attenta considerazione del problema locale sotto ogni punto di vista (abitudini di vita, tradizioni locali, clima, latitudine ed altitudine, materiali da costruzione locali, prodotti dell’artigianato, maestranze, sistemi costruttivi, riscaldamento”5 e nello stesso tempo affermano che “lo studio accurato di una casa economica richiede una speciale preparazione tecnico architettonica ed una notevole conoscenza degli studi e delle realizzazioni effettuate in Italia e negli altri Paesi”6. Questo insieme di norme e suggerimenti circoscrive quindi l’attività progettuale in un sistema che appare contraddittorio: da una parte l’attenzione verso il locale, dall’altra l’invito a focalizzarsi su quanto si era fatto e si faceva, nel campo dell’edilizia sociale, negli altri Paesi.
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/QUARTIERI Quartiere Harar, Milano (1952) e Quartiere Valco San Paolo, Roma (1949). Il disegno generale dei due quartieri, come la maggior parte delle realizzazioni del primo settennio, è caratterizzato dalla combinazione di diverse tipologie edilizie. http://www.ordinearchitetti.mi.it/ http://www.archidiap.com/
01.3 L’ARCHITETTURA INA CASA Il quartiere INA Casa assume una propria e precisa identità urbanistica e architettonica. Esso si basa sull’idea di unità socioabitativa: nei progetti si presta attenzione alla creazione di spazi abitabili anche al di fuori dell’alloggio, con l’obiettivo di connettere tali aree fino a farle diventare “quartiere”. Nello spazio urbano dell’INA Casa ritroviamo la dimensione collettiva di residenza per la piccola comunità e il carattere domestico che dalla casa si estende all’intorno. Si ripropone la semplicità costruttiva, il linguaggio architettonico familiare e spontaneo, ottenuto attraverso la combinazione di semplici schiere e torri, evitando allineamenti, geometrie astratte e monotone ripetizioni. La realizzazione di questi nuclei autonomi nelle periferie delle città costituisce la vera e propria sperimentazione progettuale dell’esperienza INA Casa: i quartieri hanno così la possibilità di creare un vero e proprio contesto urbanistico e di generare nuove modalità di sviluppo urbano. Ma l’elemento di riconoscibilità del quartiere INA Casa all’interno della città non è solo questo. A renderne inconfondibile la fisionomia concorre anche, e soprattutto, il linguaggio architettonico. In continuità con l’esperienza degli anni Trenta, infatti, alla base dell’architettura del quartiere troviamo ancora lo stesso, eterogeneo apparecchio in muratura e cemento armato,
/BARCA, BOLOGNA Nello “stile INA Casa” il realismo strutturale viene spesso portato all’estremo e gli elementi della struttura in cemento armato ostentano la propria funzione statica. Via della Barca, Bologna (1957-62). G.Vaccaro.
Capomolla R, Vittorini R. (a cura di), L’architettura INA Casa (1949-1963). Aspetti e problemi di conservazione e recupero, Roma, Gangemi Editore, 2003.
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messo a punto prima della guerra. Questo modello costruttivo, già ben delineato nei fascicoli, è basato sull’equilibrata combinazione di elementi murari e in cemento armato, e prevede la realizzazione dell’edificio interamente in opera con procedimenti artigianali7, evitando l’innovazione e la prefabbricazione, e rispondendo così alla finalità occupazionale della legge Fanfani. Il “linguaggio INA Casa” si concretizza dunque in un modello diverso dal generico moderno internazionale, ma che non riflette nemmeno la costruzione muraria ottocentesca. Facciate semplici, con logge e coperture a falda, segnate da cordoli e intelaiature, arricchite da griglie e trame disegnate nel corpo della parete, distinte dal colore e mai tagliate da aperture astratte caratterizzano i principali tratti delle case Fanfani. Il tutto incorporato da una cifra stilistica che unifica ogni dettaglio e che, dall’edificio, si estende al vicinato, alla recinzione, alla cancellata, rappresentando con
16 /QUARTIERE TRIENNALE 8 A Milano, Pietro Lingeri realizza un edificio alto che esce dai canoni e dalle linee guida dei fascicoli INA Casa. http://www.maarc.it/opera/casa-alta-popolare-a-11-piani-per-500-locali-ina-casa
/7 In realtà, l’appello a costruire in modo tradizionale è accolto semplicemente mantenendo il modo di costruire più facilmente disponibile in Italia nel dopoguerra.
/8 Si veda, ad esempio, il quartiere Forte Quezzi di Genova (L.C.Daneri), la casa di undici piani al QT8 di Milano (P.Lingeri), ma anche il complesso edilizio La Meridiana a Bologna, oggetto principale della presente tesi.
grande efficacia l’artigianalità del piccolo cantiere e l’ideologia antindustriale che costituisce il fondamento politico del piano. Sulla base di tali caratteri generali, il linguaggio INA Casa appare straordinariamente omogeneo, anche in diretta conseguenza della centralità della Gestione e soprattutto dell’univocità della strategia architettonica. Nonostante ciò, è bene tenere in considerazione l’elasticità dello “stile INA Casa”, il quale include comunque un’ampia gamma di articolazioni e varianti, comprese alcune eccezioni che maggiormente si discostano dalle linee guida8. Il linguaggio del quartiere INA Casa, infatti, non è il prodotto di una tendenza, ma rappresenta gli esiti di un modo di progettare e costruire generato da una struttura capillare, articolata nel territorio e raffigurata da numerosi e diversi progettisti.
17 /HARAR, MILANO Il linguaggio riflette l’influenza che in quegli anni l’ingegneria italiana (quella di Nervi e Morandi, maestri del cemento armato) esercita sulla sperimentazione architettonica. L.Figini e G.Pollini (1951-55). http://www.lombardiabeniculturali.it
/FALCHERA, TORINO (1958-60) A cinquant’anni dalla realizzazione, il quartiere è un aggregato urbano vivo, vissuto e amato dagli abitanti. Le u.i. sono state riscattate dai proprietari e l’interesse dell’amministrazione alla riqualificazione è molto forte.
Bardelli P.G. et al., Gli interventi INA Casa in Piemonte: declinazioni morfologiche e tecnologiche. L’ambito urbano: il quartiere Falchera a Torino (1950-58) in Capomolla R., Vittorini R. (a cura di), L’architettura INA Casa (1949-1963). Aspetti e problemi di conservazione e recupero, Roma, Gangemi Editore, 2003, p.12. http://www.google.it/maps/
01.4 IL PATRIMONIO INA CASA
/9 La GESCAL (Gestione Case Lavoratori) viene istituita con la legge n. 60 del 14 febbraio 1963.
Conclusa l’applicazione del piano INA Casa, sia la politica edilizia sia il dibattito architettonico entrano in una nuova fase. Con l’approvazione del piano decennale per alloggi per lavoratori e con l’istituzione della GESCAL (avente compiti di programmazione di tutta l’edilizia residenziale pubblica a livello nazionale)9 si rilanciano i temi del progresso tecnico, dell’aumento della produttività e, in particolare, della prefabbricazione. Contemporaneamente, si redigono i nuovi Piani Regolatori per le grandi città e il dibattito architettonico abbandona le discussioni sui linguaggi, spostandosi sui grandi temi della dimensione urbana e dell’integrazione tra architettura e urbanistica. Ma come si inserisce il quartiere INA Casa in questa nuova fase dell’espansione urbana? Nato come nucleo satellite intenzionalmente indipendente e staccato dai sobborghi della città, il quartiere INA Casa viene in seguito inesorabilmente incorporato nello sviluppo periferico. La conseguenza più grave di questo processo di omogeneizzazione è lo snaturamento dell’elemento generatore del quartiere, quell’unità di vicinato, concepita all’origine come spazio verde e pedonale, che viene progressivamente integrata alle altre parti della città attraverso l’utilizzo indiscriminato degli spazi esterni come strade e parcheggi. Nonostante questo, il quartiere rimane perfettamente riconoscibile, con la sua bassa densità e quella dimensione intermedia che lo distinguono dal tessuto minuto dell’edilizia privata. Intanto, le case Fanfani subiscono continue trasformazioni, da un lato per adeguarle alle nuove esigenze della popolazione e dall’altro per far fronte al naturale degrado fisiologico degli edifici. Complessivamente, rispetto all’invecchiamento naturale causato dagli agenti atmosferici, l’edilizia INA Casa rivela una buona resistenza al degrado. Le soluzioni architettoniche adottate, infatti, si basano sul recupero della corretta tradizione artigiana (la regola dell’arte), che non a caso eleva la durata e la resistenza al degrado dell’edificio: cornicioni, gronde, soglie e gocciolatoi riducono la fragilità della costruzione rispetto all’architettura basata sull’astrazione geometrica. Invece, per quanto riguarda le trasformazioni dovute a esigenze di utenza, quelle più evidenti riguardano le facciate, con la chiusura di balconi e di logge, la sostituzione dei serramenti, l’aggiunta di inferriate di sicurezza e la modifica dei colori. Viene però da chiedersi: con quali considerazioni per i caratteri originari vengono apportate queste modifiche? E con quali conseguenze sulla qualità e sull’identità del quartiere? Diversi studi hanno evidenziato situazioni molto diversificate, che dipendono dalle caratteristiche originarie del quartiere, ma anche
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dalle misure, seppur minime, di tutela che sono state nel tempo applicate. Il confronto tra l’origine storica dei quartieri e l’esame delle condizioni attuali suggerisce ulteriori interrogativi: il quartiere INA Casa deve essere ritenuto patrimonio ambientale e culturale da salvaguardare? E più precisamente, dobbiamo considerare come patrimonio tutto il complesso dei ventimila quartieri, oppure dobbiamo distinguere le opere “anonime” dalle architetture più importanti? E come dobbiamo intendere la strategia conservativa? Come ripristino dei caratteri originari o come governo delle trasformazioni compatibili? Queste domande ci portano a prendere in esame la questione (tutt’ora aperta) del restauro del moderno e a riconsiderare il confine tra le procedure tradizionali del restauro e la conservazione attraverso operazioni progettuali. Nei successivi capitoli affronteremo alcuni di questi temi, analizzando il caso studio del quartiere La Meridiana di Bologna e, in particolare, del Grattacielo di via Benvenuto Cellini, il quale, tra l’altro, rappresenta anche una delle poche eccezioni alla linea architettonica comune adottata dal Piano INA Casa.
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/GRATTACIELO, BOLOGNA A Bologna l’INA Casa si esprime in diversi modi; uno di questi è il quartiere La Meridiana, presso via Massarenti, caratterizzato da quattro edifici in linea e un alto grattacielo di ventun piani.
Chiesa del Cuore Immacolato di Maria, Borgo Panigale, Bologna. G.Vaccaro e P.Nervi (1955-60) @Yee Wang photographer
/02 l’INA Casa a Bologna
Per una migliore analisi del tema, si rivela opportuno comprendere e osservare il contesto storico, culturale e architettonico all’interno del quale si inserisce il Piano Fanfani nella città di Bologna, e in particolar modo per quanto riguarda le sue principali applicazioni, ovvero i quartieri di Borgo Panigale, del Cavedone, delle Due Madonne, di San Donato, della Barca e, appunto, il quartiere La Meridiana su via Massarenti. A differenza di altre città, a Bologna il ruolo dello Stato e dell’INA Casa nella costruzione delle case popolari venne messo in discussione dal modello politico e amministrativo del Comune, favorendo il formarsi di quell’edilizia frammentaria e caotica1 a cui proprio le realizzazioni INA Casa tentarono inutilmente di opporsi2. Nell’immediato dopoguerra, infatti, per fronteggiare l’emergenza della questione abitativa, l’amministrazione comunale si fece promotrice di un proprio “Piano Case”, complementare, in termini di costruito, al Piano Fanfani, ma alternativo alla prassi che vede privilegiato l’intervento Statale nel settore edilizio. Il piano previsto dal Comune, però, non ebbe gli esiti sperati, soprattutto per la mancanza di un’idonea copertura finanziaria che non ne consentì mai l’approvazione definitiva. Quindi, nonostante il forte impegno della municipalità, il maggiore impulso alla ricostruzione venne dallo Stato attraverso l’applicazione del Piano INA Casa. A Bologna il primo settennio si concretizza nella realizzazione di due quartieri - il villaggio di Borgo Panigale e l’insediamento in località Due Madonne - collocati rispettivamente all’estremità occidentale e orientale della città. In entrambi i casi la trama è varia e disarticolata, e la presenza di spazi collettivi offre una forte identità di paese alla composizione; è inoltre importante riconoscere un atteggiamento progettuale sensibile e rispettoso nei confronti dei caratteri edilizi tipici del luogo3. Nel secondo settennio la Cooperativa Architetti e Ingegneri di
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Reggio Emilia assume il compito di rivitalizzare funzionalmente un’area non eccessivamente estesa, inserita in un tessuto preesistente privo di servizi collettivi nella parte nord-orientale della città. Il progetto del complesso residenziale di San Donato conferma, attraverso l’articolazione irregolare di edifici porticati in linea, la riscoperta degli insediamenti minori e l’importanza dell’elemento strada anche come momento di aggregazione. Ma i due insediamenti che maggiormente caratterizzano - per la loro differente scelta interpretativa - questo secondo periodo sono il Cavedone e il quartiere della Barca. Nonostante il ridimensionamento rispetto all’ipotesi iniziale, il Cavedone rivela “un ambiente urbano misurato e raccolto”4, che attraverso la tipologia della corte abbandona “lo spazio instabile dell’edilizia razionalista”5. Entrambi i quartieri, comunque, seguono le disposizioni sull’unificazione dimensionale, come suggerito dall’INA Casa. È una scelta che nel primo quartiere si limita ai sistemi strutturali e ad alcuni elementi edilizi, mentre al quartiere della Barca si spinge oltre, modificando in parte, attraverso l’esecuzione di appalti scorporati, l’organizzazione amministrativa dell’intervento6.
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/1 Cenerini R., Lo sviluppo urbanistico di Bologna, in “Emilia”, 1955, n.10, p.264. /2 “Vedemmo casa a casa, crescere intorno la città senza remissione e senza senso; quella, come tutte le altre” Gorio F., Idee in margine al quartiere Cavedone, in “Casabella”, 1960, n.267, p.26. /3 Pedrazzini A., I quartieri della ricostruzione a Bologna, in Di Biagi P. (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano INA Casa e l’Italia degli anni ‘50, Roma, Donzelli Editore, 2001, p.394. /4 Bernabei G., Gresleri G., Zagnoni S., Bologna moderna 1860-1980, Bologna, Patròn, 1984, p.184. /5 Gorio F., Idee in margine al quartiere Cavedone, in “Casabella”, 1960, n.267, p.26. /6 Pedrazzini A., op cit., p.395.
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/BORGO PANIGALE 1 Sopra: progetto per quattro palazzine di 5 piani ciascuna, aventi 4 appartamenti per piano.
Mulazzani M. (a cura di), Giuseppe Vaccaro, Milano, Electa, 2002.
/BORGO PANIGALE 2 A destra e nella pagina a fianco, due immagini del quartiere INA Casa a Borgo Panigale (1951-55).
02.1 SPAZIO E COMUNITÀ
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Come nelle periferie di altre città, anche a Bologna i quartieri realizzati col piano INA Casa si distinguono come parti dotate di un elevato grado di riconoscibilità, dovuta soprattutto a un progetto morfologicamente unitario. Nei due settenni di attività dell’INA Casa, a Bologna sono stati realizzati interventi in vari settori urbani, con differenti dimensioni e diverse soluzioni aggregative e formali. Nonostante ciò, come accennato in precedenza si possono riconoscere una serie di complessi residenziali “principali”, ovvero i quartieri Borgo Panigale e Due Madonne, realizzati nel primo settennio, e i quartieri San Donato e Cavedone, del secondo settennio. Si tratta di quartieri “organici”, caratterizzati da una chiara autonomia funzionale e formale. Originariamente localizzati in zone piuttosto periferiche rispetto al nucleo urbanizzato7, questi complessi vennero dotati di una parte dei servizi e delle attrezzature collettive necessarie per assicurare lo svolgimento delle attività sociali, culturali e commerciali degli abitanti. L’autonomia di questi insediamenti si manifesta nell’attento disegno del costruito e degli spazi aperti, secondo tipologie riconoscibili e ricorrenti, nella forte attenzione per lo spazio abitabile esterno, inteso come prolungamento sociale dell’alloggio8, e nella gerarchizzazione e differenziazione del sistema dei tracciati e dei percorsi. Ciò che contraddistingue la stagione costruttiva dell’INA Casa dagli odierni piani per l’edilizia popolare è proprio l’idea di quartiere che si è tentato di esprimere attraverso l’attribuzione di una primaria importanza al riconoscimento del valore dell’ambiente di vita, che si è successivamente concretizzata in una specifica organizzazione dello spazio urbano. Questo modo di pensare, attento alla qualità “umana” dei nuovi insediamenti (e quindi alle condizioni di vita degli abitanti), ha portato alla progettazione di spazi intimi e raccolti, volti a favorire l’incontro, la socializzazione degli abitanti e la riconoscibilità degli ambienti, nella convinzione che l’atmosfera del quartiere possa influenzare, attraverso un miglioramento degli spazi di relazione, la qualità della vita dei residenti.
02.2 IL PROBLEMA DELLE LOCALIZZAZIONI In molti comuni italiani la congruenza tra la localizzazione dei quartieri INA Casa e le previsioni di piano non sempre è rispettata. Contrariamente a ciò, a Bologna la scelta delle espansioni riprende gli indirizzi che, già a partire dai piani post-unitari, ne guidano lo sviluppo principalmente lungo l’asse della via Emilia.
/7 In risposta all’urgenza del problema abitativo, gli insediamenti INA Casa venivano costruiti principalmente su aree cedute a titolo gratuito da Comuni o Enti che ne erano in possesso. Questo permise un notevole risparimio sui costi di costruzione, ma molto spesso non consentì di inserire i nuovi nuclei edilizi nelle zone di naturale espansione della città, proprio perché le aree che venivano offerte erano generalmente aree residuali, che spesso non corrispondevano alle esigenze di impianto di nuovi quartieri residenziali. /8 Malossi E., Spazio e comunità: passeggiando nella periferia bolognese, in Di Biagi P. (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano INA Casa e l’Italia degli anni ‘50, Roma, Donzelli Editore, 2001, p.403.
/9 Atti del Consiglio Comunale, 1955, seduta del 29 luglio, p.1257 (Assessore Bentini). /10 Fantoni F., Il nuovo piano regolatore di Bologna, in “Urbanistica”, 1955, n.15-16. /11 Giuseppe Dozza, sindaco di Bologna dal 1945 al 1966, tornerà spesso a parlare della marginalità delle aree di espansione e della distinzione tra centro e periferia, sottolineando l’ottica decentralista della sua politica, finalizzata al policentrismo.
Al termine del secondo conflitto mondiale le previsioni di sviluppo residenziale concordano coi temi emersi dal concorso bandito nel 1938 per la realizzazione di un nuovo Piano Regolatore (mai realizzato a causa dello scoppio della guerra): i nuovi quartieri, pensati come unità urbanistiche autonome e complete di servizi, vengono individuati nella periferia, separati tra loro e dal nucleo urbano da una cintura di verde agricolo, alternando così aree verdi ad aree costruite. In questo contesto viene approvato il Piano di Ricostruzione (adottato nel 1946 e approvato definitivamente nel 1948), che in qualche modo cerca di rispondere alle immediate esigenze del dopoguerra, in vista dello studio di un Piano Regolatore Generale di più ampie vedute. Solo qualche anno più tardi, nel 1952, riprendono i lavori per la definitiva redazione del PRG, che verrà adottato nel 1955 e approvato nel 1958. I punti principali del piano riguardano, ancora una volta, viabilità ed espansione residenziale, a significare che, “salvo gli impedimenti o le prospettive più o meno grandi, i problemi bolognesi sono ben precisati e sempre gli stessi”9. Per i quartieri di espansione il piano si limita alle indicazioni programmatiche, suggerendo un’organizzazione per “quartieri autonomi, costituiti da unità primarie dai 1500 ai 2500 abitanti, aventi i loro essenziali servizi collettivi [...] ed aggregate [...] in comunità autonome di circa 12000 abitanti, col loro centro di vita, e separate da zone verdi in modo da lasciare alle comunità stesse una possibilità di vita autonoma”10. Viene dunque ribadita la volontà di creare nuclei indipendenti e periferici alla città, che contribuiscano anche alla rottura del sistema monocentrico bolognese, tanto auspicata in quegli anni11. Attraverso il confronto tra la situazione attuale e la cartografia del Piano Regolatore Generale si può comprendere meglio come le scelte localizzative dei nuovi quartieri INA Casa si svolgano in sostanziale continuità con gli indirizzi di piano, individuando così nella periferia bolognese una serie di nuclei urbani autonomi (almeno in teoria). In questo contesto fanno eccezione il villaggio di Borgo Panigale, uno dei primi ad essere realizzato (1951) e situato oltre il limite previsto dal Piano di Ricostruzione (ma prontamente inserito come ampliamento dello stesso), e il quartiere in località La Meridiana, il quale appartiene ad un contesto abbastanza differente per periodo di realizzazione (fine del secondo settennio) e per consistenza del costruito. Nelle pagine successive si analizzeranno con maggiore dettaglio i quartieri di Borgo Panigale e del Cavedone, che grazie alla loro diversità possono rappresentare l’ampio quadro dei quartieri INA Casa bolognesi.
27
/Borgo Panigale (1951-55)
/Barca (1957-62)
/San Donato (1955-57) 29 /La Meridiana (1958-60)
/Due Madonne (1953-57)
/Cavedone (1957-60)
/PRG ‘58 Dopo un lungo iter, nel 1955 viene adottato il nuovo Piano Regolatore di Bologna, il quale recepisce gli studi eseguiti durante il concorso del 1938 e il Piano di Ricostruzione del 1948. Il Piano, che sarà approvato il 18 aprile 1958, prevede un incremento della popolazione fino a un milione di abitanti, con un’espansione a macchia d’olio della periferia. Nel centro storico, oltre alla ricostruzione di aree pesantemente bombardate, il piano prevede sventramenti e rettificazioni di strade in prossimità delle mura del Mille, per favorire la circolazione automobilistica. Gli insediamenti di edilizia popolare dell’INA Casa e dello IACP sono collocati nella estrema periferia. La maggiore espansione dell’abitato è prevista lungo l’asse della via Emilia, con propaggini a sudest nella valle del Savena e a sud-ovest nella valle del Reno. http://www.bibliotecasalaborsa.it/cronologia/ bologna/1955/467 Cartografia: RAPu - Rete Archivi Piani Urbanistici (www.rapu.it)
/Borgo Panigale (1951-55)
30
/Barca (1957-62)
/San Donato (1955-57) 31 /La Meridiana (1958-60)
/Due Madonne (1953-57)
/Cavedone (1957-60)
/IL QUADRO ATTUALE I principali quartieri INA Casa realizzati a Bologna si trovano oggi inglobati nel tessuto urbano; si è ormai perso quel grado di autonomia e separazione che li ha contraddistinti nei primi anni della loro progettazione e costruzione. Nonostante ciò, essi rimangono estremamente riconoscibili per le loro caratteristiche formali, in primis la bassa densità abitativa e l’attenzione nella progettazione degli spazi aperti, questione che oggi è andata quasi svanendo nei nuovi quartieri di edilizia residenziale economica e popolare.
/Borgo Panigale (1951-55)
/San Donato (1955-57)
/Due Madonne (1953-57)
/Cavedone (1957-60)
/INA CASA A BOLOGNA In queste pagine sono raccolte le principali costruzioni INA Casa realizzate a Bologna nell’arco dei due settenni; a queste si accompagnarono altri piccoli interventi di minore entità. Al momento della costruzione, le aree erano completamente inedificate e i nuovi quartieri avevano anche il compito di costituire poli attrattivi per una successiva espansione edilizia. Oggi questi quartieri sono stati completamente assorbiti dal tessuto urbano, ma rimangono estremamente riconoscibili soprattutto per la bassa densità, le differenti tipologie edilizie presenti e per la forte presenza di aree verdi, considerate fondamentali per la qualità urbana del quartiere. http://www.google.it/maps/ Scala 1:10 000
0
/Barca (1957-62)
100
300m
/La Meridiana (1958-60)
02.3 BORGO PANIGALE
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Il quartiere Borgo Panigale sorge su un’area affacciata sulla via Emilia, alla periferia orientale della città. Fu progettato nel 1951 da un gruppo di tecnici (tra cui anche Guido Cavani, che qualche anno dopo si occupò del quartiere La Meridiana) coordinato da Giuseppe Vaccaro. Il complesso si distingue in modo particolare per l’estrema varietà di soluzioni formali, disposizioni e tipi edilizi utilizzati (edificio multipiano in linea, edifici a torre, casette a schiera con giardino privato, ecc.), così come consigliato dalle linee guida fornite dalla Gestione INA Casa. All’articolazione tipologica degli edifici, poi, corrisponde un’altrettanta varietà di tracciati e di spazi aperti12. Il quartiere è caratterizzato dalla predominanza dello spazio semi-collettivo di pertinenza degli edifici plurifamiliari; nonostante questo, l’assenza di recinzioni favorisce l’immersione del complesso in un verde diffuso, che invita alla passeggiata. Nella zona nord-occidentale sono raccolte le tipologie edilizie unifamiliari a schiera, le quali godono della presenza di un piccolo giardino privato per ogni alloggio. Nonostante le notevoli dimensioni, lo spazio verde pubblico nasce in un’area di risulta a nord, come elemento di transizione tra il quartiere e la via Emilia; ciò è dovuto principalmente alla mancata progettazione di queste zone, non presenti nella prima ipotesi di progetto e quindi non ben integrate nella composizione. Per quanto riguarda le attrezzature collettive, il quartiere risulta ben servito, grazie soprattutto all’edificio porticato che ospita numerosi negozi e servizi; nonostante questo, il nucleo realizzato non riesce ad assumere la forza attribuitagli in sede di progetto, a causa della mancata realizzazione di alcuni poli funzionali (mercato coperto e cinema-teatro).
/12 “Impostato sull’accostamento di corpi prevalentemente brevi, il quartiere Panigale pone tutto l’accento nella diligente individuazione della conformazione plastica, funzionale e strutturale di ogni singolo elemento, cosicché l’effetto generale è di una eccitante discontinuità, resa più nervosa dagli spezzettamenti di volumi e superfici” Astengo G., Nuovi quartieri in Italia, in “Urbanistica”, 1951, n.7.
/CARTOLINA Vista dell’edificio porticato che accoglie i negozi nel quartiere Borgo Panigale in una cartolina d’epoca. http://www.delcampe.net/it/collezionismo/cartoline/ italia-bologna/127-bologna-borgo-panigale-villaggio-i-na-casa-via-normandia
Oggi il quartiere appare discretamente conservato, nonostante la massiccia presenza di automobili che invadono il complesso, appropriandosi di uno spazio non pensato per loro. Come in altre aree di questo periodo, infatti, in fase di progettazione non vennero previsti parcheggi o autorimesse per i residenti; la necessità di questi ultimi ha oggi trasformato tali spazi di incontro e socializzazione in zone di sosta, snaturando il significato originariamente attribuito alle aree aperte.
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/BORGO PANIGALE (1951-55) Progettazione: Vaccaro G. (coordinatore), Cavani G., Giordani G.L., Leorati A., Santini F., Scagliarini G., Vitellozzi A. Area totale: 13 ha. Alloggi: 584. Vani: 3771. Situato a 5 km a nord ovest dal centro di Bologna, tra la ferrovia e la via Emilia, il quartiere sorge oltre il perimetro definito dal piano di Ricostruzione bolognese, circondato da aree destinate ad attrezzature sportive e agricole. Il progetto si organizza attorno ad un asse viario baricentrico, lungo il quale sono disposti i servizi e gli edifici pubblici, che comprendono scuola materna ed elementare, centro sociale, mercato coperto, chiesa e opere parrocchiali. Gli edifici commerciali sono attestati verso la via Emilia. I tipi edilizi utilizzati sono molto vari: case unifamiliari duplex aggregate a schiera, case in linea e case a blocco, con altezze che variano da tre a cinque piani. La composizione degli spazi abitativi, articolati in spazi aperti liberi da partizioni, è estremamente varia, impostata sull’accostamento di corpi prevalentemente brevi che creano l’effetto generale di discontinuità, resa più evidente dagli spezzettamenti di volumi e superfici. Malossi E., Spazio e comunità: passeggiando nella periferia bolognese, in Di Biagi P. (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano INA Casa e l’Italia degli anni ‘50, Roma, Donzelli Editore, 2001, p.408.
02.4 CAVEDONE
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Il quartiere Cavedone, progettato nel 1958 da Federico Gorio (con Benevolo L., Carini M., Calzolari V., Danielli S., Durante A., Esposito A., Vittorini M.), si inserisce nella parte orientale della periferia bolognese, a poca distanza da un altro grande quartiere INA Casa di Bologna, quello delle Due Madonne. In esatta opposizione a quanto accade a Borgo Panigale, il complesso del Cavedone si distingue proprio per la ripetizione della stessa tipologia edilizia, l’edificio a corte. Sebbene si possa riscontrare una certa omogeneità di impostazione del complesso (tipologia insediativa, elementi architettonici, materiali), le corti sono quasi tutte diverse tra loro e rifiutano la disposizione secondo una rigida griglia ortogonale attraverso lievi rotazioni o variazioni di dimensione. L’idea di utilizzare tale tipolgia, inusuale nei quartieri INA Casa, deriva dalla volontà dello stesso Gorio di riprendere un tessuto compatto, che rimandi alla morfologia della città storica, abbandonando lo spazio “instabile” dell’edilizia razionalista13. La scelta tipologica della corte riflette anche la volontà di dotare gli alloggi posti in edifici multipiano di uno spazio semipubblico, all’interno del quale gli abitanti possano incontrarsi e socializzare. Tale principio rimanda all’idea delle unità di vicinato, intese come “unità sociali nelle quali la vita si può svolgere con minori costrizioni, minor peso, più libertà e più ricchezza che non nell’indistinto agglomerato urbano”14. L’idea di vicinato e comunità è ribadita anche attraverso le parole di Ludovico Quaroni, urbanista e architetto molto attivo all’epoca dell’INA Casa: “C’era, nell’idea di quartiere organico, l’idea di un rapporto più diretto e cosciente
/14 Astengo G., Nuovi quartieri in Italia, in “Urbanistica”, 1951, n.7. /15 Quaroni L., Politica del quartiere, in “Urbanistica”, 1957, n.22.
@photo by Sofia Nannini
/EDIFICIO A CORTE Sopra: pianta piano tipo e prospetto esterno della corte n.17. A lato: Veduta di una corte interna.
Di Biagi P. (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano INA Casa e l’Italia degli anni ‘50, Roma, Donzelli Editore, 2001, p.411.
tra l’ambiente e l’uomo, basato sulla convinzione del valore educativo, sul piano sociale come su quello politico e morale, dell’ambiente di vita”15. Nel rispetto della tipologia edilizia scelta, nel quartiere la rete della viabilità si mantiene a lato degli edifici e funge soltanto da connessione con le strade esterne; i collegamenti interni, infatti, sono pensati esclusivamente per un uso pedonale e consentono di raggiungere i servizi presenti (scuola materna ed elementare, chiesa, centro sociale, mercato) senza l’ausilio di mezzi motorizzati. Diversamente da quanto accade a Borgo Panigale, la sfera del traffico motorizzato resta completamente
esterna alla realtà delle corti, ancora oggi destinate unicamente alla fruizione pedonale. Questi spazi mantengono così le caratteristiche formali e funzionali attribuite loro in sede di progetto, dimostrando la straordinaria resistenza del complesso al passare del tempo. Sicuramente gran parte del merito di questa ottima conservazione è dovuto al particolare tipo edilizio utilizzato, che per sua stessa natura non consente di modificare il significato degli spazi creati.
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/CAVEDONE (1957-60) Progettazione: Gorio F. (coordinatore), Benevolo L., Calzolari V., Carini M., Danielli S., Vittorini M. Area totale: 20 ha. Alloggi: 968. Vani: 5164. L’are destinata al quartiere è situata a sud est della città, in un contesto all’epoca prevalentemente rurale, per il quale il gruppo di progettazione viene incaricato di redigere un piano particolareggiato, che verrà realizzato solo in parte. L’impianto planivolumetrico è fondato sull’iterazione di unità definite “corti attrezzate”. Lo schema volumetrico di queste corti è dato da quattro edifici residenziali in linea a tre piani, i quali non si toccano agli angoli, ma sono scostati in modo da realizzare passaggi pedonali. In alcune corti, nell’elemento d’angolo sono inseriti fabbricati ad uso collettivo, con sale a disposizione degli abitanti al piano superiore. Lo spazio libero interno è riservato agli abitanti della corte, piantumato e opportunamente sistemato con strutture per il gioco e la sosta. Gli edifici scolastici, la chiesa, il centro sociale e le attrezzature commerciali sono concentrati in un’area marginale del quartiere, all’estremità est del sistema di spazi aperti che innerva il tessuto edilizio, partendolo in sotto-unità. Malossi E., Spazio e comunità: passeggiando nella periferia bolognese, in Di Biagi P. (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano INA Casa e l’Italia degli anni ‘50, Roma, Donzelli Editore, 2001, p.410.
Quartiere INA Casa La Meridiana, Bologna (1957-60) @Google Earth
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/03 il quartiere “La Meridiana”
/1 Il sistema tangenziale era già previsto al tempo della redazione del Piano Regolatore Generale del 1958, ma venne realizzato solo successivamente, dal 1964 al 1967.
Il complesso INA Casa n.12690 denominato “La Meridiana” viene progettato nel 1957 da un gruppo di ingegneri composto da Guido Cavani (coordinatore), Giorgio Bozzato, Rinaldo Calanchi, Piero Montini e Massimo Orlandi. Posto a est del centro storico, in prossimità di via Massarenti, il quartiere è oggi inglobato nel tessuto urbano della città, a poca distanza dal raccordo autostradale, realizzato solo qualche anno dopo la costruzione del complesso1. 39
/1959
rilascio della licenza edilizia
/1960
/1969
conclusione dei lavori; richiesta certificato di abitabilitĂ
1955
1960
modifiche al sottoportico e agli ingressi
1965
1970
/1958
progetto definitivo
/1957
progetto preliminare
/1966
primo diniego di abitabilitĂ
/1965
rilascio certificato di collaudo e usabilitĂ delle opere in conglomerato cementizio
/1979
secondo diniego di abitabilitĂ
1975
1980
1985
1990
/1978
nuova richiesta del certificato di abitabilitĂ
/1975
predisposizione per intervento di manutenzione delle facciate, poi non realizzato
/1988
rifacimento pavimentazione del porticato
/1984
intervento di ripristino conservativo sulle facciate
Il quartiere si distingue dai grandi complessi INA Casa precedentemente analizzati per la consistenza del costruito (appena sei edifici) e per l’assenza di destinazioni d’uso diverse dal residenziale. Ciò è dovuto a due ragioni principali: da un lato bisogna tenere conto che il complesso venne realizzato verso la fine del secondo settennio, quando l’emergenza abitativa era ormai diminuita; dall’altro è importante considerare che il progetto costituiva solo una piccola parte di una più ampia zona di espansione semi-intensiva, compresa nel Piano Regolatore Generale adottato nel 1955, che prevedeva anche piccole porzioni da destinare ad usi commerciali e terziari. Nonostante queste differenze, è comunque possibile riconoscere in questi edifici un livello qualitativo di progettazione sopra la media e una particolare attenzione allo studio degli spazi aperti, oggi forse un po’ “soffocati” dalla forte presenza delle automobili parcheggiate lungo le strade del quartiere.
03.1 LA FASE PRELIMINARE
42
L’iter di realizzazione del complesso ebbe origine il 15 aprile del 1957, quando il Consorzio Emiliano Romagnolo fra Cooperative di produzione e lavoro, in qualità di stazione appaltante della Gestione INA Casa, presentò all’Ufficio Tecnico comunale un progetto di massima “per la costruzione di un complesso di fabbricati, ad uso residenziale e di carattere popolare, da erigersi, su una vasta area, posta fuori S.Vitale”2.
/2 Deliberazione del Consiglio Comunale. Oggetto: “Maggiore altezza da autorizzarsi per la costruzione di un edificio residenziale, a carattere popolare, da erigersi su area sita fuori porta S.Vitale”, 13 luglio 1957, Archivio Edilizio Comune di Bologna.
/PLANIMETRIA L’area su cui sarebbe sorto il complesso INA Casa rappresenta solo una parte di una più ampia zona di espansione individuata dal Piano Regolatore Generale e dal Piano di Lottizzazione stipulato tra la pubblica amministrazione e i proprietari; è inoltre interessante notare come si tratti di un’area ancora totalmente inedificata, che in pochi anni venne completamente urbanizzata. Rielaborazione grafica del progetto preliminare. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
/PIANO DI LOTTIZZAZIONE Il piano particolareggiato realizzato dal Comune prevedeva, per l’area, una densità abitativa di 250 ab/ha, con edifici di altezza non superiore ai cinque piani. Per garantire i parametri stabiliti, si sarebbe dovuto realizzare un quartiere eccessivamente denso ed opprimente rispetto agli standard INA Casa. Rielaborazione grafica del progetto preliminare. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
/3 Cavani G. et al., Relazione sul progetto preliminare. Archivio Edilizio Comune di Bologna. /4 ibid. /5 ibid.
Il piano di lottizzazione all’interno del quale il quartiere INA Casa si sarebbe dovuto inserire prevedeva la realizzazione di edifici di massimo quattro o cinque piani (con eventuale compensazione di volumi) e uno spazio verde pubblico a servizio della zona. All’atto pratico, però, questa soluzione non venne ritenuta la migliore: si calcolò che, per ottenere distanze regolamentari, con edifici livellati alla stessa altezza, e mantenere la densità edilizia prevista dal piano (250 abitanti per ettaro), si sarebbero dovuti realizzare edifici di sette piani fuori terra. Tale altezza, senz’altro eccessiva per tutto il complesso, avrebbe reso il complesso “monotono ed opprimente”3, in contrasto con le indicazioni fornite attraverso i fascicoli INA Casa. Si decise quindi di ricorrere ad una soluzione differente, nella quale parte degli alloggi era distribuita in edifici di tre e di sei piani, e la rimanente parte era “concentrata in un edificio centrale decisamente alto di 21 piani abitabili più un piano porticato a livello di campagna”4; in prossimità degli accessi agli edifici erano inoltre previste zone di parcheggio. Tale soluzione venne scelta con ampia maggioranza tra due differenti proposte dei progettisti: essa infatti permetteva, attraverso la riduzione dello spazio occupato al suolo, la creazione di un’ampia zona verde della quale avrebbero goduto tutti gli abitanti del quartiere. Inoltre, ad ulteriore sostegno di questa soluzione, i progettisti presentarono un’analisi degli ombreggiamenti nel complesso, dimostrando come nella particolare disposizione degli edifici da loro studiata, il fabbricato più alto non presentasse “l’inconveniente di creare zone d’ombra su alcuno dei fabbricati contigui”5.
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/DUE SOLUZIONI Dopo aver dimostrato l’inadeguatezza della soluzione prevista dal Piano di Lottizzazione, i progettisti si sono dedicati a due differenti proposte per l’assetto urbanistico del complesso. A seguito di confronto con la stazione appaltante, il Consorzio Emiliano Romagnolo, fu scelta la soluzione “con Grattacielo”; in seguito venne avviata una campagna di indagine tramite questionari per comprendere le preferenze dei singoli assegnatari degli appartamenti in ordine alla funzionalità degli alloggi. Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
/SOLEGGIAMENTO “La disposizione dei fabbricati secondo l’asse eliotermico permette condizioni buone di soleggiamento; il fabbricato posto al centro di una vasta zona verde non presenta l’inconveniente di creare zona d’ombra su alcuno dei fabbricati contigui”. A sostegno della soluzione scelta, i progettisti realizzarono un rapido studio degli ombreggiamenti, dimostrando come l’elevata altezza del Grattacielo non fosse un elemento di eccessivo disturbo per gli edifici adiacenti. [Da sinistra verso destra: solstizio d’inverno, equinozi di primavera e d’autunno, solstizio d’estate]. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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Dopo aver individuato la miglior soluzione per l’assetto urbanistico del quartiere, il gruppo di progettisti guidato da Cavani si dedicò in particolar modo alla definizione delle caratteristiche architettoniche vere e proprie degli edifici. Nello specifico venne redatto un progetto preliminare per “un fabbricato di n.22 piani più due piani scantinati per un’altezza fuori terra di m. 72”, subito sottoposto al parere del Corpo dei Vigili del Fuoco di Bologna. Attraverso una nota del 17 giugno 1957, i Vigili si espressero con parere favorevole alla costruzione del Grattacielo, a condizione che il progetto venisse rivisto al fine di garantire la corretta rispondenza alle “Norme di Sicurezza contro i pericoli di incendio”; tra le altre cose, veniva richiesto: • che le scale fossero a prova di fumo, areate in sommità con aperture prive di serramento, e che almeno un ascensore per vano scale fosse a prova di fumo; • che l’accesso agli appartamenti dal vano scale avvenisse unicamente attraverso balconi o terrazze completamente aperti; • che la comunicazione tra le scale e le suddette terrazze avvenisse attraverso una sola porta resistente al fuoco, con tenuta al fumo e chiusura automatica; • che le due u.i. afferenti ai due vani scale potessero comunicare tra di loro, in modo che gli abitanti dell’una potessero servirsi della scala dell’altra nel caso che la propria diventasse intransitabile; • che le scale a servizio degli scantinati fossero almeno quattro (due per ogni unità), con accesso da spazio aperto. Alla luce di queste osservazioni, i progettisti incaricati poterono quindi proseguire nella redazione del progetto, completato già negli ultimi mesi del 1957 e presentato in Comune il 16 gennaio 1958, con alcune modifiche sostanziali rispetto alla fase preliminare (tra le altre cose, i piani interrati vennero ridotti a uno e il livello di copertura venne profondamente rivisto).
03.2 LA REALIZZAZIONE In data 16/06/1958 venne rilasciato nuovo parere dal Corpo dei Vigili del Fuoco, questa volta sul progetto esecutivo. Essi non mancarono di far notare che, nonostante nella precedente nota si fossero espressi in maniera molto chiara, il progetto esecutivo ancora difettava in termini di sicurezza anticendio: non era stata prevista la comunicazione tra le due u.i., le scale non erano a prova di fumo e quelle a servizio degli scantinati non erano in numero adeguato (soltanto una per unità, e senza accesso da spazio aperto); inoltre, dal progetto non si riscontrava alcun
/6 Prescrizioni speciali: 1) Che siano osservate le prescrizioni impartite dal Comando Vigili del Fuoco con lettera 19/05/1958 - 2) Che le acque di rifiuto del fabbricato vengano immesse nella fognatura comunale di Via Massarenti - 3) Che tutti i muri esterni non siano di spessore inferiore a cm.30 - 4) Che la luce delle finestre non sia inferiore ad 1/10 della superficie del locale d’areare, comunque mai inferiore a mq.1,60 - 5) Che l’area cortiliva venga mantenuta libera da costruzioni accessorie e sistemata a giardino - 6) Che prima dell’esecuzione delle finiture nelle facciate dell’edificio vengano eseguite campionature in luogo le quali dovranno ottenere l’approvazione da parte del Comune. Licenza edilizia rilasciata in data 03/02/1959. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
impianto idrico antincendio. Premesso questo, i Vigili rilasciarono comunque il nulla osta alla realizzazione del Grattacielo, a patto che venisse rispettato quanto indicato nella precedente nota sul progetto preliminare, in particolar modo relativamente ai piani interrati (scale e areazione) e alla centrale termica. Visto il benestare del Ministero dei Lavori Pubblici (Direzione Generale Urbanistica e Opere Igieniche) e quello del Comando Vigili del Fuoco, il 3 febbraio 1959 venne infine rilasciato il permesso di costruzione per “un fabbricato d’uso civile abitazione in via Massarenti, località “Meridiana”, quartiere INA Casa (fabbricato n.1), come ai disegni presentati a firma ingg. Guido Cavani, Bozzato, Calanchi, Montini e Orlandi, quali progettisti, e Ing. Marco Carini quale direttore dei lavori”; tale licenza era però subordinata ad una serie di prescrizioni speciali6.
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/1960 Fotografia d’epoca che mostra il Grattacielo in fase di completamento, a lavori quasi ultimati. Si possono vedere anche gli altri edifici del quartiere INA Casa, realizzati in contemporanea. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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Come nelle altre realizzazioni INA Casa, anche in questo caso i lavori furono realizzati in tempi molto brevi, tanto che già il 30 marzo 1960 il Consorzio Emiliano Romagnolo, esecutore dei lavori, fece richiesta per il rilascio del certificato di abitabilità. Si apre qui una pagina importante della storia del Grattacielo, che lo vedrà protagonista di numerose vicissitudini che, ancora oggi, non hanno soluzione. A seguito di sopralluogo, infatti, vennero riscontrate diverse irregolarità, in particolare negli impianti di scarico e nella qualità dei tamponamenti esterni, tanto che la richiesta di abitabilità venne negata: era il 14 dicembre 1966. Allo stesso tempo, però, si comunicava che l’autorizzazione di abitabilità dell’edificio sarebbe stata concessa qualora fossero state eliminate “le cause di insalubrità riscontrate”7. Negli anni successivi si tentò quindi di intervenire con piccole opere di riparazione, ma queste non risolsero mai in maniera definitiva le criticità legate ad una costruzione di scarsa qualità, per la quale ancora oggi pagano gli attuali abitanti. Nel frattempo, il 23 novembre 1965, venne rilasciato dalla Prefettura di Bologna il certificato di collaudo e usabilità delle opere in conglomerato cementizio, anche alla luce di quanto indicato dall’arch. Pietro Maldini e dall’ing. Bruno Bottau, tecnici incaricati del controllo e del collaudo delle strutture. Essi si pronunciarono in maniera positiva relativamente al rilascio della licenza d’uso, nonostante avessero riscontrato varie lesioni all’edificio e suggerito di eseguire un’accurata sorveglianza per controllare le condizioni statiche e rilevare tempestivamente eventuali situazioni di pericolo; a tal proposito, i collaudatori chiesero che nelle adiacenze dell’edificio non venissero realizzati lavori di scavo, onde evitare di pregiudicare la stabilità di una struttura tanto imponente. La Prefettura, nel rilascio del certificato, indicò quindi la necessità di eseguire controlli ed accertamenti annuali, fintanto che il tecnico stesso incaricato del collaudo non avesse ritenuto le strutture definitivamente consolidate; a dimostrazione dei periodici controlli, doveva essere presentata un’apposita relazione del collaudatore, segnalando con tempestività l’eventuale verificarsi di modificazioni nella situazione statica delle strutture. La pratica relativa al collaudo venne dichiarata conclusa nel maggio del 1966, quando l’ing. Bottau, a seguito di misurazione degli spostamenti della struttura, dichiarò “irrisorie” le variazioni rilevate, sciogliendo le riserve poste nella relazione di collaudo. Egli si premurò poi di suggerire all’ente proprietario del Grattacielo di “esercitare una accurata manutenzione, e segnalare ai tecnici qualunque fatto nuovo relativo alla statica del fabbricato stesso, come sempre viene fatto per le strutture di particolare importanza”8.
/7 “...si informa che la Direzione dei Servizi di Igiene e Sanità, in seguito a sopralluogo, ha riscontrato le seguenti irregolarità: 1) le canne fumarie per l’evacuazione delle esalazioni delle cucine sono funzionalmente insufficienti; 2) le condutture di scarico delle latrine non sono prolungate nella loro totalità fin sopra il tetto; 3) vaste infiltrazioni di acque luride nelle pareti di molti appartamenti per rottura o permeabilità dei condotti di scarico; 4) il coperto e terrazzo dell’edificio non garantiscono un sufficiente deflusso delle acque di pioggia, che ristagnano e infiltrano nei muri e nel soffitto degli ultimi piani; 5) infiltrazioni di umidità nelle pareti esterne di alcuni appartamenti per permeabilità alle acque meteoriche dei muri perimetrali.” Archivio Edilizio Comune di Bologna. /8 Lettera dell’ing. Bruno Bottau al Consorzio Emiliano Romagnolo fra Cooperative di Produzione e Lavoro, 13 maggio 1966. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
03.3 LE MODIFICHE E LA MANUTENZIONE Qualche anno più tardi, nel gennaio del 1969, il Comune di Bologna rilasciò l’autorizzazione per “apportare modifiche al sottoportico ed agli ingressi del fabbricato grattacielo posto in via B.Cellini n.18-20, come ai disegni presentati a firma del perito edile Barbieri Alberto”. La conformazione del piano terra che possiamo vedere oggi, infatti, non è la stessa del progetto originale, ma il frutto di due grossi interventi: uno, quello del 1969, portò alla realizzazione dei due volumi chiusi in corrispondenza degli ingressi e delle scale di accesso agli scantinati; l’altro, eseguito nel 1988, consistette nel rifacimento della pavimentazione del porticato e della rete fognaria di raccolta delle acque bianche delle pensiline, potendo così realizzare pendenze adeguate per il corretto deflusso delle acque meteoriche dal piazzale.
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/1988 Fotografie che ritraggono lo stato di fatto del piano terra prima del rifacimento della pavimentazione nel 1988. Si possono notare anche i nuovi volumi d’ingresso (con fioriere in c.a.) realizzati nel 1969. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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Nel 1975, dando seguito alle richieste del collaudatore di eseguire regolare manutenzione e per intervenire in merito alle criticità emerse col diniego del certificato di abitabilità, venne presentata richiesta per il montaggio di carrelli per la manutenzione delle facciate e per la sistemazione del coperto. Non sono chiare, però, le dinamiche che interessarono l’intervento: da informazioni assunte presso i condomini, infatti, la ditta incaricata provvide effettivamente al montaggio del ponteggio sospeso, con la collocazione del macchinario sul coperto dell’edificio, salvo poi rendersi conto che tale strumentazione era insufficiente alla manutenzione dell’intera facciata (pare che dal coperto si raggiungesse appena il settimo piano); la ditta dichiarò successivamente fallimento e il lavoro non venne eseguito. Nonostante la mancata esecuzione dei lavori, nel maggio del 1978 venne nuovamente richiesto il rilascio del certificato di abitabilità, “avendo provveduto ad eliminare le cause di insalubrità riscontrate dall’Ufficio d’Igiene che non permisero a suo tempo l’emissione della licenza che si richiede”. La risposta del Comune arrivò nell’anno successivo: “in esito alla domanda presentata dal Consorzio Emiliano-Romagnolo fra Cooperative di Produzione e Lavoro [...] si comunica che a seguito di sopralluogo effettuato il 29.10.79 è stato accertato quanto segue: - estesi tratti di muro esterno sono stati realizzati con materiale insufficientemente resistente agli agenti atmosferici [...] causando notevole umidità alle pareti degli appartamenti; - le canne fumarie per l’evacuazione delle esalazioni delle cucine non sono di tipo regolamentare ed hanno insufficienti caratteristiche di funzionalità ed efficienza. Si è rilevato inoltre quanto segue: 1) l’Ente proprietario del fabbricato non ha provveduto ad esercitare quell’accurata manutenzione delle struttura in cemento armato, prevista dal certificato di collaudo [...]; 2) la mancata osservanza delle prescrizioni dei Vigili del Fuoco datate 17.6.57: l’accesso agli appartamenti delle scale avviene attraverso terrazze “non completamente aperte” [...]. Non tutte le porte di comunicazione fra le terrazze e le scale a tenuta di fumo sono a chiusura automatica e con vetri retinati. Dette porte non si aprono verso le scale come richiesto, ma verso le terrazze. Considerato che tutto ciò è contrario alle vigenti disposizioni igienico sanitarie [...] si dichiara non abitabile il fabbricato in oggetto”9. Alla luce dell’ennesimo diniego, nel 1984 si procedette ad un ampio intervento di ripristino delle facciate esterne e di messa a norma dei sistemi di evacuazione fumi delle cucine. L’intervento riguardava le parti in calcestruzzo esposte all’aggressività degli agenti atmosferici (sia i pilastri che i marcapiani) e i tamponamenti
/9 Diniego certificato di abitabilità del fabbricato posto in Via Cellini 18-20, nota P.G. n.24916/78, Archivio Edilizio Comune di Bologna. /10 Relazione tecnica sugli interventi di ripristino conservativo del complesso “La Meridiana” in via Benvenuto Cellini 18/20. Archivio Edilizio Comune di Bologna. /11 Negli anni successivi alla costruzione ogni proprietario ha chiesto e ottenuto un certificato di abitabilità parziale per la propria unità immobiliare; ciò che ancora manca è il certificato per le parti comuni (vani scale, ingressi, piano interrato e centrale termica), nelle quali ancora si riscontrano irregolarità.
in laterizio, realizzati con una “soluzione atipica non ricorrente”10 che non permetteva un’adeguata protezione degli ambienti interni e una corretta impermeabilità dello strato più esterno (si trattava infatti di un tamponamento a doppia parete in laterizio con intonaco solo nella faccia interna). Al contrario, gli elementi prefabbricati dei tamponamenti risultarono in ottimo stato di conservazione, tale da non richiedere ulteriori interventi. Per incontrare un altro avvenimento degno di nota nella vicenda costruttiva del Grattacielo dobbiamo arrivare fino a pochi anni fa, nel 2014, quando, nell’ottica di regolarizzare gli ambienti della centrale
termica, vennero sostituite le vecchie canne fumarie in c.a. con due nuove in acciaio; contemporaneamente, sul prospetto nord, vennero realizzate nuove superfici accessorie al piano interrato a servizio della centrale termica. Siamo dunque giunti ai giorni nostri e ad un attento lettore non sarà sfuggito un importante dettaglio: la questione del certificato di abitabilità rimane tuttora inconclusa. Alla luce delle condizioni in cui versa l’edificio, infatti, il Comune non ha mai rilasciato l’attestato di abitabilità, almeno per quanto riguarda le parti comuni11.
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/RIPRISTINO La fotografia mostra lo stato del Grattacielo prima dell’intervento di ripristino del 1984; si può notare, in sommità, la presenza di una struttura metallica per un ponte mobile di manutenzione di facciata, realizzato probabilmente nel 1975, ma mai utilizzato. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
03.4 IL PROGETTO PRELIMINARE
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Come anticipato in precedenza, la costruzione del Grattacielo fu subordinata alla redazione di un progetto preliminare sull’area e sul Grattacielo stesso. La scelta di realizzare una forma in pianta così allungata rappresentò il miglior compromesso tra la necessità di ottenere un determinato numero di appartamenti e l’obiettivo di far coesistere un edificio così alto in un contesto urbano in via di definizione e caratterizzato da edifici molto più bassi, che sicuramente avrebbero risentito della forza “opprimente” di una tale massa. Venne quindi eseguito uno studio volumetrico accompagnato dall’analisi dei soleggiamenti per dimostrare ulteriormente la fattibilità dell’intervento. Già nella fase preliminare il Grattacielo venne disegnato come una struttura di 23 livelli fuori terra (piano terra, 21 livelli abitati e piano di copertura), sorretto da setti in c.a. orientati lungo il lato minore dell’edificio, i quali, oltre “all’ottimo comportamento statico di fronte alle varie sollecitazioni ed in particolare a quella del vento”, presentavano “caratteristiche vantaggiose sia dal punto di vista dell’economia costruttiva (le pareti a tutta altezza in c.a. necessitavano di minore armatura) che da quello delle possibilità di sfruttamento della superficie abitabile, pressocché costante e massima con l’innalzarsi della costruzione”12. Nel piano terra, per la maggior parte aperto, trovavano posto due vani scala con ascensori e alcuni locali comuni, mentre nei livelli superiori venivano realizzati quattro appartamenti per piano, due per vano scala. L’area circostante l’edificio era inoltre organizzata per prevedere “zone di parcheggio per autoveicoli che, se anche eccessivi, per un prossimo futuro certamente necessari”13.
/12 Dall’introduzione all’album fotografico per il premio IN-ARCH 1961. Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani. /13 Cavani G. et al., Relazione sul progetto preliminare. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
/PIANO TERRA Ad esclusione dei vani scale e di qualche ambiente di servizio, nel progetto preliminare il piano terra del Grattacielo è pensato come spazio aperto, in stretta connessione con lo spazio pubblico. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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/PROGETTO VOLUMETRICO Progetto volumetrico per il quartiere INA Casa via S.Vitale Bologna. Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
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Nonostante si tratti ancora della fase preliminare, il prospetto disegnato da Cavani mostra già una scansione regolare e quasi casuale di pieni e vuoti, un partito di elementi verticali ed orizzontali che incasellano le aperture e le logge, e che verrà mantenuto anche nel progetto definitivo. Il disegno trae chiara ispirazione da un’altra opera dello stesso Cavani, un palazzo per uffici, negozi e abitazioni realizzato in piazza VIII Agosto. Di tale opera ne esegue una favorevole presentazione l’arch. Giuseppe Vaccaro, vero e proprio mentore di Cavani: “Il destino della maggior parte delle opere di questo tipo è di assecondare, con un’architettura banale o addirittura volgare, la piattezza dell’ambiente e del tema. Accade tuttavia che la mano leggera e sensibile di un architetto riesca ogni tanto a sollevare le sorti di qualcuno di questi edifici, richiamandoli alla loro più vera funzione umana e interpretandoli con un po’ di confortante ottimismo. [...] Senza forzare con trovate gratuite il normale organismo dell’edificio, l’architetto ha tratto partito dai vuoti e dagli elementi di tamponamento esterno, dai parapetti e dai setti di separazione fra le loggette e le finestre, per dar vita a un gradevole gioco compositivo che si inserisce variamente nel canovaccio omogeneo della struttura visibile in c.a. e rende percepibile all’esterno la funzione viva dell’abitare”14. Forse fu proprio il successo di tale opera a convincere Cavani a riprendere anche nel Grattacielo il tema compositivo già utilizzato in piazza VIII Agosto, tanto che le parole scritte da Vaccaro sembrano adattarsi perfettamente anche al Grattacielo stesso.
/14 Vaccaro G., Una casa e una clinica a Bologna, in “Architettura: cronache e storia”, febbraio 1961.
/PIAZZA VIII AGOSTO L’edificio realizzato da Cavani in Piazza VIII Agosto utilizza lo stesso canone geometrico che verrà ripreso nel disegno del Grattacielo. Vaccaro G., Una casa e una clinica a Bologna, in “Architettura: cronache e storia”, febbraio 1961.
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/PROSPETTO (1957) Il progetto preliminare del Grattacielo rivela l’ispirazione lecorbuseriana del gruppo di progettisti, che ha voluto portare le indicazioni sull’assetto urbanistico della Gestione INA Casa fino all’interno dell’edificio, nel piano terra e in sommità. La scansione verticale ed orizzontale fornita dalla struttura in cemento armato sembra derivare anche’essa dall’Unità d’Abitazione di Marsiglia, il quale all’epoca rappresentava un riferimento mondiale per gli edifici residenziali ad alta densità. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
/UNITÀ D’ABITAZIONE, MARSIGLIA Secondo il pensiero di Le Corbusier, non esiste una sostanziale distinzione tra l’urbanistica e l’architettura. Egli cerca di studiare un sistema di relazioni che, partendo dalla singola unità abitativa, si estende all’edificio, al quartiere e all’intero ambiente costruito. L’Unité d’Habitation è la sintesi di questa teoria: essa viene concepita come una vera e propria città verticale, caratterizzata da spazi individuali inseriti in un ampio contesto di aree comuni. L’edificio rappresenta una sorta di contenitore che racchiude in esso uno spazio urbano, oltrepassando la funzione semplicemente abitativa di un condominio. http://www.platform-ad.com/alessio-forlano-unite-dhabitation-marsiglia-corbusier
/PLANIMETRIA PRELIMINARE Nella planimetria redatta per il progetto preliminare è possibile leggere l’intento di realizzare una “corte” semi-pubblica tra il Grattacielo e gli edifici contrassegnati dai numeri 2 e 4. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
È però possibile ipotizzare un’altra fonte di ispirazione per l’ingegnere bolognese. Osservando il progetto preliminare, infatti, non si può non notare l’incredibile somiglianza tra il coronamento dell’edificio disegnato da Cavani e quello della più famosa Unité d’Habitation di Le Corbusier a Marsiglia: nonostante si tratti solamente della fase preliminare (vedremo infatti che il progetto esecutivo presenterà alcune differenze, soprattutto per quanto riguarda la sommità dell’edificio) è interessante osservare come Cavani si sia probabilmente lasciato influenzare dalla famosa opera lecorbuseriana riprendendo da essa molti elementi, architettonici e concettuali. Progettata e completata tra il 1945 e il 1952, anche l’Unité d’Habitation nasce per dare una risposta alle esigenze abitative del dopoguerra e Le Corbusier sfrutterà l’occasione per farne una sintesi dei diversi temi da lui trattati sull’abitazione e sulla città. Il particolare utilizzo del betòn brut (cemento a vista), la necessità di ospitare un gran numero di persone all’interno dello stesso edificio e la volontà di creare uno spazio architettonico che sia esso stesso città autonoma sono i temi da cui Cavani ha forse tratto ispirazione nella realizzazione del progetto del Grattacielo. È possibile che il progettista, ricercando un’idea di autonomia, intimità e riconoscibilità del quartiere, inizialmente abbia voluto rendere l’alto edificio come fulcro centrale dell’area, “smaterializzando” il piano terra in modo che questo non creasse ostacoli ma che fosse un tutt’uno con le aree verdi circostanti, e realizzando in sommità un luogo di incontro e socializzazione, anche e soprattutto per il punto di vista privilegiato, dominante sulla città circostante. La stessa disposizione planimetrica degli edifici sembra ruotare attorno a questo nucleo centrale, formando una corte più chiusa che, attraverso il piano terra del Grattacielo, va a connettersi alla grande area verde a servizio della più ampia lottizzazione.
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Un’ultima considerazione sul progetto preliminare va fatta in relazione all’altezza del Grattacielo: un edificio di così grandi dimensioni era sicuramente una novità non solo nel panorama architettonico bolognese (il Grattacielo di via Cellini rimarrà, per molti anni, l’unico vero grattacielo nell’area urbana, secondo per altezza alla sola Torre degli Asinelli), ma anche in quello italiano: le prime “sperimentazioni architettoniche” con gli edifici alti ebbero infatti inizio, in Italia, negli anni Trenta, raggiungendo le massime espressioni proprio negli anni Cinquanta con la realizzazione, a Milano, del Grattacielo Pirelli (1952-60, 127m) e della Torre Velasca (1950-57, 99m), e in Romagna del Grattacielo Marinella II di Cesenatico (1957, 115m) e del Grattacielo di Rimini (1957, 87m). È dunque facile immaginare che, nella realizzazione del progetto del grattacielo bolognese, il gruppo di ingegneri guidato da Cavani abbia tratto ispirazioni da queste grandi opere, almeno per quanto riguarda la fattibilità dell’intervento; non è un caso, infatti, che per il collaudo delle strutture venne interpellato l’ingegner Bruno Bottau, già professore della facoltà di ingegneria di Bologna e progettista delle strutture per il grattacielo di Cesenatico, ancora oggi il secondo edificio in calcestruzzo più alto d’Italia (dopo il Pirellone di Milano). Inoltre, a conferma dell’ottima riuscita dell’intervento, è importante sottolineare come l’ing. Calanchi, effettivo “calcolatore” delle strutture del Grattacielo di via Cellini, venne successivamente chiamato a collaborare con Zacchiroli per la realizzazione delle due torri (1977-1980) di via Zago, nei pressi di via Staligrado, sempre a Bologna.
/SEZIONE Progetto esecutivo. Sezione trasversale del Grattacielo di via Cellini. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
03.5 IL PROGETTO DEFINITIVO Nel febbraio del 1959, a poco più di un anno di distanza dalla redazione del progetto preliminare, viene rilasciato il nulla osta del sindaco per la realizzazione del Grattacielo. Il progetto esecutivo approvato presenta alcune differenze sostanziali rispetto alla prima versione, anche alla luce delle osservazioni fatte dal Corpo dei Vigili del Fuoco in merito alla sicurezza antincendio dell’edificio. L’edificio è caratterizzato da una forma stretta e allungata, con un ingombro planimetrico di m. 12,00x46,60 e il lato maggiore orientato secondo l’asse nord-sud. Complessivamente è articolato in 24 piani: uno interrato, uno a livello terreno, 21 piani abitabili e un livello di copertura, in parte chiuso e in parte terrazzato. Due vani scale servono l’edificio in tutta la sua altezza, dal piano interrato fino in copertura; diversamente, gli ascensori, due per vano scale, coprono soltanto la parte dell’edificio fuori terra.
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/EDIFICIO ALTO Con i suoi 75 metri di altezza, il Grattacielo divenne l’edificio residenziale più alto di Bologna all’epoca della sua costruzione. Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
Il piano interrato ospita le cantine e la centrale termica, la quale serve non solo il Grattacielo, ma anche gli altri quattro edifici componenti il quartiere INA Casa; il piano terra è caratterizzato da due corpi chiusi, a nord e a sud, ospitanti rispettivamente l’alloggio per il “fuochista” (custode della centrale termica) e un locale condominiale per riunioni, mentre la parte intermedia è aperta e porticata, occupata da otto grossi piloni che costituiscono l’appoggio per i setti portanti centrali. Nei livelli superiori trovano posto quattro appartamenti per piano, due per vano scala, per un totale di 84 unità immobiliari. L’ultimo livello, quello di sottotetto, ospita una serie di locali accessori (lavanderia, stenditoi e locali macchine per gli ascensori), nonché due grandi terrazze aperte. Tutte le unità immobiliari sono caratterizzate da un ingresso, una cucina, un soggiorno e un bagno, mentre le camere da letto variano in funzione della dimensione dell’appartamento: l’unità posta a nord presenta due camere da letto per 75mq complessivi di appartamento, quella a sud possiede quattro camere da letto per 120mq complessivi, mentre le due unità centrali
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/INA CASA La centrale termica posta al piano seminterrato del Grattacielo era a servizio dell’intero quartiere. Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
/PIANTA Riproduzione della pianta tipo originaria. Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
(planimetricamente speculari) hanno ciascuna tre camere da letto per 100mq di superficie totale. Gli appartamenti sono dotati di terrazze/logge che non sporgono dai prospetti, ma si inseriscono all’interno dei locali attraverso una doppia parete che si può estendere per tutta la larghezza della stanza o solo per una parte; in ogni caso, non esiste un criterio preciso per la localizzazione delle logge: esse si possono trovare, indistintamente, nel soggiorno, nelle camere da letto o nella cucina, con una scansione variabile da piano a piano. La struttura portante dell’edificio è costituita da 13 setti in calcestruzzo che sporgono di 30cm rispetto alle murature di tamponamento, assumendo un aspetto di “pilastri di facciata” a tutta altezza. Non tutti i setti, però, presentano continuità strutturale fino in fondazione: alcuni poggiano direttamente sul solaio del primo piano, e da tale quota si innalzano fino al piano di calpestio del lastrico di copertura; essi raggiungono poi le fondazioni grazie a grossi piloni posti al piano terra e a quello interrato. Gli orizzontamenti sono invece costituiti da solette in latero-cemento, realizzate tra setto e setto, per uno spessore medio di 20cm. La superficie perimetrale dell’edificio è costituita, per quanto riguarda i prospetti nord e sud, da due setti in c.a. di 20cm con controparete interna in laterizio di 10cm; i prospetti est e ovest, invece, sono caratterizzati da una maglia regolare di elementi verticali (“pilastri” di facciata) ed orizzontali in c.a., sporgenti rispetto ai tamponamenti. Questi ultimi sono costituiti da modanature verticali ed orizzontali, realizzate con elementi prefabbricati in c.a.v., e da una doppia parete in laterizio con intercapedine vuota e intonaco solo sulla faccia interna.
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/PIANTA PIANO TERRA
Archivio Edilizio Comune di Bologna.
/PIANTA PIANO TIPO
Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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/PIANTA PIANO INTERRATO
Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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/PROSPETTO OVEST E SUD Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
/PROSPETTO EST E NORD Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
/DETTAGLIO SCALE Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
/PARTICOLARI PROSPETTO Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
03.6 LA COSTRUZIONE
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Il progetto così come concepito nella sua prima fase venne leggermente rivisto in fase di esecuzione. Ad oggi non rimangono disegni che documentino in maniera ufficiale tali modifiche, ma queste sono facilmente desumibili confrontanto il progetto presente nelle precedenti pagine con le fotografie realizzate al termine della costruzione e con le successive pratiche edilizie, in particolare quella del 1969 per le modifiche agli ingressi e al sottoportico. Rispetto al progetto iniziale, dunque, si possono individuare quattro principali differenze con ciò che venne effettivamente realizzato, tutte nel piano terra: 1) le scale di accesso al piano interrato vennero separate dai vani scale principali, dando risposta alle richieste dei Vigli del Fuoco di realizzare scale con accesso da spazio aperto; 2) venne rivista leggermente la quota del pianerottolo di ingresso, riducendo il numero delle alzate da nove a sei; 3) non venne realizzata la sala condominiale al piano terra, ma si decise di aumentare gli spazi aperti, lasciando che quelli chiusi rimanessero solamente gli ingressi e l’appartamento del fuochista; 4) venne realizzato un nuovo volume semi-interrato all’estremità sud dell’edificio per l’alloggiamento della centrale elettrica.
Per quanto riguarda le u.i. nei piani superiori, la costruzione rispettò sostanzialmente quando indicato nel progetto esecutivo, con la sola eccezione del piccolo vano di ingresso degli appartamenti, realizzato senza distinzione di pavimentazione come indicato nei disegni originali. A pochi mesi dalla conclusione dei lavori, però, cominciarono già a manifestarsi i primi sintomi di degrado che avrebbero interessato i prospetti esterni, ed in particolare i tamponamenti in laterizio: a causa della scarsa impermeabilità di questi, si verificarono numerosi casi di infiltrazioni che portarono, in alcune situazioni, al deterioramento e alla rottura del paramento esterno del tamponamento. Il pericolo di caduta di elementi laterizi dall’alto era un problema da prendere seriamente in considerazione, tanto che in poco tempo si decise per la realizzazione di una pensilina colonnata disposta lungo i lati maggiori dell’edificio, a protezione dei passanti e degli accessi all’edificio. Gli elementi colonnati che vediamo ancora oggi sono quindi il frutto di una costruzione non prevista in origine, ma eseguita in stretta vicinanza alla conclusione dei lavori.
/INGRESSI Immagine che mostra l’ingresso originale del civico n.18. Gli elementi porticati laterali, non previsti nel progetto iniziale, vennero aggiunti in corso d’opera. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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/MODIFICHE IN CORSO D’OPERA Il progetto iniziale (sopra) prevedeva la realizzazione di due volumi chiusi alle estermità nord e sud dell’edificio, lasciando aperta la parte centrale colonnata. In fase di realizzazione si decise per alcune modifiche al progetto originario (sotto): le scale di accesso al piano interrato vennnero costruite esternamente e la centrale elettrica venne spostata in un volume esterno a sud dell’edificio. Dopo pochi mesi dalla conclusione dei lavori, vennero realizzate due pensiline colonnate lungo i lati maggiori dell’edificio, a maggiore protezione degli ingressi. Rielaborazione delle piante prodotta attraverso il confronto delle foto d’epoca e delle pratiche edilizie.
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/FONDAZIONI A sinistra, infissione e prove di carico dei pali di fondazione; a destra, realizzazione del piano interrato e dei piloni in c.a. che verranno ripresi al piano terra e che diventeranno setti in c.a. nei piani superiori. Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
@Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
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@Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
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@Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
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@Archivio Ordine Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
03.7 I NUOVI INGRESSI: GLI INTERVENTI DEL 1969
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Completato nel 1960, l’edificio si vide negare il certificato di abitabilità qualche anno più tardi (1966) a causa delle irregolarità riscontrate dalla commissione incaricata. Nonostante ciò, nel 1969 si decise per la realizzazione di nuovi volumi chiusi al piano terra, in corrispondenza degli ingressi, i quali avrebbero sicuramente aumentato il grado di comfort e di sicurezza degli accessi all’edificio e agli scantinati, ma che non avrebbero risolto in alcun modo le criticità che avevano portato al diniego dell’abitabilità. Il progetto, realizzato dal perito Barbieri Alberto, prevedeva la costruzione di due corpi aggiuntivi in corrispondenza degli ingressi, che si andavano ad innestare in aderenza all’edificio e alle strutture porticate, inglobando al loro interno anche le scale di accesso al piano interrato. Osservando oggi questi volumi, appare abbastanza evidente la loro “posteriorità”, per la difficile integrazione che questi hanno nel disegno architettonico complessivo dell’edificio. Nonostante questo, non si può non riconoscere l’elevata qualità dell’intervento, che forse non è del tutto affidata al caso: per comprendere meglio la natura e l’esigenza di tale opera, infatti, bisogna capire come, rispetto ai primi anni di realizzazione, la popolazione insediata nell’edificio sia profondamente cambiata. Il Grattacielo, come tutti i quartieri INA Casa, nasce per ospitare una popolazione operaia, con un basso reddito e rimasta senza dimora dopo la Seconda Guerra Mondiale; un edificio così alto, però, rappresentava allora un evento eccezionale, e un modo di vivere totalmente diverso da quanto si era abituati. Per questo, in poco tempo, il Grattacielo venne insediato da una popolazione più “eccentrica” e fiduciosa nelle novità: artisti, pittori, architetti e persone benestanti trovarono alloggio nei livelli più alti della città, trasformando profondamente le esigenze qualitative degli abitanti. Da qui, probabilmente, nacque la volontà di realizzare i nuovi ingressi, più “signorili” e adatti alla popolazione insediata, che avrebbero profondamente trasformato l’approccio all’edificio da parte dei visitatori.
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/NUOVI INGRESSI Viste prospettiche e sezioni di progetto. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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/NUOVI INGRESSI Pianta di progetto. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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/NUOVI INGRESSI Prospetto ovest. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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03.8 IL RIPRISTINO CONSERVATIVO
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Per dare seguito alle disposizioni lasciate dal collaudatore in merito all’accurata manutenzione delle strutture, nel 1984 si procedette finalmente ad un ampio intervento di ripristino delle facciate esterne, anche alla luce di quello non realizzato circa dieci anni prima. L’edificio si presentava in condizioni pessime a causa dei vent’anni anni trascorsi senza alcuna manutenzione, né ordinaria né straordinaria, e per la scarsa qualità costruttiva che lo aveva contraddistinto fin dalla sua costruzione, e che aveva impedito il rilascio del certificato di agibilità. Le parti in calcestruzzo presentavano “fenomeni del tutto naturali nei calcestruzzi non protetti ed esposti all’azione aggressiva atmosferica”, con “numerose cavillature per rigonfiamento conseguente all’ossidazione delle armature”15; il copriferro era lesionato in più punti, specialmente nelle fasce sporgenti orizzontali del prospetto, e in molte parti era del tutto eroso o mancante. Per quanto riguarda i tamponamenti, le modanature in c.a.v. si presentavano in buono stato di conservazione, senza sintomi di aggressione alle armature interne, essendo il calcestruzzo “di ottima qualità”16; la parte in laterizio, invece, presentava in più punti “distacchi di porzioni del tavellonato” e “vistose lesioni trasversali”17, fenomeni connessi alle infiltrazioni di acqua e alla gelività. Gli interventi di ripristino consistettero, per quanto riguarda le parti in c.a., nella rimozione totale o parziale del copriferro, nella pulitura delle superfici, nel trattamento di passivazione delle armature e nella ricostruzione della sezione con malta cementizia additivata e trattamento finale impermeabilizzante; per quanto riguarda le pareti in laterizio, invece, si decise di rimuovere e sostituire gli elementi rotti o distaccati, completando il lavoro con una nuova finitura esterna tinteggiata color rosso mattone, con rete in fibra di vetro, malta cementizia e trattamento impermeabilizzante. Osservando lo stato di conservazione in cui versa oggi l’edificio, è possibile comprendere come, non essendoci stati altri interventi da allora, le opere del 1984 furono prevalentemente estetiche e poco efficaci: le malte utilizzate nella ricostruzione del copriferro si sono rivelate poco idonee e scarsamente impermeabili, mentre i “pilastri” di facciata vennero solamente rivestiti con una sorta di cappotto con rete in fibra di vetro e malta coprente, senza ripristinare o integrare le armature mancanti. Questi interventi non hanno quindi impedito il ripresentarsi, a distanza di poco tempo, degli stessi fenomeni di degrado: le infiltrazioni d’acqua sono proseguite al di sotto del “cappotto”
/DEGRADO Prima dell’intervento di ripristino del 1984, l’edificio si presentava con diverse forme di degrado, tra le quali il distacco del copriferro nelle strutture in c.a. e il danneggiamento in più punti del laterizio di tamponamento. Archivio Edilizio Comune di Bologna.
/15 Relazione tecnica sugli interventi di ripristino conservativo del complesso “La Meridiana” in via Benvenuto Cellini 18/20. Archivio Edilizio Comune di Bologna. /16 ibid. /17 ibid.
protettivo, il quale ha, tra l’altro, impedito una corretta asciugatura; tali infiltrazioni hanno portato a diverse problematiche, dalla carbonatazione del materiale fino a problemi di gelività e degrado fisico, con conseguente ossidazione dei ferri di armatura ed espulsione del materiale coprente. A tutto questo bisogna aggiungere anche che, in origine, il confezionamento e la posa in opera del calcestruzzo armato presentava regole e accorgimenti molto differenti da quelli che conosciamo oggi: il contenuto d’acqua e la granulometria degli inerti non erano controllati in maniera precisa, il getto veniva realizzato senza costipazione e vibratura e non sempre venivano correttamente utilizzati distanziatori tra casseri e ferri di armatura, con conseguente appoggio del ferro alla casseratura e la mancata realizzazione dello spessore di copriferro. Ad oggi l’edificio presenta, nelle parti in calcestruzzo, i medesimi fenomeni di degrado che già aveva manifestato negli anni ‘80: parziali distacchi di copriferro, fessurazioni e ossidazione delle armature, fenomeni dovuti principalmente all’aggressività degli agenti atmosferici. Per garantire il corretto funzionamento della struttura portante e impedire pericolosi e improvvisi distacchi di calcestruzzo da altezze elevate, sarà necessario intervenire nuovamente sull’intero perimetro dell’edificio, attraverso una rimozione integrale del copriferro, una profonda pulitura delle armature con opportuni trattamenti anti-ossidanti, per poi procedere alla ricostruzione del calcestruzzo più esterno.
@Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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@Archivio Edilizio Comune di Bologna.
@Archivio Privato Grattacielo via Cellini.
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@Archivio Edilizio Comune di Bologna.
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@Archivio Edilizio Comune di Bologna.
03.9 LO STATO ATTUALE /PIANTA PIANO QUARTO
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Rispetto all’intervento di ripristino esterno del 1984, il Grattacielo non ha più subito interventi invasivi o degni di nota, ad eccezione del già citato rifacimento della pavimentazione del piano terra (1988) e della costruzione di piccoli volumi esterni al piano interrato (prospetto nord) come addizioni alla centrale termica. Per quanto riguarda le singole unità immobiliari, invece, sono da considerare le molteplici modifiche eseguite internamente all’edificio. Fin dall’assegnazione degli alloggi, ancor prima del completamento del Grattacielo, i progettisti operarono in stretta collaborazione con gli stessi assegnatari, cercando di venire incontro alle esigenze dei singoli abitanti; questo comportò che alla pianta tipo disegnata da Cavani venisse talora apportata qualche modifica già al momento della costruzione dell’edificio. Negli anni successivi e fino ai giorni nostri molti proprietari sono poi intervenuti con trasformazioni interne agli appartamenti, modificando o rimuovendo le partizioni interne e chiudendo o eliminando le logge. Purtroppo non è stato possibile eseguire un sopralluogo in tutte le u.i. dell’edificio, ma attraverso la ricerca delle pratiche edilizie presso il Comune di Bologna e grazie alla collaborazione di alcuni condomini, è stato possibile reperire alcune planimetrie che hanno sostanzialmente confermato le ipotesi iniziali: solo una minima parte degli interventi ha interessato le strutture portanti, mentre gli altri si sono concentrati sulle partizioni interne (creazione di open space nel soggiorno o realizzazione di un secondo bagno) e sulle logge (annessione completa alla stanza oppure semplice chiusura tramite infisso). Molti appartamenti hanno mantenuto la pavimentazione originaria, mentre gli infissi originari (a vasistas per motivi di sicurezza) sono stati tutti sostituiti. Gli interventi più invasivi sono stati realizzati rispettivamente al 19esimo e 21esimo piano: nel primo caso l’appartamento è stato suddiviso in tre monolocali attraverso la realizzazione di nuove tramezzature e con l’allargamento delle aperture esistenti sui setti portanti; all’ultimo piano, invece, è stato “sventrato” un intero appartamento, con la realizzazione di un grande open space. Gli ambienti nel sottotetto, invece, mantengono ancora la conformazione originaria, e sono oggi utilizzati come stenditoi, depositi e come locali per riunioni condominiali.
/PIANTA PIANO SESTO
/PIANTA PIANO OTTAVO
/MODIFICHE Dallo studio di alcune delle planimetrie degli appartamenti è stato possibile verificare le tipologie di interventi che il Grattacielo ha subito a livello di unità immobiliari. Si tratta perlopiù di interventi sulla partizione interna delle unità, ad eccezione di due modifiche un po’ più invasive realizzate negli ultimi piani dell’edificio.
/PIANTA PIANO DICIASSETTESIMO
/PIANTA PIANO DICIANNOVESIMO
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/PIANTA PIANO VENTUNESIMO
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Grattacielo di via Cellini, Bologna (1959-60)
/04 il Grattacielo
Nel capitolo precedente abbiamo brevemente anticipato le condizioni in cui versa il Grattacielo al giorno d’oggi. In queste pagine approfondiremo questo tema, partendo dall’analisi della situazione urbanistica che caratterizza il quartiere e passando poi allo studio dei caratteri compositivi e strutturali dell’edificio. Infine presenteremo i risultati del questionario posto agli abitanti del Grattacielo, realizzato allo scopo di formare un quadro conoscitivo dei punti di forza e criticità che verranno poi affrontati in fase progettuale.
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04.1 INQUADRAMENTO URBANISTICO La posizione occupata dal quartiere all’interno del territorio comunale è tutt’altro che banale: esso si trova nella periferia est di Bologna, in prossimità del raccordo autostradale e, soprattutto, lungo quell’importante direttrice viaria che collega il capoluogo emiliano con la città di Ravenna, ovvero la via San Vitale, che cambia nome in via Massarenti una volta oltrepassata la “cinta” dell’autostrada. Questo rende il Grattacielo una vera “porta” di Bologna, essendo un punto di riferimento ben visibile da tutti coloro che raggiungono la città proveniendo da est.
Analizzando rapidamente il contesto nel quale si inserisce oggi il quartiere La Meridiana, viene naturale circoscrivere l’ambito in un’area delimitata da barriere fisiche evidenti: a nord la linea ferroviaria metropolitana; ad est l’autostrada; a ovest il complesso religioso di Santa Rita e a sud la trafficata via Massarenti. All’interno di questo quadrilatero troviamo un ambito quasi esclusivamente residenziale, con l’eccezione di poche strutture commerciali e terziarie poste al piano terra di alcuni edifici in via del Verrocchio e via Levanti.
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via B.Cellin
via Andrea del Verrocchio
via Giambologna
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via Santa Rita
via Luca della Robbia
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via G.M
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04.2 VIABILITÀ Il quartiere è caratterizzato da una viabilità secondaria di rami stradali prevalentemente a senso unico, con posti auto lungo entrambi i margini della carreggiata. L’accesso all’area può avvenire da sud, entrando da via Massarenti, oppure da nord, attraverso il passaggio a livello. Quest’ultimo costituisce un nodo fondamentale nel sistema viario non solo del quartiere, ma dell’intera zona circostante: esso rappresenta infatti l’unico modo (nel raggio di due chilometri circa) per oltrepassare la barriera ferroviara ed accedere ai numerosi servizi presenti al di là della linea ferroviaria, come il complesso scolastico e il parco di via Scandellara. Nonostante tutte le strade consentano la sosta su entrambi i margini della carreggiata, il numero di posti auto nel quartiere risulta estremamente insufficiente a soddisfare i bisogni degli abitanti; solo il garage interrato di via Levanti riesce, in qualche modo, a mitigare la necessità di parcheggio, che in casi estremi costringe gli abitanti a cercare un posto auto oltre il passaggio a livello, lungo via Scandellara.
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/STIMA NUMERO DI POSTI AUTO
n.35 /Benvenuto Cellini n.54 /Antonio Levanti n.27 /Giambologna n.35 /Andrea del Verrocchio n.58 /Luca della Robbia
/sezione aa
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/sezione cc
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04.3 SPAZI VERDI L’analisi degli spazi verdi presenti non solo strettamente nel quartiere La Meridiana mette in luce l’esistenza di numerose aree (suddivise in giardini pubblici, centri sportivi e giardini scolastici) in un raggio di circa 500 metri rispetto al Grattacielo. Tra queste, il maggiore interesse è suscitato dal Parco Scandellara, posto appena oltre il passaggio a livello, che rappresenta meta di spostamenti da parte degli abitanti di tutta l’area. Scendendo alla scala del quartiere troviamo invece un ampio parco pubblico posto tra il Grattacielo e via Andrea del Verrocchio; il parco è attrezzato con giochi per bambini e sedute all’ombra, che lo rendono molto apprezzato dalla comunità, soprattutto nei mesi estivi.
/PARCO Il giardino La Meridiana è apprezzato dalla comunità per essere un punto di incontro e di svago, nonostante la scarsa cura e manutenzione non lo rendano attrattivo al massimo delle sue potenzialità.
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04.4 TESSUTO URBANO Lo studio del tessuto urbano mette in evidenza un ambito prevalentemente residenziale, in particolar modo proprio nelle vicinanze del Grattacielo. Le strutture commerciali di vicinato sono praticamente assenti, se non con qualche piccola eccezione, anche in virtù dei tre grandi centri commerciali che caratterizzano l’area. Completano il tessuto il complesso religioso di Santa Rita, costituito dalla chiesa e da una serie di strutture di servizio, il quale - come anticipato in precedenza - costituisce una netta barriera a ovest del quartiere La Meridiana. Da segnalare, unitamente al discorso della viabilità, è il fatto che molte strutture pubbliche (in primis le strutture scolastiche che costituiscono l’Istituto Comprensivo 7 di via Scandellara) si trovano proprio al di là della linea ferroviaria, enfatizzando dunque ancora di più l’importanza di quel nodo viario che è il passaggio a livello di via Cellini.
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04.5 METAPROGETTO Alla luce delle analisi svolte è possibile, ancora prima di aver studiato in maniera approfondita il Grattacielo stesso, redigere un primissimo metaprogetto che concretizzi in spunti progettuali i pregi e i difetti del quartiere. Possiamo oggi notare una forte concentrazione di automobili lungo tutte le vie del quartiere, le quali vanno quasi a soffocare e nascondere i passaggi pedonali che comunque non mancano ai lati di ogni strada sotto forma di marciapiedi. Tale concentrazione di mezzi di trasporto ha anche l’effetto di portare in secondo piano uno degli elementi fondanti del quartiere e, in generale, di tutte le realizzazioni INA Casa, ovvero lo spazio aperto come spazio di incontro, condivisione e socialità. Obiettivo cardine del progetto sarà dunque quello di conferire nuova coesione agli spazi esterni attraverso un intervento di ricucitura urbana che aiuti gli abitanti
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del quartiere a riappropriarsi dell’area pubblica, rivitalizzandola e riscoprendo l’aspetto sociale della vita in città. Contemporaneamente, si cercherà di valorizzare le aree e i percorsi prossimi alle zone commerciali esistenti, anche attraverso un tracciato ciclo-pedonale che percorrerà tutto il quartiere collegando il passaggio a livello (e dunque tutta la zona di servizi a nord della ferrovia) con la chiesa di S.Rita, punto centrale degli spostamenti di tutto il quartiere. Tutto ciò non potrà non passare attraverso una profonda revisione del sistema dei parcheggi, con un aumento della capacità complessiva contemporaneo ad un allontanamento delle auto dai percorsi pedonali principali. In quest’ottica di intervento, la trasformazione del Grattacielo dovrà considerare il suo ruolo di landmark e “bandiera” di tale intervento di riqualificazione urbana.
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04.6 IL GRATTACIELO Una volta studiato e compreso il contesto nel quale si inserisce il Grattacielo, passiamo ora analizzare maggiormente nel dettaglio l’edificio stesso. Se alcune cose sono già state anticipate al momento della ricostruzione delle vicende storiche che hanno caratterizzato l’edificio dalla sua costruzione fino ai giorni nostri, in questo paragrafo ci dedicheremo in particolar modo agli aspetti compositivi e strutturali, che costituiranno la base fondamentale per la successiva fase di progetto.
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Il Grattacielo si innalza per 23 livelli fuori terra, di cui 21 occupati dalle unità immobiliari, un piano terra di ingresso e un ultimo livello in parte terrazzato e in parte occupato da locali condominiali e vani tecnici; completa l’edificio un piano totalmente interrato ospitante le cantine e la centrale termica ed accessibile attraverso due vani scale dedicati e due rampe esterne all’edificio. Gli elementi di collegamento verticale sono rappresentati da due vani scale che uniscono in maniera continuativa il piano terra con l’ultimo piano, e da quattro ascensori (due per vano scale) che invece partono dal piano terra e si fermano all’ultimo piano abitato. In particolare, l’approdo degli ascensori non avviene in corrispondenza del piano degli appartamenti, ma avviene sul pianerottolo intermedio (quindi sul mezzo-piano) di ogni rampa di scale; questo tipo di soluzione ha permesso ai progettisti di dimezzare il numero di approdi complessivi (11 invece che 22) facendo in modo che ogni proprietario dovesse comunque attraversare una sola rampa di scale per raggiungere l’appartamento una volta uscito dall’ascensore. Si tratta sicuramente di una scelta progettuale curiosa, ma purtroppo non si conoscono le effettive motivazioni che hanno portato a tale scelta (era solo una questione di economicità dell’intervento?). Il piano terra ospita i due ingressi principali, posti in altrettanti volumi sporgenti rispetto alla sagoma principale dell’edificio, un deposito condominiale, i due accessi al piano interrato (connessi agli ingressi principali) ed un appartamento oggi disabitato, ma destinato in origine al custode e manutentore della centrale termica. Le destinazioni appena descritte occupano, planimetricamente, poco meno della metà dello spazio complessivo a disposizione: l’area restante costituisce uno spazio aperto porticato che realizza una sorta di estensione del giardino all’interno dell’edificio. Oggi questi spazi sono pressocché inutilizzati, se non come semplici parcheggi per biciclette e scooter. Spostandoci verso i piani superiori incontriamo le diverse unità immobiliari, quattro per piano, due per vano scale. L’analisi che
/COLLEGAMENTI VERTICALI I due blocchi composti corpo scala e ascensori costituiscono il sistema di collegamento verticale.
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effettueremo terrà in considerazione il piano tipo secondo il progetto originario del Grattacielo, nonostante le numerose modifiche interne che molte u.i. hanno subito. La scelta di basarci comunque sul piano tipo deriva dal fatto che, come dimostrano i casi studio analizzati nel precedente capitolo, solo in pochi casi le modifiche interne hanno alterato la disposizione delle destinazioni d’uso all’interno dell’appartamento. Osservando dunque la planimetria possiamo riconoscere quattro appartamenti, ma solamente tre tipologie differenti: le due unità centrali, infatti, sono specularmente analoghe. L’appartamento con la metratura maggiore è quello posto a sud: esso misura circa 120mq ed è costituito complessivamente da 7 vani (cucina, soggiorno, bagno e 4 camere da letto); tre camere da letto sono esposte a est, mentre l’affaccio a ovest è destinato alla zona giorno (cucina e soggiorno) e all’altra camera da letto. I due appartamenti centrali sono costituiti da 6 vani (tre camere da letto oltre a cucina-soggiorno-bagno) per un totale di circa 100mq. Questi appartamenti sono simmetricamente polari, dunque se per quello più a sud la zona notte è orientata verso est e la zona giorno verso ovest, per l’altro appartamento la situazione si inverte. Infine, l’unità posta a nord è la più piccola, con “soli” 5 vani (75mq), zona giorno esposta a est e zona notte a ovest. Tutte le unità sono dunque dotate di doppio affaccio, che garantisce un’ottima ventilazione trasversale, anche se questo non sempre è possibile a causa delle forti correnti d’aria che si possono manifestare - in certe condizioni - nei piani più alti dell’edificio. Anche se molti condòmini, nel trasformare le proprie unità, hanno deciso di privarsi dell’unico spazio aperto a disposizione, in origine ogni appartamento possedeva uno o due logge interne, poste
indifferentemente in uno dei locali dell’abitazione (ad eccezione del bagno). Osservando i prospetti dell’edificio non si intuisce uno schema predefinito nella disposizione di queste logge, ed è possibile dedurre che la scelta sulla localizzazione delle singole logge sia stata presa in accordo con gli assegnatari degli alloggi durante la costruzione dell’edificio stesso. Rimane comunque il fatto che oggi molti condòmini abbiano deciso di chiudere la loggia attraverso degli infissi oppure di rimuoverla completamente per aumentare la superficie a disposizione, in special modo quando questa veniva a trovarsi in corrispondenza della cucina. All’ultimo livello, ricavato nel sottotetto dell’edificio, troviamo una serie di locali condominiali utilizzati come stenditoi e come sale riunioni, e i due vani tecnici degli ascensori. Qui, nella parte centrale, si trovano due terrazze aperte, disposte simmetricamente proprio come gli appartamenti sottostanti. Dalle terrazze si può godere di un meraviglioso panorama sia verso il centro della città che verso la periferia e la campagna, trovandosi a quasi 75 metri di altezza rispetto al suolo. Paradossalmente, però, l’accesso al terrazzo non è consentito a tutti i condomini, dal momento che questo avviene attraverso porte generalmente chiuse a chiave. Tornando ai livelli inferiori, ci spostiamo nel piano interrato, che come abbiamo già detto è accessibile attraverso due rampe di scale (una per civico) separate dai vani scale principali per motivi di sicurezza antincendio. Qui trovano posto 84 cantine di diverse dimensioni (6-7 mq circa), oltre che ai locali a servizio della centrale termica.
/PANORAMA Vista del centro storico di Bologna dall’ultimo piano del Grattacielo.
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/PIANTA PIANO TERRA
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/PIANTA PIANO TIPO
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/PIANTA PIANO VENTIDUESIMO (SOTTOTETTO)
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/PIANTA PIANO INTERRATO
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/SEZIONE AA
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/UNITÀ IMMOBILIARI NEL PIANO TIPO
5 vani (75mq)
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6 vani (100mq)
6 vani (100mq)
7 vani (120mq)
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/INDIVIDUAZIONE ZONE GIORNO E ZONE NOTTE
camere da letto
B
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B
A soggiorno e cucina
/LATO EST Un ampio giardino privato occupa lo spazio a est del Grattacielo e ne costituisce la via d’accesso principale.
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/LATO OVEST Una “lingua” di terreno asfaltato divide il Grattacielo dal parco pubblico posto su via del Verrocchio.
/PENSILINA Interessante scorcio prospettico che introduce negli atri dell’edificio.
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/PORTICATO Non tutti i setti portanti raggiungono le fondazioni; alcuni impostano su grossi piloni che caratterizzano lo spazio aperto del piano terra.
/ATRIO Uno dei due ingressi all’edificio. Simili nella planimetria, i due atri differiscono per il rivestimento di piastrelle nelle pareti.
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/ASCENSORI Lo sbarco degli ascensori non avviene in corrispodenza del piano degli appartamenti, ma si trova sul pianerottolo intermedio delle scale.
/SCALE Ad intervalli regolari sono presenti delle protezioni in acciaio per impedire la caduta di oggetti o persone nella tromba delle scale.
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/TERRAZZA Le terrazze dell’ultimo piano sono utilizzate oggi come semplici stenditoi.
/OVEST Vista del prospetto ovest, fronteggiante il parco pubblico.
04.7 LA STRUTTURA PORTANTE La struttura portante dell’edificio è composta da 13 setti in calcestruzzo orientati lungo il lato corto dell’edificio; essi hanno uno spessore di 20cm, ad eccezione di quelli in corrispondenza dei vani scale che hanno uno spessore di 30cm; tutti i setti sono comunque ispessiti alle estremità fino a raggiungere i 30cm. Gli elementi portanti sono posti ad interasse variabile secondo quattro moduli differenti, pari a 418cm, 363cm, 473cm e 310cm in corrispondenza dei vani scale. Dei 13 setti che compongono la struttura in elevato, solo 7 presentano continuità fino in fondazione; gli altri, invece, si innalzano direttamente dal solaio del primo piano, mentre al piano terreno e a quello interrato sono sostituiti da grossi piloni che creano lo spazio porticato a contatto con il terreno. Per quanto riguarda gli orizzontamenti, non è stato possibile individuare con esattezza la loro composizione: l’ipotesi più probabile è che siano costituiti da solai in latero-cemento di 20cm di spessore, orditi perpendicolarmente ai setti in c.a. La copertura è realizzata con travi in c.a. ad asse spezzato a forma di arco che uniscono la sommità dei “pilastri” della facciata est con quelli della facciata ovest. 136
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04.8 I PROSPETTI
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L’elemento più interessante a livello compositivo è sicuramente la scelta progettuale relativa al disegno dei prospetti. I fronti nord e sud appaiono semplici e puliti, con il calcestruzzo lasciato a vista (ma tinteggiato) e punteggiati solamente da una colonna di finestre rettangolari. I prospetti est e ovest, invece, sono caratterizzati da una maglia regolare di elementi verticali (i “pilastri” di facciata) ed orizzontali (travi di piano) in c.a., sporgenti di 30cm rispetto ai tamponamenti. Questi ultimi sono costituiti da modanature verticali ed orizzontali (realizzate con elementi prefabbricati in c.a.v.) e da parete in laterizio a doppio strato con intercapedine d’aria. È proprio questa parte di tamponamento che conferisce all’edificio la sua singolarità: una scansione casuale di due elementi base che, composti in vario modo, generano nella facciata un ritmo quasi alienante ma mai uguale a sé stesso. Nel complesso non si individuano spartiti o leggi che regolino l’alternarsi di quelle fasce verticali, dei pieni e dei vuoti delle finestre, ma tutto sembra affidarsi alla casualità. Gli unici elementi che permettono di orientarsi all’interno di tale scansione sono i sistemi di collegamento verticale, ovvero scale e ascensori, che si riflettono in facciata attraverso, rispettivamente, una rientranza e una colonna priva di aperture. Spostando lo sguardo verso l’attacco a terra, il ritmo si interrompe bruscamente, lasciando spazio al vuoto dello spazio porticato e ai pieni dei volumi di ingresso. Anche l’ex appartamento del fuochista, che costituisce l’unica unità presente al piano terra, non riporta più la scansione verticale data dagli elementi prefabbricati.
/PROSPETTO SUD +75.50
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+75.50
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/PROSPETTO EST
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/PROSPETTO NORD
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/PROSPETTO OVEST
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/MODULARITÀ Dall’analisi geometrica dei prospetti è possibile individuare il modulo base che ha portato alla generazione del disegno di facciata. La struttura portante dell’edificio (setti e orizzontamenti) disegna una prima griglia costituita da 4 differenti moduli: gli elementi A, B e C danno la dimensione agli appartamenti, mentre l’elemento D viene utilizzato per i corpi di collegamento verticale (scale e ascensori). Nelle pagine seguenti ogni modulo viene analizzato singolarmente, scoprendo come ciascuno di essi è a sua volta generato da un’unità
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A
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A
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base di 45cm, ripetuta mantenendo una distanza di 10cm ad ogni ripetizione. L’algoritmo compositivo subisce qui una brusca interruzione, nel senso che il passaggio conclusivo, il quale porta al disegno finale, sembra non seguire una logica precisa: alcune unità base vengono accorpate a formare una seconda unità da 100cm (45+10+45), ma il loro alternarsi nella facciata, così come la scelta di realizzare un’apertura vetrata piuttosto che lasciare la parete opaca, appare del tutto casuale e a discrezione del progettista.
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/SEZIONE VERTICALE - dettaglio 0
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200cm
04.9 QUESTIONARIO
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Per rendere il più possibile concreto il lavoro di comprensione dell’edificio, è stato predisposto un questionario che ci ha aiutato a conoscere il pensiero dei condòmini sul vivere il Grattacielo e le sue aree di pertinenza. Il questionario, personale ma rigorosamente anonimo, era impostato per la maggior parte su domande a risposta multipla, con la possibilità di aggiungere annotazioni o qualsiasi altro pensiero che ci avrebbe aiutato a comprendere meglio la natura delle risposte. Le domande erano raggruppate per “aree tematiche”: la prima parte era relativa all’identificazione del soggetto (età e piano dell’appartamento), per comprendere un’eventuale relazione tra questi dati e le successive risposte al questionario; quindi si sono susseguite domande relative agli spazi pubblici (parco, giardino privato e parcheggi) e alle aree comuni dell’edificio (ingressi, terrazza, vano scale, ecc.); infine sono state poste alcune domande di carattere generale relativamente alla qualità della vita nell’edificio e di come la presenza/assenza di logge influenzi il benessere abitativo. Negli atri dell’edificio sono stati quindi posizionati due appositi contenitori per la raccolta dei questionari compilati; tali box sono stati ritirati, insieme ai questionari compilati, dopo 15 giorni dalla data di consegna degli stessi, avendo ritenuto trascorso un tempo sufficiente perché tutti gli abitanti potessero rispondere con tranquillità. Nonostante questo, solo un abitante su tre ha riconsegnato, correttamente compilato, il questionario; i risultati ottenuti sono comunque il frutto di una popolazione abbastanza varia per età, tempo vissuto nel Grattacielo e livello dell’appartamento, per cui è possibile prestare affidabilità ai dati raccolti. Nelle seguenti pagine sono raccolti, in via grafica, i risultati delle 17 domande poste agli abitanti del Grattacielo. Tali risultati saranno commentati successivamente, al termine del presente capitolo.
/QUESTIONARI Fotografia del contenitore posto agli ingressi dell’edificio per la raccolta dei questionari compilati; sotto le buste inserite nelle cassette della posta (una busta con quattro questionari per ogni appartamento).
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158
Per quanto concerne il giardino privato del Grattacielo, i condòmini si sono rivelati abbastanza uniformi nel riconoscere come punto di forza la presenza di un’area verde che, sebbene poco curata, offre uno spazio per sedersi e godersi un po’ di ombra, soprattutto nelle giornate di caldo. Questo nonostante la maggior parte abbia ammesso di frequentare il giardino molto raramente o quasi mai. Leggermente più utilizzato è invece il parco pubblico posto sul retro del Grattacielo: allo stesso modo del giardino privato, anche qui è molto apprezzata la presenza di sedute e, in particolare, di un’area attrezzata per il gioco dei bambini, mentre alcuni ammettono di frequentarlo poco a causa della scarsa pulizia. Più spinosa è, invece, la questione dei parcheggi: il questionario ha di fatto confermato le nostre supposizioni, ovvero il ridotto numero di posti auto a disposizione e la difficoltà di trovare parcheggio per gli abitanti non solo del Grattacielo, ma dell’intero quartiere, nonostante - come visto in precedenza - sia consentito il parcheggio su entrambi i lati della carreggiata di ogni via del quartiere. Nell’ottica di realizzare un progetto di riqualificazione urbanistica dell’area, questo sarà un fattore da tenere sicuramente in considerazione. Per quanto riguarda gli spazi comuni, l’elemento che maggiormente attrae l’attenzione è quello relativo alla terrazza all’ultimo piano: sorprende, infatti, che quasi i 3/4 degli intervistati non frequenti mai o quasi mai lo spazio aperto presente all’ultimo piano. Questo è legato al fatto che, ad oggi, il terrazzo è praticamente inutilizzato, oltre ad essere chiuso a chiave e non accessibile a tutti. Non deve dunque trarre in inganno la valutazione di 5.3 fornita dal questionario: essa è il frutto di una media tra le preferenze di quelli che hanno avuto accesso almeno una volta, ovvero la metà degli intervistati. Non è un caso, quindi, che nell’ultima sezione del questionario, lasciata libera a commenti e proposte, molti condòmini (ed in particolare i più giovani) abbiano espresso il desiderio di vedere maggiormente sfruttato quel grande potenziale che risiede in un punto così privilegiato. Parlando ancora delle parti comuni, una buona parte degli intervistati ha espresso parere positivo nei confronti degli ingressi (atri) dell’edificio, anche se molti sono concordi nell’affermare la difficoltà nella loro individuazione: i percorsi poco chiari del giardino, uniti ad un piano terra porticato privo di indicazioni, rendono complicato il percorso di avvicinamento all’edificio. Ulteriori considerazioni vanno fatte relativamente alla questione delle logge negli appartamenti. Sappiamo che la rimozione o chiusura delle logge originarie è stato uno degli interventi più frequentemente adottati dai condòmini nella ristrutturazione degli appartamenti. Scopo del questionario era cercare di capire effettivamente quanto era diffuso questo tipo di intervento, e
soprattutto a cosa era dovuto. Il questionario ha evidenziato come un appartamento su quattro abbia, oggi, perso tutte le logge presenti inizialmente, mentre altrettanti ne hanno rimossa almeno una. Tutti coloro che hanno ammesso di aver eliminato lo spazio aperto sono però concordi nell’affermare che tale soluzione era dovuta principalmente al bisogno di incrementare la superficie a disposizione all’interno dell’appartamento, in particolar modo quando la loggia si trovava in corrispondenza della cucina. Il questionario si concludeva, poi, con alcune domande di ordine generale, relative alla qualità complessiva del vivere nel Grattacielo. Con molta sorpresa, la maggior parte degli intervistati si è mostrata consapevole della particolarità che riveste l’edificio nel panorama architettonico bolognese: edificio più alto (secondo solo alla Torre degli Asinelli) al momento della costruzione, e tutt’ora l’edificio residenziale più alto della città. Nonostante questo, quasi la metà di coloro che hanno risposto al questionario hanno rivelato indifferenza e nessun motivo di orgoglio nell’abitare in un edificio così particolare. Anzi, proprio le grandi dimensioni, l’elevato numero di condomini e gli eccessivi costi di gestione (legati anche ad uno stato di degrado che persiste da molto tempo) sono tra le principali motivazioni che porterebbero, se ne capitasse l’occasione, ad un trasferimento presso un’abitazione più tradizionale. Altri invece vanno oltre questo tipo di ragionamenti, e riconoscono nella panoramicità e luminosità dell’abitazione le ragioni per non abbandonare il proprio appartamento. I risultati mostrati dal questionario si sono dunque rivelati fondamentali per una maggiore conoscenza dell’edificio e sono stati utilizzati per orientare in maniera più mirata la proposta progettuale che verrà descritta nei capitoli successivi.
159
/05 il progetto urbanistico
FERROVIA
Il progetto qui presentato prende in esame gli aspetti più rilevanti emersi durante la fase di analisi, sia quella storica che quella degli elementi del tessuto urbano. L’intento è quello di ricreare una situazione analoga a quella esistente al momento della realizzazione del quartiere: una zona ricca di verde e di spazi aperti, dove l’aspetto dell’incontro e della socializzazione costituivano gli elementi fondanti per la progettazione urbanistica dell’area; sensazioni che oggi non sono più percepibili a causa dell’elevato numero di auto che sostano lungo le strade del vicinato e che riducono i percorsi pedonali a stretti marciapiedi con poco respiro.
PERCORSI PEDONALI COMMERCIO CHIESA
PARCHEGGI
VERDE URBANO
SPAZI PUBBLICI
FRAMMENTAZIONE AUTOMOBILI
BARRIERE LANDMARK
161
/AREA PEDONALE
162 /PARCHEGGIO
/PARCO PUBBLICO
05.1 RICUCITURA URBANA La soluzione progettuale adottata individua come strumento di ricucitura urbana la trasformazione di un’ampia zona del quartiere in un’area pedonale condivisa (woonerf), dove le gerarchie stradali vengono invertite e il pedone e il ciclista prevalgono sull’automobile. In questo modo anche lo spazio occupato dai veicoli può diventare più piacevole e a misura d’uomo. Il woonerf sarà contraddistinto da una diversa colorazione della pavimentazione e un diverso livello (sopraelevato), in modo che anche il guidatore più distratto si renda conto della trasformazione delle condizioni di guida; inoltre, sempre attraverso l’uso dei colori e dei dislivelli, verranno maggiormente differenziate le aree destinate alla sosta, quelle al transito dei veicoli e quelle esclusivamente pedonali. Attraverso questo nuovo spazio si cercherà anche di dare maggiore risalto alle poche strutture commerciali rimaste nell’area, avvicinando i percorsi pedonali ai due portici lungo via Levanti e via del Verrocchio. Il problema dei parcheggi, emerso anche dal questionario compilato dagli abitanti del Grattacielo, viene risolto con la realizzazione di un parcheggio interrato su due livelli lungo via Luca della Robbia: il primo livello è destinato a parcheggi pubblici, mentre nel secondo livello sono realizzati box auto privati. Anche il parcheggio privato a servizio del Grattacielo viene leggermente rivisto e ampliato per soddisfare nel modo migliore i bisogni degli abitanti. L’intervento progettuale proposto è quindi completato dalle aree verdi, sfruttate come ulteriore elemento di coesione e ricucitura. L’intento è infatti quello di restituire lo spazio aperto alla comunità, e per farlo si è cercato di creare spazi più accoglienti e fruibili, attraverso anche una modifica dell’orografia del terreno che permette di dare maggiore risalto al parcheggio interrato e, soprattutto, all’intervento sul Grattacielo, il quale diventerà vera e propria “bandiera” e simbolo di questo nuovo intervento.
163
via Giambologna
E
via S.Rita
164
D G via Luca della Robbia
via Andrea del Verrocchio
E
0.00 anti
.Lev
F
A - Grattacielo B - nuovo parco pubblico C - ingresso parcheggio interrato D - uscita parcheggio interrato E - riorganizzazione parcheggi via Levanti F - nuovo parcheggio Grattacielo G - area pedonale condivisa (woonerf)
-2.00
via B.Cellini
A via
A
B 165
-4.00 -2.00
C via Luca della Robbia
0.00
0
5
10
20
30m
0
5
10
20
30m
/WOONERF Tradotto letteralmente come “area condivisa”, la struttura del woonerf è oggi sempre più utilizzata negli interventi di riqualificazione urbana delle aree residenziali. In una situazione di crescente diffusione dell’automobile, il pedone sta via via perdendo importanza all’interno di queste aree, e lo spazio aperto viene ostruito dai mezzi di trasporto, eliminando la possibilità di utilizzare tali luoghi per l’incontro e la condivisione. Attraverso la realizzazione di un’area a gerarchie invertite, il pedone ritrova una certa sicurezza nel percorrere il quartiere, consapevole della presenza di certi accorgimenti (dossi rallentatori, pavimentazione differente) volti a contenere la velocità delle automobili in transito. Il woonerf nasce quindi come risposta ad una necessaria convivenza tra lo spazio della strada e quello del marciapiede. La colorazione della pavimentazione, oltre a riprendere le tonalità della natura, vuole un certo modo trasmettere quella sensazione di “fasciatura” e ricucitura, come se quelle vie centrali del quartiere diventassero punto focale degli spostamenti e dell’incontro della gente del quartiere. Tale fasciatura è poi interrotta, quasi bruscamente, dagli ingressi al parcheggio interrato, che attraverso tre “schegge” di vetro cerca di emergere in superficie, rivelando la sua presenza al di sotto del percorso pedonale.
169
/PARCHEGGI L’intervento prevede la realizzazione di un parcheggio interrato su due livelli, il primo ospitante n.78 posti auto pubblici e il secondo n.28 box auto privati. Viene inoltre rivisto il sistema dei parcheggi in superficie, dimostrando come, attraverso una maggiore regolarizzazione e il disegno a terra degli stessi, sia possibile, in alcune situazioni, incrementare il numero di posti auto disponibili nelle vie esistenti.
capacitĂ attuale
capacitĂ di progetto
differenza
171
via B.Cellini
35
43
+8
via A.Levanti
54
55
+1
via Giambologna
27
22
-5
via A. del Verrocchio
35
32
-3
via L. della Robbia
58
26
-32
-
106
+106
209
178
-31
-
106
+106
parcheggio interrato parcheggi in superficie parcheggi interrati saldo complessivo
+75
/PERCORSI PEDONALI
I percorsi pedonali sono studiati per permettere la massima percorribilità del quartiere, ed il raggiungimento dei principali punti di interesse.
172
/STRADE E PARCHEGGI
La viabilità all’interno dell’area mantiene la sua configurazione originale per quanto riguarda i sensi di marcia; l’introduzione del woonerf coinciderà con la realizzazione di dossi rallentatori che inviteranno i veicoli al rispetto dei limiti di velocità e dei criteri di precedenza.
05.2 IL NUOVO PARCHEGGIO Con l’intento di allontanare la sosta delle auto dai percorsi pedonali, si è deciso di realizzare un parcheggio interrato lungo via Luca della Robbia, la quale meglio risponde ai criteri di accessibilità e spazio necessari alla realizzazione di un intervento del genere. Il parcheggio è progettato ad un unico senso di percorrenza, con un solo ingresso (via Cellini) e una sola uscita (via S.Rita), in modo da ottimizzare il ridotto spazio a disposizione. Il primo piano interrato ospita parcheggi pubblici, che eventualmente potrebbero essere messi a pagamento per garantire un profitto per la realizzazione e gestione del parcheggio stesso; al secondo piano interrato, invece, trovano posto 28 box / garage, di cui si prevede la vendita a privati. Tale suddivisione è stata pensata in modo tale che, una volta entrati nel parcheggio, si possa subito raggiungere la propria destinazione (posto libero o box auto), senza dover uscire e rientrare nel parcheggio, manovra che comporterebbe il passaggio dalla trafficata via Massarenti. All’interno del parcheggio vengono individuati in maniera chiara i percorsi pedonali, in modo da garantire la massima sicurezza anche in presenza di mezzi in movimento; tali percorsi conducono alle quattro uscite pedonali: tre in direzione della superficie attraverso altrettanti vani scale, e uno direttamente verso il parco, la cui orografia viene modificata proprio per conferire una maggiore sinergia con questo nuovo tipo di intervento. Inoltre, per garantire qualità allo spazio interrato e sfavorire l’insorgere di problemi di sicurezza, grande attenzione viene data alla luce, che penetra nel parcheggio attraverso gli accessi carrabili e pedonali. Peculiarità architettonica del parcheggio sono proprio gli accessi pedonali, che, sotto forma di schegge di vetro, irrompono nel percorso pedonale sovrastante rivelando la presenza del parcheggio stesso.
173
/PIANO TERRA 0.00
/PRIMO PIANO INTERRATO -4.00
/SECONDO PIANO INTERRATO -7.20
-2.00
0
5
20m
/SEZIONE LONGITUDINALE
176
177
0
5
20m
/ALTIMETRIA
178
- 7.20m
- 6.20m
0.00m
- 2.00m
- 3.00m
179
- 4.00m - 2.00m
0
5
20m
180
/ACCESSI E PERCORSI percorsi pedonali percorsi carrabili
181
/06 il progetto architettonico
L’intento progettuale è quello di realizzare una proposta di ridisegno e di aggiornamento dell’immagine del Grattacielo, valorizzando le grandi potenzialità architettoniche dell’edificio come landmark per l’intero territorio. Allo stesso tempo, però, bisognerà saper coniugare tale obiettivo con le attuali carenze ed esigenze dell’edificio, emerse durante la precedente fase di analisi.
06.1 STRATEGIE PROGETTUALI L’attività progettuale si fonda su tre punti principali. Per prima cosa si propone la rimozione delle pensiline e dei volumi di ingresso, addizioni posteriori alla costruzione dell’edificio che intaccano la pulizia della linea verticale dello stesso, ripristinando così non tanto la conformazione originaria, quanto piuttosto quell’ideale di spazio permeabile posto alla base del Grattacielo. Quindi, affrontando il tema del comfort abitativo e dell’accessibilità, si realizza un’aggiunta di facciata tramite un esoscheletro d’acciaio, il quale permetterà di addizionare balconi alle unità esistenti, garantendo quindi uno spazio aperto e verde ad ogni appartamento, senza costringere gli abitanti a dover raggiungere le aree verdi presenti nel quartiere; inoltre, grazie alla nuova struttura esterna, si potranno realizzare nuovi ascensori con approdo in corrispondenza di ogni piano, garantendo quindi la perfetta accessibilità ad ogni appartamento. L’ultimo punto riguarda la sommità del Grattacielo, in corrispondenza della quale si prevede la realizzazione di un belvedere accessibile al pubblico, nonché l’inserimento di dispositivi (Tuned Liquid Damper) volti a contrastare le oscillazioni prodotte dal vento, fonte di forte disagio per gli abitanti.
187
188
/ASSENZA DI BALCONI Nel tempo molti abitanti si sono privati dell’unico spazio aperto a disposizione nel proprio appartamento, rendendo così necessario il raggiungimento del giardino per poter godere dei benefici di uno spazio aperto.
/DISCOMFORT La struttura portante dell’edificio non presenta evidenti carenze in termini di stabilità e carichi verticali, ma appare chiaro come la conformazione del Grattacielo non sia adatta a rispondere correttamente alle sollecitazioni orizzontali (sisma e vento), le quali generano oscillazioni nell’intero edificio e provocano condizioni di discomfort per gli abitanti.
/VISTA PANORAMICA L’ultimo piano dell’edificio offre una vista panoramica unica per l’intera città e per tale motivo deve essere valorizzata al meglio.
/DIAGRAMMI CONCETTUALI
189
/PERMEABILITÀ Con la rimozione delle pensiline e delle addizioni successive alla costruzione del Grattacielo si vuole ripristinare la configurazione originaria, che garantisce la massima permeabilità del piano terra al verde e allo spazio pubblico.
/ESOSCHELETRO L’obiettivo principale è quello di restituire/fornire alle unità immobiliari uno spazio verde a stretto contatto con l’abitazione, migliorando così la vivibilità della stessa, e garantire una completa accessibilità grazie ai nuovi ascensori. In sommità, poi, si sfrutteranno le proprietà dei Tuned Liquid Damper per attenuare le oscillazioni prodotte dall’azione orizzontale del vento.
/SKYBAR E BELVEDERE La cima dell’edificio diventerà punto centrale di questo progetto di aggiornamento: due volumi sospesi garantiranno un punto di vista esclusivo sulla città e sulla campagna circostante, mentre una terrazza-giardino andrà a sostituire la vecchia ed inutilizzata terrazza preesistente.
SKYLOUNGE E BELVEDERE
ESOSCHELETRO
TERRAZZE
190
NUOVI ASCENSORI
PERMEABILITÀ PIANO TERRA
PARCO PUBBLICO
191
/PROSPETTO SUD
192
+85.00
193
+85.00
194
/PROSPETTO EST
195
+85.00
196
/PROSPETTO NORD
197
/PROSPETTO OVEST
198
+85.00
199
06.2 PIANO TERRA Come descritto in precedenza, l’obiettivo progettuale principale per il piano terra è quello di ripristinare quell’idea di spazio pubblico che penetra nel basamento del Grattacielo, rendendo il piano terra stesso giardino e luogo di scambio e di incontro, accentuando così ancora una volta quegli ideali fondanti dei quartieri INA Casa. Il piano terra viene dunque liberato da quelle addizioni che l’avevano caratterizzato nelle prime fasi della costruzione del Grattacielo, portando il giardino fino agli ingressi dell’edificio. Lo stesso esoscheletro si assottiglia in corrispondenza dell’attacco a terra, riducendosi ad un appoggio puntuale e poco impattante. Contestualmente, si è reso necessario intervenire per distinguere in maniera più o meno netta lo spazio effettivamente pubblico da quello più privato: non dobbiamo infatti dimenticare che si tratta di un edificio residenziale, i cui abitanti richiedono privacy e soprattutto sicurezza negli accessi. Attraverso un’accurata progettazione della pavimentazione e dei percorsi, quindi, si individuano spazi di percorrenza pubblici e spazi più privati, i quali conducono ai due atri dell’edificio. Maggiore risalto viene inoltre dato ai due ascensori che conducono al belvedere all’ultimo piano.
200
percorsi abitanti percorsi pubblici ascensore belvedere parcheggio privato
giardino privato
parco e parcheggio pubblico
SCALE
201
ASCENSORI ULTIMO PIANO
ASCENSORI APPARTAMENTI
/PIANTA PIANO TERRA
0
1
5m
/PIANTA PIANO TERRA
0
1
5m
06.3 ESOSCHELETRO E BALCONI La struttura di facciata, realizzata con profili d’acciaio, è progettata per far risaltare le linee verticali e la snellezza dell’edificio esistente, attraverso un gioco di ombre a cui contribuiscono i singoli elementi del reticolo. Arretrati rispetto al profilo esterno si trovano i balconi dei singoli appartamenti, dotati di fioriera per la realizzazione di un piccolo spazio verde che, nel complesso, renderà la facciata come un vero e proprio giardino verticale, sottolineando ancora una volta la completa fusione tra l’edificio ed il contesto. Il reticolo trae origine dalla geometria della facciata esistente, rispettandone le cadenze e gli interassi; la disposizione dei balconi, seppur governata da precisi criteri, conferisce ancora un ritmo casuale all’intero edificio.
210
1
2
3
4
/ESOSCHELETRO - sezione verticale
9
5
6
7
8
9
1. montanti verticali rivestiti con lamiera opportunamente sagomata 2. diagonale 3. giunto di collegamento in gomma tra elementi di rivestimento 4. travi a sezione ellittica h.250mm 5. struttura secondaria di sostegno dei balconi 6. fioriera h.110cm 7. balcone in lamiera piegata sp.10mm 8. pacchetto di balcone comprendente pavimentazione flottante, intercapedine per raccolta acqua piovana e sistema di irrigazione automatico, membrana impermeabilizzante, massetto di pendenza 9. collegamento bullonato e flangiato tra travi e montanti verticali 10. giunto colonna - setto esistente con smorzatore visco-elastico
0
40
80
120
160cm
10
/PIANTA PIANO TIPO
212
213
0
1
5m
/ANALISI DEGLI OMBREGGIAMENTI N 10 20 30 40 50 60 70 80
21 Jun 19
5 6
18 17
21 Apr-Aug
7 16
W
21 May-Jul
15
14 13
12
11 10
9
21 Mar-Sep E
8
21 Feb-Oct 21 Jan-Nov 21 Dec
S
goniometro di ombreggiamento
diagramma solare loc. Bologna (44˚ N 11˚ E)
Caso A
Caso B
Caso C
α = 47˚
α = 40˚
α = 40˚ / 47˚
363
473
418
β α = 40˚
β α = 40˚
β α = 47˚
β α = 47˚
Caso A
Caso B
α = 47˚ β = 38˚
α = 40˚ β = 38˚
Per il calcolo dell’ombreggiamento prodotto dai nuovi balconi è possibile costruire una maschera che rappresenti le quantità di irraggiamento e ombreggiamento in qualsiasi momento nel corso dell’anno. Tale maschera di ombreggiamento viene costruita considerando la geometria del problema, ed in particolare i due angoli alfa e beta, misurati sul piano della superficie vetrata (alfa) e su quello ortogonale (beta). A questo punto si sovrappone la maschera ottenuta con il diagramma solare della località (Bologna), in modo da verificare in quali periodi dell’anno la schermatura prodotta dal balcone impedisce la radiazione diretta del sole nelle superfici vetrate immediatamente sottostanti. Si osservi che, nello studio del problema, si è cominciato analizzando tutte le casistiche possibili, per poi proseguire considerando solamente le situazioni con maggiore ombreggiamento, per ottenere infine la situazione più sfortunata che si potrebbe verificare. Inoltre va detto che l’analisi effettuata ha preso in considerazione il solo prospetto est, sapendo che, data la simmetria dell’edificio rispetto al nord, si avranno risultati analoghi per il prospetto ovest.
230
Caso B N
α = 40˚ β = 38˚
21 Jun 19
5 6
18 17 W
7 16
15
14 13
12
11 10
9
8
21 May-Jul 21 Apr-Aug 21 Mar-Sep E 21 Feb-Oct 21 Jan-Nov 21 Dec
S
Il risultato mostra un ombreggiamento totale dell’apertura vetrata in primavera e in estate, a partire già dalle prime ore del mattino (ore 9.0010.00 circa), mentre negli altri mesi dell’anno (da settembre a febbraio) il sole si mantiene più basso all’orizzonte e non subisce alcuna ostruzione dall’aggetto. Il risultato è dunque parzialmente soddisfacente, se si considera che si è analizzata la peggior situazione possibile e che, comunque, l’appartamento sottostante potrà trarre vantaggio dall’ombreggiamento nei mesi più caldi dell’anno.
β β = 38˚
216
/DETAIL
217
/PIXELS Come analizzato nei precedenti capitoli, l’organizzazione attuale dei prospetti è il frutto di un processo di randomizzazione che porta ad un prodotto estremamente vario e, ipoteticamente, ripetibile all’infinito. Per garantire il miglior compromesso tra distinguibilità del nuovo intervento ed integrazione con la preesistenza, si è deciso di disporre i balconi in facciata in modo da mantenere quell’effetto di “pixelizzazione” già presente; la nuova organizzazione, però, anche se apparamentemente casuale, segue criteri ben precisi legati alle scelte progettuali adottate.
218
/BALCONI E TERRAZZE
/criteri e scelte progettuali adottate /LOGGE mai balcone in corrispondenza di una loggia esistente /PRIVACY evitare l’accostamento di due balconi /VERDE almeno uno spazio vuoto al di sopra di ogni balcone /EQUITÀ almeno un balcone per unità immobiliare /UTILITÀ privilegiare le zone giorno (cucina e soggiorno) /OMBREGGIAMENTO mai balcone sopra alle logge esistenti
PROSPETTO EST
PROSPETTO OVEST
219
balconi logge esistenti zona giorno vani ascensore
06.4 BELVEDERE E SKYGARDEN
222
L’ultimo piano del Grattacielo viene profondamente rivisto rispetto al suo stato attuale. L’esoscheletro esterno ci permette di realizzare due nuove volumetrie sospese e appese alla struttura mediante cavi d’acciaio; gli ambienti che si vengono a creare, un bar panoramico e un locale a destinazione multipla, godono di una vista privilegiata sulla città e sono accessibili attraverso due ascensori dedicati. Questi spazi sono pensati come pubblici e aperti a tutti, e quindi non riservati alla comunità dei condomini. Al di sotto dei volumi sospesi si apre una terrazza-giardino, realizzata in corrispondenza della vecchia copertura dell’edificio. Anche in questo caso si tratta di uno spazio pubblico, accessibile attraverso una discesa posta tra i due volumi sopracitati. La scelta della doppia calotta di vetro per il bar e il belvedere garantisce la massima panoramicità e aumenta la sensazione di sospensione sulla città; allo stesso tempo, schermature orizzontali e verticali mobili, insieme all’intercapedine ventilata, contribuiscono ad evitare il surriscaldamento di tali ambienti dovuto al forte irraggiamento solare. Si prevede infine di inserire, all’interno dei due locali superiori, dispositivi volti al controllo e all’attenuazione delle oscillazioni prodotte dall’azione del vento, che tanto disagio creano agli abitanti dell’interno edificio. Tali dispositivi (chiamati Tuned Liquid Damper) consistono in due grandi cisterne d’acqua, integrate nell’arredo dei locali, che grazie all’oscillazione prodotta dal liquido stesso riescono ad opporsi agli spostamenti generati dalle azioni orizzontali esterne. Questo sistema si dimostra particolarmente efficiente in presenza di azioni di tipo periodico proprio come il vento, mentre non garantisce i medesimi benefici nei confronti dell’azione sismica. Il funzionamento dei TLD e di altri dispositivi di smorzamento è descritto in maniera più approfondita in appendice a questa tesi, sottolineando però come questo tipo di soluzione viene qui adottata in via del tutto teorica, senza particolari approfondimenti di tipo ingegneristico.
/SKYGARDEN
224
225
0
1
5m
/SKYLOUNGE E BELVEDERE
226
227
0
1
5m
/BELVEDERE
/EXPOSITION
/MULTIPURPOSE SPACE
/TLD UNITS
/SKYLOUNGE
228
/EXHIBITION
/PARTY
/SKYGARDEN
229
/SEZIONE
+85.00
+77.90
+72.15
/SKYLOUNGE - dettaglio 1. montanti verticali rivestiti con lamiera sagomata 2. giunto di collegamento in gomma tra elementi di rivestimento 3. rivestimento terminale capriata 4. capriata 5. vetrata esterna 6. infisso di sostegno vetrata esterna 7. intercapedine ventilata 8. sistema di ombreggiamento orizzontale a lamelle mobili 9. sistema di ombreggiamento verticale in tessuto avvolgibile 10. trefoli in acciaio per sostegno solaio in sospensione 11. vetrata interna apribile 12. vetrata interna 13. struttura secondaria di sostegno della calotta vetrata interna 14. sistema di condizionamento dell’aria 15. pavimento flottante su piedini regolabili in altezza h. 160mm 16. tessuto protettivo 17. pannello per isolamento termico sp.60mm 18. elemento di collegamento laterale 19. collegamento trave - funi di sostegno 20. getto collaborante in calcestruzzo con rete elettrosaldata 21. lamiera grecata h.60mm 22. struttura secondaria IPE360 23. struttura principale IPE450 24. controsoffitto da esterni
230
0.00 0
2
10m
3
4
5
6
7
8
1
5
6
2
11
9
10 12
13
14
15
16
17 +77.90
18 0
30
60
90cm
19
20
21
22
23
24
240
appendice TUNED MASS DAMPERS (TMD) Sono diversi i sistemi utilizzati nel campo delle costruzioni per contrastare l’azione sismica e del vento e ridurre le oscillazioni prodotte sull’edificio, in particolare quando si tratta di edifici di altezza considerevole (> 45m), dove tali effetti sono amplificati fino a creare uno stato di discomfort per gli abitanti dei piani più alti. Tali sistemi possono concretizzarsi in strutture particolarmente rigide (outrigger, belt bandage system o diagrid), che permettono di scaricare l’azione orizzontale verso il suolo senza eccessive deformazioni, oppure in soluzioni architettoniche ad hoc, come forme areodinamiche per ridurre l’impatto del vento sull’edificio. Molto spesso, però, queste soluzioni intrinseche non sono sufficienti a contenere le oscillazioni entro i limiti imposti; in queste situazioni si può dotare l’edificio di dispositivi di smorzamento ausiliario (passivi, semi-attivi ed attivi), che hanno anche il pregio di poter essere utilizzati non solo su edifici di nuova costruzione, ma anche per intervenire su edifici esistenti. Gli smorzatori passivi sono molto utilizzati per la loro semplicità ed abilità nel ridurre le oscillazioni degli edifici alti modificando direttamente la frequenza di oscillazione del sistema. Uno dei sistemi più diffusi è quello dei Tuned Mass Damper (TMD), o smorzatori a massa accordata. Questi consistono in una massa, generalmente posta in sommità all’edificio, libera di muoversi perché sospesa oppure posta su rotaie o carrelli, e collegata all’edificio tramite un meccanismo dissipatore (molle o ammortizzatori). Quando l’edificio viene sollecitato da un’azione orizzontale, questo comincerà ad oscillare secondo una certa frequenza che dipende dalla massa dell’edificio, dalla sua configurazione e dall’intensità dell’azione orizzontale. Per contro, il TMD, essendo libero di muoversi, comincerà anch’esso ad oscillare, ma con frequenza e periodo differente; tale oscillazione andrà in contrasto con quella dell’edificio, fino ad attenuare quest’ultima ed ottenere così i risultati attesi. In questa situazione, le variabili che andranno valutate con attenzione sono la massa del TMD (nell’ordine del 0,25%-1,0% della massa modale dell’edificio), la rigidezza dei dissipatori e il periodo di oscillazione (lunghezza del pendolo in caso di masse sospese).
241
m2
c2
k2
m1
c1
242
k1
F0
/PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO Il sistema può essere schematizzato con due masse: m1 schematizza la massa dell’oggetto su cui si vuole ottenere l’effetto ammortizzante, mentre m2 rappresenta lo smorzatore (mass damper) ed è collegata ad m1 con un sistema sospensivo di molle e ammortizzatori. Le sollecitazioni provenienti dal basamento si trasmettono alla massa m1 inducendo una vibrazione. Il movimento indotto su m1 si trasmette anche al mass damper. È possibile dimostrare che esiste una frequenza della sollecitazione F0 per la quale le vibrazioni su m1 sono fortemente attenuate. Ciò accade perché la massa m2 trasmette ad m1 una forza uguale ed opposta a quella trasmessa dalle vibrazioni provenienti dal basamento.
/TAIPEI 101 Taipei, Taiwan (2004). Con i suoi 508 metri di altezza, il Taipei 101 è il quinto grattacielo più alto del mondo. Per contrastare l’azione del vento e del sisma, oltre ad un sistema costruttivo outrigger che prevede un collegamento tra il nucleo centrale in calcestruzzo e gli elementi più esterni, tra l’87esimo e il 92esimo piano viene realizzata una sfera di metallo composta da 41 dischi, un diametro di 5,5m e un peso complessivo di 660 tonnellate, sospesa attraverso quattro funi. Il collegamento con l’edificio è quindi completato da 8 dissipatori viscosi posti alla base della sfera. https://www.flickr.com/photos/rinux/2885419140 http://www.taipei-101.com.tw/en/observatory-damper.aspx
244
/432 PARK AVENUE New York, USA (2015). Il grattacielo ha un’altezza di 426 metri e una base quadrata di soli 23 metri di lato, che lo rendono l’edificio più snello al mondo. Per contrastare le inevitabili oscillazioni prodotte dal vento è stato realizzato un TMD di 800 tonnellate in prossimità della cima dell’edificio. www.seismicdamper.com/applications www.nytimes.com/Reducing-Skyscraper-Sway
TUNED MASS DAMPER
HANGING CABLES
/HOW IT WORKS Il TMD ha due pesi, costituiti da piastre di acciaio. Uno è appeso al soffitto attraverso una serie di cavi, mentre l’altro è appoggiato al solaio sottostante. Connesso alle pareti dell’edificio tramite un sistema di pistoni e molle, lo smorzatore agisce come un enorme ammortizzatore, portando l’edificio all’equilibrio in presenza di forti venti.
SECONDARY WEIGHT
PRIMARY WEIGHT
PISTONS
Sistema a riposo 245
Appena il vento spinge la torre...
...i pesi si spostano in direzione contraria bilanciando l’oscillazione.
TUNED LIQUID DAMPERS (TLD)
246
I dispositivi TLD (tuned liquid dampers) hanno lo stesso funzionamento dei dispositivi TMD ed utilizzano grandi masse d’acqua come elemento smorzante. La differenza consiste nel fatto che, mentre per gli smorzatori a massa accordata si devono inserire dispositivi dissipativi per il controllo delle vibrazioni, nei TLD il liquido funge sia da massa che da smorzatore. Chiamati anche TSD (tuned sloshing damper), questi dispositivi sono estremamente pratici e consistono in cisterne d’acqua poste in prossimità della cima dell’edificio; l’acqua all’interno delle cisterne funge da massa oscillante che dissipa energia attraverso la sua azione viscosa e l’infrangersi delle onde indotte dal moto (TSD ad acqua bassa); se l’altezza della vasca è maggiore (TSD ad acqua profonda), si utilizzano solitamente diaframmi o schermi all’interno del serbatoio per aumentare la dissipazione del liquido in agitazione. La regolazione della frequenza di oscillazioni si esegue semplicemente variando il diametro del contenitore e l’altezza dell’acqua all’interno del serbatoio. I vantaggi nell’utilizzo di questi sistemi rispetto ai TMD sono molteplici: bassi costi di realizzazione e manutenzione, nessuna parte in movimento, rottura del sistema virtualmente impossibile, periodo di oscillazione facilmente modificabile, efficacia nel contrastare il movimento indotto dal sisma e dal vento e, infine, la possibilità di un utilizzo temporaneo e di una installazione su edifici esistenti. Un’evoluzione del sistema TLD è il TLCD (tuned liquid column damper), il quale consiste in un serbatoio a forma di U, all’interno del quale oscilla il liquido; il maggiore vantaggio è la possibilità di regolare la frequenza di oscillazione modificando la pressione dell’aria all’interno della camera oppure regolando l’apertura dei diaframmi per controllare la quantità d’acqua in movimento.
TLD
m1
c1
k1
F0
TUNED LIQUID DAMPER diaframmi
cisterna / vasca
spinta del liquido
movimento dell’edificio
TUNED LIQUID COLUMN DAMPER
serbatoio a forma di U
diaframmi movimento dell’edificio
247
/ONE RINCON HILL San Francisco, USA (2008). La South Tower, completata nel 2008, ha un’altezza di 195 metri e ospita sulla sua sommità quattro cisterne d’acqua per un totale di 190.000 litri (circa 185 tonnellate), progettate proprio per contenere le oscillazioni prodotte dai forti venti che colpiscono la città. Tale sistema è però solo di supporto: l’edificio è infatti realizzato con un sistema costruttivo outrigger che ne garantisce la sicurezza statica anche in presenza di un sisma. www.sfgate.com
248
/ONE MADISON New York, USA (2013). Edificio residenziale di lusso, raggiunge i 190 metri di altezza; sul tetto è presente un TLCD sotto forma di tre cisterne a forma di U in c.c.a. Tale sistema permette di contenere le oscillazioni laterali del 3% circa. www.archpaper.com
2m
22cm
249
/SHIN YOKOHAMA PRINCE HOTEL Yokohama, Giappone (1992). I primi edifici ad utilizzare i sistemi TLD furono alcuni grattacieli giapponesi, tra cui lo Shin Prince Hotel di Yokohama (150 metri), completato nel 1992. Il sistema di smorzamento utilizzato in questo edificio, così come in molti altri in Giappone, è leggermente differente, perché sfrutta l’azione viscosa dell’acqua contenuta in recipienti bassi, impilati poi l’uno sull’altro e distribuiti su tutto il piano a loro dedicato: per questo motivo tale sistema è anche chiamato Distributed Tuned Sloshing Damper. Nello Shin Prince Hotel sono stati realizzati 30 smorzatori, disposti in cerchio all’ultimo piano livello dell’edificio, ciascuno dei quali è composto da nove cilindri sovrapposti, ciascuno alto 22cm e con un diametro di 2 metri. www.japantraveleronline.com Marc A.Steyer, Multifunctionality of Distributed Sloshing Dampers in Buildings, Princeton University, 2000
CONCLUSIONI L’efficacia di questi dispositivi per il controllo delle oscillazioni negli edifici alti è ormai comprovata da numerosi studi e ricerche. La tabella sottostante riassume le caratteristiche dei sistemi di smorzamento, prendendo in considerazione la loro efficacia sotto diverse tipologie di carico ed altre proprietà legate alla manutenzione, ai costi e alla realizzazione. Nella pagina accanto, invece, sono riportati alcuni esempi di edifici che utilizzano un sistema di Distributed Tuned Sloshing Damper; tali casi studio sono stati presi in esame per valutare, in maniera approssimata e qualitativa, la fattibilità di un eventuale TLD posto in cima al Grattacielo.
TUNED SLOSHING DAMPER
TUNED MASS DAMPER
VISCOUS DAMPER
Periodic Load
Very effective
Very effective
Very effective
Non-Periodic Load
Not very effective
Not very effective
Very effective
Space requirement
Large, but distributed vessels can drastically reduce impact
Very large
Minimal
Retrofit ability
Easy
Difficult
Difficult
Accessibility for maintenance
Easy
Easy
Difficult if framing is hidden
Manufacturing
Very inexpensive, tanks and water
Very expensive
Relatively inexpensive
Installation
Very easy, can be done without machinery. Some support structure may be necessary
Local strengthening needed to support large forces, complicated installation
Relatively easy installation, akin to setting framing members
Mechanical components
Some piping might be required
Complicated assortment of bearings, actuators, guide ways, springs and dampers
Solamente gli smorzatori stessi
Electrical components
None
Computer control system
None
Very limited. Cleaning tanks and changing water
Control system/ components need maintenance. Power supply, cooling water and oil supply are needed
Manufaturer claims no maintenance during service life
Load type
Criteria
250
Cost
Maintenance and operation costs
Tabella tratta da: Marc A.Steyer, Multifunctionality of Distributed Sloshing Dampers in Buildings, Princeton University, 2000.
Nagasaki Yokohama Airport Tower Marine Tower
Shin Yokohama Prince Hotel
Tokyo Haneda Tokyo Narita Airport Tower Airport Tower
Tokyo Dome Hotel
Properties Height
42.0 m
101.3 m
149.4 m
77.6 m
87.3 m
155.0 m
Total mass of building above ground (MS)
0.17x106 kg
0.54x106 kg
26.40x106 kg
3.24x106 kg
4.14x106 kg
n/a
Installation date
1987
1987
1992
1993
1993
2000
Diameter of damper vessels
0.38 m
0.49 m
2.00 m
0.60 m
n/a
2.20 m
Height of damper vessels
0.50 m
0.50 m
2.01 m
0.125 m
n/a
3.50 m 4.50 m
Number of vessels
25
39
30
1404
~1100
22 4
Number of layers per vessels
7
10
9
1
1
20 13
Water depth in each layer
0.048 m
0.021 m
0.120 m
0.053 m
n/a
n/a
Total mass of TLD (MD)
0.95x103 kg
1.54x103 kg
101.7x103 kg
22.7x103 kg
27.0x103 kg
~136x103 kg
Mass ratio (MD / MS)
0.56%
0.29%
0.39%
0.70%
n/a
n/a
TSD
Tabella tratta da: Marc A.Steyer, Multifunctionality of Distributed Sloshing Dampers in Buildings, Princeton University, 2000.
~100.000 lt
~1.500 lt
Yokohama Marine Tower
Shin Yokohama Prince Hotel
~22.000 lt
~20.000 lt
Tokyo Haneda Airport Tower
Grattacielo La Meridiana Bologna
251
252
bibliografia /LIBRI _AGNOLETTO M., TRENTIN A. (a cura di), “Il progetto dell’edificio alto”, Bologna, CLUEB, 2008. _BERNABEI G., GRESLERI G., ZAGNONI S., “Bologna moderna 1860-1980”, Bologna, Patron, 1984. _BORTOLOTTI L., “Il suburbio di Bologna. Il comune di Bologna fuori le mura nella storia e nell’arte”, Bologna, La Grafica Emiliana, 1972. _CARFAGNA D., “L’architettura tra le case: abitare lo spazio aperto nei quartieri INA-Casa”, Firenze, Alinea, 2012. _CASCIATO M., ORLANDI P. (a cura di), “Quale e quanta. Architettura in Emilia-Romagna nel secondo Novecento”, Bologna, CLUEB, 2005. _DI BIAGI P. (a cura di), “La grande ricostruzione. Il piano INA-Casa e l’Italia degli anni Cinquanta”, Roma, Donzelli Editore, 2001. _DI GIORGIO G., “L’alloggio ai tempi dell’edilizia sociale. Dall’INA-Casa ai PEEP”, Roma, Edilstampa, 2011. _EROSCIUCHI V., “Il grattacielo in cemento armato”, Genova, Edizioni Vitali e Ghianda, 1954. _PORETTI S., “Dal piano al patrimonio INA Casa”, in CAPOMOLLA R., VITTORINI R. (a cura di), “L’architettura INA casa (1949-1963). Aspetti e problemi di conservazione e recupero”, Roma, Gangemi Editore, 2003. _TRENTIN A. (a cura di), “Edifici alti in Emilia-Romagna”, Bologna, CLUEB, 2006.
/PERIODICI _VACCARO G., “Una casa e una clinica a Bologna”, in “Architettura: cronache e storia”, febbraio 1961. _VACCARO G., “Quartiere INA Casa di via S.Vitale”, in “Ingegneri Architetti Costruttori”, marzo 1957. _CAVANI G., “Case di abitazione di tipo economico: 2) Case di tre-quattro piani”, in “Ingegneri Architetti Costruttori”, settembre 1960.
/ARCHIVI _Archivio Edilizio Comune di Bologna. _Archivio Ordine degli Architetti di Bologna, Fondo Cavani.
/CREDITS Tutte le immagini, disegni, schemi e fotografie delle quali non è espressamente indicata la fonte o la provenienza, sono da intendersi un prodotto dell’autore.
253
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ringraziamenti
Voglio innanzitutto ringraziare Luigi per avermi supportato (e sopportato) in questo lungo “viaggio”, spingendomi a tirare fuori il meglio di me. Un sentito ringraziamento anche all’ing. Guido Cavani, senza il quale questa tesi non esisterebbe, e all’arch. Daniele Vincenzi, per la grande disponibilità dimostrata e l’aiuto fornitomi durante la ricerca archivistica. Grazie a Maria Chiara, che mi ha affiancato ogni giorno, in special modo nei momenti di sconforto, dandomi la forza di ottenere risultati che in certi momenti temevo di non raggiungere. Ringrazio la mia famiglia, per essermi sempre stata vicina e per aver sempre creduto nelle mie capacità, permettendomi di arrivare nel migliore dei modi alla fine di questo percorso. Ringrazio tutti i miei amici di Villa, Sangio e dintorni, che tramite una parola o un pensiero mi hanno sempre dimostrato il loro supporto. Infine un grandissimo grazie ai ragazzi di Lella Propaganda (!): Albi, Benni, Cate, Marche, Elia, Bruni, Fabri, Kekka, Giaco, Ciuli, Guido, Gigia e Poppi. Ci tengo a ringraziarvi uno per uno per quello che avete fatto per me e per quello che mi avete dato in questi cinque (anche sei) anni. Grazie anche a tutti gli altri compagni di corso che hanno anche solo sfiorato il mio percorso, ma da ognuno dei quali ho imparato qualcosa. Grazie a tutti.
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